1001 storie e curiosità sulla grande Inter che dovresti conoscere
Di Vito Galasso
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Vito Galasso
è nato a Taranto il 6 aprile 1984. Lavora nel settore della comunicazione e scrive di sport per testate giornalistiche e siti web specializzati.
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1001 storie e curiosità sulla grande Inter che dovresti conoscere - Vito Galasso
Le origini
1.
La nascita di un sogno
La favola nerazzurra inizia una sera del 9 marzo 1908, quando un gruppo di quarantatré soci dissidenti milanisti decide di dar vita a un nuovo sodalizio calcistico: il Foot-Ball Club Internazionale di Milano.
Il suo nome è legato al carattere cosmopolita, alla voglia di trasgredire le regole della Federazione che in quegli anni imponeva la presenza nel campionato di soli calciatori italiani. «Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo», dice nel giorno dell’inaugurazione il pittore Giorgio Muggiani, uno dei fondatori della squadra.
Gli iscritti pagano dieci lire l’anno come quota sociale che consente di far giocare gli stranieri presenti a Milano e permette di diffondere la passione per questo nuovo sport proveniente da Oltremanica.
2.
I dissidenti
E che secessione sia. Un gruppo di intellettuali, artisti e industriali, in contrapposizione con la politica del Milan Foot-Ball and Cricket Club, decide di ribellarsi e riunirsi in un famoso ristorante milanese per discutere sulla fondazione di un nuovo club che apra le frontiere agli stranieri.
Di diverse estrazioni sono le persone che mettono nero su bianco l’atto di nascita: si passa dal capostipite Muggiani agli Hintermann, da Bossard a Bertoloni. Solo in seguito vengono assegnate alcune nomine: Giorgio Muggiani in qualità di segretario, De Olma cassiere e Rietmann economo; su insistenza dello stesso pittore, Giovanni Paramithiotti diventa ufficialmente il primo presidente della storia interista.
3.
Giorgio Muggiani
Tra i grandi nomi iscritti nel Famedio del Cimitero monumentale di Milano c’è anche quello del cartellonista Giorgio Muggiani. La sua passione per il calcio nasce in Svizzera, esattamente a San Gallo, da dove rientrerà per diventare uno dei soci del Milan Foot-Ball and Cricket Club. Tuttavia, i dissidi con l’allora presidente Gianni Camperio lo spingono a intraprendere una nuova avventura.
A lui spetta il compito di scegliere i colori e realizzare lo stemma della nuova creatura. «Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle», rivela la sera di quel lontano 9 marzo 1908.
In realtà, poco più tardi si scoprirà che il primo degli interisti possedeva sulla sua tavolozza solo il nero e l’azzurro, che fortunatamente si ponevano in contrasto con quelli dei nemici rossoneri.
4.
L’Orologio
Non un semplice ristorante, ma un circolo per intellettuali che si ritrovano dopo il teatro. In una sala della tavola calda L’Orologio, in via Mengoni, poco distante dal Duomo e a cento metri dalla Scala, i ribelli nerazzurri si riuniscono per creare quella squadra che così tanto vincerà nel corso dei decenni.
In quegli anni è di moda frequentare questi luoghi di ritrovo che hanno l’insegna Dopo-teatro
per indicare l’apertura fino a una certa ora della notte.
Nello stesso posto, nel 1911, Giovanni Mauro, prima giocatore e poi arbitro, decide di creare l’Associazione Italiana Arbitri. Nel salone del ristorante si tiene anche il primo congresso nazionale della FNUF (Federazione nazionale universitaria fascista) a cui partecipano ventidue gruppi in rappresentanza di2250 studenti.
5.
Il primo allenatore
La vita è un soffio e la storia della prima grande bandiera della Beneamata lo dimostra. Nel periodo dei primi vagiti del calcio in Italia il ruolo dell’allenatore è inesistente, sostituito da un responsabile tecnico che può rivestire duplici vesti. Virgilio Fossati è un baffuto giovanotto poco più che diciottenne: sarà contemporaneamente guida in panchina e faro della linea mediana. Sarà lui anche il capitano del gruppo che soffierà lo scudetto all’imbattibile Pro Vercelli e sarà ancora lui il primo giocatore dei biscioni a vestire la maglia della Nazionale italiana. Quasi cento presenze con la maglia dell’Inter e dodici con quella bianca dell’Italia, interrotte dal sopraggiungere della guerra, che, nel 1915, lo porta sul fronte dove sarà ucciso in uno scontro al confine austriaco. A dieci anni dalla sua scomparsa, l’Inter decide di intitolargli il campo di via Goldoni.
6.
Il primo allenatore
La prima casa dell’Inter è al numero 15 di via Ripa Ticinese, una superficie più simile a una palude che a un terreno di gioco. Le cronache del tempo raccontano di partite sospese o di attese interminabili per il recupero in barca del pallone. Successivamente, i nerazzurri ottengono il permesso di scendere in campo nei mesi invernali all’Arena Civica, teatro di ricorrenze, gare su bighe, spettacoli circensi, corse ciclistiche, ascensioni in pallone aerostatico e persino battaglie navali. Lo sfratto dall’Arena giunge nel 1913 e la Beneamata trova un impianto in affitto alla periferia est della città, fuori Porta Monforte, in via Goldoni 61. L’inaugurazione è storica perché il primo gennaio 1913 l’Inter in amichevole batte 3-1 la Lazio, la prima squadra romana che si scontra con una consorella dell’Alta Italia.
7.
