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Dossier Brigate Rosse 1969-2007: La lotta armata e le verità nascoste
Dossier Brigate Rosse 1969-2007: La lotta armata e le verità nascoste
Dossier Brigate Rosse 1969-2007: La lotta armata e le verità nascoste
E-book558 pagine7 ore

Dossier Brigate Rosse 1969-2007: La lotta armata e le verità nascoste

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Info su questo ebook

Le Stragi di Stato, la Strategia della Tensione
Il gruppo che si riuniva in via Emilia
Il Collettivo Politico Metropolitano la nascita delle Brigate Rosse
Il primo sequestro politico, la propaganda armata
Gli attentati alle fabbriche, l’attacco al “Cuore dello Stato”
L’Operazione “Girasole”: il sequestro Sossi e l’omicidio Coco
Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
Il processo alle Brigate Rosse
“La Campagna di Primavera”
L’attacco alla stampa, il sequestro Moro
Fermezza e Trattativa, la morte di Aldo Moro
La reazione dello Stato: La strage di via Fracchia
La Controrivoluzione
L’attacco al sindacato: gli omicidi di Guido Rossa e Ezio Tarantelli
L’arresto di Patrizio Peci, il sequestro e l’omicidio di Roberto Peci
La lotta imperialista: il sequestro Dozier e l’uccisione
di Lemon Hunt, la Ritirata Strategica
L’attacco al “Cervello dello Stato”: l’omicidio D’Antona e Biagi
Febbraio 2007: le Brigate Rosse colpiscono ancora.
Il Tradimento di Stato: Stay Behind, Hyperion, Gladio,
la P2 e i Servizi Segreti
LinguaItaliano
Data di uscita1 mag 2017
ISBN9788869242977
Dossier Brigate Rosse 1969-2007: La lotta armata e le verità nascoste

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    Anteprima del libro

    Dossier Brigate Rosse 1969-2007 - Giovanni Pintore

    posso…

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Trento, 14

    62100, Macerata

    info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it

    ISBN edizione digitale: 978-88-6924-297-7

    ISBN edizione cartacea: 978-88-6924-248-9

    Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand

    Via Trento, 14 - 62100 Macerata

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Prima edizione cartacea dicembre 2016

    Prima edizione digitale maggio 2017

    Copyright © Giovanni Pintore

    Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    "Questo paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere…

    La verità è più grande di qualsiasi tornaconto. La verità è sempre illuminante e ci aiuta a essere coraggiosi".

    (Lettera di Aldo Moro dal carcere delle Brigate rosse all’on. Riccardo Misasi, mai recapitata e rinvenuta a Milano in via Montenevoso il 9 ottobre 1990).

    Forse il destino dell’uomo non è realizzare pienamente la giustizia, ma avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino.

    (Università degli studi di Bari, prima lezione di Aldo Moro nell’anno accademico 1943).

    "Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo.

    Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo".

    (Lettera di Aldo Moro dal carcere delle Brigate rosse).

    Indice

    Premessa

    CAPITOLO 1

    Storie di Fantasmi che ritornano

    Nascono le Brigate Rosse

    Gli attentati contro le fabbriche

    L’Operazione Girasole

    Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

    Le Brigate Rosse si riorganizzano

    Il Processo alle Brigate Rosse

    La Campagna di Primavera

    Il sequestro Moro

    La reazione dello Stato

    La Controrivoluzione

    Patrizio Peci il primo brigatista pentito

    La lotta imperialista: il sequestro del generale Dozier

    La Ritirata Strategica

    L’Attacco al Cervello dello Stato

    L’omicidio D’Antona

    Il tentativo di Ricostruzione

    L’omicidio Biagi

    Febbraio 2007: ritornano le Brigate Rosse

    CAPITOLO 2

    L’Omicidio di Stato

    Tanta Fermezza, poca Trattativa

    Pecorelli, un massone che dava fastidio

    CAPITOLO 3

    Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione Estate 1974

    L’Organizzazione politico-militare

    La clandestinità

    L’impostazione offensiva

    Vivere tra le masse

    Le colonne

    La compartimentazione

    I Fronti

    Forze regolari e forze irregolari

    La direzione strategica

    Il comitato esecutivo

    Decalogo del brigatista

    LA CLANDESTINITÀ

    APPUNTI

    DISCORSI

    MACCHINE

    CASE

    PERSONA

    LEGAMI DI PARENTELA E AMICIZIA

    RAPPORTI CON COMPAGNI ESTERNI ALL’ORGANIZZAZIONE

    VIGILANZA

    LA RISOLUZIONE STRATEGICA DEL FEBBRAIO 1978

    L’imperialismo delle multinazionali

    L’imperialismo è guerra

    Lo Stato Imperialista delle Multinazionali

    Formazione di un personale politico imperialista

    Rigida centralizzazione delle strutture statali sotto il controllo dell’esecutivo

    LA CONTRORIVOLUZIONE PREVENTIVA

    Nello Stato Imperialista riformismo e annientamento sono forme integrate della medesima funzione

    Lo stato imperialista delle Multinazionali non è fascista né socialdemocratico

    La ristrutturazione industriale

    Violenza proletaria e controrivoluzione imperialista

    Una nuova figura proletaria il Criminale Politico ovvero il guerrigliero urbano

    Il patto di mutua assistenza repressiva tra gli stati imperialisti

    Dal patto di mutua assistenza repressiva all’organizzazione comune di polizia

    Uscire dalla crisi

    Fase e congiuntura

    L’attuale congiuntura, passaggio dalla pace armata alla guerra

    Sulle forme dell’azione di guerriglia nell’attuale congiuntura

    Proletariato metropolitano e movimento di resistenza proletario offensivo

    Classe operaia

    Operai delle piccole e medie industrie

    Esercito intellettuale di riserva

    La piccola borghesia

    Lavoro femminile

    Guerriglia e potere proletario

    Il Partito Comunista Combattente

    I fronti di combattimento

    L’Italia è l’anello debole della catena imperialista

    Comunicati delle Brigate Rosse durante il Sequestro Sossi (1974)

    Comunicato n. 1

    Comunicato n. 2

    Comunicato n. 3

    Comunicato n. 4

    Comunicato n. 5

    Comunicato n. 6

    Comunicato n. 7

    Comunicato n. 8

    Comunicati delle Brigate Rosse durante il Sequestro Moro (1978)

    Comunicato n. 1

    Comunicato n. 2

    Comunicato n. 3

    Comunicato n. 4

    Comunicato n. 5

    Comunicato n. 6

    Comunicato n. 7

    Comunicato n. 7 (falso)

    Comunicato n. 8

    Comunicato n. 9

    Altri Comunicati

    Comunicato emesso in occasione della liberazione di Renato Curcio

    Comunicato dell’assalto alla sede di Iniziativa Democratica

    Comunicato in occasione della morte di Margherita Cagol

    Comunicato n. 6 Omicidio Francesco Coco

    Volantino di rivendicazione ferimento Emilio Rossi

    Autointervista del Giugno 1981

    Le Nuove Brigate Rosse

    Documento di rivendicazione dell’omicidio Biagi

    Cronologia delle Brigate Rosse

    Organi direttivi nazionali delle Brigate Rosse durante il sequestro Moro

    La colonna romana delle BR, prima e dopo il sequestro Moro

    Basi delle BR a Roma e loro occupanti durante i 55 giorni del sequestro Moro

    Indice dei nomi

    Riferimenti Bibliografia

    Altri riferimenti bibliografici

    Cinematografia

    Televisione

    Premessa

    Se dovessi dare un motivo alle ragioni che mi hanno spinto a scrivere un libro proprio su questi argomenti non esiterei un attimo nel dire che queste pagine sono state scritte per fare ordine alle tante informazioni acquisite durante la lettura di alcuni testi, di articoli postati sul web e durante la visione di alcuni video disponibili in rete e della filmografia dedicata a questi orribili avvenimenti di cronaca nera.

    In realtà, più mettevo ordine alle mie idee e più realizzavo la convinzione che questa storia, fatta di tanti misteri, richiedeva un miglior approfondimento…

    Parlare delle Stragi di Stato, delle Brigate Rosse, della Strategia della Tensione, della Controrivoluzione, del sequestro Moro, potrebbe sembrare anacronistico per i tempi in cui viviamo. Perfino nelle librerie, tra gli scaffali dedicati alla politica, alla storia contemporanea, resta difficile, quasi impossibile, trovare un libro che ci parli di quegli anni, degli anni di piombo…

    Per me non è stato così. Più leggevo, più mi documentavo e più sentivo crescere il bisogno di capire quanto cercassero di lasciarmi intendere quei documenti, quelle pagine che stavo leggendo…, e così, dentro me, è cresciuto un forte desiderio di ricerca, di scoprire, per quanto mi sia stato possibile, la verità.

    Già, la Verità, e non la storia che da 38 anni ci continuano a raccontare i media di regime. La Verità, quella vera, è nelle pagine degli atti processuali, tra le righe del Memoriale Moro, nelle parole delle tante testimonianze.

    In questo libro non troverete nulla di nuovo che non sia stato già detto, nulla di più che non sia stato scritto e denunciato, ma troverete interessanti spunti per una vostra analisi e per una vostra riflessione.

    Forse, più che spunti troverete una nuova versione, totalmente differente da quella ordinaria ma altrettanto convincente; tanto incredibile quanto vera e quello che scrivo non è un mio pensiero, una mia teoria, ma è una sintesi di quanto ho riscontrato nelle 2 milioni di pagine che costituiscono gli atti della Magistratura di otto processi, di quattro Commissioni d’inchiesta Terrorismo-Stragi, di due Commissioni d’inchiesta per il Caso Moro e di una Commissione d’inchiesta P2.

