Vela passione folle: Ordinaria follia in mare e sulla terraferma
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Anteprima del libro
Vela passione folle - Anacleto Realdon
È TORNATA
È voluta tornare, nonostante se ne fosse andata l'ultima volta accompagnata dagli scongiuri dell'intero equipaggio maschile. Tutti i maschietti avrebbero giurato che quella donna portasse sfiga: nei suoi quindici giorni di permanenza a bordo, troppi erano stati i guai accumulati.
Ho accettato che tornasse perché veniva accompagnata da un bel fusto che si dichiarava molto navigato. Forse con la sua presenza avrebbe annullato la sfortuna adesa a quella donna.
L’abbiamo vista arrivare con due ombrelli, una tunica verde, un asciugacapelli, un aspirabriciole da 220 volt, un ferro da stiro, un set completo per manicure, pedicure e un casco di banane per il suo fabbisogno giornaliero di potassio. Tutti elementi che i marinai da tempo associano alle maggiori disgrazie a bordo.
Purtroppo anch'io, inizialmente incredulo, ho dovuto confermare le millenarie superstizioni legate a tali indizi.
Dimenticavo, dovevamo anche partire di venerdì.
Avendola dovuta aspettare qualche giorno, l'opera viva della barca si ricopriva di denti di cane e mucillagini.
Era già di cattivo auspicio.
Ho consumato due bombole per ripulire lo scafo in immersione.
Il dissalatore, appena revisionato dalla ditta costruttrice, è andato in avaria il primo giorno.
Nella prima settimana l'avvolgifiocco si è rotto due volte.
Il miscelatore della doccia di poppa improvvisamente è stato sputato fuori dal suo alloggiamento.
Il teak della coperta appena rifatto è andato a liquefarsi.
È saltata una presa a 12 volt.
In compenso la donna si riscattava in cucina. La sua specialità: pollo arrosto con peperonata senza peperoni.
Il disastro più grosso si preannunciava all'orizzonte. L'avevo incaricata, improvvidamente, di riempire il serbatoio d'acqua di prua. Lo ha riempito tanto da farlo scoppiare e riversare tutto il contenuto nei gavoni, anche in quello contenente il motore elettrico dell'elica di prua che risultava subito fulminato.
Una notte insonne al pensiero di quante migliaia di euro mi sarebbe costato quel danno che sembrava irreparabile.
Nella mia disperazione ho permesso che quella donna sottoponesse la delicata strumentazione a un singolare trattamento.
Per una notte intera ha lasciato acceso il suo prezioso phon supersonico e digitale nel vano dell'elica di prua (in inglese Bow-thruster).
La mattina dopo avremmo dovuto divincolarci da un ormeggio che risultava imprigionato tra smisurate barche a motore, dai velisti chiamate ferri da stiro, in una marina con pontili tra loro paurosamente ravvicinati.
Ho impartito all'equipaggio le istruzioni per tentare un disormeggio che sembrava disperato senza l'ausilio dell'elica di prua.
Ho acceso il motore. Appena partito, in automatico, ho attivato anche l'elica di prua che, incredibilmente, ho sentito subito funzionare.
D'ora in poi, contravvenendo ai miei principi, raccomanderò alle signore che saliranno a bordo di equipaggiarsi dei loro più potenti asciugacapelli.
LA SCHIZOFRENIA DEL VELISTA
Io sono nato schizofrenico e morirò velista.
Ero schizofrenico da adolescente. Invece di farmi curare dagli psichiatri ho preteso di curarmi da solo, diventando io stesso psichiatra, e psichiatra di me stesso, innanzitutto.
Ci devo essere riuscito, a curare me stesso, e da psichiatra devo essere riuscito a curare anche gli altri schizofrenici, tanto che mi hanno propiziato una carriera ospedaliera fulminante.
Ma per non farmi contagiare dalla schizofrenia degli altri, avendo una frequentazione quotidiana degli schizofrenici, per salvarmi ho dovuto darmi alla vela.
La vela mi ha salvato dalla schizofrenia, da quella mia originaria come anche da quella dei miei pazienti.
Già ho filosofato sul significato simbolico della vela.
Che il velista compie un investimento simbolico della sua folle passione.
Adesso lo si può capire meglio.
La vela vola. Le vele fanno volare la barca a vela, la vela fa volare sia il corpo che lo spirito, la mente.
Schizo/frenia significa letteralmente in greco mente divisa
.
La vela, facendo insieme volare sia il corpo che lo spirito, li riunisce in un tutt'uno, riunendo il corpo alla mente e la mente in sé stessa.
Ed ecco che si attua la terapia sia del corpo che della mente.
VELATERAPIA
La vela è la mia terapia.
È quasi una battuta, un detto sempre più frequente tra i velisti e aspiranti tali.
La vela è una passione folle. Altra verità di cui si disserta tra gli addetti e non.
La vela non cura la malattia, ma la determina.
Si favoleggia di chi, partito in barca a vela dal nostro malato mondo occidentale, da malato di cancro, si sia trovato guarito una volta arrivato in Polinesia.
Si spazia dalla più grave malattia fisica alla più grave malattia psichica.
Qui potrei essere tentato di lasciarmi andare a una divagazione professionale sull'interconnessione tra mente e corpo.
La vela, come tutte le passioni, può essere sia una terapia che una malattia.
Mi ammalai di cancro, una prima e una seconda volta.
Del primo, oltre trent'anni fa, dovrei essere guarito.
Con il secondo ci convivo da oltre dieci anni.
Il mio convivente attuale si chiama, in gergo tecnico, linfoma indolente.
La sua indolenza è legata alla sua straordinaria benignità, alla sua scarsa aggressività. L'indolenza infida di un tumore che, paradossalmente, è tanto benigno quanto meno curabile e forse più inesorabile.
Infatti i medici a proposito del primo cancro, maligno, di trent'anni fa mi dicevano: «Il tuo tumore è tra i più aggressivi, ma proprio per questo tra i più curabili, perché risponde meglio ai nostri farmaci più aggressivi».
Ora ci convivo bene, con questo convivente.
È indolente, ma non insolente.
Mi permette una qualità della vita come mai l'ho mai avuta prima.
Vivo di vela 365 giorni l'anno.
Vela navigata per un semestre, vela pensata per l'altro semestre.
Per la mia malattia non faccio alcuna terapia farmacologica.
L'unica terapia cui mi sottopongo è quella della vela, praticata e non.
Non la vela agonistica delle regate allo spasimo, in cui un velista è contro un altro, ma la vela di chi vive in barca zigzagando per i mari, non solo per arrivare ma soprattutto per viaggiare, nel modo più economico ed ecologico.
Vivere di vento, sole e mare in una casa galleggiante tra le più instabili e scomode, la barca a vela.
Una sfida e una scommessa che ti giochi con te stesso e la tua barca, da solitario o in equipaggio.
Una scommessa nel sopravvivere in balia degli elementi della natura, non sempre favorevoli e in balia dei sentimenti, spesso contrastanti, tuoi e dei tuoi compagni di viaggio.
Una malattia indolente che ti fa vivere con