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La sieroprofilassi è una procedura di immunoprofilassi passiva che consiste nel conferimento di un'immunità passiva immediata tramite somministrazione per via parenterale di anticorpi (immunoglobuline endovena o immunoglobuline iperimmuni).[1][2]

I sieri somministrati, chiamati antisiero, hanno origine umana o non umana, e contengono anticorpi monoclonali o policlonali; rientrano nella classificazione ATC col codice J06. Gli antisieri sono ampiamente utilizzati nei laboratori di virologia diagnostica.

L'uso più comune della sieroprofilassi nell'uomo è con antitossine o sieri antiveleno.

La sieroprofilassi viene praticata anche quando si teme che un soggetto sia a rischio di sviluppare una malattia infettiva essendo entrato a contatto col patogeno stesso,[1] ricorrendo all'utilizzo di siero convalescente. Se il pericolo infettivo non è imminente, si preferisce attuare la vaccinazione, con la quale si determina uno stato di immunità attiva, in quanto la permanenza degli anticorpi somministrati è solamente di qualche settimana.[1]

Anche l'immunoprofilassi con siero anti-D per prevenire la malattia emolitica del neonato è una tipologia di sieroprofilassi.

  1. ^ a b c Sieroprofilassi, in Dizionario di medicina, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. URL consultato il 16 aprile 2020.
  2. ^ Sieroprofilassi, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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