Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L'idolatra
L'idolatra
L'idolatra
E-book130 pagine1 ora

L'idolatra

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Romanzo intimista e di impronta sentimentale, dalla prosa misurata ed elegante, L’idolatra non sfugge alla critica letteraria del tempo e incontra un certo, incoraggiante favore. Ne scrive ad esempio positivamente Gino Cornali su «I libri del giorno» del maggio 1920.
Rivista Tempo Presente, N. 478-480. Fondazione Giacomo Matteotti

Velia Titta
(Roma, 12 gennaio 1890 – Roma, 5 giugno 1938) è stata una poetessa e romanziera italiana. Sorella del baritono Titta Ruffo, fu moglie del politico socialista Giacomo Matteotti.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita13 giu 2024
ISBN9791223048658
L'idolatra

Correlato a L'idolatra

Ebook correlati

Narrativa letteraria per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su L'idolatra

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L'idolatra - Velia Titta

    I.

    La prima cosa che rivide, appena messo piede ne la stanza che serviva da vestibolo, fu l’angioletto liutista del Rosso Fiorentino, in quella stessa luce che veniva da i tetti a sollevargli da le corde la testina scapigliata. Fuori, le stesse fragranze di caffè e di basilico, lo stesso rumore leggero di stoviglie e di cristalli, che veniva dal giardino de l’albergo ogni sera prima di cena; e lì su la terrazza piena di canne e di colombi il tramonto di una di quelle giornate d’inverno terse e vibranti che empivano la città di luci rosse e di fluidi.

    Entrando per la porta socchiusa, nessuno si era accorto di lui. Attaccò il soprabito al solito braccio spezzato che sporgeva dal muro e si accostò ai vetri a guardare l’interno de la casa, in quello stesso brivido d’aria che precedeva le stelle nei passati crepuscoli di tramontana. Tutto era simile ad allora. Presso una finestra, al di là di un tetto, una donna cullava un bambino con le spalle rivolte al davanzale. Si vedeva ne l’interno de la stanza la culla sopra due assi, e in fondo un lume acceso tra un’urna e una pianta. La cantilena interrotta da lo scampanare di una chiesa arrivava a quando a quando fin lassù, tremante e fatta suono da la improvvisa devozione di un’eco.

    Nessuno si era accorto di lui, ma un colpo d’aria cruda gonfiò fino in fondo la tenda nel vano della porta facendola battere con violenza, e Landino gli comparve a le spalle, fra la soglia e la parete, con la corrente nei capelli e la commozione su le labbra.

    — È proprio vero, sei tu Dani! – Lo abbracciò stretto e lo spinse verso la finestra. – Sì, sei tu, lascia che ti veda alla luce; oh Santissimo! Me l’avevano detto giù i commessi: è passato, è andato di sopra! Ma come crederlo se da anni non ho più tue notizie? Ah figliuolo!

    Anche Landino era quasi lo stesso di allora: forte, piantato, ancora con quel che di giovanile in tutto l’aspetto, nonostante i capelli imbiancati e le spalle un po’ curve; ma lo sguardo conservava quella dolcezza profonda che Dani aveva tanto amato da ragazzo.

    — Siediti un momento, ho bisogno di riavermi. Nessuno sa nulla, nessuno. – Lo scosse, lo lasciò, andò due o tre volte da la finestra a la porta senza poter parlare per l’agitazione, poi si piantò in mezzo a la stanza con gli occhi in terra e le mani in tasca. – Ebbene, ora ti dirò a poco a poco. Sappi che non c’è quasi più nessuno di tutta la gente nostra di magazzino. Purtroppo è così. Ma i pochi rimasti sono quelli che ti amavano assai. Tu forse non sai più che cosa vuol dire la buona memoria di una persona.

    Daniele lo guardava con curiosità, senza saperne il perchè, richiamato a la vita sua trascorsa là dentro, da quell’odore sottile d’olio di lino e di violette sfiorite che circolava tra il pavimento e le pareti.

    Quella vita non gli era mai parsa meritevole di memoria; eppure adesso era laggiù lontana e agitata, come il piccolo fuoco rimasto a veglia di una festa che non si celebrò.

    — La buona memoria.... – ribattè soprappensieri. – Già sono dieci anni ormai. No, aspetta, non ancora. Andai via in settembre e ora siamo in gennaio. Ma non ci pensiamo; ho tante cose da dirti.

    Andò verso il divano, ne l’angolo del muro.

    — È stata una brutta vita, lo sai? Ma adesso è bella. Dirigo un ospedale di ottocento letti. Si fatica molto, ma si lavora insieme con gente d’ingegno. Gli uomini sono più buoni di quanto si creda.

    Gli occhi gli scintillarono. Si rannicchiò ne l’angolo del divano, assalito da quello stesso brivido di quando faceva giorno a tavolino, senza un tizzo o un po’ di brace che gli riscaldassero la stanza. Ma si distrasse subito. Rumori di sega e di cannelle aperte andavano e venivano dal corridoio a l’ultima stanza in fondo a la terrazza, che una volta serviva a custodire le cornici dorate di fresco.

    — Ecco li stessi rumori – disse voltando il capo alla porta. – Appena sono entrato e ho veduto laggiù in fondo le canne, le gabbie, il muraglione con li scalini sotto pieni di vasi, e ho sentito il rimescolìo delle stoviglie venire di qui come ogni sera prima di cena, mi è parso di rincasare da la camminata che facevo quasi ogni giorno fuori de la Porta a Mare.

    Landino lo guardava senza batter ciglio, ricercandogli nel viso tracce scomparse. Egli si era fatto un uomo, semplice e amante del suo mestiere.

