L'ora topica di Carlo Dossi
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L'ora topica di Carlo Dossi - Gian Pietro Lucini
Gian Pietro Lucini
L'ora topica di Carlo Dossi
EAN 8596547479437
DigiCat, 2023
Contact: DigiCat@okpublishing.info
Indice
SINTESI EPIGRAFICA
NOTIZIA PRELIMINARE
I. IL MOMENTO
II. COME È NATO
III. GENIALE EBEFRENIA
IV. PASSEGGIATA SENTIMENTALE PER LA MILANO DI "L'ALTRIERI„
V. L'HUMORISMO LO VENDICA
VI. «BASSE-COUR» — «TIERGARTEN» — «GABINETTO ANATOMICO» E.... «GINECEO»
VII. RAGION PRATICA
VIII. PERORAZIONE
l'ora topica di CARLO DOSSI
suonata da G. P. LUCINI
alla memoria proteggente di LUIGI PERELLI
che insiste viva e feconda
e che mi ricollega in amicizia sopra
due secoli, ultimo, al nostro
CARLO DOSSI
dal Palazzo di BREGLIA,
NEL TIEPIDO AUTUNNO LARIANO DEL 1909
SINTESI EPIGRAFICA
Indice
CARLO DOSSI;
è qui coi suoi amici,
continuando Rovani ha continuato Manzoni:
operò tale rivoluzione nelle lettere italiane,
nella forma e nel pensiero,
che le ha innerbate pei secoli;
ma non permise per sè imitatori dozzinali:
disconosciuto,
protende all'epoca, che già s'inalba,
la sua vera gloria confermata,
che i coetanei, troppo sordidi e sordi,
distrattamente, non gli concessero.
1849 — 1910
NOTIZIA PRELIMINARE
Indice
Giorno d'oro per le lettere italiane, quando, nel 1873, a cura di Luigi Perelli, in Milano, usciva il saggio di Giuseppe Rovani: La Mente di Alessandro Manzoni: io ne invidio l'aurora lucente e porporina e non presumo di emularla con L'Ora topica di Carlo Dossi. Però, le stesse ragioni presiedono per l'una e l'altra; se Carlo Dossi volle scrivere: «Rovani è il continuatore logico di Manzoni, come il Dossi di Rovani»; egli ha pur detto rivolgendosi a me; «siamo due campane fuse nello stesso metallo, ma di diversa capacità; diamo suoni di ugual valore, ma di diversa nota.»
Vorrò io perciò vantarmene e non far parte all'amicizia del di più che le deve in questo giudizio lusinghiero? Certo: ma oggi concorre a me, come già fu per Rovani, l'obbligo di una stessa affermazione. Ed in difetto di editori, i quali confidando in me e nella mia anomala letteratura come ditta e prodotti commerciali, commerciabili e reddituarii, mi fabricherebbero, allo spaccio, libretto garbato e corrente mi sia dato esporre, da queste pagine per me non venali e bandire, finalmente, il nome di Carlo Dossi, ai giovani della mia generazione ed ai giovanissimi che mi incalzano, e mi chiedono parole sempre più nuove con altre ed inedite audacie.
