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Mario Praz

critico d'arte, critico letterario e saggista italiano (1896-1982)

Mario Praz (1896 – 1982), critico d'arte e letterario, traduttore e giornalista italiano.

Mario Praz

Citazioni di Mario Praz

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  • [...] a chi ha posto il concetto della dignità umana alla base della campagna contro le case chiuse non resterebbe che consigliare di guardarsi intorno, e non solo in basso, e, se è ancora convinto della dignità dell'uomo d'oggi, di recarsi da un oculista dello spirito, se tale esistesse, per provvedersi d'un paio di buone lenti.[1]
  • Ahi Rousseau, «di quanto mal fu madre» la tua conversione alla dea Natura![2]
  • Costui [l'artista moderno] è vero, non è più un servo come per esempio lo era – ci ricorda Haskell – Andrea Sacchi che nella casa del cardinale Antonio Barberini era messo nella stessa categoria di un giardiniere, di un nano e di una vecchia nutrice; no, l'artista moderno è un uomo libero, libero fino al punto di non sentire neanche il bisogno d'imparare il suo mestiere. Suo solo compito è di secondare il suo genio. O almeno può credersi che sia così, se non si sapesse che la domanda del mercato, e gl'interessi dei mercanti di quadri [...] costituiscono oggi quelle condizioni esteriori che in altri tempi in modo forse meno sordido e molto più sincero, erano determinate dalla volontà di mecenati e di organismi ecclesiastici.[3]
  • [...] da quando nel 1968 la studentaglia di Parigi esaltò il ricorso alla fantasia come programma di governo [...] le cose del mondo sono andate di male in peggio.[4]
  • [...] democrazia, degli scioperi, della grande macchina di mille congegni che dovrebbe domani garantire un mediocre benessere a tutti e un'inedia peggiore dell'inferno a chi non sappia adeguarsi al livello della massa.[5]
  • Di fronte a quel grande orizzonte campestre, tra le statue atteggiate in gesti lenti e solenni, sta una sola creatura viva, un cane: un cane del principe Jusùpov, una creatura che in tutt'altre circostanze sarebbe insignificante. Ma lì quella presenza animalesca sembra gravarsi d'un significato. È come se dicesse: «Quand'io ero qui, l'agio e il lusso regnavano; i giovani gentiluomini non avevano nulla da fare, giocavano coi loro cani, e i cani stavano bene. I granduchi giravano le capitali d'Europa circondati dagli omaggi che già eran toccati ai lord inglesi, e poi dovevan toccare ai plutocrati americani; la Riviera narrava il loro fasto; essi parevano splendidi e imperituri come la malachite che ornava i loro mobili. Quand'io ero qui, il cane di Jusùpov valeva molto di più dell'anonimo servitorame».[6]
  • Di una rinascita dell'epopea nei tempi moderni non si può parlare in realtà che dal 1954-55 quando John Ronald Reuel Tolkien, un professore di Oxford di anglosassone e d'inglese medievale, pubblicò la trilogia del Lord of the Rings. [...] Egli non cerca di convertire il male con l'esempio della virtù, come fa Shelley, ma vuol debellarlo e «I draghi di Tolkien», scrive Zolla, «non sono da assimilare, da sentire in qualche modo fratelli, ma da annientare», onde la protesta dell'intellighentia d'oggi, per bocca di Auden, che osservò a proposito del Signore che non esistono esseri che obbediscano al Male assoluto, che non è possibile che una specie dotata di parola e perciò capace di scelta morale sia malvagia per natura. E se, dopo tutto, il mondo in bianco e in nero delle fiabe con un eroe buono (Frodo) e un antieroe malvagio (il re di Mordor), un mago buono (Gandalf) e un mago cattivo (Saruman, convertito al male come Lucifero in Satana), fosse più vicino alla realtà di quanto non lo sia il relativismo dell'Apostolo della mediocrità che oggi piace ai più d'accettare? Il mondo favoloso di Tolkien, che conosce la gaiezza e la facondia di canti del buon popolo degli Hobbit (elfi alti quattro piedi, in cui si legge in trasparenza la bonomia non disgiunta da ostinata prodezza del popolo inglese idealizzato secondo una formula Chesterton-Belloc, cattolici come Tolkien), ma anche truci popolazioni di Orchetti e di Cavalieri Neri, che vedon solo di notte e hanno un odorato finissimo, ed esseri viscidi e crudeli come quella reincarnazione di Caliban e del nano Alberico che è Gollum, il primitivo detentore dell'anello che dà il dominio del mondo. Ma la virtù di questo epos in prosa non sta tanto in una galleria ben caratterizzata di personaggi maschili (delle creature femminili solo Shelob è convincente, ma è un mostro), quanto soprattutto nella vicenda, la distruzione del fatale anello, non indegna di figurare accanto alla ricerca del Graal e l'affondamento del tesoro simbolo di potenza, nel Reno da parte di Hagen nella Saga dei Nibelunghi; sta nell'incalzare degli avvenimenti, nelle atmosfere serene e più spesso sinistre, d'una vastità coreografica che fa pensare agli apocalittici quadri di John Martin, e nel non dichiarato ma pervadente afflato metafisico che fa passar sopra alle occasionali velleità di «alto stile», e a certi scivolamenti nel sentimentale, il solo peccato veramente imperdonabile agli occhi degli smaliziati moderni.[7]
  • È stata mai fatta un'antologia di ciò che gli stranieri hanno pensato degl'italiani attraverso i secoli, e di ciò che pensano oggi? Non mi risulta, e non vedo d'altronde persone che potrebbero meglio farla d'un Giuseppe Prezzolini o di un Piero Buscaroli, il cui recente scritto "Perché gli italiani sono antipatici" mi sembra sufficiente arra di buon successo in una tale ricerca.[8]
  • Eccoci infine in vista di Piazza Armerina coronata dalla cupola della sua cattedrale, una veduta memorabile che impressionò molto i pittori stranieri del Settecento, e che anche quel giorno, con la sua campagna verdolina e il cielo celeste pallido con qualche nuvola grigia, faceva già quadro dinanzi ai nostri occhi. Più tardi per viuzze anguste, irte di balconcini, ingombre di panni stesi d'ogni colore, con qua e là il crudo spettacolo di animali macellati appesi agli uncini dei beccai, dovevamo salire fino a quell'alto duomo, e ammirare il palazzo Trigona della Floresta dalle cinque dalle cinque finestre color d'ocra scandite in ritmo solenne sulla facciata e soprattutto quel portale che s'apriva su un ricamo di penduli rami sul fondo celeste del cielo.[9]
  • [Sull'Etna] Emergente solenne e candida sopra la verde campagna e il mare.[9]
  • [Su Dante Alighieri e Thomas Browne] [...] entrambi erano singolarmente privi di quel che noi moderni chiamiamo il senso del humour, quello spirito folletto, sublimità del terra a terra, che sembra appartenere agli ingegni minori.[10]
  • Gli aforismi son come le bolle di sapone: alcune scoppiano sul nascere, altre s'innalzano al cielo, s'incendiano, come meteore, di colori iridati, splendono per un istante di luce abbagliante.[11]
  • I frequentatori dei superstiti giardini non sono più figurette di gentiluomini e di rustici alla Callot, ma galeotti come quelli che popolano le Carceri di Piranesi, in cerca di bimbi a cui strappare le collanine, e ancora drogati e sodomiti. [...] Altro che la pulchritudo vaga di Kant! Allo stato attuale i giardini di Roma suggeriscono tutt'altro che speculazioni filosofiche.[12]
  • [...] i pittori vi presentano un'asse crivellata di buchi, o una tela grezza con qualche grammo di colore e li chiamano quadri, e uno scultore prende il sedile di un cesso, lo combina con un tubo di stufa e lo chiama una statua.[13]
  • [...] i polacchi son forse i più fedeli tra i cattolici, e il loro contegno nelle chiese è assai diverso che tra noi; oltre tutto, le chiese sono affollate, mentre quelle di Roma son frequentate solo dai vecchi, malgrado gl'ingombranti tavolacci eucaristici recenti che vorrebbero incontrare il gusto dei giovani.[14]
  • [...] il collezionismo è un vizio, come il vizio del gioco: e non sempre si ispira al bello (come nella raccolta di sassi, di scatole, di fiammiferi, di francobolli), ma risponde a un istinto dell'uomo. A un grado successivo si diventa collezionisti d'arte, e questa è l'origine di molti antiquari, alcuni dei quali non si sono ancora liberati del «vizio»: ne conosco tra i migliori che si battono per il gusto di ottenere un oggetto, senza pensare al guadagno successivo, e una volta ottenutolo lo tengono in casa: alla fine se ne disfano, per non tradire la loro professione. I Goncourt affermano che il collezionismo è una sostituzione dell'erotismo. Allora si può dire che i più grandi collezionisti siano o fossero i sultani perché collezionando donne combinano il collezionismo con l'erotismo... In ogni modo il collezionismo, che deriva da un istinto di possesso sia pure sublimato, è proprio il contrario del misticismo che porta a spossessarsi di tutto.[15]
  • [In tutto quel che faceva, Leo Longanesi immetteva] il graffiante segno di un sogno anarco-conservatore.[16]
  • Il massimo piacere del viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio si unisce lo spostamento nel tempo. In Sicilia, il retroscena storico è profondissimo, e la varietà del paesaggio supplisce alla relativa ristrettezza spaziale, sicché si potrebbe facilmente sostenere che quello di Sicilia è il viaggio perfetto.[9]
