Cam Pi
Cam Pi
Cam Pi
1 Richiami matematici 5
1.1 Gradiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Divergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.4 Laplaciano vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.5 Laplaciano scalare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.6 Lemmi e formule di Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
3 I fondamenti dell’elettromagnetismo 19
3.1 La forza di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3.2 L’esperimento di Faraday e la legge di Gauss . . . . . . . 19
3.3 La legge di Faraday . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3.4 La legge di Ampere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
3.5 Le equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3.6 Le correnti impresse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3.7 Relazioni costitutive dei mezzi elettromagnetici . . . . . . 27
3.8 Equazioni di Maxwell in regime armonico . . . . . . . . . 34
3.9 Condizioni sulle superfici di discontinuità . . . . . . . . . 37
1
2
8 Antenne 261
8.1 Dipolo elementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
8.1.1 Studio nel dominio della frequenza . . . . . . . . . 263
8.1.2 Studio nel dominio del tempo . . . . . . . . . . . . 269
8.2 Antenna a spira di corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . 275
8.2.1 La sorgente di Huygens . . . . . . . . . . . . . . . 278
8.3 Antenne filiformi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280
8.3.1 L’integrale di Hallen . . . . . . . . . . . . . . . . . 284
8.4 Antenne ad apertura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295
8.4.1 L’espansione in onde piane . . . . . . . . . . . . . 298
8.5 Parametri delle antenne in trasmissione . . . . . . . . . . 304
8.5.1 Esempi di calcolo di parametri di trasmissione . . 313
8.6 Parametri delle antenne in ricezione . . . . . . . . . . . . 325
8.6.1 Esempi di calcolo di aree ed altezze efficaci in ri-
cezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331
8.7 Le relazioni tra i parametri di trasmissione e ricezione e
la formula di Friis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334
8.7.1 La formula di Friis . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
8.7.2 La formula del radar . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
8.8 Schiere di antenne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 342
8.8.1 Schiere a fase progressiva . . . . . . . . . . . . . . 347
8.8.2 Schiere broad–side ed end–fire . . . . . . . . . . . . 350
8.9 L’antenna Yagi–Uda e l’antenna logaritmica . . . . . . . . 351
Capitolo 1
Richiami matematici
1.1 Gradiente
Si consideri una funzione scalare derivabile φ (si ricorda che una funzione
scalare è una funzione che dà come risultato un numero, come ad esempio
la temperatura all’interno di una stanza), definita in una regione dello
spazio V racchiusa dalla superficie S.
Il gradiente di φ è un vettore, funzione delle coordinate nello spazio,
che viene indicato con il simbolo ∇φ, e che è definito come segue:
1
∇φ = lim o φ n̂ dS ,
V →0 V S
Osservazioni
• Sono dette superfici di livello le superfici dello spazio sulle quali si
ha
φ = costante .
5
6 CAPITOLO 1: RICHIAMI MATEMATICI
e vale B
∇f dγ = f (B) − f (A) .
A,γ
1.2 Divergenza
Si consideri una funzione vettoriale w, definita nuovamente in un volume
dello spazio V racchiuso dalla superficie S. Si definisce divergenza di w,
e la si indica con la scrittura ∇ · w la quantità scalare
Come si nota, la divergenza non è nulla solo nel caso in cui vi sia un flusso
netto uscente (o entrante) nella superficie che racchiude il volume V . In
altre parole, la divergenza può essere interpretata come una misura delle
sorgenti (o dei pozzi, nel caso in cui ∇ · w < 0) dai quali scaturisce il
campo vettoriale w, o dove esso termina.
Un tipico esempio di natura elettromagnetica è quello che si riscon-
tra quando una carica elettrica viene posta in quite in un punto dello
spazio: essa dà luogo ad un campo elettrico che “nasce” o “muore” in
corrispondenza della carica, ciò dipendendo dal segno della carica stessa.
In termini matematici la “nascita” o “morte” del campo elettrico è rap-
presentato da un valore di divergenza non nullo nell’intorno della carica.
Osservazioni
• Teorema di Gauss. Scelto un volume V dello spazio racchiuso dalla
1.3. ROTORE 7
1.3 Rotore
Si consideri una funzione vettoriale u definita in un volume dello spazio
V racchiuso da una superficie S orientata dal versore n̂ uscente da essa.
Si definisce rotore di u, e lo si indica con il simbolo ∇ × u, la funzione
vettoriale,
1
∇ × u = lim o n̂ × u dS .
V →0 V S
Osservazioni
• Teorema di Stokes. Scelta un superficie S dello spazio racchiusa
dalla curva chiusa γ, risulta
∇ × u · n̂ dS = o u dγ = circuitazione di u .
S γ
∇2 v = ∇(∇ · v) − ∇ × ∇ × v .
Primo lemma
ψ∇2 φ = ∇ · [ψ∇φ] − ∇φ∇ψ .
Secondo lemma
ψ∇2 φ − φ∇2 ψ = ∇ · [ψ∇φ − φ∇ψ] .
Da questi due lemmi si ricavano due importanti formule integrali.
In particolare, dal primo lemma, e dal teorema di Gauss applicato ad
un volume V delimitato da una superficie chiusa S orientata secondo la
normale n̂ da essa uscente, si ottiene la
e = −1.602 × 10−19 C .
11
12 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
densità n(P ) [m−3 ] di particelle cariche, ognuna con una carica pari a
qP = N · e [C] ,
dq = n(P ) qP dτ .
Corrente di convezione
Questa è la corrente che si manifesta quando un corpo elettricamente
carico si muove sotto l’azione di determinate forze, di natura elettrica o
meno, trascinando nel suo moto anche le cariche su esso depositate.
14 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
Corrente di conduzione
Questo tipo di corrente elettrica, che è quella di maggiore interesse nello
studio dei fenomeni elettromagnetici, è la corrente che si manifesta nei
metalli, negli elettroliti e nei plasmi dove i portatori di carica elettrica
si muovono all’interno della struttura in cui si trovano. Si tratta quindi
di un moto di cariche libere che migrano all’interno del mezzo materiale
che le contiene.
Come è noto, nella maggior parte dei metalli la corrente di con-
duzione è attribuita alla presenza di un “gas di elettroni liberi” os-
sia di quegli elettroni che, essendo meno vincolati dai legami chimici,
possono muoversi all’interno del reticolo atomico del metallo. La più
elementare descrizione della conduzione elettrica può quindi essere im-
postata considerando semplicemente la velocità con cui gli elettroni si
spostano all’interno del metallo.
Tuttavia, esistono altri materiali come per esempio alcuni semicon-
duttori, nei quali la corrente di conduzione è invece attribuita al movi-
mento di portatori di carica positiva. Si tratta di materiali nel cui reti-
colo atomico vi “è un elettrone in meno” di quanti completerebbero uno
dei livelli atomici, e si può pensare a questa mancanza come equivalente
alla presenza di una carica positiva fittizia che prende il nome di la-
cuna. Ogni lacuna può essere colmata da un elettrone che abbandoni un
reticolo vicino, completando in tal modo un livello atomico, ma contem-
poraneamente contribuendo alla creazione di una nuova lacuna. Si crea
così un moto di lacune (in direzione opposta a quella degli elettroni) che
costituisce una corrente di conduzione di cariche positive equivalenti.
j(P, t) = n(P ) qP vP .
2.4. RELAZIONI TRA DENSITÀ ED INTENSITÀ 15
Modello continuo
Quando invece si fa riferimento ad una descrizione elettrica basata sul
modello continuo per la carica, il vettore densità di corrente viene definito
come segue:
− −
j(P, t) = ρ+ +
C (P, t)vP (P, t) + ρC (P, t)vP (P, t) =
−
C (P, t)vP (P, t) − |ρC (P, t)|vP (P, t) ,
= ρ+ + +
dove vP± (P, t) sono le velocità medie di migrazione nel punto P all’istante
t per le densità di carica positiva e negativa. Le dimensioni fisiche della
densità di corrente sono quelle di [A· m−2 ].
n v+
∆S p
dl +
S
Figura 2.2: Volume occupato dalla carica che attraversa l’elemento di superficie
∆S nell’unità di tempo ∆t.
C ∆τ = vP · n̂ dS ∆t
dq + = ρ+ +
.
16 CAPITOLO 2: CARICHE E CORRENTI ELETTRICHE
+
Pertanto, la carica totale positiva ∆qS,n che attraversa la superficie S
nell’intervallo di tempo ∆t è pari a
C vP · n̂ dS
+
∆qS,n = ∆t ρ+ +
,
S
si ha infine
i(t) = j(P, t) · n̂ dS .
S
∂ρC (P, t)
∇ · j(P, t) = − .
∂t
Questa equazione dà una relazione tra grandezze scalari, funzioni del
punto P nello spazio e del tempo t, e mostra come i campi densità di
corrente di conduzione e densità di carica non siano tra di loro indipen-
denti. Infatti, in accordo con l’intuito fisico, si riscontra che la densità di
corrente elettrica diverge (ovvero “nasce” o “muore”) in quei punti dello
spazio, o in quegli istanti temporali nei quali si ha una variazione della
densità di carica elettrica. Il risultato non è dunque altro che una for-
malizzazione matematica del concetto stesso di corrente di conduzione
che, come si è avuto modo di vedere, si genera quando vi è movimento
di cariche elettriche. Con riferimento a coordinate cartesiane, la forma
differenziale dell’equazione di continuità si scrive come
I fondamenti
dell’elettromagnetismo
19
20 CAPITOLO 3: FONDAMENTI DELL’ELETTROMAGNETISMO
----
S2 -- -
-
+Q + ++ + +
-
- -
S1 +
S1 -
+
+ +
+ - -Q -
++
++ - -
- -
-- -
- - -
∇ · d = ρ .
γ
n
b S(γ)
Vγ
dove si è indicata con S(γ) una qualsiasi superficie regolare orlata dalla
curva chiusa γ, e con n̂ il versore normale a S(γ) in ogni suo punto, ed
orientato rispetto a γ secondo la regola della vite destrogira.
La tensione elettrica Vγ può essere attribuita alla presenza del campo
elettrico e tale che, quando la curva γ è assunta ferma ed indeformabile
nel tempo, risulti
∂b
Vγ = o e · γ̂dγ = − · n̂ dS . (3.3)
γ S(γ) ∂t
dove i simboli γ ed S(γ) hanno lo stesso significato che era stato loro
attribuito nel paragrafo precedente.
In maniera analoga a quanto si era visto a riguardo della forza di
Lorentz (3.1), la relazione (3.4), che prende il nome di legge di Ampere,
introduce un nuovo campo vettoriale, il campo magnetico h. Questo
campo risulta, in generale, funzione delle coordinate spaziali e del tempo,
e la sua unità di misura è quella di Ampere su metro [A/m].
Come appena detto, la relazione (3.4) vale solo nel caso di campi
stazionari, come è immediato verificare sulla base delle seguenti con-
siderazioni. Per prima cosa, si applichi il teorema di Stokes al primo
membro dell’equazione di Ampere e la si riscriva nella seguente forma
differenziale:
∇×h=j .
Successivamente, si calcoli la divergenza di ambro i membri di quest’ul-
tima equazione; ricordando che ∇ · ∇ × h ≡ 0, ∀h e che, in base
3.4. LA LEGGE DI AMPERE 23
iA(t)
n ∆S
SA
d(P, t) = ρS (P, t) n̂ , P ∈ SA .
jtot = j + jS .
ovvero, posto t + T = τ ,
G(t, τ − T ) e(τ ) dτ = G(t + T, t) e(t) dt ,
da cui
G(t, τ − T ) = G(t + T, t) ,
32 CAPITOLO 3: FONDAMENTI DELL’ELETTROMAGNETISMO
Nella maggior parte dei casi che verrano illustrati nei capitoli suc-
cessivi, i mezzi materiali nei quali si svilupperanno i campi elettromag-
netici saranno mezzi lineari, non dispersivi nello spazio, ed omogenei
3.7. RELAZIONI COSTITUTIVE 33
p = χ(1) e + χ(2) e2 + . . .
∇·B=0 , ∇·D=ρ .
studiate con riferimento a mezzi isotropi nei quali, come visto, i pa-
rametri , µ e γ si riducono a parametri scalari. Per ciò che con-
cerne la loro dipendenza dalla frequenza è invece necessario aggiungere
qualche ulteriore precisazione. In particolare, poichè la conducibilità γ
è sostanzialmente costante, e quindi non dispersiva, fino alle frequenze
dell’infrarosso, spesso se ne tralascerà la dipendenza da ω. Da un punto
di vista fisico ciò corrisponde ad assumere che la risposta della corrente
di conduzione all’applicazione di un campo elettrico sia sempre istanta-
nea. Il caso dei parametri e µ è invece diverso: per ciò che concerne
la permittività dielettrica occorre infatti notare che molti dei mezzi di
interesse presentano una significativa dispersione temporale, cosicchè la
dipendenza di da ω diventa essenziale ai fini di una corretta model-
lizzazione della propagazione. Per la permeabilità magnetica, infine, vi
sono tre casi da prendere in considerazione. Il primo è quello dei mate-
riali non magnetici, nei quali non vi è dispersione e quindi µ può essere
assunta costante ed anzi, con buona approssimazione, coincidente con
quella del vuoto. Il secondo caso è quello dei materiali magnetici, sia
paramagnetici, sia diamagnetici, nei quali la dispersione è largamente
avvertibile, a la dipendenza di µ da ω non può quindi più essere tralas-
ciata. Il terzo ed ultimo caso è quello dei materiali ferromagnetici, nei
quali intervengono fenomeni non lineari nel legame tra B e H.
Prima di concludere il paragrafo, si introducono due nuove grandezze,
la permittività complessa e l’angolo di perdita. Per ciò che concerne il
primo di questi parametri, la definizione discende dal fatto che nell’equa-
zione (3.26) compaiono due termini che dipendono dal campo elettrico
E. Si indica con il permittività complessa la grandezza
γ
C = − i ,
ω
e la sua introduzione nella (3.26) porta a riscrivere la seconda equazione
di Maxwell nella seguente forma compatta
∇ × H = iω C (ω) E + Ji .
Im{} + γ
tan(δ) = con = Re{} − iIm{} .
Re{}
2
n ∆S
L
S
c 2
t n
L
S a
a
1
Per ciò che concerne la continuità dei rimanenti campi e e h si può
procedere come segue. Si indichi ancora con S la superficie di disconti-
nuità tra due mezzi materiali e si individui ora un circuito rettangolare
chiuso γ che intersechi ortogonalmente S. Sia Σ(γ) la superficie ret-
tangolare contornata da γ, con lunghezza L ed altezza a. Inoltre, si
indichino come n̂ e t̂ i versori rispettivamente normale e tangente a S
e si applichi la legge di Ampere–Maxwell al circuito γ e alla superficie
Σ(γ). Si ottiene
∂d
o h · ĉ dγ = · ŵ dΣ + j · ŵ dΣ ,
γ Σ(γ) ∂t Σ(γ)
∆IS
(h2 − h1 ) · t̂ = lim = jS · ŵ , con L jS · ŵ = ∆IS .
