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Nella cultura greca del V secolo a.C., la kalokagathìa (in greco antico: καλοκαγαθία?) è l'ideale di perfezione fisica e morale dell'uomo.

Etimologia

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La parola deriva da una crasi di due parole greche: καλός traslitterato kalòs ("bello") e αγαθός , traslitterato agathòs ("buono"). Letteralmente, indicava l'identità tra ciò che è bello e ciò che è buono, sia negli enti corporei sia nelle idee immateriali.

Teoria e poetica

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Il termine si origina dalla sostantivizzazione di una coppia d'aggettivi: καλός κἀγαθός (kalòs kagathòs), crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός (kalòs kai agathòs), cioè "bello e buono" inteso come "valoroso in guerra" e come "in possesso di tutte le virtù".[1] In particolare, il termine καλός per i greci si riferisce non solo a ciò che è "bello" per il suo aspetto sensibile, ma anche a quella bellezza che è connessa al comportamento morale "buono" (ἀγαθός).[2][3]

In base a un esauriente studio sulle ricorrenze del termine kalokagathia,[4] risulta invece che questo concetto più che essere un'eredità della civiltà omerica fu ampiamente introdotto, ad Atene in particolare, a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. dai sofisti, che caratterizzavano con questa espressione l'intellettuale dominante nella carriera oratoria e politica,[4] senza più riferirsi dunque a qualsiasi aspetto militare ma piuttosto a un valore morale di virtù e giustizia.

Per Platone quello della kalokagathia è un ideale aristocratico che distingue il sapiente dalla massa incolta:

«Chi si dedica alla ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo movimento, praticando la ginnastica, mentre chi si dedica con cura a plasmare il corpo, bisogna che fornisca in compenso all'anima i suoi movimenti, ricorrendo alla musica e a tutto ciò che riguarda la filosofia, se vuole essere definito, giustamente e a buon diritto, sia bello sia buono.[5]»

La kalokagathia quindi deve essere l'oggetto dell'educazione dell'uomo eccellente:[6]

«Tutte le qualità buone e belle devono essere tenute in esercizio e la saggezza non meno delle altre.[7]»

La kalokagathia dunque rappresenta la concezione greca del bene connessa all'azione dell'uomo e si sostiene quindi che vi sia una complementarità tra "bello" e "buono":[8] ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello.

Questo stesso principio del bello e buono viene riportato all'ordinamento del cosmo che con i suoi armonici movimenti astronomici e con la precisione dei rapporti matematici in esso nascosti, come avevano già messo in evidenza i pitagorici, funziona bene ed è quindi compiutamente perfetto (τέλειος, compiuto):

«È necessario che la condizione del bene sia compiuta o non compiuta? - Certamente la più compiuta di tutte, o Socrate.[9]»

Una perfezione che nella visione platonica non può contemplarsi, allora, se non nel mondo ideale perfetto dove la suprema bellezza coincide con la perfetta bontà: il "bello e buono" perfetto che spinge gli uomini a imitarlo nel loro comportamento morale.

Quasi sette secoli più tardi, Plotino riprenderà l'idea dell'epoca classica del "bello" che si attua nel bene e che egli riscontra negli aspetti visibili della «simmetria delle parti», nel «componimento unitario della loro sintesi», nell'«armonia»[10] e, come Platone, sosterrà il bello come causa dell'azione morale per cui «al bene bisogna risalire, a quel bene cui ogni anima agogna [...] e sa in che modo sia bello».[11]

Altri contesti

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Nei contesti teologici cristiani successivi, vi saranno riflessioni sulla bellezza ritenuta intrinseca ad ogni ente, accostabile all'antico concetto greco.[15]