  • Il mondo descritto dal Miller è davvero la carcassa, la carogna d'una civiltà in sfacelo, rappresentata nell'orrore delle sue città squallide e tentacolari, e della vuotaggine della vita meccanizzata. Contro codesto mondo il Miller, uno fra i tanti intellettuali che han dato voce al ritorno alla primitiva sanità della razza, ha elevato la sua protesta: «Voglio morire come città per nascere come uomo».[17]
  • Il paradosso è un esempio dell'ineffabile mistero che si cela dietro il velo delle apparenze.[18]
  • [...] il progresso che ha portato all'inquinamento e alla degenerazione delle fonti vitali, e che ha reso l'uomo appunto un mostro contro natura come il Minotauro, l'uomo civilizzato del nostro secolo che vorrebbe liberarsi del suo fardello di corruzione e tornare semplice e puro.[19]
  • [...] il pubblico dei secoli passati doveva essere più educato di quello d'oggi, ché a quel tempo conoscevano la siringa di Pan ma non quella ipodermica delle iniezioni dei drogati che ingombrano oggi il passo nei viali aperti alle masse democratiche e alle scritte oscene sui muri.[12]
  • In un'epoca in cui la famiglia era ancora un'istituzione seria e solida (non come oggi) si comprende come la testa sia simbolo del padre, la mano destra, del figlio, di un fratello, d'un amico; la sinistra della moglie, della madre, d'un'amica. Sognare di vederci male, a chi ha dei figli, significa che questi ammaleranno, gli occhi infatti son simili ai figli perché li teniamo cari, e sono guida e scorta del corpo, come i figli lo sono (o meglio lo erano) dei genitori, quando diventano vecchi.[20]
  • L'arte moderna non vuole dare piacere, il senso del piacere è connesso con la bellezza.[21]
  • La bomba atomica è un simbolo come le piramidi, ma non un simbolo di vita eterna com'esse, ma una minaccia simbolica di morte. A questo bel grado di progresso siamo arrivati dopo cinquemila anni.[22]
  • La definizione poundiana della natura dell'immagine in modo da accentuare l'unione di appello ai sensi e di appello al pensiero, la presenza dell'idea nell'immagine era capace di stabilire immediatamente un legame tra la poesia di Dante e del suo circolo e quella dei poeti metafisici inglesi del Seicento.[23]
  • La fortuna dei mosaici è [...] in parte una conseguenza dello stupore che provoca l'enorme mole di lavoro che sta dietro la realizzazione di ciascun pezzo. I tempi lunghi (talora anni) che esigeva la esecuzione non scoraggiavano gli artisti (o piuttosto artigiani, dato il carattere prevalentemente manuale del lavoro). Una virtù che s'è perduta oggi quando l'acrilico consente di sfornare una decina di quadri in una notte a uno degli sprovveduti pittori d'oggi, o il gesto d'un samurai armato di spada basta a creare un capolavoro di Fontana.[24]
  • [...] la psicanalisi appare quasi come uno sviluppo flamboyant del positivismo.[25]
  • [...] la scienza si è insediata al centro del mondo, l'arte – nonostante le moltissime gallerie e mostre d'arte contemporanea che sembrano attestare un fervore senza precedenti – è divenuta marginale, cerca essa di scimmiottare la scienza, al punto di ammantarsi di analogie illusorie, come quelle di alcuni action painters o di certi compositori seriali con la meccanica quantistica, e infine, rinunziando ad assolvere, come in passato, compiti vitali, cessa di significare alcun pensiero.[26]
  • [...] la sentimentalità del Dickens è ingenua e melodrammatica, non morbosa e insidiosa; e anche se spesso caricaturali, le sue robuste e pittoresche figure, moltissime delle quali son passate in proverbio, quasi maschere d'una nuova commedia dell'arte, formano una galleria quale non si era più data nella letteratura inglese dopo Chaucer e Shakespeare.[27]
  • Le città tentacolari, quelle nere efelidi che hanno invaso il volto della Terra, secernono la nera linfa dell'ansia: questa è verità, e poco importa se i suoi divulgatori siano pagliacci e strilloni anziché geni di prima grandezza.[28]
  • Le sacre conversazioni sono una perfetta immagine del genio italiano e cattolico, fatto di serenità, di misura, e di umanità soprattutto.[29]
  • [Sulla Rivoluzione francese] Libertà, eguaglianza, fraternità: mai in nome di più bieche menzogne si misero in moto le masse.[30]
  • Ma, se Dio vuole, incontrai anche i miei inglesitos vecchio stampo, non bizzarri e facoltosi come gli antichi, ma d'altronde cosa potevo pretendere di più in questi tempi democratici nudi di romanticismo?[31]
  • [Sullo Strutturalismo] Macché attante, macché astanza, | macché stanza del lattante: | è la moda dell'istante | che s'impone con burbanza.[32]
  • Moravia e Pasolini erano di una negatività che passava tutti i limiti, come se d'Annunzio avesse fatto loro dei dispetti personali. L'avevano letto o no? Moravia disse che l'aveva letto con Bertolucci, il figliuolo del poeta, poeta anche lui. Diceva: "L'ho letto. Va tutto a pezzi. Non resta niente. Non è un poeta. È un letterato e per giunta di pessimo gusto". Ora, francamente, come lo leggevano? Se lo leggevano in quel tono, allora anche Petrarca diventa niente. Se uno legge l'Alcyone con il tono di Moravia [...] Pasolini disse: "L'unica cosa bella che ha scritto d'Annunzio è quando vide Pascoli per di dietro e osservò la nuca". Era molto pasoliniana questa osservazione [...] In quale caso della letteratura italiana è successo qualcosa di simile? A che cosa attribuirlo? Circostanze politiche, no, perché quel comportamento era cominciato molto prima. Magari da quella reazione futurista che voleva demolire tutto quello che era passato. Insomma, io credo che d'Annunzio sia il capro espiatorio di qualcosa. Di che cosa precisamente?[33]
  • [Su Harold Acton] Napoli, con la rivalutazione d'una dinastia disprezzata dagl'inglesi dell'Ottocento, i Borboni, gli fornì un incantevole pretesto per la sua reazione al mondo moderno, con le sue idee democratiche e le "macchine da abitare".[34]
  • Nelle impressioni dei mari del Sud, più che nelle poesie (di solito cose di breve respiro, che egli componeva quando era troppo infermo per attendere a opere di maggior lena), lo S. [Stevenson] rivela la natura fondamentalmente lirica del suo genio, di saper circonfondere d'un'atmosfera leggendaria non solo le cose in sé pittoresche, ma anche le più umili circostanze della vita.[35]
  • No, la nostra epoca non ama i colori schietti. Li trova troppo arditi. Così, penso, chiamerebbe incredibile o eroica una persona che fa soltanto il proprio dovere. D'altra parte, avendo perduto il senso dei valori, anche certe azioni che in altri tempi avrebbero dato luogo a tragedie, oggi passano per cose ordinarie, esperienze di vita che bisogna scuotersi di dosso. La tragedia di Gretchen deve sembrare ben ridicola alla signorina della buona società che, per un imprevisto accidente, ha un bimbo bastardo da un «tizietto» la cui prestanza l'ha incapricciata per un momento, pur non avendo nessuna intenzione di far di lui il proprio compagno.[36]
  • Non c'è quasi varietà di paesaggio nel mondo che non si trovi in Italia, e non c'è quasi aspetto d'Italia, montano, ubertoso o desolato, che non si ritrovi in miniatura nelle sue isole, la Sicilia e la Corsica: ma dove l'arte dell'uomo ha posto il suo suggello, il luogo, per vario che sia, cessa di richiamare aspetti esotici, per assumere un volto inequivocabilmente italiano.[37]
  • Non è che una rustica colazione quella che si può fare presso le rovine di Veio, in una capanna da cui s'ode il crosciare dell'acqua, ma quell'aria d'eternità, di mondo dei primi tempi che lì si respira, è tale condimento che vale ogni più squisito desinare. Le ore del pomeriggio si facevano d'un oro più carico, e son queste le ore più belle tra le rovine. A un certo momento sarebbe stato necessario tornare alle vie sui cui lati le automobili stan fitte come le piattole negl'interstizi dei muri, ai negozi dove si vendono prodotti vistosi ed effimeri, a quelle tante manifestazioni che si chiamano di vita, mentre la vita è qui, in luoghi come Veio, su cui s'indugia ancora l'alito dei numi.[38]
  • [Su Castel del Monte] Non so come fossero quelle mura di Tebe che Anfione, come vuole il mito, eresse al suono della sua cetra che attrasse e disciplinò le pietre dei monti; ma non poterono vincere in bellezza le mura di questo castello [...].[39]
  • Oggi Julio Le Parc lancia un forte appello per demitologizzare l'arte tradizionale; sarebbe il caso piuttosto di ridimensionare la paraarte e di riconoscere col Sedlmayr che «il trattamento tecnicamente virtuosistico di un materiale di fabbricazione non produce alcuna opera d'arte bensì un gioco della tecnica» [...] come non dare ragione al Sedlmayr quando deplora che l'arte abbia abbandonato Dio e si sia messa al servizio di un idolo, nella fattispecie, se non proprio della luciferina autosufficienza dell'uomo, certo della Scienza, come nel romanticismo aveva messo sugli altari la Natura.[40]
  • Ogni labirinto ha un centro sacro, dove risiede il mistero ineffabile: questo può essere raffigurato anche come una torre, un castello, una città celeste; la matrice è rappresentata come una città (metropoli) o fortezza che deve essere conquistata.[41]
