«Non puoi dire niente di questi tempi», sostiene John Waters. «Si potrebbe obiettare», rispondo io, «che tu hai sempre detto cose che non avresti dovuto dire». Waters allora fa una pausa. «Si è vero, ma c’è una linea sottile e in qualche modo io l’ho sempre fatta franca. Non ho ancora subito tentativi di rimozione culturale perché prendo in giro le cose che amo, non quelle che odio». La battuta amore-non-odio la ricordo da qualche sua precedente uscita, ripetuta forse per diffondere un minuzioso esame sugli aspetti più provocatori del suo lavoro, che copre sei decadi di regia, performance, scrittura nonfiction e arte in senso stretto. Soprattutto i suoi film, venerati per la loro folle stravaganza, sono ricordati per la sagacità. Quando ho accettato di scrivere di Waters, mi sono ripromessa di evitare l’ovvietà di santificare la sua satira, di trattarlo come un’accolita fatta e finita che non rimane scioccata da quella “robaccia” che è il suo trademark (alle superiori avevo interpretato Edna nell’adattamento del suo film “Hairspray” del 1988 e poco dopo avrei scoperto “Pink Flamingos”, del 1972). Quando una mia conoscenza mi ha chiesto chi è John Waters ho
In Cancellabile
Mar 29, 2021
7 minuti
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