Anche tu, o Alberto, oggi dolorosamente desiderato dai tuoi che respirano nella tua memoria e nella tua fama, dalli amici che ti ammirano, da me che ti piango come fratello, sembra mi conforti ad esporre l'opera mia, cui, in parte, hai udito leggerti nelli ultimi tuoi dì: e se turba un poco la tua modestia non condannare la mia sincerità che non deve mai interrompersi. Che anzi, troverò commentatori privilegiati di officiosità e di ignoranza che, me la imputeranno a male come inezie di fisiologia, ciarle sconvenienti, pettegolezzi indiscreti, sciorinate citazioni per lusso da note inedite difficilmente controllabili. Hanno ed avranno torto, perchè mi affido a quanto il nostro autore desidera si faccia in questo caso, come lo apprendo dalla stessa sua parola: «A scoprire, a rifare il processo su cui una mente, specie di scrittore, ha voluto produrre date opere; a rintracciare l'origine del materiale da esso impiegato e trasformato, a conoscere lo stato d'animo di chi pensava o eseguiva, giova più che tutto l'esame di quelle intime carte, qualunque sia la sua forma, nelle quali l'artista ha segnato il suo primo pensiero e consegnò la memoria dei pensieri ultimi. Simili documenti i quali vanno dal più laconico aforisma all'epistolario più diffuso, e possono anche comprendere i conti di cassa e di cucina, sono tanto più preziosi, inquantochè un artista, come ha raggiunto la designata altezza, si affretta solitamente a cancellare le tracce della sua via, quasi a dare ad intendere che ei vi volò, non vi si arrampicò».
E, quando allora mi imputeranno, in qualche passo, tono, aggressione, polemica, siano tutti persuasi, che, col proclamare, ammirando, l'arte ed il pensiero di Carlo Dossi, tento di difendere e volontieri me stesso.
G. P. Lucini
Dosso Pisani, il XXVIII di Gennaio, CMXI.
I. IL MOMENTO
Indice
La fortuna, che sorresse e si oppose insieme alle opere ed al nome di Carlo Dossi, fu bizzarra, generosa e maligna nello stesso tempo. Mentre ne ha protetto l'amore e l'ammirazione tra i migliori suoi coetanei e lo ha riservato al culto de' giovani, non volle che la rinomea larga e sparsa, con facilità e tornaconto si divulgasse tra il pubblico grosso, quello che fa numero, sostiene il valore reale e crea, effimeramente, le gloriole posticcie; ma senza di cui l'efficacia dell'azione, la bellezza della letteratura, la verità dell'accusa e la giustizia della rivendicazione non hanno nerbo, latitudine, determinata vittoria.
Il clamor gentium evangelico contrasta, è vero, coll'odi profanum vulgus et arceo oraziano; ma l'opera d'arte, composta lungi dalla frequenza e dall'intemperanza della folla, va pur rovesciata sopra di lei; e questa, se non vuol disertare, cioè, privarsi di un piacere tanto più intenso quanto più difficile, deve accoglierla e profittarne.
Non per questo Carlo Dossi vi si accostò; proprio e fondamentale costume il suo di rimanerne schivo; e lo accompagnò, dai primi istanti del suo produrre, costantemente, se Antonio Ghislanzoni, volendo parlare della Vita di Alberto Pisani incominciava: «Ne[1] è autore Carlo Dossi, un giovane letterato, che pochi conoscono, per la semplice e perentoria ragione ch'egli studia ogni via per tenersi nell'ombra; uno scrittore di elettissimo ingegno che si affatica quanto sa e può, onde apparire un dappoco.» Pochi dunque lo conoscevano; ma quali pochi? Nelle ultime stagioni di sua vita, Manzoni lo aveva letto e se ne era compiaciuto; Rovani, definitivamente, lo aveva preso per mano e condotto fuori, con lui, all'aperto; Carducci, nelli anni gagliardi, si arrestava insieme a conversare e a definire La Colonia felice «la più ampia e vigorosa concezione di romanzo.» Cesare Lombroso, che seppe circoscrivere i confini della pazzia ed oltre pose il genio, malattia gloriosa; che aperse nuove vie alle discipline italiche e sottrasse al libero arbitrio biblico, che l'incatenava alla bruttura