  • [...] ottusa e faziosa speculazione degl'intellettuali di sinistra [...] vedevano la pagliuzza nell'occhio dell'America e si rifiutavano di vedere il trave nell'occhio della Russia. Il mostro per loro non era Stalin, ma quell'untorello di MacCarthy. Non credevano alla peste, ma rabbrividivano di religioso orrore al solo pensiero della varicella. Quos Deus vult perdere.[13]
  • Quelli che si chiamano oggi realisti o neo-realisti, ad esempio, così intenti a veder chiaro e netto nel nostro mondo, somiglian spesso alle capre di cui parla De Foe nel Robinson Crusoe, che «in conseguenza della posizione dei loro occhi, esse guardavano tanto verso il basso da non riuscire a vedere gli oggetti posti sopra di loro». Han preso troppo alla lettera certo precetto di Flaubert, che ammoniva – e a quel tempo l'ammonimento aveva il suo valore – di tener d'occhio soprattutto le latrine.[42]
  • Se scaviamo sotto la montagna dei sistemi filosofici che son sorti nei secoli per spiegare il senso dell'universo e l'essenza dell'uomo, si può rimanere sorpresi nello scoprire che in un piccolo diamante, il pensiero di Eraclito, è contenuta l'intuizione più sicura che abbia mai colto il segreto del ritmo del mondo. Per Eraclito tutto si cangia incessantemente nel suo opposto, e la lotta dei contrari si risolve in un equilibrio che è l'armonia invisibile del mondo.[43]
  • Si potrà discutere se sia arte quella confezione di certi quadri di Miró che in nulla differisce dalla confezione d'una pizza (Miró si fa aiutare da una bambina a impiastricciare con pennelli e con le dita codesta torta estetica).[44]
  • Sono soltanto i moderni che mettono il carro davanti ai buoi: pensano prima alla tecnica, poi a quello che hanno da dire. [...] E se questo accade sovente pei poeti, e non solo in Inghilterra, che dire dei nuovi pittori e scultori presso cui la preoccupazione tecnica è di regola? Inventano schemi, impalcature di fili di ferro per fuochi d'artifizio, ma poi, li vedete voi partire i razzi e le girandole?[45]
  • Stevenson è grande perché è un grande narratore, perché nell'esercito degli scrittori è un bersagliere. Va di passo elastico, va diritto allo scopo, volteggia, mira, colpisce nel segno.[46]
  • Tale campagna [contro le case chiuse] era già un'impresa disperata in partenza, come quella delle misure antialcoliche negli Stati Uniti in anni ormai lontani; codeste campagne non fanno che rendere più cara la merce, aggravandola del presunto rischio: si poteva facilmente prevedere, nel caso della prostituzione, che non avrebbe cambiato d'un pelo la posizione della donna. Nel frattempo la donna s'è equiparata all'uomo nel campo sessuale; i tabù della castità e della verginità sono stati buttati alle ortiche, e, in clima di libero amore (indirettamente omologato dal costume: la donna in pantaloni), gli adolescenti non hanno più bisogno dell'iniziazione nelle case chiuse; il problema è risolto bussando alla porta accanto. Un progresso, in un certo senso, che però non era precisamente quel che la legge Merlin si proponeva. [...] Ora che le ragazze possono fare le avances, i maschi non di rado cercan compagni nel loro sesso. Almeno fintantoché questa scelta conserverà il thrill del mistero e del pericolo, che però sta scomparendo. Poi non resterà che ricorrere agli animali, e si regredirà allo stadio dei pastori delle zone sottosviluppate. Ma, in ogni caso, non si parli più della dignità dell'uomo.[47]
  • [Avvicinandosi a Martina Franca]. Tra il verde dei vigneti appaiono i primi trulli. Prima singoli e sparsi, poi a coppie, a agglomerati, capezzoli bianchi di mucche capovolte e interrate, piccole Sante Giustine di Padova, piccoli San Marchi di Venezia imitati da un bimbo con sabbie candide come quelle di Santos, o addirittura moschee, tende di sciti o di tartari, qualcosa di orientale, di favoloso e fiabesco, quale mai fantasia ne sognò l'eguale [...].[48]
  • [Su James Joyce] Un uomo che cogliamo in aspetti obliqui di bohème, di fuggitivo, di straniero, personaggio ambiguo e talora grottesco come il suo Bloom; un pedante, un maniaco, un poeta con molte caratteristiche del raté, le cui opere sarebbero rimaste quelle di un raté in ogni altro secolo fuor che nel Novecento, che si arrese al fascino della loro illeggibilità.[13]
  • Un uso blando e insidioso dell'appello al sesso è molto più «pornografico» del franco parlare, come riconobbe il Lawrence: «Boccaccio nei passi più salaci mi sembra meno pornografico di Pamela, di Clarissa, e perfino di Jane Eyre, o di una quantità di libri o film moderni approvati dalla censura. Al tempo stesso il Tristano di Wagner mi sembra molto vicino alla pornografia e così proprio, perfino, certi popolari inni cristiani».[17]
  • V'è una fonte segreta di freschezza anche nelle nature morte, come il seme sepolto nella tomba dei Faraoni era capace di fecondità anche dopo tremila anni d'ombra.[49]
  • [...] viaggiare è un sentirsi morire a ogni passo, la vita appare al viaggiatore come un'esperienza estremamente eccitante, come un'avventura che di certo non si ripeterà di nuovo. (da Penisola pentagonale[13])
Dall'intervista di Alfredo Cattabiani, Conversando con Praz e Isotta, Prospettive libri, gennaio 1981, pp. 18-22
  • [E sua madre, di che origine era?] Di antica famiglia centro-italiana. In epoca medioevale erano stati condottieri e avevano avuto parecchi feudi, poi la famiglia è decaduta. Io sono nato a Roma, ma i primi quattro anni li passai in Isvizzera, poi andai a Firenze dove sono vissuto fino alla laurea, tranne una parentesi di due anni a Roma. Il mio spirito è più toscano che altro. Di romano ho qualcosa nel sangue da parte di mia madre.
  • [Che influenza hanno avuto i genitori sulla sua educazione culturale?] Mio padre nessuna. La ebbe in parte il nonno materno, che era, secondo le tradizioni militari di famiglia, ufficiale dei carabinieri.
  • Oggi si fa sovente una critica pesante, lo strutturalismo, con i suoi schemini e diagrammi. A questo proposito, uno dei libri che ho criticato più severamente è stato quello di Bonito Oliva su L'ideologia del traditore. Non stava né in cielo né in terra. La critica si è aggiornata in ritardo, soprattutto sulla "nouvelle critique" francese. Io non so che cosa la gente ci veda. Ma! Certo, dal crocianesimo con i suoi schemini facili, cui tutti si adeguarono a suo tempo, fino allo strutturalismo, che è una cosa volutamente e stupidamente complessa, siamo arrivato al punto che non crediamo più a niente. E lo stesso potrei dire della musica moderna o dell'arte concettuale che mi mettono in uno stato d'animo di irritazione.
  • Quando lasciai l'insegnamento a Liverpool per andare a Manchester, lei [sua moglie], che era stata studentessa a Oxford e si era laureata in italiano, aspirò a quel posto, e allora fu fatta un'intervista, in cui c'ero anch'io, e lei risultò abile. Ora Liverpool e Manchester sono vicine, e quindi ci furono molti contatti... e francamente lei mi sedusse, diciamo così. I primi anni furono anni felici. Anche lei aveva tendenze letterarie, e avevamo così un mondo in comune. Ma... che vuole? Oggi divorziano tutti, tutte le mie allieve sono, separate, divorziate, oggi non esiste più famiglia.
  • Quanto a mio padre, era di origine valdostana, la sua famiglia era venuta dalla Svizzera in seguito a persecuzioni religiose, perché i Praz erano cattolici. Un cognome, il nostro, franco-provenzale, che si trova anche in Catalogna con la tz.
  • Sono andato a vedere qualche rappresentazione di Shakespeare in Italia con traduzioni modernizzate e adattamenti moderni: inammissibili! [...] il Settecento inglese presentava i personaggi shakespeariani con gli abiti del secolo. Ma non lo faceva con lo stesso spirito di oggi. Anche i pittori del Rinascimento vestivano i personaggi della Natività con abiti del Cinquecento. Il senso storico viene soltanto con l'Ottocento. Oggi, dopo gli eccessi ottocenteschi di ricostruzione storica, siamo giunti al capovolgimento totale, al surrealismo totale. [...] Oggi tutto è portato al paradosso, all'estremo, al capovolgimento. Capovolgere è uno dei verbi usati molto dalla critica strutturalista.
  • Tornando ai critici, ho letto libri di Citati che hanno qualità notevoli. Tuttavia, quando lui scrive, mi pare che si delizi della pronunzia delle sue frasi. È un elegantissimo riepilogatore dell'atmosfera di un libro. Apprezzo poi Elémire Zolla che non è rientrato negli schemini dello strutturalismo, e Macchia, un critico di grande valore: penso, ad esempio, a un suo recente scritto su Montaigne.
  • [E sua moglie, dove vive?] Un po' a Roma e un po' a Magonza perché il marito, Volbach, che è uno studioso di paleocristianesimo, insegna lassù. Loro si conobbero durante la Resistenza, lui era antinazista, era stato escluso dall'insegnamento perché aveva un ottavo di sangue ebraico, e loro due complottavano. Io no, perché non sono mai stato né fascista né antifascista. Un giorno che mia moglie era andata, diceva, da un'amica e tardava a rientrare, telefonai a quest'amica che cadde dalle nuvole. E quando mia moglie tornò a casa, le dissi: "come mai non sei andata là?". "Sono stata dal mio amante", rispose.

