Il documento descrive la campagna militare di Alfonso V d'Aragona contro Firenze tra il 1447 e il 1448. Alfonso guidò un esercito di 11.000 uomini contro Firenze, approfittando del fatto che le sue truppe erano impegnate altrove. Occupò alcuni castelli e cercò di ottenere il sostegno di Siena, ma dovette ritirarsi nel settembre 1448 dopo uno scontro con le truppe fiorentine guidate da Sigismondo Malatesta.
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Il documento descrive la campagna militare di Alfonso V d'Aragona contro Firenze tra il 1447 e il 1448. Alfonso guidò un esercito di 11.000 uomini contro Firenze, approfittando del fatto che le sue truppe erano impegnate altrove. Occupò alcuni castelli e cercò di ottenere il sostegno di Siena, ma dovette ritirarsi nel settembre 1448 dopo uno scontro con le truppe fiorentine guidate da Sigismondo Malatesta.
Il documento descrive la campagna militare di Alfonso V d'Aragona contro Firenze tra il 1447 e il 1448. Alfonso guidò un esercito di 11.000 uomini contro Firenze, approfittando del fatto che le sue truppe erano impegnate altrove. Occupò alcuni castelli e cercò di ottenere il sostegno di Siena, ma dovette ritirarsi nel settembre 1448 dopo uno scontro con le truppe fiorentine guidate da Sigismondo Malatesta.
Il documento descrive la campagna militare di Alfonso V d'Aragona contro Firenze tra il 1447 e il 1448. Alfonso guidò un esercito di 11.000 uomini contro Firenze, approfittando del fatto che le sue truppe erano impegnate altrove. Occupò alcuni castelli e cercò di ottenere il sostegno di Siena, ma dovette ritirarsi nel settembre 1448 dopo uno scontro con le truppe fiorentine guidate da Sigismondo Malatesta.
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Maria Elisa Soldani
Alfonso il Magnanimo in Italia: pacificatore o crudel tiranno? Dinamiche politico-economiche e organizzazione del consenso nella prima fase della guerra con Firenze (1447-1448) *
[A stampa in Archivio Storico Italiano, CLXV (2007), pp. 266-324 dellautrice Distribuito in formato digitale da Reti Medievali]
Nellautunno del 1447 Alfonso il Magnanimo si diresse verso la Toscana alla testa di circa 11. 000 uomini. Lassalto fu in prima istanza assai rapido e lavversaria, che aveva i propri soldati occupati in Lombardia, venne presa alla sprovvista. Approfittando di questa disorganizzazione, le forze militari catalano-aragonesi si incrementarono rapidamente: al principio di ottobre il re fu raggiunto da Roberto di San Severino e alla fine del mese dal conte dAndria con molti soldati. Anche Simonetto da Castel Piero, in precedenza al soldo dei fiorentini, una volta terminata la propria condotta si un alla casa dAragona 1 . Alfonso V dAragona aveva motivato questa aggressione militare con il pretesto di correre in soccorso di Filippo Maria Visconti, suo alleato, nellintento di far demordere la Repubblica toscana e poi Venezia dallaggressione ai suoi domini. Daltra parte sembr risoluto sin dal principio a misurarsi con Firenze: dopo aver occupato alcuni castelli e tentato di portare Siena dalla propria parte, si prepar a passare linverno in Maremma cercando riparo e vettovaglie. Lartiglieria e le macchine da guerra sarebbero arrivate via mare direttamente da Napoli. Nei mesi precedenti al suo arrivo Alfonso V aveva fomentato ribellioni in tutto il territorio della Dominante, approfittando del diffuso malcontento e cercando di stringere legami con i pi influenti tra i rivoltosi. Per i pisani, che avevano da decenni un rapporto privilegiato con la Casa dAragona, questa poteva essere loccasione per recuperare la propria indipendenza. Tra loro Arrigo della Gherardesca ed il fratello si erano messi al servizio del monarca, invitando la madre a consegnargli i propri castelli. Alcuni influenti senesi, daltra parte, incitavano il proprio governo allo scontro diretto con Firenze di cui temevano laggressione e promettevano di consegnare la citt della lupa al Magnanimo. Da molte direzioni arrivavano testimonianze del timore che lAragonese potesse affermarsi in Toscana. Questo, si diceva, avrebbe aumentato la sua brama di potere poich, sfruttando le contese italiane, avrebbe potuto aspirare a conquistare anche il resto della penisola. Alfonso V aveva dunque deciso di passare linverno nella campagna Toscana, cercando il supporto di Siena e minacciando Piombino, di cui era signore Rinaldo Orsini. Lassedio che pose alla signoria, lungo e ricco di combattimenti, inizi verso la fine di giugno del 1448. Al principio di luglio, uno scontro navale di fronte alla costa in cui le forze alfonsine ebbero la meglio lasci presagire che queste avessero ancora una possibilit di vittoria. Fu soltanto il 10 settembre che Alfonso V, dopo essersi scontrato con le truppe fiorentine guidate da Sigismondo Malatesta, decise di ritirarsi e fare ritorno con le sue milizie nel Regno di Napoli 2 .
* Ringrazio Lorenzo Tanzini delle sue osservazioni. Sono particolarmente grata a Stphane Pquignot e a Sergio Tognetti della paziente rilettura di questo articolo, cos come delle sollecitazioni e degli stimoli scaturiti dalle nostre conversazioni di questi anni. 1 A proposito dellorganizzazione e dello sviluppo sul piano militare della campagna in Toscana si vedano L. ROSSI, Guerra in Toscana (1447-1448), Firenze, Lumachi Editore, 1903 e A. RYDER, Alfonso el Magnnimo Rey de Aragn, Npoles y Sicilia (1396-1458), trad. cast., Valenza, Edicions Alfons el Magnnim, 1992, in part. Guerras justas y necessarias (1443-1455), cap. VII, pp. 313-376. Per quanto riguarda la composizione dellesercito ed il ruolo della nobilt nel processo di espansione della casa dAragona rimando a J. SIZ SERRANO, Nobleza y expansin militar de la Corona de Aragn: la nobleza valenciana en las guerras del rey (1420-1448), Anuario de estudios medievales, XXXIII, 2003, pp. 729-780. Infine, per la composizione degli eserciti nellambito degli stati italiani si veda N. COVINI, Condottieri ed eserciti permanenti negli stati italiani del XV secolo in alcuni studi recenti, Nuova Rivista Storica, LXIX, 1985, pp. 329-352. 2 Sulle ragioni della ritirata rimando a L. ROSSI, Sullabbandono di Piombino da parte del Re dAragona, nel 1448, Archivio Storico Italiano, XXXII, 1903, pp. 180-183. In questo articolo il Rossi mette in dubbio lipotesi che fosse stata limprovvisa apparizione di Sigismondo Malatesta sul campo di battaglia, con soli 1. 500 fanti, a far desistere il re dAragona dal combattere perch, pur stremati dalla fame e dalle epidemie, questi aveva con s 15. 000 uomini.
2 Era stato in occasione del conflitto contro Giangaleazzo Visconti che, secondo Hans Baron, gli umanisti della repubblica fiorentina avevano iniziato ad elaborare un linguaggio politico diverso da quello trecentesco, creando i presupposti per la guerra ideologica che sarebbe stata condotta nei decenni successivi 3 . Le guerre consumatesi in Italia tra la fine del Trecento e la morte di Filippo Maria Visconti (1447) erano state loccasione per elaborare un linguaggio ideologico che contrapponeva lideale delle libert e delle virt repubblicane alloppressione di un tiranno, che pretestuosamente manifestava il proprio desiderio di pacificare lItalia. La sfida contro Giangaleazzo aveva contribuito alla formulazione di un discorso propagandistico i cui motivi principali sarebbero stati rievocati in successivi conflitti: contro liniziativa di Ladislao di Napoli, di Filippo Maria Visconti e, in seguito, anche contro quella di Alfonso V dAragona. La ricerca del consenso fu quindi centrale nella politica del Magnanimo dal momento che, oltre alla legittimazione per le proprie iniziative, il re cerc di accattivarsi nuovi alleati. Lobbiettivo di questo studio sar di mettere in evidenza le motivazioni, limpatto e le ripercussioni della prima fase della guerra tra Alfonso il Magnanimo e Firenze, analizzando i caratteri peculiari di un conflitto condotto non soltanto sul piano politico-militare, ma anche su quello economico, diplomatico e ideologico. Lanalisi delle strategie di conduzione della guerra e del linguaggio politico utilizzato dalla propaganda, ci consentiranno anche di individuare le ragioni che spinsero la Casa dAragona a intraprendere una nuova campagna militare, in un momento cos delicato tanto per il sistema di rapporti interno alla Corona quanto per la situazione politica italiana 4 . Su quali basi il Magnanimo organizz la propria iniziativa diplomatica e di quali strumenti pens di potersi avvalere per conseguire ci che non erano stati in grado di ottenere Giangaleazzo, Ladislao e Filippo Maria?
1. Ambasciatori, informatori e sediziosi al servizio del Magnanimo Lespansionismo Mediterraneo della Corona dAragona laveva portata a scontrarsi direttamente, sin dallepoca dei Vespri siciliani, con le maggiori potenze del Mediterraneo: con gli Angi, con Genova e le altre maggiori citt italiane. In questo contesto, la corte aveva dovuto sviluppare un discorso programmatico per guadagnarsi il consenso tanto sul fronte della politica interna quanto su quello delle relazioni con le potenze straniere 5 . Sotto il controllo della Corona dAragona stavano infatti un insieme di domini assai eterogenei sia dal punto di vista politico, sia socio- economico. Se nei secoli di massima forza del programma di espansione le differenze erano state superate per la necessit di far fronte comune, a distanza di oltre venti anni dallinizio della campagna di conquista di Napoli, i ceti dirigenti dei regni peninsulari iniziavano a lamentare lassenza e il disinteresse crescente del monarca per quei territori che avevano finanziato le iniziative di conquista della Casa dAragona.
3 Rimando alle argomentazioni di H. BARON, La crisi del primo Rinascimento italiano. Umanesimo civile e libert repubblicana in unet di classicismo e di tirannide, trad. it., Firenze, Sansoni, 1970, pp. 14-48 e 387-436. Si veda anche N. VALERI, Leredit di Giangaleazzo Visconti, Torino, Societ Poligrafica, 1938. 4 Per una sintesi recente ed efficace sul rapporto del Magnanimo con i propri regni rimando a M. DEL TREPPO, Alfonso il Magnanimo e la Corona dAragona, XVI Congresso di Storia della Corona dAragona (Napoli, Caserta, Ischia, 1997), 2 voll. Napoli, Pararo, 2000, vol. I, pp. 1-17, mentre per il rapporto con la monarchia castigliana si veda nello stesso volume V. A. ALVAREZ PALENZUELA, Relaciones entre Aragn y Castilla en poca de Alfonso V. Estado de la cuestin y lineas de investigacin, pp. 21-43. Sulla politica italiana di Alfonso V: RYDER, Alfonso cit. ; C. CUADRADA, Poltica italiana de Alfonso V de Aragn (1420-1442), Acta Mediaevalia et archaeologica, VII-VIII, 1986-1987, pp. 269-309; E. DUPR-THESEIDER, La politica italiana di Alfonso il Magnanimo, IV Congresso di Storia della Corona DAragona (Palma di Maiorca, 1955), Barcellona, 1976. Per un quadro della sua politica orientale D. COULON, Barcelone et le grand commerce dOrient au Moyen ge, Madrid-Barcellona, Casa de Velzquez-Institut Europeu de la Mediterrnia, 2004, pp. 54-62. 5 Per un approfondimento di questo tema si veda P. CORRAO, Celebrazione dinastica e costruzione del consenso nella Corona dAragona, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. CAMMAROSANO, Roma, cole Franaise de Rome, 1994, pp. 133-156. Per il programma espansionistico della Corona dAragona rimando a M. DEL TREPPO, Lespansione catalano-aragonese nel Mediterraneo, in Nuove questioni di storia medievale, Milano, Marzorati, 1964, pp. 250-300.
3 La situazione conflittuale fra Alfonso ed i pi antichi regni della Corona veniva percepita anche al di fuori del sistema politico catalano-aragonese 6 . Nel settembre del 1447 Angelo Acciaiuoli scrisse a Francesco Sforza che il re dAragona aveva lambizione di insignorirsi di tutta Italia. Lo avvertiva, per, che non era adatto a ricoprire questo ruolo, poich i problemi che aveva in Catalogna avrebbero potuto indebolirlo di fronte alla Lega. Paventava che lentrata in scena del re catalano- aragonese potesse provocare uno spostamento del conflitto proprio nella penisola iberica, che rischiava di essere aggredita su un fronte dalla Corona di Castiglia e sullaltro da quella di Francia 7 . Sempre su questa linea significativo quanto scrisse il messaggero Juan de Marimon ai consiglieri di Barcellona, nel novembre del 1447. Riportava le motivazioni del monarca che andava incontro a Firenze dicendo di voler portare la pace e minacciava, in caso i fiorentini non avessero accontentato le sue richieste, di fargli grandi danni. Significativamente raccoglieva le voci che circolavano secondo cui lAragonese non avrebbe mai pi fatto ritorno a Napoli, poich si sarebbe insignorito di tutta Italia. Daltra parte la lettera terminava con linvocazione dellaiuto di Dio, dal momento che il re si stava giocando il tutto per tutto. Sottoponeva la sua persona e lonorevolezza del suo stato a un grave pericolo 8 . La possibilit che il monarca potesse insignorirsi di tutta lItalia e non far pi ritorno nella penisola iberica preoccup non poco i consiglieri di Barcellona. Questi, supplicato il re di far visita personalmente ai suoi regni citramarini, si sentirono rispondere che avrebbero dovuto attendere la pacificazione dItalia a cui si stava dedicando 9 . In questo contesto la propaganda era quindi necessaria da una parte per appianare le divergenze interne alla Corona, dallaltra per restituire unimmagine forte del monarca tale da indurre le citt-stato italiane a riconoscere spontaneamente il suo dominio. In quegli anni il mito ideologico di Alfonso portatore di pace pervase qualsiasi tipo di documento, dalla storiografia ufficiale alle cancellerie, dalle cronache, ai ricordi mercantili, alle lettere private. Nel contesto di questa guerra che vide scontrarsi due fra le potenze pi rilevanti del Quattrocento, gioc ancora una volta un ruolo apprezzabile lazione diplomatica. Gli ambasciatori non vennero inviati tanto per risolvere il conflitto in corso, quanto piuttosto per difendere lonore, le prerogative, legittimare le procedure e propagandare il messaggio politico dellistituzione a cui facevano capo di fronte alla potenza straniera. Alla base delle ambasciate che Alfonso il Magnanimo mand a Firenze prima e dopo la dichiarazione di guerra, stavano queste finalit piuttosto che una reale intenzione di trattare la pace 10 . Alfonso V, come di consueto, stabil le linee guida delle ambascerie e il margine di manovra dei suoi rappresentanti. Questi limiti erano delineati nelle istruzioni, documenti raccolti, insieme alle
6 Dicesi el campo del Re essere molto amalato e in gram disordine, e il Re essere molto malchontento e maxime perch si dice el Reame di chost andare male se non vi torna, e tiensi, se non fusse per vergognia, volentieri lascerebbe ogni impresa di qua. M. PARENTI, Lettere, a cura di M. Marrese, Firenze, 1996, lettera n. 6, pp. 13-15. 7 Doc. pubbl. da G. SOLDI RONDININI, Milano, il Regno di Napoli e gli Aragonesi, in Saggi di storia e storiografia visconteo-sforzesca, Milano, Cappelli, 1984, p. 97. 8 Lo dit senyor, va tostemps lo cam de Florensa, diu que per aver pau, pars vol de les ligua contra totes persones, e ancara vol li paguan despeses ha fets per causa lur. Creuse ne aur bona e grada, e sin que les dar al dess, e ab veritat ha disposici gran de ferlos grans dan[s], car ell se troba molt bella companya(...). Fu vostre comta nosaltros nos enfatigam tant, que tot lo mn creu jams lo dit senyor no tornar pus en Napols, lo que a ell ser senyor de tota Ytlia, ho que ell se perdr de aquesta volta. Plasia a Du lo andre, car a gran perill meta sa persona, e son stat. Archivo Histrico de la Ciudad de Barcelona (AHCB), Consell de Cent, VI. 17, c. 153 in data 17 novembre 1447, doc. pubbl. in J. M. MADURELL MARIMON, Mensajeros barceloneses en la corte de Napols de Alfonso V de Aragn (1435- 1458), Barcellona, CSIC, 1963, pp. 279-280. 9 In data 4 gennaio 1448, doc. pubbl. in MADURELL MARIMON, Mensajeros cit., pp. 280-281. 10 Per quanto riguarda gli studi sulla diplomazia rimando a R. FUBINI, Classe dirigente ed esercizio della diplomazia nella Firenze quattrocentesca. Rappresentanza esterna e identit cittadina nella crisi della tradizione comunale, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Firenze, Papafave, 1987, pp. 117-189; ID., Italia quattrocentesca. Politica e diplomazia nellet di Lorenzo il Magnifico, Milano, Franco Angeli, 1994. Per quanto riguarda lutilizzo della diplomazia nellambito della Corona dAragona rimando a S. PQUIGNOT, Au nom du roi. Pratique diplomatique et pouvoir durant le regne de Jacques II dAragon (1291-1327), tesi di dottorato dir. da J. -M. MOEGLIN, Universit Paris XII-Val de Marne, a. a. 2004, in corso di pubblicazione; ID., Enantar a tractar: lentre en ngociation comme objet dhistoire. Lexemple de la diplomatie de Jacques II dAragon (1291-1327), in Negociar en la edad media, Barcellona, CSIC, 2005, pp. 265-301.
