Sciavuru, il profumo della semplicità
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La semplicità ha un profumo intenso, che inebria il cuore, lo fa sbandare e lo allontana dai ritmi frenetici imposti dalla competitività e dagli egoismi.
I Sciavuri sono quei ricordi della mia infanzia, che hanno fatto sì che scegliessi la semplicità come valore da seguire.
I ricordi sono quei punti di riferimento che resettano la mente, per poi ricominciare una nuova elaborazione; e devono essere impregnati, sempre, di Sciavuru di semplicità, altrimenti il prossimo sarà... solo un nemico da combattere.
Questo mio secondo libro è composto da quattro racconti ed in uno di essi, ‘u Lupunaru, ho ripercorso proprio le tappe della mia bellissima adolescenza; nella quale ho costruito profumati ricordi di semplicità che ancora oggi utilizzo per i miei reset quotidiani.
Il mondo ha bisogno di Semplicità ed io cerco di trasmetterla attraverso le storie che scrivo.
In “’u Lupunaru” ho inserito fatti e personaggi reali che hanno contribuito alla mia felice crescita adolescenziale e mi scuso se qualcuno leggendoli, riconoscendo sé stesso o i familiari, recepisse negativamente le mie parole: per tutti quelli descritti nutro affetto e stima.
Gli altri tre racconti sono frutto della mia fantasia; anche se ne “il Centrotavola” narro dell’avventuroso viaggio che mio padre, a quei tempi militare a Parma, intraprese a piedi per tutta la penisola, per fuggire dal caos causato dall’armistizio dell'8 settembre 1943 siglato dal generale Badoglio.
Una nota particolare la voglio dedicare a “il commissario di Sferranatale”.
In questo racconto mi sono divertito ad inventare questa figura di commissario atipico; di un uomo semplice che svolge la sua professione in un posto pieno di contraddizioni: Sferranatale.
Chiaramente in quest’ultimo racconto ogni eventuale riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
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Ho un mare di cose da dirti Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniIl Commissario di Sferranatale Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Recensioni su Sciavuru, il profumo della semplicità
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Anteprima del libro
Sciavuru, il profumo della semplicità - Simone Aiello
Simone Aiello
Sciavuru
il Profumo della Semplicità
-In copertina Antico Porticciolo
di Salvatore (Turi) Maligno-
-Grafica di Raffaele Rinaldi-
Io vi pensu e sentu Sciavuru
Ai mie genitori Antonio e Rosa e a mio zio-fratello Cesarino
Prefazione
Ho conosciuto Simone, l'autore del libro, per caso, tramite un amico comune. L'ho visto adoperarsi, con tutto il cuore e l'amore che ha nei confronti della sua terra, del suo piccolo angolo di paradiso, senza mai stancarsi, nel tentativo di preservarne la bellezza, cara allo spirito e agli occhi di chi, come lui, vive in quell'ambiente splendido, ma anche a chi, come me, lo vede quasi unicamente attraverso i racconti suoi e dei suoi amici, dei suoi cari.
Quante volte mi è capitato di immedesimarmi e tuffarmi a capofitto, attraverso il loro vissuto e le loro storie, in quei posti che aggiustano l'anima e la risollevano, la riportano alla vita, anche e soprattutto a coloro che, come me, l'anima ce l'hanno tormentata dai numerosi problemi che affliggono i nostri tempi.
Con questo approccio ho letto il suo primo libro, Ho un mare di cose da dirti, splendido, umano, divertente, commovente; un libro fatto di storie di vite vissute, attraverso i ricordi che l'autore ha dei propri cari, che spingono il lettore indietro nel tempo, alla semplicità di una volta, con un rammarico sempre costante dell'autore, per non aver avuto la possibilità di esprimere, quando avrebbe potuto, il suo affetto e le sue debolezze alle due persone che l'hanno generato, e per non aver potuto nemmeno accettare le debolezze loro, con estrema chiarezza e spontaneità. Come spesso succede…..