L→0 L
da cui anche,
n̂ × (h2 − h1 ) · ŵ = jS · ŵ ,
n̂ × (e2 − e1 ) = −jM s ,
43
44 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∂b ∂h
∇×e = − = −µ ,
∂t ∂t
∂d ∂e
∇×h = j+ = γe + ,
∂t ∂t
4.1. DOMINIO DEL TEMPO 45
∂2h
∇ × ∇ × h = −µ ,
∂t2
che è una equazione che coinvolge una sola delle incognite, ma non è
di semplice risoluzione per la presenza del doppio rotore. A riguardo di
questo doppio operatore differenziale, va notato che esso viene incontrato
in molte delle equazioni che descrivono fenomeni elettromagnetici, ed è
allora opportuno ricordare che, per definizione di Laplaciano vettoriale,
vale per un qualsiasi campo vettoriale a
∇ × ∇ × a = −∇2 a + ∇(∇ · a) .
∇ · b = ∇ · (µh) = 0 ,
∇·h=0 .
∂2h
∇2 h − µ =0 ,
∂t2
che, in coordinate cartesiane, diventa
Si illustra ore come una soluzione di questa equazione possa essere in-
dividuata con relativa semplicità e, al fine di formire una idea intuitiva
46 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
nella quale f (·) e g(·) sono due funzioni arbitrarie. Come era ragionevole
attendersi, la soluzione è data dalla sovrapposizione di due forme d’onda
che si muovono l’una nel verso delle z crescenti (la funzione f ), e l’altra
nel verso delle z descrescenti (la funzione g), con velocità pari a v. Ovvi-
amente, la particolare forma delle funzioni f e g è data dalle condizioni
al contorno che vanno applicate all’equazione differenziale che fornisce
la soluzione per h e che, fisicamente, rappresentano il modo in cui il
campo elettromagnetico viene instaurato dalle sorgenti che, si ricorda,
sono al di fuori dell’analisi che si sta conducendo in questo momento.
Nella figura viene illustrato il movimento della funzione f con lo scorrere
del tempo.
t=0
Dz = v Dt z
t>0
z
Figura 4.1: Evoluzione della forma d’onda f (·) allo scorrere del tempo.
Campo elettrico
Ritornando alla soluzione delle equazioni di propagazione, si è preceden-
temente illustrata una serie di calcoli che ha fornito una soluzione per
il campo magnetico h. Con procedura analoga è poi possibile ricavare
una soluzione anche per il campo elettrico: si ottiene infatti
∂2e
∇ × ∇ × e = −µ ,
∂t2
da cui
∂2e
−∇2 e + ∇(∇ · e) = −µ ,
∂t2
e, poichè
∇ · d = ∇ · (e) = ∇ · e = ρ = 0 ,
in assenza di cariche libere ed in un mezzo omogeneo, ne risulta nuova-
mente l’equazione delle onde vettoriali
1 ∂2e
∇2 e − =0 ,
v 2 ∂t2
che mostra come anche il campo e sia costituito dalla somma di due
onde, una progressiva e una regressiva, che si muovono con velocità v.
Osservazioni
1. Sebbene ciò non sia stato sottolineato esplicitamente in prece-
denza, è opportuno notare che, nel derivare l’equazioni delle onde
vettoriali, si è fatto uso delle ipotesi inizialmente poste. In parti-
colare, l’ipotesi concernente l’uniformità del mezzo all’interno del
dominio di definizione del campo è stata usata per passare rispet-
tivamente dalle equazioni per le divergenze di b e d a quelle per
48 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
agisce come una forza di attrito che causa smorzamento delle fun-
zioni f e g.
∇ × E = −iωµH ,
∇ × H = iωC E .
Si noti che, a differenza di quanto accade per le equazioni nel dominio del
tempo, l’introduzione della permettività complessa consente uno studio
unificato dei casi di mezzi con e senza perdite. Inoltre, non è più nec-
essario supporre il mezzo non dispersivo perchè nel dominio dei vettori
complesi il legame tra D ed E (e tra B e H) è comunque espresso da
una relazione di proporzionalità diretta, almeno fintanto che non inter-
vengono fenomeni non–lineari.
Analogamente a quanto si era fatto nella derivazione dell’equazione
delle onde vettoriali, se si sostituisce ∇ × E nella seconda equazione, si
ricava ora
∇2 H − σ 2 H = 0 , σ 2 = −ω 2 µC .
∂2H
− σ2H = 0 ,
∂z 2
ed ammette una soluzione del tipo
h = Re[Heiωt ] ,
4.3. I POTENZIALI VETTORI 51
si ottiene, per ognuna delle componenti del campo, una espressione del
tipo
nella quale ϕ1ξ e ϕ2,ξ sono, rispettivamente, le fasi dei numeri complessi
H01,ξ e H02,ξ . Inoltre, in questa espressione, il primo addendo alla destra
dell’uguale rappresenta il contributo di onda regressiva, ed il secondo
quello di onda progressiva. Si noti che, laddove nel caso delle equazioni
nel dominio del tempo si era trovato che l’equazione delle onde vettoriali
descriveva la propagazione di una qualsiasi forma d’onda in moto nello
spazio con velocità v, qui si trova che l’onda che si muove con velocità
v ha andamento sinusoidale nel tempo, come deve essere dal momento
che si è ora partiti dalle equazioni di Maxwell in regime armonico.
Nel caso di mezzo con perdite, si trova infine
espressione che mostra come la soluzione sia data ancora dalla somma
di due onde contropropaganti, ognuna delle quali si attenua rispetto al
suo verso di propagazione.
∇ × E = −iωµH ,
52 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇ × H = iωC E + Ji .
∇·B=0 ,
che mostra come il campo B sia un campo solenoidale, e come tale esso
può sempre essere espresso come rotore di un altro campo vettoriale,
secondo la relazione
B=∇×A .
Come è immediato verificare, infatti, vale ∇ · ∇ × A = 0 ∀A.
Il campo A così definito prende il nome di potenziale vettore magne-
tico e si dimostra ora che quando esso è noto, è possibile ricavare i campi
E e H tanto in assenza quanto in presenza delle sorgenti Ji .
Campo magnetico
Direttamente dalla definizione del potenziale vettore magnetico discende
1 1
H= B= ∇×A . (4.1)
µ µ
Campo elettrico
Dalla equazione di Maxwell per il rotore di H,
∇ × H = iωC E + Ji ,
segue
1
∇ × ∇ × A = iωC E + Ji ,
µ
e quindi
∇×∇×A Ji
E= − . (4.2)
iωµC iωC
Le equazioni (4.1,4.2) mostrano quindi che se il potenziale A è noto,
si può ricavare tutto il campo elettromagnetico {E, H} tramite sem-
plici operazioni di derivazione. Questo è un risultato tutt’altro che ba-
nale, e configura nell’uso di A un notevole vantaggio dal punto di vista
dell’onerosità computazionale richiesta per la risoluzione delle equa-
zioni di Maxwell. Infatti, come si è già più volte sottolineato, se la
4.3. I POTENZIALI VETTORI 53
cioè
∇ · Ji
iω∇ · A − = −∇2 φ ,
iωC
cosicchè appare evidente come al variare di φ varî anche ∇ · A.
Avendo chiarito che differenti scelte di φ non inficiano la validità
del calcolo delle componenti di campo elettrico e magnetico, si può al-
lora sfruttare il grado di libertà offerto da questa indeterminazione al
fine di semplificare il più possibile l’equazione che governa l’evoluzione
del potenziale vettore A. In particolare, risultano utili a tal fine tre
particolari scelte di φ che vengono illustrate in dettaglio qui di seguito.
4.3.1 La scelta φ = 0
Questa è, ovviamente, la prima scelta che viene alla mente, ma, come
si vedrà tra breve, essa non è necessariamente la più conveniente. Si
consideri infatti l’equazione per A (4.4) e si ponga φ = 0. Si ottiene
∇ × ∇ × A + σ 2 A = µJi .
4.3. I POTENZIALI VETTORI 55
∇ · Ji ∇ · Ji
iω∇ · A = − ∇2 φ = ,
iωC iωC
∇ · Ji
iω∇ · A = − ∇2 φ ,
iωC
∇ · Ji ρ
∇2 φ = ≡− . (4.5)
iωC
56 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇2 φ0 = 0 ,
E = −iωA − ∇φ ,
e quindi
∇φ0
A = A − .
iω
∇2 Q − σ 2 Q = secondo membro ,
iω∇ · A = −σ 2 φ . (4.7)
∇2 A − σ 2 A = −µJi . (4.8)
∇ × E = −iωµH ,
∇ × H = iωC E + Ji ,
E ⇔ −H ,
µ ⇔ C .
Come già notato, il termine Ji sbilancia una simmetria altrimenti com-
pleta semplicemente perchè esso descrive l’azione di una corrente (im-
pressa), che è formata ad un flusso di cariche elettriche in movimento, e
che, come tale, non ha un equivalente magnetico dal momento che non
esiste la “carica elementare” magnetica. Per questa stessa ragione, si
può osservare una dissimmetria anche nelle equazioni delle divergenze,
che, scritte ancora con riferimento alla rappresentazione complessa per
un campo che si sviluppi in un mezzo omogeneo, si leggono come
∇ · Ji
∇·H=0 , ∇·E=− ,
iωC
con la seconda delle due che, in generale, risulta diversa da zero. Come
già accennato in precedenza, esistono tuttavia dei casi di pratica utilità,
60 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
∇ · Ji = 0 ⇒ ∇·E=0 ,
Campo elettrico
Per definizione,
1
E=− ∇×F .
C
Campo magnetico
Dalla prima equazione di Maxwell si ha
1 ∇×∇×F
H=− ∇×E= .
iωµ iωµC
Si vede quindi che, una volta noto F, i campi elettrico e magnetico
possono essere ricavati tramite semplici operazioni di derivazione, e si
tratta ora di individuare una equazione che fornisca il campo F. A tal
fine si ricorda che si è supposto che valga l’ipotesi
∇ · Ji = 0 ,
4.4. POTENZIALE VETTORE ELETTRICO 61
Ji = ∇ × Ki .
∇ × H = iωC E + Ji
∇×∇×F
+ iωF − Ki = −∇ψ , (4.9)
iωµC
∇2 ψ − σ 2 ψ = 0 ,
nella quale il secondo membro risulta pari a zero perchè non esiste la
carica magnetica elementare. Si noti che, ancora per questa ragione,
la soluzione ψ = 0 è sempre una soluzione accettabile, a differenza di
quanto accade per φ, che può risultare una scelta di Lorentz solo se
ρ = 0. Inoltre, poichè del vettore Ki è stato fissato il solo valore del
rotore, non è restrittivo scegliere ∇ · Ki = 0. Con questa posizione,
e con ψ = 0, dalla (4.9) si ottiene infine ∇ · F = 0, e si può allora
semplificare la stessa (4.9), che assume ancora una volta la forma di una
equazione di Helmoltz non omogenea, ora scritta come
∇2 F − σ 2 F = −iωµC Ki .
62 CAPITOLO 4: PRIMI ESEMPI DI RISOLUZIONE
Ji = −iωPi ,
I teoremi fondamentali
dell’elettromagnetismo
65
66 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
dL = −f · dr = −ρi e · dr − ji × b · dr ,
dr
dW = −f · = −f · v = −ρi e · v − (ρi v) × b · v =
dt
= −ρi e · v = −e · ji .
d = e , b = µh ,
∇ × E = −iωµ(ω)H ,
∇ × H = iω(ω)E + γE + Ji .
e questa identità può essere letta come segue: il valor medio della
potenza ceduta dai generatori al campo (WR ) viene impiegato in parte
per effetti dissipativi, rappresentati dall’integrale dipendente dalla con-
ducibilità γ che dà la potenza dissipata per effetto Joule in un periodo
del campo, in parte per trasferire potenza attiva attraverso la superficie
S (si ricordi che PR è il valor medio di p nel dominio del tempo), ed in
parte per l’insieme dei fenomeni legati al termine
µI |H|2 I |E|2
2ω + dV ,
V 4 4
nei quali si propaghi un campo a banda stretta, cioè un campo con una
estensione spettrale molto inferiore alla frequenza della sua portante o,
nel dominio del tempo, un campo le cui variazioni temporali abbiano
luogo su una scala dei tempi molto maggiore del periodo della portante.
Per illustrare come si scriva il teorema di Poynting per questo tipo di
campi è innanzi tutto opportuno riscrivere le equazioni di Maxwell in
una forma più appropriata. A tal fine, si consideri ad esempio il termine
∂d ∂ iωt
= (ω) E(ω) e dω = iω (ω) E(ω) eiωt dω .
∂t ∂t
Poichè per ipotesi il campo E(ω) ha una banda stretta, centrata at-
torno ad una frequenza che verrà indicata come ω0 , si può sviluppare la
funzione ω (ω) intorno ad ω0 , ricavando
∂d ∂(ω)
iω0 (ω0 ) E(ω) e iωt
dω + i (ω − ω0 ) E(ω) eiωt dω ,
∂t ∂ω
e poichè al prodotto per i(ω − ω0 ) corrisponde l’operatore di derivazione
rispetto al tempo, ottenere così
∂d ∂(ω) ∂e(t)
iω0 (ω0 ) e(t) + .
∂t ∂ω ∂t
Se il campo e fosse perfettamente sinusoidale, esso potrebbe essere scritto
mediante la sua rappresentazione complessa introducendo il fasore E che,
si ricorda, è legato al campo nel dominio del tempo dalla relazione
e(t) = Re E eiω0 t ,
1. le correnti impresse ji ;
Dimostrazione
La dimostrazione procede per assurdo: si suppone che esistano due
soluzioni {e1 , h1 }, e {e2 , h2 }, entrambe soddisfacenti alle tre ipotesi
sopra esposte, e si dimostra che se esse non coincidono si realizza un
assurdo. Infatti, si indichi con
e ≡ e 1 − e2 , h ≡ h1 − h2 ,
ipotesi, sia {e1 , h1 } sia {e2 , h2 } sono sostenuti dalle stesse sorgenti ji .
Si applichi ora il teorema di Poynting al campo {e, h}: si ottiene così
∂ |e|2 µ|h|2
0= + dV + γ|e| dV + o (e × h) · n̂ dS
2
.
∂t V 2 2 V S
cui queste due quantità possono coincidere è che il campo {e, h} sia un
campo identicamente nullo, ovvero che {e1 , h1 } coincida con {e2 , h2 },
come si voleva dimostrare.
