Il mantellaccio
Di Sem Benelli
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(Sem Benelli, La cena delle beffe, 1908)
Il mantellaccio è un poema drammatico in quattro atti.
Sem Benelli (Filettole, 10 agosto 1877 – Zoagli, 18 dicembre 1949) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano, autore di testi per il teatro e di sceneggiature per il cinema. Fu anche autore di libretti d'opera. È stato spesso considerato dalla critica un D'Annunzio in minore ("ciabatta smessa del dannunzianesimo" lo definì addirittura in maniera un po' ingenerosa Giovanni Papini), ma il suo talento letterario è stato rivalutato fino a considerarlo come una fra le maggiori espressioni della tragedia moderna.
Il drammaturgo pratese fu autore del testo teatrale La cena delle beffe, tragedia ambientata nella Firenze medicea di Lorenzo il Magnifico, che ebbe un successo clamoroso e tale comunque da consegnare il suo nome alla storia della letteratura. Da questa tragedia fu tratto nel 1941 dal regista Alessandro Blasetti l'omonimo celebre film con Amedeo Nazzari e Clara Calamai.
Dalla riduzione del testo a libretto, venne ricavata da Umberto Giordano l'opera omonima andata in scena in prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano il 20 dicembre 1924. La sola bibliografia teatrale di Benelli comprende una trentina di titoli, sviluppati nell'arco di una quarantina di anni e articolati tanto su drammi sociali quanto su commedie di ambientazione di tipo borghese.
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Anteprima del libro
Il mantellaccio - Sem Benelli
2020
Dedica
A
DOMENICO LANZA
CHE GLI ASPETTI SVARIATI
DEL NOSTRO TEATRO
DISEGNA
CON AUSTERA GIUSTIZIA
MA CON ARDENTE AMORE
È DEDICATOQUESTO POEMA DRAMMATICO
Personaggi
SILVIA.
LISA.
FRANCESCA.
GENTILINA.
Un giovane.
Un uomo con lanterna.
BIONDO VIOLA.
AMMIRATO BONVISO.
MICHELE.
Coro del Mantellaccio
– Accademici – Maschere – Popolo.
La scena si svolge a Firenze nella prime metà del ’500.
Quest’opera fu rappresentata per la prima volta contemporaneamente a Roma e a Torino la sera del 31 marzo 1911 dalle due Compagnie della Città di Roma.
ATTO PRIMO
Si vede un grande salone con una vetrata in fondo: attraverso un giardino e il colonnato di un portico.
È questa la sede dell’Accademia degli Intemerati. A sinistra nel fondo è come un piccolo santuario con le effigi del Petrarca e di Platone e con alcune reliquie sacre al culto dei Petrarchisti. A destra si vede la cattedra e intorno e nel mezzo molti scanni.
IL CRISTALLINO, entrando:
Che carnovale vuol’esser quest’anno!
Se vedeste, messeri, in via Larga:
uh! quanta gente! Che rigurgitio
di persone! Che strepito di maschere!...
IL CANDIDO.
Cristallino! Se più ti garba l’urlo
della plebe od il canto de’ poeti
carnascialeschi, vattene! Qui vigila
lo spirito pensoso e malinconico
del divino Petrarca!
IL CRISTALLINO.
Ma di fuori
tanta gioia!
IL CANDIDO.
E tu cerca la gioia!
IL CRISTALLINO.
Mio padre prima di morire volle
ch’io pure diventassi un accademico!
Prima cantavo in modo popolare:
strambotti, madrigali; cinguettavo
come fanno ne’ campi le ragazze;
e col mio canto almeno qualche bella
giovinetta mi dava retta. E come!
Ora invece ho studiato e ristudiato
a dire in rima in bel modo garbato,
so bene il greco....
L’ILLUMINATO.
Non direi! Non troppo!
IL CANDIDO, pomposamente:
L’arte che ti veniamo con perspicuo
modo insegnando non è per le donne
del popolo!
L’ILLUMINATO.
Non è né per la Beca,
né per la Nencia!
IL CRISTALLINO.
È per le cortigiane!
La bella Francescona fa sonetti
come voi, messer critico; ma io,
che non posso pagar le cortigiane,
qualche volta fo’ versi differenti!
IL CANDIDO.
Differenti?!
IL CRISTALLINO.
Cantari e canzonette!
Modulando:
«Più non posso ahimè tacere:
dir d’amore mi conviene:
come è amaro il suo piacere,
come dolci le sue pene....
Io lo chiamo ed ei non viene....
Il richiamo vo’ mutar....»
I poeti che erano rimasti in fondo della scena si sono ora avvicinati.
L’ILLUMINATO.
Oh, che versi plebei!
IL CANDIDO.
Genere orribile!
L’ILLUMINATO.
Vien di Venezia!
IL CRISTALLINO.
Come voi volete;
ma paiono un saluto d’usignolo,
quando li dice quella bocca amata....
IL CANDIDO, curioso:
Di chi?
L’ILLUMINATO, curioso:
Di chi?
IL CRISTALLINO.
Della più bella giovane
ch’io m’abbia conosciuta, e che è più bella
di quell’Ignota a cui dedico versi
e versi e versi, e non ho mai veduta.
E, sapete....
IL CANDIDO.
Che cosa?
IL CRISTALLINO.
Verrà qui!
IL TRASPARENTE con curiosità.
Verrà qui?!....
IL CRISTALLINO.
Mascherata!
IL PENTITO.
Mascherata?!
IL CRISTALLINO.
Dite un poco: se mai si presentasse
una maschera, bella come un cigno,
ma col viso coperto, e vi dicesse:
Son venuta a sentirvi recitare
rime d’amore," le permettereste
di restare col viso mascherato?
IL TRASPARENTE.
Ch’ella restasse ignota?
L’ILLUMINATO.
Sono in dubbio!
L’ANGELICO.
Ecco l’Ardente!
Tutti si volgono verso l’entrata. Giunge l’Ardente, così detto nell’Accademia per le speranze di poeta che offre di se medesimo, e per il suo fare ardito.
IL CANDIDO.
Ardente, ave!
IL TRASPARENTE.
Salute!
L’ARDENTE, entrando:
E non per nulla mi chiamo l’Ardente!
L’ILLUMINATO.
Che c’è di nuovo? Un’altra tua canzone?
IL CANDIDO.
Quando tu canti, un nuovo e vivo fiume
si riverse nel lago della Storia!
L’ARDENTE
mostrando un rotoletto di carta scritta:
Una canzone, che non sarà indegna
del divino Petrarca.
IL CANDIDO.
Come tutte
le tue belle canzoni!
L’ARDENTE.
Voi vedrete
nel canzoniere che pubblicherò
in quanti modi seguirò la strada
dell’Audace Fanciullo. Saettando
Amore si nasconde nei più folti
cespugli; sopra gli alberi s’annida
tra le foglie ed i rami, dentro i cupi
antri, dentro le fosse erbose o nelle
paurose spelonche: ivi s’appiatta
e con l’arco ci aspetta. Ma il poeta
con la sua dolce lira lo persegue,
e con il puro suono de’ suoi versi
lo cerca e incanta, e a volte lo raggiunge
addormentato sopra un ciuffo d’erba
e con in bocca un bianco gelsomino.
Allora quel fanciullo addormentato
egli solleva, e tacito lo porta
così composto a quella bella donna
ch’è sua tiranna, e che appena lo vede
discioglie in pianto il suo duro ritegno.
IL CANDIDO.
Ardente, quando tu parli d’amore,
nessuno ti raggiunge in sapienza,
in immagine: sei come il torrente: