Accadde un giorno
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Anteprima del libro
Accadde un giorno - Massimo De Carolis
legge
Introduzione
Non so cosa stia tentando di scrivere, è solo che avverto il bisogno di provarci.
Sono anni che periodicamente ripeto a me stesso questa frase e puntualmente la disattendo.
Pigrizia, timore, incapacità? Temporeggio per non saper individuare quale ne sia l’impedimento che mi allontana dal compiere quest’atto semplice di riportare sulla carta, anche in forma confusa, ricordi, storie, immagini.
Da dove cominciare? Non lo so, i pensieri si accavallano nella mente e più mi sposto indietro nel tempo e più una fitta nebbia inizia a calare e a coprire ogni cosa, faccio fatica a proseguire nei ricordi che s’intrecciano sempre più confusi.
Questo temporeggiare, certamente, è solo un modo per non iniziare ma comunque vorrei provare e poi proseguire, con costanza e concentrazione, annotando, correggendo, cancellando ma pur scrivendo, esprimendo sensazioni e stati d’animo accumulatisi nel corso degli anni.
In realtà di tentativi ne ho fatti, confusamente annotando i ricordi che si sono succeduti e accavallati in questa vita disordinata.
Sono consapevole di aver perduto tempo, troppo e di non averne molto ancora, questo però non sarà un impedimento.
Senza altri indugi desidero mettermi alla prova e decidermi a compiere il passo.
In questo caso ho escluso, almeno per ora di ripercorrere fatti e circostante accadute nel corso della mia vita, quasi a voler prendere le distanze da me stesso.
Non c’è mai una storia che però non possa essere raccontata, ma l’unica che a ognuno sempre resta la più difficile, oscura e rifiutata, è in fondo, la propria.
Le altre storie hanno sempre bisogno di persone, la propria siamo noi stessi, ovunque siamo e siamo stati ma non siamo così tanto obiettivi da rileggerla senza fare omissioni e reinterpretazioni.
Le altre storie hanno però bisogno di luoghi fantasiosi, di scene, di tempo, d’immagini e di colori, la propria è quella di tutti i giorni e di luoghi veri e reali nei quali mi sono soffermato, in ogni istante della mia vita.
Cercherò, anche se con pessimi risultati di lasciarmi andare come quando sono davanti ad una tela, dove inizio con un segno o un colore, a descrivere le mie percezioni che sono, di fatto, storie o immagini irreali, ma sembrano, i riferirsi a una realtà.
La mia storia, come del resto quelle di ciascun altro, può essere immaginata come un viaggio, un cammino continuo che ha una meta certa la fine del viaggio
breve o lungo il tempo a disposizione.
Questa storia, ammetto, non saprei dire com’è nata e come si è improvvisamente resa concreta nella mente, affezionandomi, passo dopo passo, ai personaggi e ai luoghi in cui si svolge.
Giorno dopo giorno ho letto diversi autori, visto film, ascoltato musica, sperando, come sempre, che i ragionamenti degli altri mi potessero aiutare a esternare al meglio i miei, pensieri normalmente acerbi, intricati e racchiusi, come bossoli, nella mia mente che si schiudono lentamente con molto disordine, rumoreggiando fin quasi a stordirmi per poi prendere il volo.
Quando apro un libro, ho sempre il desiderio di trovarci esibita tutta una vita o almeno poter credere, se leggendo, se per lunghe ore, rileggendo tutto in un fiato, mi possa restare, alla fine, qualcosa del mondo di chi scrive, immedesimandomi nel suo personaggio, che in genere è lo stesso autore o ciò che lui stesso avrebbe voluto essere.
Se non leggo per giorni, sale la sensazione di non aver sognato ad occhi aperti, perché davanti anzi direi dentro le parole e le immagini che si creano, io vivo.
Felice, talvolta, interrompo la lettura per seguire dentro di me fantasie che si sono generate e le mille direzioni che i miei pensieri hanno preso vagando nello spazio, incredibili misteri di questo mondo e dell’Universo.
Poi per incanto ho iniziato a scrivere questa storia.
Accadde un giorno.