Dimostrazione
La dimostrazione procede per assurdo di pari passo con quella eseguita
nel caso dei campi nel dominio del tempo. Si definisce il campo differenza
{E, H} = {E1 −E2 , H1 −H2 } e si applica ad esso il teorema di Poynting;
si ottengono in tal modo le due relazioni
|E|2 µI |H|2 I |E|2
0= γ dV + 2ω + dV + o PR · n̂ dS (5.7)
V 2 V 4 4 S
5.2. TEOREMA DI UNICITÀ 79
µR |H|2 R |E|2
0=2ω − dV + o PI · n̂ dS , (5.8)
V 4 4 S
L
a) L b)
C
C
Figura 5.1: Equivalenti a parametri concentrati dei mezzi considerati nella
dimostrazione del teorema di unicità.
utilizzata nel corso della dimostrazione relativa al caso interno: essa era
servita per poter affermare che il flusso del vettore di Poynting attraverso
la superficie S era nullo. Ora, il caso del problema esterno può essere
pensato come il caso limite di una successione di problemi interni nei
quali la superficie che racchiude il volume di definizione del campo è
una sfera il cui raggio r tende all’infinito. Quando si calcola il flusso del
vettore di Poynting in questa successione di casi, ci si trova quindi ad
affrontare un problema nel quale l’integrale è esteso ad una superficie
che diverge con il quadrato del raggio e se si vuole essere certi che al
tendere di r → ∞ vi sia un flusso del vettore di Poynting comunque
nullo, è dunque necessario che risulti
Re n
S
Ji = 0
Mi = 0
Ri
che, in tutta generalità, possono essere di tipo sia elettrico sia magne-
tico e si assuma che il dominio V in cui è definito il campo sia tale da
assicurare l’unicità delle soluzioni del problema di Maxwell. Inoltre, si
consideri una superficie chiusa S, arbitraria, che racchiuda le sorgenti, e
si supponga di voler trovare un insieme di sorgenti equivalenti a quelle
originarie che, quando disposte sulla superficie S consentano di ottenere,
nella regione esterna a S, lo stesso campo {E, H} cui danno luogo le
sorgenti originarie. A tal fine, si dispongano su S le seguenti densità di
corrente superficiali:
JS = n̂ × Htan , MS = Etan × n̂ ,
che è
Dimostrazione
Si supponga che il teorema sia vero, e quindi che il campo che è generato
dalle sorgenti fittizie sia effettivamente il campo {Eeq , Heq } specificato
nelle ipotesi. Poichè si è supposto che il volume dello spazio nel quale
è definito il campo è tale da assicurare l’unicità delle soluzioni, se si
dimostra che questo campo:
si sarà dimostrato che esso è l’unico campo che può esistere e quindi, in
definitiva, si sarà dimostrato il teorema.
Si consideri dunque dapprima il problema di determinare se il campo
in oggetto è una soluzione accettabile delle equazioni di Maxwell. Per
ciò che concerne la regione all’interno della superficie S va notato che,
avendo posto Ji ≡ Mi ≡ 0, la regione è priva di sorgenti ed in essa il
campo è quindi descritto dalle equazioni di Maxwell omogenee, che sono
risolte dal campo identicamente nullo {Ein , Hin }.
Analogamente, per ciò che concerne l’esterno della superficie S, si
verifica subito che {Eout , Hout } è una soluzione accettabile, semplice-
mente perchè in quella regione esso coincide, per ipotesi, con il campo
{E, H} che è per definizione una soluzione delle equazioni di Maxwell.
Dunque, l’intero campo {Eeq , Heq } è soluzione delle equazioni di Maxwell.
Si passi ora a considerare il problema delle condizioni al contorno,
che sono due: le prime sono quelle che vanno applicate sulla superficie
S; le seconde sono quelle che riguardano il bordo della regione V di
definizione del campo originario se tale bordo esiste, o le condizioni di
radiazione di Sommerfeld se V diverge all’infinito.
Re n γ
S
ovvero
{0, 0} in Ri ;
{Ea , Ha } = −{Eeq , Heq } =
{−E, −H} in Re .
86 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
{E, H} in Ri ;
{Etot , Htot } = {Ea , Ha } + {E, H} =
{0, 0} in Re .
I0
V0
Ri
Re
Per illustrare come ciò posa essere fatto, si immagini che sia as-
segnata una rete elettrica, e che sia possibile isolare al suo interno
una regione che contenga solo generatori ideali di corrente e/o di
tensione. Si indichi con Ri questa regione, e con Re la sua com-
plementare (si veda la Fig.(5.3)). Ora, si assuma di aver risolto la
rete, cioè di aver determinato la tensione a la corrente che è pre-
sente in ogni nodo e ramo della rete e, in particolare, si indichino
come V0 ed I0 la tensione e la corrente ai morsetti di connessione
tra le regioni Ri e Re .
Il teorema di sostituzione afferma che nulla cambia nella regione
Re se si chiudono in cortocircuito i morsetti che connettono questa
regione alla regione Ri e si introduce al loro posto un generatore
ideale di tensione che imponga il valore V0 (si veda la Fig.(5.4)).
V0
Ri
Re
I0
Ri
Re
V0
I0
Ri
Re
S2
S1
e di
Etan,i = Z Htan,i × n̂ , i = 1, 2 ,
Dimostrazione
Si moltiplichino scalarmente l’equazione (5.13) per H2 , la (5.14) per E2 ,
la (5.15) per H1 e la (5.16) per E1 . In seguito si esegua la somma alge-
brica membro a membro delle quattro equazioni così ottenute, prendendo
con segno positivo quelle che contengono i rotori del campo {E1 , H1 },
e con il segno negativo quelle che contengono i rotori di {E2 , H2 }. Si
ottiene:
H2 · ∇ × E1 + E2 · ∇ × H1 − H1 · ∇ × E2 − E1 · ∇ × H2 =
∇ × E = −iωµH − Mi , (5.20)
∇ × H = iωC E + Ji . (5.21)
dC = µ , , µd = C ,
5.6. TEOREMA DI SCOMPOSIZIONE 95
∇2 L − σ 2 L = 0 , ∇2 T − σ 2 T = 0 .
∇2 A − σ 2 A = −µJi ,
∇·A=0 .
x = x , y = y , z = −z .
5.7. TEOREMA DELLE IMMAGINI 97
z
J
E
H
y
Jm x
Jm'
y'
x'
E'
J' H'
z'
che sono le condizioni cui deve soddisfare un campo per essere compat-
ibile con la presenza di un conduttore elettrico perfetto che metallizzi
il piano z = 0. Questa osservazione fornisce un risultato che può es-
sere utilizzato per il calcolo del campo prodotto da sorgenti poste in
un semispazio omogeneo limitato da un piano conduttore (si veda la
Fig.(5.10)).
z
J J
J
x
J' J' J'
Figura 5.10: Insieme delle sorgenti (vere più fittizie) per un problema di
propagazione nel quale le sorgenti vere del campo siano in prossimità di un
conduttore elettrico perfetto.
dove1 +∞
1
G(τ ) = [r (ω) − 1] e−iωτ dω .
2π −∞
di modo che
+∞
d(t) = 0 e(t) + 0 G(τ )e(t − τ ) dτ ,
0
e quindi anche
+∞
r (ω) = 1 + G(τ ) eiωτ dω . (5.22)
0
(−ω) ≡ ∗ (ω ∗ ) .
Im{Ω}
C
z
Re{Ω}
Im{Ω}
Cext
Cλ
Re{Ω}
ω
Si noti che l’integrale sul contorno Cext tenze a zero quando il con-
torno diverge all’infinito in virtù del comportamento asintotico di r
posto in evidenza in precedenza. Per quanto concerne l’integrale sul
contorno Cλ , invece, si può procedere come segue: si ponga Ω = ω + λeiθ
5.8. RELAZIONI DI KRAMERS–KRÖNIG 103
Scritto r (ω) = Re{r (ω)} − i Im{r (ω)}, si hanno così infine le relazioni
di Kramers–Krönig, che si scrivono nella forma
+∞
1 Im{(ω)}
Re{(ω)} = 1 − v.p. dΩ ,
π −∞ Ω−ω
+∞
1 Re{(ω)} − 1
Im{(ω)} = + v.p. dΩ .
π −∞ Ω−ω
104 CAPITOLO 5: TEOREMI FONDAMENTALI
Capitolo 6
Linee di trasmissione
105
106 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
τ M
B C
N x
A D
linee. Si ottiene:
∂Φ(b)
o e · d = v(t, x2 ) − v(t, x1 ) = − ,
N ∂t
dove Φ(b) è il flusso di induzione magnetica concatenato dal circuito
N . Posto ora x2 = x1 + ∆x e φ(b) il flusso di induzione per unità di
lunghezza, si ha, al tendere di ∆x a zero,
∂v(t, x) ∂φ(b)
=− . (6.1)
∂x ∂t
Successivamente, si integri l’equazione di continuità della corrente nel
volume τ di Fig.(6.1). Si ha in questo caso:
∂ρ
∇·j+ dτ = 0 ,
τ ∂t
da cui anche
∂Q
i(x2 , t) − i(x1 , t) = − ,
∂t
dove Q è la carica totale presente tra le ascisse x1 e x2 . Posto ancora
x2 = x1 + ∆x ed indicata con q la carica per unità di lunghezza si ha
allora, al tendere di ∆x a zero,
∂i(x, t) ∂q
=− . (6.2)
∂x ∂t
Le (6.1,6.2) sono le equazioni che descrivono l’evoluzione della tensione
e della corrente lungo la linea, ed esse possono essere ulteriormente sem-
plificate utilizzando le relazioni costitutive del sistema in oggetto, ovvero
le relazioni che legano tra loro i flussi di induzione elettrica o magnetica
alla tensione o alla corrente. Nel caso di mezzi lineari e non dispersivi,
queste relazioni si scrivono come segue:
q = cv , φ = i , (6.3)
dove c è la capacità per unità di lunghezza, misurata in Farad/m [F/m],
ed l’induttanza per unità di lunghezza, misurata in Henry/m [H/m].
Inserendo le (6.3) nelle (6.1,6.2) si ottiene allora la seguente forma al-
ternativa delle equazioni per la tensione e per la corrente
∂v(x, t) ∂i(x, t)
= − , (6.4)
∂x ∂t
∂i(x, t) ∂v(x, t)
= −c . (6.5)
∂x ∂t
110 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Come già nel caso delle equazioni di Maxwell, si sono indicati con let-
tere maiuscole i fasori complessi, riservando le minuscole alle grandezze
definite nel dominio del tempo. Inoltre, si è tralasciata la dipendenza
dalla frequenza ω per non appesantire eccessivamente la notazione. Le
equazioni del telegrafo, scritte per i fasori complessi, sono allora
∂V (x)
= −ZI(x) , (6.6)
∂x
∂I(x)
= −Y V (x) , (6.7)
∂x
dove l’impedenza Z e l’ammettenza Y risultano rispettivamente Z = iω
e Y = iω c.
Z ∆x
I(x) I(x+∆x)
V(x) Y ∆x V(x+∆x)
∆x
dV
V (x + ∆x) = V (x) + ∆x ,
dx
dI
I(x + ∆x) = I(x) + ∆x .
dx
Si ottiene così
dV
V (x) = [Z ∆x] I(x) + V (x) + ∆x ,
dx
dV dI
I(x) = [Y ∆x] V (x) + ∆x + I(x) + ∆x .
dx dx
112 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
perdite, utilizzando gli strumenti di calcolo che sono l’oggetto del pros-
simo paragrafo. In un secondo momento, si introducono poi le perdite,
valutando quale effetto esse abbiano sul campo che si è calcolato in
precedenza. I dettagli del metodo sono esposti più avanti nel capitolo,
precisamente nel paragrafo 6.2.1.
r ∆x l ∆x
I(x+ ∆x)
I(x)
V(x) g ∆x c ∆x V(x+ ∆x)
∆x
d2 V
= ZY V , (6.8)
dx2
d2 I
= ZY I . (6.9)
dx2
Si noti che, a differenza di quanto accade nelle equazioni del telegrafo,
la tensione e la corrente sembrano ora essere grandezze tra loro indipen-
denti, ed in questo senso le nuove equazioni che si sono trovate sono
più semplici da risolvere rispetto a quelle da cui si è partiti. È tuttavia
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 115
Γ= ZY = (r + iω)(g + iωc) .
dV
= −ZI : −ΓV+ e−Γx + ΓV− eΓx = −ZI+ e−Γx − ZI− eΓx ,
dx
dI
= −Y V : −ΓI+ e−Γx + ΓI− eΓx = −Y V+ e−Γx − Y V− eΓx .
dx
116 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ΓY V− eΓx −Γ2 I+ e−Γx +Γ2 I− eΓx = −ZY I+ e−Γx −ZY I− eΓx −Y ΓV− eΓx ,
e poichè Γ2 = ZY , anche
Z Z Z
V− = −I− = −I− √ =− I− .
Γ ZY Y
In maniera analoga si trova poi anche la relazione
Z
V+ = I+ .
Y
Si nota dunque che, così come era ragionevole attendersi, solo due delle
quattro costanti che compaiono nelle espressioni della tensione e della
corrente sono costanti arbitrarie, mentre le rimanenti due possono essere
ricavate da queste attraverso un nuovo parametro che si usa indicare con
il nome di impedenza caratteristica della linea e che si scrive nella forma
Z r + iω
ZC = = .
Y g + iωc
Le dimensioni fisiche dell’impedenza cartteristica sono quelle degli Ohm
e, come si vede, questa grandezza dipende solo dalla frequenza del campo
e dai parametri elettrici , c, r e g della linea, ovvero dalla conformazione
geometrica che quest’ultima presenta e dalla natura dei conduttori e dei
dielettrici con cui essa è realizzata.
Con l’introduzione dell’impedenza caratteristica gli andamenti della
tensione e della corrente possono essere riscritti nella seguente forma che
mette in maggior evidenza l’esistenza di due sole costanti arbitrarie:
V+ −Γx V− Γx
I(x) = e − e . (6.13)
ZC ZC
Si vuole ora dare una interpretazione fisica a queste espressioni, e si
comincia a tal fine dal primo addendo che compare nella (6.12), quello
scritto come
V+ e−Γx .
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 117
Ora che è stata chiarita la natura fisica del termine V+ e−Γx , l’inter-
pretazione dell’altro addendo, V− eΓx , è immediata: tale termine rappre-
senta infatti un’onda regressiva che viaggia dal carico verso il generatore,
ed in generale, quindi, tanto la tensione quanto la corrente nella linea
sono esprimibili come somma di due onde che viaggiano in direzioni op-
poste e con ampiezze V+ e V− che dipendono dal tipo di carico e dal
generatore che la linea connette.
e dunque risultano
1
α = √ r2 + ω 2 2 )(g 2 + ω 2 c2 ) − (ω 2 c − rg) , (6.15)
2
6.2. IMPEDENZA CARATTERISTICA 119
1
β = √ r2 + ω 2 2 )(g 2 + ω 2 c2 ) + (ω 2 c − rg) . (6.16)
2
P (x) = P0 e−2αx ,
dP (x)
= −Pd ,
dx
e dunque
Pd
α= .
2P
La potenza dissipata è dovuta alla presenza dei parametri r e g. Nello
spirito della teoria perturbativa discusso più sopra si ha allora
1
Pd = r|I|2 + g|V |2 ,
2
dove V e I sono le ampiezze delle onde di corrente e tensione presenti
nella linea in condizioni ideali, ovvero in assenza di perdite. Per ciò che
concerne la potenza trasporatata P , in modo analogo, vale anche
1
P = ZC |I|2 ,
2
e poichè in assenza di perdite la tensione e la corrente sono legate dalla
relazione V = ZC I, si ottiene infine
r 1 g
α= + ZC ,
2 ZC 2
V− eΓx
ρ(x) = .
V+ e−Γx
Vi è da accennare ad una convenzione che è comunemente accettata:
in genere, nelle applicazioni, lo studio della propagazione in una linea
di trasmissione viene effettuato con riferimento a circuiti che, in linea di
principio, possono essere schematizzati come in Fig(6.4).
Linea di trasmissione
ZG
Carico
Generatore
0 x
Figura 6.4: Schema a blocchi dei circuiti studiati con la teoria delle linee.
ρ(x) = ρL e2Γx ,
dove
V−
ρL =
V+
6.3. COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE 123
Ora, poichè
ρ(x) = ρL e2iβx ,
il coefficiente di riflessione ρ(x), e quindi anche z(x) e y(x) risul-
tano allora anch’esse grandezze periodiche, ma con periodo pari a
λ/2.