Il primo presidente
La prima figura di capo dirigente è rappresentata da Giovanni Paramithiotti. Veneziano ed ebreo, rimane alla carica di presidente per un solo anno. La squadra lo chiama Toccaferro
perché lo ritiene artefice delle sue sconfitte e lo allontana dai campi di gioco per scaramanzia. Dopo mesi ai margini, si ripresenta con barba e baffi finti durante la partita contro la Libertas Milano, ma viene subito riconosciuto e costretto ad allontanarsi. L’ennesimo pallone recuperato sulla sponda del Naviglio gli fa riconquistare l’autostima e si ripropone addirittura a bordo campo tra gli scongiuri di tutti. Invece, l’Inter riesce a strapazzare l’avversaria per 4-0. Il suo commento è ironico: «Avete visto? La scaramanzia era bugiarda».
8.
La prima vittoria
Il primo successo ufficiale della storia della squadra non poteva che essere grande. Infatti non avviene contro un’avversaria qualunque, bensì con la Juventus. I nerazzurri devono attendere tante sconfitte e molti pareggi prima di avere la meglio, il 28 novembre 1909, su Borel e compagni. Al 37’ il difensore svizzero Oscar Engler è abile a mettere in rete un cross di Schuler. Un successo che sarà il preludio di ben undici vittorie consecutive, tra cui spiccano le batoste inflitte ai cugini milanisti con dei 5-0 da far paura! Sarà il primo passo verso la vittoria di uno scudetto che entrerà nella storia dell’Internazionale.
9.
Il primo derby
Corre il 18 ottobre 1908 e a Chiasso Milan e Inter si affrontano in amichevole per la prima volta nella loro storia. È una sfida tra gli stranieri nerazzurri e gli italianissimi rossoneri: un cumulo di ragazzini gettati sul campo da gioco per contendersi un piccolo trofeo del cantone svizzero.
«Match giocato accanitamente da ambe le parti», racconta il «Corriere della Sera». Vince la squadra di Gerolamo Radice grazie alle reti del piccolino Lana e Forlano, intervallate dal momentaneo pareggio di Peyer I.
La gara è scandita da due tempi di 25 minuti ciascuno, con circa 2000 anime presenti.
10.
Il primo derby ufficiale
Nel 1909, l’Inter si iscrive al primo campionato della sua storia affrontando nel girone eliminatorio il Milan e l’US Milanese, che perderà lo scudetto in finale contro la fortissima Pro Vercelli.
Il primo derby ufficiale corrisponde alla prima gara del mini torneo e vede ancora una volta vincente i rossoneri, che si impongono per tre reti a due. Un confronto pregno di emozioni: alla rete di Treré nel primo tempo risponde il brasiliano Gama, poi però Lana e Laich incrementano il bottino dei milanisti, minacciato dall’inutile gol di Schuler.
Nel tourbillon della gara scaturiscono polemiche e accuse reciproche che accendono il fuoco delle tensioni che si protraggono sino a oggi.
11.
Il primo gol ufficiale
La prima marcatura della storia dell’Inter porta la firma di Achille Gama, proveniente dal nord-est del Brasile. Il giovane diciottenne sigla la rete del momentaneo pareggio nella gara d’esordio contro il Milan nel gennaio del 1910, persa 3-2.
I racconti dell’epoca sono scarni, «La Gazzetta dello Sport» ricorda: «Alle 16.39 è l’Internazionale che per merito di Gama pareggia la partita». Il sudamericano colleziona 46 presenze e 19 reti con la maglia nerazzurra; in seguito, sceglie di dedicarsi all’arbitraggio distinguendosi con l’appellativo di Re del fischio
; infine diventa anche allenatore del Bologna nel finale della stagione 1932-1933.
12.
Lo spareggio con la Pro Vercelli
Alla fine della stagione 1909-10, Inter e Pro Vercelli sono in testa alla classifica a pari punti. È necessario uno spareggio per stabilire l’unica regina del campionato.
I piemontesi chiedono alla FIGC di spostare la gara per via degli impegni con la Nazionale militari dei suoi tesserati, ma la Federazione non accetta e conferma la data del 24 aprile. Per protesta il presidente Bozino schiera la quarta squadra, composta da giovanotti di dodici anni.
Il risultato finale è ancora incerto: qualcuno dice 10-3, altri 11-3. Sul campo succede di tutto: una pallonata sul volto di un nerazzurro e quasi un linciaggio da parte del pubblico sconfitto. Nonostante tutto, l’Inter quel giorno festeggia il suo primo scudetto.
13.
Il primo campionato vinto
Il primo esperimento di campionato a girone unico senza eliminatorie regionali è vinto, dopo un testa a testa con la Pro Vercelli, dall’Inter. È un torneo in salita per la neonata formazione milanese che deve far fronte a una serie di sconfitte prima di risalire la china e inanellare ben undici vittorie consecutive, record raggiunto solo molto tempo più tardi da un certo Roberto Mancini. Alla fine, lombardi e piemontesi si ritrovano a disputare uno spareggio non privo di contorni polemici. «L’Inter vince uno spettacolo da burattini, battendo sul terreno undici marmocchi alti un soldo di cacio che davano sfogo a tutta la malvagità propria dell’infanzia abbandonata ai suoi istinti», racconta «Foot-ball», la rivista ufficiale della FIGC.
14.
Leopoldo Conti
Rapido, dotato di una buona tecnica e abile realizzatore davanti ai portieri avversari. È il ritratto di Leopoldo Conti, detto Poldino
, ala destra della Beneamata tra il 1919 e il 1931 con 222 presenze e 75 reti siglate.