    Quello che scrivo ha origine nelle parole di due grandi nomi:

    lo scrittore, conduttore televisivo, Carlo Lucarelli per il suo stile inconfondibile nel raccontarci la storia dei misteri italiani e con il quale è cresciuto il mio interesse verso questi anni oscuri e l’onorevole Gero Grassi, scrittore, giornalista con una innata passione per la politica e una instancabile dedizione al lavoro sempre attento alla ricerca della verità e della giustizia.

    Mi rendo conto che gli argomenti di attualità della storia e della politica contemporanea siano altri, ormai le Brigate Rosse sembrano fare parte di una storia passata, ma credetemi, non è così.

    In quegli anni non c’era solo il terrorismo delle Brigate Rosse, dell’estrema destra con i loro fantasmi non identificabili, c’era il terrorismo internazionale, c’erano le costituite Stay Behind, Gladio, la P2, la Mafia, la Camorra, la ‘Ndrangheta e la Banda della Magliana.

    E c’erano i Servizi segreti…

    Provate a discutere con qualche amico di quegli anni di piombo, parlate pure delle Brigate Rosse, finirete per parlare dell’onorevole Aldo Moro e quando si parla di Aldo Moro lo si deve fare con la stessa onestà intellettuale che ha contraddistinto l’Onorevole durante la sua vita. Lo si deve fare per far emergere la verità che lo Stato ha voluto oscurare, per scoprire i fatti e i misteri al fine di rendere giustizia a un Uomo e rilasciare ai cittadini un’Italia più civile, più democratica e forse più libera…

    Io so ma non ho le prove (Pier Paolo Pasolini, 14 novembre 1974).

    CAPITOLO 1

    …I FANTASMI CHE RITORNANO

    Storie di Fantasmi che ritornano

    Ci sono certe storie che, anche se riguardano cose concrete, avvenimenti reali, personaggi in carne ed ossa, sembrano sempre e comunque inquietanti e spaventose storie di fantasmi.

    Sono le storie di certi misteri italiani, quelli grandi, quelli che coinvolgono l’intero paese e che si comportano sempre e comunque come fantasmi di un film dell’orrore.

    Fanno paura…, e tornano…

    Se questa storia fosse un film inizierebbe con un treno, un interregionale, l’interregionale 2304 che da Roma va a Firenze e che in questo momento sta correndo nelle campagne vicino a Castiglione Fiorentino.

    È il 2 marzo del 2003 ed è presto; sono le otto e venticinque di una domenica mattina…ecco, se la nostra storia fosse un film, inizierebbe proprio con una scena come questa…

    Carrozza numero 4 una di quelle senza scompartimenti, poca gente, un signore, una signora, marito e moglie che vanno a Firenze per un incontro sportivo, più avanti un’altra signora…, altre due persone, un uomo e un’altra donna. Lei ha l’aria strana, un po’ triste, i capelli lunghi, arruffati e rossicci, e sicuramente molto più giovane ma a vederla così, pare che abbia almeno una cinquantina di anni.

    Scrive, digita dati in un computer palmare, un piccolo computer portatile.

    Nella carrozza numero 4, ci sono anche 3 poliziotti in divisa, sono tre sovraintendenti della polizia ferroviaria in un normale servizio di pattuglia. Forse hanno notato anche loro quella donna triste che scrive sul palmare perché puntano direttamente su di lei e sull’uomo che l’accompagna. Chiedono a entrambi i documenti …, ecco, qui dovremmo soffermarci, come si è soffermata l’attenzione del poliziotto al quale sono stati consegnati. Sono strani quei documenti, hanno i dati, la residenza, la data di nascita tutti scritti a mano come non si faceva più da tanto tempo…, e anche le foto, sono soltanto spillate con le graffette…: c’è qualcosa che non torna…

    Uno dei tre poliziotti, il sovraintendente Emanuele Petri, chiama la centrale con il cellulare di servizio per chiedere un controllo.

    A questo punto, con uno scatto, l’uomo che sta con la donna si alza, tira fuori una pistola calibro 7,65 e la punta sulla gola del sovraintendente Petri. Grida a tutti di non muoversi, gridano anche i poliziotti: Stai calmo, metti giù la pistola, si risolve tutto….

    Sono attimi velocissimi, in un romanzo, in un film, a questo punto, ci sarebbe qualcosa per attirare l’attenzione, per allungare la suspense, ma questo non è un film, questa è una storia vera, veramente accaduta in quella carrozza dell’interregionale 2304 e non c’è bisogno di niente per renderla più drammatica e feroce di quanto effettivamente non sia.

    La donna si avvicina a uno dei poliziotti cerca di prendergli la pistola, ma ovviamente, il poliziotto resiste, la berretta di ordinanza cade a terra, sotto il sedile, la donna si china e la prende, i poliziotti cercano di bloccarla, lei tenta di sparare ma c’è la sicura, il percussore non scatta.