Bellezza e bizzarria

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  • [...] al posto delle elette gentildonne favolatrici, Pampinea, Fiammetta, Neifile, qui troviamo Zeza sciancata, Cecca storta, Meneca gozzuta, Tolla nasuta, Popa gobba, Antonella bavosa, Ciulla musuta, Paola scerpellata, Ciommetella tignosa e Iacova squarquoia: un vero e proprio congresso di lamie. È vero che costoro, scelte dal re di Vallepelosa come le migliori della città, essendo le più svelte e linguacciute, favoleggiano nei giardini reali. Ma che giardini reali son questi! Invece di alberi solenni, una semplice pergola d'uva: il giardino reale si riduce alle proporzioni d'un modesto orto suburbano. E che re son quelli dei «cunti» del Basile! Che cosa inventa uno di essi per distrarre la figlia che non sapeva ridere? Niente di meglio che schizzare con una fontana d'olio le persone che passano dinanzi alla reggia. Trovata allegra degna di quello che doveva essere un re napoletano, il re Lazzarone, che per mettere il buonumore addosso alla delicata sua sposa, le toglieva di sotto la sedia facendola cadere. (Il che dimostra che Ferdinando I fu un prodotto inevitabile di quello stesso ambiente che produsse le fiabe del Basile.) Un altro re deve abitare in un ben curioso palazzo, se non può fare uno sbadiglio senza irritare due vecchiacce che vivono in un giardino su cui guardano le sue finestre. Un altro se ne sta affacciato alla finestra per trovar marito alla figlia; e v'è un principe che rapisce la bella non già su un cavallo alato, ma su un modesto asino, e ve n'è un altro che fa alle sassate coi monelli di strada. (da Il «Cunto de li cunti» di G.B.Basile, p. 170)
  • Il problema che preoccupava Patmore fin dalla giovinezza era la sublimazione della vita corporale mediante la sua interpretazione simbolica. Solo la Chiesa cattolica favoriva la concezione dell'amore terrestre come primo stadio, adombramento dell'amore celeste [...] Solo con una conversione al cattolicismo, che vedeva nella Donna l'immagine del Paradiso, il Patmore poteva comporre il dissidio tra il suo essere senziente e la sua aspirazione religiosa. Dopo tergiversazioni e interiori dibattiti, una notte, mentre era solo nell'albergo, vide che la serenità poteva essergli data soltanto da una completa sottomissione. Roma, che già gli era parsa una capitale di terz'ordine, era adesso per lui l'Universo. Scriveva a un amico: «Ci sono qui per voi i santuari di Shelley e di Keats, per me il Limina Apostolorum». (da Patmore a Roma, p. 369)
  • [Su D'Annunzio] [...] sontuoso personaggio araldico, re di fiori o di picche (o di tutt'e due) [...] mescolato per un caso strano nel mazzo bonario delle carte italiane, carte borghesi e popolane, coppe, bastoni, denari, spade. (da Esperienza dannunziana, p. 733)
  • Più tardi, ebbi tanta curiosità di conoscere Soffici, Cecchi e qualche altro scrittore d'allora; certe mie gite in bicicletta a Poggio a Caiano, di prima primavera, son tra i miei ricordi più deliziosi; leggevo Rimbaud, e Soffici era per me un luogotenente di Rimbaud, oltre che un ammirevole toscano. (da Esperienza dannunziana, p. 737)
  • [...] ma poi vi diranno che lo Zeitgeist è una menzogna, un fantasma, e chi poco poco sembra crederci dev'essere un sempliciotto. (da Apoteosi della curva, p. 833)
  • Quando se n'è fatte di tutte per persuadersi che anche il mondo d'oggi è bello, che anche tra le macchine e il cemento armato possono accamparsi le Muse – dacché c'insegnano che tutto può trasformarsi in poesia e che tutto è spirito – quand'anche si sia arrivati al punto di ammettere l'ecolalia di un Marinetti o di un Lindsay, come non intenerirsi per la scomparsa di quel caro mondo di un secolo fa, che a noi moderni pare, a torto o a ragione, così intimo, pacato e rinfrescante? (da Nota sul colore locale, sulla Londra del Lamb, e sulle rovine irreparabili, p. 1106)
  • L'aver un certo mobile arredato un tempo le stanze di Maria Antonietta può dare un brivido anche a un'anima delicata, oltre che scuotere la grossolana fibra d'un parvenu. (da La filosofia dell'arredamento, p. 1216)
  • [...] c'è una continuità internazionale che portava una familiarità e un imparentamento con altre famiglie nobili d'Europa, attuandosi così in un cerchio ristretto e affiatato quella comunità europea che tutti gli sforzi degli odierni statisti non riescono ancora ad attuare su un piano democratico. Esisteva un'Europa unita di famiglie reali e nobiliari, e come in tutte le famiglie, c'eran baruffe e le chiamavano guerre, ma parlavano la stessa lingua e alla fine si mettavan sempre d'accordo, a spese dei popoli, diranno gli storici, finché vennero il vapore, e l'industria, e il capitalismo, e l'urbanesimo, e la massa, e la babele che assume la maschera di Nazioni Unite, e la cortina di ferro e la navigazione spaziale, e il mondo, pur divenendo standardizzato e infinitamente contratto e più piccolo, è uscito fuori di controllo, e nessuno può più compendiarlo in un album come quello dei Chigi. (da La filosofia dell'arredamento, p. 1227)
  • Ahimè, l'imponenza diplomatica dello stile Impero s'è raccomandata anche ai villani rifatti, agli eroi cinematografici, ai pasticceri di lusso, ai decoratori delle sale da pranzo degli alberghi e dei transatlantici. Mobili Impero ha il presidente della repubblica dell'Uruguay e il pugilista giubilato che si ritira dall'agone dei pesi massimi. Ma ogni stile ha i suoi inconvenienti, ed è forse più irritante trovar lo studio d'un avvocato che arieggia un conventuale Quattrocento, o la casa d'un cattivo architetto che scimmieggia il grandioso barocco dei principi e dei cardinali, o la stanza da letto d'un albergo che giustifica il suo prezzo imitando goffamente le voluttuose grazie del rococò, che non un ambiente che aspira a una certa soggezione, nello stile che per prima cosa intende d'essere uno stile di soggezione. (da Dello stile Impero, p. 1328)
  • Alcune piazze di Roma «nascono di colpo pianificate e perfette»; altre «impiantandosi su uno schema preesistente, ne traggono un'armonia imprevista», trasformando «una prosa in poesia»; ci sono infine altre piazze che «nascono un po' a caso [...] hanno una lenta gestazione di crisalide, finché un giorno, per un colpo di genio, spiegano ali d'angelica farfalla». (da Piazza di Spagna, p. 1541)
  • [...] non c'è nessuno come lo snob per spingere alle estreme conseguenze una voga. (da I quadri coi quali si può vivere, p. 1631)