Ma anche storie di fantasia, ambientate nei suoi luoghi fatati, il suo borgo marinaro che da Sferracavallo si tramuta in Sferranatale, con personaggi ispirati da reali compagni di viaggio, che animano, insieme a lui, le sue storie in maniera esilarante.
Questo secondo libro che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima, continua il percorso intrapreso da Simone con il primo libro, alternando realtà e fantasia, con l'incanto di cui solo lui è capace, mettendoci tutto il cuore, sempre. La semplicità continua ad essere il filo conduttore dei suoi racconti, le emozioni vere pure. Anche qui passiamo da momenti di pura commozione, a momenti in cui non si può fare a meno di lasciarsi andare ad una risata. E, come una piccola chicca, ha voluto regalare anche a me, personalmente, un angolino di un suo racconto, un nostro incontro di fantasia che, mi auguro fortemente, si tramuti prestissimo in un abbraccio reale, che anelo oramai da tantissimo tempo, con questa splendida persona dal cuore d'oro.
A te, belcuore, va il mio immenso affetto, la mia incredibile stima, e il mio grazie per avermi reso partecipe di questa bellissima seconda opera.
Rosita Pasqualotto
Nota dell’autore
Sciavuru vuol dire "profumo".
La semplicità ha un profumo intenso, che inebria il cuore, lo fa sbandare e lo allontana dai ritmi frenetici imposti dalla competitività e dagli egoismi.
I Sciavuri sono quei ricordi della mia infanzia, che hanno fatto sì che scegliessi la semplicità come valore da seguire.
I ricordi sono quei punti di riferimento che resettano la mente, per poi ricominciare una nuova elaborazione; e devono essere impregnati, sempre, di Sciavuru di semplicità, altrimenti il prossimo sarà... solo un nemico da combattere.
Questo mio secondo libro è composto da quattro racconti ed in uno di essi, ‘u Lupunaru, ho ripercorso proprio le tappe della mia bellissima adolescenza; nella quale ho costruito profumati ricordi di semplicità che ancora oggi utilizzo per i miei reset quotidiani.
Il mondo ha bisogno di Semplicità ed io cerco di trasmetterla attraverso le storie che scrivo.
In ’u Lupunaru
ho inserito fatti e personaggi reali che hanno contribuito alla mia felice crescita adolescenziale e mi scuso se qualcuno leggendoli, riconoscendo sé stesso o i familiari, recepisse negativamente le mie parole: per tutti quelli descritti nutro affetto e stima.
Gli altri tre racconti sono frutto della mia fantasia; anche se ne il Centrotavola
narro dell’avventuroso viaggio che mio padre, a quei tempi militare a Parma, intraprese a piedi per tutta la penisola, per fuggire dal caos causato dall’armistizio dell'8 settembre 1943 siglato dal generale Badoglio.
Una nota particolare la voglio dedicare a il commissario di Sferranatale
.
In questo racconto mi sono divertito ad inventare questa figura di commissario atipico; di un uomo semplice che svolge la sua professione in un posto pieno di contraddizioni: Sferranatale.
Chiaramente in quest’ultimo racconto ogni eventuale riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
Anche in questo libro uso delle frasi in dialetto e mi scuso per i non siciliani che potrebbero trovare fastidiosa la lettura di incomprensibili locuzioni.
Una volta ho ricevuto una recensione su un racconto che diceva pressappoco così :
"–l’autore tenta pateticamente di imitare Camilleri- ".
Ebbene, questa critica mi ha stupito, in quanto non potrei mai imitare il grande maestro Andrea e per due semplici motivi:
il primo…, il paragone con Camilleri è impossibile; lui è un grande scrittore ed io … uno che scrive.
Il secondo…, il maestro scrive, lo ha inventato lui, in camillerese (mi permetto di chiamarlo così), creando nuovi lemmi che ha meravigliosamente innestati nello slang agrigentino; io scrivo in palermitano, anzi in sferracavallese.
Beh, a dire il vero, io penso in dialetto e per questo motivo mi viene più facile esprimermi in tal modo.
Il mio modo di scrivere, casomai, è stato influenzato dai racconti di un poeta dialettale palermitano (ma anche attore, cabarettista, umorista): Renzino Barbera.
