Guida alla Rimini di Fellini
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Anteprima del libro
Guida alla Rimini di Fellini - Giuliano Ghirardelli
Rimini
«Io a Rimini non ci torno volentieri»
Ecco qualcosa che chi non è mai partito non può facilmente capire
«Un fatto è, comunque, certo. Io, a Rimini, non torno volentieri. Debbo dirlo. È una sorta di blocco». È Federico Fellini che scrive della città, la sua, che ha lasciato a 19 anni. A Roma, dove ha vissuto il resto della vita, ha composto più di venti film-capolavoro, scritto tanti testi, soggetti e sceneggiature. I suoi disegni sono straordinari come le sue apparizioni televisive. Le sue riflessioni sulla vita, piccola e grande, hanno fatto il giro del mondo. E continuano tuttora. Da ogni parte del pianeta gli sono giunti applausi e premi: cinque Oscar! (tanto per ricordarne qualcuno). Nella sua opera Rimini è quasi sempre presente: ma lui non vi ha girato una sola scena! Tornava raramente. Poi, quasi dirottando dalle solite scelte, decise di venire a passare un’impegnativa e delicata convalescenza proprio nella sua città. Era tornato… per la sua ultima partenza. Dall’Ospedale di Rimini scrisse al Sindaco: «… Sono contento di essere nato da queste parti e voglio augurare ai miei compaesani di saper mantenere, nonostante i tempi bui, questo slancio generoso verso i valori dell’amicizia e della vita». Dopo poco più di due mesi - il 31 ottobre 1993 - Federico Fellini moriva. Aveva lasciato, tra l’altro, ai suoi ‘compaesani’ un monumento artistico, perenne ed ammirato in tutto il mondo, dedicato interamente e visceralmente a Rimini: Amarcord.
È passato già molto tempo dalla sua scomparsa, ma, pian piano, tra alti e bassi, la città sembra trovare la forza per riuscire ad essere all’altezza di questa grande eredità. Non importa poi, se ogni tanto qualcuno, in città, ti blocca per farti una domanda già subita altre volte. Il personaggio in questione ti ferma, ti guarda dritto e sicuro negli occhi e, con quello scetticismo che non ammette repliche e che dà per scontata la risposta negativa, ti chiede: «Dimmi su, cosa ha fatto Fellini per Rimini?» Come dire: ammesso e non concesso che i suoi film siano così belli come dite voi, il vostro amico, diventando molto importante a Roma e in Italia, cosa ha mai fatto per Rimini? Il personaggio che ti ha guardato fisso nelle pupille - ma che non ti ha nemmeno visto, né si attende da te una risposta - alludeva, probabilmente a viadotti, ad altre autostrade, a grandiosi edifici pubblici che la città, grazie al suo interessamento, avrebbe potuto ottenere. Quando finalmente siete riusciti a svincolarvene, il personaggio se ne va, petto in fuori, con quel lieve sorrisino di chi sa come vanno davvero le cose nel mondo: lui non si lascia fregare da tutto quell’ambaradam intorno al nome dell’illustre (lo dite voi) riminese! Ciao. E non lo sfiora minimamente il dubbio che a Fellini piacessero tanto i personaggi come lui. Sbruffoni e un po’ ‘pataca’. Così ingenui da credere che la vita presenti sempre dei retroscena, che loro, solo loro, riescono sistematicamente a smascherare. Fellini provava, nei suoi film e fuori, molta tenerezza per questo tipo di umanità, forse la più indifesa: priva di protezione nei confronti dei misteri della vita, che per loro non esistono! In quell’eterna periferia che è la vita umana, loro si sentono - spontaneamente e candidamente - al centro del mondo.
Fellini sapeva, invece, che alla periferia, umile e modesta, alla provincia non si sfugge: a quella dimensione veramente vera della vita non si può voltare le spalle, credendo di poterne fare a meno, chiamandosene fuori. E questi conti Fellini li faceva con la sua Rimini… che ritrovava, continuamente, dappertutto, tra le pieghe di una metropoli come Roma o nelle tante città reinventata nei suoi film.
Leggero, elegante (già con la sua 'classica' sciarpa), Federico prende il volo… Federico parte per Roma. Gli amici lo accompagnano fino a Bologna. La foto è scattata alla Montagnola
, in via Irnerio. E' il 4 gennaio del '39. Da sinistra: Luigi 'Titta' Benzi, Federico Fellini, Mario Montanari e Luigi Dolci. Gli amici rivedranno Federico solo al termine della guerra, nel 1946, quando tornerà nella Rimini distrutta, per una breve visita.
L’itinerario felliniano
Rimini e Fellini. Parliamone a quattr’occhi, passeggiando sul lungomare.
Caro ospite, caro lettore, questo libretto è dedicato a te, che prima o poi verrai a visitare la nostra città… Ma è probabile che tu ci conosca già molto bene. La Rimini che ti proponiamo è in gran parte inedita, ed è quella legata alla vicenda umana e all’opera di uno dei più grandi registi della storia del cinema: Federico Fellini, nato e cresciuto nella nostra città.
Vorremmo, vorrei parlarti di Rimini evitando il vezzo - falso quanto radicato nel turismo - di professarsi innamorati della propria città: che appare naturalmente la più bella, la più pulita, la più trasparente…
Tra l’altro, se c’è qualcuno che ha dimostrato quanto sia difficile vivere e amare la propria città, questi è proprio Federico Fellini. A diciannove anni infatti lasciò la sua, la nostra Rimini, per sempre, conservando per tutta la vita il sottile rimpianto di non essere stato capace di riallacciare rapporti stabili, tranquilli e continuativi con la sua città. Come accade con certi parenti, per i quali conservi il rimorso di averne perduto i contatti, oltretutto senza un chiaro motivo: pian piano ogni rapporto viene annullato per colpa di una scelta che non ricordi di aver fatto, ma che forse non hai potuto evitare.
Nella scena finale de I vitelloni tutto questo è chiaramente espresso da uno dei protagonisti: Moraldo (interpretato dall’attore Franco Interlenghi). In lui, sul suo volto, Fellini ha dipinto il disagio di quel distacco, che fu certo doloroso: una lacerazione che egli, il ragazzo di allora, già avvertiva come impossibile da rimarginare. Il film è del ’53, l’uscita felliniana da Rimini risale al ’39. È quindi con diretta competenza e sofferenza che egli scrive, assieme a Flaiano e Pinelli, questa pagina della sceneggiatura:
«… la vita riprende come al solito, nella cittadina di provincia. I vitelloni continuano a giocare al biliardo e a fare progetti di partenza.
Ma l’unico che parte davvero è Moraldo. Parte un mattino all’alba, senza dire niente a nessuno, quando ancora tutti dormono. Gli sembra di vivere in un sogno, quando si ritrova sotto la pensilina deserta, e il campanellino cessa d’improvviso di suonare, e il treno appare veramente in fondo ai binari.
Mentre sta per salire in un vagone di terza classe, tra il fumo degli stantuffi gli appare il piccolo ferroviere, che lo saluta con festosa sorpresa. Parte? Dove va?
Non lo so…
E quando torna?…
Non lo so…
Moraldo sale sul treno; il capostazione chiude gli sportelli. Ma allora, che va a fare?