Cronache letterarie anglosassoni: vol. II

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  • Tante divergenze sui libri di guerra sono possibili perché si fa confusione tra documento storico e opera d'arte. Il fedele documento storico, nel senso che l'intendono certuni, è una chimera. (p. 10)
  • Gertrude Stein [...] compone arabeschi con cadaveri di parole. (p. 34)
  • Ho già detto altrove che del poeta Pound ho la massima stima; quanto al Pound erudito e paleografo è un'altra questione. (p. 36)
  • La Terra desolata di T. S. Eliot è tutta ravvicinamenti di cose disparatissime, tra le quali non è sempre agevole stabilire associazioni e analogie. (p. 36)
  • Se a spiegare Dante è necessaria la filosofia di san Tommaso a spiegare Pound basta il cinematografo e l'oniromanzia freudiana. (p. 37)
  • Il Pound – dicevo – è un divertentissimo Fregoli della poesia; si maschera con successo in tutti gli stili, senza la famosa sicumera di un Hugo o di un Leconte de Lisle; è, se volete, come quei «rinaldi» che recitavano nelle piazze di Napoli il Tasso, storpiandolo, e imbarbarendolo, ma vivendolo con tutta la loro focosa natura. (p. 38)
  • I libri gialli occupano un degno posto accanto al fosfoiodarseno, agl'ipofosfiti, all'olio di fegato di merluzzo, e a quelle pozioni che i farmacisti preparano per ristabilire l'equilibrio delle zitelle insoddisfatte. Oscuri istinti, che potrebbero trovare sfoghi dannosi alla società, s'incanalano in perfetto ordine nello sfiatatoio d'una detective story. Il raziocinio, che trova repellente l'induzione scientifica, si diletta presso i più nell'esercizio degli indovinelli a parole incrociate, nel calcolo di probabilità del poker, o, appunto, nel seguire un'avventura poliziesca. (p. 51)
  • [Su Emily Dickinson] Mi piace quel suo perpetuo biancovestire e circondarsi di fiori nella crescente solitudine, quella sua aria un po' stravolta d'Ofelia borghese, logorata da un misterioso e disperato amore, quel suo appannaggio di eterei convegni («L'ultima volta che lo incontrai su questa terra, ero con i miei gigli e i miei eliotropi»), di audizioni musicali terminanti in un'offerta, alla pianista che si recava a visitare lei invalida, di un calice di vino su un vassoio d'argento, con una fetta di dolce e una rosa o una poesia composta sul momento [...] e infine quel suo uscire dal mondo in una tersa giornata di maggio, col volto composto in una meravigliosa pace che pareva una nuova giovinezza, con in seno un mazzolino di violette, un Cypripedium rosso pallido e due eliotropi, mentre davanti alla casa era fitto di ranuncoli, di mammole e di gerani selvatici, e un'atmosfera strana e solenne, come in un racconto del Poe, era calata all'ingiro. Questo clima di leggenda aurea, rivissuta da una fantasia simbolista, soverchia, per la sua intensità patita, ogni maniera fin di secolo, e accompagna al Firmamento in cui per sempre s'inciela il Piccolo Fiore del Trascendentalismo americano. (p. 152[50])

Gusto neoclassico

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  • [...] l'immediatezza, feticcio romantico, di cui sono sottospecie l'impressionismo e la scrittura automatica, una volta assunta a supremo criterio di giudizio, ha fatto sì che non solo vengano condannate intere epoche artistiche come il neoclassicismo, ma che dei grandi artisti neoclassici, si salvino solo gli schizzi, gli abbozzi, gli spunti come quelli che conservano qualche scintilla di quel fuoco divino che poi la rielaborazione smorzerebbe. (pp. 129-130.)
  • L'insieme degli edifici neoclassici sulle rive della Neva crea un sogno d'Eliso, ma è un Eliso a misura d'uomo. (p. 224)
  • Qui, sulle rive della Neva, è come se si sollevasse un velo, e si contemplasse per un momento il segreto dell'armonia delle cose, e si rimane sorpresi che la visione duri, e che un'avara dispensatrice non la sottragga un attimo dopo agli occhi abbagliati. (p. 224)
  • Secondo Impero, età non più eroica come quella napoleonica, ma democratica, borghese, ove nessuna mascherata di stile antico era possibile nella vita pratica.[51]

I volti del tempo

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  • La malattia può agire «da filtro, da cribro», mettere l'uomo dinanzi alla verità, e quindi concentrare l'attenzione, dar maggiore acume allo spirito. Esser messi a faccia a faccia con la morte è ben diverso dal saper vagamente che un giorno si dovrà morire. L'etisia avrebbe la funzione del teschio sul tavolo degli anacoreti e dei santi. Uno spirito pusillanime potrà crollare completamente, ma un genio, o un ingegno che abbia alcune qualità del genio, potrà trovarvi un punto d'appoggio, una leva per scoprire alcunché del mistero del mondo. (p. 103)
  • Il dandy è una delle prime sfide contro la minaccia d'una civiltà di massa, è, così parve al Baudelaire, una muta e sprezzante ribellione contro il materialismo d'un'era democratica: una affermazione di singolarità, di esclusivismo da parte dell'individuo, sia pure in un campo frivolo (ma Byron metteva Brummell accanto a se stesso e a Napoleone), e, a dire il vero, nel genuino prototipo attinse un grado di perfezione mai più raggiunto. Eleganza senza vistosità, arguzia talora così sottile da non trovare altra espressione che un silenzio significativo. (p. 228)
  • Il passo delle Vergini delle rocce di D'Annunzio sulla devastazione dei «luoghi già per tanta età sacri alla Bellezza e al Sogno» provocherà lo scherno degli uomini d'affari, ma mi dicano costoro se la speculazione edilizia romana della fine del secolo scorso non rassomiglia a quella del ladro che fonde preziosi lavori d'oreficeria per ottenerne soltanto la materia greggia, l'oro? Ci fu in ogni modo una nemesi per gli avidi speculatori edilizi romani: fallì la Banca Romana, e il principe di Piombino, sull'orlo del disastro, dovette cedere il superbo, scenografico palazzo che s'era costruito su un lembo del giardino distrutto. (p. 438)
  • [...] dopo la scomparsa di Cardarelli, nume tutelare della libreria internazionale Rossetti, la frequentazione dei letterati e degli artisti in questa parte della strada si è diradata assai: il loro luogo di ritrovo è ora piuttosto nei caffè di Piazza del Popolo. Pietro Accolti, in un articolo sul «Tempo» di Roma (28 gennaio 1962) ha scritto per disteso su questo cambiamento d'abitudini occorso a danno di Via Veneto, e il libraio Rossetti potrà raccontarvi molti saporosi episodi relativi al poeta di Tarquinia, che negli ultimi tempi soleva sedersi imbacuccato nel suo cappotto in uno dei caffè della strada, e ancora dardeggiare di quando in quando dal suo letargo qualche sulfureo lampo di malignità. Come per esempio quella volta che una signora pseudo-intellettuale (una mezza calzetta turchina, insomma) voleva avviare con Cardarelli una conversazione su Goethe, e lui tagliò corto dicendole: «Lei vorrà dire Golden Gate» (il nome del caffè lì accanto). (p. 444)