Ero un ragazzetto e mi appassionavano le sue rubriche tragicomiche dialettali che pubblicava il Giornale di Sicilia
a cavallo tra gli anni ’80 e ’90: Il Parere di don Totò
.
Questo suo modo di intercalare delle espressioni popolari, quei detti siciliani che ancor oggi qualcuno usa, mi divertiva; la sua acuta ironia ha fatto sì che in me nascesse la passione per la scrittura.
I primi articoli li ho pubblicati in un giornalino locale, lo stampavo assieme ad altri amici in parrocchia, che si chiamava La Rete
; ed usavo firmarli con lo pseudonimo di Simò Ironia.
A quei tempi utilizzavamo per la stampa un ciclostile ed una vecchia Olivetti e… non ci annoiavamo affatto a battere i tasti della macchina da scrivere.
In copertina ho inserito un dipinto di Turi Maligno, un artista di Sferracavallo che realizza meravigliosi scorci della nostra borgata: grazie.
Un grazie va anche a Raffale Rinaldi che ha realizzato la copertina.
Infine, un ringraziamento speciale lo dedico ad una bedda e gintili milanisi, Rosita Pasqualotto, che ha svolto il ruolo di correttrice di bozze e che, soprattutto, mi ha incoraggiato a continuare a scrivere e… a farmi sentire scrittore.
Il mio augurio è che il lettore, attraverso le parole scritte, possa sentire, e realmente, ‘u Sciavuru della Semplicità.
Buona lettura,
Simone Aiello
‘U LUPUNARU
unn'esciri 'a st'ura, c'è 'u lupunaru strati strati!
-Non uscire di casa, potresti incontrare il Lupo Mannaro!-
Stavo vivendo una di quelle giornate di scirocco caldissime, cariche di odori.
Dalle case del borgo uscivano essenze di soffritti e di salsa che bolliva, di fritture di gamberi, di basilico e menta.
Il vento sollevava la polvere e le cartacce.
Tutto intorno un silenzio irreale che m’apriva la mente: la rasserenava.
Flashback: ritornai indietro nel tempo, quand’ero piccolino, quando queste giornate d’afa, però, mi angosciavano e mi mettevano tristezza.
A quei tempi ritenevo di non appartenere a nessuna di quelle case da dove uscivano quegli umori domestici; mi sentivo un alieno, un cittadino di mondi lontani, un pesce fuor d’acqua.
- Oggi no! - pensavo - oggi no, respirerò a pieni polmoni e vivrò quest’atmosfera con calma assoluta. Mi piace e non intendo sprecare nemmeno un secondo di tali emozioni, ogni microscopica particella sarà odorata e assorbita, come se fosse di vitale importanza per il mio corpo.
Voglio vivere appieno quest’appagamento dei sensi! -
Accennai un sorriso.
Cos'è la vita? E qual è il segreto della felicità?
Beh, credo che tutto ruoti attorno ad un semplice sorriso.
Anni passati a porsi elaborate domande, enigmatici quesiti; notti insonni trascorse in simbiosi con le proprie angosce: ataviche sensazioni che si ripetono dalla notte dei tempi.
Un susseguirsi di momenti bruciati dal panico, dal dubbio e del mistero.
E difficilmente si ascolta quella parte semplice del proprio io, quell’essenza primordiale di vita, che si trova dietro un umile sorriso.
Se almeno una volta hai sorriso col cuore, se sei riuscito a tuffarti al suo interno, come se fosse acqua del mediterraneo, calda e profumata, piena di iodio, immaginando d’essere immerso nell’incondizionata calma di una lunga e tonificante nuotata, gioendo ad ogni bracciata; se riesci a partorire
un sorriso, intenso e vero, se almeno una volta nella vita hai sorriso in questo modo, vuol dire che hai dato una risposta importante almeno ad una delle infinite domande sul perché dell’esistenza in questo meraviglioso mondo. Ne basta una di risposta, ne basta uno di sorriso. Soltanto una. Soltanto uno: quel semplice sorriso.