4 altre fonti di natura diplomatica, nei registri secretorum della sua cancelleria 11 . Risalgono al 28 dicembre, le istruzioni impartite a Caraffello Carafa e a Mateo Malferit in merito alla relazione che dovevano portare a termine a Firenze 12 . Le truppe di Alfonso erano gi in Toscana e dunque lambasciata aveva lo scopo di esporre le ragioni e legittimare la dichiarazione di guerra. Le argomentazioni avrebbero coinvolto varie problematiche politiche ed economiche. La prima era che da molto tempo Firenze aveva cercato di ostacolare il Magnanimo, tanto segretamente quanto palesemente e persino con finanziamenti in denaro, nella campagna di conquista di Napoli. Aveva poi appoggiato Francesco Sforza, nemico della Chiesa, e si era associata a Venezia nel far guerra a Milano. Proprio in virt dellalleanza che Alfonso aveva stretto con Filippo Maria Visconti gli ambasciatori avrebbero dovuto notificare questo ultimatum: si intimava ai fiorentini di cessare la guerra contro il duca di Milano, restituire le terre e i castelli che avevano occupato, risarcire tutti i danni provocati. Le motivazioni della dichiarazione di guerra non si esaurivano, per, con questa argomentazione di natura politica e lasciavano il passo a ragioni economiche. Il documento contenente le istruzioni per il Malferit e il Carafa, da questo momento in avanti, assumeva il carattere di una di quelle richieste di giustizia che precedevano la concessione delle rappresaglie 13 . Pochi giorni erano trascorsi da quando una galeotta battente bandiera catalano-aragonese, diretta a Genova con altre due galee e spinta verso Livorno dal maltempo, era stata assaltata da fuste fiorentine. Lingiuria consumatasi ai danni della Corona era stata grande: il patrono e molti tra i membri dellequipaggio erano stati feriti e messi in prigione, per giunta, con un oltraggio simbolico, erano state tagliate le dita della mano al portatore del vessillo della Casa dAragona. De iure gentium et hospitalitatis si continuava durante una tempesta la sicurezza e lindennit dovevano essere garantite anche ad un eventuale vascello nemico. Ce nera abbastanza per concedere ai propri sudditi il diritto di rappresaglia, ma ancora non era tutto. Ai catalano-aragonesi residenti a Firenze e possessori dei titoli del Monte da molto tempo non erano pi state pagate le rispettive pensioni. Per ottenere giustizia, avevano supplicato il loro re di intervenire e questi aveva scritto pi e pi volte alla Repubblica senza ottenerne alcuna risposta. Gli ambasciatori avrebbero dovuto richiedere un provvedimento immediato affinch i catalani fossero integralmente soddisfatti di quanto dovuto loro. Qualora i fiorentini avessero risposto che la dilazione di quei pagamenti era giustificata dal ritardo del re nel saldare le somme prese a cambio da certi loro connazionali, avrebbero dovuto far presente che tecnicamente cera una sostanziale differenza fra le obbligazioni dei titoli del Monte e quelle dei cambi: nei cambi, infatti, si era obbligati soltanto nei confronti dellinteresse di cambio e ricambio, mentre nel caso dei titoli, alla base dei quali vi era un credito, ci si impegnava con la propria fede e giuramento. Gli ambasciatori avrebbero comunque rassicurato i fiorentini sul fatto che il re aveva gi soddisfatto la maggior parte dei creditori o dato ordine che fossero integralmente pagati 14 . Se Firenze si fosse rifiutata di provvedere a risolvere tali questioni, sarebbe stata considerata ostile alla Corona ed i suoi sudditi trattati come nemici sia per terra che per mare.
11 Su questa tipologia documentaria si veda S. PQUIGNOT, Enregistrer, ordonner et contrler: les documents diplomatiques dans les Registra Secreta de Jacques II dAragon, Anuario de Estudios Medievales, XXXII, 2002, pp. 431-479. 12 Per un profilo di questi due personaggi di rilievo rimando alla voce Caraffello Carafa del DBI, a cura di F. PETRUCCI, vol. XIX, pp. 496-497 e alla vita di Mateo Malferit cos come viene presentata da VESPASIANO DA BISTICCI, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed. a cura di L. FRATI, Bologna, Romagnoli-DallAcqua, 1982, vol. II, pp. 5-8. 13 Su questo tema rimando a E. CASANOVA, A. DEL VECCHIO, Le rappresaglie nei comuni medievali e specialmente in Firenze, Bologna, A. Forni, 1974, pp. 1-51; F. CALASSO, Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento medievale, Milano, Giuffr, 1965, pp. 258-277. 14 A questo responderanno che ancora che le obligacioni de lo monte con quelle de li cambi habiano una grandissima differencia, pero che in quello de li cambii solum se sguarda lo interesse de li cambii et recambii et in quello de lo monte se sguarda lo credito, fede et iuramento. Niente di mino essa maest have dato ordine como la pi parte de li dicti mercanti sonno ja satisfacti in parte e seranno satisfacti de lo resto multo presto et sonno pochi quelli che restano a pagare a li quali anchora se dar ordine siano pagati. Archivo Histrico de la Corona de Aragn (ACA), Cancelleria, reg. 2696, cc. 131v-133r doc. pubbl. in J. AMETLLER Y VINYAS, Alfonso V de Aragn en Italia, Girona, , 1903, pp. 675- 677.
5 evidente come, nella seconda e nella terza parte, questo documento di istruzioni si configuri come lanticamera a una di quelle dichiarazioni di rappresaglia cos consuete nella gestione delle relazioni economiche fra due paesi, a sottolineare ancora una volta il carattere peculiare del rapporto Corona dAragona-Firenze, di natura prevalentemente mercantile. Infine, non di minor interesse era lultima parte dello scritto in cui il re sollecitava una risposta da parte di Firenze, ma non concedeva ai propri ambasciatori il potere di intrare in pratica, ovvero di dare inizio alle trattative. Per praticare o tractare con la Corona, i rappresentati della Repubblica avrebbero dovuto mandare nuovi oratori. Di diversa natura furono le istruzioni impartite ai consiglieri del re diretti a Siena. Nellottobre del 1447 Alfonso il Magnanimo invi Battista Platamone, Caraffello Carafa ed il frate Luys dez Puig presso la Repubblica di Siena 15 . Secondo quanto indicato loro, prima di ogni altra cosa avrebbero dovuto rinnovare lantica e mutua amicizia che legava le due potenze, in ragione della quale il monarca catalano-aragonese si sarebbe impegnato come speciale difensore e protettore della Repubblica e delle sue libert, con la finalit di accrescerne onore e beneficio. Solo dopo aver ribaltato questa argomentazione ideologica e assicurato che il re si sarebbe fatto garante del mantenimento delle libert repubblicane, i rappresentanti di Alfonso avrebbero potuto spiegare le motivazioni che lo spingevano in Toscana. Agli ambasciatori, come di consueto, era affidata la parola del re. Con la conquista del Regno di Sicilia, Alfonso si diceva soddisfatto della porzione che aveva nella provincia de Italia. Per questa ragione non desiderava che occuparsi del ripristino della pace, ostacolata e rimandata da veneziani e fiorentini, malgrado i suoi continui tentativi. La decisione di condurre il proprio esercito in Toscana era quindi dettata non tanto dalla brama di potere, quanto piuttosto dal desiderio di conseguire la dicta universale pace: avrebbe cercato di stringerla con Firenze de bona voglia o, in caso contrario, ottenendo una vittoria militare. Questa avrebbe anche allontanato i veneziani dal desiderio di prender su di s la signoria di Milano. Il re pregava la comunit di Siena di concedere il passo alle proprie truppe e volerle rifornire di vettovaglie a sue spese, senza che questo dovesse implicare la rottura della pace fra la citt della lupa e Firenze. Dopo un breve riferimento ad una questione relativa ad Angelo Morosini e Ramn de Ortafa, gli ambasciatori erano pregati di prendere contatti, parlare e discutere con Ghino Bellanti, Antonio Petrucci e Pietro Micheli, seguendo i suggerimenti che sarebbero venuti da loro. Infine, chiedevano ai senesi una pronta risposta 16 . Non si poteva perdere nemmeno un giorno dal momento che, in quel frangente, era tempo di agire pi che di deliberare. La prima ambasciata a Siena doveva dunque servire per ribaltare largomentazione ideologica relativa al rapporto monarchia-tirannide, giustificare lattacco a Firenze e richiedere transito e vettovaglie. Passeremo ora ad analizzarne unaltra, del 7 luglio 1448, tesa a giustificare laggressione nei confronti del signore di Piombino Rinaldo Orsini, accomandatario di Siena 17 . Per questo incarico delicato, Alfonso affid la propria parola a due cittadini senesi, Antonio Petrucci e Pietro Vacca. Gli premeva in particolar modo che fossero chiarite le ragioni di quellaggressione: Rinaldo si era accordato con i fiorentini, che sarebbero giunti a Piombino non appena il Magnanimo si fosse recato con le truppe a Campiglia. LOrsini aveva promesso di riceverli e rifornirli di vettovaglie. Di questi accordi il re era stato informato da persone degne di fede, avendone poi verificato la veridicit: dopo soltanto due giorni che era accampato nelle vicinanze di Piombino, le truppe fiorentine avevano raggiunto Suvereto. Rinaldo Orsini aveva inoltre dato ad intendere che lalleanza fra lui e Firenze avrebbe indotto anche Siena a non fornire pi approvvigionamenti al Magnanimo. Gli ambasciatori erano chiamati a spiegare che se Rinaldo gli fosse stato raccomandato, per rispetto a quella comunit, il re avrebbe desistito dallattaccarlo.
15 ACA, Cancelleria, reg. 2696, cc. 139r-140r in data 16 ottobre 1447. 16 Angelo Morosini, della consorteria dei Griffoli, venne bandito e poi riammesso in Siena grazie alla mediazione di Antonio Petrucci e alle sollecitazioni del re dAragona. In P. PERTICI, Tra politica e cultura nel primo Quattrocento senese: le epistole di Andreoccio Petrucci (1426-1443), Siena, Accademia senese degli intronati, 1990, pp. 14-16. 17 Su questo tipo di patti si vedano G. SORANZO, Collegati, raccomandati, aderenti negli Stati italiani dei secoli XIV e XV, Archivio Storico Italiano, XCIV, 1941, pp. 3-35 e pi recentemente R. FUBINI, Potenze grosse e piccolo stato nellItalia del Rinascimento. Consapevolezza della distinzione e dinamica dei poteri, in Il piccolo stato. Politica Storia Diplomazia, a cura di L. BARLETTA, F. CARDINI, G. GALASSO, San Marino, AIEP, 2003, pp. 91-126 e in part. pp. 93-102.
6 Alfonso garantiva poi alla citt la propria difesa, nel caso in cui Piombino fosse caduta nelle mani dei fiorentini con gran parte della Maremma. Era per evitare questa minaccia, e quindi anche nellinteresse di Siena, che aveva deciso di conquistarne la signoria, mantenendo lassedio finch non fosse caduta. Una volta assoggettati, questi stessi territori sarebbero stati messi a disposizione di Siena alla quale il re si professava affectionatissimo. Il Magnanimo, infatti, non si sarebbe occupato soltanto del mantenimento, ma anche dellaugmento delle libert repubblicane:
Et tanto disposta la sua Maiest di fare per la conservatione, augmento et stato de la libert di Siena, quanto facesse per s medesimo o per le pi care citt che habbia.
Siena doveva essere rassicurata su due punti: non sarebbe stata attaccata senza una giusta causa e avrebbe tratto vantaggio dai successi militari del Magnanimo. Nel sesto punto delle istruzioni si contemplava un problema logistico fondamentale: lapprovvigionamento delle truppe. La Corona stava cercando di far giungere vettovaglie da Talamone per non doverne dare incarico alla comunit di Siena, che avrebbe compromesso la propria posizione nei confronti di Firenze. Nel porto senese vigeva la tratta generale, dietro pagamento della gabella; nessuno si sarebbe potuto lamentare che i grani passassero a tali condizioni. Qualora Siena avesse insistito sul problema, gli ambasciatori avrebbero dovuto riferire che la Corona accettava di non ricevere rifornimenti, accontentandosi che non venissero aiutati nemmeno i fiorentini. Nei due punti conclusivi del documento di istruzioni erano contenuti elementi assai rilevanti. I senesi dovevano essere messi in guardia dalle calunnie che alcuni emuli del re avevano divulgato per screditarlo, affermando che non era nelle intenzioni del sovrano sottrargli Grosseto e Talamone. Ancora una volta emerge la forza dello scontro ideologico tra Firenze e la Corona dAragona: alcuni cercavano di imprimere ne le menti de li homini di quella comunit il sospetto che Alfonso il Magnanimo, una volta conquistata Piombino, avrebbe cercato di impossessarsi dei territori senesi e, soprattutto, del porto di Talamone 18 . Il sovrano catalano-aragonese, per far arrivare il proprio messaggio in modo pi convincente, aveva designato come suoi rappresentanti due esponenti del mondo politico senese: Antonio Petrucci e Pietro Vacca. Infine, si raccomandava affinch gli ambasciatori seguissero i suggerimenti di Pietro Micheli, Ghino Bellanti e Agostino Borghese 19 . Alfonso il Magnanimo si era affidato alla rappresentanza ed ai suggerimenti di alcuni cittadini senesi: Antonio Petrucci, Pietro Vacca, Pietro Micheli, Ghino Bellanti e Agostino Borghese. Avere consiglieri tra i cittadini illustri di Siena non soltanto gli consentiva di ricevere notizie attendibili sulle intenzioni della Repubblica, ma anche di poter contare su influenti alleati per portarla dalla propria parte o per architettare un vero e proprio colpo di stato. Non possiamo dunque tralasciare limportanza che ebbero gli informatori di Alfonso, soprattutto quei toscani che partecipavano attivamente alle vicende politiche delle proprie citt. Si trattava non di rado di quelli che le cronache definivano sediziosi, ovvero coloro che speravano, con il suo arrivo, di rovesciare le sorti politiche del proprio governo. Vi era in Siena una fazione filoaragonese formata da molte di quelle famiglie che sarebbero successivamente state coinvolte nella congiura 20 . Fra questi i Petrucci, i Bellanti, i Micheli e i Patrizi, cognomi che ricorrono nei documenti della cancelleria aragonese di quegli anni. Questi avevano stretto un sodalizio, attuando per almeno un trentennio come
18 Per quanto riguarda i porti della Maremma ed in particolare quello di Talamone rimando a L. BANCHI, I porti della Maremma senese durante la Repubblica. Narrazione storica con documenti inediti, Archivio storico italiano, X/1, 1869, pp. 58-84, X/2, pp. 79-91, XI/2, 1870, pp. 73-106, XII/1, 1870, pp. 92-105, XII/2, pp. 39-129 e B. SORDINI, Il porto della gente vana: lo scalo di Talamone tra il secolo 13 e il secolo 15, Siena, Protagon, 2000, in part. pp. 173-220. 19 Attraverso questi informatori interni il re dAragona poteva anche controllare che i propri oratori portassero a termine il loro compito in modo efficace, intervenendo rapidamente in caso contrario. Per la lettera di credenza si veda Archivio di Stato di Siena (ASS), Concistoro, 1961, n. 2 r-v in data 1 novembre 1447. 20 P. PERTICI, Una coniuratio del reggimento di Siena nel 1450, Bullettino senese di storia patria, IC, 1992, pp. 1- 39. Per un approfondimento di questo tema rimando a P. BOUCHERON, Thories et pratiques du coup dtat dans lItalie princire du Quattrocento, in Coups dtat fin du Moyen ge? Aux fondements du pouvoir politique en Europe occidentale, a cura di F. FORONDA, J. -PH. GENET E J. M. NIETO SORIA, Madrid, Casa de Velazquez, 2005, pp. 19-49.
7 protagonisti nel governo, e Antonio Petrucci si era impegnato ad ottenere unalleanza con la Corona dAragona sin dagli anni dellaccordo tra il Magnanimo e Filippo Maria Visconti 21 . Fra coloro che erano visti con maggior sospetto cera un altro Petrucci, Antonio di Checco Rosso, insigne personaggio politico dello schieramento antifiorentino. Nel 1446, per, vi furono dei segni di contenimento della fazione catalano-aragonese: venne revocata ad Angelo Morosini la concessione dellArgentario e non fu rinnovato lappalto delle gabella di Talamone ai catalani 22 . A queste spie il monarca offriva ricche ricompense. Il 16 luglio 1448 Alfonso fece inviare alcune lettere ai propri consiglieri senesi Pietro Micheli, Agostino Borghese e Francesco Patrizi 23 . Li informava del successo che le navi catalano-aragonesi avevano avuto in uno scontro con le imbarcazioni fiorentine. Una delle ragioni, infatti, che avrebbe potuto spingere la citt di Siena a riconoscere spontaneamente la signoria del Magnanimo, oltre allinimicizia nei confronti di Firenze, era lattrattiva esercitata dalle vittorie dellAragonese. Si raccontava lesito di uno scontro navale avvenuto di fronte a Piombino pochi giorni prima, in cui due navi fiorentine erano state catturate e altre due messe in fuga 24 . Questa prova di forza da parte dellesercito del re faceva sperare in una risoluzione del conflitto a suo favore:
Non dubitiamo niente de havere prestissima victoria de li inimici nostri li quali con poco loro honore sonno tornati indietro 25 .
I consiglieri venivano ringraziati per i buoni suggerimenti elargiti fino a quel momento, ma si ricordava loro che in quel frangente era essenziale trasmettere alla Corona tutte le notizie di cui fossero entrati in possesso. Il Magnanimo prometteva la propria gratitudine in cambio dei servizi ricevuti:
Per lettere del dilecto del officio de scrivano de ratione de nostra casa, Alfegerino, havemo inteso li boni advisamenti vostri et la grande affectione che ce portate, per le quali cose vi restamo molto obligato. Pregamovi perci che continuamente ne vogliate per esso Alfegerino advisare tucto quanto cognoscerete essere ad noi utile et honore. Advisandove che non ce podete fare cosa alcuna che pi ce sia grata. Imperci ch quanto ad nui apertener non saremo ingrati de servitii recevuti 26 .
Nel caso di Pietro Vacca, la gratitudine regia si sarebbe tradotta nella forma pi consueta: per finire di pagare il suo onorario di 600 ducati gli vennero attribuiti benefici, un castello nel comitato di Urgell in Catalogna, oltre al titolo nobiliare di cui sarebbe stato insignito da Giovanni II 27 . Alfonso ebbe degli informatori non soltanto fra i senesi, ma anche tra i fiorentini: Piero Guildoli, ad esempio, che contratt per lui la consegna della rocca vecchia di Livorno. Il 24 settembre, al principio della campagna militare, lAragonese invi istruzioni a uno dei suoi capitani per mezzo del fiorentino, nobile e devoto Neri de Malascheni a lo quale ve pregamo dare fede e credenza como ad nostra persona propria invitandolo a dare esecuzione alle cose delle quali sarebbe
21 Pio II d un giudizio molto severo del Petrucci e sottolinea come questi avesse sempre mentito sia Papa sia al re dAragona. ENEA SILVIO PICCOLOMINI, Commentarii, a cura di L. TOTARO, Milano, Adelphi, 1984, p. 996. 22 Pertici, Tra politica e cultura cit., pp. 10-19. 23 Per un profilo di Agostino Borghesi e Francesco Patrizi rimando rispettivamente alla voce DBI, a cura di C. GENNARO, vol. XII, pp. 580-581 e a F. BATTAGLIA, Enea Silvio Piccolomini e Francesco Patrizi, due politici senesi del Quattrocento, Siena, Istituto comunale darte e di storia, 1936. 24 Dalla lettera del messaggero Arnau de Vila de Many de Blanes, inviata ai consiglieri di Barcellona, ricaviamo la descrizione della battaglia navale combattutasi nei mari di Piombino nel luglio del 1448. possibile che esagerasse la superiorit numerica e organizzativa dei fiorentini rispetto a quelle dei catalani, cos da accrescere il valore di quella vittoria navale e attenuare, invece, uneventuale sconfitta del re sul campo di battaglia. Tuttavia questo scontro ebbe una notevole eco su entrambi i fronti e fu argomento di discussione anche nelle lettere mercantili, per i molti prigionieri che fece la flotta regia. Doc. pubbl. da A. BOSCOLO, Medioevo aragonese, Padova, Cedam, 1958, pp. 130-131, doc. II. 25 ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 2r-v. 26 ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 2r-v. 27 ACA, Cancelleria, reg. 2895, c. 9r-v; ACA, Cancelleria, reg. 2617, cc. 103v-104r in data 9 settembre 1449; ACA, Cancelleria, reg. 3374, cc. 29v-31r in data 23 agosto 1460.