    — Così pensavo che aveste dormito per dieci anni. Invece ho veduto che hai affittato anche l’altro vano de l’antico caffè....

    — Era vuoto da un anno e a me occorreva una vetrina su la strada.

    — ....e fatta un’insegna di bronzo che prima non c’era. Bellissima; dal ponte si vede risplendere nell’acqua. La tua solita larghezza.

    — Poca cosa. Gli affari sono andati male per qualche anno e volevo smettere. Dicevano che facevo il mercante, senza un lume la sera, nè un panno in vetrina che desse risalto a li oggetti. Come non fossi un mercante! La necessità del lucro danneggia il sentimento de l’arte. È stato Corradino a consigliarmi, te lo ricordi?

    — Sì, Villanova; passando mi è parso di vederlo dietro la vetrina.

    — Ebbene, è un ragazzo d’ingegno. Sembrava che non dovesse riuscire a nulla, e invece è stato per tre anni il più bravo allievo di Giustino Antenna in Borgo largo. Ora copia l’antico a perfezione, fa il restauro e il distacco, è pratico e diligente. Suo padre gli lasciò un fondo di strumenti che avevano a Lucca sul Fillungo, perchè andasse avanti alla meglio a studiare l’architetto finchè potesse fare qualche cosa da sè. Io avevo preso allora il nuovo locale e gli proposi di venire. Egli accettò; e adesso dirige quasi tutto lui. Hanno ancora dei pezzi di valore, vedrai. Hanno fatto una stanza per l’intaglio e ci lavorano dentro in quattro. Poi, sembra che si siano intesi con la Raffaella, e si sono sposati. Ecco come stanno le cose.

    Landino tacque, e fissò la tenda riflessa nel pavimento.

    — Tu parli di Lela – disse Dani con sorpresa dopo un attimo di silenzio.

    — Già è vero, da tanto tempo non si ha più l’abitudine di chiamarla così; eravate ragazzi allora. Ma questa volta non rimango solo come quando andaste via di casa tutti. No, adesso basta.

    Una grande amarezza passò nella sua voce e parve turbato.

    — Non voglio morire come un cane! Ci deve essere qualcuno al mio letto, e questo qualcuno saranno loro. Non c’è neanche un bimbo, piccolo così. Pazienza. – Tacque di nuovo, e riprese un po’ agitato – Dani, questo matrimonio l’ho voluto anch’io, non lo nego, e sei tu il primo a cui parlo col cuore. Ho tante cose da dirti. D’altronde non avrei potuto mandarla fuori di casa.

    Si guardarono. Daniele volle dire qualche cosa e non la disse. L’occhio gli cadde su lo strappo de l’arazzo che copriva la parete dirimpetto a la porta. I fili del tessuto lacerato aprivano sul muro una bocca ardente.

    — Vedi, tu conosci la mia vita e sai che di bene ce n’è stato poco. Ora vorrebbero avvelenarmi anche questi anni! Non credere, Dani, a quello che ti diranno. Ho bisogno di sentire tra noi della stima e dell’affetto. – Il rumore dell’acqua e della sega dissipava l’imbarazzo. – Andrea, il Pavoncino, Romanello, tutti quanti mi sono stati contro, i più cari e i più vecchi di casa.

    Quelle parole mettevano l’amaro nell’anima di Dani; gli cacciavano dal cuore immagini rimaste là in fondo con una tenerezza così ardente, che a stento riusciva a non fargli dire dei nomi.

    — Sì, sì, proprio così, e Andrea se n’è andato in Germania, a capo di uno stabilimento di maioliche. Aspetta, chiudo la finestra, è freddo.

    Dani balzò in piedi. L’aria gli era penetrata nel petto come un sorso.

    Anche l’angelo da la parete lo guardava profondamente attraverso le corde, poichè sapeva quanto si fossero amati con la Raffaella che allora era Lela soltanto, ma già fremente ed estatica ne la divisa di lana grigia del convento, che le dava una diffusa leggerezza ai capelli e alla persona.

    Dani avrebbe voluto accostarsi a quell’orecchio appoggiato su le corde e gridargli: – Bugiardi, tu e lei!

    L’angelo sapeva i momenti rapidi in cui si trovavano tutte e due accanto al muro, nel bisogno di attutire il battito del cuore, l’emozione di un contatto. Erano sere tanto lontane, rosse e fredde come quella, senza una voce nè una falda di cenere per l’aria. Egli sapeva che Lela era stata il rifugio suo, il primo desiderio che gli avesse tenuto i pensieri in delirio. Spiava dalle corde il viso bianco di lei appoggiato a lo strappo de l’arazzo, e le ciglia si chiudevano con un tremito a quella vista e a quei discorsi. Allora era Dani che portava fra tutti il fardello più pesante. Suo padre dissipava; sua madre, portata a una vita che i loro mezzi non consentivano, li abbandonava entrambi nel momento che più avrebbero avuto bisogno di lei. Ciò feriva a fondo l’animo del ragazzo e glielo empiva di un’amarezza atroce.

    — Il Pavoncino è morto dopo poco che ci siamo divisi. Romanello ha inventato un telaio, ed è andato in Francia a fare tappeti.

    Landino parlava così calmo adesso, che li avvenimenti parevano senza cammino e senza dolore; ma Dani rivedeva Lela a pochi passi, seduta su lo scalino della terrazza, coi gomiti su le ginocchia e il capo rovesciato indietro. Un sorriso le scopriva i denti purissimi, ed egli si serrava le tempie tra le mani per non guardarla con desiderio. Allora saliva sui gradini e si metteva a chiamare i colombi fra le canne e le rose che

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1