Im{ρ(x)}
x
crescenti Re{ρ(x)}
| ρL
Figura 6.5: Rotazione del punto rappresentativo di ρL nel piano complesso nel
caso di propagazione in assenza di perdite.
Un esempio
Si consideri il circuito di Fig.(6.6), costituito da una linea alimentata da
un generatore di tensione sinusoidale, e chiusa su un cortocircuito.
Linea di trasmissione
VG
ρ(x) = −e2iβx ,
A questa espressione ne corrisponde poi una nel dominio del tempo che
è ricavabile dalla prima secondo la relazione
v(x, t) = Re V (x)eiωt .
Onde progressive
Sia ρL = 0; allora
V (x) = |V+ |eiφ+ e−iβx ,
e
v(x, t) = |V+ | cos(ωt − βx + φ+ ) .
Come già notato, questa espressione rappresenta il caso di un’onda pro-
gressiva, nella quale la variabile temporale e quella spaziale compaiono
nell’argomento del coseno tramite una differenza. Se si rappresenta grafi-
camente l’onda con riferimento ad istanti temporali diversi e per esempio
crescenti (t2 > t1 > t0 ), essa si presenta nella seguente forma
t0
t1
t2
Onde stazionarie
Si consideri ora il caso in cui |ρL | = 1. Si ha allora
V (x) = |V+ | e+i(φ+ −βx) + e+i(φ− +βx) ,
da cui
v(x, t) = Re V (x)eiωt =
φ− − φ+ φ− + φ+
= 2|V+ | cos βx + cos ωt + .
2 2
Le variabili temporali e spaziali sono ora separate, nel senso che esse non
compaiono più nell’argomento della stessa funzione sinusoidale. Si usa
dire che, in questo caso, nella linea si è instaurata una onda stazionaria:
non si tratta più di un’onda che si muove nello spazio al passare del
tempo, quanto piuttosto di una oscillazione la cui ampiezza cambia nel
tempo senza muoversi di posizione. Si noti che, in base alla relazione
z(x) − 1 1 − y(x)
ρ(x) = = ,
z(x) + 1 1 + y(x)
1. circuito aperto: zL = ∞,
2. corto circuito: zL = 0,
3. reattanza pura: zL = i xL .
t0
t1
t2 x
mentre nelle sezioni in cui 2βxm + φL = (2κ + 1)π esso è minimo, e vale
|V+ | − |V− |
|Imin | =
ZC
in corrispondenza alle sezioni di massimo della tensione, ed il valore
massimo
|V+ | + |V− |
|IM AX | =
ZC
in corrispondenza alle sezioni di minima tensione.
Si usa introdurre la quantità
|VM AX |
S= ,
|Vmin |
|ρ| ≤ 1 ,
risulta
1 ≤ S < +∞ e S=1 ⇔ ρ=0 .
È inoltre possibile mettere in relazione il rapporto d’onda stazionario
con il valore assunto dall’impedenza della linea in corrispondenza alle
sezioni di massima e minima tensione. Ad esempio, in una sezione di
massima tensione (e quindi di minima corrente), l’impedenza presenta
il suo valore massimo, dato da
1
I(x) = V+ e−iβx − V− eiβx ,
ZC
ed essa risulta quindi
1 V∗
P (x) = V+ e−iβx + ρL eiβx +
eiβx − ρ∗L e−iβx =
2 ZC
|V+ |2
= 1 − |ρL |2 + ρL e2iβx − ρ∗L e−2iβx =
2ZC
dove
|V+ |2
PA = 1 − |ρL |2 ,
2ZC
è la potenza attiva che, come si vede, non varia lungo la linea. Questo
risultato doveva essere atteso: infatti, si sta qui studiando il caso della
propagazione in una linea priva di perdite nella quale dunque non ha
luogo alcun fenomeno dissipativo. Per il principio di conservazione
dell’energia è allora necessario che la potenza attiva che transita in una
qualsiasi sezione della linea sia sempre la stessa.
Per ciò che concerne il secondo addendo che compare nell’espressione
della potenza, quello scritto come
|ρL | |V+ |2
QA = sin(2βx + φL ) ,
ZC
6.6. ADATTAMENTO IN UNIFORMITÀ 133
Zi
ZG
ZC ZL
VG
|V+ | − |V− |
|VM AX | = |V+ | + |V− | , |Imin | = ,
ZC
ed in quella sezione la potenza complessa è quindi
quantità
√ di potenza utile la linea deve tollerare una tensione di picco
che è S volte maggiore di quella che sarebbe necessaria con il carico
adattato.
Nei due casi vi è inoltre una seconda differenza. Infatti, come si
è visto in precedenza, se il carico è adattato la potenza nella linea è
una potenza solo attiva. Quando invece ρL = 0 la potenza erogata dal
generatore è in generale complessa, cioè essa risulta formata sia da una
parte reale, sia da una immaginaria. Si richiama a questo proposito una
osservazione che era stata fatta quando si erano commentati i risultati
relativi al teorema di Poynting, e che, in sotanza, coincide con quanto si
sta dicendo ora: la comparsa di una componente immaginaria di potenza
è il segno che si stanno utilizzando i generatori in modo improprio ed
inefficace perchè li si “costringe” a generare un campo nel quale qualcuna
delle grandezze elettromagnetiche è maggiore di quanto essa dovrebbe
necessariamente essere al fine di trasportare la stessa potenza attiva che
sta trasportando.
Questi effetti negativi si hanno dunque se ρL = 0, ed è quindi oppor-
tuno domandarsi se, una volta che siano stati assegnati il carico e la linea
di trasmissione, e che questi abbiano impedenze non coincidenti, non sia
possibile agire in qualche maniera sul circuito per ottenere un valore
nullo del coefficiente di riflessione al carico, ρL = 0, realizzando ciò che
usualmente viene indicato con il nome di adattamento di uniformità.
La risposta al quesito è positiva, e questo tipo di adattamento viene
di norma effettuato mediante l’inserimento di una rete di componenti
passivi, che prende il nome di adattatore
ZL ZL
Adattatore
ZC ZL ZC ZL
e che va progettata in modo che, quando inserita prima del carico, essa
136 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ZL = ZC .
ZL = ZC
ZC ZL
ρ=0
che non dà luogo alla nascita di una onda parzialmente stazionaria nella
linea.
Il progetto dell’adattatore è l’argomento dei prossimi paragrafi. In
particolare, si studierà la realizzazione di adattatori privi di perdite, cioè
di adattatori costituiti da reti con elementi non resistivi, che consentono
l’adattamento in uniformità ad una determinata frequenza.
Z = R + iX ,
6.7. CARTA DI SMITH 137
Y = G + iB .
ix
z
z0
rette con
r i x = cost.
(1 − u)2 r0 + w2 r0 = 1 − u2 − w2 ,
da cui anche 2 2
r0 1
u− +w = 2
.
1 + r0 1 + r0
Come volevasi dimostrare, questa espressione rappresenta una famiglia
di circonferenze con centro (r0 /(1 + r0 ), 0), e raggio 1/(1 + r0 ). Grafica-
mente, tale famiglia appare come in fig.(6.9).
r=0
r = 0.2
r=1
r=5
x = 0.8
x=5
x = 0.1
x=0
x = - 0.1 x=-5
x = - 0.8
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9 6
0.0
45
50
1 110 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3
60
0.7
0.4 120 3
0.6 60
1.6
7 /Y o 0.1
0.0 (+j B 30 8
3 CE 0.3
AN
1.8
0.4 PT 0.2 2
CE 50
65
0
13 US
ES
2.0
0.5
6
0.1
V
TI
0.0
25
CI
9
4
0.3
0.4
PA
1
CA
70
R 0.4
,O
0
o)
40
14
5
0.4
0.2
0.0
/Z
5
0.3
20
jX
0.4
(+
NT
3.0
75
0.6
NE
PO
4
0.2
0.0
M
150
0.2
6
0.3
1
30
CO
0.4
9
0.8
CE
15
4.0
>
AN
80
R–
CT
TO
1.0
0.22
EA
ERA
0.28
0.47
ER
5.0
1.0
GEN
TIV
0.2
160
20
85
UC
10
ARD
0.8
IND
0.23
S TOW
0.48
0.27
90
ANG
0.6
ANGL
NGTH
LE OF
10
170
E OF RE
0.1
0.4
–> WAVELE
0.24
TRANSMIS
0.49
0.26
20
S ION COEFFICIENT IN
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
3.0
4.0
5.0
10
20
50
0.25
0.25
± 180
0.
0.
0.2
D LOAD <
20
0.24
0.49
0.26
0.4
-170
0.1
DEGR
OWAR
10
REES
EES
T
0.6
-90
0.23
THS
0.48
0.27
o)
ENG
j B /Y
0.8 -10
VEL
E (-
-160
-85
-20
0.2
NC
1.0
WA
5.0
0.22
TA
0.47
0.28
<–
1.0
EP
SC
-15 -80
4.0
SU
0.8 -15
E
IV
0.2
4
0
-30
0.0
0.3
CT
6
0.2
1
0.4
DU
9
IN
0.6
-75
3.0
R
,O
o)
5
-20
0.2
0.0
/Z
5
jX
0.3
0.4
0.4
40
(-
-4
-1
NT 0.4
-70
NE
PO
6
0.1
0.0
M
CO
9
-25
4
0.3
0.4
E
-65 .5
NC
1
2.0
0
30 TA -5
0
-1 AC 0.1
7 RE
1.8
0.2
0.0 VE 8
ITI
0.6
0.3
0.4
3
PAC -30 2
CA
1.6
-60
0 -60 0.1
8 -12
0.7
0.0 7
1.4
2 -35 0.3
0.8
0.4 3
1.2
-55
0.9
0.1
1.0
9 -70 6
0.0 -110 0
-4
0
-5
0.3
-4
1 4
0.4 0.1 -100 -80 0.15
-90
0.11 0.14 0.35
0.4 0.12 0.13
0.39 0.36
0.38 0.37
O (C dB O ]
F
. C K SS [ SS C [dB
P)
EF O ]
P T.
W L W T
SM EA O O
S
d
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0.05 0.01 0 0 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 2 2.5 3 4 5 10 ∞
F,
EF
A
TR
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 1 0.99 0.95 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0
.C
SM
CENTER
N
A
TR
0. 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 2
ORIGIN
∆x
∆φ = 2β∆x = 2π . (6.20)
λ/2
ZC ZL
Soluzione.
Per prima cosa, bisogna valutare l’impedenza. Essa risulta
ZL = R + iωL , ω = 2π f .
144 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Quindi
ZL = 100 + i 2π × 108 79.6 × 10−9 Ω (100 + i50) Ω .
ρ(x) = ρL e2iβx .
Come già notato, sul piano ρ (in cui è disegnata la carta di Smith) il
movimento del coefficiente di riflessione al variare della coordinata lungo
la linea è quindi descritto da una circonferenza, centrata nell’origine, e
con verso di rotazione orario se il movimento avviene dal carico verso il
generatore. Si usano ora questi fatti per valutare l’impedenza alla di-
stanza x = −0.375 m. A tal fine va innanzi tutto notato che la lunghezza
d’onda è
c
λ = = 3m ,
f
e si tratta quindi di calcolare il valore del carico ad una distanza
x1 0.375 1 λ
= = , x1 = .
λ 3 8 8
Il valore dell’impedenza a questa distanza può quindi essere calcolato
eseguendo una rotazione di λ/8 verso il generatore a partire dal punto
A di Fig.(6.12). Ciò può essere fatto con l’aiuto della ghiera esterna
alla carta di Smith, e si trova così che il punto sulla carta di Smith
rappresentativo dell’impedenza alla distanza x1 = −0.375 m è il punto
B, con impedenza normalizzata
zB = 1 − i1 .
6.7. CARTA DI SMITH 145
2π λ
2βx = 2 =π ,
λ 4
e quindi
λ
ρ − = ρL e−iπ = −ρL .
4
Pertanto, se inizialmente vale
1 + ρL
zL = ,
1 − ρL
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
OM
CI
0.3
TI
0
EC
120
VE
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
6.7. CARTA DI SMITH
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
1.2 0.8
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
9
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.25 0.23
0.27
0.24 0.26
0.25
147
148 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
ZC = 50 Ω ZL = (40 + i 20) Ω
f = 100 MHz
yL = YL ZC = 1 − i0.5 .
Si riporti questo punto sulla carta delle ammettenze. Essa si trova nel
punto A della carta riportata in figura (6.13). Si noti che il punto A si
trova nella parte inferiore della carta, perchè Im{yL } < 0.
L’esercizio chiede di valutare l’ammettenza ad una distanza d =
−0.3 m. Si ricorda che le rotazioni sulla carta di Smith sono sempre
riferite alla lunghezza d’onda che risulta ora
c
λ= = 3m .
f
Quindi, l’ammettenza richiesta può essere ricavata operando una ro-
tazione pari a d/λ = 0.1 nel senso orario che indica il movimento dal
carico verso il generatore. Con l’ausilio dell ghiera esterna, si vede che il
punto A è in corrispondenza al valore 0.356, ed occorre quindi ruotare
6.7. CARTA DI SMITH 149
sulla ghiera esterna fino a che si incontra il valore 0.356 + 0.1 = 0.456.
Questo porta a riconoscere che il punto rappresentativo dell’ammettenza
alla distanza d dal carico è
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
A NC RE
AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0
0.0
65
CA
0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
I
0
E
120
VE
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.7. CARTA DI SMITH 151
Esercizio n.1
Sia dato il circuito in figura
A d
ZC ZC
C1 C2 R1
A
nel quale la costante di fase è pari a quella del vuoto, f = 200 MHz,
ZC = 50 Ω, d = 30 cm, R1 = 25 Ω e C1 = C2 = 16 pF. Si chiede di
valutare l’impedenza che si misura alla frequenza f ai morsetti AA’.
Soluzione.
Innanzi tutto, si valuti il carico costituito dal parallelo tra R1 e C2 .
Risulta comodo valutare l’ammettenza che vale
YL = YR1 + YC2 ,
con
1 1
YR1 = = = 0.04 Ω−1 ,
R1 25 Ω
YC2 = iω C2 = i(2πf ) C2 i0.02 Ω−1 .
Pertanto, l’ammettenza di carico normalizzata risulta
C YB
A
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0
0.0
65
CA
0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.6 60 0.4
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
6.7. CARTA DI SMITH
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0 30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
9
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
153
154 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Esercizio n. 2
È dato il circuito di figura
A d
C2 R1
A
ZC l
nel quale la costante di fase è pari a quella del vuoto, f = 200 MHz,
ZC = 50 Ω, d = 30 cm, R1 = 25 Ω e C2 = 16 pF. Si chiede di va-
lutare l’impedenza vista ai morsetti AA’ quando agli stessi morsetti è
connesso, in parallelo, uno spezzone di linea di impedenza ZC , chiuso in
cortocircuito, e di lunghezza
1. 1 = 0.3 m,
2. 2 = 1.3125 m.
Soluzione.
Si è visto nell’esercizio n.1 che il parallelo tra R1 e C2 riportato ai
morsetti AA’ ha ammettenza
yb = 0.5 − i0.5 .
Ys = ∞ ⇒ ys = Ys Zc = ∞ .
Nella carta di Smith esso appare dunque nel punto A di figura (6.15). Per
calcolare quanto chiede l’esercizio, è necessario valutare l’ammettenza
del cortocircuito posto in parallelo ai morsetti AA’ quando essa viene
riportata ai morsetti stessi.