Il suo passaggio in nerazzurro è uno dei primi intricati casi della storia del calciomercato. Per accaparrarselo l’Inter deve inscenare una sorta di rapimento ai danni della sventurata Enotria.
La concorrenza del Milan è spietata e per batterla bisogna sborsare la cifra record di cento lire. Il Duce
, altro soprannome datogli per il forte temperamento, merita il costo del cartellino perché è anche grazie ai suoi gol che arriva il secondo scudetto.
15.
Quella volta che si rischiò la retrocessione
La stagione 1921-22 è un annus horribilis per l’Inter, ritornata in campo dopo una rivoluzione nell’organico. Con il dodicesimo piazzamento in classifica, Campelli e compagni arrivano ultimi rischiando la retrocessione. Solo grazie al Compromesso Colombo
, che ricuce il rapporto inizialmente interrotto tra CCI e FIGC, l’Inter riesce a salvarsi attraverso gli spareggi.
I nerazzurri evitano il turno preliminare per demerito della SC Italia di Milano, la quale rinuncia per motivi economici. In finale, la Libertas Firenze perde 3-0 a Milano e non va oltre l’1-1 tra le mura amiche. Da registrare il primo enorme esodo di tifosi milanesi nel capoluogo toscano.
16.
Una larga vittoria
Dicono che le goleade siano l’umiliazione del calcio. Eppure, in Italia, nei primi anni del XX secolo, è molto più facile vedere una partita con tante reti che uno 0-0. Quello di allora è un football dilettantistico: non ci sono professionisti del pallone e i media sono pressoché inesistenti.
Capita, quindi, di assistere a un Inter-Vicenza che termina con il punteggio quasi pallavolistico di 16-0. Il 10 gennaio 1915, la squadra di Fossati strapazza i veneti grazie alla prepotenza di uno certo Luigi Cevenini, che in una gara sola sfodera ben 7 prodezze; 5 reti realizzate anche per il giovane Emilio Agradi, 2 per l’ala sinistra Asti e una sia per Aebi che per Aldo Cevenini, il fratello maggiore di Luigi.
17.
Da Inter ad Ambrosiana
Nell’estate del 1928 il regime fascista mette a segno una fusione coatta tra l’Internazionale FC e l’US Milanese, portando alla nascita della Società Sportiva Ambrosiana.
I dirigenti nerazzurri non sono al corrente degli eventi e chiedono invano di bloccare la decisione. Questo accorpamento è determinato dalla volontà di non disperdere le forze calcistiche milanesi e consentire l’entrata della Fiumana nella Divisione Nazionale. Inoltre, si vuole togliere di mezzo il nome Internazionale
troppo legato al partito comunista.
La maglia diventa bianca e, sebbene ci sia stato il cambio di denominazione, i tifosi continueranno a gridare: «Inter, Inter!».
18.
La colonia svizzera
Da sempre l’Inter ha offerto il quadro di una squadra multirazziale e aperta a qualsiasi identità culturale. Le sue origini, però, sono svizzere. Da Ugo Rietmann a Ciriaco Sforza, dal primo capitano Hernst Marktl a Roger Vonlanthen, sono una ventina gli elvetici che hanno girato intorno all’orbita nerazzurra.
E non dimentichiamo Giorgio Muggiani, che a San Gallo aveva svolto gli studi, ed Ermanno Aebi, che aveva il padre svizzero. Ancora oggi il rapporto tra le due parti sembra indissolubile. Infatti, sono migliaia i soci iscritti agli Inter Club svizzeri tra cui spicca quello più nutrito a Lugano.
19.
Nascita di un campione
La storia calcistica di Giuseppe Meazza comincia all’età di tredici anni, quando il Milan lo boccia per via del suo fisico asciutto ed esile. Ci pensa l’Inter ad accoglierlo e a farlo crescere nel settore giovanile, dandogli però il ruolo di difensore che non gli permette di sfruttare appieno le sue doti da fromboliere.
A notarlo è il dottor Bernardini che spinge il tecnico Weisz a dargli almeno un’opportunità. Peppino non la sciupa e all’età di diciassette anni debutta con la maglia della prima squadra nel torneo Volta, durante il quale sigla due gol e consegna la vittoria della competizione ai compagni.
Questo è solo l’antipasto di una grande abbuffata che dura 408 partite e ben 284 reti.
20.
Il secondo scudetto
Dopo una guerra che ha saccheggiato un po’ tutte le società, il 12 ottobre 1919 si riaprono i giochi con 67 squadre partecipanti. L’Inter di Resegotti deve superare diversi gironi eliminatori prima di arrivare al successo: nel raggruppamento settentrionale deve battere la concorrenza di Juventus e Genoa in partite secche su campi neutri.
In un clima di tensione Aebi regala la vittoria contro i bianconeri e a Modena basta un pareggio (1-1) per regolare i liguri e approdare alla finalissima contro il Livorno.
È il 20 giugno 1920 e sul campo dello Sterlino di Bologna i nerazzurri vincono per 3-2 grazie alla doppietta di Agradi e alla rete del solito Aebi.
È il secondo titolo nazionale della giovane Inter.
21.
Bauscia e casciavit
Negli anni Venti i tifosi vengono distinti secondo l’origine sociale.
Nella città meneghina gli interisti sono i bauscia, gli sbruffoni appartenenti alla medio-alta borghesia, mentre i milanisti sono i casciavit (cacciaviti
), un modo per indicare l’estrazione proletaria.
