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Omicidio alla Garbatella: Un nuovo caso per l'ispettore Proietti
Omicidio alla Garbatella: Un nuovo caso per l'ispettore Proietti
Omicidio alla Garbatella: Un nuovo caso per l'ispettore Proietti
E-book279 pagine3 ore

Omicidio alla Garbatella: Un nuovo caso per l'ispettore Proietti

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Info su questo ebook

Quartiere Garbatella, è l’una di notte passata. Tre netturbini trovano il cadavere di una ragazza accanto a un cassonetto. Chino su di lei, in stato confusionale e sporco di sangue, c’è un tassista. «È tutta colpa mia!», grida fra i singhiozzi. Paolo Proietti viene avvisato dai colleghi della mobile anche se non è di turno. Quel tassista è l’amico fraterno con cui ha interrotto, o quasi, ogni rapporto. Ernesto ha tradito la sua fiducia e lui non è mai riuscito a perdonarlo. La vittima era una ventunenne di origine nigeriana. Ex schiava sessuale reinserita da tempo nella società, lavorava come baby sitter e poteva permettersi l’affitto di un appartamento. La Garbatella non era il suo quartiere, nessuno dei curiosi scesi in strada nel cuore della notte aveva mai visto quella ragazza prima di allora. Ernesto ritratterà la sua ammissione di colpevolezza adducendola allo shock: conosceva bene Prudence, era proprio lui ad accompagnarla ogni sabato in taxi per trascorrere la notte con un uomo misterioso. Sarebbe morta fra le sue braccia quando è andato a riprenderla e, prima di ciò, avrebbe sussurrato qualcosa di indecifrabile: il nome del colpevole, forse. Poche settimane prima gli aveva confidato che si sentiva in pericolo: qualcuno voleva farle del male, ma non sa indicare chi. A un’ora dalla morte di Prudence, una telecamera di sorveglianza riprende una loro accesa discussione: lui la strattona con violenza, sta per darle uno schiaffo. Risale sul taxi, inviperito la lascia da sola in strada. Non riuscirà a discolparsi durante l’interrogatorio; in attesa di sviluppi, quel video lo rende il principale sospettato e finisce così in carcere. Il compito di Proietti, stavolta, non si limita alla risoluzione di un caso d’omicidio: dovrà ingoiare orgoglio e testardaggine, convincers dell’innocenza di Ernesto, credere di nuovo in lui e soprattutto in se stesso. La fiducia è una sensazione di sicurezza basata sulla speranza o sulla stima, Paolo avrà l’ennesima conferma di quanto sia rischioso concederla anche agli amici di lunga data. Sarà proprio la vittima, in qualche modo, a raccontargli che ogni errore di valutazione può essere fatale.

Luana Troncanetti è nata e vive a Roma. Ama spaziare dalla scrittura ironica al noir. Ha partecipato a diverse raccolte per Perrone Editore, contribuito ad antologie per Fabbri e Comix, scritto per Kairos, Homo Scrivens, Cento autori. Nel 2009 pubblica Le mamme non mettono mai i tacchi (Boopen Led), poi edito da Galassia Arte nel 2011, e Agrodolce per L’Erudita nel 2016. Ha vinto diversi concorsi letterari per la sezione racconti, fra i quali il Premio Massimo Troisi, il Donna sopra le righe e il Thriller Cafè. Con il noir Silenzio (Kindle Direct Publishing), primo classificato al Premio Internazionale Amarganta 2017, nel 2018 ottiene una menzione d’onore al Premio Residenze Gregoriane e vince il Garfagnana in giallo - Sezione Nero digitale. Quindi, in versione rivista e ampliata, lo ripubblica nel 2019 con il titolo I silenzi di Roma (Fratelli Frilli Editori) e si classifica seconda al Premio letterario Città di Ladispoli. Con il romanzo breve La cuoca - Storia di un terremoto, uno dei suoi lavori auto pubblicati sulla piattaforma Amazon, nel 2020 vince il Premio speciale Lara Calisi - Coraggio di donna al Premio letterario città di Ladispoli.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2021
ISBN9788869435423
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    Anteprima del libro

    Omicidio alla Garbatella - Luana Troncanetti

    1.

