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Equus hemionus

specie di animali della famiglia Equidae

L'asino selvatico asiatico (Equus hemionus Pallas, 1775), noto anche come onagro, è un rappresentante della famiglia degli Equidi. Pur essendo simile esteriormente all'asino selvatico africano (Equus africanus) - il progenitore degli asini domestici -, presenta anche molte caratteristiche in comune con il cavallo, tanto che in tedesco è noto anche come Halbesel, «semi-asino», o Pferdeesel, «asino cavallo». È conosciuto anche con numerosi nomi regionali, come «khur» o «kulan» (vedi Tassonomia). L'asino selvatico asiatico abita nelle regioni aride, semidesertiche e steppose dall'Asia occidentale a quella centrale e settentrionale e si nutre principalmente di erbe coriacee. La sua struttura sociale è considerata molto complessa, ma la specie non è stata ancora studiata in modo molto dettagliato. Nel complesso, è considerato in pericolo di estinzione.

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Asino selvatico asiatico
Un asino selvatico indiano o khur
Stato di conservazione
Prossimo alla minaccia (nt)[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdinePerissodactyla
FamigliaEquidae
GenereEquus
SpecieE. hemionus
Nomenclatura binomiale
Equus hemionus
Pallas, 1775

Descrizione

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Aspetto

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Un kulan.

Con una lunghezza testa-tronco di oltre 200 cm, alla quale si aggiunge una coda lunga 40 cm, un'altezza al garrese di 97-138 cm e un peso di 200-260 kg, l'asino selvatico asiatico è leggermente più grande di un asino domestico medio. Il dimorfismo sessuale è solo leggermente pronunciato. In genere, si tratta di una creatura snella dalle zampe lunghe, ciascuna terminante con un largo zoccolo più grande di quello dell'asino selvatico africano (Equus africanus). Come in tutte le zebre e gli asini, le caratteristiche «castagne», piccole placche cornee marroni simili a calli, sono presenti solo sulle zampe anteriori, diversamente dai cavalli selvatici, dove compaiono anche sulle zampe posteriori. Anche le orecchie sono più lunghe di quelle dei veri asini; inoltre, la nappa della coda e la criniera sono meno pronunciate, mentre è presente la caratteristica zona bianca all'estremità del muso tipica degli asini. La colorazione e la lunghezza del mantello variano a seconda delle stagioni. Nel corto manto estivo le parti superiori del corpo possono essere di colore grigio, dal giallo pallido all'ocra o rosso-brunastro; le parti inferiori, la parte inferiore del collo e le zampe sono bianche o color crema. Le singole sottospecie differiscono tra loro per l'intensità dei colori del mantello. La transizione dei colori sui lati del corpo crea in tutte le forme un andamento a falce di luna, che in parte si solleva sui fianchi, ma differisce in modo significativo dalla linea a forma di «M» tipica del mantello dei cavalli selvatici, che di solito presentano anche una colorazione più scura sulle zampe. Il lungo manto invernale è generalmente più scuro. La linea color marrone scuro che si estende lungo la spina dorsale è larga 60-80 mm in estate e 70-90 mm in inverno. Questa striscia dorsale è spesso contornata da zone di colore più chiaro. Il motivo a strisce orizzontali delle zampe, tipico dell'asino selvatico africano, si incontra raramente nella specie asiatica[1][2][3].

Cranio e dentatura

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Cranio di asino selvatico asiatico.

Il cranio dell'asino selvatico asiatico misura tra i 42 e i 52 cm ed è molto simile a quello del kiang (Equus kiang), con il tipico muso corto. La linea della fronte è relativamente diritta, l'osso occipitale è stretto e verticale e si estende appena oltre le superfici dove si fissa la prima vertebra cervicale (condili). L'osso nasale è lungo fino a 22 cm e presenta una leggera curva nella parte anteriore. La cavità nasale estesa tra le ossa nasale e premascellare e la mascella superiore è relativamente grande. L'orbita oculare è a volte molto infossata nel cranio, ma situata sempre dietro l'ultimo molare[2][4].

