Maria Algranati. Tavola calda. Autobiografia
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di vivere e di pensare di un’epoca, a ricostruire luoghi, personaggi, episodi, ad un’indagine sul mondo intellettuale e su molti dei suoi principali protagonisti. A corredo dell’autobiogafia, per una più completa ricostruzione dell’ambiente culturale, un’introduzione biografico-letteraria e una ricca appendice con poesie e articoli della stessa autrice, lettere dal carteggio inedito tra cui alcune inedite di Croce, dati biografici e
bibliografici, note di approfondimento e foto d’epoca.
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Recensioni su Maria Algranati. Tavola calda. Autobiografia
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Anteprima del libro
Maria Algranati. Tavola calda. Autobiografia - Yvonne Carbonaro Maresa Sottile
fornito.
Considerazioni di Alda Croce
Alda Croce con l’autografo qui sotto riportato aveva gentilmente espresso nel maggio 2008 alcune considerazioni in merito al libro dell’Algranati di cui riferiamo alcuni stralci:
" Le memorie di Maria Algranati sono un’opera di storia…sono un libro splendido per l’ambiente … della Napoli appena finita la guerra, e della Sicilia…La conclusione è positiva.
La Algranati ritrova un suo ambiente che le allevia la solitudine. Il passato resta passato con tutta la dolcezza della memoria."
Un legato d’affetto
La storia di questa autobiografia è lunga e un po’ complessa. Mia Nonna la scrisse negli ultimi anni della sua vita, gli anni ‘70. Appunto per la sua età avanzata, pur essendo lucida ed autosufficiente, non era in grado di gestire la realizzazione del suo desiderio di vedere edite queste pagine.
Fece stampare il libro da un piccolo editore e affidò la correzione delle bozze ad uno studente che forse per incapacità o malafede non la fece affatto. Anche l’editore, poco più di un tipografo, non fu all’altezza del compito. Ne venne fuori un disastro. Pagine stampate non in ordine di tempo e azione, errori macroscopici di stampa... La Nonna era ormai in fin di vita, vide una copia del libro e ne fu felice, ma quel libro non poteva entrare in circolazione perché davvero impresentabile e fu perciò distrutto, in accordo con l’editore e alla nostra presenza, tranne qualche copia che conservai con il proposito di ripubblicarlo immediatamente in forma corretta.
La Nonna però entrò in coma e in tre giorni morì senza riprendere conoscenza. Avendo lasciato a me tutte le sue cose, venni in possesso anche delle sue carte, ma erano in disordine. Oltre al suddetto testo in stampa ritrovai varie copie dattiloscritte mescolate e con qualche differenza nel collocamento dei periodi. C’erano inoltre correzioni non sempre chiare.
Correggere, risistemare e ricopiare: un lavoro lungo e non sempre facile che facevo in pochi momenti liberi. Ma sentivo che dovevo farlo per la Nonna, che è stata una delle persone che ho avuto più care nella vita e che tra le altre cose mi ha lasciato scritto: … se vuoi fare tu personalmente qualche tentativo…affinché…se ne facciano promotori (se lo faranno) amici estimatori del mondo letterario…
Un legato d’affetto che sentivo doveroso portare a compimento. Dopo qualche anno cercai di attivarmi per pubblicare il libro nella versione corretta. Ebbi un lungo colloquio in un pomeriggio primaverile con Michele Prisco, autore della recensione. Ma anche con il suo aiuto la cosa non andò in porto.
Un po’ demoralizzata, anche perché fuori da certi giri, e presa dalla mia vita, abbandonai l’impresa. Ma questo fallimento mi pesava molto. Trovavo oltretutto il libro bello, anche se mi rendo conto di essere di parte per l’affetto che mi legava a lei, e anche perché in gran parte della vita della Nonna c’ero anch’io. Ho conosciuto molti dei personaggi che popolano queste pagine, ho vissuto molti degli eventi narrati, ho ricevuto molte sue confidenze. Queste parole meraviglieranno quando si leggerà il libro, perché vengo nominata pochissimo, per la mia nascita e poco più. Eppure sono stata la sua nipote prediletta che le è stata accanto fino alla morte. C’è un perché a ciò e vale anche per molte altre persone che sono figure appena accennate nel libro. Lo ha fatto per rispetto verso di noi: mettere allo scoperto la sua vita era una cosa, ma per le nostre un’altra. La conferma di quanto dico è nel suo gesto di donare alla Biblioteca Nazionale di Napoli le lettere in suo possesso avendo saputo che le sorelle del poeta Francesco Gaeta avevano vendute quelle del fratello alla Biblioteca. Non potendole riavere, col suo dono ottenne dalla Biblioteca la secretazione fino al 2048. L’ipotesi è ovvia: le lettere che testimoniavano la sua relazione col poeta, che doveva addirittura sposare, dovevano essere piuttosto ‘forti’. Questa ipotesi è confermata da Alda Croce che le ha potute leggere, essendo stata a suo tempo partecipe della trattativa di vendita dell’epistolario da parte delle sorelle Gaeta.
Una donna eccezionale la Nonna, artisticamente e umanamente, con un grande senso etico della vita e del rispetto verso gli altri. La sua storia è avvincente perché oltre alla testimonianza della sua vicenda umana particolarissima per i tempi in cui si è svolta, c’è la testimonianza storica di eventi e di personaggi di spicco con cui ha condiviso il suo cammino di vita.
Nel 2004 conobbi Yvonne Carbonaro e sapendo della sua attività letteraria le parlai di mia Nonna. Lei la conosceva e ne aveva già scritto, sia pure brevemente. Inizia così quest’avventura…
Maresa Sottile
Commento e annotazioni biografico - letterarie
Poetessa e scrittrice di grande spessore culturale ed umano, tra le protagoniste femminili di maggior rilievo (e, ahimé, anche tra le meno ricordate) nell’ambiente intellettuale dell’Italia del novecento, Maria Algranati ci ha lasciato un libro d’intense memorie che abbracciano quasi un secolo di vita e di storia personale, familiare, collettiva.
