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Proverbi aliminusani

Proverbi nel dialetto di Aliminusa, paese della Sicilia

Raccolta di proverbi aliminusani.

Aliminusa, via Dante negli anni Sessanta


Indice
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Note · Bibliografia · Voci correlate
  • A cu' ti leva lu pani, levaci la vita. (p. 94)
A chi ti toglie il pane, togligli la vita.
Tutte le reazioni sono lecite quando il padrone ti toglie perfino il pane.
  • A cuscenza? 'U lupu l'havi, ca si futti du' pecuri 'a vota. (p. 93)
A chi tira in ballo la coscienza, gli si risponde che ad averla è solo il lupo, ma ciò non gli impedisce di sbranare due pecore per volta. È un invito ad avere pochi scrupoli.
  • A liggi è 'guali pi tutti, cu' havi dinari si nni futti. (p. 94)
La legge è uguale per tutti, ma il ricco può ignorarla.
  • A lu citrolu chi nesci fora casedda, lu jardinaru ci muzza la testa. (p. 91)
Il giardiniere mozza la testa al cetriolo che esce fuori dal suo riquadro.
Viene consigliata l'accettazione delle idee dominanti, anche se non le si condividono, probabilmente in seguito a reiterati insuccessi ribellistici; è anche implicita la riprovazione di tutti gli atteggiamenti che si discostano da quelli correnti.
  • A sciarra è p'a cutra. (p. 92)
Il litigio è per la coltre.
Secondo un'antica tradizione curiale,[1]la coltre era causa frequente di litigi. Il senso è che quando si ha qualcosa in comproprietà, la sciarra è inevitabile.
  • Acqua passata 'un macina mulinu. (p. 93)
L'acqua già scorsa non mette in moto il mulino.
Lo si dice, per sollecitare un'assoluzione incondizionata, a chi rinvanga accadimenti del passato.
  • Cavaddu zoppu si godi la fera. (p. 90)
Cavallo zoppo si gode la fiera.
Il cavallo zoppo, non potendo essere oggetto di compravendita a causa della sua menomazione, si gode il mercato del bestiame come un qualunque spettatore. È un invito a non intrigarsi nelle faccende altrui, comprese le questioni politiche che vengono vissute come estranee.
  • Centu latri 'un ponnu spugghiari a unu nudu. (p. 95)
Cento ladri non possono spogliare uno che è nudo.
  • Chiddi cadinu sempri additta. (p. 95)
Quelli (i potenti) cascano sempre all'impiedi (cioè non si fanno male).
Sottolinea il rammarico per la capacità che mostrano i ricchi di tirarsi fuori dai guai pagando costi irrisori.
  • Chiù scuru di menzannotti 'n po' fari. (p. 93)
Esprime l'indifferenza del contadino nei confronti dei provvedimenti (anche governativi) che lo riguardano, tanto, peggio di così non può andargli come non può esserci un buio più fitto di quello di mezzanotte. Può però tradursi nel suo esatto contrario: non ho altro da perdere che le mie catene.
  • Cu' cumanna fa leggi. (p. 91)
Chi comanda fa le leggi – è implicito e risaputo – per sé, cioè per il proprio tornaconto.
È un suggerimento ad accettare il mondo com'è.
  • Cu' cunfida 'u cori all'amici, metti 'a pruuli 'nto luci. (p. 92)
Riporre fiducia negli amici è pericoloso come il mettere polvere da sparo nelle braci.
  • Cu' havi amici è francu di guai. (p.94)
Chi ha amici è affrancato dai problemi.
  • Cu' havi mancia, cu' 'unn'havi talia. (p. 92)
Chi ha mangia, chi non ha resta a guardare.
  • Cu' ti fa chianciri, ti fa ridiri, e cu' ti fa ridiri ti fa chianciri. (p. 92)
La vita è naturalmente contraddittoria: chi ti fa piangere oggi, ti farà ridere domani; e viceversa.
  • Cu' voli manciari assai, s'affuca. (pp. 94-95)
Chi vuol troppo ingoiare, si strozza.
Esprime una visibile soddisfazione per il tracollo del parvenu lanciato in una irresistibile escalation sociale.