8 stato informato 28 . Per evitare che, intercettati i portatori, il contenuto delle lettere cadesse in mano del nemico, comera uso, le informazioni pi segrete venivano cifrate e passate dai senesi allo scrivano di ragione Alfegerino 29 . Alfonso V era riuscito a conquistare un importante avamposto come Castiglione della Pescaia, di cui conserv il controllo dal 1447 fino al 1460 30 . Nellambito di questa dominazione, il 20 marzo 1448, come di consueto dietro umile supplica dei suoi abitanti, accord alla comunit alcuni privilegi in forma di capitoli 31 . Prima di tutto assicurava agli uomini di quella terra lesenzione perpetua da ogni tipo di imposta, prestanza e gabella, tenuto conto dello stato di povert in cui erano stati ridotti dalla guerra. Nel secondo punto, confermava alla comunit tutte le rendite e entrate appartenenti alla stessa. Il capitolo seguente era poi di particolare importanza, visto che il re si impegnava con il proprio placet a conservare la terra di Castiglione nel proprio demanio e si privava della possibilit di alienarla o concederla a terzi. Il documento procedeva quindi con alcune questioni relative allapprovvigionamento del sale, che sarebbe stato fornito ai cittadini al prezzo consueto, oltre al fatto che questi venivano esentati dalle gabelle sullesportazione del vino e dei grani. Un altro aspetto economico veniva toccato nel capitolo successivo: coloro che nel passato avevano contratto debiti con uno o pi forestieri, se ne sarebbero potuti considerare sciolti e beneficiare di un salvacondotto valido nella terra di Castiglione e negli altri domini catalano-aragonesi. Il Re concedeva questa grazia specificando, per, che avrebbe coperto soltanto i debiti contratti con stranieri e non quelli che coinvolgessero altri sudditi della Corona dAragona. Infine, il monarca si sarebbe incaricato di mandare ogni anno un podest ed un notaio provvedendo al pagamento del loro salario ordinario, pari a f. 275, oltre ad un cancelliere con diritto a una casa e a f. 50. significativo che Alfonso il Magnanimo intendesse organizzare secondo questi criteri anche il territorio che andava acquisendo in Toscana. Il fatto, poi, che decidesse di concedere tali privilegi a Castiglione della Pescaia, un piccolissimo centro che non gli avrebbe comunque potuto garantire grandi entrate fiscali, spiega quanto fosse interessato a mantenervi un dominio considerato come strategico. La continuit della presenza aragonese in Toscana avrebbe infatti alimentato nuove speranze di conquista e, sul fronte opposto, sarebbe stata una spina nel fianco di Firenze per la paura concreta che Alfonso, ripartendo da l, progettasse una nuova aggressione. Le basi navali che il re dAragona controllava sul litorale tirrenico costituivano di per s unimportante risorsa: oltre a quelle conquistate in Maremma, come la stessa Castiglione, Gavorrano e lIsola del Giglio, il Magnanimo poteva contare sugli avamposti nel golfo di la Spezia, Lerici e Portovenere, e sui porti della Sardegna 32 . Gli era assicurata, cos, una forma di controllo sulle rotte e sulle imbarcazioni che solcavano quei mari, che gli avrebbe permesso di conoscere in anticipo i propositi del nemico. Da Alghero arriv, tra il 29 aprile e il 12 maggio, una comunicazione sui movimenti di Renato dAngi 33 . Il veguer e i consiglieri della citt avvisavano quelli di Barcellona che due galeotte catalane avevano intercettato un naviglio genovese. Ab tortura e letres trobades erano riusciti a sapere che Renato dAngi era giunto nella citt della lanterna con alcuni vascelli e con lintenzione di armarvene altri. Qualche giorno pi tardi era stata una barca di corallieri arrivata nel porto di Alghero da Marsiglia, a portare nuove informazioni sui suoi movimenti.
28 ACA, Cancelleria, reg. 2696, c. 138v in data 24 settembre 1448. 29 Vostra lettera en cifra de deu del present mes havem reeebuda de la qual e de les avisaments en aquella contenguts havem hagut plaer. Pregam e manam vos axi continueu. Nos vos trametem ab la present lettres per a micer Petro Miquel e per Augustino de Buriesi regraciantlos los avisaments que fet nos han dar los hen lurs lettres e dir los hen lo que sobre ao vos parra deure los dir (...). Avisau nos continuament de tot lo que sentireu e procurau continuament ab nostres amichs e servidors que per res no sien donades victualles a la gent de florentins. ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 2v in data 13 luglio 1448. 30 G. FORTE, Di Castiglione della Pescaia presidio aragonese dal 1447 al 1460, Grosseto, Coop. Tip. Fascista La Maremma, 1935. 31 Si trattava di una pratica consueta nellambito dellorganizzazione parlamentare delle terre catalano-aragonesi. A questo proposito si veda A. BOSCOLO, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo (1421-1452), Acta Curiarum Regni Sardiniae, Milano, Giuffr, 1963. 32 DUPR-THESEIDER, La politica italiana cit., p. 231. 33 AHCB, Consell de Cent, X. 18, c. 72r in data 29 aprile e 12 maggio 1448.
9 Nonostante queste notizie il re decise, il 27 giugno, di inviare due consiglieri al duca di Genova, domandando la disponibilit di due o tre navi grosse da armare 34 . Gli ambasciatori, poi, si sarebbero dovuti mettere in contatto con i mercanti catalani che si trovavano l, pregandoli di volersi impegnare con Francesco Couco, mercante genovese, fino a 6. 000 quintali di biscotto o comunque, tenuto conto di quel limite, per la massima quantit che fossero riusciti a conseguire al prezzo di 10 gigliati e mezzo per quintale di Genova, da pagare entro un anno. I rappresentanti del re avrebbero firmato una carta a suo nome come garanzia per i catalani e pregato ancora i genovesi di mandargli tutte le vettovaglie possibili. In nome dei capitoli di pace siglati con Genova e visto che Alfonso stava assediando Piombino, si raccomandava esplicitamente al duca di non prestare alcun soccorso a Rinaldo Orsini. Quellestate, in vista dei combattimenti contro le truppe assoldate da Firenze e dal momento che Siena aveva smesso di rifornire il campo catalano-aragonese, si era fatta sempre pi impellente la necessit di approvvigionamenti. Pur nella difficolt di trovarsi lontano dal proprio regno, Alfonso si poteva avvalere dellaiuto dei catalani residenti nelle maggiori citt mercantili dellItalia settentrionale ed anche del circuito di mercanti stranieri con cui manteneva relazioni. Quando al principio dellestate si trovava a stanziare nei pressi si Campiglia invi al tesoriere un mandato di pagamento per una lettera di cambio di cui erano beneficiari i fiorentini Lorenzo Tecchini e Filippo Strozzi, per la somma di 3. 000 ducati camera, cambiati al tasso di 18 soldi e 6 denari di Barcellona per ducato, ricevuti dal senese Francesco Ghinucci 35 . Il Ghinucci era figlio di setaioli e sarebbe diventato, dal 1462, socio del connazionale Ambrogio Spannocchi 36 . In quegli stessi giorni il re ordin di onorare delle lettere di cambio a sei mesi, per complessivi duc. 2. 000, ricevuti dal senese Antonio de Curtis. Trovandosi accampato con le truppe nel bosco di Acquaviva aveva avuto necessit di grani e altri rifornimenti pari a duc. 1. 000, mentre gli altri duc. 1. 000 gli erano stati prestati per effettuare alcuni pagamenti di cui il de Curtis si era occupato personalmente 37 . A questo proposito, l8 settembre, il tesoriere di Sicilia ricevette la disposizione di pagare a vista, entro 4 mesi, una lettera di cambio di cui era beneficiario Antonio da Settimo. Si trattava di 246 ducati 3 tar, al tasso di 2 gigliati per ducato, ricevuti dal pisano Gherardo degli Upezzinghi come prezzo per certe quantit di orzo, formaggio e carne salata 38 . Il dominio effettivo di una vasta area del Mediterraneo ed il supporto delle reti mercantili favorirono quindi lazione militare di Alfonso V. LAragonese, inoltre, poteva contare su gruppo di informatori che facevano capo al ceto dirigente senese, quei sediziosi in grado di offrirgli notizie preziose dallinterno, e sul controllo dellarea dellalto tirreno attraverso la quale avrebbe monitorato i movimenti e prevenuto le iniziative dei nemici che venivano dal mare.
2. Siena nel mezo tra il monarca straniero e la vicina Firenze Nellestate del 1447 erano iniziate a circolare delle voci sul prossimo passaggio del re in Toscana 39 . Quando a Siena furono noti i piani del Magnanimo, si discusse lungamente nei consigli sul da farsi. Tuttavia, secondo lo storiografo Orlando Malavolti, non parve opportuno ai senesi bench inquieti iniziare una guerra con i vicini affidandosi alle armi forestiere di un re certamente
34 ACA, Cancelleria, reg. 2696, cc. 158v-159v in data 27 giugno 1448. 35 ACA, Cancelleria, reg. 2719, c. 69r in data 20 giugno 1448. Sulle compagnie Tecchini-Strozzi in Catalogna rimando alla mia tesi di dottorato Uomini daffari e mercanti toscani a Barcellona nel XV secolo. Contributo alla storia del Mediterraneo bassomedievale dir. Prof. R. BORDONE, codir. Prof. A. RIERA MELIS, Universit di Torino-Universidad de Barcelona, a. a. 2002-2005, pp. 84-86 e 101-108. 36 S. TOGNETTI, Fra li compagni palesi et li ladri occulti. Banchieri senesi nel Quattrocento, Nuova Rivista Storica, LXXXVIII, 2004, pp. 73-74. 37 Rispettivamente ACA, Cancelleria, reg. 2719, c. 56v in data 6 giugno 1448; ACA, Cancelleria, reg. 2719, c. 57r in data 12 giugno 1448. 38 ACA, Cancelleria, reg. 2698, cc. 91v-92r in data 8 settembre 1448 cit. in G. PETRALIA, Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese. Lemigrazione dei pisani in Sicilia nel Quattrocento, Pisa, Pacini, 1989, p. 263. 39 Su come la circolazione delle voci possa essere legata a una strategia dellinformazione rimando a B. BORELLO, D. RIZZO, Premessa, in Voci, notizie, istituzioni, Quaderni storici, CXXI, 2006, pp. 3-11.
10 potentissimo, ma anche avido dimperio 40 . Si giunse quindi alla conclusione che sarebbe stato pi opportuno conservare la pace con Firenze, pur senza negare ad Alfonso V le vettovaglie durante la sua pacifica permanenza nel dominio di Siena, sempre e quando non avesse iniziato la guerra contro i convicini 41 . Quando il re, che sembrava volersi dirigere nel contado di Arezzo, si accost alla citt, i senesi temettero poich conoscevano la malignit dalcuni fattiosi cittadini e mandarono degli ambasciatori per pregarlo di volersi allontanare. Il Magnanimo, per, non ricevette notizie da coloro che con tanta istanza lo avevano chiamato e che dovevano facilitargli lentrata. Le porte continuavano ad essere vigilate dalle guardie giorno e notte, per timor che havean de nimici di dentro non minor che di quei di fuore 42 . Oltre che dalla vicinanza del re, le paure di Siena erano alimentate dalle voci che lo volevano in trattative con Firenze a suo danno. Per questa ragione si fecero portare molte provviste in citt, in preparazione di un eventuale assedio 43 . Tuttavia, alla fine di novembre gli oratori fiorentini intervennero per dissipare ogni dubbio: nessuna alleanza si stava trattando fra quella Repubblica e la Corona dAragona. Si trattava di voci malevole senza alcun fondamento 44 . Alfonso si mosse poi verso Monteriggioni, l dove terminava il dominio senese e iniziava il fiorentino, nel quale, dichiarata la guerra, entr come nemico. Quindi, spinto sia dalla necessit di facilitare gli approvvigionamenti sia dal maltempo, si spost verso la costa. Siena per il momento aveva scongiurato il pericolo: il 19 novembre Firenze si congratulava la citt della lupa che era riuscita con costanza e prudenza ad allontanare un re cos potente 45 . Le versioni che circolavano sulle ragioni dellallontanamento erano diverse. A Bologna si era sparsa una prima voce, divulgata da due corrieri, che voleva il re entrato in Siena con le sue genti e fattosi liberamente signore di quella terra. Secondo un altro corriere, il re aveva assaltato Siena e Simonetto era persino riuscito a prendere una porta della citt. Soltanto la diligenza e le virt dei senesi, che si erano difesi virilmente, avevano preservato la citt dal rapido e pericoloso impeto dellesercito. Per quella ragione si diceva il re aveva perduto la speranza di tale impresa e si era rivolto contro i fiorentini. La posizione di Siena nel conflitto era nota:
Ma che le magnifiche signorie vostre stano indiferente n teneno cum luno n cum laltro excepto che, essendo stati asaltati sprovedutamente e da chi non ve guardavate non potete, n havete potuto far di meno che dare de vitualii al campo de la Maiest del Re 46 .
Dopo quegli avvenimenti Tommaso de Pecci venne inviato come oratore al Magnanimo. Castiglione e Gavorrano erano gi aragonesi, con la Gherardesca ad eccezione di Bibbona e per giunta altre galee alfonsine arrivavano a Piombino cariche di bombarde e macchine da guerra. Questi elementi, insieme al provvedimento di espulsione dei fiorentini, avrebbero dovuto far riflette i senesi sui mezzi del re e sulla determinazione che metteva nello scontro 47 .
40 ORLANDO MALAVOLTI, DellHistoria di Siena, Historiae Urbium et Regionum Italiae rariores, Sala Bolognese, Forni, 1982 [Ristampa anastatica delledizione Venezia 1599], p. 34. 41 Giacomo di Guidino, inviato a Firenze, dichiarava che: (...) la intentione nostra et del nostro popolo di stare di mezo et non impacciarsi di cosa alcuna et vivere in buona pace et amicitia con tutti e circustanti, et fare ogni demostratione sicch ad ogni homo sia noto che noi voliamo vivere in pace et in tranquillit. Et questo voliamo sia manifesto ad ogni persona. ASS, Concistoro 2415, cc. 11r-v in data 14 agosto 1447. Sono grata a Patrizia Meli per le sue indicazioni relativamente ad alcuni fondi dellASF e dellASS. Per le ambasciate inviate ad Alfonso V e al Papa: ASS, Concistoro 2415, cc. 11v-12v e 13r in data 14 agosto 1447. Su questa delegazione si veda BATTAGLIA, Enea Silvio Piccolomini e Francesco Patrizi cit., p. 83. 42 MALAVOLTI, DellHistoria cit., p. 34. 43 Per le notizie prima preoccupanti e poi rassicuranti inviate da Pietro Micheli, ambasciatore senese presso la Curia romana, rimando a ASS, Concistoro, 1961, n. 1 in data 1 novembre 1447 e ASS, Concistoro, 1961, n. 6 in data 6 novembre 1447. In questultima riferiva che i catalani provenienti da Siena e giunti a Roma avevano fatto grandi romori di non esser voluti rimanere ad alloggiare in citt. 44 Archivio di Stato di Firenze (ASF), Signori, Missive di Cancelleria (MC), n. 37, cc. 11r-v in data 11 novembre 1447. 45 ASS, Concistoro, 1961, n. 16/2 in data 19 novembre 1447. 46 ASS, Concistoro, 1961, n. 18 in data 21 novembre 1447. Per le impressioni che Tommaso de Pecci, oratore inviato al Re, ebbe a seguito della conversazione con lui 47 ASS, Concistoro, 1961, n. 28 in data 3 dicembre 1447.
11 Poco dopo arriv la notizia che Sigismondo Malatesta era passato dalla parte dei fiorentini e con linizio dellinverno la situazione non sembrava ancora cos favorevole alle forze catalano- aragonesi 48 . Nel campo del re, a corto di acqua e di legna, diminuivano ogni giorno i soldati, tanto che erano rimasti soltanto i provvisionati. Tuttavia Alfonso, sin dal principio della campagna militare, aveva confortato i suoi annunciando larrivo dellarmata con le vettovaglie 49 . Uno dei problemi centrali dato dalla stessa posizione geografica di Siena, era che sia Firenze sia la Corona le richiedevano agevolazioni negli approvvigionamenti. La citt della lupa ribad pi volte a Talamone e a Grosseto lordine di non facilitare lesercito alfonsino nei rifornimenti: nessun aiuto doveva essere offerto se non ai propri soldati e a quelli di Rinaldo Orsini 50 . Una delle questioni pi delicate per la sua posizione neutrale era infatti costituita dai problemi di vettovagliamento e dal fatto che lattraversamento delle truppe regie continuava a provocare furti di bestiame e devastazioni, di cui non di rado si rendevano protagonisti gli stessi cittadini senesi della fazione filoaragonese 51 . Ad approfittare dello stato di guerra erano anche gli sciacalli, ladruncoli che coglievano loccasione fingendosi uomini del re o che, in cambio di una ricompensa, erano disposti a fare da guida ai soldati catalano-aragonesi insegnando loro ogni cosa 52 . La situazione and peggiorando. Le difficolt della guerra e la speranza di ricevere maggiori benefici avevano spinto alcuni senesi a mettersi al soldo di Alfonso V 53 . Tra coloro che avevano colto lopportunit di passare agli stipendi dellAragonese, il pi molesto fu Antonio di Checco Rosso Petrucci, parente dellomonimo Antonio Petrucci 54 . Giunsero continue lamentele da Firenze e da Volterra poich questi si rendeva protagonista di iniziative ai danni della Dominante, incluso il far prigionieri e chiederne il riscatto 55 . Il problema era far capire ai fiorentini la mancanza di responsabilit del governo di Siena e limpotenza nei riguardi delle azioni del Petrucci, che combatteva i fiorentini non come cittadino di Siena, ma come stipendiario del re dAragona 56 . Per questa ragione lambasciatore fiorentino Daniele Cannigiani si dimostrava preoccupato che la citt della lupa potesse allearsi con il Magnanimo:
noi abbiamo inteso di pi luoghi che sono alcuni che tengono occulti consigli per fare novit nella loro citt et ridurla ad obedire alle voglie del Re et che il Re per conseguire questo effecto si debba appressare col suo exercito a cotesta cit 57 .