Il testo, noto a pochissimi perché solo oggi finalmente pubblicato, pregnante di molte e diverse suggestioni nell’ambito del sentire tanto privato che collettivo, colpisce per l’attualità del pensiero su temi quali la convivenza religiosa e la guerra. L’autobiografia di Maria Algranati andò in stampa nel 1978 (vedi copertina in Appendice) con la prefazione di Michele Prisco¹, ma l’edizione, imperfetta per i molti errori che l’autrice, ormai ammalata, non aveva potuto correggere in bozza, fu ritirata con l’intento di ripubblicarla dopo le opportune correzioni. Rimase inedita per la sopraggiunta morte di lei. Il titolo originario Tavola calda
, da lei ripreso da uno degli ultimi capitoli esprime un’amara e disincantata riflessione sulla propria vita: la consapevolezza, dopo tante parentesi aperte e chiuse nel corso di una lunga esistenza, di ritrovarsi alla fine sola, come sono soli coloro che si recano ad una tavola calda per povertà materiale o per povertà d’affetti. Ci sono, lei dice, molte forme di povertà ed una di queste è la solitudine.
Si è accennato alla scarsa memoria intorno al suo nome e alla sua opera letteraria. Si ha solo notizia nel 1979 di un Premio nazionale di poesia ecologica
intitolato a Maria Algranati, presieduto nella Sala S. Chiara dal sindaco Valenzi e poi nel tempo il ricordo di lei si va affievolendo.
Sebbene personalmente me ne sia occupata da vari anni nel corso di ricerche sulle donne di Napoli, il mio interessamento in maniera più sistematica, per esplicita sollecitazione della nipote Maresa (Maria Teresa) Sottile volta all’intento di riaccendere un riflettore di visibilità sulla figura della scrittrice, parte dal 2005 con una conferenza per l’Associazione Napoli Nobilissima². L’annuncio de La Repubblica
di tale intervento sulle memorie dell’Algranati e sugli inediti di Croce richiamò l’attenzione dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Palazzo Filomarino, nella persona dell’allora direttore della Biblioteca dott. Maurizio Tarantino (poi alla direzione della Biblioteca Augusta di Perugia), a testimonianza di un forte risveglio d’interesse negli ambienti crociani. Sono seguiti vari incontri con le figlie del filosofo, che conservavano un chiaro ricordo di Maria e della sorella Gina, frequentatrici assidue della famiglia, e che hanno espresso vivo apprezzamento per il contenuto di ricordi e per il valore letterario del testo dell’Algranati di cui l’Istituto custodisce delle foto e molte lettere inviate al filosofo. Anche se a quella prima conferenza sono seguiti da parte mia degli scritti³, è ora giunto finalmente il momento di rendere giustizia all’Algranati in maniera più completa ed esauriente con la pubblicazione dell’autobiografia che attende da ben trent’anni di essere letta e diffusa. Ma non ci si aspetti di trovarvi chissà quali sconvolgenti rivelazioni, quanto piuttosto in trasparenza una pacata disanima dei modi di vivere e di pensare di un’epoca. La lettura effettuata a distanza di tempo aiuta a ricostruire luoghi, particolari, situazioni, episodi per noi sfocati, ponendosi come utile strumento di indagine del mondo in cui l’autrice è vissuta, e quindi di un intero periodo storico. Il puntuale riferimento nel testo a noti rappresentanti della cultura, ricordati con la loro reale identità, aggiunge allo scritto veridicità e concretezza oltre che spessore di documentazione per la storia della letteratura.
Essendo poi passati tanti anni e quelle generazioni ormai scomparse, al contrario di quanto accadde alla Ortese con il suo lungo racconto Il silenzio della ragione
da Il mare non bagna Napoli
, che sollevò il vespaio di coloro che si sentirono citati in modo a loro sgradito, o citati poco o peggio non citati addirittura, questo scritto sortisce l’effetto di consegna alla storia. è dunque imprescindibile contestualizzare storicamente l’autrice nell’ambiente intellettuale italiano con cui fu in relazione per ben tre quarti di secolo e di cui resta una fitta documentazione epistolare. A tale scopo ho voluto corredare il testo sia di foto d’epoca, alcune con dedica, che di note esplicative sui personaggi citati. Per ricostruire la personalità dell’artista e il tessuto culturale a cui apparteneva mi è sembrato importante affiancare alla lettura delle memorie la possibilità di confronto con una scelta mirata di versi e di lettere in un’appendice piuttosto articolata. Nella stessa, oltre a includere le poesie che l’autrice richiama nelle memorie e quelle da me citate nel commento, ho reputato utile riportare due illuminanti articoli pubblicati dall’Algranati sulla Rivista di studi crociani
; un inedito scambio epistolare tra Croce e l’Algranati e una selezione dall’ampio carteggio di alcune tra le lettere più significative dei rappresentanti della cultura del novecento (De Nicola, Ojetti, Valeri, Doria, Flora, Ginzburg, Rea, Preti ecc…per citarne solo alcuni), che testimoniano della fitta rete di relazione ed interazione della scrittrice con l’empireo culturale del suo tempo, dalle quali si evincono sensi di amicizia oltre che giudizi elogiativi e di profonda ammirazione per lei.
Chi fu dunque Maria Algranati?