  • Fa' 'u fissa p'un paari 'u daziu. (p. 91)
Fai l'imbecille per non pagare il dazio.
È sempre conveniente accettare le idee dominanti (e se non le condividi, fallo per finta).
  • Haiu 'a furtuna du crastu, ca nasci curnutu e mori ammazzatu. (p. 93)
Sono fortunato come il montone (che nasce cornuto e muore scannato).
Non mi stupisco più delle mie sventure. Classico esempio di rassegnazione e autocommiserazione.
  • Iu tagghiu cipuddi e a iddu ci chiancinu l'occhi. (p. 94)
Sono io a sbucciare le cipolle ma è a lui che lacrimano gli occhi.
Esorta a stare attenti, come individuo o classe, contro chi rivendica come suoi i tuoi sacrifici.
  • La terra è di cu' la zappa, no di cu' porta la cappa. (p. 93)
La terra è di chi la zappa e non di chi porta la cappa (il padrone).
  • Lu riccu havi lu patri a lu 'nfernu chi prea pi iddu. (pp. 93-94)
Il ricco ha all'inferno il padre che prega per lui.
Esprime la consapevolezza contadina del modo disonesto con cui, da padre in figlio, si accumula la ricchezza.
  • Me nannu cu lu metiri muriu, si lu mitissi cu lu siminau. (p. 94)
Mio nonno è morto per il troppo mietere, quanto a me il frumento può restare dov'è.
Esprime il rifiuto per i lavori troppo faticosi (come sono quelli dei campi) e una ben disposizione al cambiamento.
  • Megghiu 'u tintu canusciutu ca 'u bonu a canusciri. (p. 90)
È meglio il conosciuto (anche se cattivo) di quello da conoscere (anche se buono).
  • Ognunu p'a sò casuzza. (p. 92)
Che ognuno pensi solo agli affari della propria casa.
  • Ognunu tira 'a cinniri 'nto sò cudduruni. (p. 91)
Ognuno, egoisticamente, ammucchia la cenere calda sul proprio pane messo a cuocere sulle braci, lasciando senza cenere i pani degli altri.
L'egoismo, suggerisce il proverbio, è connaturato agli uomini e lo si può vedere persino in questi minuti episodi.
  • Pi oggi ci penzu iu, ca pi dumani ci penza Diu. (p. 92)
Per l'oggi ci penso io, che per domani ci penserà Dio.
  • Picca pani, picca vinu: picca travagghiu Ninu. (p. 94)
Poco il pane, poco il vino: pertanto, poco lavora Nino.
Se il salario non è adeguato alla quantità di fatica necessaria, sarà il lavoratore a ristabilire l'equilibrio lavorando di meno.
  • Pignata 'ncumuni 'un vugghi mai. (p. 91)
La pentola in comune non bolle mai.
Quando ci si associa non si consegue alcun risultato.
  • Si spagghia d'unni mina lu ventu. (p. 91)
Per spagliare il frumento appena battuto nell'aia, occorre adeguarsi alla direzione del vento.
Vale per: non andare controcorrente.
  • 'U monacu futti e 'u cummentu paga. (p. 94)
Il monaco intrallazza e ruba e a pagarne le spese è il convento.
Disapprova il malcostume degli intrallazzisti e ladri di Stato che costringono il popolo a pagare i guasti che loro provocano.
  • 'U sceccu s'attacca unni voli 'u patruni. (p. 93)
L'asino viene legato nel posto voluto dal padrone.
Esprime condiscendenza verso chi detiene le redini del mondo.
  • 'Ucca ca 'un parra si chiama cucuzza. (p. 95)
La bocca che non parla è come una zucca.
Spinge a far valere i propri diritti.
  • Unu sulu unn'è bonu mancu a manciari. (p. 93)
Da soli non si è capaci nemmeno di mangiare.
È un aperto invito alla cooperazione.
  1. Giuseppe Pitrè, Usi e costumi del popolo siciliano, Cappelli, Bologna, 1971, p. 40.

Bibliografia

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  • Lillo Gullo e Tano Gullo, Aliminusa. Strada, donna, religiosità. Prospettive socio-antropologiche della cultura contadina, Savelli, Roma, 1977.

Voci correlate

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