    Il commissario capo Cusani è seduta in prima fila

    Il commissario capo Cusani è seduta in prima fila. Impassibile, come ruolo istituzionale impone. Le occhiaie le divorano la faccia pallida, la bocca è risucchiata in una smorfia di dolore.

    La dottoressa Grasso tortura il bavero del cappotto leggero, si fissa la punta delle scarpe. Oggi non ha voglia di prendere per i fondelli il suo poliziotto preferito.

    La Ansaldi ha il mascara colato sulle guance e gli occhi dei colleghi addosso. Se ne frega se adesso capiranno ogni cosa. Quella mezza storia con Proietti, in un anno di quasi amore, non l’hanno mai compresa neppure loro. Singhiozza aggrappata al petto di Mingrone, il più giovane fra gli agenti della squadra. Il ragazzo la sorregge, ma con la mente è altrove. Ispetto’, pensa angosciato, noi due in quel bar non ci siamo mai stati. Stia tranquillo, io non apro bocca.

    Ci sono i colleghi delle altre sezioni. Quelli della scientifica, la narcotici, due agenti che hanno lavorato sotto copertura come lui, un maresciallo dei Carabinieri insieme a qualche sottoposto. Tutti in divisa, tengono il berretto in mano in segno di rispetto. C’è Ernesto, il suo amico da sempre. Ha la nausea e voglia di bestemmiare, lui che mai l’ha fatto in vita sua. Abbraccia Margherita. Piano, per non schiacciare il figlio che arriverà fra pochi mesi.

    Giulia sta addossata alla parete di marmo, fa scorrere le dita fra fronte e nuca. Quei riccioli canuti sembrano esplosi, stamattina. Li strappa a piccole ciocche, neppure se ne accorge. Il marito è in piedi accanto a lei, la schiena curva gli scippa dieci centimetri di altezza. Afferra un braccio della donna che tiene gli occhi chiusi, come il figlio sdraiato nella bara.

    «Còre de mamma…» mormora una, due, dieci, mille volte in un secondo. L’anziano impazzisce per quella litania, sbaglia il ritmo del respiro mentre la moglie perde aderenza con il muro e scivola piano verso il basso.

    «Mettiti seduta, Giulie’.»

    «Non posso.»

    «Qui. C’è un banco libero.»

    «No.»

    «Giulia…»

    «Se mi siedo, mòro appresso a lui.»

    C’è odore di cera fusa e profumo di rose, un organo che ricama note sommesse nell’aria, un cretino che non ha silenziato il cellulare.

    You get a shiver in the dark

    It’s raining in the park, but meantime

    South of the river, you stop and you hold everything…

    Venti secondi di Sultans of Swing dei Dire Straits, tanto impiega la mano per spegnere lo smartphone.

    C’è anche Manfredi, lo psicologo. Grida che i silenzi uccidono, Proietti avrebbe dovuto fidarsi di lui invece di spararsi un colpo in testa.

    Becchini in guanti candidi provano a trattenere Francesca. La donna li scansa e si avvicina sconvolta alla bara. Ha lo sguardo vitreo, le guance accese e un sorriso di plastica aggrappato alle labbra.

    «Chi sei davvero, tu?», chiede a Proietti. La sua voce tremula non pretenderebbe risposte, in realtà. Paolo, poi, non gliene ha mai fornite neanche da vivo. Adesso ogni spiegazione sarebbe fuori tempo massimo, però quell’interrogativo se lo trascina dietro da quattordici anni. La necessità di sapere è più rapida della voce, Francesca ripete la domanda mentre gli passa una mano sul volto. Smette il tocco, sorpresa. La pelle di Paolo è ancora calda. Riprende la carezza a occhi sbarrati, sente il sangue dell’uomo pulsare sotto lo zigomo sinistro. Preme i polpastrelli sulla cicatrice. Insiste, e quella si fa burro per accogliere le dita. Affondano nella carne, riemergono lorde di catrame fuso.

    «Sei marcio, vedi? Nero dentro. Proprio come me, Pietro

    «Lo sai come mi chiamo, France’. Lo sai, falla finita!», urla Paolo mentre il cellulare riprende a squillare. Stavolta nessuno si preoccupa di bloccare la suoneria.

    You get a shiver in the dark

    It’s raining in the park, but meantime

    South of the river, you stop and you hold everything…

    Proietti ha i riflessi paralizzati dall’incubo, il collo madido di sudore e il fiato a metà mentre fruga al buio sul comodino. Controlla l’ora sul display, sono le due e ventitré del mattino. Porta il cellulare all’orecchio.

    «Che c’è, Mordelli?»

    «Scusa l’orario.»

    «Scusa un par de palle! Che c’è?»

    «Cadavere.»

    «E quindi? Sono libero, oggi. Pensaci tu.»

    «È che…»

    «Che?»

    «Ho già avvisato la Cusani e il commissario…»

    «… e lui ha chiamato il capo della mobile, allertato il questore. So come funziona. Arrivi al punto?»

    «Il pm. Non l’ho ancora avvisato.»

    «Te sei rincoglionito, Morde’?»

    «Volevo darti un po’ di anticipo.»

    «Per vincere cosa, i cento metri piani?»

    «Abbiamo un forte sospettato ma è meglio che lo senta tu, prima del pm.»

    «Perché proprio io?»

    «Perché lo conosci bene. Mi è preso un colpo quando l’ho trovato chino sulla vittima. È in stato confusionale e sporco di sangue. Blatera.»

    «Blatera… blatera cosa?»

    «Dice che è tutta colpa sua.»

    «Ma chi è?»

    «Ernesto.»

    Ernesto Di Casio, il tassista. Tutti i membri della squadra mobile sanno chi sia. Per Paolo è più di una semplice conoscenza. È il fratello che non ha mai avuto, l’amico con cui ha condiviso stronzate, spinelli e gli ultimi trent’anni della sua vita.

    «Che cazzo dici, Morde’?»

    «Quello che è.»

    «Dove siete?»

    «Alla Garbatella. Via Antonio Rubino, piazza di Sant’Eurosia. Ti mando la posizione sul cellulare.»

    Garbatella. A quell’ora del mattino Paolo può raggiungerla in meno di un quarto d’ora, doccia lampo inclusa.

    «Da quanto siete arrivati?»

    «Dieci minuti.»

    «Aspettane ancora dieci prima di chiamare il pm. E poi…»

    «Cosa?»

    «E poi grazie, Mordelli.»

    Ernesto. Sporco di sangue, chino su un cadavere e magari colpevole; sei mesi fa gli ha nascosto elementi utili alla risoluzione di un caso di omicidio. È rimasto zitto per giorni, mentre lo vedeva arrancare senza uno straccio di indizio o una prova concreta, con il pm alle costole e la stampa affamata di notizie.

    Ernesto gli ha mentito e Paolo per poco non l’ha ammazzato di botte. Sono rimasti a distanza di sicurezza per mesi, il poliziotto e il tassista. Il primo divorato dall’orgoglio, il secondo dal rimorso, entrambi con la voglia di chiarirsi e nessun coraggio per farlo. Qualche telefonata, pochi incontri di persona imbarazzati e sterili. Sono rimasti tanto tempo a riprendere fiato in una città che te lo spezza, se non sai come respirarla. Distanti trenta chilometri l’uno dall’altro, una sera di dicembre hanno fissato lo stesso cielo promettendosi di non lasciarsi soffocare. E invece.

    Paolo ha scoperto che Ernesto e sua moglie si sono separati. Non aspettano un figlio come nel suo incubo. Sa che lei l’ha mollato e adesso vive dalla madre. Ha più che altro scoperto che anche lui, l’irreprensibile poliziotto, è un traditore: lascia che i suoi segreti marciscano e gli crescano addosso, soprattutto di notte. Non è migliore dell’amico con cui è incazzato a morte.

    Ernesto non conosce le ombre di Paolo. Proietti non può confessare a nessuno cosa lo torturi, neanche al ragazzino che è diventato uomo insieme a lui. È un equilibrista in bilico su troppe faccende rimaste in sospeso, lacerate a metà come la sua guancia.

    Paolo ha appena acceso il gas sotto la moka, quella da tre tazze. Senza caffè non riuscirebbe neppure a ritrovare le scarpe. Lascia il pigiama e i boxer per terra, si infila di corsa nella doccia. L’acqua è gelida, la bottiglia dello shampoo mezza vuota. Scivola sul pavimento bagnato, riesce appena in tempo ad aggrapparsi al lavandino per non cadere e impreca. Si butta addosso qualcosa per vestirsi, non gli interessa cosa, afferra le chiavi di Chicca, la sua moto, prima di sbattere la porta fino quasi a scardinarla.

    Esce di casa con i ricci ancora umidi, deve correre alla Garbatella per capire che cosa abbia combinato stavolta suo fratello. Non hanno un filamento di DNA in comune, loro due. Ma questi sono dettagli. Spera che la Guzzi non si rimetta a fare i capricci, l’ultimo mese l’ha lasciato a piedi due volte. Una traditrice anche lei, soltanto che i suoi danni sono perdonabili e tutto sommato veloci da riparare. Bastano una chiave inglese e un po’ di pazienza.

    2.

    Prudence ha soltanto ventun anni

    Prudence ha soltanto ventun anni ma la sua pelle ambrata ne ha respirati almeno mille in più. Alta, flessuosa, con un profilo delicato appena smosso dalle labbra piene, raccoglie i capelli in treccine che disegnano labirinti sulla testa elegante.

    Sorride pochissimo, ha sempre un’ombra dolorosa incastrata nello sguardo. Ernesto sa di che sostanza è composto quel buio. Non conosce i particolari, le parole della ragazza sono più rare dei sorrisi. Quel nulla che gli ha raccontato, però, è stato sufficiente.

    È diventata una cliente fissa e gli telefona per corse fuori turno. Sarebbe contro le regole, ma il tassista cerca di accontentarla quando può. Entrate extra fanno sempre comodo, erano vitali fino a qualche mese fa. Indispensabili per prendersi cura di Margherita. Ernesto doveva sostenere le cure dalla psichiatra e stipendiare qualcuno che stesse in casa con lei.

    Sua moglie non aveva mai superato il dolore della mancata maternità e lui non era riuscito a fare nient’altro per aiutarla. I suoi piccoli angeli, così li chiama lei. Capricci di un utero difettoso che li rigetta dopo pochi mesi, al quinto tentativo ha partorito una bambolina fallata. Minuscola, grinzosa, la pelle violacea nascondeva appena gli organi interni. Arianna ha resistito due giorni, i polmoni troppo deboli per trattenere il respiro. Poi si è arresa. I medici hanno suggerito alla donna di salutare quella figlia di neppure un chilo, soltanto così sarebbe riuscita a dirle addio. Così dicevano.

    Invece Margherita è quasi morta insieme a lei, sbriciolata dalla depressione. Ernesto ha provato a tenere a galla il matrimonio per due anni, poi ha cercato rifugio altrove, un’unica volta. L’ha trovato proprio nella ragazza che si prendeva cura di sua moglie. Il suo bisogno di riscoprire qualcosa che somigliasse, anche per disgraziato errore, alla felicità, si è spento dopo appena un’ora di sesso. Ora sono soli, tutti e tre. Il più disperato è proprio Ernesto.

    Da mesi carica sul taxi Prudence fuori turno ma non lo fa più per i soldi, è che le vuole un bene dell’anima. Non può lasciarla sola, soprattutto quando cala il buio. C’è una cosa che la ragazza fa da tempo, una volta a settimana, quando è libera dal lavoro. Ernesto la accompagna, la va a riprendere e spesso non si fa neppure pagare. Litigano sempre, quelle notti.

    Prudence non vuole elemosina da lui. Le è piaciuto subito quel tassista che conta il doppio dei suoi anni, sfoggia la statura di un gigante insieme alla tenerezza di un bimbo e soffre di una malinconia straziante intrappolata negli occhi chiari. Spesso diventano più cupi dei suoi, sfumano in un grigio scuro che la sorprende. Certe volte vorrebbe chiedergli il perché, ma nella loro stramba conoscenza non sono previste troppe domande. Le serve un amico fidato per muoversi senza lasciare traccia, non può concedersi il lusso di screditare la sua nuova rispettabilità.