Una poetessa ebrea nata nel 1886 a Roma e morta a Napoli nel 1978 che, grazie alla sua intelligenza e sensibilità unite ad acuto spirito critico, riuscì a superare, pur se tra varie difficoltà, le fasi più travagliate del ‘900. Tutta raccolta e solitaria fui/ e nella solitudine cantai,/ fui come il fiore povero da un seme/ che il vento trasportò sull’alta roccia/ e nessun altro insieme,/ eppure fu contento/ del suo deserto e non sognò il giardino/ quando s’avvide che sull’ardua altura/ era solo coi suoi petali a stella,/ i suoi sobri colori/ sul magro suolo ch’era il suo destino (Vecchie e nuove liriche - I Giorni, pag. 131)
E anche un personaggio emblematico della condizione femminile all’epoca: dalla storia della sua vita si deduce infatti chiaramente quali fossero le difficoltà e gli ostacoli a cui andava incontro, ancora per tutta la prima metà del ventesimo secolo ed oltre, una donna di cultura.
I genitori, Alessandro e Gabriella Castelnuovo, entrambi ebrei, si erano trasferiti a Napoli quando lei era bambina.
Il trasferimento da Milano a Napoli era stato determinato dagli affari del padre, appartenente ad una famiglia di ricchi commercianti ebrei del ghetto di Ancona, la cui salute mal sopportava il rigido clima del nord.
A Napoli, dove l’attività paterna oscillò tra alterne fortune, la madre che contava antenati di grande prestigio, come il bisnonno, il rabbino Lelio Della Torre⁴, piomba … da una condizione tanto agiata in tante avventure e misure […] tanto diversa da quella di Milano…. Maria nella città di Napoli visse quasi per intero la sua lunga vita.
Ebbe due fratelli e due sorelle: Bianca e Regina, detta Gina, sua gemella⁵, studiosa e ricercatrice, autrice di importanti saggi storici. A differenza di Gina che procedette senza intoppi fino alla laurea, lei, avendo da ragazza abbandonato suo malgrado gli studi regolari, con molte difficoltà continuò a coltivarsi e lo fece per tutta la vita, tanto da riuscire a laurearsi e dedicarsi poi all’insegnamento del francese. Una formazione culturale profonda e variegata che nella tradizione avita di conoscenza del Vecchio Testamento inglobò e fuse una solida familiarità con i classici della letteratura italiana ed europea, francese in particolar modo, tanto da rivelarsi validissima traduttrice. Nel ’35 diede alle stampe una traduzione, elogiata dallo stesso poeta Paul Valery⁶, di suoi poemi: Il rematore
, Al platano
, Il serpente
, Il Cimitero marino
. Docente negli istituti superiori e, quando a causa delle leggi razziali fasciste era stata espulsa dalle scuole di stato, docente presso l’Istituto Francese Grenoble
di Napoli fino al 1946 (vedi in Appendice lettera del Direttore del Grenoble). Scrisse anche una grammatica francese e un’antologia della letteratura francese⁷.
Molte notizie della sua vita e dei suoi rapporti umani e sociali sono riportate nell’autobiografia finalmente data alle stampe grazie al tenace interessamento della nipote Maresa ovvero Maria Teresa Sottile, a cui abbiamo già fatto cenno, che è la sua erede spirituale e che della nonna conserva anche il citato carteggio inedito.
A lei bambina, l’Algranati nel 1949 dedicò la nuova edizione di Conte della raccolta di favole, già pubblicata nel 1932 da La Nuova Italia, Storia degli uomini e della fiere
con la scritta Alla mia piccola, cara Maria Teresa
(vedi in Appendice).
Tavola calda
, profonda e allo stesso tempo garbata espressione del sentire
dell’autrice, si presenta come vero romanzo autobiografico, avvincente e coinvolgente nella descrizione delle rimembranze del passato, costantemente alleggerito da un soffio di elegante ironia.
Scevre da certi aspetti propri del genere biografico che si configurano vuoi in algido rigore cronologico o in rigido distacco cronachistico o, all’inverso, in accesa passionalità di sentimenti, le rimembranze ci giungono stemperate dal trascorrere del tempo e addolcite dal filtro gentile di una serena scrittura lirica con cui Maria, ormai anziana, racconta il romanzo della propria vita con tutte le dolcezze della memoria
come rilevava Alda Croce nelle sue considerazioni che si riportano a inizio del presente volume. Ella stessa con una frase di uno degli ultimi capitoli indica in sintesi quali sono stati i criteri che l’hanno guidata nell’elaborazione del testo… E per procedere staccarsi da tutto, solo rapporti di necessità, pace al passato recente e lontano. E infatti mi era facile il racconto tante volte interrotto e ricominciato. Volevo si svolgesse in tempi ognuno a sé, con vita propria, evitare il pericolo della cronaca, aspettare il momento di grazia. Occorreva tempo, lo sapevo, e pazienza. Un orologio segreto batteva in sordina le ore e i minuti e nonostante non dovevo nemmeno aver fretta. Mi raccomandai con una muta preghiera alla Provvidenza, che misurasse la mia durata alla mia opera…
Eccola dunque riproporre se stessa nel candore fanciullesco dell’infanzia, nell’ingenuità dell’adolescenza, nell’inesperienza della gioventù, nell’illusione dell’amore che appare e scompare, nell’assunzione di pesanti responsabilità, fino alle delusioni della maturità, la malinconia degli anni trascorsi e degli affetti svaniti : E io credevo aver gettato l’ancora,/ aver toccato il porto/ e scampato il pericolo dei giorni/ incerti e la paura/ dei giorni./ E invece la mia barca/ mi ha riportato al largo, fra i marosi/ ed io non ho speranza di ritorno…(Vecchie e nuove liriche – I Giorni, pag. 113). In tanto deserto di affetti e d’ingratitudine, in tarda età, imprevista, insolita, una nuova esperienza di calore di famiglia con persone non della famiglia: gli amici americani … la comunità americana aveva una parvenza di ‘home’… E nell’agro bilancio esistenziale la sottile e mai lenita sofferenza per tutto ciò che nel corso di una così lunga vita poteva essere e non è stato, per radici mai stabilizzatesi: Io villaggio non ho, non ho paese,/ sono come l’uccello migratore,/ che ricomincia il nido ad ogni mese/ e la sua patria è dov’è caldo il sole (da Il mio villaggio"- Un’altra voce - I Giorni, pag. 69). Come nei versi, la prosa poetica dell’autobiografia scava lucidamente eppur languidamente alla ricerca del tempo perduto. è una prosa raffinata, elegantemente allusiva, che dice senza ferire, che denuncia senza scandalizzare, che descrive situazioni talvolta penose o amare con lucida chiarezza ma anche con tatto e signorile discrezione e soprattutto con una buona dose di humor e autoironia, creando le condizioni per una lettura stimolante e intensa: un libro metà documento metà poesia
ingentilito da immagini e metafore proprie della sintesi poetica.
Viva è l’emozione di venire in contatto con la mente e il vissuto di una donna pensante e anticonformista molto avanti rispetto ai tempi, che ha finito per pagare con la solitudine la profonda esigenza interiore di libertà sia nel pensiero che nelle scelte.
Senso critico e curiosità di indagine sono sempre presenti nel suo scritto, in specie quando la narrazione si sofferma su situazioni inconsuete, come fu per lei, ad esempio, il periodo con i coinquilini americani a cui si affezionò conservando comunque distacco e obiettività di giudizio verso abitudini tanto differenti.
La stesura non è appesantita da contorsionismi di lungo e intricato periodare come ancora in tanti scritti di certo novecento, né procede a singulti o ricorre all’eliminazione grafica delle pause propria di molta letteratura del secondo novecento, scorre bensì ariosa e fluida dietro il filo di vicende sempre vive e toccanti seppure sedimentate nel ricordo. Con sapiente leggerezza ricrea atmosfera e profondità di sensazioni in quella forma di classica serenità da cui certo la lezione crociana non è estranea.
E del resto nelle parole con cui fa riferimento alla estetica
di Proust la Algranati esprime in sintesi la sua stessa estetica
... la poesia nasce dal ricordo, la riproduzione immediata del modello una copia, non un autentico; occorre all’arte l’opera lenta dei giorni che spoglino la realtà delle sue scorie, la rendano purificata con quel tanto di sognato e di rimpianto delle cose sperate o perdute, quando il ripetersi non invocato di un’impressione susciti e fissi l’evocazione. (vedi in Appendice Gioventù dei Crociani
).
In apertura delle memorie la scrittrice parla della sua nascita da…una giovane donna ebrea di buona famiglia […] che … come in genere le israelite, lei ancor più, aveva desiderato un maschio…Maria è invece femmina e per di più la seconda di un parto gemellare. Grandissima la delusione della madre che ai due maschi, soprattutto a quello che nacque subito dopo le gemelle, riservò una predilezione assoluta, totalizzante al punto da lasciare poco spazio affettivo alle tre figlie femmine. Il difficile rapporto con la madre, Una madre non ebbi, tenera,/ che incontro mi venga a condurmi/ nei regni ove resta immutabile... (Inedite - I Giorni pag. 89) avara di affetto fino all’ingiustizia, segnò la vita dell’Algranati con un acuto senso di sofferenza che si risolse solo verso la fine della sua esistenza in un discorso chiarificatore durante un immaginario incontro a conclusione delle memorie stesse. Il ricordo del padre è più affettuoso e tenero. Il cognome Algranati (di Granata) ci rimanda all’esodo che i re Cattolici imposero agli ebrei dalla Spagna (Sefard), per cui gli ebrei sefarditi si dispersero per i paesi dell’Europa, tra cui l’Italia. La famiglia materna, anch’essa ebraica, apparteneva ad uno stato sociale alto. Queste sue origini costituirono un dato fondamentale che connotò tutta la sua esistenza. Gente della mia stirpe, pertinace,/ tu che attraversi i secoli e i millenni/ stretti al petto i tuoi simboli e i tuoi libri,/ la tua leggenda antica non è scritta/ sulla sabbia./ Che destino insondabile ti ha fatto/ superare le leggi della storia?/ Io fui come il puledro/ libero, nato nella prateria/[…]. Anche se mi piaceva scorrazzare/ nell’universo che non ha frontiere,/ rivoglio la mia greppia e la mia biada/ e l’acqua pura della fonte antica […] (L’ultima voce, pag. 17). Dopo una vita difficile in famiglia per l’eterno conflitto con la madre che opprimeva tirannicamente le figlie, visse amori sfortunati, s’imbarcò in un matrimonio sbagliato con il cognato, crebbe tre figli non suoi che poi si allontanarono, perse i figli da lei concepiti.
Nell’ambiente culturale napoletano che, diventata adulta, prese a frequentare dominava in quegli anni il pensiero filosofico ed estetico crociano.
Maria conobbe il filosofo⁸ grazie alla gemella Gina, nei confronti della quale ebbe sempre un rapporto di affettuosa dipendenza ed ammirazione e che descrive infallibile negli studi e determinata nella carriera. Gina, dopo essersi brillantemente laureata, per le sue ricerche storiche ricorreva spesso a Benedetto Croce che ne apprezzava molto il lavoro.