Il senso di inferiorità dei rossoneri si ripercuote nel tempo a causa di un digiuno lungo quarantaquattro anni in cui non si vince uno scudetto. L’avvocato Peppino Prisco, uno dei personaggi più carismatici del parterre del biscione, sottolinea l’importanza di arrivare in alto pur partendo da umili origini. È noto che l’Inter sia nata da una costola del Milan.
Questi termini verranno accantonati negli anni Sessanta allorquando ci sarà un riordino economico e sociale del Paese.
22.
I primi incidenti
Nel calcio gli incidenti non sono un fenomeno di recente affermazione: è il 21 giugno 1914 quando l’Inter sfida il Casale, squadra ormai con il primo posto in tasca. I piemontesi si impongono per 2-1, ma poco importa perché salgono alla ribalta le tensioni durante e dopo la partita.
L’arbitro Laugeri espelle quattro uomini e non riesce a placare la rissa dei tifosi che ne scaturisce, dalla quale rimane anche ferito. Nonostante il parapiglia finale, ci sarà un solo arresto, la squalifica per tre mesi dello stadio di via Goldoni e una multa di cinquecento lire per l’Inter.
È un aneddoto di poco conto se si pensa che l’Italia qualche mese più tardi sarebbe entrata in guerra.
23.
Lo chiamavano Signorina
…
Guai a dire che il calcio non è uno sport per signorine. È con l’aspetto gentile e i piedi da ballerina che Ermanno Aebi, ribattezzato Signorina
, diventa una delle figure di spicco dei primi due scudetti dell’Inter.
Nato a Milano da padre elvetico, è al centro delle polemiche dopo lo spareggio con la Pro Vercelli, la quale sporge reclamo contro i nerazzurri per aver schierato uno svizzero spacciato per italiano. Fortunatamente non sarà accolto. Nel campionato vinto nel 1920, segna 19 reti in 21 partite e dà il via al valzer di gol al Livorno, battuto in finale per 3-2. Inoltre, è il primo giocatore oriundo a vestire la maglia della Nazionale italiana, collezionando solo due presenze.
24.
La guerra è sempre un vuoto a perdere
L'Inter è la squadra che più di ogni altra ha subito la spaventosa falcidia della prima guerra mondiale. Sono ben ventisei i deceduti per la patria tra dirigenti e giocatori, tra cui spicca il capitano dell’esercito italiano Virgilio Fossati.
Il campionato del 1915 non viene concluso in quanto la Federazione lo sospende all’ultima giornata, regalandolo, nel vero senso del termine, al Genoa. Le formazioni sono tutte vicine tra loro in classifica, anche la stessa Inter potrebbe vincerlo, ma le disposizioni dall’alto sono intransigenti e inspiegabili. Durante il conflitto non si disputeranno campionati ufficiali, ma solo qualche raro evento amichevole.
25.
La strana coppia
Per assistere alla nascita dell’allenatore vero e proprio bisogna attendere ancora qualche anno. Agli inizi l’idea comune è quella di affidare le squadre a un organo collegiale costituito da una commissione tecnica.
Virgilio Fossati è il primo a portare l’Inter sul carro dei trionfatori; il secondo scudetto, però, ha il merito di una strana coppia composta da Nino Resegotti e Francesco Mauro. Resegotti è un ex arbitro e preparatore atletico della nazionale italiana, mentre Mauro è il fratello maggiore di Giovanni, il fondatore dell’AIA, che durante lo scoppio della guerra diventa reggente pro tempore della FICG.
I due vinceranno il campionato grazie al talento di Cevenini III e Conti.
26.
I colori di una splendida notte
«Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle». Così recita il monologo di Giorgio Muggiani la sera del 9 marzo 1908.
I due colori accompagneranno le avventure e le disgrazie dell’Inter per quasi tutta la sua esistenza. Quasi, perché nel campionato 1928-29 si passa al puro bianco con una croce rossa e l’emblema del fascio littorio. Questa tendenza dura solo un anno, dopodiché si ritorna ai colori canonici della nascita.
Nel corso dei decenni i colori rimangono intatti, solo una leggera sfumatura cromatica cambia di tanto in tanto l’azzurro in blu.
27.
Il cambio di maglia
Durante il periodo fascista l’Inter, oltre a essere costretta a cambiare denominazione, deve modificare anche il colore della maglia.
È il 1928 quando la casacca della Beneamata diventa bianca rossocrociata (colori di Milano) con il simbolo del fascio littorio. Un anno di transizione e poi si torna alla normalità della divisa nerazzurra.
Solo nel torneo 2007-08, Massimo Moratti decide di rispolverare la maglia bianca con la grande croce rossa al centro in occasione delle trasferte interiste. Dopo quasi ottant’anni, si ritorna al passato anche se le aspirazioni non sono più le stesse perché l’Inter sarà sul tetto più alto d’Italia per diverse stagioni.
28.
Il dottor Fuffo
Bernardini
Chi nasce quadrato può diventare tondo. La storia di Fulvio Bernardini inizia a Roma, nella Lazio, dove si mette in mostra con buone abilità nel ruolo di portiere. In seguito ad alcune prestazioni opache e ai malumori familiari, si prodiga nei ruoli di centrocampista e centravanti.
L’Inter riesce a portare il dottore in Scienze economiche a Milano, malgrado il padre lo voglia blindare per sempre con la maglia biancoceleste.
