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Giuseppe Di Vittorio

politico, sindacalista e antifascista italiano (1892-1957)

Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 11 agosto 1892Lecco, 3 novembre 1957) è stato un sindacalista, politico e antifascista italiano. Fondatore e segretario generale della CGIL fino alla morte, fu uno dei più importanti sindacalisti del secondo dopoguerra italiano. A livello internazionale coprì la carica di presidente della federazione sindacale mondiale.

Giuseppe Di Vittorio

Deputato del Regno d'Italia
Durata mandato11 giugno 1921 –
25 gennaio 1924
LegislaturaXXVI
Gruppo
parlamentare
Partito Socialista Italiano
Sito istituzionale

Deputato dell'Assemblea Costituente
Durata mandato25 giugno 1946 –
31 gennaio 1948
Gruppo
parlamentare
Comunista
CollegioCollegio Unico Nazionale
Incarichi parlamentari
  • Componente della Giunta per il Regolamento interno
  • Componente della Commissione per la Costituzione
  • Componente della Terza Sottocommissione
  • Componente della Seconda Commissione per l'esame dei disegni di legge
Sito istituzionale

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato8 maggio 1948 –
3 novembre 1957
LegislaturaI, II
Gruppo
parlamentare
Partito Comunista Italiano
CollegioBari (I legislatura), Collegio Unico Nazionale (II legislatura)
Incarichi parlamentari
  • Componente e Vicepresidente della XI Commissione (Lavoro e previdenza sociale) - I e II legislatura
  • Vicepresidente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge n. 2442: "Ordinamento e attribuzioni del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro - I legislatura
  • Componente della Commissione speciale per l'esame dei disegni di legge Cassa per il Mezzogiorno ed esecuzione di opere straordinarie nell'Italia settentrionale e centrale - I legislatura
  • Componente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge n. 1762: "Delegazione al Governo di emanare norme sulle attività produttive e sui consumi" - I legislatura
  • Componente della Commissione speciale per l'esame dei provvedimenti a favore delle zone e delle popolazioni colpite dalle alluvioni - I legislatura
  • Componente della Giunta per i trattati di commercio e la legislazione doganale - I legislatura
  • Vicepresidente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge n. 568: "Ordinamento ed attribuzioni del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro" - II legislatura
  • Vicepresidente della Commissione speciale per l'esame della proposta di legge Angelini Armando n. 427: "Dichiarazione di pubblica utilità e norme per l'espropriazione degli stabilimenti industriali inattivi" - II legislatura
  • Vicepresidente della Commissione parlamentare consultiva per il parere sulle norme delegate relative al nuovo statuto degli impiegati civili e degli altri dipendenti dello Stato - II legislatura

Dati generali
Partito politicoPSI (1920-1924)
PCd'I (1924-1943)
PCI (1943-1957)
ProfessioneBracciante agricolo, sindacalista

A differenza di molti altri sindacalisti non aveva origini operaie ma contadine, nato in una famiglia di braccianti, il gruppo sociale più numeroso alla fine dell'Ottocento in Puglia.

Biografia

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Gli anni giovanili

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Figlio di braccianti agricoli che lavoravano la terra dei marchesi Rubino-Rossi di Cerignola, Di Vittorio crebbe praticamente autodidatta: costretto infatti a dieci anni a intraprendere il mestiere di suo padre, morto nel 1902 per un incidente sul lavoro, nonostante una scolarizzazione sommaria aveva l'abitudine di annotare su un quaderno i termini che non comprendeva per poi andarne a leggere il significato una volta che riuscì ad acquistare un vocabolario con la paga da lavoratore nei campi.

Già a 12 anni si avvicinò alle idee anarchiche e iniziò l'attività politica e sindacale con Aurora Tasciotti[1]; successivamente si spostò al socialismo e a 15 anni fu tra i promotori del circolo giovanile socialista cittadino, mentre nel 1911 passò a dirigere la Camera del Lavoro di Minervino Murge.