6.7. CARTA DI SMITH 155
yD2 = i1 .
0.1
0.4
0.1
4 -85 85 6
0.0
5 0 150 0.0
5
0.2
0.4 -15 80
0.2
Yo ) I ND
5 -80 j / UC 0.4
E (- B T IV 5
0.0 NC ER
E AC
PT A
4 S CE 0.1
TA
75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E 0 0.4
-1 VE CO 4
0.0 TI MP
UC O
D NE
IN N
3
70
0.0
-70 OR
0.4
7
0.4
T(
0.4
), +
o
0.4
jX
0.0
13
/Z
30
0.2 /Z
-j
X
-1 7
o)
,
T(
O
EN
R
2
N
0.0
CA
65
0.4
-65 0.5
8
0.5
PO
0.4
M
PA
2
0.0
CI
0.3
CO
0
I
V
120
-12
CE
ES
1
US
TA
9
0.0
0.4
0.6
9
0.6 60
0.4
0.0
-60
AC
C EP
0.4
RE
TA
VE
NC
C ITI
E (+
-110
110
0.4
0.1
0.7 0.5 0.7
0.1
PA
0.4
jB /Y
55
CA
o)
-55
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.7 0.39
100
-100
0 50
-5 0.9 0.8 0.9
0.38
0.9
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
45
5
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
0.37
1.2
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
1.0
1.0
-4
40
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0 1.8
1.8
30
60
-60
-30
7
0.3
2.0
3
2.0 4.0
0.1
3
0.1
7
0.3
5.0
0
-25
50
25
-5
8
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
4.0
0.3
15
0.2
-15
20
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
-10
10
0.2
20
S
20
50
AN G
50
9 EGRE E LE 20 0.2
1
0.2 -20 OFTR
AN S MIS SIO N CO E FFI CIE NT I N D 0.28
0.22 AN GL S
E O F R EF DEGR EE
0.28 0.27 LE C TIO N C O EFF I CIE NT IN 0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 157
ZL
zL = o yL = YL ZC ,
ZC
r=1 , ix = 0 ,
g=1 , ib = 0 ,
1. a singolo stub;
2. a doppio stub;
ZC ZL
Esercizio n.3
Si consideri il circuito di fig.(6.17), nel quale J = 0.1 A, ZG = 50 Ω,
ZC = 50 Ω, dT OT = 1.5 m, R = 125 Ω, L = 132.63 nH e la frequenza di
lavoro è f = 300 MHz. La costante di fase è pari a quella del vuoto.
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 159
dTOT
d
J ZG ZC L R
ZC
Si chiede di
Soluzione.
Poichè lo stub è realizzato ponendo in parallelo uno spezzone di linea, è
preferibile lavorare con le ammettenze. Si calcoli dunque l’ammettenza
di carico. Questo è formato dal parallelo di un resistore ed un induttore,
e vale quindi
1 1 1 1
YL = + = + Ω−1 = (8 − i4) × 10−3 Ω−1 ,
R iωL 125 i250
yL = YL ZC = 0.4 − i0.2 .
160 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
Si riporti questo valore sulla carta di Smith: esso si colloca nel punto A
di figura (6.18).
Si consideri ora il comportamento elettrico dello stub. Si è visto nel-
l’esercizio n.2 che un tratto di linea posto in parallelo ad una linea di
trasmissione presenta, ai morsetti cui è connesso, una ammettenza yS
che è un numero immaginario puro (lo stub ha cioè comportamento pu-
ramente reattivo, come deve essere dal momento che essendo realizzato
con un cortocircuito esso non può dissipare potenza), che dipende dalla
lunghezza del tratto di linea con cui esso è realizzato.
Nell’adattatore a stub semplice, l’ammettenza così costituita viene
posta in parallelo a quella che il carico presenta dopo un tratto di lun-
ghezza d, y(−d), e quello che si vuole ottenere è che il parallelo di queste
due ammettenze realizzi l’adattamento, ovvero che
y(−d) + yS = 1 + 0 i .
In altre parole, il parallelo delle due ammettenze deve avere parte reale
unitaria e parte immaginaria nulla, ovvero, tenendo conto che yS è una
ammettenza immaginaria pura, deve risultare
Re{y(−d)} + Re{yS } = Re{y(−d)} = 1 , Im{y(−d)} + Im{yS } = 0 .
La prima condizione permette quindi di stabilire la distanza d a cui
posizionare lo stub dal carico. Questa distanza è infatti quella a cui
il carico presenta parte reale unitaria, ed essa può essere individuata
tramite una semplice rotazione sulla carta di Smith.
Si ricorda infatti che, muovendosi lungo la linea dal carico al gene-
ratore, il punto rappresentativo dell’ammettenza compie, sulla carta di
Smith, una rotazione circolare in senso orario. La rotazione andrà quindi
compiuta per una lunghezza tale da portare il punto sulla carta di Smith
dal carico fino al cerchio a parte reale dell’ammettenza costante e pari
a uno.
Con riferimento ai dati dell’esercizio, ciò significa una rotazione che
dà luogo a due soluzioni. La prima è quella che conduce dal punto A al
punto B di figura (6.18). In questo punto si ha
ypunto B = 1 + i1 ,
ed esso è raggiunto tramite una rotazione che può essere letta sulla ghiera
esterna della carta di Smith, e che vale
d
= B − A = 0.162 + 0.037 0.2 .
λ
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 161
d = 0.2 λ .
Im{y(−d)} + Im{yS } = 0 .
bS = Im{yS } = −1 .
yS = +i1 ,
J ZG ZL
A
J ZG ZL
A
e la potenza erogata dal generatore è quella che esce dai morsetti AA’.
Essa è data da
1
PAA = VAA (IAA )∗ ,
2
con (regole del partitore di corrente)
ZG ZG ZL
IAA = J , VAA = J .
ZG + ZL ZG + ZL
Pertanto
PAA = 50 mW + 25 mVA .
Prima dell’adattamento il generatore eroga quindi potenza sia attiva, sia
reattiva.
J ZG ZC
e quindi
1 2 ZG 2 |J|2
PAA = |J|
2 Z + Z ZC = 8 ZC = 62.5 mW .
G C
164
0.0 —> WAVELE
0.49 NGTH
S TOW
0.48 — 0.0 0.49
ARD
D LOAD < GEN
OWAR ± 180 0.48 ERA
0.47 HS T 170 TO
L E NGT -170 R—
E >
WAV 0.47
6 <— 160 0.0
0.4 -160 -90 90 4
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
NC RE
TA AC
4 EP 0.1 TA
75 0.0
SC
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.7 0.39
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
-4 0.2
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 165
ZC ZL
l1
l2
Esercizio n.4
3λ / 8
Rg
ZC ZL
l1
l2
Vg
Si chiede di determinare:
1. le lunghezze 1 e 2 dei due elementi di un doppio stub che, con-
nesso sul carico e con distanza tra gli stub pari a d = 3λ/8, realizza
l’adattamento in uniformità.
2. La potenza erogata da un generatore adattato in potenza (Rg =
50 Ω) con tensione di picco Vg = 50 V, prima e dopo l’adattamento.
Soluzione.
Per prima cosa, occorre individuare il carico. Espresso secondo la sua
ammettenza normalizzata, esso è
1 − ρL
yL = ,
1 + ρL
con
ρL = |ρL | exp {i fase(ρL )} = 0.32 + i0.38 .
Risulta quindi
yL = 0.4 − i0.4 ,
e questo valore può essere riportato sulla carta di Smith, dove esso ap-
pare nel punto A di figura (6.19).
Si consideri ora il problema dell’adattamento. Al fine di comprendere
la procedura che consente il dimensionamento delle lunghezze degli stub
è opportuno rifarsi a quanto si è visto nello studio dell’adattatore a
singolo stub. Si consideri infatti il doppio stub, e, per il momento, si
concentri l’attenzione sul secondo degli stub, cioè su quello che non è
connesso direttamente sul carico. Analogamente a quanto si è visto nel
caso dell’adattatore a singolo stub, anche in questo caso quello che si sta
cercando di fare è di avere, a sinistra del secondo stub, il carico adattato,
cioè
(2)
ysx = y(a sinistra del secondo stub) = 1 ,
e va tenuto conto che il secondo stub ha una ammettenza yS2 che è
puramente immaginaria. Si può cioè scrivere
(2) (2)
ysx = 1 = yS2 + ydx ,
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 167
(2)
dove ydx è l’ammettenza che si ha subito a destra del secondo stub.
Scritta per esteso, questa relazione si divide in
(2)
1 = Re ydx ,
e
(2)
0 = Im {yS2 } + Im ydx .
Si sono quindi ottenute due relazioni che indicano quanto segue:
• la prima che occorre fare in modo di avere, a destra del secondo
stub, una ammettenza con parte reale unitaria, ovvero una ammet-
tenza che, riportata sulla carta di Smith, giaccia sulla circonferenza
a parte reale costante g = 1;
disegnata sono infatti quei punti che il tratto di linea interposta fra i
due stub fa poi terminare sul cerchio g = 1.
Si è così in grado di stabilire come debba essere fatta l’ammettenza a
sinistra del primo stub, ed essa deve dunque essere rappresentata da un
punto della carta di Smith che giaccia sulla circonferenza g = 1 ruotata
di una quantità pari a d verso il carico. In particolare, quindi, se d = λ/8,
la curva g = 1 va ruotata di 90 gradi in senso antiorario, mentre con
d = λ/4 la rotazione deve essere di 180 gradi, e con d = 3λ/8 di 270
(1)
gradi. Si indichi con ysx l’ammettenza a sinistra del primo stub così
individuata.
Il dimensionamento del doppio stub è a questo punto quasi com-
(1)
pleto: a sinistra del primo stub c’è l’ammettenza ysx mentre a destra
c’è l’ammettenza di carico yL . Il legame tra le due ammettenze è (pa-
rallelo di ammettenze)
(1) (1)
ysx = yS1 + ydx = yS1 + yL ,
dove yS1 è l’ammettenza del primo stub. Sulla carta di Smith il punto a
(1)
destra del primo stub è il punto rappresentativo del carico, mentre ysx
giace sulla curva g = 1 ruotata. Lo stub connette questi due punti, e
poichè esso ha ammettenza puramente immaginaria, opera questa con-
nessione tramite un movimento lungo le curve a parte reale costante,
ed in particolare lungo la curva a parte reale costante uguale alla parte
reale dell’ammettenza del carico.
(1)
Operativamente quindi, l’ammettenza ysx sarà individuata dai punti
della carta di Smith nei quali la circonferenza g = 1 ruotata incrocia la
curva a parte reale uguale alla parte reale del carico, ed il dimensio-
namento del secondo stub andrà svolto sulla base della relazione sopra
scritta e che, espansa nella sua parte reale ed immaginaria, si legge come
(1)
Re ysx = Re {yL } , (1)
Im ysx = Im {yS1 } + Im {yL } .
Il dimensionamento del primo stub va quindi fatto come segue: nel primo
caso la situazione è quella illustrata in figura
yL yS1 yL
l1
K
y L = 0.4 - i 0.4
y K K = 0.4 - i 0.2
ovvero
da cui
yS1 = i0.2 .
Questo valore di suscettanza è ottenuto con un tratto di linea di lun-
ghezza (si veda il punto B1 di figura (6.19))
1
= 0.25 + 0.03 = 0.28 ,
λ
e poichè λ = c/f = 1 m
1 = 28 cm .
Analogamente, se viene scelta la seconda soluzione si ha
e questa suscettanza può essere ottenuta con una linea di lunghezza (si
veda il punto B2 in figura (6.20))
1
= 0.349 − 0.25 = 0.095 ⇒ 1 = 9.5 cm .
λ
Individuate le due soluzioni ammissibili, e le relative lunghezze del
primo stub, si esegue la rotazione pari a d = 3λ/8. Per semplicità, si
esegue solo il calcolo relativo al caso della soluzione che fornisce il valore
minimo di 1 , cioè quella corrispondente al punto B2 ). La rotazione
conduce al punto indicato con la lettera C nella figura (6.19), che ha
ammettenza
ypunto C = 1 + i3 .
Il secondo stub deve quindi compensare una suscettanza pari a i3, ovvero
avere
yS2 = −i3
Questa può essere ottenuta con una linea di lunghezza
2
= 0.302 − 0.25 = 0.052 ⇒ 2 = 5.2 cm .
λ
RG
ZL
VG
(si faccia attenzione che la relazione è vera solo con le ammettenze nor-
malizzate, se non altro per ragioni di dimensioni fisiche). Pertanto
1
yL = = 1.25 + i1.25 ,
0.4 − i0.4
e quindi anche
1
zL = = 04. − i0.4 .
yL
In termini reali
ZL = zL ZC = (20 − i20) Ω .
La potenza richiesta è quella che esce dai morsetti AA’, ed è data da
1
PAA = VAA (IAA )∗ ,
2
con (partitore di tensione)
ZL Vg
VAA = Vg , IAA = .
Rg + ZL Rg + ZL
Pertanto
2
1 Vg
PAA = Z = 4.71 W − i4.71 VA .
2 Rg + ZL L
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 o ) IND 80
5 jB/Y UCT 0.4
5
0.0 E (- IVE
NC RE
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4 EP 0.1 TA
75 0.0
SC
0.3
0.3
0.4 -75 SU
NC 14 6
6 40 E EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
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3
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0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
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7
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30
13
0.2 /Z
-1
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2
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0
0.0
65
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0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
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0.0
2
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0.3
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0
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120
-12
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1
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0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
-4
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 173
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9
0.0 6
45
1 110 50 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3
60
0.7
0.4 120 3
0.6 60
)
/Yo
1.6
0.1
0.0
7 (+jB 30 8
CE 0.3
3 AN
1.8
0.4 PT 0.2 2
CE 50
65
0 S
13 SU
2.0
VE
0.5
TI
6
0.1
0.0
CI 25
9
4
0.3
PA
0.4
CA
1
70
R
,O 0.4
o)
0
40
14
5
0.4
0.2
0.0
/Z
5
0.3
20
jX
0.4
(+
T
3.0
75
EN
0.6
N
PO
0.2
4
0.0
OM
150
0.2
6
0.3
1
30
0.4
9
EC
0.8 15
>
R—
4.0
80
NC
TO
TA
1.0
0.22
AC
ERA
0.47
0.28
5.0
RE
1.0
GEN
0.2
160
IVE
20
85
10
UCT
ARD
0.8
0.23
IND
S TOW
0.27
0.48
ANG
90
0.6
ANG
LE OF
NGTH
10
L E OF
170
0.1
0.4
TRANSM
0.0 —> WAVELE
0.24
0.49
0.26
REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
20
0.2
ISSION COEFFICIENT IN
50
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
3.0
4.0
5.0
10
20
50
0.25
0.25
± 180
0.0
0.2
20
0.24
ARD LO
0.26
0.49
0.4
0
0.1
-17
DEGR
S TOW
10
REES
EES
0.6
-90
0.23
)
0.48
0.27
GTH
/Yo
(-jB
N
0.8 -10
E
CE
EL
-160
-85
-20
0.2
AV
AN
1.0
5.0
0.22
W
PT
0.28
0.47
1.0
<—
CE
US
-15 -80
4.0
ES
0.8 -15
IV
4
0.2
0
CT
-30
0.0
0.3
6
0.2
1
DU
0.4
9
IN
0.6
-75
3.0
O
),
5
Zo
-20
0.2
0.0
X/
5
0.3
0.4
0.4
(-j
40
-4
-1
T 0.4
EN
-70
N
PO
0.1
6
0.0
M
9
CO -25
0.3
4
0.4
-65 .5
E
1
2.0
NC
0
30 -5
-1 TA 0
7 AC 0.1
1.8
RE 0.2
0.0 IVE
8
0.6
0.3
0.4
3
AC
IT -30 2
1.6
CAP
-60
0 -60 0.1
8 -12
0.7
0.0 7
1.4
2 -35 0.3
0.8
0.4 3
1.2
-55
0.9
0.1
1.0
9 -70
0.0 -110 0 6
-4
0
-5
0.3
-4
1
0.4 0.1 -100 -80 0.15 4
-90
0.11 0.14 0.35
0.4 0.12 0.13
0.39 0.36
0.38 0.37
λ/4
ZL ZL
ZC1
ZL 1 1
zL = = = ,
ZC1 zL ZL /ZC1
e pertanto
2
ZC1
ZL = .