Il patto col serpente

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  • Nella tentazione d'Eva è simboleggiata la parabola della sensibilità sollecitata dall'immaginazione, alla quale dal romanticismo in poi è stato dato libero corso, esaurendo così tutte le possibilità fino a quella morte dell'arte di cui oggi si parla così insistentemente. (p. 8)
  • Accade talvolta che, mentre si legge, si sentono pronunziare, da persona che si trova nella stanza, precisamente le stesse parole sulle quali i nostri occhi si posano in quel punto della pagina. Spesso si tratta delle più semplici parole, e non facciamo più caso che d'una curiosa coincidenza tra fatti senza rapporto alcuno tra loro. V'è tuttavia qualcosa di preternaturale in questa che sembra come l'eco udibile di parole mute, quasiché ci sorprendessimo a ripetere con voce non nostra ciò che leggiamo, o che l'altra persona nella stanza pronunziasse per telepatia il nostro testo. Non ci sfugge il carattere strano di queste coincidenze, che per lo meno ci danno un piccolo brivido di sorpresa come la gherminella d'un prestigiatore che, ad esempio, ti fa ritrovare in tasca l'oggetto veduto un attimo prima sul tavolino. Altre volte la coincidenza è più profonda, e veramente ci fa trasalire. Havelock Ellis racconta nella sua Vita come, mentre assisteva la madre ammalata, s'era preso da leggere per la prima volta Peer Gynt di Ibsen; e proprio la mattina che leggeva la scena in cui Peer Gynt è al capezzale di mamma Aase morente, udì dal letto presso cui stava un suono di respiro penoso: quello della propria madre che entrava in agonia. [...] Quell'improvvisa rima tra due fatti in apparenza slegati, quella strana cadenza in cui essi combaciano e si fondono quasi, par suggerire un'identità segreta, alzare per un momento il velo d'un mondo metafisico di cui ordinariamente ignoriamo l'esistenza [...], perché ci sono momenti in cui effettivamente par che alle nostre parole, alle nostre azioni un'eco si risvegli nel grembo dell'invisibile mondo. (p. 82[52])
  • [...] un bibliotecario inglese invertito a cui chiesi una volta quale ragione ci fosse per quell'associazione tra il marinaio e l'inversione, mi disse che i pantaloni dei marinai, coll'apertura laterale, mettevano in evidenza ciò che nel Quattro-Cinquecento si proteggeva con la braghetta. (p. 249)
  • Una reazione allo stile dannunziano poteva essere legittima ai tempi del futurismo, ma oggi l'ostilità polemica degli scrittori verso d'Annunzio mi pare pecchi non d'avanguardismo, ma di passatismo. (p. 389)

La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica

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  • Dello scrittore – non diciamo poi dello scrittore di genio – mancano a Sade le qualità più elementari [...] tutto il suo merito sta nell'aver lasciato dei documenti che rappresentano la fase mitologica, infantile della psicopatologia. (p. 6)
  • [...] l'epoca bizantina è un'epoca d'anonima corruzione, senza nulla d'eroico. (p. 352)
  • L'abito dannunziano di costruirsi tutto dall'esterno, cercando se stesso negli altri, appropriandosi e riducendo a un comune denominatore le diverse fonti [...] ha fatto sì che l'opera complessiva del poeta presenti l'aspetto d'una monumentale enciclopedia del decadentismo europeo. Qualcosa di simile aveva tentato il Wilde, ma il Wilde, mimetico passivo, non possedeva il potere dannunziano di dare unità alla vasta macchina. Questo potere dannunziano, che poi è la stessa cosa della sua ispirazione, è null'altro che la «carnalità di pensieri», il dono di conferire a ogni pensiero «un peso di sangue», il dono del Verbo, che il D'Annunzio possiede a un grado per lo meno eguale del grande francese che gli fa riscontro per il periodo anteriore, Victor Hugo. A voler compendiare in una formula Hugo è il D'Annunzio del romanticismo, D'Annunzio il Victor Hugo del decadentismo. (p. 358)

La letteratura inglese: Dal medioevo all'Illuminismo

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  • [...] l'affermazione comunemente ripetuta che Chaucer è il padre della lingua inglese non corrisponde ai fatti. Chaucer usò il linguaggio corrente a Londra al tempo suo, come dimostrano le carte conservateci negli archivi. Non soltanto non alterò le flessioni grammaticali, ma aggiunse poche parole al vocabolario. (cap. III, p. 37)
  • Sì, possiamo immaginarci sir Thomas Malory come un adorabile primitivo, un innamorato di cose nobili e belle e grandi, finché non sappiamo, in base alle moderne ricerche che l'hanno identificato con un personaggio della parrocchia di Monks Kirby nella contea di Warwick, figura più di bandito che di compíto gentiluomo, che per via delle sue violenze e rapine fu spesso in prigione, e in prigione scrisse appunto le sue storie di cavalleria. (cap. IV, p. 49)
  • [...] il Lyly segue davvicino i modelli italiani, imitandone pure l'atmosfera cortigiana: trasportando sulle scene il tipo di dialogo neoplatonico e cortese che egli aveva desunto dall'Italia, e introducendo nei drammi poesie leggere e graziose, come nel Decameron (sebbene di codeste poesie non gli si riconosca oggi la paternità), il Lyly prepara la via alle commedie di Shakespeare. (cap. VI, p. 69)
  • [...] il Sidney non è un servile imitatore, e i suoi sonetti gli meritano l'epiteto di «Petrarca inglese» per la sottigliezza psicologica e le mosse appassionate: prima di lui la letteratura inglese non aveva conosciuto nulla di liricamente così alto. (cap. VI, p. 77)
  • Sullo Shakespeare sarebbe facile forse (e forse altrettanto vano) scrivere una pagina quale scrisse il Pater sulla Gioconda di Leonardo, e vedere sul suo capo «scontrarsi i termini dei secoli», e sulla sua fronte (di cui pur nelle insoddisfacenti effigi s'indovina la serena ampiezza) il segno di tutti i pensieri e di tutta l'esperienza del mondo; anche per lui potrebbe dirsi che «tutto questo non è stato che suono di lire e di flauti, e vive solamente nella delicatezza» con la quale ha modellato gl'incomparabili versi, fino alla conclusione di quel famoso «pezzo» di Pater, che vede nel personaggio incarnata la fantasia d'una perpetua vita, che aduna insieme migliaia d'esperienze. (cap. VIII, p. 103)
  • L'opera del Ford [...] è tipica della fase conclusiva del dramma elisabettiano. Tratta gli stessi motivi sensazionali cari ai tragici precedenti, ma con un distacco morale, una economicità di stile, un'assenza d'enfasi, che dichiarano giunto il limite di saturazione. (cap. IX, p. 216)
  • Sfrondate dei mal pertinenti intrecci comici secondari, le tragedie del Ford potrebbero reggere al paragone col teatro greco. Ma i suoi drammi non hanno compatta atmosfera tragica: intrecci secondari, personaggi comici dissipano ogni possibilità di concentrazione: in Ford il dramma elisabettiano giunge alla fase di frattura, si disgrega nei suoi componenti: un a solo tragico suona stonato in mezzo a un incrociarsi di note di opera buffa. Questa è la reale impressione, assai insoddisfacente, che lascia la lettura di quei drammi. (cap. IX, p. 217)
  • Illuminato da un'esperienza mistica, il Vaughan decise di passare il resto dei suoi giorni nell'assistenza dei malati e nella contemplazione dei misteri divini, vicino alla natura che, come nei giorni della sua infanzia, poteva rivelargli «ombre dell'eternità». (cap. XI, p. 244)
  • In Carew natura ed artificio, voce cantante e voce conversante, godimento delle buone cose della terra e al tempo stesso brivido metafisico per la loro transitorietà, si fondono in una maniera che possiede un suo personale incanto; egli riesce a infondere vita anche in concetti convenzionali e a far rifluire il sangue nella logora maschera petrarchesca. (cap. XI, p. 249)
  • Il Milton è forse il supremo campione di quell'estrema fase dell'umanesimo che precorre la maniera neoclassica, e la sua evoluzione dalla più complessa sensuosità delle sue poesie giovanili all'esclusivismo auricolare della sua ispirazione matura trova un parallelo nel graduale predominio del disegno sul colore nella pittura francese dell'epoca, soprattutto in Nicolas Poussin. (cap. XII, p. 265)
  • [George Etherege] [...] uno dei più noti rakes[53], che non riusciva a prendere troppo sul serio né le funzioni di diplomatico, né l'arte dello scrittore; e codesta leggerezza d'impegno, facendogli mettere in non cale ogni teoria, gli consentì di riprodurre sulle scene la vita cotidiana intorno a lui, con una spontaneità di dialogo che più che all'esempio di Molière era dovuta all'acume d'osservazione dell'autore stesso [...]. (cap. XIII, p. 281)
  • Si cercherebbero invano nella commedia, prima di Etherege tratti d'ironia involuta e indiretta, complessità di distinzioni di punti di vista, gioco intellettuale di astrazioni, quegli elementi insomma che dovevan dare il suo peculiare colorito al genere comico della Restaurazione. (cap. XIII, p. 281)
  • Con lo Sterne il romanzo si trasforma: la peripezia cessa di essere l'ingrediente principale; l'autore approfitta d'ogni scusa per introdurre riflessioni, aneddoti grassocci, capricci d'ogni genere, perfino scherzi come pagine bianche, pagine marmorizzate, un capitolo formato della sola parola alas! stampata a lettere sempre più grandi, ecc. (cap. XIV, p. 333)
  • Il senso della natura appare più libero di descrittivismo e s'eleva a un tono lirico quale non si ritrova in altra poesia del secolo, nella melodia Ode to Evening (1746), spirante un'intima e soave pace crepuscolare, di William Collins [...] la cui breve vita fu negli ultimi anni funestata dalla pazzia. (cap. XVI, p. 354)
  • La poesia del Collins risente ancora troppo delle convenzioni retoriche del Settecento: vi prevalgono le personificazioni, con la loro aria compassata di decorazione sepolcrale e la loro qualità di passe-partout, gli attributi convenzionali, gli orpelli mitologici e i richiami storici [...]. (cap. XVI, p. 354)
  • [...] se non la maniera, il gusto è nuovo nel Collins che per il suo senso del paesaggio e del fantastico merita un posto cospicuo tra i preromantici. (cap. XVI, p. 354)