Famiglia

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Di Vittorio si sposò due volte: la prima, il 31 dicembre 1919, con Carolina Morra, sindacalista e bracciante di Cerignola, dalla quale ebbe i figli Baldina (1920-2015) poi fondatrice dell'Associazione Casa Di Vittorio con sede a Cerignola, e Vindice (1922-1974[2]) nato mentre i fascisti assaltavano la Camera del Lavoro di Bari, poi partigiano nella Resistenza Francese-Maquis. I particolari nomi dei figli esprimono le convinzioni di Di Vittorio: Baldina deriva da Balda, cioè "coraggiosa", mentre Vindice significa "vendicatore" o "colui che vendica i torti subiti", in riferimento allo sfruttamento e al fascismo; dopo essere rimasto vedovo, a Parigi nel 1935, si risposò nel 1953 con la giovane giornalista Anita Contini, conosciuta negli anni '40, a sua volta vedova.

Di Vittorio sindacalista

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Al centro dei problemi del lavoro c'era allora in Italia, come oggi, la questione meridionale. Membro della camera del lavoro di Cerignola, nel 1911 aderì al sindacalismo rivoluzionario e nel 1912 Di Vittorio, pur in carcere da alcuni mesi, fu eletto nel comitato centrale dell'Unione Sindacale Italiana nel corso del congresso fondativo di novembre.

Così come alcuni membri del sindacalismo rivoluzionario, tra cui l'amico Filippo Corridoni, egli fu "interventista" riguardo alla prima guerra mondiale, a detta di Randolfo Pacciardi, smentito da Di Vittorio stesso in un'intervista a Felice Chilanti[3]: in verità inizialmente pacifista, sposò ardentemente la tesi interventista in un articolo su Il Popolo d'Italia del 18 giugno 1915[4][5][6]. Assegnato al 1º reggimento bersaglieri, fu ferito seriamente nel 1916. Finita la guerra tornò segretario della Camera del lavoro di Cerignola e membro fino al 1921 del comitato centrale dell'USI.

Di Vittorio, a cui amici ed avversari riconobbero unanimi un grande buonsenso ed una ricca umanità, seppe farsi capire, grazie al suo linguaggio semplice ed efficace, sia dalla classe operaia, in rapido sviluppo nelle città, sia dai contadini ancora fermi ai margini della vita economica, sociale e culturale del Paese.

L'entrata in politica con il Partito Socialista, il fascismo e la clandestinità comunista

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La elezione a deputato nel 1921 avviene in circostanze del tutto eccezionali. Esse ci offrono un quadro della situazione non solo personale, ma ci indicano lo scontro sociale in atto tra la fine del 1920 e la metà del 1921. Grazie alla conoscenza di Giuseppe Di Vagno in Puglia, che lo presenta poi a Bruno Buozzi, allora entrambi membri del Partito Socialista Italiano al Parlamento, diventa anche lui membro del PSI. Con lo stesso gruppo nel 1921 viene eletto deputato alla Camera[7], mentre è detenuto nelle carceri di Lucera. In seguito avrebbe diretto anche la Camera del Lavoro di Bari, dove organizzò la difesa della sede dell'associazione, sconfiggendo gli squadristi fascisti di Caradonna insieme ad ex ufficiali legionari di Fiume, socialisti, comunisti, anarchici e Arditi del Popolo. Tre anni dopo la scissione di Livorno, nel 1924 aderisce al Partito Comunista d'Italia, dove rimarrà tutta la vita. Fu candidato nel 1924 in Puglia alla Camera con il PCdI, ma non fu rieletto.

Con l'avvento del Fascismo in Italia e disciolti tutti i partiti e i sindacati, viene condannato dal tribunale speciale fascista a 12 anni di carcere, nel 1925 riuscì a fuggire in Francia dove aveva rappresentato la disciolta Confederazione Generale del Lavoro nell'Internazionale dei sindacati rossi. Dal 1928 al 1930 soggiornò in Unione Sovietica e rappresentò l'Italia nella neonata Internazionale Contadina per poi tornare a Parigi ed entrare nel gruppo dirigente del PCI clandestino. In questo periodo iniziarono i primi dissapori con il segretario del PCI sulla figura guida di Stalin del Movimento operaio internazionale e sul suo diktat, accettato da Togliatti, contro i "socialfascisti".