ZL
Il tratto di linea di lunghezza λ/4 si comporta quindi come un invertitore
di impedenza, e fa sì che il carico presenti un nuovo valore di impedenza,
ZL , che dipende da ZC1 .
Un oggetto di questo tipo permette dunque di adattare una impe-
denza ad un’altra impedenza, e può quindi essere utilizzato per realizzare
l’adattamento di uniformità.
Infatti, si supponga in un primo momento di voler adattare un carico
reale
ZL = RL ,
ad una linea con impedenza caratteristica ZC . È sufficiente a tal fine
introdurre un tratto di linea di lunghezza λ/4
λ/4
ZC RL RL
ZC1
176 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
λ/4 d
ZC ZC1 ZC ZL
B1 : zB1 = 1.65 ,
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 179
A B
Rg R
ZC
Vg L C
A B
Soluzione.
Per calcolare la potenza complessa erogata dal generatore, è neces-
sario valutare l’impedenza del carico, e riportarla ai morsetti AA’ del
generatore, in modo che il circuito possa essere rappresentato in una
forma equivalente del tipo
I AA
Rg
ZB
Vg
ZL = R + ZCond. Ind. ,
con
1 1 iω L
ZCond. Ind. = = = .
1 1 1 1 − ω 2 CL
+ iω C +
ZCond ZInd iωL
Risulta allora
iω L
ZL = R + = (37.5 + i12.5) Ω .
1 − ω 2 CL
Si normalizzi questo valore rispetto a ZC ; si ottiene
ZL
zL = = 0.75 + i0.25 .
ZC
Si riporti questo valore sulla carta di Smith, dove esso appare nel punto A
di figura (6.22). Il carico può essere ora riportato al generatore mediante
una rotazione (verso il generatore, e cioè in senso orario) corrispondente
ad un tratto di linea con lunghezza AB = 15.10 m. Si ricorda che sulla
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 181
AB 15.10 m
= = 10 + 0.066 .
λ 1.5 m
La rotazione di 10λ corrisponde a 20 giri completi della carta di Smith, e
non ha quindi effetto, mentre la rimanente rotazione conduce dal punto
A di figura (6.22) con impedenza zA = 0.75 + i0.25 al punto B con
impedenza
yL = YL ZC = 1.2 − i0.4 .
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9
0.0 6
45
50
1 110 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3
60
0.7
0.4 120 3
0.6 60
Yo)
1.6
7 jB/ 0.1
0.0 (+ 30 8
CE 0.3
3 AN
1.8
0.4 PT 0.2 2
CE 50
65
0
13 US
ES
2.0
0.5
IV
6
0.1
IT
0.0
C 25 9
4
0.3
PA
0.4
CA
1
70
R
,O 0.4
o)
0
40
14
5
0.4
0.2
0.0
/Z
5
0.3
20
jX
0.4
(+
T
3.0
75
EN
0.6
N
PO
0.2
4
0.0
OM
150
0.2
6
0.3
1
30
0.4
9
EC
0.8 15
>
R—
4.0
80
NC
TO
TA
1.0
0.22
AC
ERA
0.47
0.28
5.0
RE
1.0
GEN
0.2
160
IVE
20
85
10
UCT
ARD
0.8
0.23
IND
S TOW
0.48
0.27
ANG
90
0.6
ANG
LE OF
NGTH
10
L E OF
170
0.1
0.4
TRANSM
0.0 —> WAVELE
0.24
0.49
0.26
REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
20
0.2
ISSION COEFFICIENT IN
50
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
3.0
4.0
5.0
10
20
50
0.25
0.25
± 180
0.0
0.2
20
0.24
0.26
0.49
0.4
0
OWAR
0.1
-17
DEGR
10
REES
HS T
EES
0.6
-90
0.23
o)
0.48
0.27
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0.8
E (-
-10
L E
-160
-85
-20
NC
E
0.2
AV
1.0
5.0
TA
0.22
W
0.28
0.47
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1.0
<—
SC
SU
-15 -80
4.0
-15
E
0.8
IV
4
0.2
0
CT
-30
0.0
0.3
6
0.2
1
DU
0.4
9
IN
0.6
-75
3.0
O
),
5
Zo
-20
0.2
0.0
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5
0.3
0.4
0.4
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40
-4
-1
T 0.4
EN
-70
N
PO
0.1
6
0.0
OM
9
-25
0.3
4
C
0.4
-65 .5
CE
1
2.0
0
-5
30 AN 0
-1 CT 0.1
7 EA
1.8
0.2
0.0 ER IV
8
0.6
0.3
0.4
3
AC
IT -30 2
1.6
CAP
-60
0 -60 0.1
8 -12
0.7
0.0 7
1.4
2 -35 0.3
0.8
0.4 3
1.2
-55
0.9
0.1
1.0
9 -70
0.0 -110 0 6
-4
0
-5
0.3
-4
1
0.4 0.1 -100 -80 0.15 4
-90
0.11 0.14 0.35
0.4 0.12 0.13
0.39 0.36
0.38 0.37
d R
L C
B
l
Lo stub semplice è inserito ad una distanza d dal carico tale che, a questa
distanza, l’ammettenza normalizzata del carico giaccia sulla curva g = 1.
Ciò avviene per due valori di d, individuati dai punti C1 e C2 di figura
(6.23). Questi sono i punti con ammettenza normalizzata
C1 : yC1 = 1 − i0.42 ,
che è ottenuto con una rotazione
d
= 0.359 − 0.323 = 0.036 , d = 5.4 cm ,
λ
e
C2 : yC2 = 1 + i0.42 ,
ottenuto con una rotazione
d
= (0.5 − 0.323) + 0.14 = 0.317 , d = 47.55 cm .
λ
184 CAPITOLO 6: LINEE DI TRASMISSIONE
C1 : bS = 0.42 , C2 : bS = −0.42 ,
bS = 0.42 : = 0.25 + 0.063 = 0.313 ⇒ = 46.95 cm ,
λ
bS = −0.42 : = 0.437 − 0.25 = 0.187 ⇒ = 28.05 cm .
λ
0.0 —> WAVELE
0.49 NGTH
S TOW
0.48 AD <— 0.0 0.49
ARD
ARD LO GEN
TOW ± 180 0.48 ERA
0.47 THS 170 TO
EL ENG -170 R—
V 0.47 >
— WA 0.0
6 < -90 90 160 4
0.4 -160
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0
0.0
65
CA
0.4
8
8
-65 .5 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.6 60 0.4
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0 30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
9
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
3λ / 8
L C
d2 d1
Il primo stub, connesso direttamente sul carico, deve servire a spostare
il punto rappresentativo del carico sulla carta di Smith in modo tale
che, muovendosi sulla circonferenza a parte reale costante, si intercetti
il cerchio g = 1 ruotato che si è tracciato in precedenza. Si individuano
così due soluzioni, indicate come D1 e D1 in figura (6.24), che risultano
caratterizzate dai valori di ammettenza normalizzata
yS1 = i 0.38 .
6.8. PROGETTO DI UN ADATTATORE 187
d1
= 0.25 + 0.058 = 0.308 ⇒ d1 = 46.2 cm .
λ
Analogamente, nel caso della soluzione D1 , si ha
che è ottenuto con un tratto di linea di lunghezza (si veda il punto A1
di figura (6.24))
d1
= 0.339 − 0.25 = 0.089 ⇒ d1 = 13.35 cm .
λ
Dopo aver dimensionato il primo stub, si può eseguire la rotazione di
3λ/8, ottenendo i due nuovi punti
D1 → D2 : yD2 = 1 + i0.2 ,
D2 : bS2 = −0.2 ,
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
d R
λ/4 L C
0.1
0.1
4 -85 85 0.4
0.0 6
5 0 0.0
150 5
0.2
0.2
0.4 -15 -80 ) IND 80
5 /Yo UCT 0.4
(-jB IVE 5
0.0 CE RE
AN AC
PT TA
4 CE 0.1 75 0.0
0.3
0.3
0.4 -75 US NC 14 6
6 40 ES EC 0 0.4
-1 IV OM 4
0.0 CT PO
DU N
IN EN
3
R T 70
0.0
-70 O
0.4
0.4
0.4
7
(+
7
), jX
0.4
Zo
0.0
3
30
13
0.2 /Z
-1
X/
(-j
o)
T
,O
R
EN
2
N
0.0
0.5 65
CA
0.4
8
8
-65 0.5
PO
0.4
PA
0.0
2
M
CI
0.3
CO
TI
0
E
V
120
-12
NC
1
SU
0.0
TA
9
0.6
0.4
9
SC
0.4
0.6 60
0.0
1
-60
AC
EP
0.4
RE
TA
IVE
NC
IT
E (+
110
-110
0.7
0.4
0.5
0.1
AC
0.7
0.1
0.4
jB/
55
CAP
-55
Yo)
0.6
0.8 0.8
0.39
0.11
0.11
0.39
0.7
100
-100
0 50
-5 0.8
0.9 0.9
0.9
0.38
0.12
0.12
0.38
-90
0.2
0.2
5 45
0.2
0.2
-4
0.4
0.4
0.4
0.4
0.13
0.37
1.2
0.37
0.13
0.6
0.6
0.6
0.6
0.8
0.8
1.4 1.2
0.8
0.8
1.2
80
-80
0
1.0
40
1.0
-4
1.0
1.0
0.14
0.36
1.6
0.36
0.14
1.8
1.4 1.4
2.0
0.15
0.35
0.35
0.15
70
-70
35
-35
1.6
1.6
6
0.3
4
0.1
4
0.1
0.3
6
3.0
1.8
1.8
60
-60
30
-30
7
2.0
0.3
2.0
0.1
4.0
3
3
0.1
0.3
7
5.0
0
25
50
-25
8
-5
0.3
0.1
2
2
0.1
0.3
8
3.0
3.0
20
9 0.3
-20
1
0.1 0 10
40
1 -4 0.1
0.3 9
4.0
4.0
0.3
15
0.2 20
-15
5.0
5.0
30 0.2
0.3 -30
1 50 0.2
10
10
10
-10
0.2
20
20
50
50
ANG EES
9 -20 LE OF DEGR 20 0.2
1
0.2 TRANSM
ISSION COEFFICIENT IN 0.28
0.22 ANG
L E OF REES
0.28 0.27 REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
0.23
0.22
0.26 0.24
0.23 0.25
0.27
0.24 0.26
0.25
I AA
Rg
ZB
Vg
A
e la potenza generata vale dunque
2
1 Vg
P2 = Zc = 250 mW .
2 ZC + Rg
R IR
L C ZLC
1 |VLC |2 1 |VLC |2
QL = = = 276 mVA ,
2 XL 2 ωL
1 |VLC |2 1
QC = = − ω C|VLC |2 = −193 mVA .
2 XC 2
|Vmin | ZC
Zmin = = .
|IM AX | S
y = yD1 = 1.2 − i2 ,
1
Pattiva = |V (x)|2 Re {Y (x)} ,
2
dove V (x) e Y (x) sono la tensione e l’ammettenza alla gene-
rica coordinata x. In particolare, quindi, nel punto x = 0−
immediatamente a sinistra del primo stub, si ha
2 Pattiva
V (x = 0− ) = V = = 4.56 V .
D1
Re {Y (x = 0− )}
e
I − 3λ = V Y = 0.21 A .
8 D2 D2
|I| = |V | Zc = 0.1 A .
Ancora una volta, si nota che nell’attraversare il secondo stub,
ovvero nel passare da x = −3λ/8− a x = −3λ/8+ vi è continuità
del modulo di tensione, ma non di quello della corrente.
|V (x)|
12
11
10
9
8
7
6
5
4
3 x = 0+
2 x = 0−
1
0
-0.6 -0.4 -0.2 0.0
x
(metri)
Minimo d i |I|
e massimo d i |V|
in x = -28.8 cm
|I (x)|
0.2 4
0.2 2
0.2 0
0.1 8
0.1 6
0.1 4
0.1 2
0.1 0
0.0 8
0.0 6
0.0 4
0.0 2
0.0 0
-0.6 -0.4 -0.2 0.0
Posizione del
x
Posizione del (metri)
secondo stub primo stub
0.12 0.13
0.11 0.14
0.38 0.37 0.15
0.1 0.39 0.36
90
0.4 100 80 0.35 0.1
9
0.0 6
45
50
1 110 40 70 0.3
0.4 4
1.0
0.9
1.2
0.1
55
8
0.8
0.0 35
7
1.4
2 0.3
60
0.7
0.4 120 3
0.6 60
Yo)
1.6
7 jB/ 0.1
0.0 E (+ 30 8
3 NC 0.3
TA
1.8
0.4 EP 0.2 2
SC 50
65
0
13 SU
2.0
E
0.5
V
TI
6
0.1
0.0
CI 25
9
4
0.3
PA
0.4
CA
1
70
R
,O 0.4
o)
0
40
14
5
0.4
0.2
0.0
/Z
5
0.3
20
jX
0.4
(+
T
3.0
75
EN
0.6
N
PO
0.2
4
0.0
OM
150
0.2
6
0.3
1
30
0.4
9
EC
0.8 15
>
R—
4.0
80
NC
TO
TA
1.0
0.22
AC
ERA
0.47
0.28
5.0
RE
1.0
GEN
0.2
160
IVE
20
85
10
UCT
ARD
0.8
0.23
IND
S TOW
0.27
0.48
ANG
90
0.6
ANG
LE OF
NGTH
10
L E OF
170
0.1
0.4
TRANSM
0.0 —> WAVELE
0.24
0.49
0.26
REFLECTION COEFFICIENT IN DEG
20
0.2
ISSION COEFFICIENT IN
50
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
2.0
3.0
4.0
5.0
10
20
50
0.25
0.25
± 180
0.0
0.2
20
0.24
ARD LO
0.26
0.49
0.4
-170
0.1
DEGR
TOW
10
REES
EES
0.6
-90
0.23
THS
)
0.48
0.27
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0.8 -10
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-160
-85
-20
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0.2
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1.0
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5.0
0.22
PT
0.28
0.47
1.0
—
CE
<
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-15 -80
4.0
ES
0.8 -15
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4
0.2
0
CT
-30
0.0
0.3
6
0.2
1
DU
0.4
9
IN
0.6
-75
3.0
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5
Zo
-20
0.2
0.0
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5
0.3
0.4
0.4
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40
-4
-1
T 0.4
EN
-70
N
PO
0.1
6
0.0
M
9
CO -25
0.3
4
0.4
0.5
E
1
2.0
30 NC -5
TA 0
-65
-1
7 AC 0.1
1.8
RE 0.2
0.0 IVE
8
0.6
0.3
0.4
3
AC
IT -30 2
1.6
CAP
-60
0 -60 0.1
8 -12
0.7
0.0 7
1.4
2 -35 0.3
0.8
0.4 3
1.2
-55
0.9
0.1
1.0
9 -70
0.0 -110 0 6
-4
0
-5
0.3
-4
1
0.4 0.1 -100 -80 0.15 4
-90
0.11 0.14 0.35
0.4 0.12 0.13
0.39 0.36
0.38 0.37
Onde piane
199
200 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
∇2 A − σ 2 A = −µJi = 0 ,
Campo elettrico
E = −iωA − ∇φ ,
con φ soluzione di
ρ
∇2 φ − σ 2 φ = − =0 ,
per l’assenza di sorgenti. Una possibile soluzione per φ è allora φ = 0 e
risulta così
E = −iωA .
