Claudia Pecoraro
Claudia Pecoraro (Palermo 1978)
archeologa e ricercatrice in museologia
Quando a 4 anni tutte le sue compagne da grandi volevano diventare ballerina o veterinaria, lei aveva le idee chiare: “Voglio fare l’archeologa!”. Lo è diventata a 25, quando si è specializzata a Roma dopo la laurea in Lettere Classiche.
Ha lavorato felice nei depositi polverosi del Museo Archeologico di Palermo, a schedare, disegnare, sistemare i materiali provenienti da Selinunte. Li ha studiati, pubblicati e allestiti in una mostra permanente. La prima grande soddisfazione professionale.
Anni e anni di visite guidate con bambini, anziani, turisti, parrocchiani in pellegrinaggio, mogli annoiate di avvocati impegnati nei congressi, le hanno insegnato a raccontare la cultura anche a chi non conosce la differenza tra un’anfora e un capitello. Si può spiegare la storia in modo scientificamente corretto e piacevole insieme? Sì sì, si può.
Da vera secchiona, ha deciso di sostenere l’esame per giornalista pubblicista, “mestiere” che esercita da freelance scrivendo articoli e curando rubriche su mostre, musei, concerti, danza e teatro.
Da quando ha scritto la sua tesi di specializzazione in museologia sul Musée de la Tapisserie de Bayeux in Normandia, non ha più smesso di approfondire l’argomento (colpa anche di mamma e papà che fin da piccola le hanno fatto scoprire il fantastico mondo dei musei in giro per il mondo). Con l’occhio e il cuore sempre rivolto alla School of Museum Studies di Leicester, faro per tutte le ricerche sul tema, si è appassionata agli studi sui processi conoscitivi, sul pubblico dei musei, sull’educazione museale, con un interesse sempre maggiore per l’inclusione sociale.
Nel 2012, investita dalla crisi dei “bamboccioni” italiani decide di giocarsi l’ultima chance in Italia e propone un progetto titanico - per le sue sole forze - al direttore del Museo di Roma, che risponde: «Meraviglioso! Però non ci sono soldi…». Armata di entusiasmo tenace e sfacciato, si organizza e chiama a raccolta 12 fotografi, 34 migranti, 10 ambasciate, una decina di ricercatori, la Caritas, il Centro Astalli, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, sindaci, ministri… Una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale e in poco meno di due anni, tutti parlano del progetto “Rhome - Sguardi e memorie migranti” che nel febbraio 2014 si trasforma in una mostra, incredibilmente vicina all’ideale di museo che ha sempre perseguito: un luogo non solo di presentazione ma di rappresentazione; un laboratorio di idee che stimola la creatività, allarga gli orizzonti, combatte gli stereotipi, genera ricordi, emozioni, progetti; un organismo che respira insieme al suo pubblico.
I suoi miti sono John Lennon, Bruno Munari, Eilean Hooper Greenhill, Marguerite Duras e Bernardo Bertolucci. Pur non essendo una danzatrice, ha deciso che senza la danza contemporanea non si vive bene
archeologa e ricercatrice in museologia
Quando a 4 anni tutte le sue compagne da grandi volevano diventare ballerina o veterinaria, lei aveva le idee chiare: “Voglio fare l’archeologa!”. Lo è diventata a 25, quando si è specializzata a Roma dopo la laurea in Lettere Classiche.
Ha lavorato felice nei depositi polverosi del Museo Archeologico di Palermo, a schedare, disegnare, sistemare i materiali provenienti da Selinunte. Li ha studiati, pubblicati e allestiti in una mostra permanente. La prima grande soddisfazione professionale.
Anni e anni di visite guidate con bambini, anziani, turisti, parrocchiani in pellegrinaggio, mogli annoiate di avvocati impegnati nei congressi, le hanno insegnato a raccontare la cultura anche a chi non conosce la differenza tra un’anfora e un capitello. Si può spiegare la storia in modo scientificamente corretto e piacevole insieme? Sì sì, si può.
Da vera secchiona, ha deciso di sostenere l’esame per giornalista pubblicista, “mestiere” che esercita da freelance scrivendo articoli e curando rubriche su mostre, musei, concerti, danza e teatro.
Da quando ha scritto la sua tesi di specializzazione in museologia sul Musée de la Tapisserie de Bayeux in Normandia, non ha più smesso di approfondire l’argomento (colpa anche di mamma e papà che fin da piccola le hanno fatto scoprire il fantastico mondo dei musei in giro per il mondo). Con l’occhio e il cuore sempre rivolto alla School of Museum Studies di Leicester, faro per tutte le ricerche sul tema, si è appassionata agli studi sui processi conoscitivi, sul pubblico dei musei, sull’educazione museale, con un interesse sempre maggiore per l’inclusione sociale.
Nel 2012, investita dalla crisi dei “bamboccioni” italiani decide di giocarsi l’ultima chance in Italia e propone un progetto titanico - per le sue sole forze - al direttore del Museo di Roma, che risponde: «Meraviglioso! Però non ci sono soldi…». Armata di entusiasmo tenace e sfacciato, si organizza e chiama a raccolta 12 fotografi, 34 migranti, 10 ambasciate, una decina di ricercatori, la Caritas, il Centro Astalli, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, sindaci, ministri… Una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale e in poco meno di due anni, tutti parlano del progetto “Rhome - Sguardi e memorie migranti” che nel febbraio 2014 si trasforma in una mostra, incredibilmente vicina all’ideale di museo che ha sempre perseguito: un luogo non solo di presentazione ma di rappresentazione; un laboratorio di idee che stimola la creatività, allarga gli orizzonti, combatte gli stereotipi, genera ricordi, emozioni, progetti; un organismo che respira insieme al suo pubblico.
I suoi miti sono John Lennon, Bruno Munari, Eilean Hooper Greenhill, Marguerite Duras e Bernardo Bertolucci. Pur non essendo una danzatrice, ha deciso che senza la danza contemporanea non si vive bene
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