Di Vittorio quindi si pose contro la similitudine voluta da Stalin nell'equiparare il Nazifascismo alla Socialdemocrazia, anche perché considerava l'unità politica della sinistra (socialisti e comunisti) ancora attuale, in nome di un socialismo democratico, marxista ma rispettoso della libertà. Durante la guerra d'Etiopia, su indicazione del Comintern, inviò una squadra di tre persone - tre comunisti - chiamati "i tre apostoli", fra cui Ilio Barontini, esperto in questo genere di missioni - con l'incarico di organizzare la guerriglia locale contro l'invasione fascista.

Insieme ad altri antifascisti partecipò alla guerra civile spagnola, iniziata con l'insurrezione dei militari comandati dal generale Francisco Franco. Con il nome di Mario Nicoletti fu inquadrato come commissario politico nella XI e poi nella XII Brigata Internazionale e venne ferito a Guadalajara. Nel 1937, diresse a Parigi un giornale antifascista la Voce degli Italiani a cui collaborano personaggi come Maurizio Valenzi. Fu una delle poche voci autorevoli che si espresse contro le leggi razziali fasciste antisemite, avendo capito che, anche se in apparenza si trattava di leggi "blande" (rispetto a quelle tedesche), queste avrebbero in realtà portato col tempo allo sterminio.[8].

Nel 1941 fu arrestato a Parigi dai tedeschi, su richiesta delle autorità italiane, e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ebbe modo di ritrovare il collega e amico della CGdL Bruno Buozzi[9], assieme al quale fu poi trasferito in Germania e, di qui, in Italia. Il regime fascista lo assegnò quindi al confino nell'isola di Ventotene.[10]

Nel 1943 fu liberato dal governo Badoglio. Entrato in clandestinità dopo l'occupazione tedesca di Roma, Di Vittorio fu tra i protagonisti, con Bruno Buozzi e Achille Grandi, del dialogo per la rinascita del sindacato unitario italiano. Buozzi fu ucciso dai nazisti in fuga da Roma il 4 giugno 1944 a La Storta, cinque giorni prima della firma del Patto di Roma, con il quale venne ricostituita la CGIL. Il Patto fu sottoscritto infatti il 9 giugno 1944, ma, per onorare la memoria di Buozzi e ricordare il suo impegno nelle trattative che resero possibile l'accordo, nel testo venne apposta la data di quello che si riteneva fosse il suo ultimo giorno di vita: 3 giugno 1944[11][12]

I vertici della CGIL unitaria Oreste Lizzadri (PSI), Achille Grandi (DC) e Giuseppe Di Vittorio (PCI) nel 1945.

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Buozzi fu sostituito nel ruolo di co-Segretario generale della CGIL e di firmatario del Patto di Roma dal sindacalista socialista Emilio Canevari e, poi, da Oreste Lizzadri. Di Vittorio, Grandi e Lizzadri erano i rappresentanti delle principali correnti del sindacalismo italiano: comunista, cattolica e socialista.

Negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, prese parte alla Resistenza tra le file delle Brigate Garibaldi. Nel 1945 fu eletto segretario della CGIL.

L'anno seguente, nel 1946, fu eletto deputato all'Assemblea Costituente con il PCI.

Il Dopoguerra e il dissenso da Togliatti per i 'fatti d'Ungheria del 1956'

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Cgil.
 
Palmiro Togliatti e Di Vittorio ai funerali delle vittime dell'eccidio delle Fonderie Riunite di Modena

L'unità sindacale così raggiunta durò fino al 1948, quando, in occasione dello sciopero generale politico proclamato in seguito all'attentato a Palmiro Togliatti, la componente cattolica si separò e fondò un proprio sindacato, la CISL, presto imitata dai socialdemocratici che si raggrupparono nella UIL.

La fama ed il prestigio di Di Vittorio ebbero largo seguito tra la classe operaia ed il movimento sindacale di tutto il mondo tanto che, nel 1953, fu eletto presidente della Federazione Sindacale Mondiale. Fu uno dei primi marxisti a intuire la pericolosità del regime stalinista sovietico.

Nel 1956 si riacutizzò il confronto con Togliatti sul ruolo dell'URSS; suscitò scalpore la sua presa di posizione, difforme da quella ufficiale del PCI, contro l'intervento dell'esercito sovietico per reprimere la rivolta ungherese, tanto che lo stesso Di Vittorio in una confidenza (come riferì anni dopo Antonio Giolitti) esclamò: «L'Armata rossa che spara contro i lavoratori di un paese socialista! Questo è inaccettabile! Quelli sono regimi sanguinari! Una banda di assassini!».