Campo magnetico
Direttamente dalle equazioni di Maxwell,
∇×E
H=− .
iωµ
∇2 A − σ 2 A = 0 ,
da cui si ha anche
1 d2 f1 1 d2 f2 1 d2 f3
+ + = σ 2 = costante , (7.1)
f1 dx2 f2 dy 2 f3 dz 2
202 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
dove si è indicato con r il raggio vettore che ha come coordinate {x, y, z},
e con
S = S1 x̂ + S2 ŷ + S3 ẑ ,
7. INTRODUZIONE ALLE ONDE PIANE 203
S = a + ik ,
k · r = costante ,
∇ × H = iωC E .
S=a o S = ik .
Si mostra ora che il primo di questo due casi, quello con S = a, cioè
con k ≡ 0 non è tuttavia un caso fisicamente realizzabile. Infatti, vale
γ
S · S = |a|2 − |k|2 + 2 i a · k = σ 2 = −ω 2 µ − i ,
ω
e si ottene dunque
|a|2 − |k|2 = −ω 2 µ ,
(7.2)
2 a · k = ωµγ .
206 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
S×E×S S×E
E= , H= ,
σ2 iωµ
con
√
S = ik = iω µ k̂ . (7.3)
E
raggio E
Sorgente
k
H k H
Fronti
d'onda
Figura 7.1: Disposizione dei vettori k̂, E, H per l’onda piana uniforme e raffig-
urazione della sua propagazione.
si ha dunque
E = k̂ × E × k̂ ,
(7.4)
H = k̂ × E .
µ
Come già anticipato in precedenza, quindi, in questo caso la terna
k̂, E, H è una terna trirettangola, con i tre vettori che risultano
disposti come in figura (7.1).
È interessante calcolare anche il vettore di Poynting dell’onda pi-
ana uniforme; esso risulta
E × H∗ 1 1
P= = E × k̂ × E = |E|2 k̂ ,
2 2 µ 2 µ
e vi sono allora due osservazioni da fare:
1. P è un vettore puramente reale, il che indica che l’onda piana
“trasporta” solo potenza attiva;
2. P ∝ k̂, cioè, come si era anticipato in precedenza, la potenza
attiva “si muove” nella direzione individuata dal vettore k e
questa direzione può quindi essere identificata con la direzione
di propagazione dell’onda. Il campo dell’onda piana è dunque
un campo TEM rispetto alla direzione di propagazione.
Si noti altresì che le locuzioni “trasporta” e “si muove” sono
state indicate usando le virgolette, e ciò è stato fatto per una
ragione ben precisa, che viene esposta qui di seguito. Si im-
magini infatti di applicare il teorema di Poynting all’onda pi-
ana uniforme in un qualsiasi volume V dello spazio, racchiuso
da una superficie S. Poichè il mezzo nel quale è definita l’onda
è omogeneo, privo di sorgenti e di perdite, e P è puramente
reale, il teorema fornisce il seguente risultato
|H|2 |E|2
0 = 2ω µR − R dV + o P · n̂ dS ,
V 4 4 S
• a ⊥ k.
Il secondo modo in cui è possibile annullare il prodotto interno
tra a e k è quello che si ha quando i due vettori in oggetto sono
disposti secondo due direzioni tra loro ortogonali. In questo caso,
allora, l’onda piana ha i piani equifase che sono ortogonali ai piani
equiampiezza, ed essa viene indicata con il nome di onda piana
evanescente.
Al contrario di quello che potrebbe sembrare a prima vista, questo
tipo di onda non è una pura curiosità matematica, ma essa gioca
invece un ruolo fondamentale nella comprensione di alcuni effetti
fisici che verranno illustrati nel seguito; in particolare, si vedrà che
essa è essenziale per descrivere un fenomeno molto noto, quello
della cosiddetta riflessione totale, ed altri analoghi fenomeni che
si verificano, ad esempio, nella propagazione delle onde all’interno
delle guide metalliche.
Rimandando dunque al seguito per l’esemplificazione dell’utilità di
questa onda, ci si limita ora solo a discuterne alcune proprietà. In
particolare, si osserva che se si calcola il vettore di Poynting, esso
risulta essere complesso, con la sua parte reale diretta secondo k̂,
210 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
|k|2 = |a|2 + ω 2 µ ,
2 a · k = ωµγ > 0 ,
∇ × E = −iωµ H ,
∇ × H = iω E .
7.4. IMPEDENZA D’ONDA 211
E = E(z) , H = H(z) .
iωµ Hz ≡ iω Ez ≡ 0 ,
e
dEx
dEy
= −iωµ Hy = iωµ Hx
dz , dz .
dHy = −iω Ex
dHx = iω Ey
dz dz
Il sistema delle equazioni di Maxwell si separa dunque in due sottosis-
temi che coinvolgono solo le componenti trasverse dei campi elettrico e
magnetico, e che sono tra loro indipendenti: nel primo vi sono solo le
componenti Ex ed Hy e, nel secondo, solo le Ey ed Hx .
Si consideri ora nel dettaglio il primo di questi sottosistemi e si ponga
H × û = I(z) ŷ × ẑ ,
da cui, per l’appunto, η(ẑ) = I(z)/V (z) = µ/. A riguardo di questa
espressione vi sono da fare due osservazioni importanti:
1. l’impedenza d’onda è reale, e questo fatto non deve trarre in in-
ganno. Infatti, sulla scorta dell’analogia con l’elettrotecnica che è
stata prima posta in rilievo, si potrebbe erroneamente pensare che
vi sia incongruenza tra il fatto di aver trovato una impedenza reale
ed il fatto che la propagazione è stata considerata in un mezzo privo
di perdite, e come tale non dissipativo. In realtà, un valore reale
dell’impedenza indica solamente che il campo elettrico e quello ma-
gnetico sono tra loro in fase, di modo che l’onda “trasporta” solo
potenza attiva. Si è di fatto ritrovato un risultato già visto nello
studio della propagazione nelle linee di trasmissione: come ora, se
accade che in una determinata sezione della linea l’impedenza è
puramente reale, ciò significa che lì vi è transito di sola potenza
attiva, indipendentemente dal fatto che in quella sezione vi sia o
non vi sia un vero resistore fisico dove la potenza attiva si possa
dissipare.
2. Se si calcola l’impedenza d’onda in direzione û = −ẑ si trova
η(−ẑ) = −η(ẑ). Anche in questo caso il risultato si presta ad
una immediata interpretazione circuitale: esso infatti è l’analogo
di quanto si trova nella teoria dei circuiti se si cambia convenzione
ad una tensione o ad una corrente alla porta di ingresso di un
generico bipolo.
k θ E
u
Figura 7.2: Disposizione dei vettori per il calcolo dell’impedenza d’onda nel
caso di campo con polarizzazione TM.
θ k
H u
Figura 7.3: Disposizione dei vettori per il calcolo dell’impedenza d’onda nel
caso di campo con polarizzazione TE.
ˆ
che forniscono, nella direzione individuata dal generico versore ξ,
eξ (t, r) = |E0,ξ | e−a·r cos(k · r − ωt + φξ ) , ξ ∈ {x, y, z} .
7.5. VELOCITÀ DI FASE 215
Come si nota, quando si studia l’onda nel dominio del tempo, si riconosce
in sostanza che essa è una “versione tridimensionale” delle onde che si
erano trovate nel capitolo 4, e nelle quali comparivano funzioni del tipo
f (kz − ωt). In analogia a quanto si era fatto allora, quando si era
mostrato che la dipendenza del tipo (kz − ωt) configurava un fenomeno
ondulatorio che si muove nello spazio al passare del tempo, e per il quale
può quindi essere definita una velocità, si usano ora le espressioni più
generali del campo nel dominio del tempo che sono state derivate in
questa sede per approfondire il concetto di velocità di fase delle onde
elettromagnetiche.
A tal fine, si può procedere come segue: si immagini di fissare
l’attenzione in un particolare punto della funzione coseno, ad esempio
sul punto di massimo di questa, e di muoversi insieme all’onda con una
velocità tale che il punto sotto osservazione appaia “fermo” rispetto al
sistema di riferimento solidale con l’onda. Quando ciò accade, si può
scrivere
d(ωt − k · r) = 0 ,
e questa relazione indica che il punto sotto osservazione appare fermo se
in ogni intervallo di tempo infinitesimo dt ci si è spostati nello spazio di
una quantità dr tale che
ω dt − k · dr = 0
Posto ora
dr = û|dr| , k = k̂|k| ,
con û versore della direzione in cui ci si muove, si ha allora
ω dt − k̂ · û|k||dr| = 0 ⇒ ω dt − cos(θ)|k||dr| = 0 ,
|dr| ω
vf (û) = = . (7.6)
dt |k| cos(θ)
Onde evanescenti.
√
Per queste onde, come si è visto, risulta |k| > ω µ. Ne segue che in
alcune direzioni dello spazio si ha vf < cµ, . Per questa ragione le onde
7.6. COMPLETEZZA DELLE ONDE PIANE 217
∇2 E − σ 2 E = 0 , ∇2 H − σ 2 H = 0 ,
d2 Ei
= σ 2 Ei + (κ21 + κ22 ) Ei ≡ h2 Ei , h2 = σ 2 + (κ21 + κ22 ) .
dz 2
che ammette la soluzione
Ei = fi (h)e−hz ,
∇×E
∇ × E = −iωµH ⇒ H= ,
−iωµ
Im{h}
+ω µε
Re{h}
−ω µε
Figura 7.4: Valori che possono essere assunti dal parametro h nell’espansione
(7.7).
S = ik1 x̂ + iκ2 ŷ + h ẑ .
220 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
Se per semplicità si suppone ora che il mezzo nel quale è definito il campo
sia un mezzo privo di perdite, essendo κ21 ≥ 0 e κ22 ≥ 0, risulta dunque
−ω 2 µ ≤ h2 < +∞ ,
ed i valori che h può assumere sono quindi quelli disegnati in Fig.(7.4):
si tratta di tutti i punti dell’asse reale e di quei punti dell’asse imma-
√
ginario che, in modulo, sono minori di ω µ. In virtù di questo fatto,
l’espansione (7.7) indica dunque che per ottenere la completezza dell’in-
sieme di funzioni rappresentato dalla famiglia delle onde piane è neces-
sario prendere in considerazione sia le onde piane uniformi, sia le onde
piane evanescenti che si attenuano nella direzione ẑ.
x1 Onda
θt trasmessa
{µ2, ε2}
x2
{µ1, ε1}
θi θr
Onda Onda
incidente riflessa
Figura 7.5: Onda elettromagnetica che incide sulla superficie di separazione tra
due mezzi.
Onda riflessa
Si consideri dapprima l’onda riflessa. Al riguardo, si dimostrano i seguenti
fatti:
1. l’onda riflessa non può essere un’onda evanescente, ma deve nec-
essariamente essere una onda piana uniforme;
ki · r = kr · r
, r = (0, x2 , x3 ) . (7.10)
ar · r = 0 con ar = 0
Onda trasmessa
Per ciò che concerne l’onda trasmessa, si dimostra invece quanto segue:
1. l’onda trasmessa può essere evanescente, ma a tal fine è necessario
che 1 > 2 e che
n2
θi > arcsen ,
n1
dove
1 2
n1 = , n2 = ,
0 0
sono gli indici di rifrazione dei mezzi “1” e “2”, rispettivamente,
ed 0 è la permittività dielettrica del vuoto;
224 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
Dimostrazioni
ki · r = kt · r
, r = (0, x2 , x3 ) ,
at · r = 0 con at = 0
con at ·kt = 0. Nel mezzo “2” si instaura quindi un’onda dissociata il cui
vettore di attenuazione è ortogonale al piano di separazione tra i mezzi
materiali, ed il cui vettore di fase non è parallelo a questo. (Si veda la
Fig.(7.6)).
226 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
Piani equiampiezza
dell'onda trasm.
Piani equifase
2 dell'onda trasm.
θi
1
Piani equifase
dell'onda inc.
che mostra come il legame tra gli angoli non dipenda più solo dagli indici
di rifrazione, ma anche dalla conducibilità del mezzo “2”.
Un caso di particolare rilievo è quello in cui il mezzo “2” è un cosid-
detto mezzo buon conduttore, cioè un mezzo tale che
γ2 ω2 ,
lim sin(θt ) = 0 ⇒ θt = 0 ,
γ2 /ω2 →+∞
e quindi l’onda che si propaga all’interno di questo mezzo presenta dei pi-
ani equifase che tendono a ritornare a coincidere con i piani equiampiezza,
cioè l’onda diventa una onda piana uniforme che si attenua esponenzial-
mente man mano che si propaga all’interno del conduttore. Il calcolo del
7.7. RIFLESSIONE E RIFRAZIONE DI ONDE PIANE 227
valore dei moduli dei vettori di attenuazione e di fase può essere svolto
come segue: si ricorda che, come per qualsiasi altra onda piana, anche
per quella in oggetto valgono le relazioni
|E|
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 x/δ
Figura 7.7: Attenuazione del campo elettrico che penetra in un mezzo buon
conduttore.
x
Et
z
Ht y Mezzo
conduttore
Figura 7.8: Campo elettrico e magnetico trasmesso nel mezzo buon conduttore.
e solo per comodità esso è stato assunto essere polarizzato lungo l’asse
x̂ di Fig.(7.8). Il corrispondente campo magnetico è allora
(1 + i) ẑ × Et 1−i γ2 x1
Ht = = E0t exp −(1 + i) ŷ ,
iωµδ 2 πµf δ
e quindi, indipendentemente dall’angolo di incidenza, nel mezzo condut-
tore si instaura un’onda che ha impedenza d’onda in direzione ẑ
πµf
η(ẑ) = Zs = Rs + iXs = (1 + i) .
γ2
Eit ≡ Et , Hit ≡ Ht .
per poter caratterizzare la propagazione nella guida, senza che sia più
necessario considerare sia il campo nel dielettrico, sia quello nel condut-
tore.
Prima di concludere il paragrafo si vuole infine fornire una giustifi-
cazione “più fisica” (e meno matematica) del motivo per cui il campo
si attenua man mano che esso penetra nel conduttore. Si immagini a
tal fine di eseguire il seguento esperimento: si ponga una sorgente ad
alta frequenza in prossimità di un mezzo conduttore, e si indichi con E0
l’ampiezza dell’onda di campo elettrico impresso che essa impone sulla
superficie del conduttore.
y
C C' z
D
E0
A
B B'
x
x3
x2
P x1
riflessione totale.
x3
x2 kt
x2
Ht
Et
Er x1
ki x1
ki H kr
Hi r
Ei
Hi
Ei
Figura 7.9: Disposizione dei campi elettrico e magnetico per un’onda con po-
larizzazione TM.
entranti nel piano del foglio, e vengono rappresentati tramite una croce,
mentre il campo Hr esce dal foglio, ed è rappresentato da un circoletto.
