Ingiuria
L'ingiuria era un reato previsto dal diritto penale italiano, disciplinato dall'art. 594 del codice penale italiano per dare tutela alla dignità ed al decoro della persona, lesa da un'invettiva pronunciata in sua presenza.
Delitto di Ingiuria | |
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Fonte | Codice penale italiano Libro II, Titolo XII, Capo II |
Disposizioni | art. 594 |
Competenza | giudice di pace |
Procedibilità | a querela |
Arresto | non consentito |
Fermo | non consentito |
Pena |
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La norma incriminatrice, in Italia, è stata abrogata dal d.lgs. 7/2016, emanato dal Governo Renzi; da allora il disvalore sociale dell'atto è sanzionato con i normali mezzi di tutela civilistica dal danno.
Nel diritto romano
Il reato discende dalla persecuzione penale della contumelia del diritto romano. La sola invettiva tra presenti, punita più severamente, era una fattispecie dell'iniuria, che, già prevista dalla Legge delle XII tavole, trovò poi la sua regolazione in una lex Cornelia de iniuriis[1].
Diritto vigente
La fattispecie penale è stata sostituita da una sanzione pecuniaria civile, che può essere irrogata solo dal giudice civile all'interno di una causa di risarcimento per danni promossa dalla persona offesa.
La sanzione va da 100 a 8 000 euro nel caso di ingiuria semplice, mentre per l'ingiuria aggravata la sanzione va da 200 a 12 000 euro.
Bene giuridico tutelato
In senso soggettivo la dignità è il sentimento e l'idea che ciascuno ha di sé. Per decoro si intende il rispetto e la stima di cui ciascuno gode presso il gruppo sociale. Ambedue i concetti possono essere ricompresi all'interno della reputazione, che fino al 2016 riceveva tutela penalistica[2] e successivamente, invece, va incardinata nell'ambito della tutela dal danno morale.
Diritto previgente
Analisi
La fattispecie faceva parte dei delitti contro l'onore, un gruppo di reati classificati al Capo II del codice penale italiano (artt. 594-599) per la comune caratteristica di offendere attingendo il valore sociale della persona offesa.
La condotta tipica del delitto di ingiuria, descritta dal primo comma della norma dell'articolo 594, consisteva nell'offesa all'onore o al decoro di una persona presente. Due sono dunque i requisiti per la configurazione del delitto di ingiuria: l'offesa all'onore o al decoro e la presenza della persona offesa. Quest'ultimo elemento è anche il discrimine con il successivo delitto di diffamazione.
Il secondo comma dell'articolo 594 c.p. estendeva la punibilità anche alle offese trasmesse con comunicazioni a distanza.
Consumazione e tentativo
Il delitto è a consumazione istantanea ed il momento consumativo si identifica comunemente con la percezione dell'offesa da parte del soggetto passivo dell'espressione offensiva dell'onore e del decoro. Il tentativo è ritenuto in dottrina ammissibile, ad esempio, nell'ipotesi di uno scritto diretto all'offeso che, idoneamente spedito o presentato per la trasmissione, venga fermato prima del recapito.
Ritorsione e provocazione
L'articolo 599 del codice penale, limita anche per questa fattispecie la punibilità, ad esempio «se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori», ed esclude la punibilità per offese arrecate «nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso».
La cosiddetta ritorsione è quindi causa di non punibilità speciale per il delitto di ingiuria, e trova verosimilmente fondamento in ragioni di mera opportunità che inducono lo Stato a rinunciare a punire uno o entrambi gli offensori per comportamenti di uguale o simile gravità.[3][4]
La cosiddetta provocazione, comune sia all'ingiuria che alla diffamazione, è invece variamente configurata in dottrina quale causa di esclusione della colpevolezza, ovvero causa di giustificazione o, infine, quale causa di non punibilità in senso stretto.
Ai sensi dell'art 596 del codice penale l'autore dell'ingiuria non è ammesso a provare la verità dei fatti (esclusione della prova liberatoria) se non in casi espressamente previsti.
Note
- ^ [1]
- ^ Sia pure all'interno di un'evoluzione giurisprudenziale volta a recepire i cambiamenti degli stili di vita: v. M. Cavalieri, Vaffa... non è più un'ingiuria la Cassazione: è nel linguaggio comune, Repubblica, 18 luglio 2007; Mara M., Cassazione. Il 'vaffa' è ancora ingiuria. Va considerato il tono e il contesto in cui la parola è pronunciata, 19 agosto 2014; Domenico Ferrara, Da "clandestini" a "zingaro" le parole vietate per sentenza, Il Giornale, 25 febbraio 2017.
- ^ Si veda Corte di Cassazione penale, sez. V, sentenza datata 21 novembre 2007, n. 43089 riportata in Altalex Massimario.
- ^ Si veda Corte di Cassazione penale, sez. V, sentenza 21 gennaio 2008, n. 3131 riportata in Altalex.
Bibliografia
- Bianchini Ivano, Ingiuria, offensività, scriminante del diritto di critica, Macerata, 2006, pagg.298.
- Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, 1998.
Voci correlate
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