La pietra dello scandalo fu che Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, approvò il testo di un comunicato, redatto dal vice-Segretario socialista della CGIL Giacomo Brodolini[13], poi votato all'unanimità dalla Segreteria della Confederazione il 27 ottobre 1956, nel quale si esprimeva la solidarietà del sindacato ai lavoratori ungheresi e il dissenso nei confronti dell'intervento repressivo delle truppe sovietiche: «La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i caduti nei conflitti che hanno insanguinato l'Ungheria [...], ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici e di governo e di direzione politica ed economica che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari... deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l'intervento di truppe straniere...» (Avanti![14] e L'Unità[15] del 28 ottobre 1956). Inoltre, poiché si era diffusa la voce che l'atteggiamento assunto dalla C.G.I.L. riguardo agli avvenimenti ungheresi fosse dovuto principalmente alle pressioni dei sindacalisti socialisti, Di Vittorio si sentì di dover dimostrare che tale posizione rifletteva effettivamente le convinzioni di tutti i membri della segreteria confederale (del resto il documento era stato votato all'unanimità), rilasciando a sua volta una dichiarazione all'agenzia di stampa S.P.E., affermando che «gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica» e che «è un fatto che tutti proclami e le rivendicazioni dei ribelli, conosciuti attraverso le comunicazioni ufficiali di radio Budapest, sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che — ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all'antico regime - non vi sono forze di popolo che richiedano il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horty»[16]. La valutazione della natura popolare e democratica della rivolta ungherese contenuta in detta dichiarazione contrastava nettamente con la ricostruzione dei fatti operata dal corrispondente de L'Unità Orfeo Vangelisti, secondo cui "gruppi di facinorosi, seguendo evidentemente un piano accuratamente studiato, hanno attaccato la sede della radio e del Parlamento. Gruppi di provocatori in camion hanno lanciato slogan antisovietici apertamente incitando a un'azione controrivoluzionaria. In piazza Stalin, i manifestanti hanno tentato di abbattere la statua di Stalin. L'intervento sovietico è un dovere sacrosanto senza il quale si ritornerebbe al terrore fascista tipo Horty. Le squadre dei rivoltosi sono composte prevalentemente da giovani rampolli della aristocrazia e della grossa borghesia"[17][18]..

Togliatti, segretario del PCI, in una lettera riservata inviata alla segreteria del Comitato Centrale del PCUS il 30 ottobre 1956[19], nella quale relazionava ai sovietici sulle ripercussioni delle vicende ungheresi in Italia, affermava che «... vi sono coloro che accusano la direzione del nostro partito di non aver preso posizione in difesa dell'insurrezione di Budapest e che affermano che l'insurrezione era pienamente da appoggiare e che era giustamente motivata. Questi gruppi esigono che l'intera direzione del nostro partito sia sostituita e ritengono che Di Vittorio dovrebbe diventare il nuovo leader del partito. Essi si basano su una dichiarazione di Di Vittorio che non corrispondeva alla linea del partito e che non era stata da noi approvata. Noi conduciamo la lotta contro queste due posizioni opposte ed il partito non rinuncerà a combatterla...»

E infatti, il leader comunista italiano costrinse Di Vittorio, accusato di essere contro il Partito e di renderlo debole agli occhi dell'Italia e del mondo, in una sorta di "processo interno", ad aderire alla posizione ufficiale del PCI, "sconfessando" quanto in precedenza da lui affermato, giustificando pubblicamente la sua condotta di sindacalista con l'esigenza di unità della confederazione[20].

Di Vittorio continuò a guidare la CGIL fino alla sua morte, avvenuta nel 1957 a Lecco, poco dopo un incontro con alcuni delegati sindacali. Colpito da un primo infarto nel 1948 e da un secondo nel 1956, il terzo lo stroncò all'età di 65 anni.[21]

È sepolto nel cimitero del Verano in Roma.

Filmografia

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Nel 2009 Raiuno ha trasmesso la fiction Pane e libertà, che racconta la vita di Giuseppe Di Vittorio in due puntate, andate in onda domenica 15 e lunedì 16 marzo. La regia è stata curata da Alberto Negrin, mentre la figura del sindacalista è stata interpretata da Pierfrancesco Favino. Per esigenze sceniche la miniserie è stata girata, invece che a Cerignola, nella vicina provincia di Bari, a Gravina in Puglia (la piazza delle Quattro Fontane) e ad Altamura (la Curia, il Corso Federico II ed il Museo Contadino).

Onorificenze

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  1. ^ Fai e anarchia, su sindacalmente.org. URL consultato il 29 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
  2. ^ Dati sulla sepoltura al Verano di Vindice Di Vittorio, su inmiamemoria.com. URL consultato il 26 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 5 dicembre 2014).
  3. ^ "La vita di Giuseppe Di Vittorio" di Felice Chilanti, su rassegna.it. URL consultato il 16 aprile 2007 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).
  4. ^ Piero Craveri, DI VITTORIO, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 40, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1991.
  5. ^ Il Popolo D'italia - 18 Giugno 1915 - Secondo articolo a Sinistra (JPG), su teca.bsmc.it.
  6. ^ (EN) Backup Imgur, Il Popolo D'italia - 18 Giugno 1915 - Secondo articolo a Sinistra (JPG), su imgur.com. URL consultato il 1º maggio 2020.
  7. ^ Storia CAmera
  8. ^ Giuseppe Di Vittorio, In difesa degli ebrei italiani
  9. ^ Così Giuseppe Di Vittorio raccontò le sue vicende carcerarie con Bruno Buozzi a Parigi: «Il nostro incontro avvenne nel febbraio 1941, nella prigione de La Santé. Ignoravo che anche Buozzi si trovasse rinchiuso nella stessa prigione. Un giorno, verso la fine di febbraio, la polizia hitleriana addetta alle funzioni carcerarie, trasse dalla monotonia delle celle d’isolamento un folto gruppo di detenuti per una corvée. Bisognava scaricare alcuni autocarri carichi di eccellente pane, destinato ai nostri carcerieri. Fummo raggruppati in un cortile, dal quale poi, per gruppi di dieci detenuti in fila indiana, scortati da guardie armate di mitra, si partiva carichi di sacchi ripieni di pagnotte, verso i magazzini dell’immensa prigione. Fu in quel raggruppamento di detenuti comandati alla corvée che rividi Bruno Buozzi. Appena i nostri occhi si incontrarono, con moto quasi istintivo manovrammo entrambi accortamente per avvicinarci l’uno all’altro. Riuscimmo appena a toccarci furtivamente le mani, giacché la severissima vigilanza dei nostri aguzzini tendeva a rendere impossibile ogni scambio di parole e di segni fra detenuti. Vidi gli occhi amichevoli di Buozzi brillare di gioia nel vedermi: ero la prima persona conosciuta e amica che incontrava in quella triste prigione, nello stato di angoscia in cui lo aveva gettato l’arresto. «Per me non m’importa nulla», mi disse subito: «mi preoccupa il grande dolore di mia moglie e della mia bambina, poveretti!». Un urlo da belva emesso da uno dei nostri guardiani, che aveva sentito il bisbiglio di quelle poche parole, troncò sull’inizio la nostra conversazione. Tuttavia riuscimmo a rimanere nello stesso gruppo di dieci e a marciare l’uno dopo l'altro nella corvée. Mentre salivamo uno scalone, curvi sotto il carico del pane, riuscii a dire a Buozzi parole di conforto per la sua famiglia e cercai di sapere le cause del suo arresto. Buozzi mi disse che la Gestapo hitleriana, ignara della sua vera personalità, voleva sapere da lui i motivi del suo arresto, dato ch’egli era stato arrestato su richiesta del governo fascista italiano, per essere trasferito in Italia, a disposizione di Mussolini. Bruno Buozzi aveva appena completato la frase, che uno dei nostri guardiani, con uno spintone improvviso a Buozzi - che mi precedeva - ci sbatté a terra entrambi, facendoci ruzzolare sulle scale, col nostro carico di pane, coprendoci di improperi e di minacce. Fummo subito separati e riportati ognuno nella propria cella, col rimpianto di non aver potuto continuare il discorso e con le narici inondate dalla fragranza di quel pane fresco, che la fame ci faceva sognare ogni notte! Da quel momento, però, con la tecnica nota ai vecchi carcerati politici, riuscii a stabilire collegamenti quasi regolari con Buozzi mediante lo scambio di biglietti, con i quali ci mandavamo notizie e pensieri e qualche cibaria. Dopo alcuni giorni riuscimmo sovente a prendere l'ora d'aria quotidiana nello stesso cortile, dove la possibilità e la volontà dei detenuti di conversare fra loro sono più forti della più occhiuta vigilanza. Tutte le nostre conversazioni, partendo dal presupposto comune dell’assoluta necessità dell’unità sindacale, nazionale e internazionale, e dall'esigenza imperiosa dell’unità d'azione fra i due partiti, comunista e socialista - quale base fondamentale d’unità della classe operaia - rafforzavano continuamente il nostro accordo sulle questioni di maggiore interesse, relative alla riorganizzazione del movimento operaio italiano e alla ricostituzione democratica dell’Italia. Onore e gloria alla memoria di Bruno Buozzi!» da Lavoro, n. 23, 6 giugno 1954, riportato in Rassegna Sindacale Archiviato il 13 gennaio 2017 in Internet Archive., il quotidiano online della CGIL.
  10. ^ Commissione di Foggia, ordinanza del 24.9.1941 contro Giuseppe Di Vittorio (“Combattente antifranchista in Spagna”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. IV, p. 1599
  11. ^ Cfr. Carlo Vallauri, Storia dei sindacati nella società italiana, Roma, Ediesse, 2008.
  12. ^ Cfr. Marianna De Luca, Nel rispetto dei reciproci ruoli. Lineamenti di storia della contrattazione collettiva in Italia, Milano, Vita e pensiero, 2013.
  13. ^ Cfr. Piero Boni, Il sindacalista Giacomo Brodolini, in Una stagione del riformismo socialista, Giacomo Brodolini a 40 anni dalla sua scomparsa, a cura di Enzo Bartocci, atti del Convegno omonimo svoltosi a Recanati il 27 e 28 marzo 2009, Edizioni Fondazione Giacomo Brodolini, Collana "Studi e ricerche", 2010, pagg.89-90.
  14. ^ Cfr. in Avanti! del 28 ottobre 1956
  15. ^ Cfr. in L'Unità del 28 ottobre 1956
  16. ^ Questo il testo integrale della dichiarazione di Di Vittorio del 27 ottobre 1956:
    «In ordine al comunicato emesso oggi dalla Segreteria della CGIL sui fatti di Ungheria, che tanto hanno commosso i lavoratori e la pubblica opinione, credo di poter aggiungere che gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica.
    A mio giudizio, sbagliano coloro i quali sperano che dalla rivolta tuttora in corso, purtroppo, possa risultare il ripristino del sistema capitalistico e semi-feudale che ha dominato l'Ungheria per interi decenni.
    È un fatto che tutti proclami e le rivendicazioni dei ribelli, conosciuti attraverso le comunicazioni ufficiali di radio Budapest, sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che — ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all'antico regime - non vi sono forze di popolo che richiedano il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horty.
    Condivido quindi pienamente l'augurio, espresso dalla segreteria della CGIL, che anche in Ungheria il popolo possa trovare, in una rinnovata concordia nazionale, la forza per andare avanti sulla strada del socialismo».
    Cfr. in Avanti! del 28 ottobre 1956
  17. ^ Cfr. corrispondenza da Budapest per L'Unità del 25 ottobre 1956, riportata in AA.VV., 12 giorni, la rivoluzione ungherese del '56, opuscolo dello SDI per il 50º anniversario dei fatti d'Ungheria, 2006.
  18. ^ Quando Napolitano disse: "in Ungheria l'Urss porta la pace" Archiviato il 23 maggio 2012 in Internet Archive.
  19. ^ La lettera di Togliatti è stata rinvenuta a Mosca a seguito della sollecitazione lanciata nell'ottobre 1986 dallo storico magiaro-francese François Fejto ed è stata pubblicata su "La Stampa" dell'11 settembre 1996. Il testo della lettera è riportata anche in: Csaba Bekes, Malcom Byrne, Janos M. Rainer (eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History in Documents, Central European University Press, Budapest-New York 2002, p. 294; Adriano Guerra, Comunismi e Comunisti, Dedalo, Bari 2005, pp. 190-91; Federigo Argentieri Ungheria 1956. La rivoluzione calunniata, Marsilio, Venezia 2006, pp. 135-36. Aldo Agosti, autore della biografia Palmiro Togliatti (Torino, UTET 1996, ISBN 88-02-04930-0, riedita nel 2003, quindi dopo la pubblicazione della lettera), nelle pagine 450-56 dedicate agli avvenimenti ungheresi, la ignora, riportando furbescamente però un brano di una lettera pensosa e dubitativa, quanto inefficace sul piano pratico, del 29 ottobre all'editore Giulio Einaudi.
  20. ^ Nel caso ungherese, ad avviso di Bruno Trentin (cfr. Lavoro e libertà, Roma, Ediesse, 2008, pp. 36-37), Di Vittorio dovette giustificare, senza sconfessare il documento, la posizione assunta dalla CGIL con l'esigenza di tener conto delle esigenze unitarie interne alla confederazione.
  21. ^ Giuseppe Di Vittorio, in Donne e Uomini della Resistenza, ANPI (archiviato il 22 dicembre 2022).