Ero bambino…
Mia madre mi chiese d'andare a fare la spesa.
Stavo giocando con le figurine Panini, avevo un album bellissimo, nuovo, integro e senza alcuna figurina attaccata.
Questo perché non volevo rovinare le preziose riproduzioni fotografiche appiccicandole con la colla, quella che si vendeva nei barattoli bianchi col tappo blu, mi pare si chiamasse Coccoina
. La rubavo alle mie sorelle, che la tenevano, gelosamente conservata, nella loro stanzetta.
Mi ricordo che facevo le incursioni nei pomeriggi, quando loro erano fuori casa. Aprivo tutti cassetti, vi rovistavo fino a quando trovavo l'odorosa colla.
Le mie sorelle usavano la Coccoina
per appiccicare le foto ritagliate dai giornalacci che leggevano, quei banali fotoromanzi. La stanza era tappezzata da fotocomposizioni dei loro personaggi preferiti.
Ecco che allora l'immagine del povero Franco Gasparri veniva appiccicato accanto a quella di Alex Damiani e Franco Dani, i loro idoli; oppure immagini di appassionanti baci, di copertine della Bolero, della Lancio, di poster di orripilanti film d'amore, forse rubate dalle locandine del cinema Aurora
, la mitica sala cinematografica all’aperto, con annessa Arena, di Sferracavallo.
Insomma, la stanza delle mie sorelle attanfava di odore di Coccoina ed era impossibile stabilire il colore dei muri, in quanto ricoperti per intero da quelle bizzarre fotocomposizioni.
A quei tempi le figurine Panini non erano autoadesive e quando erano nuove, emanavano un piacevole odore che mi capita di risentire oggi quando sfoglio i giornaletti di mia figlia.
Le bustine si compravano all'edicola della vecchia piazza, un casotto in legno verde vicino ai vecchi chioschi dei purpari e rizzalori (venditori di ricci di mare e polpi).
La proprietaria era un'anziana signora che stava sempre all'erta, dato che spesso dei ladruncoli le rubavano le riviste esposte.
Ogni bustina conteneva cinque figurine, oltre ad una speciale, chiamata valida.
La Panini faceva una raccolta a punti ed ogni valida valeva 1, 5 o dieci punti.
Tanti erano i premi che s'ottenevano col concorso a punti; ricordo dei bellissimi palloni in cuoio, la divisa della nazionale, scarpe da football e tanti altri prodotti che si potevano ottenere raccogliendo le figurine valide.
Il mio sogno era quello di raccogliere i punti per ottenere in premio un razzo che, si diceva, riuscisse ad arrivare fino a cento metri d'altezza, per poi ridiscendere dolcemente al punto di partenza, con l'ausilio di un piccolo paracadute che, aprendosi automaticamente, ne rallentava la velocità di caduta: che magia!
Nonostante la voglia e la volontà espressa in tanti anni di raccolta-figurine, purtroppo non riuscii mai ad arrivare a totalizzare i mille punti, se non ricordo male, occorrenti per ottenere il razzo e quindi non ebbi mai il piacere di mandare in orbita
quell'aggeggio di plastica a forma di vettore spaziale: uno dei miei tanti sogni andati in fumo.
Come dicevo, stavo giocando con le figurine schierate sul tavolo della stanza da pranzo.
Simulavo un campionato calcistico tra il Palermo di Tanino Troja ed altre squadre più blasonate, come l'Inter di Mazzola o il Milan di Rivera, ma anche altre meno blasonate, come il Catania, il Messina o la Reggina.
Chiaramente ne usciva vincente sempre il mio Palermo e con tanti goal di scarto.
Al secondo posto facevo classificare il Catania o il Messina: ero abbastanza partigiano.
Gli spalti erano composti dal resto delle figurine. Mi immaginavo uno stadio gremito all'inverosimile, le grida dei tifosi, gli improperi rivolti all'arbitro -Cuinnutu tu e tutta a to' razza- oppure ai guardalinee - Mettitilla nnò rarrieri a banniera!- o cantilenavo la canzoncina: -aiuto aiuto aiuto, l'arbitro è gran un cuinnuto-, battendo ritmicamente le mani sul tavolo.