L’infermiera entrò nella stanza e costatando che avevo gli occhi aperti, con un gran sorriso disse:
<< Ben tornato tra noi signor Alex.
<< Vedo con piacere che lei stamane sta meglio ed è cosciente, anche se non ne è ancora completamente consapevole.
<< Ha dormito per tre giorni di fila, vedrà, che a poco a poco, si rimetterà.
<< Più tardi tornerò con il medico che le farà un nuovo controllo.
<< Dall’espressione dei suoi occhi capisco che lei è cosciente che può sentire e questo mi fa piacere.
<< È una bella giornata di sole, ora le apro un poco le tende per far filtrare la luce.
Poi avvicinandosi di nuovo al letto controllò il battito del polso che risultò regolare come il respiro, controllò anche la fasciatura della testa per accertarsi, come le era stato raccomandato, che fosse in ordine e così il busto ortopedico, che aveva la funzione di lenire eventuali fitte in caso di movimenti bruschi del corpo.
<< E’ stato, il suo, un brutto incidente ma per fortuna le conseguenze non sono state così gravi, occorrerà però ancora tempo, tanta pazienza e cure prima che potrà riprendersi del tutto.
<< Ora stia tranquillo più tardi, se lo vorrà, faremo due chiacchere, uscendo disse;
<< Mi chiamo Sara, con la mano fece un segno di saluto.
Sentivo la sua voce e potevo vederla solo quando era difronte al mio sguardo. Sentivo di non potermi muovere con libertà, uno stato di confusione circondava la mente, percepii però il tocco delicato delle sue mani, richiusi gli occhi quando mi arrivò impercettibilmente il suono dello scatto della porta che si chiudeva.
Che cosa fosse accaduto e dove fossi non ne avevo la più pallida idea e poco m’importava di saperlo, ero consapevole solo di non averne la capacità di reagire.
Passai così alcune ore in silenzio, mentre immagini confuse, mi scorrevano nella mente.
Nel torpore i pensieri ritornano a fluttuare, mi parlavano, li ascoltavo, m’incitavano affinché potessero tornare a riprendersi il loro posto che gli spettava di diritto, per dare un valore alla mia esistenza.
La vita sembra scorrermi accanto silenziosa, mi segue, mi osserva e annota tutte le piccole azioni e ho la sensazione che se mi distraggo, potrei perderle irrimediabilmente.
Nel procedere, soprattutto in giovane età non si tiene conto dei giorni, delle stagioni, del tempo che scorre velocemente o lentamente.
Nell’avanzare degli anni ci si rende conto che il trascorrere di ogni attimo in modo, consapevole o meno, si ha la sensazione di camminare sempre in bilico su dirupi scoscesi pronti a cadere.
Sospeso in quest’attesa vuota senza significati, senza motivi né perché, tutte le mie energie sembrano essersi esaurite, svanite, e la sensazione prevalente è lo spreco dei giorni che trascorrono, un lusso che posso permettermi, consapevole del fatto che di giorni me ne restano pochi.
Restare abbandonato e vagare con la mente, sembra un vivere congelato ed è come procurarsi un supplemento d’inedia, che impedisce all’intelletto di ampliare il magazzino della memoria precludendosi di acquisire nuove sensazioni e nuove percezioni.
Tutto ciò lo sentivo spesso quando, con l’avanzare degli anni, mi sembrava quasi di non aver più progetti per il breve futuro che mi restava, correndo il rischio di non essere più in grado di apprezzare il presente qualunque esso fosse.
Non è, però, ancora il tempo di rinunce e di rimpianti, posso anzi devo, con impegno indirizzarmi verso nuovi, anche se modesti orizzonti e se sin d’ora sono sopravvissuto, una ragione ci sarà pure e quindi è meglio utilizzare questo tempo.
Chiudo gli occhi e sogno, sogno la tranquillità di un cielo prima del temporale, sogno il leggero fruscio delle foreste prima che si levi il vento e scompigli le foglie come i ricordi del tempo passato simili a fragili rami pronti a spezzarsi.
Sogno la quiete del mare prima della tempesta, sogno come si ascolta il silenzio della montagna.
In questo sognare posso ripercorrere i momenti del mio passato.