Nel maggio del 1448 cera ancora il timore da parte dei fiorentini che Siena potesse stringere unalleanza e consegnarsi al Magnanimo su consiglio dei sediziosi. Secondo Orlando Malavolti erano stati proprio quei cittadini senesi desiderosi di cose nuove, a pregare lAragonese di intervenire in Toscana. Gli avevano garantito che Siena gli si sarebbe consegnata per paura o per volont di migliorare la propria condizione. Partendo da l, avrebbe potuto sperare di conquistare il resto della Toscana con le proprie forze 58 . Si comprender la difficolt della posizione di Siena, stretta fra un potente monarca che, armato, assediava il suo contado, la vicina Firenze e i nemici interni, che vedevano questa come loccasione per vendicarsi della repubblica dellArno. Per la
48 ASS, Concistoro, 1961, n. 29 in data 4 dicembre 1447. 49 ASS, Concistoro, 1961, n. 32 in data 9 dicembre 1447. 50 ASS, Concistoro, 1670, c. 8r in data 7 luglio 1448; ASS, Concistoro, 1670, cc. 8v-9r in data 9 luglio 1448; ASS, Concistoro, 1670, c. 11r-v in data 13 luglio 1448. 51 ASS, Concistoro, 1962, n. 17 in data 18 aprile 1448; ASS, Concistoro, 1670, c. 23v in data 8 agosto 1448. Alfonso il Magnanimo, per, continuava a giustificarsi affermando che gli incidenti si verificavano per le provocazioni dei fiorentini, ASS, Concistoro, 1962, n. 21 in data 20 aprile 1448. 52 ASS, Concistoro, 1961, n. 27 in data 3 dicembre 1447. 53 ASS, Concistoro, 1962, n. 20 in data 19 aprile 1448. La precedente lettera sta in ASS, Concistoro, 1962, n. 18 in data 19 aprile 1448. 54 ASS, Concistoro, 1961, n. 92 in data 17 marzo 1447. 55 In riferimento a questo si veda ASS, Concistoro, 1961, n. 66 in data 31 gennaio 1448 e n. 68 in data 9 febbraio. ASS, Concistoro, 1962, n. 45 in data 9 giugno 1448. Sulle iniziative del Petrucci si veda anche a ROSSI, Guerra in Toscana cit., pp. 30-31. 56 ASS, Concistoro, 1962, n. 25 in data 22 aprile 1448. In merito a questo stesso problema si veda la lettera scritta dalla repubblica di Siena a Mariotto Petrucci: ASS, Concistoro, 1670, c. 12r in data 14 luglio 1448. 57 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 108r in data 14 maggio 1448. 58 MALAVOLTI, DellHistoria cit., p. 34.
12 complessit della situazione, il governo senese ordin ai suoi ambasciatori di monitorare le trattative tra i fiorentini e la Corona 59 . In questo contesto, anche la gestione dei rapporti con il signore di Piombino era stata piuttosto complessa, poich i tentativi da parte di Siena di aiutare lOrsini furono visti da lui con sospetto 60 . Quando poi, durante lassedio, la citt della lupa si fece mediatrice nelle trattative fra il signore di Piombino ed il re dAragona, questi interventi suscitarono i timori dei piombinesi. Al principio di luglio Antonio Lanzo, Ghino Bellanti e Baccio di Francesco Dini furono mandati come oratori al re dAragona, a Rinaldo Orsini e alla moglie Caterina, preceduti dalle consuete lettere di credenza 61 . Un paio di settimane pi tardi, per, arrivarono cattive notizie in merito al buon esito di quel accordo: Nanni di Magio, uomo dellOrsini, aveva messo in discussione i propositi dei senesi nella conduzione di quelle trattative e, qualora queste non avessero avuto alcun effetto, la delegazione avrebbe dovuto prendere licenza da Rinaldo 62 . Siena, che fino a quel momento era stata in buoni rapporti con la Corona dAragona, non trov opportuno allearsi con Alfonso come prima aveva fatto con Giangaleazzo, forse memore della punizione che era stata impartita a Pisa in quelloccasione. Il re catalano-aragonese non doveva dar loro molte garanzie di affidabilit: si trattava di un re straniero, che viveva lontano dal territorio senese, peraltro stremato finanziariamente da una campagna di conquista durata ventanni. Inoltre, erano note le questioni che aveva lasciato in sospeso nella penisola iberica, tanto nellambito della Corona dAragona come in quello dei rapporti con la monarchia castigliana.
3. Le reazioni di Firenze allaggressione alfonsina Messi di fronte allambasciata di Alfonso in cui si chiedeva loro di rompere lalleanza con Venezia, ritirare le truppe dalla Lombardia e risarcire i milanesi dei danni subiti, i fiorentini decisero di accettare una guerra che peraltro sembrava inevitabile per la presenza di un re armato nei loro territori. La cancelleria della repubblica si prepar a contenere le rivolte innescate nei suoi domini, a organizzare le milizie ed anche a combattere la propria guerra contro il Magnanimo sul piano politico e ideologico. Doveva rovesciare tutte le argomentazioni del re aragonese, trasformare le buone intenzioni in inganni, allertare coloro che avrebbero potuto stringere alleanze con lui. Nellautunno del 1447, quando il re dAragona giunse inaspettatamente in Toscana, le preoccupazioni erano forti. In molti centri si agitavano proteste e ribellioni e Firenze paventava che il Magnanimo potesse captare il malcontento, trasformandolo in unarma di conquista. Temeva che questi centri si sarebbero arresi a lui senza combattere, come gi era accaduto al tempo delle guerre contro Giangaleazzo. In una lettera diretta nel mese di ottobre al doge di Venezia si parlava dellarrivo del re in Toscana, del suo tentativo di sollecitare i senesi ad entrare in guerra e di allettare Sigismondo Malatesta con la possibilit di nuovi domini. Il tutto in un clima di consigli segreti e cospirazioni contro la Dominante 63 . La paura aumentava di giorno in giorno con il timore che il signore di Piombino, Rinaldo Orsini, accettasse di scambiare il proprio dominio con maggiori onori nei regni catalano-aragonesi. Motivo di preoccupazione era anche, a Siena, la presenza tra gli illustri cittadini i primores di faziosi che aspiravano a rebus novis e favorivano il re facendogli guadagnare consenso allinterno del governo di quella citt. Unalleanza tra Siena e la Corona avrebbe rappresentato un forte pericolo per la Dominante, che rischiava di perdere i castelli e le citt poste sul confine.
59 Nel mese di aprile lambasciatore Lorenzo Ghini aveva appreso dal segretario Francesc Martorell e poi dal Magnanimo in persona che lunica divergenza con i fiorentini era che questi rivolevano indietro le terre che aveva conquistato. Dovevano fidarsi: in un altro momento le avrebbe restituite, ma non subito. Bench lambasciatore fiorentino fosse rimasto al campo nella speranza di continuare le trattative, era opinione di molti che non si sarebbe raggiunto alcun accordo di pace. Da Bernardo de Medici il Ghini aveva saputo che il re pretendeva delle somme di denaro. Quanto prima fossero state pagate, tanto prima se ne sarebbe andato. ASS, Concistoro, 1962, n. 21 in data 20 aprile 1448 e ASS, Concistoro, 1962, n. 22 in data 20 aprile 1448. 60 ASS, Concistoro, 1961, n. 76 in data 23 febbraio 1448. 61 ASS, Concistoro, 1670, c. 6v in data 7 luglio 1448 e sulla prosecuzione della loro commissione ASS, Concistoro, 1670, c. 14r in data 18 luglio 1448. Ed ancora sempre per la pratica dellaccordo fra il re e i signori di Piombino, ASS, Concistoro, 1670, c. 15v in data 21 luglio 1448. 62 ASS, Concistoro, 1670, c. 17r-v in data 14 luglio 1448. 63 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 1r-v in data 26 ottobre 1447.
13 Nonostante ci, si diceva, cera ancora la speranza in coloro che amavano la pace e non desideravano dare inizio a un conflitto con la vicina 64 . In questo clima, la repubblica non si occupava soltanto di mantenere le relazioni diplomatiche con lalleata Venezia e con la vicina Siena, ma organizzava il contenimento dellaggressione alfonsina anche attraverso i propri ufficiali sparsi sul territorio. A Paolo da Diacceto ordinava di prolungare il proprio soggiorno a Siena per sollecitare il governo della citt e convincerlo dellopportunit di mantenere la pace 65 . Lo spingeva a fare qualsiasi spesa et segreta et palese, nella convinzione che la maggior parte dei buoni huomini desiderassero evitare la guerra 66 . A questi il Diacceto avrebbe dovuto offrire la difesa di Firenze, chiedendo concretamente di quante truppe avessero bisogno. Da quel punto di vista privilegiato avrebbe dovuto anche tenere sotto controllo gli spostamenti del re. Si temeva infatti che prendesse la via della Val dElsa per andare a Pisa. Donato Donati, daltra parte, era incaricato di seguirlo a distanza, ingaggiando battaglie a difesa dei luoghi quando lo avesse ritenuto opportuno 67 . Proprio nel timore che il re potesse dirigersi a Pisa e unirsi a quei pisani superstiti che non avevano accettato il dominio fiorentino, la repubblica organizz una deportazione. Al capitano di Pisa era stato ordinato di svuotare la citt dai pisani. Il 31 ottobre del 1447 veniva rimproverato per averne mandati a Firenze soltanto 18: troppo pochi per non costituire un reale pericolo. Doveva essere svuotata di ogni pisano che avesse viso duomo. Si incaricava lufficiale di stilare una lista completa di nomi e soprannomi. A questi pisani avrebbe poi intimato di andare a Firenze, senza far sosta in alcun luogo e, grazie alla lista, sarebbero stati individuati e poi banditi i disobbedienti:
Il Re dovere pigliare la via per la Valdelsa et venirne cost. Et hora in luogo da poterlo fare a ogni sua volont e da potere esser cost prima che si senta sia mosso. Di che vedi a quanto dubbio et pericolo noi siamo condotti de cotesta cit trovandosi piena di pisani et s potente et a noi nimico exercito si pu dire alle porti. Non ci pare per certo da sopportare pi che noi stiamo in tanto dubbio et pericolo per non dare un pocho di disagio a pisani de mandargli qua. Per tanto timpogniamo di nuovo per questa che allavuta dessa tu ne mandi fuori ogni pisano che ha viso duomo, comandando loro che ne venghino qua rappresentinsi al nostro uficio sanza fare dimoranza in alchun luogo. Et mandaci la nota di quelli ci mandarai per loro nomi et sopranomi, s che gli possiamo fare rassegnare. Certificandoti che a quelli che non ubidranno noi faren dare bando di rubello. Et cos dirai loro 68 .
Allo stesso modo gli ufficiali della repubblica si raccomandavano con Antonio degli Albizi, capitano della cittadella, affinch questa fosse difesa da provigionati fidati 69 . Le preoccupazioni di Firenze erano fondate: nel dicembre del 1447 erano stati promessi dal re dAragona 10. 000 ducati doro al fiorentino Tommaso di Silvestro, castellano della rocca vecchia di Livorno, se lavesse consegnata alle forze catalano-aragonesi. Questa offerta era stata formulata al castellano attraverso la mediazione di un suo connazionale, Piero Guildoli, e portava la firma e il sigillo segreto impresso con lanello del re 70 . Nonostante questa rapidissima organizzazione che la Repubblica si stava dando sul territorio contro limpeto tam repentinus tanquam improvisus del Magnanimo, un elemento ne confortava i timori: il re era frenato nella sua marcia dal maltempo 71 . La cancelleria, quindi, si dedic ad elaborare un discorso per screditare limmagine del re e le sue intenzioni. Ai senesi veniva supplicato di inviare oratori ad Alfonso ut a bello tam iniusto se abstineat e per avvisarlo di non aspettarsi alcun aiuto dalla citt della lupa, ricordandogli le rapine e devastazioni a cui lesercito catalano-aragonese stava sottoponendo il loro contado 72 . In una comunicazione, indirizzata a Mariotto Lippi nel novembre 1447, venivano introdotte argomentazioni che sarebbero state centrali nella propaganda fiorentina contro il monarca
64 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 2r-v in data 28 ottobre 1447, cit. in ROSSI, Guerra in Toscana cit., p. 59. 65 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 1v-2r in data 26 ottobre 1447. 66 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 3r-v in data 28 ottobre 1447. 67 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 4r in data 29 ottobre 1447. 68 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 4v in data 31 ottobre 1447. 69 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 4v in data 31 ottobre 1447. 70 ACA, Cancelleria, reg. 2699, c. 131v in data 27 dicembre 1447. 71 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 6r-v. 72 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 7v in data 4 novembre 1447 e ASS, Concistoro, 1961, n. 5 r-v.
14 catalano-aragonese: il tema dellaggressione, della guerra ingiusta, dellopportunit di combattere con le leggi e non con le armi a difesa delle libert di quelle repubbliche. Si cercava di distruggere limmagine del monarca come riferimento di equit e di giustizia, trasformandolo in un portatore di iniquit e di ingiustizie. In questa formulazione si rileva limportanza che ebbero gli uomini di legge nellelaborazione dellidentit della Firenze repubblicana e nella legittimazione delle sue procedure, quella identit che si sarebbe dovuta confrontare con lautorit di un grande monarca 73 . Anche a Mariotto Lippi, insieme alle istruzioni, si mandava una cifra in danaro da spendere a suo piacimento 74 . Secondo loratore, Siena si sarebbe definitivamente convinta a non aiutare il re qualora Venezia avesse deliberato di offrire ufficialmente il proprio aiuto a Firenze. La Dominante sperava comunque di riuscire a spostare la guerra nel Regno di Napoli:
Et hora abiamo a pensare et fare con effecto di dare tal briga a questo re a casa sua, che abbia cagione di tornare a difendere il suo et non andare occupando laltrui contra ogni giustitia. Et a d VIII di questo si commise a nostri che offendessono a llui come sentimo offendeva a noi et crediamo andr pi strecto et non crediamo punto vada a Livorno n in Valdera n a Luccha, perch se vi si mecte faremmo il possibile se nabbia a pentire 75 .
Nel novembre del 1447 la cancelleria denunciava al Lippi come alcuni invidiosi avessero diffuso voci diffamatorie parole piene di sospecto secondo le quali fra Alfonso e la Repubblica si stesse trattando un accordo segreto e lo pregava di voler chiarire la situazione con Siena 76 . A lui venivano forniti tutti gli strumenti per una contrattazione efficace. Tre giorni dopo si diede commissione alloratore di promettere 3. 000 fiorini a cosa facta, cio dando morto il re, oltre alla possibilit di ribandire da Siena uno o due di quelli che erano stati sbanditi 77 . Si stabiliva, dunque, un compenso per chi fosse riuscito a uccidere lAragonese. Daltra parte la morte improvvisa di Giangaleazzo e di Ladislao erano state decisive per la salvezza di Firenze nellambito dei due precedenti conflitti. Sul fronte militare Firenze doveva mobilitare molte forze, perci a Genova e Venezia chiedeva un conforto di questo tipo. Era nota la tenacia di Alfonso il Magnanimo, che non si era dissuaso dallimpresa nemmeno di fronte al maltempo che aveva trovato in Maremma 78 . Oltre a Genova e Venezia, Firenze stava cercando di spingere a intervenire il re di Francia insieme a quello che era stato il pi acerrimo nemico del Magnanimo negli ultimi anni della campagna di conquista di Napoli: Renato dAngi 79 . Secondo alcuni, tuttavia, era necessario lintervento di Carlo VII, poich non confidavano che Renato fosse abbastanza potente. Erano stati inviati loro gli ambasciatori Antonio de Pazzi e Angelo Acciaiuoli per corroborare il legame fra Firenze e la Casa dAngi. La repubblica toscana dichiarava che non avrebbe mai potuto sopportare di essere ridotta alle volont dellAragonese e quindi chiedeva lintervento benevolo di quella dinastia, che non avrebbe potuto sopportare di vedere una cos fedele alleata sottostare alla potenza di un sovrano mero imitatore e persecutore della loro gloria. Li richiamava, dunque, a far fronte unico contro il nemico comune 80 .
73 L. MARTINES, Firenze e Milano nel Quattrocento. Il ruolo dei giuristi, in La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del Rinascimento, a cura di G. CHITTOLINI, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 215-225. 74 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 10r in data 10novembre 1447. 75 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 11r-v in data 10 novembre 1447. Ancora il 24 novembre in una lettera a Mariotto Lippi si scriveva: Et renditi certo ci ordiniamo in modo che a tempo nuovo saremmo pi forti di lui et vedrai che gli r tanta briga a casa sua che dimenticher Toscana. Et le sue millanterie davere Bibbona et la Gherardesca in suo dominio sono sogni (), Ivi, cc. 22v-23r. 76 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 11r-v in data 11 novembre 1447. 77 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 15v in data 14 novembre 1447. Probabilmente si riferiva allo stesso Angelo Morosini, sottoposto a un provvedimento di bando e poi riammesso a Siena su richiesta dellAragonese. Cfr. PERTICI, Tra politica e cultura cit., pp. 14-16. 78 (...)maxime conosciuta la pertinacia del nimico il quale n per venti n per piove n per alcuna altra incomodit desiste da suoi propositi. E solo maggior forza conviene che lo rimuova. ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 16v-17v in data 17 novembre 1447. Per quanto riguarda laiuto richiesto a Genova si veda ASF, Signori, MC, n. 37, c. 7 in data 3 novembre 1447. 79 N. F. FARAGLIA, Storia della lotta tra Alfonso V dAragona e Renato dAngi, Lanciano, Tip. R. Carabba, 1908. 80 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 19v-21r in data 21 novembre 1447.