Dal 1926 al 1928, il dottor Fuffo
colleziona 58 presenze e 27 gol e rimane nella storia per aver scoperto un talento senza precedenti: Giuseppe Meazza. «Ha buoni piedi e acume calcistico come pochi», dice Bernardini per caldeggiarlo al tecnico Weisz.
29.
La prima volta di San Siro
Uno stadio che farà sognare tifosi milanisti e interisti. La Scala del calcio
è il regalo che il presidente del Milan Piero Pirelli avanza nel dicembre 1925 e inaugura il 19 settembre 1926, in occasione di una gara amichevole con l’Inter.
L’incontro termina 6-3 per i nerazzurri grazie alla doppietta di Castellazzi e una rete a testa per Powolny, Bernardini, Cevenini III e Conti. Il San Siro, progettato dagli architetti Stacchini e Cugini, è inizialmente uno stadio all’inglese capace di ospitare 35.000 persone nelle sue quattro tribune.
È la casa dei rossoneri fino al 1945, mentre l’Inter si arrangia nella più aristocratica Arena napoleonica. Dopo la morte di Giuseppe Meazza, nel 1980, prende il nome del grande campione nerazzurro.
30.
Il caso Allemandi
Il campionato 1926-27 è contrassegnato dallo scandalo che vede protagonisti Juventus e Torino: il dirigente granata Nani chiede al giocatore juventino Luigi Allemandi di collaborare a perdere il derby della Mole per la somma di cinquantamila lire. Il bianconero acquisisce la metà prima della partita e il restante l’avrebbe avuto in un secondo momento.
Tuttavia, la buona prestazione del difensore spinge Nani a negare la ricompensa finale. Ne scaturisce una discussione nella pensione di via Lagrange che verrà origliata dal giornalista del «Tifone» Formarelli. Cosa c’entra l’Inter? Dopo aver scoperchiato tutte le tombe, Allemandi viene squalificato a vita e solo grazie al matrimonio di Umberto di Savoia ottiene l’amnistia e torna a giocare con la maglia dell’Inter, con la quale vince anche uno scudetto.
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Il top scorer bolognese
Una vita tra Milano e Modena e tanto sacrificio tra attacco e centrocampo. Emilio Agradi arriva all’Inter all’età di diciannove anni e sorprende tutti per la sua incredibile vena realizzativa.
Nella sua prima stagione, infatti, riesce a concretizzare 31 reti in solamente 21 partite. I suoi gol sono determinanti nello scudetto del 1920, in particolare nello spareggio di Bologna con il Livorno è autore di una doppietta.
In quella stagione mette a segno ben 17 reti. L’Inter può contare su un attacco stellare, guidato da Cevenini, Conti, Asti e Aebi. Dopo qualche stagione passata in attacco, viene spostato a centrocampo dove ha meno possibilità di arrivare alla porta.
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Un poliziotto come attaccante
Direttamente da Vienna, la città della musica, arriva in nerazzurro il poliziotto Anton Powolny. L’Inter lo preleva nell’estate del 1926 dalla Reggiana e non se ne pente: in un solo anno segna la bellezza di 22 reti in 27 incontri, diventando il capocannoniere della Prima Divisione. Il 3 ottobre 1926 è il primo giocatore a scardinare la porta del neonato Napoli e lo fa con una doppietta.
Tra le sue tante marcature va ricordata anche quella dell’inaugurazione dello stadio San Siro, nel derby amichevole con il Milan, durante il quale apre il valzer alle sei reti che mettono in ginocchio i cugini.
Resta con la Beneamata per una sola stagione a causa dei regolamenti federali che impediscono la presenza di stranieri. In Italia ritorna nel febbraio del 1930 come allenatore del Taranto.
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Il terzo scudetto
Nel torneo 1929-30 l’Inter è guidata in panchina da Weisz e in campo dai gol del giovane Meazza.
Partita in quinta fascia, alle spalle delle più quotate Juventus, Genova, Bologna e Torino, l’Ambrosiana si prende gioco delle avversarie sbeffeggiandole a suon di goleade. A decidere il campionato è la vittoria all’ultima giornata contro i bianconeri, ormai fuori dai giochi: il 29 giugno 1930 bastano le reti di Viani e Conti a limitare il pericolo di Combi e compagni.
I nerazzurri festeggiano il loro terzo titolo al San Siro, concesso generosamente dal Milan dopo il crollo delle tribune di Via Goldoni, davanti a circa 3000 spettatori in delirio.
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L’inventore delle prese
A soli sedici anni, un mese e otto giorni, Piero Campelli, detto Nasone
per il suo profilo aquilino, è il più giovane portiere a debuttare con la maglia nerazzurra. Con il cappellino a righe e il maglione nero, è il primo estremo difensore a bloccare la sfera anziché respingerla di pugno come i pugili. In quegli anni i portieri sono poco tutelati e preferiscono scaraventare la palla pur di evitare il fischio dell’arbitro. Piuttosto basso e abbastanza robusto, Nasone
ha avuto dei trascorsi nell’atletica leggera che probabilmente gli hanno permesso di essere più elastico nella presa. Con l’Inter rimane ben sedici anni, intervallati dalla Grande Guerra, e riesce a vincere due scudetti.
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Un Viola tra i nerazzurri
Durante il fascismo il regime impone l’italianizzazione dei nomi e dei cognomi di provenienza straniera anche solo all’apparenza.
È così che l’ungherese József Violak diventa Giuseppe Viola. Sguardo serio e ieratico, il tecnico magiaro è chiamato a sostituire il partente Weisz nella stagione 1928-29: pioniere del calcio asburgico, non ottiene grossi risultati, nonostante Giuseppe Meazza continui a segnare come un ossesso.