La massiccia mandibola può raggiungere i 42 cm di lunghezza, pertanto l'osso mascellare può essere largo fino a 5 cm. In particolare le articolazioni della mascella sono molto forti. La formula dentaria negli esemplari adulti è:  . Gli incisivi sono molto larghi e nella mascella superiore sono notevolmente più inclinati in avanti di quanto non lo siano nel kiang (Equus kiang); il canino è solitamente piccolo. Il diastema tra dentatura anteriore e posteriore può essere largo fino a 8,6 cm. I premolari hanno una struttura simile ai molari, sono cioè chiaramente molarizzati, e a volte il primo dente molare è rudimentale (dente di lupo). In generale, la corona dei molari presenta molto cemento e strisce di smalto ritorte. Sulla superficie masticatoria dei molari inferiori, lo smalto scorre tra le due sporgenze denominate metaconide e metastilide della zona posteriore (lato linguale), in parte a forma di «V», ma soprattutto e più chiaramente a forma di «U»[2].

Sensi e vocalizzazioni

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Come negli altri equidi, la comunicazione tra gli asini selvatici asiatici avviene principalmente per via olfattiva, attraverso le secrezioni escrete, ma questi animali hanno anche vista e udito ben sviluppati. Di solito fuggono via allontanandosi per circa 2 km da potenziali predatori[5][6]. Finora non è stato compiuto alcuno studio esauriente sulle vocalizzazioni emesse.

Distribuzione e habitat

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Areale dell'asino selvatico asiatico: storico (in verde oliva) e attuale (giallo e arancio).

L'areale originario dell'asino selvatico asiatico si estendeva dalla regione mediterranea dell'Asia occidentale, attraverso la Transcaucasia e l'Asia centrale, fino alle zone occidentali dell'Asia meridionale e a quelle meridionali dell'Asia settentrionale. Oggi questo areale è molto frammentato, tanto che ormai la specie è limitata a singole aree di Mongolia, Turkmenistan, Kazakistan, India, Iran, Ucraina e Arabia Saudita. L'emione abita prevalentemente il deserto del Gobi e il khur il Rann di Kutch. Le popolazioni più numerose del kulan si incontrano nella riserva naturale di Badkhyz e nella riserva naturale di Andassay, mentre l'onagro è ancora presente in buon numero nel parco nazionale di Touran e a Bahram-e-Goor[1].

L'asino selvatico asiatico abita in ambienti aridi: semideserti, steppe, steppe di montagna e, in qualche caso, deserti. Questi habitat estremi, che possono raggiungere i 2000 m sul livello del mare, sono caratterizzati da alte temperature in estate (fino a 40 °C) e basse temperature in inverno (fino a -35 °C) e da scarse precipitazioni, talvolta inferiori ai 100 mm annui. Inoltre, tutte queste aree sono caratterizzate da una vegetazione molto scarsa[1][7]. Nella parte occidentale dell'areale, l'asino selvatico asiatico condivideva il suo habitat con l'asino selvatico africano, pur prediligendo le zone più basse. Oggi, tuttavia, entrambe le specie sono qui estinte in natura[8]. Ad est, invece, il suo areale si sovrappone in parte a quello del cavallo di Przewalski (Equus ferus przewalskii)[6].

Biologia

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Comportamento territoriale

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Una mandria di khur.