15 Alla fine di novembre del 1447 il re si spost da Montecastello e invece di dirigersi, come ipotizzato, a Livorno prese la strada per Campiglia. Si temeva che i castelli piccoli, le castelletta del contado fiorentino gli si consegnassero pacificamente al suo passaggio e accettassero di fornirgli vettovaglie. Questa, infatti, era la soluzione escogitata dal re per approvvigionarsi, finch avesse mantenuto il campo e non fosse venuto in possesso di luoghi pi grandi posti tra Pisa e Firenze. Queste informazioni preziose erano state desunte da alcuni secretarii et loro famigli catturati tra Volterra e Colle Val dElsa e da molte lettere che questi portavano con s. Con preoccupazione si constatava che in molti di detti luoghi aspectato il re con letitia 81 . Proprio in quei giorni si ebbe notizia che si erano consegnati allAragonese Bolgheri, Guardistallo e altri luoghi della Maremma. In queste lettere si osservava che nonostante le grandi piogge e il tempo contrario il re era pertinace ed ostinato, incurante di quei disagi 82 . Si temeva che Alfonso V, conquistata Campiglia, potesse farsi signore di tutta la Maremma e, risolti cos i problemi di approvvigionamento delle truppe, estendersi fino a Pisa:
Quegli che dicono o scrivono questi facti del re esser fictioni etcetera o e sono male informati o e sono poco amici della Lega o nostri, ma in ogni tempo et in ogni luogo si truovano de malivoli et calunniatori. Ma chi ne pericoli che ci troviamo noi non conviene che guardi a queste parlanze, ma a fare i ripari oportuni. E cos faren noi 83 .
Non si doveva credere a coloro che affermavano che dietro le mosse del re si nascondesse un grande bluff. I fiorentini, sottoposti a un grave rischio, non si sarebbero dovuti curare di queste voci malevole, bens prendere le precauzioni del caso. Dal tenore delle missive di cancelleria si evince, per, come nel mese di dicembre la paura stesse gi scemando. Senza che i fiorentini avessero dovuto impiegare molte energie, il maltempo aveva contenuto lavanzata di quel re la cui tenacia si era ormai tradotta in ostinazione nel volere mantenere laccampamento nonostante il tempo contrario e le epidemie. Sembrava chiaro come anche a Dio dispiacesse quella guerra ingiusta:
Et parci per quanto si pu comprendere insino a qui che a Dio dispiaccia questa sua ingiusta impresa, peroch sanza che i nostri abbiano avuto adoperarvi una lancia, egli stessi s mezo rocto perch per la sua obstinatione dellessere voluto stare a campo in questi tempi contrarii se gli morto un numero grande di cavalli e molti ne sono infirmi e guasti per modo che penar parecchi mesi prima che gli possa adoperare. Et degli uomini anchora si sono partiti da lui gran numero sich pur mancato assai de sue forze 84 .
Alla fine di dicembre il Magnanimo si sarebbe dovuto gi vergognosamente ritirare da alcuni castelli 85 . La credibilit della sua impresa si stava offuscando e Firenze iniziava a sentirsi pi sicura delle alleanze e delle prospettive di successo della Lega. Di fronte alliniziativa militare e diplomatica di Alfonso il Magnanimo Venezia sembr avere quasi da subito una posizione pi aperta ad un eventuale accordo. Firenze glielo rimproverava avvisando che il re aragonese aveva dichiarato guerra alla repubblica toscana soltanto perch era il membro pi debole della Lega, ma che, in realt, portava maggiore odio alla Serenissima. La strategia, si diceva, era quella di simulare la volont di un accordo con la Lega dando false speranze di pace, affinch non si prendessero provvedimenti opportuni e si creassero fratture allinterno di quello schieramento. Erano note ai fiorentini la vera natura del re e la sua ambizione:
Del Re di Raona veggiamo anchora quella Illustre Senioria havere opinione assai differente della nostra, perch dice la risposta facta a lloro ambasciatore esser suta molle et humana. Et per questo
81 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 24r in data 25 novembre 1447. 82 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 25r-v in data 28 novembre 1447. 83 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 27v-28v in data 1 dicembre 1447. 84 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 30v-31r in data 9 dicembre 1447. Le epidemie tra le milizie catalano-aragonesi durante lestate dilagarono. Al fine di porvi riparo la cancelleria regia sollecit lintervento del medico Joan Burgs, per il passaggio del quale venne chiesta a Siena la concessione di un salvacondotto. ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 12r-v in data 29 agosto 1448. 85 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 44r-v in data 30 dicembre 1447.
16 tiene che facilmente potr seguire chel Re desister dalloffese nostre et ritorner nel Regno. Noi conosciuta la natura del Re et la sua ambitione et lobstinatione de suoi propositi et per quanto anchora abbiamo inteso da pi persone et luoghi degni di fede tegniamo per certo chel Re non ha pensiero di fare alcuno accordo con la Lega, ma ha deliberato mettere ogni sua forza in offendere la Lega. E bench abbia cominciato da noi come da membro pi debole porta molto maggiore odio a quella Illustre Senioria che a noi, vedendo da quella pi che dai noi potere essere offeso et impedito nella executione de suoi propositi. Et per potere meglio venire alla sua intentione con quella Illustre Senioria cominciato queste offese con noi et non per altre cagioni poch dal canto nostro non proceduto cagione per la qual ci debbi fare questa guerra. Et se la risposta sua fu molle et humana non ci maravigliamo, perch siamo informati che la expositione factali fu anchora in simile modo. Et se conchiuse volere intelligentia con la Lega fu a suo vantaggio non per volerla fare, ma per torre tempo alla Lega et adormentarla ch non faccia i provedimenti opportuni stando a speranza della pace 86 .
Nella missiva Firenze faceva capire di non volere essere isolata: la guerra pi che a loro era mossa a tutta la Lega. Alla politica alfonsina del divide et impera la cancelleria avrebbe alluso anche in una lettera del 26 marzo diretta ancora alloratore fiorentino in Venezia, in cui esplicitamente si dichiarava che il re non si muoveva per carit, ma per appetito di signoria. Non avrebbe raggiunto il suo scopo se nnon con tenere Italia in divisione et tribulazione 87 . Allo stesso modo, nella comunicazione di gennaio, la repubblica si proclamava disposta ad accettare la pace qualora Alfonso si fosse ritirato dai suoi territori. Nel frattempo aveva mandato ambasciatori al Papa, che mediava per giungere ad una possibile tregua 88 . Nel lodo che sanciva la pace, infatti, doveva essere inclusa una clausola secondo la quale il re dAragona dovesse astenersi dallattaccare Siena e Piombino o quanto meno una garanzia che non si sarebbe pi occupato della Toscana. Si chiedeva poi allambasciatore di trattare in favore dei prigionieri, dei mercanti danneggiati dai provvedimenti repressivi e rispetto al bestiame rubato dagli uomini del re per i salvacondotti che lui stesso aveva concesso. Alla fine di maggio del 1448, Alfonso dichiar i veneziani nemici pubblici della Corona tanto per perseverare nelle aggressioni contro Milano, quanto per aver ingaggiato battaglia nel porto di Marsiglia nel tentativo di impossessarsi di una galea catalano-aragonese. Avevano causato molti danni, provocato la morte di uomini del re e mandato armati in soccorso dei fiorentini. Il re dAragona dichiarava perci lecito
ad ciaschuno offendere, invadere, ledere et damnificare li dicti veneciani, terre, fuste et beni loro tanto per mare quanto per terra, li quali la dicta serenissima maest gli dona de bona guerra ad qualuncha li prender como publici inimici de sua maest 89 .
Uno spiraglio si apr quando nellaprile del 1448 Rinaldo Orsini, presa gran suspitione del re, decise di chiedere un sostegno militare prima a Siena e poi a Firenze 90 . Nel giugno dello stesso anno, per, sembr che inaspettatamente Piombino si fosse consegnata al Magnanimo: un oratore aveva riferito davere il re preso Piombino per tractato 91 . Per questa ragione si affidava nuovamente ai Consoli del Mare di Pisa lincarico di organizzare linvio di rinforzi temendo che Rinaldo Orsini, dubitando del loro soccorso, cedesse alle lusinghe del re dAragona 92 . La Repubblica di Firenze, a marzo, aveva confermato i dieci di balia per altri sei mesi pro defensione
86 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 51v-52v in data 13 gennaio 1448. 87 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 88v-89r in data 26 marzo 1448. 88 Tra il gennaio e il febbraio del 1448 la cancelleria invi a Puccio di Antonio Pucci varie missive contenenti istruzioni su quanto dovesse essere riferito al Santo Padre: ASF, Signori, MC, n. 37, c. 53r in data 13 gennaio 1448; ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 68r-69r in data 13 febbraio 1448; ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 70r-v in data 20 febbraio 1448. 89 ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 1r-v in data 31 maggio 1448. 90 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 100v in data 20 aprile 1448. 91 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 125r-v in data 26 giugno 1448. Rinaldo Orsini, invece, proprio per allontanare il sospetto di aver facto contracto de questa Signoria con la illustrissima maest del segnor Re di Ragona, decise di negare la visita agli ambasciatori del re: ASS, Concistoro, 1961, n. 14 r-v in data 17 novembre 1447; ASS, Concistoro, 1961, n. 14/2 in data 17 novembre 1447; ASS, Concistoro, 1961, n. 32 in data 9 dicembre 1447. 92 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 126r-v in data 29 giugno 1448 e cc. 129r-130r in data 5 luglio 1448.
17 libertatis civitatis et status 93 . Il 15 giugno deliberava di armare le galee grosse allestite presso i Consoli del Mare di Pisa, che sarebbero partite da Livorno pro guerriando de bellando et utendo quandocumque contra regem Aragonum vel eius terras et sequaces, ma anche per cercare di impedire che giungessero vettovaglie via mare alle truppe regie dal Regno di Napoli. Nel frattempo si cercava di organizzare lapprovvigionamento delle proprie milizie, ordinando ai Consoli del Mare di macinare della farina di buona qualit e di farne biscotto, giorno e notte, traendola dogni possibile luogo. Larmata avrebbe dovuto rifornire lesercito in vista della battaglia terrestre 94 . Furono queste imbarcazioni che portavano rifornimenti alle truppe a cozzarsi con quelle del re di fronte a Piombino e, alla fine di luglio, i cancellieri sembravano ancora preoccupati che lOrsini non avesse ricevuto le loro offerte daiuto 95 . Finalmente, per, il 17 settembre arriv la notizia della disfatta delle truppe catalano-aragonesi e della ritirata del re. Firenze se ne rallegrava proprio con Rinaldo:
Noi abbiamo inteso la levata del Re da Piombino. Et bench crediamo che se si fusse indugiato pur otto d pi a levarsi si sarebbe levato con pi sua vergogna et danno et con maggiore honore et glora della vostra Signoria et della cit nostra, non di meno pe grandi disagi et affanni che sostenuto et sosteneva de continuo la vostra Maiest et il vostro popolo per la obsidione sua, vedendovene hora liberati nabbiamo avuto grandissima consolatione et ringratianne Idio et insieme con la vostra Maest ce ne rallegriamo 96 .
La guerra non venne combattuta soltanto sul fronte militare, politico e ideologico. Il carattere originale dello scontro venne rappresentato dallinterruzione dei rapporti commerciali.
4. Aspettative e timori degli uomini daffari fiorentini Lo scontro militare, come sottolineato da Del Treppo, si collegava alla guerra economica attraverso tre possibili forme. La prima era quella adottata pi spesso nellambito dei rapporti tra i mercanti catalani e gli uomini daffari stranieri: dentro uno status di pace si procedeva accordando rappresaglie contro i mercanti stranieri, privandoli dei privilegi commerciali. La seconda possibilit era quella di dichiarare uno stato di guerra, come era avvenuto con Genova, accordando salvacondotti su base personale alle compagnie, che garantissero la prosecuzione degli scambi commerciali. Ma la scelta di Alfonso ricadde su una soluzione pi radicale: quella di dichiarare lo stato di guerra, interrompere i rapporti commerciali, richiamare i propri mercanti in patria, espellere i fiorentini dalle sue terre 97 . Nel dicembre del 1447, infatti, eman una pragmatica con la quale si ordinava lespulsione dalle terre catalano-aragonesi dei mercanti di Firenze e dei territori sottoposti alla Dominante, che implicava anche la revoca dei salvacondotti ancora in vigore 98 . La regina Maria, luogotenente del Magnanimo nei regni peninsulari della Corona, la pubblic al principio del 1448, diffondendone un volgarizzamento a mezzo di grida pubblica 99 . In un primo momento si concessero soltanto otto giorni per chiudere i negozi ed evacuare; in seguito questo periodo di tempo fu prolungato a sessanta. Tali provvedimenti furono effettivi e soltanto a pochi uomini daffari, che avevano stretto legami solidi con monarchia o con le istituzioni cittadine, fu concesso di rimanere. Ai sudditi della Casa dAragona, inoltre, venne ingiunto di abbandonare le terre poste sotto la dominazione fiorentina, quindi Firenze e Pisa, dove questi erano organizzati in consolati. La regina Maria, daltronde, inizi una campagna per scovare i catalani che contravvenissero al divieto 100 .
93 ASF, Balie, 26, c. 183v in data 15 marzo 1448. Si vedano anche ASF, Balie, 26, c. 185r in data 15 giugno 1448; cc. 186v-187r in data 17 giugno 1448; c. 200v in data 22 ottobre 1448; cc. 204r-205v in data 11 dicembre 1448. 94 ASF, Signori, MC, n. 37, cc. 132r-v in data 6 luglio 1448. 95 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 141v in data 29 luglio 1448. 96 ASF, Signori, MC, n. 37, c. 151r in data 17 settembre 1448. 97 DEL TREPPO, I mercanti cit., pp. 320-322. 98 ACA, Cancelleria, reg. 2894 cc. 145r-146v, cit. in DEL TREPPO, I mercanti cit., p. 323. 99 Le copie del provvedimento e della grida pubblica emanati dalla regina si trovano allinterno della documentazione prodotta nellambito del processo contro gli eredi di Piero Aitanti: ACA, Real Patrimonio, Bala General de Catalua, 1E (1450). 100 Per un approfondimento di questi temi rimando alla mia tesi di dottorato Uomini daffari cit., in part. al cap. III. 2. 2. Espulsioni e strategie di repressione, pp. 437-478.
18 Quella che Alfonso V il Magnanimo si apprestava a intraprendere contro Firenze era una vera e propria guerra economica in cui, per la prima volta, si faceva ricorso allembargo. LAragonese mirava a indebolire Firenze interdicendo i suoi mercanti dalle piazze commerciali e finanziarie del circuito catalano-aragonese Barcellona, Valenza, Maiorca, Napoli e Palermo , privando gli uomini daffari fiorentini di un importante cliente dei loro prodotti di lusso: la corte regia. Con un provvedimento emanato a Castiglione della Pescaia il 19 gennaio del 1448, Alfonso avrebbe proibito anche ai propri sudditi di vestire panni di lana e drappi auroserici di fattura fiorentina 101 . Gli uomini daffari della Dominante sarebbero stati indubbiamente danneggiati da un provvedimento di espulsione che prevedeva la chiusura dei negozi e levacuazione entro quel breve arco di tempo. Il Magnanimo era intenzionato a colpire loligarchia di Firenze, composta da quelle famiglie che controllavano tanto leconomia quanto il governo della citt. Provocando la bancarotta di alcune compagnie, interrompendo il flusso delle materie prime, non restituendo prestiti che erano stati concessi ai banchieri durante la campagna di conquista di Napoli, Alfonso il Magnanimo sperava di indebolirne le risorse e, forse, impedire un pi consistente finanziamento della guerra. Secondo il setaiolo Gregorio Dati sin dalle guerre condotte alla fine del Trecento contro Giangaleazzo Visconti, Firenze si era dovuta ingegnare a supplire la propria insufficienza in campo militare attraverso leconomia, la diplomazia e la spinta ideologica a difendere lideale di libert repubblicana 102 . Era proprio sotto questi aspetti che il re dAragona si apprestava ad attaccarla, oltre che sul piano militare. La presenza delle truppe catalano-aragonesi in Toscana aveva provocato devastazioni e razzie nel territorio della Dominante recando danni alle infrastrutture e generando difficolt nellapprovvigionamento annonario. Oltre a ci, furono soprattutto le galee della navigazione di stato ad essere armate per svolgere funzioni di trasporto, sia di armi sia di vettovaglie, essendo anche coinvolte in vere e proprie operazioni militari. Vi furono, dunque, complicazioni anche nellambito dei trasporti commerciali, tanto per la deviazione di queste galee dalle loro rotte consuete quanto per la possibilit, nel bacino tirrenico, che le navi mercantili fossero intercettate dalle galee regie 103 . Latteggiamento della monarchia nei confronti della messa in atto della pragmatica fu severo, perch i provvedimenti furono estesi e concreti. Il 20 febbraio 1447 lambasciatore fiorentino a Roma veniva avvisato della cattura nei mari siciliani di alcuni mercanti connazionali: Bardo Altoviti, Zanobi di Giovanni Jacopi, Antonio Fagni e Forese Salviati. Questi si trovavano sulla galea del catalano Villatorta, con lettere del vicer di Sicilia dirette a quello di Napoli in cui si chiedeva di mantenere i loro salvacondotti in vigore. Nonostante tutto erano stati catturati e messi in prigione senza alcun rispetto di quelle garanzie. Lambasciatore presso la Curia romana, incaricato di concordare la pace, venne pregato di comprendere tra le condizioni di un possibile accordo anche la liberazione di quei mercanti 104 . Sin dagli anni della campagna di conquista di Napoli, i mercanti-banchieri fiorentini avevano occupato un posto rilevante nel finanziamento delle operazioni militari e diplomatiche italiane della Casa dAragona 105 . Basti ricordare che durante le celebrazioni del trionfo alfonsino tenutesi al principio del 1443, un secondo carro trionfale, dopo quello dei catalani, era stato offerto proprio dai mercanti fiorentini. In quella rappresentazione un uomo armato e vestito come Ermes era posto in piedi su un grande globo a designazione del mondo. Inneggiava al monarca come a un re
101 Provvedimento citato in ACA, Cancelleria, reg. 2721, cc. 52v-53v. 102 BARON, La crisi del primo Rinascimento cit., p. 17. 103 Nelle tabelle relative allorganizzazione dei viaggi della navigazione di stato fiorentina riportate dal Mallett c infatti un vuoto tra il 1447 ed il 1455. M. MALLETT, The Florentine Galleys in the Fifteenth Century, Oxford, Clarendon Press, 1967, pp. 153-176. 104 ASF, Signori, MC, 37, cc. 70 r-v in data 20 febbraio 1447. 105 Per quanto riguarda i rapporti tra i banchieri fiorentini e la Corona rimando a H. LAPEYRE, Alphonse V et ses banquiers, Le Moyen Age, LXVII, 1961, pp. 104-111; G. NAVARRO, D. IGUAL, La tesorera general y los banqueros de Alfonso V el Magnnimo, Castelln de la Plana, Sociedad Castellonense de Cultura, 2002; M. DEL TREPPO, Aspetti dellattivit bancaria a Napoli nel 400, in Aspetti della vita economica medievale, Convegno di studi nel X anniversario della morte di Federigo Melis (Firenze-Prato-Pistoia, 10-14 marzo 1984), Firenze, Universit degli Studi, 1985, pp. 557-601; ID., Il re e il banchiere. Strumenti e processi di razionalizzazione dello stato aragonese di Napoli, in Spazio, societ e potere nellItalia dei Comuni, a cura di G. ROSSETTI, Napoli, 1986, pp. 229-304; M. CASSANDRO, Affari e uomini daffari fiorentini a Napoli sotto Ferrante I dAragona (1472-1495), in Studi di storia economica toscana nel Medioevo e nel Rinascimento in memoria di Federigo Melis, Pisa, Pacini, 1987, pp. 103-123.
19 di pace ma, accanto alle preghiere rivolte a Dio di mantenere il re in prosperit, cerano quelle di conservare la bella Firenze nella sua libert 106 . Sfogliando i registri di cancelleria Pecuniae evidente un cambiamento tra quelli anteriori e successivi alla conquista di Napoli. Nei primi sono numerosissime le attestazioni di credito da parte dei mercanti fiorentini, mentre negli altri, e in particolare intorno al 1447, si fanno sempre pi rare. Questo tipo di rapporti, dunque, divenne sporadico ma non scomparve del tutto. A testimonianza della continuit delle relazioni tra il re dAragona e i banchieri fiorentini sta una dura lettera indirizzata nellaprile del 1448 dalla cancelleria della Repubblica a Roberto Martelli, direttore della sede romana del banco Medici 107 . Poich il re dAragona si trovava in grande necessit di denaro per finanziare la campagna militare in Toscana, gli ufficiali fiorentini erano stati informati di come singegnasse a raccogliere e trarre verbo che caratterizza specificamente il linguaggio delle lettere di cambio danaro da ogni luogo. Per questa ragione non dubitavano che si sarebbe rivolto, come tante volte aveva fatto negli anni precedenti, ai banchieri fiorentini residenti in Roma. Con piglio retorico si assicurava la fiducia nei mercanti connazionali, che per amor di patria e per la salvaguardia del proprio onore, lo avrebbero ostacolato piuttosto che aiutato. Tuttavia si apprestavano, attraverso questo illustre portavoce, a ricordare a tutti i propri uomini daffari che colui che avesse servito il re dAragona sarebbe stato giudicato nemico e ribelle:
Noi siamo avisati che il Re di Raona singegna fare et trarre danari dogni luogo et per ogni modo che pu per farci guerra. Et non dubitiamo che lui far pruova di prendere aptitudine a questo etiandio col mezo de nostri mercatanti che sono a Roma. E bench noi speriamo che que nostri mercatanti saranno savi et per la carit che haranno alla patria cercheranno pi tosto torre, che dare commodit al Re, non di mancho c paruto nostro debito ricordarvelo. Et per ti facciamo questa. Et impegnianti et comandianti che tu ricordi per nostra parte a decti nostri mercatanti che sono cost quello che richiede il debito loro et il loro honore, che che e non dichino n faccino alcuna cosa che possa nuocere alla patria. Et nominatamente comandarai loro per nostra parte che non prestino n servicio n prestare o servire faccino il Re di Raona, n a lui o ad altri per lui deno o faccino dare aptitudine alcuna di danari n dalcuna altra cosa. Significando a qualunche que facesse, che egli sar giudicato inimicho et ribello della patria et cos sar qua in tutto et per tutto tractato et riputato. Et per tua lettera ci avisarai di quelli a quali farai tale ricordo et comandamento 108 .
Naturalmente non era una casualit che gli ufficiali della repubblica di rivolgessero proprio a Roberto Martelli, direttore di uno dei banchi fiorentini di maggior prestigio, che gi era stato in rapporti con la casa dAragona. A questa aveva concesso prestiti che erano serviti, negli anni precedenti, proprio al pagamento delle milizie. Il monarca lo affermava in una lettera di avviso del 1445 indirizzata al tesoriere generale Mateu Pujades, in cui dichiarava di aver preso a cambio da Roberto Martelli, per conto del banco Medici, la somma di duc. 7. 000 per il mantenimento delle genti darme in difesa di Santa Madre Chiesa 109 . Il tenore intimidatorio della lettera del 1448 era rivolto, quindi, al Martelli prima che ad ogni altro. Ci che gli ufficiali della Repubblica paventavano era che questo rapporto di finanziamento e di agevolazione negli anticipi e nel trasferimento dei capitali potesse continuare anche a discapito della madrepatria. Nonostante la guerra e i drastici provvedimenti economici che ne erano susseguiti, si riscontrava una diversit di trattamento nei confronti di alcuni banchieri. Alla fine di maggio del 1448 era stato concesso al re un anticipo di duc. 14. 700 dal fiorentino Piero de Galliano, per cui il re aveva trasmesso al tesoriere Perot Mercader lettere di cambio da pagare a sei mesi al mercante stesso o a un suo procuratore 110 . Le relazioni non si interruppero, poi, con i fiorentini esiliati nelle terre
106 AHCB, Consell de Cent, X. 13, cc. 18 r-v in data 28 febbraio 1443, doc. pubbl. da MADUREL MARIMON, Mensajeros cit. . Per limportanza del commercio dei fiorentini con lItalia del Sud rimando a D. ABULAFIA, Southern Italy and the Florentine Economy, 1265-1370, The Economic History Review, XXXIII, 1981, pp. 377-388. Per un sonetto significativo composto proprio in quel periodo dai mercanti fiorentini ad esaltazione delle virt del re si veda Faraglia, Storia della lotta cit., p. 333. 107 R. DE ROOVER, Il Banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1988, p. 96. 108 ASF, Signori, MC, 37, c. 92r in data 7 aprile 1448. 109 ACA, Cancelleria, reg. 2718, cc. 100v-101r in data 11 giugno 1445. 110 ACA, Cancelleria, reg. 2719, c. 53r in data 25 maggio 1448 e reg. 2895, cc. 18r-v in data 16 novembre 1448.
20 catalano-aragonesi. Alfonso V mantenne contatti con la compagnia Tecchini-Strozzi di Barcellona e con il banco di Ghezzo di Lico della Casa. Proprio nel 1448 il recettore delle pecunie regie domandava al re se, vista la guerra in corso, avrebbe dovuto emettere un esborso nei confronti di Ghezzo. A tale pagamento il Magnanimo rispondeva di essere tenuto e obbligato per giuramento. Aggiungeva che erano stati tanti e tali i servizi prestati dal della Casa, che non voleva fosse coinvolto nella questione della guerra e, per questa ragione, ordinava che loperazione venisse portata a termine senza altre dilazioni 111 . Il 18 settembre 1446, infatti, il banchiere aveva anticipato al Magnanimo ben 8. 750 lire di Barcellona da restituirsi entro il mese di aprile del 1448, che venivano mandate a pagare per via di lettera di cambio agli arcivescovi di Saragozza e Tarragona, riscossori di un diritto di f. 40. 000 112 . Linizio della guerra port con s disagi nel commercio e nelle relazioni fra gli uomini daffari. Limpresa militare di Alfonso contro Firenze divenne, dunque, un argomento discusso negli scambi epistolari fra i mercanti fiorentini, che temevano ripercussioni sulle loro persone e attivit 113 . In questi scambi non era depositato soltanto linteresse per quello che sarebbe stato lesito della campagna di conquista, ma erano raccolte anche le preoccupazione che vi fossero familiari o amici tra i prigionieri. In una lettera di Matteo Strozzi al fratello Filippo in Napoli, si raccontava della battaglia navale fra il Magnanimo e le quattro galee della Repubblica. Le due galee catturate dai catalani erano quelle patroneggiate da Antonio della Stufa e da Francesco Giraldi, appartenenti alla navigazione di stato fiorentina. Su Luca da Montegonzi, catturato mentre viaggiava a bordo di una di queste, era stata posta una taglia di f. 50 114 . Ancora il 17 agosto Alfonso veniva descritto forte e ben fornito di vettovaglie:
Delle galee s avisato chome due nadorono male, non sentito che gniuno degli Strozzi n nostri amici vi sieno su, se non Lucha da Montegonzi che si dicie en prigione cho molti altri. E rre si truova a champo a Piombino avistato un pezo. Dicesi che perde tenpo, ch forte e ben fornito di vatuvaglia. A nostri soldati nno riauto uno chastello. A un altro sono a chanpo che si chiama Guardistallo, dov il chapitano nostro, che duno ichopietto nel braccio che dignia ito parechi medici: dicasi non colpo mortale. Idio laiuti 115 .
A ben guardare anche in questi scambi di missive linteresse per la guerra and scemando lettera dopo lettera, insieme alla credibilit della riuscita dellimpresa alfonsina. I primi di settembre Matteo torn ad aggiornare il fratello Filippo in Napoli. Gli comunicava che le uniche notizie certe sulla guerra erano quelle relative alle graveze imposte dalla citt, ben 24 dal novembre del 1447. Talmente poche erano le novit che arrivavano dal campo di battaglia da far pensare che la gente darme fosse come addormentata:
E de rre non si sente nulla pi che si facessi 15 d fa, che mmi pare che lle giente dellarme sieno adormetate, che non ssi sentte nulla se non di pagare graveze. Che Dio una volta ci ponga fine 116 .
Infine, in una lettera del 20 settembre Matteo informava Filippo della ritirata del re. Sigismondo Malatesta era giunto con il suo esercito a Piombino, sorprendendo le truppe nemiche e, grazie al supporto dei piombinesi, il re era stato messo in fuga. Il giorno 14 da Firenze erano stati inviati quattro uomini, tra cui Luca di Maso degli Albizi e Niccol di Neri Macinghi, con rispettive somme pari a duc. 4. 000, la met delle quali si diceva avrebbero soltanto arricchito le tasche dei commissari. Seguiva poi una dettagliata descrizione dei pagamenti imposti a causa della guerra e del dettaglio di quanto rimanesse da pagare alla madre Alessandra Macinghi:
111 ACA, Cancelleria, reg. 2719, c. 14v. 112 ACA, Cancelleria, reg. 2718, cc. 164r-v in data 18 settembre 1446. 113 Ad esempio nelle lettere scambiate tra Matteo Strozzi e il fratello Filippo a Napoli: ASF, Carte Strozziane, III Serie, 249, n. 79, 80, 83, 84. 114 Rispettivamente ASF, Carte Strozziane, III Serie, 249, c. 80 in data 2 agosto 1448 e c. 83 in data 6 settembre 1448. 115 ASF, Carte Strozziane, III Serie, 249, c. 79 in data 17 agosto 1448. 116 ASF, Carte Strozziane, III Serie, 249, c. 83 in data 6 settembre 1448.
21 (...) Dipoi non sentito altro se non che qua si paga di molti danari che tti prometto mona Lesandra fatto un debito maraviglioso. Che di 24 graveze son poste da novembre nel 47 in qua, che di tutto passato il termine insino di gungnio sono f. 132, nulla s pagato. E oltre a questo nno posto 18 dispiacenti, che per tutto questo mese se n pagati 14. Gli altri 4 snno a pagare novenbre e dicenbre, che ne tocha a noi di tutti f. 113 nno pagati 35 contanti che sono 14 dispiacenti, cio che gli venduti al chumune che di f. 6 s. 6 d. 9 chabiano di dispiacente se ne paga il terzo a perdere e gl chanciellato quel dispiacente debito mona Lesandra circha di f. 270. Idio ci ponga fine 117 .
La guerra fu gravosa per la repubblica e per i suoi mercanti, cos preoccupati dai pagamenti di cui erano sobbarcati 118 . La corrispondenza mercantile, daltra parte, non fu che uno dei luoghi deputati alla conservazione della memoria di quello scontro. Ci dedicheremo ora ad analizzare come vennero raccontanti, raccolti e trasmessi questi eventi nelle fonti quattrocentesche. Che tipo argomenti vennero utilizzati dalla propaganda alfonsina e quali ragioni ideologiche gli si opposero? Ancora, quali furono le ripercussioni che gli avvenimenti e lesito stesso della guerra ebbero sullimmagine pubblica di Alfonso il Magnanimo?
5. Limmagine, la parola e le virt del re. Due Alfonsi: una questione di propaganda Per supportare il processo di installazione e consolidamento del potere della dinastia aragonese nel Regno di Napoli, Alfonso il Magnanimo fece un consapevole utilizzo della propaganda. Il monarca fu celebre per essersi contornato di umanisti provenienti da altre citt della penisola. Era proprio questa circolazione di persone intellettuali, artisti, oratori, grandi mercanti che favoriva il confronto con i valori politici dellItalia rinascimentale. Il re dAragona dovette iniziare a misurarsi con questi principi sin dal momento in cui fece irruzione nella politica italiana. Agli umanisti come il Valla, il Panormita e Facio erano assegnati incarichi come segretari, ambasciatori, oratori e consiglieri, volti a sfruttarne le competenze politiche. Questo, come osservato dal Bentley, faceva s da una parte che gli umanisti influenzassero la politica regia con il proprio pensiero politico, ma dallaltra che fosse la loro teoria politica relativa alla costruzione dello stato ad essere imperniata del pragmatismo dei governanti 119 . Gli intellettuali, quindi, furono utilizzati da Alfonso come arma culturale nei confronti di interlocutori come le repubbliche di Firenze, Genova e Venezia, il ducato di Milano e la curia papale 120 . Dovevano occuparsi di giustificare le scelte della politica regia e trovarvi dei valori appropriati di riferimento, dei modelli, attingendo sia alla tradizione dello speculum principis sia dalla retorica classica 121 . Cercavano ragioni per encomiare il sovrano, promuovere le sue virt agli occhi dei sudditi e delle potenze straniere, sottolineandone liberalit e giustizia, aspetti fondamentali del buon monarca 122 . Si faceva perno sul concetto di fortuna facendola coincidere con la volont di Dio e trasformandola cos in un forte elemento di legittimazione per quel
117 ASF, Carte Strozziane, III Serie, 249, c. 84 in data 20 settembre 1448. 118 Sul forte aumento della pressione fiscale in questi anni si veda E. CONTI, Limposta diretta a Firenze nel Quattrocento (1427-1494), Roma, Istituto Storico Italiano, pp. 221-233. 119 J. H. BENTLEY, The humanist secretaries of the Aragonese Kings of Naples, in Cancelleria e cultura nel Medioevo, Comunicazioni presentate nelle giornate di studio della Commission Internationale de diplomatique, Citt del Vaticano, Archivio secreto vaticano, 1999, pp. 334-341. Per una panoramica pi ampia rimando a ID., Politics and Culture in Renaissance Naples, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1987. 120 Sul rapporto tra potere reale e cultura in ambito catalano-aragonese rimando a S. CLARAMUNT, El poder real y la cultura, XV Congresso di Storia della Corona DAragona (Jaca, 1993), Saragozza, 1996, pp. 355-387 in particolare le pp. 378-381. 121 Sulla tradizione dello speculum principis nellambito della Corona dAragona rimando a A. BEAUCHAMP, De l'action l'criture: Le De regimine principum de l'infant Pierre d'Aragon (V. 1357-1358), Anuario de Estudios Medievales XXXV, 2005, pp. 233-270. Riguardo allelaborazione dellimmagine del Re e delle sue virt si vedano ANTONIO BECCADELLI EL PANORMITA, Dels fets e dits del gran Rey Alfonso (versi catalana del segle XV de Jordi de Centelles), a cura di E. DURAN, Barcellona, Editorial Barcino, 1990 e E. DURAN, La imatge del rei Alfons, XVI Congresso di Storia della Corona DAragona cit., vol. II, pp. 1401-1418. 122 Introduzione, in Suppliche e gravamina. Politica, amministrazione, giustizia in Europa (secoli XIV-XVIII), a cura di C. NUBOLA, A. WRGLER, Bologna, 2002, pp. 7-17.
22 monarca che, con pazienza, era riuscito a far uscire di scena i propri oppositori e a soggiogare il regno di Napoli 123 . Negli anni immediatamente successivi alla conquista di Napoli, il Magnanimo inizi una campagna diplomatica volta a stringere alleanze, a far conoscere il proprio programma politico e, ancora una volta, ad accattivarsi consensi. Nel maggio del 1445, in occasione delle celebrazioni funebri per la morte della sorella Maria, moglie di Giovanni II di Castiglia, gli ambasciatori Angelo Morosini e Pietro Micheli mandarono a Siena un resoconto contenente una descrizione del monarca dallaspetto grave, dai gesti eloquenti e dalle molteplici virt. Essendo il re ingegnoso, industrioso e savissimo se ne doveva avere particolare riguardo 124 . Alle loro dichiarazioni lAragonese aveva risposto con autorevolezza e magnanimit, ricordando come fosse nellinteresse di Siena mantenere lalleanza con la Casa dAragona. Avrebbe mandato un ambasciatore ai senesi per esporre le sue intenzioni ed era certo che questi sarebbero stati prudenti e onesti nei suoi confronti. La campagna di propaganda portata avanti dal Magnanimo non si limitava ai documenti di cancelleria, alla diplomazia, alla storiografia. La sfarzosa celebrazione della sua entrata in Napoli, nel 1443, e la realizzazione dellarco trionfale di Castel Nuovo, con le immagini e il corredo epigrafico, costituiscono di per s un esempio efficace di questo tipo di propaganda politica 125 . Ancora, nelle medaglie commissionate al Pisanello venivano esaltate le medesime virt. Il disegno preparatorio, del 1448, portava sulla parte superiore la scritta !DIVUS!ALPHONSUS!|REX! mentre in basso !TRIUMPHATOR!ET!|PACIFICUS. Alfonso veniva rappresentato ancora una volta come re trionfante e amante della pace. La medaglia, che fu poi eseguita nel 1449, ritraeva su un lato Alfonso di profilo, nello spazio sottostante la corona, mentre sullaltra faccia era raffigurato un giovane cacciatore seminudo sul dorso di un cinghiale in atteggiamento di attacco, insieme a due cani. La scritta !VENATOR!|INTREPIDUS! sovrastava questa immagine. Si trattava ovviamente di un riferimento allamore del monarca per la caccia, teso a sottolinearne lanimo coraggioso 126 . La caccia, unattivit prettamente principesca, non laveva abbandonata neanche durante la campagna militare in Toscana. Dalla Maremma, infatti, commissionava che gli venissero inviati falconi perch scriveva tan destiu com de hinvern nos delitam granment de caa e sabeu que per la guerra no leixam la dita caa 127 . Subito dopo la conquista di Napoli, crebbe il mito della sua magnanimit poich aveva risparmiato la citt dal sacco, perdonato i nemici e persino cercato un accordo con Renato dAngi 128 . Le virt di clemenza e misericordia vennero esaltate e amplificate. Questo singolare principe era stato capace di perdonare anche i napoletani che per un ventennio gli si erano opposti. Nonostante la
123 BARTOLOMEO FACIO, Rerum gestarum Alfonsi regis libri, a cura di D. PIETRAGALLA, Alessandria, Edizioni dellOrso, 2004, p. 135. 124 Et questo re signore gravissimo daspetto et di gesti et eloquentissimo, et pare ingengnoso, industrioso et savissimo, et da farne una singularissima extimatione, et davere righuardo grande che non si faccia perdita infinita per picciolo et nullo ghuadangno. Dispacci sforzeschi da Napoli. I. 1444-2 luglio 1458, a cura di F. SENATORE, Salerno, Carlone, doc. n. 2, p. 22. 125 F. MASSIP, De ritu social a espectacle del Poder: lEntrada triomfal dAlfons el Magnnim a Npols (1443), entre la tradici catalana i la innovaci humanstica, XVI Congresso di Storia della Corona DAragona cit., vol. II, pp. 1859- 1889; A. PINELLI, Feste e trionfi: continuit e metamorfosi di un tema, in Memoria dellantico nellarte italiana. II. I generi e i temi ritrovati, a cura di S. SETTIS, Torino, Einaudi, 1985, pp. 281-350; S. BERTELLI, Il corpo del Re. Sacralit del potere nellEuropa medievale e moderna, Firenze, Ponte alle Grazie, 1995, pp. 90-106; G. ALISIO, S. BERTELLI, A. PINELLI, Arte e politica tra Napoli e Firenze: un cassone per il trionfo di Alfonso d'Aragona, Modena, Panini, 2006. Per un approccio allo studio delle entrate reali e per un approfondimento bibliografico rimando a M. RAUFAST CHICO, Negociar la entrada del Rey? La entrada real de Juan II en Barcelona (1458), Anuario de Estudios Medievales, XXXVI, 2006, pp. 295-333. 126 F. M. GIMENO BLAY, De la Luxurians litera a la Castigata et clara. Del orden grfico medieval al humanstico (siglos XV-XVI), XVIII Congresso della Corona dAragona (Valenza, 2004), Valenza, Universitat de Valencia, 2005, vol. II, pp. 1519-1564. 127 ACA, Cancelleria, reg. 2696, cc. 170r-v in data 11 agosto 1448. Diverse comunicazioni riguardano la richiesta di falconi: ACA, Cancelleria, reg. 2696, cc. 169r-v in data 22 luglio 1448, cc. 171v-172v in data 29 agosto 1448, c. 173r-v in data 11 e 25 settembre 1448; 128 Corpus Chronicorum Bononiensium, RIS, tomo XVIII, parte I, Bologna, 1924, p. 106.