La letteratura inglese: Dai romantici al Novecento

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  • La filosofia, se così vuol chiamarsi, che s'incarna in Wuthering Heights che tutto il creato, animato o inanimato, fisico e psichico, è espressione di certi vivi principi spirituali: da un lato quel che può definirsi il principio della tempesta – l'aspro, lo spietato, il selvaggio, il dinamico – dall'altro il principio della calma – il dolce, il demente, il passivo, il mansueto. I due principi sono in contrasto, e insieme compongono un'armonia. Così osserva David Cecil (Early Victorian Novelists, Londra 1934). [...] Ai personaggi della Brontë è applicabile l'ordinaria antitesi tra bene e male. Essi non cercano di por freno alle loro passioni devastatrici, non si pentono dei loro atti di distruzione; ma siccome quegli atti e quelle passioni non sgorgano da impulsi di natura distruttiva, bensì da impulsi che son distruttivi solo perché stornati dal loro corso naturale, essi non sono " cattivi ". [...] Sicché il conflitto a cui assistiamo nel suo libro non è quello consueto dei romanzi vittoriani, tra bene e male; è piuttosto un contrasto tra simile e dissimile. [..] In verità il sesso ha poco a che fare coi personaggi della Brontë: l'amore di Catherine è esente da sensualità come la forza che attrae la marea alla luna, il ferro alla calamita, e non ha più tenerezza che fosse odio. [...] Da un lato Wuthering Heights, la terra della tempesta, su nell'arida brughiera, nuda all'assalto degli elementi, naturale dimora della famiglia Earnshaw, indomiti figli della tempesta. Dall'altro, protetta dalla frondosa valle sottostante, Thrushcross Grange, l'appropriata dimora dei figli della calma, i gentili, passivi, timidi Linton. [...] È la distruzione (a opera di Heathcliff) e la restaurazione di quest'armonia che, secondo l'analisi del Cecil forma il tema del racconto. Che è molto complesso: c'è infatti una seconda generazione in cui la netta distinzione tra i figli della tempesta e i figli della calma s'è smussata; essi partecipano d'entrambe le nature. [...] Tale lo schema del romanzo, logico come il profilo d'una fuga musicale, per adoperare la felice similitudine del Cecil: schema da poema epico e da tragedia più che da romanzo. Forse Chesterton ha toccato la nota giusta quando ha detto (in The Victorian Age in Literature): «Wuthering Heights avrebbe potuto essere scritto da un'aquila». Sta sospeso così tra cielo e terra, più vicino al cielo che alla terra: romanzo meteorico. (p. 144-46)
  • Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), usando a veicolo del suo pensiero un ameno stile paradossale, contrapponeva alla bruttezza della civiltà industriale e al materialismo la semplicità agricola dei padri e la luce perenne dell'idea cattolica romana. (p. 216)
  • Compagno di fede e di lotta del Chesterton, Hilaire Belloc (1870-1953), rincarnava lo spirito dei clerici vaganti medievali nel suo Path to Rome e nei canti conviviali di The Four Men (1912). (p. 217)

Sacro e bizzarro

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  • Son conciliabili l'indirizzo astratto dell'arte contemporanea, e il bombardamento di figuratività che subiamo dagli innumerevoli giornali illustrati, dal cinema, dalla televisione? Ogni evento vuol documentarsi in immagini, persone eminenti e meno eminenti ci son presentate in tutte le pose, dignitose e men dignitose o persino indecenti, i francobolli ci parlano per immagini ma nelle mostre d'arte contemporanea non trovi che materia non iconica e nuda tecnica, come nuda tecnica e deliranti rumori è quanto ricaverai dalla musica d'oggi. D'altronde il linguaggio d'arte aspira al babelico, sulle orme di Joyce le parole attirano come calamite altre parole simili, si fondono in ambiguità che sono semenzai d'immagini e dissoluzioni nell'infinito e nel nulla; l'estro di Finnegans Wake è disceso fino ai beatles: uno di essi, John Lennon, ha ora pubblicato un libretto di componimenti equivoci, In his own write. Un'età che rifugge dal figurativo cerca poi simboli e immagini un po' dappertutto.
  • [...] di fronte alla esuberante bizzarria del barocco [...] come meschini ci sembrano i tentativi moderni di galvanizzare logore forme! Basti pensare a quei quadri sacri di Dalì, a certe chiese funzionali, alla messa yé yé. Per artificiosi che fossero, i secentisti erano uomini che sentivan la vita in tutta la sua esuberanza e la morte in tutta la sua teatrale tetraggine. Che siamo al paragone noi moderni? Dei miserabili voyeurs.
  • Il nostro interesse pel bizzarro è un prodotto naturale del grigiore della civiltà industriale, un'epoca che con le sue standardizzazioni merita assai più l'epiteto di drab che non il periodo della letteratura inglese del Quattrocento a cui è stato appropriato.