  1. ^ Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, a cura di Giovanni Fornero, Torino, UTET, 1998, ISBN 978-8-80-207411-5.
  2. ^ Pierluigi Barrotta, Scienza e valori: Il bello, il buono, il vero, Roma, Armando Editore, 2015, p. 92, ISBN 978-8-86-677855-4.
  3. ^ Kalokagathia, su treccani.it. URL consultato il 16 giugno 2024.
  4. ^ a b (FR) Félix Bourriot, Kalos Kagathos - Kalokagathia. D'un terme de propagande de sophistes à une notion sociale et philosophique, vol. I, Hildesheim, Olms, 1995, p. 628, ISBN 978-3-48-710001-2.
  5. ^ (EL) Platone, Timeo. Testo Greco a fronte, a cura di F. Fronterotta, Milano, BUR, 2003, p. 38, ISBN 978-8-81-710693-1.
  6. ^ Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, traduzione di L. Emery e A. Setti, Milano, Bompiani, 2003, ISBN 978-8-84-529233-0.
  7. ^ Senofonte, Memorabili, 1.2.23
  8. ^ Al contrario Socrate fu descritto dai suoi contemporanei, Platone, Senofonte e Aristofane, come fisicamente "brutto" (Platone, Simposio 215 B-C; Senofonte Simposio, IV,197; Aristofane, Le nuvole). In particolare, nel Simposio Platone lo accosta alla figura dei "Sileni", quegli esseri propri della cultura religiosa greca, a metà tra un demone e un animale, che formavano i cortei del dio dell'ebbrezza, Dioniso. Ma la "bruttezza" di Socrate cela, per mezzo di una maschera, la bellezza della sua anima:

    «Alcibiade paragona Socrate a quei Sileni che nelle botteghe degli scultori servono da contenitori per le raffigurazioni degli dèi. Così, l'aspetto esteriore di Socrate, l'apparenza quasi mostruosa, brutta, buffonesca, impudente, non è che una facciata, una maschera.»

  9. ^ Platone, Phil., 20D
  10. ^ Plotino, Enneadi, 1.6.2.
  11. ^ Plotino. op.cit., 1.6.
  12. ^ a b (EN) Pasquale Giustiniani, La sintesi teologica di fra' Tommaso d'Aquino di fronte alla divina bellezza (PDF), in Aisthema: International Journal, vol. 2, n. 1, 1º marzo 2015, pp. 23–42, ISSN 2284-3515 (WC · ACNP), OCLC 1135317396. URL consultato il 15 novembre 2024.
  13. ^ Pseudo-Dionigi Areopagita, Nomi divini, in Dionigi Areopagita, Tutte le opere, testo greco a fronte, Introduzione di G. Reale, traduzione di P. Scazzoso, revisione di I. Ramelli, Saggio introduttivo, prefazioni, parafrasi, note e indici di E. Bellini, Saggio integrativo di C. M. Mazzucchi, Bompiani Il Pensiero occidentale, Milano 2009. 588 A, pp. 359-360)
  14. ^ Giovanni Fighera, San Tommaso teologo di Dante: il creato è segno di Dio, su lanuovabq.it, 25 aprile 2021.
  15. ^ Per tommaso d'aquino tale impronta è impressa nell'intelletto finito, incluso quello del filosofo-teologo chiamato a discutere scientificamente i temi della dottrina cristiana (ST, I, q. 88, a. 3, ad I): e «noi conosciamo tutte le cose nella luce della prima verità».[12] Questa concezione deriverebbe dallo Pseudo-Dionigi Areopagita, secondo il quale chi è iniziato alla conoscenza dei libri sacri, vede nelle tre divine persone (ipostasi):

    «La Causa sapiente e bella, perché tutte le cose che sono e che mantengono incorruttibili le proprietà della loro natura sono piene di ogni armonia divina e sacra bellezza.»

    La concezione estetica tomista avrebbe influenzato quella del Paradiso della Divina Commedia dantesca.[14]

Bibliografia

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  • Félix Bourriot, Kalos kagathos - kalokagathia. D’un terme de propagande de sophistes à une notion sociale et philosophique. Étude d’histoire athénienne, Hildesheim, Georg Olms, 1995 (due volumi).
  • Félix Bourriot, "Kaloi kagathoi, kalokagathia à Sparte aux époques archaïque et classique", Historia: Zeitschrift für Alte Geschichte, 45, 1996, pp. 129-140.
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