23 morte del fratello, i dispendi di denaro e le continue ingiurie il re clemente, come Cristo sulla croce, rendeva ai napoletani bene per male 129 . Finch Alfonso V non venne chiamato per la prima volta a Napoli da Giovanna II (1420), le cronache italiane ignorarono il re aragonese ed i suoi sudditi per privilegiare altri aspetti delle dinamiche politiche della penisola. Alfonso inizi ad essere compreso nellorizzonte politico di queste fonti con il suo inserimento progressivo nel quadro italiano, in particolare con la battaglia di Ponza (1435), la conquista definitiva di Napoli (1442-1443) e la campagna militare in Toscana (1447-1448) 130 . Tali eventi furono registrati tanto dalle cronache, quanto dalle ricordanze e dagli zibaldoni mercantili, che manifestarono interesse crescente nei confronti di un re che aveva alterato il complesso equilibrio politico italiano e faceva sperare in una pacificazione generale. In questo contesto, una delle virt di Alfonso che pi sembrarono paventare i suoi nemici fu la tenacia. Erano infatti la pazienza e lostinazione di questo re che avevano contraddistinto la lunga campagna di conquista di Napoli, a dimostrazione di come non fosse solito desistere dai propri propositi. La paura dei fiorentini di non riuscire a vincere la guerra contro un monarca paziente e ostinato, il quale non si soleva per leggier fatica stancare, veniva ricordata da Scipione Ammirato nelle sue Istorie Fiorentine 131 . Lassalto alla Toscana e la ricerca di uno scontro diretto con Firenze furono visti, per, in contraddizione con la figura del re come era stata formulata dalla propaganda. Allora, in Italia, and concretizzandosi la paura come asseriva il Corpus Chronicorum Bononiensium che il monarca dAragona potesse farsi troppo grande uccello 132 . Con la campagna militare in Toscana questo timore prese forza e lattacco ai domini di Firenze fu visto come ingiusto e privo di ragioni. Giovanni Rucellai nel suo Zibaldone Quaresimale racconta come il re, nel 1447, si fosse rivolto senza alcuna ragione contro la Toscana, giungendovi alla testa di molte migliaia di uomini. Dopo aver vinto uno scontro navale, per, nel mese di settembre era stato battuto sulla terra ferma dai fiorentini e costretto a tornare nel Regno di Napoli male a ordine e con poco suo honore 133 . Questa vittoria contro il re tenace offriva ancora una volta motivi di esaltazione al popolo fiorentino, al quale si sarebbe dovuto riconoscere il merito di aver contenuto le ambizioni dellAragonese. Se non fosse stato arrestato in Toscana, infatti, sarebbe di certo riuscito a insignorirsi di Pisa, Genova e dellItalia intera 134 . Con la ritirata dalla Toscana il re si era giocato limmagine di pacificatore faticosamente costruita dalla sua propaganda. Quel re che sembrava potesse risolvere i problemi di unItalia dilaniata dai particolarismi, aveva perso credibilit per la troppa ambizione. Dopo aver sollevato un gran polverone, era dovuto tornare sui propri passi con poco onore. La cronaca bolognese, raccontando lintervento del re a Piombino, ne sottolineava questi aspetti: el dito re mostroe in prima de fare grandissimi fatti, et fece molto pocho 135 . Latmosfera di sfiducia e sospetto che si venne a creare dopo laggressione a Firenze doveva quindi essere mitigata. Alfonso affid la giustificazione delle proprie iniziative alla storiografia ufficiale. Sullaltro fronte, in Toscana, la storia dellassedio di Piombino venne narrata per marcare laspetto
129 Diurnali cit. in FARAGLIA, Storia della lotta cit., p. 289. 130 S. PQUIGNOT, La instalacin del poder aragons en el reino de Npoles segn las crnicas italianas (1424-1450), relazione presentata al Congress of the association for Mediterranean Studies: Catalonia and the Mediterranean (Barcellona, 29
maggio 2004), in corso di pubblicazione. Ringrazio lautore per avermi messo a disposizione questo testo. 131 SCIPIONE AMMIRATO, Istorie Fiorentine, a cura di L. SCARTABELLI, Torino, 1853, p. 308. 132 PQUIGNOT, La instalacin del poder cit. 133 GIOVANNI RUCELLAI, Il Zibaldone quaresimale, a cura di A. PEROSA, 2 voll. Londra, Warburg Institute, 1960, vol. I, pp. 50-51. 134 Ondel popolo fiorentino gli dava senpre alla chorda e no llo lasciava riposare, n dare battaglie in nessuno lato; sicch lo re di Napoli, visto non potere aquistare niente, si lev da Volterra e and a chanpo Pionbino. Onde li Fiorentini vi mandarono socchorsso drento, e mandssi bonbarde e mandssi chomessari e nbasc[i]adori, e chonforta[r]gli e aiutargli, a cci che lo re di Napoli non pigliassi quel portto e questo nidio che assai dava ispavento a Italia. E ciertto se i Fiorentini non sochorevano el detto Pionbino, la maest di Alfonso dAraona si facea signiore di Pisa e signiore di Genova, e poho tenpo valichava dappoi che ttutta Italia era in suo dominio. BENEDETTO DEI, La Cronica dallanno 1400 allanno 1500, a cura di R. BARDUCCI, Firenze, Papafava, 1985, p. 57.
24 tirannico dellAragonese, esaltando le virt del signore di Piombino e della repubblica di Firenze, che erano stati coraggiosamente capaci di resistere al suo impeto.
6. I Rerum gestarum Alfonsi regis libri e LIstoria dellassedio di Piombino Nellambito della propaganda alfonsina non pu essere trascurata la versione che, della prima fase della guerra con Firenze, diede la storiografia ufficiale. Allo storiografo di corte Bartolomeo Facio venne infatti assegnato il compito di giustificare le iniziative del Magnanimo, rileggerle e presentarle cariche di quei significati ideologici elaborati in risposta alle idee politiche che circolavano sulla relazione monarchia-tirannide. Il ligure aveva ottenuto dallo stesso Alfonso lincarico di narrare le sue res gestae nellottobre del 1446, a due anni di distanza dal trasferimento di Facio a Napoli. Si tratta di una fonte quanto mai interessante tenuto conto dei propositi dellautore, che intendeva scrivere una historia esemplare e attendibile dal punto di vista fattuale, in cui per interveniva alterando e reinterpretando le ragioni che avevano mosso le scelte politiche del Magnanimo. La narrazione ripercorreva gli eventi in un arco cronologico che andava dalla prima chiamata di Giovanna II (1420) alla morte di papa Niccol V (1455). Facio dedic quasi un intero libro, il IX, alla prima fase della guerra con Firenze 136 . Anche in questo caso oper ricostruendo gli avvenimenti in modo piuttosto scrupoloso, ma modificando, mitigando, manipolando le ragioni del Magnanimo tanto nellintervenire quanto nellabbandonare la Toscana. Limmagine che lo storiografo dava del suo principe era, sin dal principio dellopera, quella di un pacificatore, di un re onesto e di grande valore. Proprio in ragione di queste sue virt e non per brama di potere aveva risposto al richiamo di Giovanna II, non ritenendo onorevole abbandonare chi si era messo sotto la sua protezione 137 . Il Magnanimo veniva gi presentato, in questa prima parte dellopera, come un sovrano valoroso, rispettoso, amante della pace. Nellepisodio relativo alla riappacificazione del monarca con i baroni napoletani, Facio tracciava in poche righe il quadro programmatico della propaganda alfonsina 138 . Limmagine che Alfonso era intenzionato a costruire intorno a s era quella di re magnanimo e indulgente, capace di perdono verso i sudditi. Era preoccupato di adeguare la fama di umanit a quella di clemenza, cosciente della necessit di raccogliere un consenso il pi possibile allargato. Nel trattare linizio della campagna militare in Toscana, la sua principale preoccupazione fu dunque quella di offrire una giustificazione alle iniziative del monarca, necessit che venne esplicitamente dichiarata al principio del IX libro: Non sar fuori luogo, a mio giudizio, premettere la causa e lorigine della guerra fiorentina 139 . Su questo punto Facio si sent in dovere di fornire una propria versione, mascherata dallattendibilit della narrazione fattuale. Era intenzionato a spiegare come la decisione del re di intervenire in Toscana fosse motivata da unonorevole intenzione, quella di correre in aiuto di Filippo Maria Visconti minacciato dai veneti e dai fiorentini loro alleati. In questo caso, proprio come in occasione del suo coinvolgimento nelle questioni napoletane, non era stata tanto la brama di conquista quanto lonorevolezza a spingerlo in soccorso di chi aveva invocato il suo aiuto. Secondo Bartolomeo Facio, quindi, il Magnanimo aveva attaccato Firenze su richiesta di Filippo Maria e con lappoggio del Papa per allontanarne le truppe dalla zona di Cremona, dove lesercito milanese, guidato da Francesco Piccinino, reclamava la citt a Francesco Sforza 140 .
135 Corpus Chronicorum Bononiensium cit., pp. 158 e 194-5. 136 FACIO, Rerum gestarum cit., pp. 404-443. Per un profilo di Facio si veda in questo stesso volume lintroduzione della curatrice pp. VII-XXXIII. Rimando inoltre alla voce del DBI, a cura di P. VITI, vol. XXXXIV, pp. 113-121 ed a G. ALBANESE, D. PIETRAGALLA, M. BULLERI, M. TANGHERONI, Storiografia come ufficialit alla corte di Alfonso il Magnanimo: i Rerum gestarum Alfonsi regis libri X di Bartolomeo Facio, XVI Congresso di Storia della Corona DAragona cit., vol. II, pp. 1223-1267. 137 FACIO, Rerum gestarum cit., p. 35. 138 FACIO, Rerum gestarum cit., p. 37. 139 FACIO, Rerum gestarum cit., p. 404. 140 Per il rapporto di Francesco e Jacopo Piccinino con il Magnanimo rimando a S. FERENTE, La sfortuna di Jacopo Piccinino. Storia dei bracceschi in Italia (1423-1465), Firenze, Olschki, 2005, pp. 20, 28 e 40. Si veda anche L. BANCHI, Il Piccinino nello stato di Siena e la Lega italica, Archivio Storico Italiano, s. IV, a. IV, 1879, pp. 44-58.
25 Facio sottoline lonorevolezza e la lealt di Alfonso anche quando, in seguito a queste vicende e a causa del sospetto che Francesco Sforza volesse privarlo della sua signoria, il Visconti manifest lintenzione di consegnare la citt allAragonese. Non avrebbe voluto n il suo codice gli avrebbe potuto consentire che si privasse della propria signoria, approfittando di un momento di debolezza e preoccupazione. Nel frattempo, mentre il re si trovava nella Sabina, gli era giunta notizia che Filippo Maria Visconti era morto, cosicch si trov di fronte ad una scelta: dirigersi in Italia settentrionale attraverso Todi o andare in Toscana. significativo come Facio insista sullindecisione del re, lasciando intendere che non ci fosse un piano prestabilito di aggredire Firenze per porla sotto il proprio dominio. Le iniziative di Alfonso, segue lo storiografo, erano motivate soltanto dal tentativo di far desistere i fiorentini dalla guerra contro Milano, far tornare rapidamente le loro truppe in Toscana e ricondurre i loro animi alla pace. LAragonese penetrava s nel territorio fiorentino ma, si precisava, in maniera non ostile. Non appena giunto a Montepulciano, infatti, aveva mandato unambasciata a Siena per convincerla delle sue buone intenzioni. Anche i fiorentini si erano mobilitati sul piano diplomatico. Il discorso che gli ambasciatori della repubblica, Giannozzo Pitti e Bernardo de Medici, avevano rivolto ad Alfonso il Magnanimo venne riportato dettagliatamente dai Rerum gestarum. Nellorazione erano richiamati i caratteri che avevano contraddistinto le relazioni tra Firenze e la Casa dAragona 141 . Venne rievocata la pace e lantica amicizia tra le due potenze, tuttavia le argomentazioni addotte furono prevalentemente di natura economica: il ricordo dei numerosi accordi commerciali, stabiliti secondo il principio di reciprocit, gli scambi e le relazioni dospitalit. Questo era il punto pi delicato: Alfonso aveva iniziato una guerra non soltanto sul piano militare e politico, ma anche su quello commerciale. Non ultima veniva largomentazione relativa allindole del re. Egli aveva costruito intorno alla sua immagine la retorica del pacificatore, sin dallentrata trionfale in Napoli. Era proprio sulla base di questa retorica che non si riteneva congruo potesse intraprendere una guerra ingiusta come quella nei confronti della repubblica fiorentina. Il problema delle ripercussioni che linterruzione dei rapporti di reciprocit commerciale avrebbe potuto provocare sui sudditi e sui loro beni emerge anche in un altro punto del IX libro, quando Facio descrive linsistenza degli ambasciatori milanesi nel convincere Alfonso a dichiarare guerra anche ai veneti. In questo caso, non soltanto il re dAragona temeva provvedimenti nei confronti dei mercanti catalani residenti a Venezia, ma paventava rappresaglie sul mare da parte delle galee della Serenissima. Tornando alla narrazione dei movimenti del Magnanimo in Toscana, Facio prosegue descrivendo gli spostamenti dellesercito alfonsino per la campagna resi difficoltosi dal maltempo e dalla mancanza di vettovaglie motivandoli uno ad uno, come a dimostrare che non vi fosse un disegno prestabilito. Visto che Siena, insospettitasi, ostacolava gli approvvigionamenti il re si era diretto a Campiglia, sulla costa. Da l avrebbe potuto far giungere i rifornimenti dal mare e in quel luogo sperava di trovare una migliore condizione atmosferica. Quella era anche la strada per raggiungere il territorio di Pisa dove questa volta s Alfonso era intenzionato a dirigersi. Nel frattempo lesercito aragonese aveva sottratto ai fiorentini e poi restituito dei castelli al conte Arrigo della Gherardesca, alleato della Casa dAragona. Ancora, dal momento che Sigismondo Malatesta, assoldato dal Magnanimo, era passato dalla parte dei fiorentini, il re aveva deliberato di andare prima a Baratti e poi di raggiungere Piombino. Questa posizione strategica gli avrebbe consentito di potenziare loffensiva e far arrivare vettovaglie, artiglieria e soldati, via mare. Il re dAragona era quindi giunto a Piombino per una serie di circostanze che definiremo logistiche. Di quel luogo era signore Rinaldo Orsini, sposato a Caterina dAppiano. Questi non aveva accettato le proposte che gli furono formulate a pi riprese dal re e anzi aveva cercato lappoggio dei fiorentini. Si trattava scrive Facio di un uomo esperto nelle cose della guerra, motivo per cui quello che doveva essere un breve assedio si trasform in una lunga resistenza. In tali circostanze, poi, molti cavalli erano morti per la fame e per le epidemie, presto trasmesse anche agli uomini dellesercito. Non era stato per mancanza di coraggio, dunque, che le forze catalano-aragonesi non erano riuscite a conquistare Piombino. Alla descrizione di quella battaglia navale combattutasi nei mari antistanti, le cui dinamiche sarebbero state diffuse dalla cancelleria alfonsina allo scopo di
141 FACIO, Rerum gestarum cit., pp. 419-421.
26 rincuorare gli alleati del re, seguiva la descrizione dei combattimenti terrestri fra lesercito di Alfonso e le truppe guidate da Sigismondo e Federico Malatesta. Ma la sproporzione nella narrazione di questi due eventi evidente: la battaglia navale, in cui le forze alfonsine avevano avuto la meglio, non era altro che uno dei tanti scontri verificatisi e andava a occupare lo stesso spazio della narrazione della battaglia decisiva interrotta peraltro dalla descrizione delle virt di uno dei comandanti di Alfonso , quella che avrebbe decretato la sconfitta del re. Facio insistette lungamente sul valore di coloro che componevano le schiere dellesercito catalano-aragonese, passando in sordina la disfatta, accompagnata dal disonore, che aveva costretto il monarca a fare ritorno nei propri regni. La ritirata venne motivata piuttosto con lintenzione, da parte del re giusto, di risparmiare fatiche e pericoli ai propri uomini. Lautunno e le difficolt che la cattiva stagione portava con s, infatti, sarebbero presto ricominciati, convincendolo dellopportunit di ricondurre lesercito prima a Civitavecchia e poi a Napoli. Lo storiografo alfonsino oltre ad elencare quelle giuste ragioni per cui Alfonso aveva deciso di intervenire in Toscana e motivarne ogni movimento, contribuiva a ridimensionare la sconfitta che aveva costretto il suo re a fare marcia indietro. In tutto il capitolo, poi, veniva ribadita la sincera volont dellAragonese di pacificare la penisola, sottolinenando la comunanza di intenti che questi aveva col Papa. Sul fronte opposto, vennero date a questi avvenimenti una lettura e una risonanza assai diverse. LHistoria obsidionis Plumbini fu composta dal sanminiatese ser Antonio degli Agostini, trovatore e poeta cortigiano, che negli anni dellassedio si trovava presso la corte di Rinaldo Orsini. Da un punto di vista apertamente antialfonsino, specificamente dedicata agli eventi che contraddistinsero lassedio di Piombino, con una forte esasperazione del ruolo di Rinaldo Orsini e del suo valore nel resistere a quellaggressione. Su questa linea, infatti, fu anche perch Piombino non capitol che il Magnanimo venne ricacciato nei propri regni e le sue ambizioni di farsi re dItalia ridimensionate. La cronaca, in cui abbondano i richiami danteschi, composta quasi interamente da terzine definite dal poeta in bellicoso stile, ad esclusione del primo capitolo della terza parte. Nostra intenzione sar analizzare lopera per cogliere i timori e le impressioni che circolarono in ambiente filofiorentino in relazione alla politica italiana del Magnanimo, ma anche osservare quali furono gli argomenti di propaganda offerti per combattere il suo tentativo di accattivarsi lappoggio dei signori e delle citt toscane. LAgostini lascia che questi versi introducano la propria opera e ne spieghino il contenuto e le intenzioni:
Questa una gentile, maravigliosa, e pietosa opera dellassedio, che quel Tiranno Raonese, che non merita essere chiamato Re, puose a Piombino nel 1448 circa di mesi 4 , dove infine vituperato si fugg, come lo scritto dimostra: ma le crudelt, che prima fece, non si potrebbon dire (...) 142 .