    L’uomo spara e colpisce il sovraintendente Petri sul collo, un poliziotto risponde con la sua berretta e colpisce al petto l’uomo che spara ancora e colpisce al fianco il poliziotto. Altri spari, urla, lamenti, la signora che stava da sola corre lungo il vagone, l’altra signora si butta sotto il sedile, il marito intanto interviene perché anche lui è un poliziotto ma è fuori servizio…, poi tutto si ferma lasciando nel vagone un forte odore di polvere da sparo bruciata.

    Sembra la scena di un film, lo sembra, non lo è…

    Per terra, in una chiazza di sangue che si allarga sul pavimento della carrozza, c’è il sovraintendente Petri. Un proiettile gli ha reciso la giugulare uccidendolo quasi sul colpo. Poco distante, tra i sedili, c’è l’uomo che ha sparato che si lamenta ancora…, ma sta morendo anche lui.

    Accasciato sul sedile c’è il sovraintendente Bruno Fortunato che si preme la mano sul fianco ferito da una pallottola, l’altro poliziotto, il vice sovraintendente Giovanni Di Fronzo, ha ammanettato la donna che cerca ancora di scappare, si divincola, ma mantiene la calma, rimane fredda come una statua, aveva gli occhi di ghiaccio diranno poi i due coniugi in questura.

    Non perde la testa neppure al commissariato di Castiglion Fiorentino. Non dice come si chiama, poi a qualcuno sembra di riconoscerla e la chiama per nome: Nadia, e Nadia ammette di chiamarsi così, Nadia Desdemona Lioce. Poi dice un’altra cosa: Mi dichiaro prigioniero politico.

    Lei, quella donna dall’aria triste, non è una delinquente comune, così come non lo è nemmeno l’uomo che ha sparato al sovraintendente Petri e che si chiama Mario Galesi.

    Da più di cinque mesi le forze dell’ordine di tutta l’Italia li stanno cercando come i capi delle NUOVE BRIGATE ROSSE.

    Mi dichiaro prigioniero politico, era una frase che non si sentiva più da tanto tempo. Quella sigla però, quella delle Brigate Rosse, quella l’avevamo vista prima, anche di recente, anche prima di quel treno che corre nelle campagne di Castiglione Fiorentino che come un fantasma, un fantasma che ritorna fa paura…

    Nascono le Brigate Rosse

    La prima volta che la gente si accorge dell’esistenza delle Brigate Rosse è con una foto, la foto di un uomo con due pistole puntate alla tempia. L’uomo si chiama Idalgo Macchiarini, è un ingegnere, un dirigente di filiale della Sit-Siemens di Milano che produce apparecchi elettronici.

    Il 3 marzo del 1972 è stato rapito da 4 uomini in tuta blu con il volto coperto da un passamontagna. L’hanno tenuto in una stanza, giusto il tempo per scattargli una fotografia: due pistole puntate alla testa e un cartello al collo con su scritto BRIGATE ROSSE MORDI E FUGGI! NIENTE RESTERÀ IMPUNITO! COLPISCINE 1 PER EDUCARNE 100! TUTTO IL POTERE AL POPOLO ARMATO!.

    Solo poche ore, un sequestro lampo che però colpisce molto. La gente comincia a chiedersi: ma chi sono queste Brigate Rosse?.

    Una delle due pistole puntata alla testa dell’ingegner Macchiarini era una semi automatica browning della seconda guerra mondiale. Apparteneva a un vecchio partigiano che l’aveva regalata a un ragazzo di Reggio di Emila che si chiama Alberto Franceschini e che assieme ad altri ragazzi si riuniva in un Collettivo Politico Operai Studenti il CPOS, da lui costituito a Reggio Emilia, solo in seguito a una serie d’incomprensioni avute con la FGCI e con il partito comunista rei di tenere una linea politica troppo a destra, una linea politica troppo morbida…

    Si riunivano in un appartamento sulla via Emilia e per questo li chiamavano il gruppo dell’appartamento. In una intervista il Franceschini ha voluto dare evidenza del momento storico che si viveva in quegli anni in Emilia:

    la cultura comunista era la cultura fondamentale, dominante, legata ad un circuito sociale che vedeva nelle osterie uno dei maggiori punti di aggregazione. Lì veniva raccontata la storia, quella recentemente passata, le azioni partigiane. Era normale che i ragazzi di quei tempi provenissero da famiglie di sinistra i cui genitori o nonni avessero partecipato alla lotta partigiana. In quei giorni, nell’Italia degli anni 60, in quell’appartamento, il collettivo prendeva atto che la lotta partigiana fosse stata tradita e che era giunto il momento della rivoluzione, un cambiamento profondo e radicale.