La struttura sociale degli asini selvatici asiatici è molto varia. Le sottospecie settentrionali, come l'emione del deserto del Gobi e il kulan dell'Asia centrale, tendono a formare branchi costituiti da uno stallone e da diverse femmine con i puledri e ad occupare vasti spazi vitali (home range). L'estensione di queste aree, da 4500 a 40000 km², può variare notevolmente a seconda delle stagioni, essendo minore in estate e maggiore in inverno. In alcuni casi, si formano grandi gruppi che possono comprendere fino a 450 esemplari, ma questo avviene di solito in zone particolarmente ricche di cibo o presso gli abbeveratoi. Poiché queste associazioni si dissolvono rapidamente nel giro di un giorno, non sembra esservi al loro interno alcuna forma di gerarchia. Esistono anche «gruppi di scapoli» costituiti da giovani maschi che spesso si formano in inverno. Tali gruppi sono noti anche presso i cavalli selvatici e le zebre delle steppe (Equus quagga) e di montagna (Equus zebra)[6][9][10]. Tuttavia, occasionalmente, si possono formare anche territori temporanei, che vengono poi difesi in modo aggressivo[11].

Le sottospecie meridionali, come il khur e l'onagro, tendono a uno stile di vita puramente territoriale, con territori parzialmente sovrapposti tra loro. Gli stalloni dominanti occupano territori che raggiungono i 9 km², ma possono essere anche notevolmente più grandi. Questi territori contengono luoghi di alimentazione e riposo e fonti d'acqua permanenti o temporanee. Tuttavia, gli abbeveratoi si trovano solitamente ai margini del territorio e non al centro. I percorsi utilizzati di frequente vengono contrassegnati con feci e urina, spesso utilizzando gli stessi punti di marcatura. Le femmine con i puledri a volte si riuniscono in piccoli gruppi che pascolano in aree anche di 20 km² sovrapposte a quelle di altri gruppi e stalloni dominanti. Un comportamento simile è stato riscontrato nella zebra di Grévy (Equus grevyi) e nell'asino selvatico africano[5][12][13].

Questa diversità nel comportamento sociale delle diverse popolazioni di asino selvatico non è stata ancora pienamente compresa. Forse i fattori climatici o la pressione venatoria da parte dei predatori possono avere una qualche influenza. Nell'areale di khur e onagri i grandi predatori sono pressoché assenti, quindi questi animali hanno mantenuto lo stile di vita originario di specie territoriale. I kulan e gli emioni, invece, sono soggetti alle frequenti aggressioni dei lupi, che potrebbero aver stimolato la formazione di branchi, in quanto i gruppi più stabili hanno maggiori possibilità di sopravvivenza. Inoltre, in questi casi, lo stallone difende attivamente la sua mandria[9].

Alimentazione

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Esistono solo pochi studi dettagliati sulla dieta dell'asino selvatico asiatico; in generale, possiamo dire che i suoi molari a corona alta e caratterizzati da una grande quantità di cemento sono adatti a masticare sostanze vegetali coriacee a base di silice (grazing). Le popolazioni del Gobi preferiscono le specie del genere Stipa che si trovano in gran numero nelle steppe in cui abitano (steppe a Stipa), ma consumano anche gramigna, erbe del genere Achnatherum, cannucce di palude e giunchi. Nella dieta dell'asino selvatico asiatico è stata registrata anche la presenza di Artemisia, Anabasis, salsola, saxaul e caragana[9][14]. Inoltre, in alcune regioni, il porro, lo Zygophyllum e le tamerici occupano una parte consistente della dieta[15]. Anche il miglio indiano, gli sporoboli, le eragrostidi e le erbe del genere Dicanthium figurano nella dieta delle popolazioni più meridionali[16]. Tuttavia, durante la stagione secca, quando le erbe appassiscono, l'asino selvatico può anche rivolgere la propria attenzione alle piante legnose, usando i suoi zoccoli per rompere lo strato di legno in modo da raggiungere le zone più ricche di liquidi. Sono stati osservati anche esemplari che si nutrivano di baccelli carichi di semi[1].

A causa delle condizioni di estrema aridità delle zone in cui vive, l'asino selvatico ha bisogno di fonti d'acqua costantemente disponibili, che non dovrebbero trovarsi a più di 10-15 km di distanza - anche se sono stati osservati spostamenti lunghi fino a 30 km verso i punti d'acqua. In cerca d'acqua, l'asino selvatico può scavare anche buche di 60 cm nel terreno. In inverno, ingerisce anche la neve[1][9].