Citazioni su Mario Praz

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  • Per Praz la Storia non è quella dei fatti freddamente registrati, e così traditi, ma quella che si centellina e si fa rivivere negli stili, nelle sfumature degli stili. Una sua relazione di viaggio non ci dirà nulla di sociologicamente puntuale, ma molto di più con la penetrazione nel sottofondo culturale e artistico del paese visitato. (Fausto Gianfranceschi)
  • Così è giusto quel che il Praz ha notato a tale riguardo, cioè che, volendo godere del piacere della trasgressione, della violenza contro ciò che è, il sadista non avrebbe altra scelta che la pratica della bontà e della virtù, perché proprio esse significherebbero l'anti-natura e l'anti-Dio, una rivolta e una violenza contro ciò che [...] costituirebbe il fondo ultimo – malvagio – della creazione. (Julius Evola)
  • È una tiepida domenica, il celebre appartamento di Praz a palazzo Primoli è nella penombra del crepuscolo un'isola di civiltà dove si sentono presenze balsamiche per chi ogni giorno deve, per sopravvivere, subire la presenza del volgo. La conversazione si dipana labirintica e sottile tra l'humour dello scrittore ottantaquattrenne e la vis polemica di un suo "nipotino spirituale", appena trentenne [Paolo Isotta]. (Alfredo Cattabiani)
  • I reazionari risolti – questo per dire che Visconti e Togliatti altro non erano che reazionari irrisolti – al "Gattopardo" preferivano "La Casa della vita" di Mario Praz. (Pietrangelo Buttafuoco)
  • Ignorato dalla critica militante e dimenticato dalle giurie dei premi, [...] antidemocratico d'istinto, il conflitto fascismo-antifascismo non lo riguardava [...] il principe dei saggisti si disperava per l'ostilità della critica. (Piero Buscaroli)
  • L'aver così autorevolmente ridimensionato uno dei "punti di riferimento" [de Sade] più importanti di tutta quanta la sessuologia moderna, non è che uno dei molti motivi di quella gratitudine che dobbiamo a Praz. (Emilio Servadio)
  • La consuetudine con l'arte è il suo mestiere; il mestiere dell'arte il suo modello di espressione. (Geno Pampaloni)
  • Lo jellatore. (Roberto Longhi)
  • Noi ci persuadiamo come il magistrale studioso della decorazione neoclassica e dell'arte decadente, come il gran signore che trascorre dal tempestoso dramma elisabettiano alle plurivalenti costruzioni sonore del suo D'Annunzio aneli al Biedermeier solo come pausa, come attimo di confortante ristagno, ma sia artigliato nell'intimo dal fremito lancinante che trascinava i suoi poètes maudits verso i più tenebrosi dessous della psiche, nella piena consapevolezza di vivere in un'età di disfacimento che fa trascolorare dolorosamente tutti i sogni più delicati. (Ettore Paratore)
  • Praz era un nome per pochi, seppure di portata planetaria e millenaria. Egli aveva subito l'ostracismo degli antifascisti che lo costrinsero all'esilio a Manchester. [...] Dopo la guerra subì l'ostracismo dei comunisti, molti dei quali erano gli antichi crociani. (Paolo Isotta)
  • Provando a immaginare che Praz tratti gli oggetti e le parole da cui si sente attirato come ricettacoli di riflessi dell'invisibile, forse si può comprendere meglio la misura del suo stile, rigoroso ed evocatorio insieme, animato da una curiosità che direi appassionata, capace di accostamenti tra fatti e tra idee che non rispettano gli schemi dei generi e delle specializzazioni, ma rispondono alle regole, in apparenza talvolta divaganti, di una grammatica più elevata. (Fausto Gianfranceschi)
  • Quel che resta sono le opere aristocratiche dei vinti, i Tomasi e i Buzzati, i Praz e i Morselli, i Berto e gli Alianello. O di vinti a disagio nel campo dei vincitori, come Pavese e Pasolini. (Marcello Veneziani)
  1. Da L'etèra letteraria, Il Giornale Nuovo, 13 settembre 1978; ora in Geometrie anamorfiche: saggi di arte, letteratura e bizzarrie varie, a cura di Graziella Pulce, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002, p. 185.
  2. Da La passione decadente di David Herbert Lawrence, Il Tempo, 2 marzo 1980.
  3. Da Il giardino dei sensi, Mondadori, Milano, 1975, p. 336.
  4. Da La tentazione degli archetipi, Il Tempo, 22 marzo 1981.
  5. Da Viaggi in Occidente, Sansoni, Firenze, 1955 p. 198.
  6. Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore nuovantologia34
  7. Da Rigenerazione dell'epica, Il Tempo, 28 novembre 1970, p. 3.
  8. Da Cronache letterarie anglosassoni vol. III, Edizioni di storia e letteratura, 1966, Roma, p. 149.
  9. a b c Citato in Silvestro Livolsi, In viaggio per la Sicilia nel tempo e nello spazio, la Repubblica, 7 settembre 2008.
  10. Da L'investigatore Thomas Brown, La Cultura, ottobre 1929.
  11. Da Aforismi trionfanti, Il Tempo, 11 ottobre 1980.
  12. a b Da Viaggio fantastico nei giardini di Roma, Il Tempo, 3 dicembre 1980.
  13. a b c d Citato in Almanacco Romano, Alla ricerca di una sublime dignità, Il Covile, N° 483, 10 dicembre 2008.
  14. Da Come la fenice, Il Tempo, 10 dicembre 1974.
  15. Dall'intervista di Fausto Gianfranceschi, Mario Praz: il gusto di giocare con la fantasia, Il Tempo, 5 settembre 1976, p. 3.
  16. Citato in Marcello Staglieno, Montanelli: novant'anni controcorrente, Mondadori, Milano, 2001, p. 208.
  17. a b Da Civiltà in sfacelo, Il Tempo, 30 maggio 1961, p. 3.
  18. Da Immagini simboliche, Il Tempo, 25 luglio 1978.
  19. Da Un anfiteatro di scienze morte, Il Tempo, 1 febbraio 1976.
  20. Da L'interpretazione dei sogni da Artemidoro a Freud, Il Tempo, 24 gennaio 1976.
  21. Dall'intervista di Franco Simongini, Mario Praz: la giustizia di Perseo contro la degradazione dell'arte, Il Tempo, 22 giugno 1979.
  22. Da Nel mondo dei simboli, Il Tempo, 13 febbraio 1977.
  23. Da T.S. Eliot e Dante, Letteratura, luglio 1937.
  24. Da I mosaici come gioielli, Il Tempo, 29 dicembre 1981.
  25. Da Poe davanti alla psicanalisi, L'Italiano, dicembre 1933, p. 400.
  26. Da Perseo e la Medusa: dal Romanticismo all'avanguardia, A. Mondadori, Milano, 1979, p. 66.
  27. Da Storia della letteratura inglese, G.C. Sansoni, Firenze, 1967, p. 518
  28. Da Liquidazione dell'età dell'ansia, Il Tempo, 5 marzo 1954, p. 3.
  29. Da Conversazioni, La Stampa, 9 gennaio 1937.
  30. Da Un epigono del Bernini, Il Tempo, 14 dicembre 1976.
  31. Da Penisola pentagonale, E.D.T., Torino, 1992, p. 64.
  32. Da Strutturalismo per una farfalla, Il Tempo, 11 maggio 1980.
  33. Da L'arte di Gabriele d'Annunzio, Atti del convegno internazionale di studio, Venezia-Gardone Riviera-Pescara, 7-13 ottobre 1963, a cura di Emilio Mariano, Mondadori, Milano, 1968, p. 78; citato in Piero Buscaroli, Gabriel Musico maestro di simboli labirinti & terremoti, Zecchini Editore, Varese, 2007 p. 131.
  34. Da Un esteta, Il Tempo, 30 maggio 1970.
  35. Da Stevenson, Robert Louis, in Enciclopedia italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1936.
  36. Da La casa della vita, Mondadori, Milano, 1958, p. 71.
  37. Da I mostri di Bomarzo, Il Tempo, 17 novembre 1949.
  38. Da La Casa della vita, Adelphi, Milano, 1979, p. 54.
  39. Da Viaggi in Occidente, Sansoni, Firenze, 1955, p. 80.
  40. Da Trionfo dell'automa, Il Tempo, 11 ottobre 1970, p. 3.
  41. Da Il Giardino dei sensi: studi sul manierismo e il barocco, Mondadori, Milano, 1975, p. 61.
  42. Da Cronache letterarie anglosassoni, Vol. III, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1966, p. 131.
  43. Da I Santi e la Terra, Il Tempo, 9 luglio 1970, p. 3.
  44. Da Misteri d'Italia, Il Borghese, anno IX, n. 42, 16 ottobre 1958, p. 610.
  45. Da Cronache letterarie anglosassoni: vol. III, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1966, p. 33.
  46. Da Successo di Stevenson, La Stampa, 25 maggio 1950, p. 3.
  47. Da L'etèra letteraria, Il Giornale Nuovo, 13 settembre 1978; ora in Geometrie anamorfiche: saggi di arte, letteratura e bizzarrie varie, a cura di Graziella Pulce, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002, p. 185-86.
  48. Da Barocco leccese, Le arti sorelle, in Mario Praaz, Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, a cura di Andrea Cane con un saggio introduttivo di Giorgio Ficara, Arnoldo Mondadori Editore, Meridiani, Milano, 2002, p. 928. ISBN 88-04-50069-7
  49. Da Voce dietro la scena, Adelphi, Milano, 1980, p. 17.
  50. Da Cronache letterarie anglosassoni II. Cronache inglesi e americane, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2003, p. 152. ISBN 9788887114980
  51. Da Gusto neoclassico, Sc. Italiane, Napoli, 1959, p. 370.
  52. Citato in La lingua, la parola e la scrittura, a cura di Federico La Sala, ildialogo.org, 22 luglio 2010.
  53. libertini.

Bibliografia

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  • Mario Praz, Cronache letterarie anglosassoni, Vol. II, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1951.
  • Mario Praz, Gusto neoclassico, Rizzoli, Milano, 1974.
  • Mario Praz, I volti del tempo, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1964
  • Mario Praz, Sacro e bizzarro, Il Tempo, a. XXIII, n. 135, 19 maggio 1966, p. 3.
  • Mario Praz, La letteratura inglese: Dal medioevo all'Illuminismo, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 19993.
  • Mario Praz, La letteratura inglese: Dai romantici al Novecento, Accademia, Milano, 1967.
  • Mario Praz, Il patto col serpente, Mondadori, Milano, 1973.
  • Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze, 1986.
  • Mario Praz, Bellezza e bizzarria. Saggi scelti, Mondadori, Milano, 2002.

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