    Era nessuno. Adesso invece ha un documento in regola e sopra c’è scritto che lei è una persona. Deve scivolare nella città come una delle sue tante ombre, ha bisogno dei soldi di quell’uomo anziano e gentile. Ricco e profumato, la paga benissimo. È pazzo della sua dea, è così che la chiama. Quando finiscono le accarezza piano la schiena. Le bacia con tenerezza i capelli, le scapole, le natiche mentre è stesa a pancia in giù sulle lenzuola a specchiarsi nella luna fuori dalla finestra. Prudence gli passa con affetto le mani fra i capelli bianchi. Non gli offre altro che il suo corpo e non sorride, lei non lo fa mai. Il suo sguardo, però, è pieno di gratitudine.

    La ragazza ha da tempo un piano, un obiettivo preciso, ma qualcuno vuole impedirle di riprendersi ciò che le manca per ricomporre la sua vita. Non accadrà. Da quando è diventata una persona ha giurato a se stessa che non avrebbe mai più consentito a nessuno di decidere per lei. Del resto, Roma è piena di fantasmi cattivi. Basta indicargli dove si nasconde il diavolo. Con una spranga di ferro, un coltello, a calci e pugni. Non le importa in che modo. Basta che gli facciano molto male, prima. Sa come procedere, deve solo trovare soldi e coraggio sufficienti per liberarsi di lui. Non troppo denaro, a dirla tutta. I soldi le servono per un’altra ragione. Balordi che ucciderebbero anche la madre per poche centinaia di euro non sono una rarità, la parte complicata è un’altra. Prudence un’alternativa in realtà l’avrebbe, sarebbe sufficiente mandare di nuovo in prigione un delinquente. Stavolta, però, è tutto più difficile.

    Il tassista immagina cosa faccia la ragazza certe notti in quella casa, ma non le ha mai chiesto il perché. Arrivano a destinazione, l’indirizzo è sempre lo stesso: una palazzina a tre piani situata nei lotti che si snodano superato l’arco di piazza di Sant’Eurosia. Il cancello in ferro battuto sta per inghiottire Prudence che scende dal taxi e gli dà un bacio sulla guancia. Prima di voltargli le spalle, gli punta un dito contro.

    «Stavolta pago, non fare solito defisciente!» Lui sorride, non ha mai capito se quella sc strascicata sia lingua hausa oppure romanesco.

    «Stai attenta, piccole’…»

    «Non sono piccola, Erne’. E non devo stare attenta. Non è mica è il diavolo, lui

    Il tassista attende sempre qualche minuto, quelle notti. Aspetta che la ragazza citofoni, oltrepassi il cancello e poi superi i pochi scalini che la separano dal portone, prima di allontanarsi. Scuote la testa. Non capisce, ma neppure giudica. Prudence ha il diritto di accettare soldi da quel vecchio, se vuole. Nessuno la costringe, è questa la differenza.

    La luce dell’ingresso al primo piano si accende, la sagoma della sua bellissima amica si fonde con quella dell’anziano. Lui le regala una carezza dolce sul viso, più tardi Prudence fisserà la luna dalla finestra e gli terrà compagnia senza dover più fare altro. Qualche ora dopo, finito il turno di notte, Ernesto la riaccompagnerà a casa. All’alba, come d’accordo. Le porterà i cornetti caldi, quelli con la Nutella. Solo che stanotte non andrà esattamente così.

    3.

    Le grandi città hanno il sonno leggero

    Le grandi città hanno il sonno leggero, tengono la luce di emergenza accesa in piena notte come le madri impegnate a risolvere bisogni, pianti, sonni interrotti da incubi improvvisi. Roma non fa eccezione, sono quasi le tre del mattino eppure molti suoi figli hanno gli occhi spalancati.