Alla fine del torneo la classifica lo condanna a un misero sesto posto che lascia l’amaro in bocca. Nella storia è ricordato per essere stato l’unico allenatore che passa al Milan dopo un’esperienza interista.
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La maledizione dei fratelli Hintermann
Le profezie possono assumere le fattezze delle formule magiche. Ne sanno qualcosa Carlo, Enrico e Arturo Hintermann, i tre fratelli che lanciano un vaticinio nei confronti del Milan, la loro ex squadra. In occasione della fondazione dell’Inter uno dei tre lancia una scomunica solenne: «Finché io vivrò, non vincerete più il titolo italiano».
Da allora i rossoneri non vinceranno più uno scudetto per ben quarantaquattro anni. A ogni inizio di campionato i tifosi nerazzurri si informano sullo stato di salute degli Hintermann e un sospiro di sollievo li pervade quando arriva la conferma del loro benessere.
Il loro motto non lascia speranze alle anime dei cugini: «Con noi avete vinto tanto, senza di noi è finita la gloria».
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I sette gol dei fratelli Cevenini
La guerra paralizza il calcio al punto da renderlo innocuo per diversi anni. Per sopperire a tale assenza la Federazione organizza tornei sostitutivi. Tra questi spicca la Coppa Mauro, in nome del presidente del CRL Giovanni Mauro. Il 3 marzo 1918, dopo una serie di polemiche, si affrontano in finale Inter e Milan: al Velodromo Sempione i rossoneri umiliano per 8-1 i nerazzurri orfani di Aebi.
La mortificazione è sottolineata da «La Gazzetta dello Sport»: «Il Milan li ha annientati con gioco corretto e dignitoso senza mai insistere in una affermazione di superiorità ch’era fin troppo chiara ed evidente».
Aldo e Luigi Cevenini, doppietta uno e cinquina l’altro, sono i bomber della giornata.
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Il primo vero allenatore
Bisogna attendere la stagione 1922-23 per vedere il primo vero allenatore sedersi sulla panchina dell’Inter.
Direttamente dall’Inghilterra, arriva l’ex centromediano del Crystal Palace, Bob Spotishwood, un uomo che si distingue per i cappelli a bombetta e i sorrisi alla Stanlio.
Nel tempo si rivela un vero e proprio pasticcione, tant’è che i tifosi meneghini cominciano a chiamarlo Bob Pastisùn
. Con lui il biscione non raggiunge grandi risultati: una salvezza ottenuta con le unghie nel primo anno e un più lusinghiero quarto posto nel torneo successivo.
È ricordato per il suo talento nel gioco del biliardo e come suonatore di flauto.
39.
Da Treviso con furore
Spesso i giocatori sono fenomeni con i piedi e degli imbranati con la testa.
Il destino di Giuseppe Viani è comune a molti: a scuola non è molto capace, mentre sui campi da gioco fa faville. L’approdo all’Inter è datato 1929, acquistato insieme al suo grande amico Umberto Visentin per la cifra di 35.000 lire. Gianni Brera lo definisce il tipico «pedatore di ventura» che si delinea in Italia negli anni Trenta. Il trevigiano gioca nella Beneamata sino al 1934, colleziona 137 presenze e 11 reti e vince lo scudetto al primo colpo. Successivamente il suo nome si affianca a quello dei nemici milanisti con i quali da allenatore vince due scudetti.
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Gipo
, lo sciupafemmine
Una vita sregolata, fatta di vizi ed eccessi a dismisura. La storia di Gipo
Viani non è solo legata ai campi di calcio, ma si mescola anche con la sfrontatezza del lusso e l’appariscenza di un uomo che sa di essere bello e dannato.
I soldi conquistati a furia di correre dietro a un pallone sono beni effimeri per il giovane Bepi
da Treviso, che preferisce sperperare tutto nel poker, nei cavalli e soprattutto nelle donne.
Una volta vince al gioco del lotto la somma di 1500 lire e la dilapida in una serata con gli amici tra le braccia di giovani signorine dispensatrici di piaceri e il noleggio a piazza del Duomo di ben tre calessi da sfoggiare al cospetto del popolo meneghino.
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Il portiere-centrocampista
Delle origini dell’Inter sono rimasti negli annali il talento di Ermanno Aebi e il capitano morto in guerra Virgilio Fossati.
Eppure, c’è un giocatore che ha fatto qualcosa di particolare senza lasciare segni tangibili. Si tratta del portiere Carlo Cocchi che nella sua breve esperienza nerazzurra colleziona anche una presenza da centrocampista.
È il 7 novembre 1909 quando a blindare la porta c’è Müller e l’estremo difensore si piazza sulla linea mediana nella gara contro l’Ausonia e contribuisce al pareggio (2-2). Nei suoi tre gettoni con la Beneamata figura anche la parata di un rigore nel primo derby disputato contro il Milan.
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L’arbitro-vicepresidente
A volte il calcio si trasforma in un teatro delle maschere in cui vi è un paradossale rovesciamento dei ruoli e tutti possono fare tutto.
Nel gioco delle parti dei primi anni del XX secolo capita che un arbitro possa essere anche dirigente di una società.
È il caso della giacchetta nera Varisco che agli inizi degli anni Venti è anche vicepresidente dell’Inter: nel lungo campionato 1919-20, culminato con tre finaliste nel girone settentrionale, dirige lo spareggio tra Juventus e Genoa favorendo spudoratamente i bianconeri, considerati più deboli rispetto alla forza disarmante dei grifoni.