del peccato originale, come ad una condanna di maledizione, l'uomo, riducendolo a sè stesso, libero, responsabile finchè sano; accoglie e favorisce la presentazione di Carlo Dossi per Alberto Pisani, li riconosce uno e li conserva nella sua Grafologia, indice di genialità. De Amicis impara da lui a sapere i Cento anni, che ignorava; mite, castigatissimo, ultra manzoniano, tutto sentimentale, sino alla patologia delle lagrime inutili e facili, lo pregia scrittore d'eccezione grande e La Desinenza in A un'opera forte e virile. Gigi Perelli, visitatore d'anime rare cuore plasmato all'altruismo, la di cui vita è una serie di continui benefici per coloro che ama, scopre e protende, lo sorregge con affetto più che fraterno, paterno, lo difende e lo inalza, gli addomestica le prime voci della pubblicità, gli va ricercando un pubblico. Paolo Gorini, con Perelli e con Primo Levi, lo accoglie nella sua intimità; per loro si dimentica a raccontare la sua Autobiografia, insempratore di cadaveri metalizzati, Prometeo di vulcani, abolitore della putredine umana col fuoco: e Cremona, al dir del Dossi, gli insegna, dipingendo, come si debba scrivere e ne perpetua ed infutura la sua effigie. — Paolo Mantegazza lo chiamò «il Meissonier della letteratura, tutto cuore e tutto spirito». Cesare Correnti gli offerse la sua squisitissima arguzia; lo ammette tra i più cari, da che Carlo Dossi ama l'impossibile ed egli è un po' del suo parere «avendo imparato in sessant'anni di vita che al mondo non vi è altro di desiderabile che l'impossibile». — Crispi, il più grande uomo di Stato, che la Rivoluzione abbia dato all'Italia e che la paurosa grettezza della Monarchia e la tirchia meschinità del parlamentarismo piccolo-borghese abbiano esautorato, lo volle con sè collaboratore. Ed altri ancora, Grandi, Magni, Robecchi-Brichetti, il padre Tosti, Luca Beltrami, Polifilo di arguzie politiche, instauratore di un'altra e milanese scuola di Leonardo, col raccoglierne i cimelii con riproporne le carte, col rinnovarne i monumenti; il Ranzoni, pittore di rose, di monache e di garibaldini; il Conconi, acquafortista di notturni dossiani, descrittore della Casa del Mago, e fantastico di bizzarrie pittoresche; il Troubetskoi, statuario magnifico di imperatori barbari, zoofilo illustratore di vite e di forme animali, signorile ritrattista di primavere ricche e feminili; — tutti questi il miglior fiore dell'ingegno italico contemporaneo, anzi, della genialità, gli si fecero vicini, donde egli rientrava nella lucida, preziosa e profumata corona, su cui si adagia, lentamente, la cronaca, colla celebrità, per produrne, ai maggiori, la gloria, nella storia. E bene; con tutto questo, a Carlo Dossi mancò e mancherà la rinomea; ma è sicurezza sua di sopravivere al fiato vagolo e capriccioso delle acclamazioni troppo facili, poco spontanee, meno comprese e più vane. Egli non se ne cura, non se ne curò, esercita operosamente la sentenza del saggissimo antico: «bene vixit qui bene latuit:» ma a chi rimase nascosto? — Mentre, di sulla Cronaca Grigia Cletto Arrighi, scapigliato irriducibile a trapassare dalla Canaglia felice a Nana a Milano, dal Teatro Milanese al Carro di Tespi, si era accorto, primo, di lui, lo aveva riposto sulli scudi, lo mostrava ovunque, battagliava in suo onore; Primo Levi lo manifestava in sul bel principio, schietto, limpido, tutto polpa sana, spoglio d'ogni convenzionalismo, carattere intiero e specifico di letteratura in — I libri di Carlo Dossi, considerazioni biografico-sociali, additandolo indice di una mentalità moderna, eretta da ragioni politiche, nel tempo in cui si rinnovava una nazione, si ritentava un carattere nuovo all'Italia, si proponevano all'arte, alla filosofia ed alla pratica nuovi quesiti, altre esperienze, al cittadino, deliberate libertà. — Mentre Eugenio Camerini lasciava, per lui, la profonda, severa e serena dottrina, dalla