Entrambe le sorelle frequentavano abitualmente casa Croce ed è interessante lo squarcio che ci viene aperto sulla disponibilità umana e sull’intimità familiare del filosofo e della moglie Adelina, la cui casa, oltre che per gli incontri ufficiali delle celebri domeniche a cui accorreva l’élite intellettuale da ogni parte del mondo,… era sempre aperta ad amici ed habitués all’ora di pranzo alle 8 di sera. La Algranati racconta: …Il Croce lo avevo conosciuto… andando da lui in qualità di messaggera a portargli un manoscritto di Gina…La seconda (volta) era stato per ascoltare il suo parere sul mio dramma lirico Elio
, menzionato - per meriti letterari – a quel concorso indetto da Testoni⁹. Aveva acconsentito a leggerlo (non respingeva nessuno, rispondeva a tutte le lettere e richieste di lumi). Io ne ero, malgrado quella menzione, scontenta e glielo dissi. - L’artista è sempre scontento - rispose. …L’artista! Parlava di me?…Me ne andai da quella casa…camminando come se avessi le ali… Da quel momento prese l’abitudine di sottoporgli i suoi lavori e i suoi dubbi. L’amicizia e la frequentazione durarono per tutta la vita, oltre il fascismo e la guerra, quando i Croce ripararono a Sorrento, e nel dopoguerra, quando il filosofo fu reintegrato nella vita politica.
Il rapporto di familiarità con Adelina Croce durò fino alla morte di questa che, al corrente delle sue necessità, le aveva procurato più di una volta opportunità di lavoro, come l’insegnamento del ricamo, arte in cui Maria eccelleva, nell’Istituto Mondragone che la signora Croce presiedeva e finanziava e nel 1931 la pubblicazione di un manuale sul ricamo (vedi dal Carteggio lettera di Ojetti).
I due articoli pubblicati nel 1964 e nel 1965 sulla Rivista di Studi Crociani
riportati in appendice, ribadiscono cose dette nell’autobiografia e chiariscono ulteriormente il rapporto di amicizia con il filosofo e, insieme, di sconfinata ammirazione e gratitudine. Maria si rivolgeva a Croce per consiglio e sostegno anche talvolta su questioni di carattere personale, come il suo rapporto con il poeta Francesco Gaeta¹⁰ che faceva parte dell’ambiente. Lo aveva conosciuto dopo la grande guerra in casa Croce ed era diventato suo compagno. Maria ammirava in lui l’idealista puro e disinteressato. La sua relazione con Gaeta durò all’incirca dal ’19 al ’22. Fu certamente dolce e coinvolgente, come tutte le storie d’amore nella fase iniziale. Si leggano in appendice delle poesie di Gaeta che sono precedenti ma che potrebbero tranquillamente essere dedicate a lei, soprattutto il sonetto, in cui si fa riferimento al gelsomino sulla terrazza di cui anche Maria parla nelle memorie. Le ritroviamo in un’antologia realizzata da Cutolo¹¹ che vi inserì anche una poesia di Maria (vedi in Appendice Le più belle poesie d’amore della lirica italiana
, a cura di Alessandro Cutolo). Con il tempo però Gaeta si andò rivelando possessivo, geloso e fortemente antisemita, il che - si evince dall’autobiografia - le era fonte di grande sofferenza. Sebbene avessero progettato di sposarsi, lei pose fine al legame nel 1922 alla morte della sorella Bianca, che le aveva lasciato tre orfani da accudire. Nel 1927 egli pose fine alla sua vita. Tutto il carteggio che lo riguarda (con alti esponenti della Massoneria, politici, intellettuali: Croce, Pirandello, Papini, Prezzolini, D’Annunzio…) nel 1966 fu venduto dalle sorelle alla Biblioteca Nazionale dove è conservato, incluse 80 lettere di Gaeta a Maria.
Evidentemente, dopo la conclusione del rapporto, c’era stata la reciproca restituzione della corrispondenza. Maria, quando venne a conoscenza della vendita, poiché non gradiva che la loro intimità venisse esposta a pubblica lettura, richiese che tali lettere le fossero restituite. Non avendo potuto ottenere ciò (Vedi in Appendice dal Carteggio: le lettere del direttore della Biblioteca Nazionale), fece dono alla Biblioteca di quelle da lei scritte a Gaeta, con l’esplicita richiesta che l’intera corrispondenza tra loro due restasse vincolata sotto speciale cautela
. Non potranno pertanto essere lette che dopo settant’anni dalla sua morte, cioè nel 2048. Secondo Gianni Infusino - vedi articolo in Appendice - le lettere consegnate da Maria alla Biblioteca erano invece quelle che il poeta le scriveva
. Non potendovi accedere il dubbio non può essere chiarito.
Per le pressioni dei familiari dopo qualche anno Maria aveva accettato di sposare il cognato vedovo per potersi meglio occupare dei bambini, tra cui l’ultima che aveva lo stesso nome della madre: Bianca, ma fu un’esperienza infelice per l’egoismo e l’avarizia di lui, aspro e dispotico con i figli e con lei.
Croce con la sua famiglia, come si è detto, rappresentò sempre per Maria, donna sola nella tempesta delle incomprensioni familiari e sociali, un’ancora di certezza.
Fin dalle sue prime prove letterarie aveva preso l’abitudine di sottoporgli i suoi versi che il filosofo mostrava di apprezzare tanto che aveva voluto pubblicare egli stesso nel 1929 una delle prime raccolte di lei a cui dette personalmente il titolo di Versi
e che affidò all’editore Ricciardi. In un suo scritto inedito si legge (testo autografo in Appendice):
Il sottoscritto, anni or sono, volle farsi editore d’un volumetto di versi della signora Maria Algranati, che conteneva cose molto gentili e fini in una forma spontanea e commossa. Non può se non confermare questo giudizio per il nuovo libro che la sigra Algranati si accinge a dare alle stampe. Sorrento, 15 dicembre 1944. Benedetto Croce.
Questo nuovo libro a cui si fa riferimento è Poesie
che l’Algranati dedicò proprio a Croce il quale in una lettera di un mese prima le aveva scritto (testo autografo in Appendice): 22 nov. Cara Maria, ho letto con molto piacere. La raccolta è riuscita pienamente. …Aspetto il volumetto appena stampato così lo rileggerò con l’agio che ora mi manca. Che cosa dire delle parole affettuose della dedica? Grazie. Vostro B.Croce.