Riproduzione

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Una femmina di emione con il piccolo.

Anche il comportamento riproduttivo è stato studiato raramente e solo in rari casi è stato osservato in natura. In media l'asino selvatico asiatico raggiunge la maturità sessuale intorno ai due anni, anche se il primo accoppiamento avviene di solito a tre o quattro anni. Gli accoppiamenti hanno luogo tra aprile e settembre, con un picco in giugno e luglio. La gestazione dura circa undici mesi, trascorsi i quali nasce un solo piccolo, dopo un breve parto che richiede solo poco più di dieci minuti. Il piccolo è in grado di camminare dopo 15-20 minuti e inizia a succhiare il latte dopo un'ora e mezza. Durante l'allevamento, il piccolo e la madre rimangono vicini: gli altri esemplari, compresi i figli precedenti, vengono allontanati dalla madre. Occasionalmente, gli stalloni delle popolazioni territoriali cercano di scacciare i giovani e poi accoppiarsi con la femmina. Gli asini selvatici possono vivere fino a 14 anni in natura e fino a 26 anni in cattività[9][17][18].

Interazioni con altre specie

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Il più grande predatore dell'asino selvatico è il lupo. Dalle ricerche è emerso che gli asini costituiscono un buon 23% delle prede di questo carnivoro. Tuttavia l'asino è in grado di difendersi accanitamente dalle aggressioni, anche se predilige trovare scampo nella fuga: esso infatti è molto veloce ed è in grado di galoppare a velocità di 70 km/h, mantenendo i 50 km/h su distanze maggiori. Occasionalmente, vicino alle mandrie di asini selvatici, compaiono esemplari di gazzella gozzuta[6][9].

Parassiti

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Tra i parassiti interni più comuni figurano i nematodi, come Trichostrongylus, Parascaris, Strongylus vulgaris, Dictyocaulus viviparus e Strongyloides stercoralis. Sono presenti anche le tenie e sono note infestazioni da parte di coccidi, compresa Eimeria. Vale la pena ricordare che possono verificarsi infezioni reciproche con il cavallo di Przewalski e il cavallo domestico[19].

Tassonomia

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Come tutti gli equidi moderni, l'asino selvatico asiatico appartiene al genere Equus. Sebbene la morfologia dei suoi molari inferiori sia molto variabile, esso appartiene comunque al gruppo degli equidi stenonini o non-cavallini[21]. Le analisi del DNA effettuate nel 2009 suggeriscono che il suo parente più stretto sia il kiang (Equus kiang)[22]. Una specie fossile strettamente imparentata con l'asino selvatico asiatico era l'asino selvatico europeo (Equus hydruntinus), che era diffuso in Europa e in Asia nel Pleistocene medio e superiore e forse si estinse solo nell'Olocene. Questo era più snello e più grande dell'asino selvatico asiatico attuale e raggiungeva un'altezza al garrese di 160 cm[3]. Inizialmente alcuni esperti avevano avvicinato questo equino all'asino selvatico africano, ma gli studi anatomici hanno dimostrato che è più strettamente imparentato con la specie asiatica[23], ipotesi che è stata confermata anche dalle analisi genetiche[24]. Sia l'asino selvatico asiatico che il kiang e l'asino selvatico europeo vengono considerati un gruppo a parte in seno agli equidi stenonini, denominato Hemionini, un nome che deriva da quello scientifico dell'asino selvatico asiatico (Equus hemionus) ed esprime la loro stretta parentela. Gli equidi più prossimi al gruppo degli Hemionini sono gli asini veri e propri e le zebre: il cavallo domestico e quello di Przewalski sono imparentati con loro solo alla lontana, pur essendo classificati anch'essi nel genere Equus[22][25][26]. Il nome scientifico Equus hemionus venne introdotto da Peter Simon Pallas nel 1775; la prima descrizione scientifica si basava su un esemplare proveniente dalla Mongolia nord-orientale[9][27].

Attualmente esistono sei sottospecie di asino selvatico asiatico, due delle quali si sono estinte[28]:

In passato vi fu grande disaccordo tra gli studiosi riguardo alla divisione in sottospecie. In molte opere più antiche, ad esempio, vengono distinte sette od otto specie di asino selvatico asiatico, che oggi sono per lo più classificate come sottospecie. Fa eccezione il kiang, che oggi è considerato una specie a sé stante[2]. In una revisione della tassonomia degli ungulati del 2011, presentata da Colin Peter Groves e Peter Grubb, anche il khur (Equus khur) e l'emippo (Equus hemippus) vengono riconosciuti come specie separate[29].

 
Peter Simon Pallas.

Le diverse sottospecie sono caratterizzate da un aumento generale delle dimensioni in senso sud-ovest/nord-est. L'emippo, che abitava le zone sud-occidentali dell'areale, raggiungeva un'altezza al garrese di appena 100 cm, mentre l'emione, presente nelle zone nord-orientali, misura al garrese tra 127 e 138 cm. Il kulan è alto da 108 a 116 cm e l'onagro e il khur presentano entrambi un'altezza che varia tra 112 e 120 cm[2]. L'onagro e il kulan apparterrebbero, secondo alcuni studiosi, alla stessa sottospecie, ma secondo gli attuali studi di genetica molecolare sulla filogenesi degli equidi le due popolazioni possono essere chiaramente differenziate l'una dall'altra. Un'altra sottospecie, l'asino selvatico del Gobi (Equus hemionus luteus), viene talvolta separata dall'emione a causa della diversa colorazione del mantello[2][30], ma gli esperti fanno notare quanto la colorazione sia molto variabile anche in seno alla stessa popolazione[9]. Tuttavia, il fatto che tutte le sottospecie siano di origine monofiletica non è stato confermato dalle analisi del DNA del 2009, in quanto l'onagro è risultato essere più strettamente imparentato con la zebra di montagna[22]. Un altro studio dello stesso anno, comunque, indica che tutte le sottospecie dell'asino selvatico asiatico sono strettamente imparentate[25].

Le analisi genetiche del 2017, estese anche a materiale subfossile e recente, indicano uno sviluppo filogenetico molto più complesso dell'asino selvatico asiatico. L'emione della Mongolia risulta diviso in almeno tre diversi cladi, l'onagro in due. Di questi ultimi, la linea occidentale (Caucaso/Iran) è considerata in gran parte estinta: solo pochi individui presenti nella parte orientale dell'areale potrebbero ancora rappresentarla. Secondo gli autori dello studio, i tre diversi cladi dell'emione potrebbero essere associati a diverse ondate migratorie. Poiché una delle linee evolutive appare mista a quella del kiang, è possibile che il kiang sia una forma di asino selvatico asiatico adattatasi a vivere negli habitat di alta montagna[31].

Gli equidi stenonini sono stati segnalati per la prima volta in Asia tra 2,5 e 3 milioni di anni fa e discendono probabilmente da Equus cumminsi del Nordamerica. Il parente più stretto dell'asino selvatico asiatico è sconosciuto, ma potrebbe essere Equus namadicus o Equus sivalensis, entrambi risalenti al Pleistocene[21]. I primi fossili di animali simili a E. hemionus sono stati rinvenuti a Tologoj, in Russia, e hanno circa un milione di anni[32]. Di poco più giovane è la sottospecie fossile E. h. nalaikhaensis, della Mongolia, i cui resti provenienti dai depositi del fiume Tuul risalgono all'epoca dell'evento Jaramillo, un fenomeno di inversione del campo magnetico terrestre avvenuto circa 900 000 anni fa[33]. E. h. binagadensis, i cui fossili sono stati rinvenuti in Azerbaigian e Iran, è un'altra sottospecie di dimensioni relativamente piccole del Pleistocene medio e superiore che potrebbe essere sopravvissuta fino all'Olocene[4]. Reperti provenienti dal Tagikistan, come quelli di Chudji e Ogzi-Kichik, risalgono al Pleistocene superiore. In particolare, durante il Pleistocene medio e superiore, l'asino selvatico asiatico appariva spesso simpatrico con l'asino selvatico europeo (Equus hydruntinus)[34]. Questa forma di asino, estintasi alla fine del Pleistocene, può anche essere considerata una semplice sottospecie dell'asino selvatico asiatico, in quanto studi genetici del 2017 dimostrano che aveva legami di parentela più forti con i rappresentanti dell'Asia centrale e meridionale[31].