quale riuscivano nette e perspicue le sue prefazioni ai classici e ripassava, con diversa e moderna intenzione, le vicende letterarie, ottimo scolaro alle Lezioni di Eloquenza di Ugo Foscolo; — l'acutezza persuasa, preveggente e generosa di Felice Cameroni lo citava in ogni sua Appendice, in sul Sole, L'Italia del Popolo, La Valtellina, Il Tempo; ne cercava paragoni e paralleli, continuava a ripeterne il nome e l'opera, sollecitandogli lettori, facendogli credere ch'egli avesse un pubblico, illudendolo sulle riconosciute sue virtù, — e chi dice lettori di Carlo Dossi, sottintende subito amici od ammiratori. — Mentre Luigi Capuana, ne' suoi Studii sulla letteratura contemporanea, con attenzione sagace gli dedica molte pagine; lo raccomanda fra quelli verso cui Gautier inchinò la preziosità di Les Grottesques, dove occuperebbe il primo posto; lo rivede fenomeno e caso letterario, donde si rivelano qualità di primo ordine, che, insistendo sul lettore, coll'energico effetto della realtà, gli porgono un'acuta eccitazione interiore, escludendone la volgarità, l'impotenza, l'anemia, l'aborto: — alcuni Magazines inglesi lo nominano e se ne interessano. — Se, Pipitone Federico non lo trascura nei Saggi di letteratura contemporanea, non lo confonde coi settatori del carnalismo, per quanto lo giudichi un realista, non lo impegola nella caterva nova, nata allora dalle lucidature mürgeriane, dalle risciacquature di Gérard de Nerval, dal fondo di bottiglia della gazzosa stecchettiana; ma lo fa vindice delli Antinoi-Menecmi dell'arte, ingualdrappati dalle scorrevoli frasette de' beceri toscani; humorista, lo pregia sopra a tutto, ruggente come un leone, o guerriero gallo colla lancia imbevuta del succo dell'aloe acerbo, disturbatore di pacifiche digestioni, rimprovero vivo ai bottegai scioperoni e sfacciati della feconda vendita delle candele di sego, dello zucchero, del pepe e delle loro abilità giornalistiche: — Ferdinando Fontana lo tramanda nel Dizionario dei poeti milanesi in ottima compagnia. Se Eduard Rod lo contemplò, colla usata sua competenza, in Romanciers italiens, apparsi su La Nouvelle Révue; lo spiegò letterato di razza, nel senso più raffinato della parola, poliglotta, istitutore a sè stesso della propria coltura letteraria, autore di libri di una eccessiva sensibilità, di una ironia acuta, di contorcimenti di stile e di pensiero, in cui il pessimismo prende il sopravento sopra la sua fondamentale sentimentalità, e la misantropia cerca di vincere invano la sua profonda carità umana: — a cura di Elena di Götzendorf, un Hausbuch tedesco ne stampava la biografia, il ritratto, le traduzioni; Elena, amica conosciuta per lettera di lontano, non veduta mai, promessa a fine tragica, compartecipe al suicidio dello sposo amatissimo, intenta, forte e soave intelligenza feminile. — Meglio avvisato Vittorio Pica lo riguarda in All'Avanguardia, comparandolo alli autori che il simbolismo francese, allora, suscitava; a Villiers de l'Isle-Adam, a Mallarmé, a Verlaine, all'Huysmans, alli altri, che si compiacciono di un ideale d'arte ultra eccezionale ed aristocratica, e si cercano, per lettori, un numero esiguo di delicatissimi, coi quali, quasi collaborano per la completa efficacia delle opere loro; poichè la sapiente suggestione di simili scritti lascia spazio e margine alla fantasia ed alla sensibilità di quelli, onde li possano completare personalmente. — Ma, se Benedetto Croce gli sommette un lungo articolo sulla Critica, si confonde nella ricerca della sua speculazione; non così l'altro giorno, da su Poesia, la leva del futurismo internazionale, quando se ne proclamò il nome a bandiere spiegate, precursore «assodato di efficacia e sopravivenza; non così io stesso, se ricorro, a lui per esempii, esperienze e risultati, col Verso Libero: e l'opera del Dossi mi risponde, prova reale ed operante delle mie affermazioni estetiche attuali.