La partita finisce in rissa e l’Inter vince il suo secondo scudetto anche grazie al suo arbitro custode.
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La fuga di Zizì
L'egocentrismo è il filo conduttore della carriera di Luigi Cevenini, che con il suo fare da sbruffone è stato il primo giocatore italiano a cercare fortuna all’estero. Una domenica sparisce senza lasciare traccia, si pensa addirittura a un rapimento costruito ad arte dalle rivali.
In realtà Zizì
è partito per Londra dove sogna di raggiungere il calcio professionistico. Il suo talento emerge anche lì, facendosi notare nelle riserve del Plymouth Argyle in Terza Divisione. Tuttavia, la sua intolleranza nei confronti delle regole ferree lo spinge a rifiutare diverse offerte d’ingaggio. Poco dopo, si ripresenta a Lugano, dove si trova l’Inter, e con strafottenza si rivolge ai compagni: «Ragazzi, rieccomi, siete pronti a vincere?».
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Il medico milanese
Un talentuoso diciottenne si aggrega all’Inter nel campionato 1911-12 e si fa notare per la sua capacità di arrivare al tiro.
Dopo una carriera tra le milanesi Ausonia e Milan, il giovane Franco Bontadini trascorre quasi un decennio nei nerazzurri. Si mette in mostra nella prima stagione segnando 14 reti in 18 gare. Nei campionati successivi il suo rendimento cala a causa degli studi in medicina.
Nel corso della prima guerra mondiale occulta la laurea per combattere da soldato semplice insieme ai compagni. Tuttavia, lo scoprono e viene retrocesso a sottotenente medico. All’età di cinquant’anni si uccide dopo una delusione d’amore.
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Il calcio è un affare di famiglia
Prendi cinque fratelli e mettili nella stessa squadra. Utopia? No, pura realtà. È la storia di Aldo, Ciro Mario, Luigi, Cesare e Carlo, conosciuti con il cognome di battesimo Cevenini e il numero romano a fianco per indicare l’ordine di nascita.
Tre attaccanti, un centrocampista e un difensore, i cinque fratelli milanesi formano una squadra nella squadra: tra loro, il più famoso è il terzogenito Luigi, mezzala sinistra capace di unire tecnica, fantasia e gol a iosa.
In 188 partite giocate con la maglia dell’Inter riesce a siglare 163 reti. Il campionato 1920-21 è l’unico anno in cui i cinque giocano insieme. Il secondogenito, Ciro Mario, è stato anche arbitro.
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Sopra la Capra l’Inter canta, sotto la Capra il Milan crepa
Nel campo di via Fratelli Bronzetti a Milano si consuma il primo successo dell’Inter in un derby (0-5).
Il 6 febbraio 1910, i nerazzurri hanno diverse frecce nella faretra e ne scaraventano cinque nella rete dei cugini. Fossati e compagni sono padroni del campo: gli avversari non reggono le prodezze del giovane Giovanni Capra, autore di una doppietta nella prima frazione.
Nella ripresa la musica suona sempre lo stesso ritornello: Inter all’attacco e il Milan a subire. Ne scaturiscono altre tre marcature che portano la firma di Peterly II, ancora Capra e Payer. Mattatore di quella giornata è tal Capra che con l’Inter colleziona 25 gettoni e 12 reti.
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Uno spareggio che vale una vittoria
Alla fine del campionato 1909-10 «La Gazzetta dello Sport» racconta l’affronto che la Pro Vercelli compie nei confronti della Federazione e dell’Inter.
«L’aspetto della folla ignorante e selvaggia, che pareva ieri invasa dalla comica follia dello scherno a oltranza dava, ai sinceri appassionati dello sport, un senso di pena dolorosa, ancora più forte della nausea».
I nerazzurri vincono la finale scudetto contro i ragazzini dei leoni: dieci reti (quattro per Engler, due a testa per Fossati e Schuler e una per Payer e Peterly), fischi, insulti e sfottò sono al centro del contenzioso tra le due sfidanti.
La Beneamata non ha neanche il tempo di festeggiare sul campo perché i giocatori devono evitare il linciaggio dei tifosi inferociti.
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L’ingiusta sconfitta a tavolino
Il 10 aprile 1921, Inter e Pro Vercelli si affrontano allo stadio di via Goldoni per una partita che vale come uno spareggio scudetto. La FIGC non tutela le due formazioni e invia un arbitro incapace di gestire il gioco pericoloso dei piemontesi.
Nel primo tempo, Corna colpisce duro Fossati II, procurandogli la rottura del tendine della gamba destra: i nerazzurri rimangono in dieci perché il regolamento non prevede ancora sostituzioni. Nella ripresa lo stesso Corna spezza una gamba al difensore De Sacco. Ne scaturisce una rissa che porta all’espulsione di Ara e Corna.
La successiva invasione di campo costringe l’arbitro Crivelli a sospendere la gara sullo 0-0. La Federazione chiede la ripetizione dell’incontro, però l’Inter non è d’accordo, regalando la vittoria a tavolino ai leoni.
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Il rapimento di Poldino
«Ogni mezzo è lecito se annienta il nemico». L’Inter potrebbe aver seguito la massima di Pindaro per assicurarsi le prestazioni di Leopoldo Conti.