Il libro venne finalmente pubblicato da Casella nel 1947 e finalmente Croce scrisse su di lei: Fu nel 1949 che scrisse di me nei suoi Quaderni della Critica in occasione del libro Poesie, sollecitato da un articolo di Giorgio Bassani, che mi diceva imitatrice di Gaeta… Croce dichiarava anche: ... ma c’è dell’altro, una linea, un ritmo poetico, un piccolo dramma che sorge nella fantasia e si risolve nella fantasia, si purifica da ogni elemento estraneo e materiale, innalza la commozione nella sfera della bellezza…L’autrice è stata toccata dalla grazia… e sul Giornale d’Italia
pubblicò un articolo in cui il nome di Maria Algranati fu da lui inserito di diritto in un’antologia ideale della lirica italiana del Novecento: Quanto bastò per fare di me un personaggio… la stessa racconta con elegante autoironia.
Le parole di Croce, esaltandone le peculiarità della poetica, ufficialmente zittirono chi aveva voluto insinuare che la poesia dell’Algranati non era che l’emanazione dell’influenza dei versi del poeta Francesco Gaeta, ma tale giudizio, da cui lei stessa si sente obbligata a difendersi (vedi lettera a Croce), continuò a pesarle addosso per molto tempo. Lo stesso Gino Doria¹², nella sua presentazione a I Giorni
, scelta antologica di poesie dell’Algranati tratte da varie raccolte, edita dalla E.S.I., nel 1968 allude ancora, riguardo alla prima parte della sua produzione, all’influsso di Gaeta, ma continua dicendo:
…Poi, a grado a grado, ella si svincola da ogni legame con altri mondi poetici e culturali, per raggiungere, in una grande varietà di forme, il punto più alto, l’attuale, della sua lirica.
Duro dunque da superare il solito pregiudizio albergante allora in un’ottica a dominante maschile secondo la quale una donna non era in grado di fare poesia, come dichiarava convinto il critico Luigi Russo¹³, marito della sua cara amica Sara, in una lettera a lei del 31 ottobre 1949, intrigante tra l’altro in merito ai complessi rapporti tra i letterati del tempo, (dal Carteggio in Appendice):
…Non è che io non mi rimproveri questo mio antimuliebrismo (e sono arrivato fino al punto di pensare che sia ancora un residuo di barbarie siciliana o almeno una non sufficiente penetrazione dei principi democratici moderni). Io non credo all’eguaglianza mentale delle donne con gli uomini, e non per superbia maschile, ma per dimostrazione di tutta la storia…[…] Della mitica Saffo io ho sempre dubitato e ho pensato che sia un’inventiva dei nostri retori pascoliani…
(Lo stesso Gaeta all’epoca della loro relazione era arrivato ad affermare scherzosamente, ma non tanto, che i versi di Saffo non potevano essere stati scritti da lei oppure che Saffo non era una donna.)
Russo si ricrederà in merito alla sua convinzione che le donne non siano adatte alla poesia nel 1958, quando nell’ultima edizione de I Narratori
, a pag. 393 la definirà genuina poetessa…
La sua vicenda è, come abbiamo detto fin dall’inizio, veramente emblematica della condizione femminile all’epoca: la discriminazione di genere in ambito intellettuale era talmente insita nella mentalità del tempo che pochissime donne tra grandissime difficoltà sono riuscite ad emergere in un contesto che irrimediabilmente tendeva a soffocare e ad appiattire i talenti femminili, specialmente al sud. Ecco perché Prisco nella sua bellissima prefazione parla di lei come di una ‘ribelle’, se per ribelle intendiamo una creatura umana consapevole dei propri diritti e decisa a farli riconoscere, se non a farli valere…
per poi rilevare però qualche eccesso di femminile effusione
.
C’è sempre, guarda caso, qualche cosa del femminile che non rientra nei canoni previsti entro l’ottica maschile, anche da parte di osservatori molto attenti, sensibili e avveduti! E dire che Maria era una donna molto razionale.
Certo, per tutta la sua vita aveva invano inseguito il sogno di un porto a cui ancorarsi nel calore di affetti familiari senza dover necessariamente sottostare a conformismi borghesi e, comunque, per educazione e mentalità rifuggiva dagli eccessi…, ma era una donna… discriminante destinata inevitabilmente a permanere finché non si sarà in grado di abbatterla riconoscendo che quelle espressioni di sentimento proprie della sensibilità femminile sono da considerarsi una peculiarità che rappresenta un valore aggiunto e non una pecca.
Oltre a Croce e ai crociani, la Algranati aveva avuto modo di frequentare anche il filosofo Giovanni Gentile¹⁴, nell’epoca in cui questi insegnava all’Università di Palermo, mentre lei in Sicilia insegnava francese e collaborava alla terza pagina del quotidiano L’Ora
¹⁵ con delle novelle. Fu Gentile che la indirizzò all’editore Principato di Messina per la pubblicazione dei poemetti in prosa: I motivi
realizzata nel 1929 con la copertina disegnata dal pittore Francesco Galante¹⁶ che aveva sposato la sua affezionata compagna di scuola Concettina Sparano, che le fece anche dei ritratti e che, divenuto poi famoso, partecipò alla Biennale di Venezia. L’ultimo suo incontro con Gentile avvenne a Roma, in occasione di una sua visita a casa di lui, dopo che, avendo questi aderito al fascismo, era in rotta con Croce.
Tanti i brani descrittivi che si incontrano nel corso della lettura e che costituiscono deliziosi quadri di paesaggio molto illuminanti sull’aspetto di luoghi dell’Italia di allora. Ma è a Napoli che Maria Algranati ha dedicato la sua ultima fatica letteraria: A questa città dove è cresciuto il mio spirito...E Napoli funge da scenario per la gran parte delle vicende che narra.