Rapporti con l'uomo

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Addomesticamento

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Gli attuali studi sul DNA confermano che tutti gli asini domestici odierni discendono dall'asino selvatico africano. Le ricerche filogenetiche suddividono distintamente gli asini in una linea evolutiva africana e in una asiatica, alla quale appartiene l'asino selvatico asiatico (Equus hemionus). La questione se anche questa specie possa essere addomesticata e se ciò sia accaduto in passato è sempre stata controversa. Nelle rappresentazioni dell'antica Mesopotamia (ad esempio sullo Stendardo di Ur) gli studiosi credettero di riconoscere animali che non erano né cavalli né asini, pertanto conclusero piuttosto prematuramente che i Sumeri e gli Accadi avessero addomesticato gli asini selvatici asiatici, utilizzandoli per trainare i carri[35]. In esperimenti di addomesticamento più recenti, tuttavia, non è mai stato possibile addestrare questi animali o far loro perdere l'innato timore nei confronti dell'uomo. È pertanto più plausibile che gli animali addomesticati in Mesopotamia fossero asini selvatici africani (che, nonostante il nome, erano presenti anche in Asia occidentale in epoca preistorica).

Altri ricercatori, invece, hanno ipotizzato che i Sumeri utilizzassero esemplari nati dall'incrocio tra asini e onagri[36].

Conservazione

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In tempi storici gli asini selvatici vagavano per i semideserti asiatici in grandi mandrie. La necessità di bere li spingeva regolarmente presso i pochi punti d'acqua presenti nel loro habitat. Marco Polo, nel XIII secolo, riferì sulla loro presenza in gran numero in Arabia, Persia, Turkestan e Gobi[37]. Oggi la minaccia principale per la specie è la perdita dell'habitat a causa della diffusione degli insediamenti umani e dello sviluppo economico di aree spesso inospitali ma ricche di risorse. Anche la competizione con i grandi animali da fattoria costituisce un grosso problema, in quanto l'asino selvatico di solito perde quando si tratta di competere per i pascoli e le fonti d'acqua. Inoltre, la caccia illegale all'asino selvatico, da un lato a scopo alimentare, dall'altro per la sua pelle, è un pericolo crescente. Dagli anni 1990 la popolazione è diminuita del 52%. Tutte le sottospecie sono minacciate, seppur in misura diversa. L'intera popolazione è classificata dalla IUCN come Near Threatened («prossima alla minaccia»)[1].

Le misure di protezione coordinate dall'Equid Specialist Group della IUCN comprendono programmi di ricollocazione e reintroduzione per le singole popolazioni di asino selvatico asiatico, ulteriori studi sui bisogni ecologici della specie e delle singole sottospecie, compreso l'utilizzo dell'habitat, un maggiore controllo del commercio di carne e progetti di sensibilizzazione della popolazione locale[1].

Asini selvatici dell'Anatolia e della Siria

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Asino selvatico della Siria allo zoo di Londra (1872).

L'asino selvatico dell'Anatolia venne sterminato già nell'antichità. L'asino selvatico della Siria era ancora numeroso nel XIX secolo in quello che oggi è l'Iraq, dove vagava in grandi mandrie. Dopo essere diventato sempre più raro, venne cacciato così spesso dai soldati britannici e ottomani durante la prima guerra mondiale da essere spinto sull'orlo dell'estinzione. L'ultimo asino selvatico della Siria venne ucciso nel 1927; un altro esemplare morì nello stesso anno allo zoo di Vienna.