A ridosso degli anni Venti il giocatore viene acquistato dall’Enotria per cinquanta lire dall’Ardita di Milano, dopo un contenzioso tra le due parti in causa. Il suo talento è talmente evidente che i dirigenti del biscione decidono di prenderlo a tutti i costi. Il giornalista Leone Boccali e alcuni tifosi lo rapiscono e lo portano nella sede nerazzurra.
L’Enotria lo rivuole indietro, l’Inter si rifiuta. La tensione si placa grazie a un compromesso che spinge il presidente Gaetani ad accettare la proposta, vendendo il calciatore per la clamorosa cifra di dieci lire.
50.
«Facciamo giocare anche i Balilla!»
La strada per arrivare al successo è lunga e tortuosa e Giuseppe Meazza deve lavorare sodo per realizzare il suo sogno di diventare calciatore. Orfano di padre dall’età di sette anni, deve convincere mamma Ersilia, preoccupata dalle febbri intermittenti che lo rendono sempre più debole.
Dopo le esperienze nella Campionesi e nella Costanza, Ciminaghi, uno dei suoi compagni di squadra, lo porta all’Inter presentandolo a un suo amico dirigente. Non ha ancora quindici anni quando viene ingaggiato. Segnalato da Bernardini al tecnico Weisz, debutta a Como nel torneo Volta tra lo stupore di Leopoldo Conti, che esclama: «Adesso facciamo giocare anche i Balilla!», come venivano chiamati i bambini tra gli otto e i quattordici in epoca fascista. Pepin
segna due gol alla Milanese e Poldo deve ricredersi: «Bravo Pinella
, sei in gamba».
51.
Un derby è sempre un derby
Quando c’è da raccontare la vittoria dell’Inter in un derby anche una gara amichevole può avere la sua valenza. È il 24 marzo 1929 e le due formazioni milanesi si affrontano nella finale del Trofeo Lombardi e Macchi. Davanti a 12.000 spettatori, tra cui Edda, Vittorio e Bruno Mussolini, i bianco-crociati vestiti di nero per l’occasione conducono incalzanti attacchi alla porta milanista.
L’Ambrosiana passa subito avanti con Blasevich che approfitta di un prezioso passaggio di Rivolta per insaccare la rete sguarnita. Il raddoppio porta la firma di Meazza che beneficia di un errore della difesa rossonera.
Nella ripresa il Milan rimane in dieci a causa dell’infortunio di Gai, ma comunque riesce ad accorciare le distanze con un tiro al volo di Aigotti. Blasevich di testa porta il risultato sul 3-1, mentre Tansini chiude sul 3-2.
52.
Un debutto con i fischi
A Roma, il 9 febbraio 1930, il CT della Nazionale, Vittorio Pozzo, decide di lanciare contro la Svizzera il giovane Giuseppe Meazza in luogo del napoletano Sallustro, lasciato fuori in seguito all’infortunio del compagno di reparto Mihalic.
L’esclusione del talento di Asunción manda su tutte le furie i tifosi partenopei, che decidono di scrivere una lettera contro l’idolo degli interisti: «Gonfiatissimo Meazza», riporta «La Gazzetta dello Sport», «sappi che saremo in più di tremila napoletani col preciso scopo di fischiarti, ti sapremo stroncare in pieno».
L’Italia deve rimontare il doppio vantaggio degli elvetici con Magnozzi e Orsi, mentre Meazza chiuderà la partita con una doppietta che ammutolisce i rumorosi napoletani.
53.
Cevenini III e lo schiaffo ad Aliatis
Il caratteraccio di Luigi Cevenini è stato uno degli aspetti più divertenti del calcio degli anni Venti. A Osvaldo Aliatis costa caro un passaggio sbagliato a Zizì, il quale, irato, gli tira uno schiaffo umiliandolo davanti a tutti i presenti. Aliatis, preso dallo sconforto, abbassa la testa e in silenzio se ne torna negli spogliatoi. Il terzogenito dei Cevenini, a sua volta, resta negli spogliatoi fino a tarda sera per evitare il ritorno degli
amici dell’umiliato.
La presunzione di Zizì tocca livelli stratosferici: non sopporta l’inadeguatezza di alcuni suoi compagni di squadra e li deride ogni volta che commettono un errore. Cevenini III ha la capacità di lasciare un segno nell’Inter, nel Milan e nella Juventus, le tre più grandi formazioni di sempre.
54.
Oro, nero e azzurro
Il primo emblema di Muggiani ha il fondo dorato con due cerchi, uno blu e l’altro nero, che lo delimitano e la sigla FCIM sovrapposta in bianco. Dal 1928 al 1945 subisce continue mutazioni a causa del cambio di denominazione e del regime fascista. Dal 1945 si torna all’origine con alcuni accorgimenti cromatici.
Nel 1963 viene aggiunto un terzo cerchio dorato attorno a quello blu. Negli anni Ottanta viene proposta una biscia bianca davanti a due strisce nere e azzurre su un campo bianco, ma viene abbandonata nel 1990 per tornare a quella precedente.
Dal 1998 al 2007 ci sono piccoli cambi di colore e l’aggiunta di una stella su uno sfondo nero, la scritta Inter
sulla parte superiore e l’anno 1908 su quella inferiore. Dal 2007 si torna al principio con l’aggiunta di una striscia curva dorata, la data 1908-2008 in alto e la scritta 100 anni Inter
in basso.
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Nel segno del numero 6
Che sia un’amichevole o una partita ufficiale, il diciassettenne Balilla
debutta e vince sempre con il numero 6. Nella finale per il terzo posto della Coppa Volta del 1927 contro l’US Milanese,