Gi in apertura lautore esprime in poche ed essenziali parole la sua visione di Alfonso il Magnanimo: indegno di essere chiamato re e definito tiranno. Anche successivamente il sanminiatese sar piuttosto chiaro nel prendere posizione. La sua opera veniva composta per smascherare gli inganni di Alfonso il Magnanimo, testimoniare leroica resistenza di Rinaldo Orsini e dei piombinesi, riconoscere la lealt dei fiorentini che, al contrario dei senesi, erano accorsi in loro aiuto. Al principio ne viene presentata la struttura interna: una prima parte dedicata alla descrizione di come Alfonso il Magnanimo si accattiv la fiducia di Rinaldo Orsini, in seguito con quali arti riusc ad ingannarlo e come cerc di far morire di fame i piombinesi; la seconda invece occupata dalla narrazione della guerra che mosse in monte, en piano, / E colle navi in mar; nella terza viene riportato il discorso dellOrsini ai suoi e la risposta del Popol sovrano; nella quarta le soluzioni che adottarono i capitani per vincere i catalani; la quinta e la sesta trattano infine della morte di Rinaldo e della presa di potere da parte della moglie Caterina. Per tutta la cronaca il Magnanimo viene contrassegnato da epiteti marcatamente negativi crudel tiranno, tiranno raonese, gran reale invidioso, grandoste, re crudel,
142 ANTONIO DEGLI AGOSTINI, Historia obsidionis Plumbini, RIS, tomo XXV, pp. 319-370, in part. p. 319.
27 asprissimo tiranno e molte delle azioni compiute dal monarca vengono contraddistinte con vocaboli legati allarea semantica dellinganno, dellastuzia, della frode. La rubrica che apre il primo capitolo lo indica gi in modo esplicito: Dove si tratta per quanti e varj modi il Re cerc dingannare il Signore. Al contrario Rinaldo era definito buon signore, fero leone e ai ragionamenti fraudolenti dellAragonese si contrapponevano paradossalmente gli argomenti magnanimi del signore di Piombino:
Ma io non so con penna disegnare Alle grandarti, e a sottili inganni, Come possa il Signor mai riparare 143 .
Alfonso V definito sia re dAragona sia re catalano, mentre invece i suoi vengono sempre chiamati catalanie contrassegnati dallepiteto negativo di cani can catelani - 144 . Erano i catalani, infatti, quelli fra i sudditi della Corona che si erano fatti maggiormente conoscere grazie al proprio impegno nelle attivit commerciali e, daltra parte, i rapporti fra Firenze, Siena, Pisa, Lucca con la Corona erano stati fino ad allora di natura prettamente commerciale e finanziaria. La loro presenza nelle principali citt toscane si era anche istituzionalizzata con il costituirsi di consolati 145 . Nella cronaca, la seconda parte del primo capitolo tratta del ruolo che ebbero i senesi in questa vicenda. La posizione di Firenze veniva esaltata e, forse con il proposito di accrescere lonore della Dominante o piuttosto per cercare gi in questi anni le ragioni della successiva alleanza fra Siena e la Corona dAragona, il cronista esprime un giudizio apertamente negativo sul comportamento tenuto dai senesi gi nella rubrica:
Ove interchiude quanta fraude usorono i Sanesi al Signore, per fargli perdere lo Stato, ed era loro accomandato 146 .
Siena veniva descritta come una citt infida, che mai aveva rispettato alcun accordo, anticipandone cos il suo comportamento sleale nei confronti della vicina Piombino. In base al racconto del cronista, Alfonso il Magnanimo aveva deliberato di rimanere vicino a Grosseto con il suo esercito per aspettare larrivo della primavera. Giunta la bella stagione aveva inviato la propria delegazione alla citt della lupa per ordire tradimenti e stringere un accordo che potesse nuocere a Firenze. Secondo lAgostini, i senesi avevano fornito concretamente aiuti ai catalano-aragonesi mettendo a disposizione le proprie genti, allo scopo di danneggiare Firenze e far perdere il proprio dominio a Rinaldo Orsini. Al signore di Piombino avevano mandato molti oratori consigliandogli di arrendersi:
Quante fiate pi dunOratore Mandasti a quel, che si dovesse arrendere, Disegnando lInferno a quel Signore,
Usasti sottilmente a quel difendere, E non pensavi, chil fero Leone A sua defension volesse attendere. (...)
O Ghin Bellanti buon fu l tuo concetto, Et hai usato e tanto ingegno, e arte, Che qui, e cost se tenuto a sospetto. 147
143 ANTONIO DEGLI AGOSTINI, Historia cit., p. 356. 144 Sulla cattiva fama dei catalani nellambito della penisola italiana si veda anche B. CROCE, I catalani e glItaliani, in La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, Bari, Laterza, 1917, pp. 28-31. 145 R. SINZ DE LA MAZA LASOLI, Il consolato dei catalani a Pisa durante il regno di Giacomo II dAragona. Notizie e documenti, Medioevo Saggi e Rassegne, XX, 1995, pp. 195-222. 146 ANTONIO DEGLI AGOSTINI, Historia cit., p. 324. 147 ANTONIO DEGLI AGOSTINI, Historia cit., p. 325.
28 Ecco, in questa ultima terzina, entrare in scena uno dei personaggi che abbiamo trovato pi volte citati come facenti parte alla fazione catalano-aragonese in Siena. Ghino Bellanti, appartenente a una delle famiglie politicamente pi rilevanti della citt della Lupa, era infatti uno degli incaricati di mediare tra il Magnanimo e lOrsini. Infine, il cronista passava alla descrizione dei combattimenti, dei richiami e dei suoni tipici della guerra. Sul campo sventolava il gonfalone dellesercito aragonese vermiglio, e giallo, / Composto a liste con ugual misura. Si udivano anche le grida dei catalani nel dar battaglia Vos aveis perdido vostra corte , e i loro motti erano contrastati da Rinaldo con incitazioni ai propri uomini Ciascun sarmi a cui i piombinesi rispondevano: alla morte, alla morte. In uno dei discorsi pronunciati dallOrsini ai Piombinesi per risvegliare il loro coraggio, veniva fatto riferimento alla crudelt del re catalano contrapposta alla loro determinazione nel difendere la sua libert:
Considerate allaspra crudelt Di quisto Catelano, e lalmo forte Vostro, ma a mantener mia libert. 148
Sarebbe stata Firenze ad aiutare Rinaldo Orsini nellimpresa, inviando navi per i combattimenti in mare e le truppe di terra comandate da Sigismondo Malatesta. Dopo una dura battaglia contrassegnata dai rumori dellartiglieria e dalle grida incitanti delle genti, le milizie di Alfonso facevano definitivamente ritorno a Napoli, sul mare, con il vento a favore. La cronaca si chiude con la morte del valoroso Rinaldo Orsini, per il quale lAgostini auspicava la gloria eterna, e con la presa di potere da parte della moglie Caterina. Abbiamo analizzato, dunque, due letture completamente diverse degli avvenimenti e delle intenzioni che contraddistinsero la guerra tra il Magnanimo e Firenze. Da una parte la narrazione dello storiografo ufficiale della corte di Napoli, Bartolomeo Facio, e dallaltra una cronaca elaborata presso la corte del signore di Piombino. Opposti erano quindi le finalit propagandistiche dei due autori, i valori, le identit, i comportamenti da difendere e da giustificare.
7. Alcune riflessioni In conclusione, abbiamo potuto osservare come nella prima fase della guerra tra Alfonso il Magnanimo e Firenze, combattuta nei domini della Dominante, furono elaborate le strategie politiche, ideologiche ed economiche con cui sarebbe stato gestito lo scontro negli anni successivi, pur se a fianco di alleati diversi. Con la ventennale campagna di conquista del Regno di Napoli il re dAragona si era inserito nei delicati equilibri politici ed economici della penisola italiana nel momento in cui i principali potentati erano in piena espansione, organizzazione e consolidamento del proprio stato territoriale 149 . Il monarca, che aveva ulteriormente ampliato i suoi domini, usciva da una campagna di conquista che aveva messo a dura prova tanto le risorse finanziare quanto i rapporti con le istituzioni dei suoi regni peninsulari. In questo contesto, la guerra si profilava come un fenomeno complesso in cui entravano in gioco elementi diversi. Lo scontro fu condotto sul piano ideologico attraverso un consapevole utilizzo della propaganda, che attingeva a un sistema di valori elaborato dagli umanisti e dai giuristi sin dalla fine del Trecento e lungo il Quattrocento. Dal punto di vista delle citt-stato italiane, vi era la necessit di costruire unimmagine da proporre allesterno adeguata alla nuova realt non pi comunale, ma regionale dei potentati. Con la guerra a Firenze il re dAragona si proiettava invece nellinevitabile confronto con il nuovo contesto italiano, nel tentativo di offrire unalternativa o quanto meno di inserirsi come attore principale nel panorama politico turbolento che precedette la
148 ANTONIO DEGLI AGOSTINI, Historia cit., p. 355. 149 G. CHITTOLINI, Ricerche sullordinamento territoriale del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV, in ID., La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado, Torino, Einaudi, 1979; G. M. VARANINI, Dal Comune allo Stato regionale, in La Storia, a cura di N. TRANFAGLIA e M. FIRPO, Torino, UTET, 1986, pp. 694-724. R. FUBINI, Lega italica e politica dellequilibrio allavvento di Lorenzo de Medici al potere, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra Medioevo ed et moderna, a cura di G. CHITTOLINI, A. MOLHO, P. SCHIERA, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 51-111; ID., Potenze grosse cit., pp. 91-126.
29 pace di Lodi. Questo coinvolgimento diretto e lavvicinamento al papato lo avrebbero anche posto al sicuro da uneventuale rivendicazione del regno di Napoli da parte degli Angi. Sul piano politico-diplomatico, attraverso la paura, il sospetto o laspettativa di guadagno, si intessevano alleanze che in quel panorama avrebbero potuto modificare i rapporti di forza e coinvolgere attori esterni rispetto alle potenze peninsulari. Lo spostamento di una pedina, come avvenne nel caso di Venezia alleatasi ad Alfonso il Magnanimo nellottobre del 1450, avrebbe potuto cambiare la configurazione degli schieramenti. Compito degli ambasciatori era anche quello di offrire allesterno unelaborazione identitaria della propria istituzione di riferimento, legittimarne le posizioni, individuare gli interlocutori e gli alleati possibili, valutarne la credibilit. Infine, portando la guerra nei domini di Firenze, il Magnanimo sperava di indebolirla, provocare devastazioni, sottrarle il controllo dei porti per mantenere il dominio del Tirreno e di buona parte del Mediterraneo occidentale. Il confronto si stabiliva infatti anche sul piano delleconomia e dei sistemi fiscali, chiamati a supportare queste gravose campagne militari. Nel dicembre del 1447 venne sancita linterruzione dei rapporti commerciali tra la Corona dAragona e Firenze, a cui seguivano ulteriori provvedimenti repressivi volti a indebolire gli uomini daffari della repubblica che, in molti casi, rappresentavano la sua stessa classe dirigente. Questi provvedimenti erano affiancati dallapplicazione di misure protezionistiche a lungo sollecitate da quel ceto mercantile catalano, che era stato il principale finanziatore dei progetti di conquista della Casa dAragona. Il conflitto fra Alfonso il Magnanimo e la repubblica di Firenze, iniziato nellautunno del 1447, fu quindi condotto su pi campi: sul piano militare con quella che, per Alfonso V, avrebbe voluto essere una guerra lampo intrapresa con il beneficio del fattore sorpresa e con lappoggio dei rivoltosi; sul piano politico-diplomatico nel tentativo di legittimare le proprie posizioni, stringere nuove alleanze e intessere piani dazione comune tanto manifesti quanto segreti; sul piano delleconomia con linterruzione dei rapporti commerciali fra le due potenze, il richiamo in patria dei mercanti catalani e lespulsione dei fiorentini dalle terre della Corona; infine, la guerra venne combattuta sul piano della propaganda, nel contrapporsi di due posizioni ideologiche che si erano andate affermando sin dalla seconda met del Trecento: quella di coloro che promuovevano lavvento di una monarchia pacificatrice e risolutrice dei conflitti generati dai particolarismi e quella di coloro che inneggiavano alla libert dItalia nel mantenimento delle autonomie repubblicane contro la tirannide 150 . Nel settembre 1448 Alfonso V, vinto dallesercito fiorentino guidato da Sigismondo Malatesta, faceva ritorno a Napoli 151 . La sconfitta per non avrebbe interrotto lo stato di guerra del Magnanimo alla Lega. Il 23 ottobre indirizzava una lettera ad Antonio Petrucci per rincuorarlo: gli avrebbe prestato il soccorso che chiedeva. Non era intenzionato ad abbandonare limpresa, ma desiderava piuttosto riorganizzare le forze per portare una maggiore offensiva. Lo rassicurava di avere rinnovato la condotta a Simonetto con 400 lance, a Baldovino con 150 lance, a Carlo degli Oddi con 100 lance e a Sante Carrillo con 130 lance oltre ad altri fino ad arrivare alle 1. 000 lance. Il re dichiarava poi di aver lasciato 2. 500 fanti, 1. 000 a Castiglione della Pescaia e 1. 000 con
150 Come ha scritto Giovanni Tabacco La penetrazione aragonese nellItalia tirrenica apr prospettive di egemonia sulla penisola, sorrette dallimmaginazione politica dei cardinali di orientamento ghibellino, principalmente di Napoleone Orsini, ed erano prospettive di soluzione del problema italiano in armonia con unidea nazionale. Lespansione aragonese nel Mediterraneo centrale era infatti suscettibile di sviluppi a catena sul mondo toscano, ligure, longobardo, con riflessi possibili anche sul tormentato mezzogiorno, G. TABACCO, Le ideologie politiche del Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, pp. 83-92. Si vedano anche N. VALERI, La libert e la pace. Orientamenti politici del Rinascimento italiano, Torino, Societ Subalpina, 1942 e P. MARGAROLI, LItalia come percezione di spazio politico unitario negli anni Cinquanta del XV secolo, Nuova Rivista Storica, LXXIV, 1990, pp. 517-536. Per il successivo rapporto del Magnanimo col papato rimando a M. NAVARRO SORN, Alfonso de Borja, Papa Calixto III en la perspectiva de sus relaciones con Alfonso el Magnnimo, Instituci Alfons el Magnnim, Valenza, Diputaci de Valncia, 2005. 151 Una volta rientrato a Napoli scrisse alla figlia rallegrandosi di essersi lasciato alle spalle laria malsana della Maremma: Illustre e cara filla nostra. Perque sem certs sou desijosa saber noves de nos e de nostre essere e sanitat, vos avisam com sem juncts en Napols ab sanitat e bon salvament e no solament sem fora de les congoxes e cura dels camps e armes, mas encara del corrupto e malissimo ayre de Toscana e vinim en aquest ayre net e clar ben disposts a vostre plaer (...), ACA, Cancelleria, reg. 2895, c. 22r in data 30 novembre 1448.
30 Simonetto e i suoi capitani. Inoltre, dalle parti di Romagna stava il vicer che era gi partito portando con s 6. 000 cavalli e 3. 000 fanti per aggredire i fiorentini da quella parte:
Sicch datevi di bona vogla che presto havarete tale soccorso che restarete bene contento et poterete non tanto resistere a li nemici ma etiandio oppugnarli. / (...) Et non crediate per niente voglamo lassare questa inpresa anco la sequitaremo con miglor modo et ordine et con magiore potentia che non havem facto per insino al presente d. Voy, adunque, sequite contra li inimici magnanimamente et maxime aquesta volta resistete che non vincano Castello Nuovo el quale non havemo meno caro che Castiglone. Et in questo usarete quello modo che sapete fare et sempre sete stato consueto et dal nostro campo niente mancar a fare in verso di voy, sicch cognosciarete noy essere rege grato et che non ci dimentichiamo di servitii ricevuti. Ancora, innanzi che partiamo, mandaremo a Siena uno imbasciatore: sequitate adunque con la usata fede vostra et diligentia et con quello animo che sempre ne havete mostrato 152 .
Il 18 novembre di quello stesso anno lAragonese comunic allo scrivano di ragione Alfegerino di aver mandato Pietro Scacco al campo e di aver avvisato Ghino Bellanti e il Simonetto di provvedere alle sue necessit 153 . Nonostante quella sconfitta, che implicava anche una perdita di credibilit, Alfonso V sarebbe stato ancora protagonista delle vicende politiche italiane. Dopo una pace siglata nel 1450, la guerra aperta sarebbe scoppiata di nuovo nel 1451. E questa volta al fianco di Venezia.
152 ACA, Cancelleria, reg. 2895, cc. 15r-v in data 13 ottobre 1448. 153 ACA, Cancelleria, reg. 2895, c. 21v in data 18 novembre 1448.