L'emione, noto anche come asino selvatico della Mongolia, è la sottospecie più comune, con circa 41 900 esemplari che vivono in Mongolia, pari a tre quarti della popolazione totale della specie. La sottospecie mostra un trend di crescita stabile. Aree protette importanti per la sua conservazione sono l'area rigorosamente protetta del Grande Gobi A e del Grande Gobi B, nella Mongolia meridionale. La IUCN stima una diminuzione della popolazione compresa tra il 5 e il 10% all'anno. Sebbene l'emione sia ufficialmente protetto, la specie entra spesso in conflitto per i pascoli e le fonti d'acqua con la popolazione nomade e i suoi animali domestici. Dagli anni 1990 è aumentato anche il bracconaggio, che costituisce un altro motivo del forte calo demografico[6][9]. Altri 5 000 esemplari vivono nel nord della Cina, più di 3 300 dei quali nella riserva naturale di Kalamaili. Originariamente, negli anni 1980, la riserva ospitava solo circa 360 emioni, e fu solo nel 2000, dopo che diversi gruppi più grandi immigrarono dalla Mongolia, che il loro numero iniziò ad aumentare considerevolmente[1][14][38].

 
Due esemplari di khur.

Durante gli anni 1960, il khur scomparve dalle parti iraniane e pakistane del suo areale, nonché da quasi tutte quelle indiane. È sopravvissuto solo nel Piccolo Rann di Kutch nel Gujarat, in India. Qui, la riserva naturale di Dhrangadhra è stata trasformata in un santuario speciale per la conservazione di questi rari asini. Il khur è l'unica sottospecie di asino selvatico asiatico il cui numero di individui è aumentato costantemente nel recente passato. Nel 2014 nel Piccolo Rann sono stati censiti 4 000 esemplari. Circa il 30% di loro vive nell'area protetta. Gli animali si stanno ora diffondendo anche nelle regioni vicine, come il Grande Rann di Kutch e il parco nazionale Blackbuck. La popolazione è cresciuta costantemente, ma il canale di Narmada sta attualmente mettendo in pericolo lo stato di conservazione della riserva, in quanto attrae numerosi agricoltori e i loro numerosi animali domestici con le sue acque dolci, entrando così in diretta concorrenza con i khur. Sono state richieste anche delle autorizzazioni per estrarre il sale nel Kutch. Fuori dal santuario, i khur vengono presi a fucilate dai contadini perché considerati dannosi per i raccolti o ritenuti concorrenti del bestiame per i pascoli[1][13].

 
Il gruppo di kulan in semilibertà della ex cava di ghiaia di Weilbacher.

Dopo che il kulan era stato sterminato in Kazakistan e in gran parte del Turkmenistan, negli anni '40 l'Unione Sovietica creò la riserva naturale di Badkhys, dove nel corso dei successivi cinquant'anni si andò costituendo un branco di 5 000 esemplari. La popolazione di kulan in Turkmenistan è recentemente diminuita drasticamente: da 5 000 capi nel 1993 a circa 580 nel 2001. Con l'indipendenza del Turkmenistan, il bracconaggio è andato aumentando. L'unico branco originario rimasto, quello della riserva naturale di Badkhys, ospita attualmente circa 420 animali. Il secondo gruppo più numeroso del Turkmenistan risiede nel bacino del Sarykamyš, dove vivono forse da 350 a 400 animali. Nel frattempo questa sottospecie è stata reintrodotta con successo anche altrove, ad esempio nella riserva naturale di Kaplankyr, nella riserva naturale di Barsakel'mes e nel parco nazionale Altyn-Ėmel'; secondo informazioni del 2014, quest'ultimo ospita circa 2 500-3 000 esemplari. Tuttavia, la crescita della popolazione è limitata dal pesante sfruttamento agricolo dell'area circostante. La IUCN stima che la popolazione totale di kulan sia costituita al massimo da 2 000 individui adulti. Il calo della popolazione è dovuto soprattutto al venir meno dell'efficace controllo sulla caccia che esisteva ai tempi dell'Unione Sovietica[1][39]