Queste frasi poco signorili, le avevo apprese alla Favorita, quando mio padre mi portava ad assistere alle gare casalinghe del Palermo.
Mi ricordo la gente ammassata in gradinata, il fumo delle sigarette, il prato verde, le abbanniate dei venditori di gelato: -Ghiacciuoli, ghiacciuli all'aranciu- qualcuno, bontempone, gridava invece: -Facciuoli, facciuoli all'arancio- cambiando completamente il senso alla frase…
Ci voleva maestria a lanciare i gelati da un punto all'altro degli spalti; il venditore scagliava il ghiacciolo con precisione e una volta arrivato a destinazione, il cliente spediva allo stesso modo i soldi al venditore; a volte non giungevano a destinazione, cadendo altrove; e allora era un continuo passamano di soldi da un punto all'altro della gradinata. E tutti allora a lamentarsi -ma comu finiù ccà?! La partita dobbiamo vedere!.-
-Cucì e io devo travagghiari, devo campare la famigghia!- rispondeva il gelataio. Eh sì da noi il lavoro è Sacro! Per cui tu puoi stracciare i diritti altrui e se come scusa usi come motivazione… -cucì fammi vuscari u pani ppì mè figghi- (fammi guadagnare il pane) tutto è consentito...
Allo stadio la gente non stava mai seduta ed io, a dire il vero, vedevo poca cosa, perché davanti a me un muro umano ostruiva la visuale.
Erano anni bui per la compagine palermitana ed i rosanero in campo mi davano meno soddisfazione di quelli schierati sul tavolo di casa, vincevano poco e niente.
Il Presidente era Renzino Barbera, omonimo e cugino del famoso cabarettista, il quale faceva non pochi sacrifici per mantenere la squadra tra serie A e B, ma era già tanto per una città con tanti problemi.
Io credo che Palermo debba tanto a questa illustre persona e non a caso l'attuale stadio è dedicato proprio al presidente Barbera.
Ritornando al fantastico mondo delle mie figurine, ebbene quel giorno, sul tavolo della stanza da pranzo, c'era la sfida decisiva per lo scudetto tra il Palermo e la Juventus.
Il Palermo vinceva 4 a 1 e l'unico goal della Juve l'avevo fatto segnare a Pietruzzu Anastasi, solo perché era siciliano e per questo mi faceva simpatia: se qualcuno deve segnare un goal al Palermo… siciliano deve essere.
Mia madre mi chiese per l'ennesima volta di andare dalla za Razia per comprare la pasta, una sarda salata e una lista di alimenti vari.
Io nemmeno la sentii, talmente ero preso dalle entusiasmanti azioni di gioco, fino a quando mi arrivò una bella cucchiaiata nelle natiche.
Quello era l'ultimo avviso di mia mamma ed io lo recepii.
Presi i soldi, scesi le scale ed attraversai la strada.
La putia (bottega) della za Razia era a manco venti metri da casa mia.
Si trovava al piano terra di una palazzina che sembrava un piccolo castello medievale.
Si diceva che l'edificio fosse appartenuto ai marchesi Pensabene: quella casa mi piaceva!
Entrai nella putia e subito m'arrivò alle narici il tipico odore dei negozietti alimentari.
La za Razia stava affettando una mortadella giarnia, pallida come la luna.
L'affettatrice era manuale e l'anziana negoziante faceva non poca fatica a girare la manovella del macchinario.
Ogni tanto si fermava e con un coltellaccio, appoggiato alla lama roteante, toglieva il grasso in eccesso.
Il negozio era piccolo ma ben fornito ed aveva un arredamento spartano.
Quattro tavoloni facevano da mensole, due enormi bauli come dispensa per la pasta, i pelati e poi latte di ogni genere posati alla rinfusa.
All'ingresso stava seduto Pitrinu, suo fratello che ingiustamente era chiamato Pitrinu 'u luoccu, poiché non era affatto stupido, anzi era furbissimo.
Da piccolo