Dopo ciò, egli può essere ignorato dalla gazzetteria spicciola de' grandi giornali, dove la critica è facilmente sgomenta, dove non vi sono caratteri tipografici e carta per nominare queste tempre d'uomini tutto nervi e coraggio civile, che non temono la verità, che esercitano l'eroismo pericolosissimo, in questi giorni di maschere condecorate, della sincerità. Hanno industrializzato l'arte, la scienza, la politica, l'opinione pubblica; vi concorsero i vermiciattoli della scribacchiatura venale, i dubii arrivati, li imbecilli arrivisti, i così-così, in caccia di un ciondolo mallevadore della loro onestà, che poco persuade. Per costoro, piccolini e mediocri, Carlo Dossi rimane sempre colui noto all'epoca della fioritura sommarughiana, autore di qualche bizzarria eccentrica e curiosa. In cambio, codesti fogliaccioni sesquipedali, hanno lunghe articolesse sopra i garretti e la meritoria pietà cattolica e da veloce scaccino dei Dorando Petri, sopra la muscolosa trucolenza dei Raicevich, intorno ai voli per l'aria e le passeggiate sott'acqua, le visite dei Reali ai disastri siciliani, e di Fregoli al Papa, le scialuppe e li emetici curialeschi e di Assise, li elettuari fogazzariani, le cantaridi, finalmente ribassate di prezzo e di valore, d'annunziane, le acque sporche di polveri virgiliano-romaniche del Pascoli e via via: il costume non si rimutò.
Anche tutt'ora, codesta rivendita di parole stampate ad uso della borghesia fannullona ed arrivata maschererà, sotto un interessamento d'imprestito, dovuto al nome formidabile dell'editore letto sopra la copertina delle recentissime opere complete dossiane, la sua malagrazia e sopra a tutto la sua supponenza spaventata e melensa davanti alla gratuita sincerità. La paura non è a fatto tranquillizzata, non le fobie persuase, non l'ignoranza confessa: tutte queste stigmate morali si ereditano atavicamente; i figli, nuovi accademici, patiscono le stesse malattie; e, se oggi, per rispetto umano, o per millantato credito, andranno al richiamo di chi scrisse la Desinenza in A, minimamente la comprendono, nè la lessero.
Avevano i padri trovato già temerari Mantegazza ne' suoi saggi popolari scientifici, Cremona nella sua pittura, Grandi nel suo Beccaria, Torelli nella dramatica. Il loro gusto aveva applaudito e si era imparadisato alla nuova e mengoniana. Galleria Vittorio Emanuele, alla statua di Rossini di fresco eretta, nell'atrio della Scala, alla oleografia della Stuarda del Valaperta, esposta a Brera, all'Olema melopea romantica e spappolata, che furoreggiava dalle ribalte liriche milanesi. A buon diritto, La Fidanzata russa del Fontana, il Mefistofele del Boito venivano biasimati. E, l'utile, proprio come oggi, era proposto all'ideale, sogno, utopia, fola. Essi si erano domandato: «Che pazzia è mai questa del Dossi, di scrivere senza la falsariga comune e di non curarsi delle vecchie ed autorevoli penne d'oca della critica?» E molti se lo domandano di bel nuovo.