Particolarmente intriganti risultano le rapide descrizioni dei vari quartieri in cui le è capitato di vivere …troppi dei suoi quartieri sono intrisi della mia storia, vecchi compagni, vecchi amici, vecchi complici… C’è il racconto delle trasformazioni che il tempo è andato imponendo alla città e che la scrittrice nella sua lunga vita ha avuto modo di registrare, per esempio il passaggio dal tram a cavalli a quello a vapore fino al tram elettrico con l’avvento dell’elettricità indicata, con la fine della luce tremolante dei lumi a petrolio, a olio e delle candele, come la fine di un’epoca.
Napoli è molte Napoli dice in uno degli ultimi capitoli dove veramente penetra l’anima della città.
D’altronde il legame fortissimo che ebbe con i luoghi del suo vissuto, segnato in gioventù da frequenti spostamenti: i viaggi sono stati qualche cosa per me, legati ognuno ad una nuova avventura da un capo all’altro della penisola; sul loro filo è segnata la storia del mio incerto destino… traspare, parallelamente all’autobiografia, in molti versi, soprattutto quelli dedicati alla Sicilia: Nella cornice dei giorni/ sicuri, isola bella, Sicilia della mia giovinezza,/ immagine tutta di luce/ che il tempo non guasta o cancella,/ sempre più spesso ritorni… (da Sinfonia siciliana - I Giorni – Vecchie e nuove liriche pag. 101) e ad Ischia: Nei neri scogli lavici/ in pose di primordi,/ dove l’ignea fiumana/ si fece pietra – e ancora / l’immane cataclisma/ fumiga da millenni - / s’abbarbica tenace/ la pineta inflessibile,/ spinge le ondose ombrelle/ a liberata altezza/ e corona le spiagge/ e allinea la fungaia/ a muta sentinella / di mute solitudini…(da Tramonto isclano – I Giorni – Un’altra voce pag. 77)
Difficile e sofferto fu il rapporto con la religione: cresciuta in una famiglia ebrea che in città non aveva legami di frequentazione con correligionari, si era sentita all’inizio emarginata dalle compagne nella scuola cattolica frequentata a Napoli, l’istituto Suor Orsola Benincasa e, anche con il passare del tempo, nel contesto quotidiano di conoscenze e amicizie, aveva vissuto fortemente il senso della propria diversità dovuto alle abitudini e all’educazione familiare così che da adulta, come già le sorelle, si era convertita al Cattolicesimo.
Nel corso della vita - si deduce nelle memorie da varie considerazioni e riflessioni - ripetutamente si soffermò a meditare sulla fede con continui confronti tra le due religioni e spiritualità.
Per lei il Cattolicesimo, raffrontato alla religione dei suoi avi, …assomiglia al vischio, il germoglio gentile che spunta sul tronco della vecchia quercia. La grande quercia ha legno e ghiande e ombra. Il vischio no, il vischio ha le perle della rugiada. […] pensavo a quello che facevano gli uomini dell’intelligenza che Dio gli aveva concesso per somigliare a Sé e se ne servivano contro di Lui, pensavo a se il Dio dei cattolici non era il nostro stesso Dio, dato che era il Dio di Gesù, pensavo alla forza disgregatrice dell’ignoranza e della tirannide…
Sebbene convertita da vari anni, le sue origini le causarono spesso problemi, prima con Francesco Gaeta – come si è detto - e soprattutto poi, in quanto vittima di espulsione dall’insegnamento nel periodo fascista per motivi razziali e dal 1938 il suo nome, seguito da quello della sorella Gina, risultò in cima alla lista degli autori scolastici vietati
(vedi Elenco in Appendice).
Al di là delle vicissitudini personali l’autobiografia dell’Algranati costituisce una testimonianza storica importantissima sulla prima e soprattutto sulla seconda guerra mondiale nell’ottica di chi restava a casa. è uno spaccato, esente da retorica o ideologia, della storia d’Italia e di Napoli, che apre scorci illuminanti su come, nelle scuole e nelle famiglie, furono vissuti la nascita del fascismo, gli anni della guerra, le privazioni, i bombardamenti, i disagi degli sfollati fino all’immediato dopoguerra e all’occupazione americana, quando finalmente potette ricominciare ad insegnare, riabilitata proprio grazie all’intervento del comando americano. La vita riprese con difficoltà, ma il senso atroce della guerra riecheggia nei suoi versi: Forse che la poesia, / sognatrice egoista, è fuggita dal mondo! / soffoca ogni respiro uno strepito d’ordigni di scoppi / tempo non c’è per sognare, urge il domani incerto, / i figli di Adamo sono cresciuti a migliaia, / hanno mani feroci, / imbrattano il pane di sangue…( I Giorni – Un’altra voce- pag. 62) e ancora: …la guerra, / l’orrore, / la belva che abbiamo, purtroppo, nel cuore, / la legge che viola la legge / e di sangue colora / ogni aurora di tempi…( da Maternità dolorosa
- Un’altra voce - I Giorni pag. 72). Il frequente riferimento ai suoi testi poetici nasce spontaneo e naturale perché la Algranati fu innanzitutto una poetessa: Poesia, mio solo e povero retaggio… (Sonetti – I Giorni pag. 41).
Dalle pagine di questo romanzo di vita pervaso di serena mestizia, liricamente raccontato in prosa, si coglie, e non potrebbe essere diversamente, l’intenso rapporto con il verso che coltivò per tutta la vita e lungo l’arco della sua produzione poetica ritroviamo emozioni riflessioni luoghi e persone descritte nelle memorie. La prima parte della sua produzione poetica fu in rima, come s’usava, che poi abbandonò per il verso sciolto. Domenico Rea¹⁷ scrisse: …molti suoi versi li trovo splendidi e, oggi, di una tranquilla, conturbante modernità
(vedi lettera dal Carteggio).
è d’obbligo dunque recuperare la memoria e rispondere all’appello di una così sensibile e intensa voce femminile del novecento che scrisse:
Ritornerò tutte le volte, quando / un’anima, sognando, /raccoglierà il sospiro / che lascio sulla terra nel mio canto (I Giorni – Un’altra voce - pag. 71).
Yvonne Carbonaro
1 MICHELE PRISCO (1920 – 2003) alla carriera di avvocato preferì quella di giornalista e scrittore. Autore molto prolifico e apprezzato sia dal pubblico che dalla critica oltre che dal cinema, si sofferma in particolare sulle debolezze e i limiti della borghesia partenopea, incapace di proporre, per lo sviluppo della città, alternative concrete a una situazione di stagnazione sociale e economica.
2 CONFERENZA del 10 marzo 2005 Maria Algranati, una poetessa che piacque a Croce - L’autobiografia inedita nell’ambito della rassegna Napoli Nobilissima
diretta dal prof. Catello Tenneriello - PROGETTO RISMATENEO - Università di Napoli Federico II.
3 Per HYRIA - sezione Studi e Ricerche - numero gennaio-febbraio 2006 - rivista diretta da Aristide La Rocca: Maria Algranati, la poetessa che piacque a Croce,
4 LELIO DELLA TORRE, (Cuneo 1805-Padova 1871), bisnonno dell’autrice per parte di madre, fu uno dei più grandi studiosi di cultura ebraica dell’800, noto per il suo attivismo politico liberale durante il Risorgimento. Figlio del rabbino Salomone, nel 1826 ottenne a sua volta il titolo di rabbino, ma non esercitò quasi mai il ministero, avendo scelto la strada dell’insegnamento e dello studio. Dal 1829 insegnò Talmùd, teologia rituale e pastorale ed omiletica nel Collegio rabbinico di Padova. Fu sempre animato da un profondo sentimento di italianità. Definiva gli israeliti italiani per nazione e per patria, israeliti per religione
. Lasciò una produzione di oltre trecento saggi e articoli su argomenti di sacra scrittura, teologia, storia, filologia, oratoria sacra e una raccolta di 69 poesie: alcune sono sue composizioni in ebraico, altre sono traduzioni ebraiche di poesie di autori latini, italiani e tedeschi. A lui con Deliberazione del Consiglio comunale del 10 luglio 1913 Cuneo intestò una strada in cui una lapide recita Storico orientalista dottissimo, nel suo nome i figli dotarono di munifico lascito il Comune
. Era stato infatti dagli stessi istituito nel 1911 un legato di 120.000 lire a favore del Comune per la Fondazione Lelio della Torre al fine di dare ogni anno alcune borse di studio a studenti bisognosi e qualche contributo in beneficenza. La fondazione fu sciolta nel 1950 per esaurimento dei fondi. Un’altra fondazione era stata istituita nel 1916 a Padova.
5 GINA ALGRANATI – gemella di Maria (Roma 1886-1963) – Storica e ricercatrice- Bibliotecaria presso la Società Nazionale di Scienze, Lettere, Arti di Napoli: Vincitrice di molti premi accademici, tra cui il premio dall’Ente Nazionale Biblioteche popolari e scolastiche di Roma nel 1957. Morta a Napoli nel 1963
- Opere: Notizie inedite intorno a Giulia Gonzaga, Napoli, 1908 - Un romanziere popolare a Napoli: F. Mastriani, Morano, Napoli, 1914 - Vita di fra Geronimo Seripando, cardinale di Santa Susanna, Perrella, Napoli, 1923 - Calabria forte, Trevisini, Milano,1928 - Potenza e i suoi dintorni, Sonzogno, Milano, 1928 - Basilicata e Calabria, UTET, Torino, 1929 - Ischia, Arti Grafiche, Bergamo, 1930 - Variazioni della costa dell’isola d’Ischia negli ultimi secoli attraverso documenti storici, Atti dell’XI congresso Geografico Italiano
, Tip. Giannini e figli, Napoli, 1930 - Ischia, in Corriere della sera
, 1930 - Navigare necesse est, Paravia, Torino, 1931 - Villa in campagna, Conte, Napoli, 1943 - Notizie metereologiche e climatologiche della Campania, Bologna, Zannichelli,1938 - Le tre porte, ibid. 1943 - La ricostituita Biblioteca delle Accademie di Napoli, 1954 - Dall’Olimpo al Golgota, Pironti, Napoli, 1956 - Canti di popolo dell’isola verde, Napoli, 1957, id. 1994 - Pirateria nostrana e avventura del piccolo cabotaggio nel Mar Tirreno ai primi del ‘700, Napoli, 1960 - La Badia, Paravia, 1975. A ciò vanno aggiunte numerose collaborazioni con prestigiose riviste come Rassegna italiana
, Giornale d’Italia
, Folklore italiano
, Rivista Geografica Italiana
, Archivio Storico per le province napoletane
, Bollettino senese di storia patria
, Le vie d’Italia
ed altre.
6 PAUL VALÉRY (1871 – 1945) autore di numerosi poemi e saggi. Dopo la prima guerra mondiale, divenne una sorta di poeta ufficiale
e membro dell’Académie française. Si rifiutò di collaborare con i nazisti al tempo dell’occupazione. Morì poche settimane dopo la fine del secondo conflitto. Il presidente francese de Gaulle richiese per lui funerali di stato. Dopo la sua morte, furono pubblicati alcuni estratti dei suoi diari, i Cahiers, ai quali consegnava quotidianamente l’evolversi della sua coscienza e le sue relazioni con il tempo, i sogni, il linguaggio.
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