    Franceschini e alcuni altri lasciano Reggio Emilia per andare a Milano. Lì incontrano altri ragazzi che hanno esperienze molto diverse dalle loro. Per esempio, ci sono alcuni studenti della facoltà di sociologia di Trento come Renato Curcio e Margherita Cagol che vengono dal movimento studentesco del ‘68 e sono di formazione cattolica. Margherita, una cattolica convinta che fa studi umanistici e suona la chitarra classica si iscrive a sociologia soprattutto perché la facoltà è proprio lì, a Trento, e non dovrà allontanarsi dalla famiglia. Dà tutti gli esami in tempo e quando si laurea saluta i professori a pugno chiuso e due giorni dopo si sposa con Renato Curcio in una chiesetta sulle montagne del Trentino.

    Quello stesso pomeriggio, invece del viaggio di nozze, Margherita e Renato sono già a Milano per partecipare a un’assemblea del collettivo Politico Metropolitano" il CPM.

    Ma cos’è il CPM, da chi è composto?

    È un collettivo che riunisce operai e studenti e che si unisce al CPOS. Ci sono alcuni ragazzi dell’appartamento di Reggio Emilia, tre studenti della facoltà di sociologia dell’università di Trento, alcuni operai e tecnici della Sit-Siemens, delegati di Fabbrica proprio come lo era Mario Moretti.

    Mario Moretti è nato a Porto San Giorgio, nelle Marche, ha frequentato la parrocchia e si è diplomato come perito elettrotecnico per poi andare a Milano a lavorare con una lettera del Vescovo e una della Marchesa Casati Stampa.

    Franceschini, Curcio, Margherita, Moretti…

    Un giorno, forse il 17 o 18 agosto del 1970 assieme ad un centinaio di persone, si riuniscono in un albergo di Pecorile, un paesino sull’appennino a 20 chilometri da Reggio Emilia.

    Cominciano a discutere…, per decidere cosa?

    La lotta Armata.

    In quella occasione, racconta il Franceschini,

    si decise in maniera chiara e precisa circa la necessità della scelta della lotta armata o meglio della violenza praticata da piccoli gruppi di avanguardia. Era giunto il momento di compiere azioni che fossero chiaramente fuori dal movimento.

    Il 12 dicembre del 1969, nella sede della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, una bomba piazzata da un gruppo di neofascisti uccide 16 persone e ne ferisce 84.

    Secondo Franceschini:

    "…questo tragico evento fu fondamentale per determinare il clima di tensione.

    Tutti noi eravamo convinti che l’attentato non venisse dagli anarchici, da Valpreda, ma fosse un’operazione dello Stato, da quella parte reazionaria, conservatrice e, come tale, ci dava la misura della profondità dello scontro sociale a cui noi saremo andati incontro, la spinta vera che ci ha fatto capire che la rivoluzione non poteva essere un pranzo di gala" (cit. Mao Tse-Tung).

    In Italia gli anni tra il ’68 e il ’70 costituiscono un passaggio particolarmente importante.

    Si passa da una società di massa a base collettiva (la classe sociale, la famiglia, la chiesa, il partito…) a una società di massa a base individuale. Questa mutazione determinata dallo sviluppo dei consumi ha però delle ricadute politiche-ideologiche estremamente significative.

    I più sensibili che recepiscono subito questi cambiamenti sono gli studenti del movimento del ’68. La loro contestazione finisce quanto prima per legarsi con i movimenti di fabbrica, con le lotte operaie e con i rinnovi contrattuali dell’autunno del ’69.

    C’è una forte contraddizione: mentre la società italiana è piena di fermenti, il sistema politico italiano risulta fermo, paralizzato dal fatto che non c’è evidenza di una sostanziale possibile alternativa.

    La Democrazia Cristiana, il partito di maggioranza relativa, sembra essere l’unico partito che possiede la soluzione sia da un punto di vista elettorale che per quello dei poteri reali e, per motivi di politica internazionale e di alleanze internazionali, il partito comunista non sembra essere una vera alternativa.

    Insomma, in quegli anni si respira un’aria strana, inquieta, il ’68 sembra essere finito da molto per lasciare il posto ad una torbida inquietudine che alza il valore della tensione sociale.

    Si, è proprio così che l’hanno chiamata: Strategia della Tensione

    Gli attentati contro le fabbriche

    È il 1970, sulle strade d’Italia corrono le Fiat 124, le 500 e i Maggioloni.

    L’inflazione è al 5%, la benzina costa 170 lire al litro, il pane 230 lire al chilo e per una tazzina di caffè al bar ci vogliono 70 lire.

    La moda impone pantaloni a zampa di elefante, minigonna e stivali alti fino al ginocchio.

    Il Cagliari di Gigi Riva, Domenghini e Albertosi ha vinto il suo primo scudetto. L’Italia ha battuto la Germania per 4 a 3 nelle semifinali dei Mondiali di Calcio a Città del Messico ma poi si è dovuta arrendere al Brasile di Pelè.