Tutto questo, mi chiedo se in un attimo s’interromperà per un brusco risveglio.
Non so quanto tempo sia passato, mi sono sentito sollevare dal letto e messo su di una lettiga, sono stato trasportato lungo un corridoio, le lampade al soffitto m’infastidivano e ciò vuol dire che reagivo, vedevo una nuova stanza, dove mi aspettavano un dottore, una dottoressa e due infermiere che iniziarono a togliermi le fasciature, le loro voci mi arrivavano confuse ma tranquillizzanti nel confermare che le mie ferite erano ormai rimarginate.
<< Le faremo delle nuove fasciature, solo al braccio e alla gamba destra, che terrà per qualche giorno ancora, poi inizierà un periodo di riabilitazione motoria per riacquistare la sua autonomia fisica, nel frattempo continueremo le cure mediche per riequilibrare il suo stato fisiologico, presto tornerà ad alimentarsi regolarmente.
Conclusa la convalescenza tornerà a saltare come un grillo ora però torni a riposare e se avrà necessità non si faccia scrupolo nel chiamare l’infermiera che la assiste periodicamente.
Sono dunque ricoverato in un Ospedale, pensai, ma cosa mi sarà successo di così grave, ho avuto un malore? Sono caduto? Sono stato vittima di un incidente? Non ne avevo la pur minima sensazione di ciò.
Nei giorni successivi, tutto si svolse all’insegna del recupero fisico e psichico.
Il mattino presto irrompeva Pamela, l’inserviente, una robusta donna sempre sorridente il cui compito era di curare l’igiene, la toilette e di volta in volta sbarbarmi e riassettarmi, poco più tardi, circa verso le nove arrivava l’infermiera Sarah che si prodigava ai controlli generali: la misurazione della temperatura, l’eventuale presenza d’infezioni e di allergie, la verifica dello stato delle fasciature e l’assunzione dei medicinali prescritti nella scheda, in particolar modo gli antidolorifici, oltre ad un vago tentativo di farmi ingerire liquidi ricostituenti allo scopo di integrare la scarsa volontà di alimentarmi.
Riprendevo, a poco a poco, a essere più consapevole e cosciente a me stesso, era evidente che ero ricoverato in un ospedale a causa di gravi traumi subiti, ma il quadro di riferimento era ancora oscuro, a tratti ricordai di essermi imbarcato su un aereo ma non avevo ancora localizzando da dove ero partito né dove ero diretto, né tanto meno il motivo del viaggio.
Mi sforzavo di ricostruire i più piccoli brandelli di ricordi che mi fluttuavano all’improvviso, senza però riuscire ad afferrarli ne tanto meno a ricomporli, almeno in parte, in qualcosa di tangibile e sensato.
La mia condizione fisica, migliorava rapidamente, iniziò il periodo della riabilitazione motoria per riarticolare i muscoli delle gambe e delle braccia, pur avendo ancora, in particolare, la gamba destra fermata da una stretta fasciatura.
L’infermiere Peter addetto, a tali compiti, mi portava il pomeriggio, per almeno un’ora consecutiva, in una stanza che per arrivarci occorreva prendere l’ascensore.
La stanza era attrezzata per le riabilitazioni motorie, una stanza grande che da un lato conteneva una piccola piscina e in questo luogo ebbi l’occasione di vedere altre persone, uomini donne ed anche ragazzi tutti con problematiche in parte simili, o diverse dalle mie, tutti intenti a eseguire esercizi di riabilitazione.
Mi resi conto che per alcuni la situazione, almeno rispetto alla mia, era molto più disperata.
Peter pazientemente mi aiutava a svolgere gli esercizi motori lasciandomi poi la giusta autonomia nell’eseguirli.
In seguito, fatta la doccia, mi porgeva un accappatoio per asciugarmi e mi riconduceva nella mia stanza.
Lungo il percorso potevo percepire una leggera musica provenire dagli altoparlanti dislocati sui soffitti, provavo un senso di angoscia immaginando di restare per il resto della mia vita recluso in questo luogo di riabilitazione e non nascondo che per la prima volta sentii il desiderio della fuga.
Un pomeriggio rientrando nella stanza, sempre assistito da Peter, mi resi conto