    Il coro scomposto delle voci non tiene il volume basso, la curiosità grida più forte del rispetto. Una giovane donna piange senza autentico motivo. Non conosceva la vittima, così ha dichiarato, eppure sembra una prefica sbucata da un poema di Omero. Un agente della volante strappa di mano il cellulare a un ragazzetto che mastica chewing gum e opportunismo. Pensa a nutrire i suoi follower sui social, lui. Ha iniziato a filmare senza ritegno, il piccolo sciacallo, come se il corpo senza vita accanto a un sacco di immondizia rovesciato sull’asfalto fosse quello di una bambola.

    La ragazza è supina sul marciapiede. Poco distante da lei l’aura dell’interesse morboso è soffocante, ogni cittadino che si rispetti ne ha una scorta da tirare fuori al bisogno. Alcuni poliziotti tengono a bada una piccola folla, nessuno ha notato nulla eppure ci tengono tutti a vedere qualcosa. Un anziano duro d’orecchi si dà di gomito con un compare più sordo di lui. Indossano le ciabatte e vecchi cappotti infilati sul pigiama per smorzare il freddo. Tutti e due mangiati dal sonno, eppure osservano e tirano somme. Ipotizzano scippi o violenze carnali finite in tragedia – che poi, cosa ci faceva in giro a quest’ora di notte da sola? Poi dici che nun è vero che se la vanno a cercà! – sentenziano, sermoneggiano, criticano ogni movimento degli agenti scuotendo la testa. Urticanti come quelli che nei cantieri pontificano contro il capomastro che no, non è mica così che si tira su un muro portante. Non mancano mai sulla scena di un crimine all’aria aperta.

    Parcheggiato a cinque metri dal corpo c’è un camion dell’AMA, un agente della mobile ascolta di nuovo la deposizione dei netturbini anche se non hanno granché da aggiungere a quanto già riferito ai colleghi della volante. Il più anziano di loro è già alla terza sigaretta in mezz’ora, l’autista resta aggrappato alla maniglia del predellino a bocca spalancata. Ha l’aria stordita, come se non ricordasse più che è stato proprio lui a chiamare la polizia e non si capacitasse di trovarsi in mezzo a tutto quel casino. È il più giovane dei tre, quello a cui per lo shock è sfuggito di mano il sacco della spazzatura, che sta ripetendo ai poliziotti il poco che ha visto.

    La scientifica ha già delineato la zona con i nastri, iniziato a effettuare rilievi, imprecato per un lieve rovescio che ha annacquato l’asfalto complicando tutto. Non ci sono parcheggi liberi negli immediati paraggi, la strada è bloccata dalla macchina della mobile ferma in doppia fila, così come la civetta della volante.

    La prima ambulanza con la sua sirena ha svegliato mezzo rione e trasportato il corpo di un uomo nell’ospedale più vicino. Forse si salverà, respirava ancora. Quella destinata alla ragazza, invece, dovrà attendere i rilievi esterni del medico legale e l’autorizzazione del pm per andarsene da lì.

    Inginocchiato accanto a lei, fino a pochi minuti fa, c’era Ernesto. Gridava frasi compromettenti, l’hanno sentito in molti. Mordelli gli ha ordinato di darsi una calmata, di bere un sorso d’acqua e infilarsi nell’auto della volante, sui sedili posteriori, ad aspettare l’arrivo di Proietti.

    Paolo parcheggia la Guzzi pochi minuti dopo, ne sono passati appena quindici dalla telefonata del collega. Gli tremano le gambe, non capisce se per rabbia o per angoscia, armeggia con il cavalletto senza riuscire a issare la moto finché un vaffanculo non lo aiuta nell’impresa. Sfila il casco, lo appende di traverso sul manubrio.

    Intravede le lunghe gambe di Ernesto sbucare dall’auto della volante, due passi in più e riesce a scorgerlo a figura intera. Muto, a occhi chiusi, si tiene il viso con i palmi insanguinati e dondola ritmicamente il busto. Senza fretta, stacca le mani dal capo e sparge rosso vischioso sui capelli, un gesto che fa venire i brividi. Riprende a oscillare, fluido e lentissimo, come se non avesse più le ossa. Paolo vorrebbe afferrarlo e scuoterlo, gridargli addosso, magari abbracciarlo e dirgli forza, andiamocene. Che cazzo ci facciamo noi due qui?, ma non può. Il tassista sembra uno di quei pazzi invasati

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