    A Sanremo hanno vinto Claudia Mori e Adriano Celentano con Chi non lavora non fa l’amore e in testa alla Hit Parade c’è Mina con Insieme.

    La televisione in bianco e nero è ancora a due canali.

    La gente a casa gioca con Il rischiatutto di Mike Bongiorno e si turba con l’ombelico scoperto di Raffaella Carrà che balla il Tuka Tuka a Canzonissima. Edmondo Bernacca illustra le previsioni del tempo e i bambini vanno a letto dopo carosello.

    Al cinema c’è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Pepe (che vince l’Oscar) e Quando le donne avevano la coda con Senta Berger, Paola Borboni e Lando Buzzanca.

    In edicola c’è Tex Willer, Diabolik, Alan Ford e Topolino.

    Chissà dov’è il sovraintendente Petri, il poliziotto del treno.

    Emanuele Petri, nel 1970 ha 15 anni e vive a Castiglion del Lago, un piccolo paese sulle rive del lago Trasimeno in provincia di Perugia. Non va a scuola, ha smesso presto di studiare per lavorare come elettricista, ma sa già che a 18 anni, quando riceverà la cartolina militare si arruolerà volontario nella Polizia, proprio come suo padre.

    E Nadia Desdemona Lioce? La donna dall’aria triste…, dove è Nadia in questo momento?

    A scuola. In prima media. Ha 11 anni ed è ancora una bambina. Sta a Foggia dove è nata, è una ragazzina allegra e tranquilla. I compagni della 1F dell’istituto Carducci la chiamano Gigliola Cinquetti per via della somiglianza che ha con la cantante.

    Delle Brigate Rosse, non sa neanche cosa siano.

    Margherita Cagol invece è già grande. Ha 25 anni. Gli altri la chiamano Mara, la compagna Mara.

    Dopo il Convegno di Pecorile, Mara, Curcio, Franceschini e altri hanno deciso di fondare un’organizzazione. Hanno pensato a lungo al nome: Brigate come le Brigate Garibaldi della guerra partigiana ma Garibaldi non piace, è troppo risorgimentale, troppo borghese. Rosse, meglio! Brigate Rosse.

    Lo stemma venne scelto sulla base di identificarlo con una storia, una storia internazionale. Venne in mente la stella come quella usata dai Vietnamiti o come quella dei Tupamaros. Franceschini e Curcio ideatori cercavano uno stemma che tutti potessero realizzare.

    La scintilla che infiamma la prateria.

    In quel periodo nelle grandi fabbriche ci sono le lotte per i rinnovi dei contratti. Per le Brigate Rosse il partito comunista e il sindacato sono troppo morbidi, la loro linea riformista è suicida bisogna agire, bisogna diventare avanguardia politica armata:

    colpirne uno per educarne 100.

    Iniziano bruciando le auto dei dirigenti delle fabbriche. La prima è quella del capo del personale della Sit-Siemens.

    Il giorno dopo l’attentato sui giornali compaiono solo dieci righe. Sono nate le Brigate Rosse.

    La notte del 25 gennaio del 1971 vengono messe 8 bombe incendiarie sotto una file di autocarri parcheggiati nello stabilimento di Lainate della Pirelli. Ne esplodono soltanto 3 ma fanno comunque molti danni.

    Volantini lasciati negli spogliatoi delle fabbriche, automezzi commerciali e macchine dei dirigenti bruciate, la chiamano propaganda armata.

    Dicono: chi è costretto a girare in una 500 usata vede bruciare volentieri una BMW o un ALFA.

    In questi primi anni ’70 intorno alle Brigate Rosse c’è molta confusione, molta incertezza, molta ambiguità. Le Brigate Rosse sembrano Zorro, Robin Hood, a volte danno l’impressione di essere semplicemente compagni che sbagliano, ma questa ambiguità, questa incertezza, indubbiamente, fa si che abbiano dei referenti di un certo strato intellettuale e in modo particolare in certi ambienti di fabbrica.

    Ma la propaganda armata non si ferma solo davanti alle cose. Le Brigate Rosse passano presto ai sequestri lampo dei dirigenti come quello dell’Ingegner Macchiarini prima e più avanti a Torino il sequestro del sindacalista della CISL Bruno Labate e del capo del personale della Fiat, l’Ingegner Ettore Amerio, trattenuto per ben otto giorni prima di essere rilasciato.

    In cambio della liberazione dell’Ingegner Amerio le Brigate Rosse chiedono la fine della cassa integrazione. In quel momento storico, voleva dire assumere la Fiat, assumere il massimo del potere economico con forti condizionamenti sul potere politico dell’epoca. Era una ricerca di collocazione di se come soggetto politico di livello nazionale alternativo a quelli istituzionali.

    La prima operazione di polizia contro le Brigate Rosse scatta il 2 maggio del 1972 e quasi li distrugge.