Bibliografia

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  • Idomeneo Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano: dalla nascita al fascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1973.
  • Giuseppe Bonanni, Il Patto di Roma. Documenti inediti, in Quaderni di rassegna sindacale, n. 114-115, maggio-agosto 1985.
  • Giuseppe Bonanni, Partiti e sindacato: la nascita della Cgil, in Analisi storica, n. 8, gennaio-giugno 1987.
  • Antonio Carioti, Di Vittorio, Bologna, Il Mulino, 2004.
  • Anita Di Vittorio, La mia vita con Di Vittorio, Firenze, Vallecchi, 1965.
  • Antonio Tatò - DI VITTORIO l'uomo, il dirigente - Editrice Sindacale Italiana, 1968.[1]
  • Carlo Ghezzi, Giuseppe Di Vittorio e i fatti d'Ungheria del 1956, Roma, Ediesse, 2007, ISBN 88-230-1175-2.
  • Adriano Guerra, Bruno Trentin, Di Vittorio e l'ombra di Stalin. L'Ungheria, il PCI e l'autonomia del sindacato, ISBN 88-230-0301-6.
  • Antonio Tatò, Giuseppe Di Vittorio da libertario a comunista, Rinascita n.44, 1977
  • Davide Lajolo, Il volto umano di un rivoluzionario: la straordinaria avventura di Giuseppe Di Vittorio, prefazione di Luciano Lama, Firenze, Vallecchi, 1979.
  • Giuseppe Di Vittorio 1907-1924: Dal sindacalismo rivoluzionario al comunismo Michele Pistillotitolo=, Roma, Editori Riuniti, 1973.
  • Michele Pistillo, Giuseppe Di Vittorio 1924-1944: La lotta contro il fascismo e per l'unità sindacale, Roma, Editori Riuniti, 1975.
  • Michele Pistillo, Giuseppe Di Vittorio 1944-1957: La costruzione della CGIL, la lotta per la rinascita del paese e l'unità dei lavoratori, Roma, Editori Riuniti, 1977.
  • Michele Pistillo, Giuseppe Di Vittorio, prefazione di Luciano Lama, Manduria, Lacaita, 1987.
  • Michele Pistillo, Togliatti - Di Vittorio, 1956-1957: dal ventesimo Congresso alla morte del grande sindacalista, Foggia, Claudio Grenzi editore, 2007, ISBN 978-88-8431-250-1.
  • Claudio Marotti, Giuseppe Di Vittorio. L'uomo, la storia, il pensiero, Editore Sudest, 2008, ISBN 978-88-9025-434-5.
  • Claudio Marotti, Giorgio Benvenuto, Giuseppe Di Vittorio. Una storia di vita essenziale, attuale, necessaria, Morlacchi, 2016, ISBN 978-88-6074-750-1.
  • Michele Orlando, Sul sindacalismo di Giuseppe Di Vittorio, Cerignola, 2009, ISBN 978-1-4452-3606-3.

Voci correlate

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Altri progetti

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  1. ^ Antonio Tatò, DI VITTORIO l'uomo, il dirigente Vol. I-II-III, Editrice Sindacale Italiana, 1º gennaio 1968.