Dodici zoo europei gestiscono una popolazione di circa 50 kulan nell'ambito dell'EEP dell'Associazione europea degli zoo. Coordinatore dell'EEP è Anna Mekarska dello zoo di Cracovia. La Società per il ripristino della cava di ghiaia di Weilbacher (Gesellschaft zur Rekultivierung der Kiesgrubenlandschaft Weilbach, GRKW) sta attualmente cercando di insediare un gruppo di 6 maschi di kulan semiselvatici in una riserva naturale della Germania.

 
Due onagri al Wilhelma.

Il numero di onagri nell'Iran settentrionale viene stimato in circa 780 individui suddivisi in due popolazioni separate. La popolazione più numerosa, di circa 630 esemplari, vive all'interno dell'area protetta di Turan, di 14000 km²; la seconda e più piccola vive nell'area protetta di Bahram-e-Goor, che copre 3850 km² e ospita quasi 150 individui. Il governo iraniano è all'opera per garantire la sopravvivenza della sottospecie attraverso sanzioni draconiane contro il bracconaggio e la creazione di punti d'acqua supplementari[1][40].

Nell'ambito del Programma europeo per le specie minacciate (EEP) dell'Associazione europea degli zoo (EAZA) sono presenti attualmente circa 150 onagri ospitati in zoo gestiti con metodo scientifico. Coordinatore dell'EEP è Stephan Hering-Hagenbeck dello zoo Hagenbeck di Amburgo. Alcuni di questi onagri cresciuti in cattività sono stati rilasciati nel cratere Makhtesh Ramon nel deserto del Negev in Israele, ma gran parte della popolazione qui presente proviene da incroci con esemplari di kulan. Questa popolazione è costituita da circa 250 animali. Un gruppo molto più piccolo è stato introdotto in Arabia Saudita[1][12].

Etimologia

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L'epiteto specifico utilizzato da Pallas, hemionus, deriva dalla parola greca ἡμίονος (hēmìonos), composta da ἡμί (hēmí), «mezzo», e ὄνος (ónos), «asino». Il termine hemionos era già stato utilizzato nell'antichità da Omero e Aristotele per indicare gli animali dell'Anatolia e della Persia, ma originariamente si riferiva a muli e bardotti.

Anche l'origine del nome onager, usato da Pieter Boddaert, è greca: deriva da ὄναγρος (ónagros), una parola composta da ὄνος (ónos), «asino», e ἄγριος (ágrios), «selvatico». Da questo termine deriva il nome latino onagrus od onager. Greci e Romani usavano queste parole esclusivamente per indicare l'asino selvatico africano, ma nella Vulgata si riferiscono anche all'asino selvatico asiatico.

Achdari, chigetai, gur-khar, khur e kulan sono nomi locali usati per indicare singole popolazioni dell'asino selvatico[2].

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m (EN) Kaczensky, P., Lkhagvasuren, B., Pereladova, O., Hemami, M. & Bouskila, A. 2020, Equus hemionus, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ a b c d e f g Colin Peter Groves e V. Mazák, On some taxonomic problems of Asiatic wild asses; with the description of a new subspecies (Perissodactyla; Equidae), in Journal of Mammals, vol. 32, 1967, pp. 321-355.
  3. ^ a b Ingmar M Braun e Wolfgang Zessin, Pferdedarstellungen in der paläolithischen Wandkunst und der Versuch ihrer zoologisch-ethologischen Interpretation, in Ursus, Mitteilungsblatt des Zoovereins und des Zoos Schwerin, vol. 17, n. 1, 2011, pp. 4-26.
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Bibliografia

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