    Marco Pisetta è un compagno di studi di Curcio dai tempi dell’università ed è un membro delle Brigate Rosse. I carabinieri lo arrestano, lui accetta di collaborare, rientra nelle Brigate Rosse come infiltrato e al momento opportuno parla. Scrive un memoriale di 92 pagine con linee politiche, strutture e nomi.

    Un memoriale che poi ritratta dicendo gli sia stato estorto dagli uomini dei Servizi segreti. In un certo senso è la prima storia delle Brigate Rosse ed è già controversa, già oscura, decisamente misteriosa.

    La Notte del 10 dicembre 1973: Il rapimento di Amerio.

    La nuova struttura delle BR

    C’è una strana costante nella storia delle Brigate Rosse, tutte le volte che vengono duramente colpite, distrutte, decapitate, le Brigate Rosse si riorganizzano e ricominciano a colpire, anzi, alzano il tiro.

    Succede anche dopo l’operazione Pisetta, i militanti rimasti in libertà passano in clandestinità, significa che spariscono dalla circolazione; si procurano documenti falsi, un falso lavoro di copertura, una falsa identità e così nascosti continuano a colpire.

    Non era facile vivere in clandestinità, in città che non si conoscevano.

    I terroristi dovevano stare attenti a come parlare a come comportarsi al fine di evitare sospetti. Non era facile muoversi armati per le strade, con documenti falsi, con più documenti falsi da esibire a seconda delle circostanze. I falsi documenti erano rilasciati per diversi scopi: un conto era esibire il documento a una lavanderia e un altro era esibirlo alle forze dell’ordine, al proprietario dell’immobile in cui si andava in affitto. Tutto era pensato per non permettere che i dati potessero essere incrociati tra loro.

    Persino l’acquisto dei giornali era stato pianificato: i quotidiani, i giornali politici non potevano essere acquistati tutti dallo stesso edicolante, ma venivano acquistati in più edicole per evitare che il venditore potesse insospettirsi.

    Così le Brigate Rosse si danno una nuova struttura.

    Concentrano piccoli gruppi di militanti in quelle che chiamano Brigate: in una fabbrica, in un quartiere e le riuniscono in colonne, una per ogni città: a Milano, a Torino, a Genova…

    Eleggono una direzione strategica, una specie di assemblea composta da una quindicina di persone per elaborare le linee politiche e per dirigere un comitato esecutivo formato dai capi di ogni colonna.

    Dividono gli obiettivi in fronte:

    - fronte logistico che aveva lo scopo di procurare i soldi con le rapine e i sequestri. Inoltre, provvedeva alla falsificazione dei documenti e al furto delle auto;

    - il fronte delle fabbriche che aveva il fine di infiltrarsi nel tessuto aziendale per scopi di propaganda e reclutamento;

    - fronte della lotta alla controrivoluzione che era la milizia armata destinata a compiere azioni terroristiche.

    Anche i militanti si dividono a loro volta:

    I regolari che vivono in clandestinità, gli irregolari che partecipano alle attività delle BR mantenendo di fatto una vita normale, i Fiancheggiatori e i Simpatizzanti".

    L’Operazione Girasole

    Per le Brigate Rosse, la fase della propaganda armata è finita, bisogna alzare il tiro, adesso inizia la parte dell’attacco al cuore dello Stato, inizia l’operazione Girasole.

    Genova 18 aprile 1974, il dottor Mario Sossi è un magistrato, sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Genova. È un magistrato duro, intransigente; pubblico ministero in alcuni importanti processi contro estremisti di sinistra.

    Negli ambienti extra parlamentari lo chiamano il Giudice manette e per lui hanno coniato lo slogan: Sossi fascista sei il primo della lista.

    Sono quasi le 10 di sera. Il dottor Sossi sta tornando a casa dal suo lavoro, è a pochi metri dal suo portone quando viene afferrato, gettato dentro un furgone, colpito con un calcio al torace, incatenato e incappucciato con un sacco di iuta.

    Attraverso la trama della tela vede solo delle ombre, poi sente una voce: le hai cercate le Brigate Rosse? Ora le hai trovate!.

    Il rapimento del Magistrato ha un eco enorme sui giornali di tutta l’Italia, altro che dieci righe per l’incendio della macchina di un ingegnere…

    Scattano immediatamente le ricerche. Il ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, che con la nomina del 2 febbraio 1973 aveva da poco affidato l’incarico di Capo della Polizia all’allora Prefetto di Genova Efidio Zanda Loy, lo manda nella città genovese con un centinaio di uomini tra carabinieri e poliziotti, elicotteri, motovedette e cani.

    Iniziano le ricerche per individuare il covo dove le BR possano aver nascosto il Magistrato Sossi. Lo cercano ovunque. Sanno che è ancora vivo. Perché i brigatisti gli hanno scattato una polaroid che hanno inviato ai giornali.