«Che ci viene a fare quest'uomo, eccesso verbale, scrupolo di onestà letteraria, che scrive l'opera, non della stagione, ma nel tempo; cui vediamo armato d'ogni arma, che ci racconta senza rispetto, «tra[2] gli scrittori abortiti, in professori di belle lettere, tra gli spulcia codici, i puristi, gli etimologisti», tutta roba seria e patentata; i quali riguardano con sospetto il libro nuovo, senza pensare che i nascituri, saranno, per esperienza, molto più doviziosi delle miriadi de' loro antenati?» Tornano a dire i recentissimi, pe' quali la resurrezione tipografica di Carlo Dossi non sarà sufficiente a commuovere, nella pigrizia del loro cuore venoso, un palpito più affrettato di snobismo.
Ma altri si mostreranno col sorrisetto della accoglienza, verso di lui; altri epigoni di quel giornalismo, di cui sopra, ripassati da un nuovo strato di biacca, riconfortati sul nero fumo confessionale, sul roseo sporco del liberal-conservatore; e vorranno, per estemporaneità, dimenticarsi delle antiche e paterne ingiurie avventate contro di lui. Pure, la discendenza è diretta: le parole ch'egli raccolse ne' Margini, nelle Etichette, nelli Invii, preposti alle prime edizioni a difesa e ad offesa, gli giovano tuttora. Giovano contro li eredi della cronachetta bonghiana suadente ad ogni mercede, per li usufruttuari dell'inconfessato livore baseggiano, ai continuatori della pratica grettezza inelegante e veramente costituzionale della mecanica giornaliera di un Torelli-Viollier, compilatore di diarii arroganti, plurireddittuari, in quest'ora bassa, senza ideali di giustizia, per cui è lecito scrivere senza entusiasmo e libero abbandono; dileggiano li ultimi scolari di un Verdinois buon anima, anguilla, a sgusciarti dalle mani.
Furono in allora, e sono anche qui, quelli rimasti in sui confini delle comode legalità, quelli, che sono sempre responsabili delle loro azioni, e ne pagarono li eccessi di persona; i sovversivi, insomma, coloro che fecero e fanno gran caso della personalità letteraria di Carlo Dossi, sbandierandola dalle loro gazzette: furono essi, che lo posero all'avanguardia del pensiero civile, foriero di estetica e lo difesero. Furono i nostri critici di pura tempra repubblicana, come il Dario Papa, le nostre riviste sbarazzine come La Farfalla, insignita dalla bella testolina sorridente di Tranquillo Cremona, che, contro tutto e tutti, conservarono alla democrazia l'aristocratico fascino della cultura umanistica, rappresentanti diretti della italianità di genio, continuatori del pensiero di Romagnosi, di Cattaneo, di Mazzini, della poesia di Foscolo; i generosi di sangue, d'audacie e di sacrifici, quelli che lo presero in sicurtà e che tuttora lo difendono colla mia penna.
La presente opportunità alli altri, forse, farà loro dimenticare. Non vorranno accorgersi, che, se Carlo Dossi taglia ancora con buona lama affilatissima dentro la loro carne viva, non potranno affidarsi all'aiuto d'Alberto Pisani, uomo ufficiale d'ordine e decorato, perch'egli ne medichi le piaghe, colla preghiera di scusargli il fratello irritato ed impulsivo, come dev'essere ogni artista. Ambo, oggi, hanno moltissime ragioni e diritti per colpire insieme; perchè grave la doppia ingiuria venuta contro di loro da questa parte, e la patirono insieme, generosamente in silenzio, ma non ismemorati di nobile vendetta. Si facciano dunque in là col melenso sorriso della accoglienza. Il tempo insiste ma non rimuta nelle intelligenze i loro pensieri atavici. Noi diffidiamo delle loro attestazioni troppo in ritardo per essere sincere.
Non importa. Attualmente concorre a lui la schiera giovanissima; e, se il Cœnubium luganese domanda alli intellettuali il titolo dei quaranti volumi da loro preferiti, Pio Viazzi, esteta e legislatore, si piace di comprendervi le opere dossiane. Dossi, intorno a sè, sente il suffragio riverente delli ultimi venuti di sulla letteratura, di coloro che incominciano: siano Gustavo