    Ma dov’è il dottor Sossi?

    È rinchiuso in una villa presa in affitto sotto falso nome sulle colline di Tortona. Le Brigate Rosse la chiamano una prigione del popolo.

    Se ne sta chiuso in una stanza di 6 metri quadrati insonorizzata con del polistirolo e con uno striscione di stoffa rossa sul muro con sopra una scritta gialla su due righe: Brigate Rosse e sotto, sempre di colore giallo, una stella a cinque punte. Così si vuole portare l’attacco al cuore dello Stato.

    A interrogarlo, a fargli un processo nel senso vero della parola è Alberto Franceschini.

    Di fronte al rapimento del magistrato la reazione dello Stato è contradittoria. Fermezza o trattativa?

    Prevale la seconda.

    Dalla sua prigione del popolo, il dottor Sossi, lancia un appello al sostituto procuratore che coordina le indagini sul suo sequestro: …pregoti in assoluta autonomia ordinare immediata sospensione ricerche inutili e dannose…, e le ricerche cessano.

    In cambio della sua scarcerazione i brigatisti chiedono il rilascio di alcuni estremisti di sinistra.

    Sono i membri di un gruppo armato che si chiama Gruppo XXII Ottobre che tra l’altro, si è reso responsabile della morte di un fattorino: Alessandro Floris, ucciso il 26 marzo 1971 durante una rapina a un portavalori dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari.

    Dicono: fuori i rossi o a morte Sossi.

    La magistratura accetta, e il 20 maggio 1974 la corte d’Assise di Genova accorda la libertà provvisoria ai membri del Gruppo XXII Ottobre promettendo di restituire i passaporti e solo quando il dottor Sossi verrà liberato potranno andarsene.

    Il procuratore generale della Repubblica presso la corte di Genova Francesco Coco si oppone. Si oppone anche il presidente del consiglio Mariano Rumor.

    Il ministro degli interni richiede alla polizia di circondare il carcere Marassi per impedire l’uscita dei detenuti liberati dalla magistratura.

    Che fare? È certamente una situazione di stallo…, nelle Brigate Rosse si apre un dibattito che le vede divise su due posizioni opposte. Da una parte ci sono brigatisti come Franceschini e Margherita Cagol che vorrebbero immediatamente liberare il dottor Sossi. Secondo loro la liberazione dei membri del Gruppo XXII Ottobre è un’utopia, che lo Stato non potrà mai accettare…, e infatti lo è, lo Stato si oppone…

    Essere arrivati fino al quel punto per le Brigate Rosse è già un grosso successo politico.

    Dall’altra parte ci sono brigatisti come Mario Moretti. Per lui bisogna uccidere Sossi, bisogna ucciderlo subito.

    Il dottor Sossi verrà comunque liberato la notte del 22 maggio 1974. Lo lasciano a Milano, su una panchina, con in tasca un biglietto del treno. Vai Mario… gli dice Franceschini prima di andarsene, …metti giudizio….

    Dal rapimento di Sossi si ha la percezione di un movimento clandestino armato che persegue obiettivi che non possono essere ammessi e difesi da chi intende difendere le condizioni dei lavoratori e degli operai.

    Il 17 giugno del 1974 a Padova, i brigatisti della colonna veneta entrano nella sede provinciale del MSI per rubare dei documenti. Dovrebbe essere vuota, ma dentro ci sono due attivisti Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. I brigatisti li uccidono tutti e due.

    Il 29 ottobre 1975 a Roma, in un agguato alla sezione del Msi del popolare quartiere Prenestino, un commando di terroristi vicini alle Brigate Rosse uccide Mario Zicchieri.

    Sequestri, attentati, obiettivi da perseguire, ma anche conflitti a fuoco che imperversano nelle citta italiane. I posti di blocco che le forze dell’ordine eseguono ordinariamente nelle strade dei quartieri sono rischiosi, sono molto pericolosi, troppo spesso letali…

    Così avviene il 15 ottobre del 1974 a Mediglia.

    In seguito a un’operazione di appostamento che stava compiendo una pattuglia dell’arma dei carabinieri, viene ucciso il maresciallo maggiore Felice Maritano. Nel conflitto a fuoco vengono catturati i brigatisti Pietro Bassi, Pietro Bertolazzi e Roberto Ognibene.

    Il 5 dicembre ad Argelato, c’è stato un tentativo di rapina in una Banca, una pattuglia dei carabinieri sta eseguendo dei controlli. Intimano l’alt a una vettura, i brigatisti si fermano ma sparano immediatamente. Il brigadiere Andrea Lombardini viene ucciso. Dopo la sparatoria i terroristi verranno catturati. Sono esponenti dell’estrema sinistra modenese.

    Il 4 settembre del 1975 al casello dell’autostrada di Padova Est, una pattuglia della polizia stradale designata al servizio antirapina nota una 128 bianca sospetta con

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