Stabilita la corretta orientazione dei vettori, si possono applicare le
condizioni di continuità per i campi elettrico e magnetico in corrispon-
denza alla superficie di separazione tra i due mezzi materiali. Si noti che,
per come sono disposti i vettori campo elettrico e campo magnetico, si
applicheranno le condizioni di continuità di campo elettrico solo lungo
l’asse x1 , e le condizioni sul campo magnetico solo lungo x3 .
Continuità lungo x1 .
La componente del campo elettrico incidente che risulta parallela a
x1 è pari a Ei cos(θi ). Analogamente, le componenti lungo x1 delle onde
riflessa e trasmessa sono rispettivamente pari a Er cos(θr ) e Et cos(θt ).
Ne segue che la continuità delle componenti di campo elettrico si scrive
come
Ei cos(θi ) + Er cos(θr ) = Et cos(θt ) .
Continuità lungo x3 .
Si ricorda che, per costruzione, lungo l’asse x3 ci sono solo compo-
nenti di campo magnetico che, in accordo con la quanto visto in prece-
denza a riguardo della loro disposizione secondo la regola della mano
destra, danno luogo ad una condizione di continuità che si scrive come
Hi − H r = Ht ,
234 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
Ei Er Et
− = ,
η1 η1 η2
|Er |2 |Et |2
Wr = cos(θr ) , Wt = cos(θt ) .
2η1 2η2
La conservazione della potenza richiede che si abbia Wi = Wr + Wt
ovvero
|Ei |2 |Er |2 |Et |2
cos(θi ) = cos(θr ) + cos(θt ) .
2η1 2η1 2η2
Ricordando che θi = θr si deve allora avere anche
η1 cos(θt ) 2
1 = ρ2T M + τ ,
η2 cos(θi ) T M
x3
x2 kt
x2
Et
Ei
Ht x1
ki x1 Er
ki kr
Ei
Hi
Hi Hr
Figura 7.10: Disposizione dei campi elettrico e magnetico per un’onda con
polarizzazione TE.
dei campi elettrici e magnetici, che rispetta la regola della mano de-
stra rispetto ai vettori di propagazione, è quella illustrata in figura 7.10
e analogamente a quanto fatto in precedenza, anche in questo caso si
applicano ora le condizioni di continuità per i campi elettrico e magne-
tico in corrispondenza alla superficie di separazione tra i due mezzi semi
infiniti.
Continuità lungo x1 .
Con l’orientazione dei campi magnetici illustrata in figura 7.10, la
condizione di continuità lungo l’asse x1 si scrive come
Ei Er Et
cos(θi ) − cos(θr ) = cos(θt ) .
η1 η1 η2
Continuità lungo x3 .
In questo caso, essendo i tre vettori di campo elettrico tutti orientati
nello stesso modo, la continuità si scrive semplicemente come
Ei + Er = Et .
7.7. RIFLESSIONE E RIFRAZIONE DI ONDE PIANE 237
Con procedimento analogo a quello usato nel precedente caso dei campi
con polarizzazione TM, si ottiene ora
η2 η1
−
Er cos(θt ) cos(θi ) η2T E (x̂1 ) − η1T E (x̂1 )
ρT E = = η2 η1
= .
Ei + η2T E (x̂1 ) + η1T E (x̂1 )
cos(θt ) cos(θi )
L’angolo di Brewster
Si considerino i coefficienti ρT E e ρT M appena calcolati. Come si può
vedere, se non c’è discontinuità di indice di rifrazione, risulta ρT E =
ρT M = 0 (infatti, in questo caso θi = θt e η1 = η2 ; d’altra parte il
risultato è ovvio, visto che, se non c’è discontinuità di indice di rifrazione
non c’è ragione per cui debba generarsi un’onda riflessa). Esiste tuttavia
un caso in cui, pur essendoci discontinuità di indice di rifrazione, non
c’è onda riflessa. Si consideri infatti il caso del coefficiente di riflessione
TM
η2 cos(θt ) − η1 cos(θi )
ρT M = ,
η2 cos(θt ) + η1 cos(θi )
e si ricordi che vale
η2 µ2 /2 µ0 1 n1
= = = ,
η1 µ1 /1 µ0 2 n2
|ρT E | = 1 , |ρT M | = 1 ,
E0
h(z, t) = Re H(z)eiωt = 2 sin(ωt) sin(βz) ŷ ,
η
dove si è supposto E0 ∈ IR senza perdita di generalità. L’andamento
grafico dei campi allo scorrere del tempo è illustrato in Fig.(7.11).
Nelle espressioni dei campi le variabili temporali e spaziali compaiono
dunque separatamente, cioè negli argomenti di funzioni diverse. Come
si è già avuto modo di vedere quando si sono studiate le linee di trasmis-
sione, questo fatto rappresenta una configurazione del campo elettroma-
gnetico nel quale le onde non si spostano nello spazio allo scorrere del
tempo, ma esse danno invece luogo ad un fenomeno di pulsazione, cioè
ad una onda stazionaria.
L’analogia con il caso delle linee di trasmissione è d’altra parte evi-
dente: due onde contropropaganti di uguale ampiezza e polarizzazione
sono quelle che si trovano in una linea quando questa è chiusa su un
carico non resistivo e, come si è visto, questi carichi comportano, per
l’appunto, la formazione di un’onda stazionaria nella linea stessa.
Anche nel caso che si sta ora analizzando, inoltre, si può verificare
che i campi elettrico e magnetico sono tra loro in quadratura sia nel
tempo sia nello spazio, così come accadeva alle onde di tensione e di
corrente di una linea chiusa su un carico reattivo.
7.9. ONDE STAZIONARIE 241
e(z,t) t = t
0
t = t2
z
t = t1
h(z,t) t = t
0
t = t2
t = t1
z
Figura 7.11: Andamento nel tempo del campo elettrico e magnetico di un’onda
stazionaria.
E × H∗ |E0 |2
P= = 2i sin(2βz) ẑ ,
2 η
e
E(z)
ηOS (ẑ) = = iη cotg(βz) .
H(z)
Si può notare quanto segue
sione. Infine, si nota anche che vi sono punti dello spazio in cui
l’impedenza d’onda è nulla, ed altri nei quali essa diverge: questi
punti sono, rispettivamente, i punti nei quali si annulla il campo
elettrico o quello magnetico, cioè, con la stessa terminologia usata
nelle linee di trasmissione, sono i punti nei quali cadono i nodi del
campo elettrico o del campo magnetico.
n3
d n2
n1
n1 n2 n2
τ12 = 2 , τ21 = 2 , τ23 = 2 ,
n1 + n2 n1 + n2 n 2 + n3
dove si è indicato con ρ12 il coefficiente di rflessione per il passaggio dal
mezzo con indice n1 al mezzo con indice n2 , ed una simbologia analoga
è poi anche usata per tutti gli altri coefficienti.
Come illustrato nella Fig.(7.13), l’onda trasmessa nel mezzo con in-
dice n3 è costituita dalla somma di più termini, che risultano, rispetti-
vamente
... ,
2(n−1) 2(n−1) −i(2n+1)β2 d
Etn = E0 τ12 τ23 ρ23 ρ21 e ,
7.10. MEZZI DIELETTRICI MULTISTRATO 245
τ23
ρ23
d n2
ρ21
τ12
E0 Er1 Er2 n1
Er0
e vale dunque
!
+∞
τ12 τ23 e−iβ2 d
Et = Etn = E0 . (7.15)
n=1
1 − ρ23 ρ21 e−2iβ2 d
Er0 = E0 ρ12 ,
... ,
(n−1) −i2nβ2 d
Ern = E0 τ12 τ21 ρn23 ρ21 e ,
Strato a mezzo’onda.
Il primo caso che si considera è quello di un mezzo nel quale lo strato
con indice n2 ha dimensione
λ0
d= ,
2 n2
cioè il suo spessore è pari a metà della lunghezza d’onda che la radiazione
presenta in corrispondenza all’indice di rifrazione n2 . È facile verificare
che in questo caso le (7.15,7.16) risultano rispettivamente
n1 n1 − n3
Et = −2 E0 , Er = E0 ,
n1 + n3 n1 + n3
η1 η2 η3
η1 η3
n2 n 1 n1 n3 − n22
Et = −2i E0 2 , Er = E0 .
n 2 + n 1 n3 n1 n3 + n22
η22
Req = ,
η3
ed il coefficiente di riflessione è dunque
Req − η1 n1 n3 − n22
ρ= = ,
Req + η1 n1 n3 + n22
√
ed esso si annulla, per l’appunto, quando n2 = n1 n3 .
Come si accennava all’inizio del paragrafo, questa tecnica di adatta-
mento trova impiego nella pratica, in particolare nel campo dell’ottica
e dell’optoelettronica, quando si vuole accoppiare della radiazione a dei
dispositivi realizzati su substrati di semiconduttore. I semiconduttori
hanno infatti indici di rifrazione che, tipicamente, sono nell’ordine di
n 3 ÷ 3.5, e darebbero quindi luogo ad una forte riflessione per un
fascio luminoso che incida su di essi provenendo dall’aria. Per evitare
che ciò accada, si usa depositare sulla faccia di ingresso del dispositivo a
248 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
∆ω
vg = .
∆β
∇ × E = −iωµ(ω) H ,
∇ × H = iω(ω) E .
−iβ(ω) k̂ × E = −iωµ(ω) H ,
−iβ(ω) k̂ × H = iω(ω) E .
dβ dE ∂(ωµ) ∂H
−i k̂ × E − iβ k̂ × = −i H − iωµ ,
dω dω ∂ω ∂ω
dβ dH ∂(ω) ∂E
−i k̂ × H − iβ k̂ × = +i E + iω .
dω dω ∂ω ∂ω
7.11. VELOCITÀ DI GRUPPO 251
Si noti che nel caso in cui la propagazione avvenga per onde piane
in un mezzo non dispersivo con parametri e µ, la velocità di gruppo è
1 1
vg = = √ = cµ ≡ vf ,
d √ µ
(ω µ)
dω
cioè essa coincide con la velocità di fase. Questa osservazione spiega il
motivo per cui la quantità cµ viene indicata con il nome di velocità della
luce, senza che venga posta alcuna enfasi particolare sul fatto che essa
sia la velocità di fase o quella di gruppo.
Va tuttavia sottolineato che il fatto che la definizione non dia adito
ad ambiguità è una peculiarità della propagazione per onde piane, legata
essenzialmente al fatto che per questo tipo di onde le due velocità coinci-
dono; tuttavia, questa proprietà non è assolutamente una caratteristica
generale dell’elettromagnetismo perchè, come si avrà modo di apprez-
zare meglio nel seguito, le due velocità sono in generale diverse tra loro,
e ciò che si riscontra è che la velocità di fase può essere indifferentemente
maggiore, minore o uguale a cµ , mentre deve necessariamente risultare
vg ≤ cµ ,
per non violare la teoria della relatività, che, come si usa dire con lin-
guaggio improprio, afferma che “la velocità di propagazione non può
superare la velocità della luce”.
Sulla scorta delle nozioni che si sono qui esposte, si può riconoscere
che questo modo di enunciare il risultato relativistico è poco preciso,
perchè quella che si usa indicare con il termine di velocità della luce è
in realtà la velocità di un’onda piana in un mezzo con parametri µ ed
, ed il risultato della teoria della relatività andrebbe allora enunciato
più correttamente dicendo che ogni onda elettromagnetica che non sia
un’onda piana deve trasportare la sua energia con una velocità che non
può eccedere quella dell’onda piana uniforme.
∂ 2 ψ̂(ω, r)
= −β 2 (ω) ψ̂(ω, r) , k0 = β0 ẑ ,
∂z 2
e vale quindi anche
∂ 2 Â(ω, z) ∂ Â(ω, z) 2
+ 2iβ0 = β0 − β 2
(ω) Â , β0 = β(ω0 ) ,
∂z 2 ∂z
dove si è indicata con Â(ω, z) la traformata di Fourier di A(t, z). Poichè
si è supposto che A sia lentamente variabile, si può trascurare la derivata
seconda rispetto a z e semplificare l’equazione per  nella forma
∂ Â(ω, z) i
= +iβ1 (ω − ω0 )Â + β2 (ω − ω0 )2 Â . . . ,
∂z 2
di modo che quando si antitrasforma e si usa il fatto che alla molti-
plicazione per il fattore (ω − ω0 ), corrisponde, nel dominio del tempo,
l’operatore +i∂/∂t, si ottiene infine l’equazione di evoluzione cercata,
che si scrive come segue
∂A(t, z) ∂A(t, z)
+ β1 =0 ,
∂z ∂t
ed essa è risolta da un campo con un qualsiasi profilo temporale,
purchè in esso le variabili spazio e tempo appaiano nella forma
Si ritrova così il fatto che β1 è pari all’inverso della velocità con cui
si sposta la modulazione del campo, così come era stato mostrato
nel paragrafo precedente.
∂u(τ, z) i ∂ 2 u(τ, z)
+ β2 =0 , u(τ, z) = u(t−β1 z, z) . (7.22)
∂z 2 ∂τ 2
Questa equazione, che è detta equazione di Schrödinger, è una
equazione di fondamentale importanza nello studio dei fenomeni
ondulatori e, oltre che nel campo dell’elettromagnetismo, essa è
ampiamente utilizzata anche nella meccanica quantistica, dove
consente di modellare in termini probabilistici il moto di una par-
ticella non soggetta a forze esterne.
Per ciò che concerne l’effetto che si vuole qui illustrare, cioè la
distorsione dell’inviluppo del campo, è ora opportuno non tentare
di procedere in modo del tutto generale, ma concentrare invece
l’attenzione su un caso particolare che ha il pregio di consentire
una valutazione in forma chiusa di tutti i calcoli di rilievo. Questo
caso è quello di un campo che presenti un profilo temporale iniziale
della modulazione di ampiezza di tipo gaussiano:
#
τ2
u(τ = 0, z) = U0 exp − 2 .
2 T0
∂ û(Ω, z) i
− β2 Ω2 û(Ω, z) = 0 , Ω = ω − ω0 ,
∂z 2
256 CAPITOLO 7: ONDE PIANE
da cui, antitrasformando,
i
#
U0 e 2 arctan{D(z)} τ 2 1 + iD(z)
u(τ, z) = exp − , (7.23)
4
1 + D2 (z) 2 T02 1 + D2 (z)
β2 z
D(z) = .
T02
T02
LD = ,
|β2 |
Antenne
2L
v(t)
Figura 8.1: Antenna filiforme alimentata nel gap da una tensione v(t).
261
262 CAPITOLO 8: ANTENNE
z
r
θ P
y
ϕ
x
Figura 8.2: Dipolo corto con i sistemi di coordinate cartesiane ortogonali e
sferiche.
∇2 A − σ 2 A = −µJi , (8.1)
264 CAPITOLO 8: ANTENNE
con δ(·) la funzione di Dirac, utilizzata qui perchè si assume che il filo
di corrente abbia sezione trascurabile nel piano {x, y}.
Proiettando la (8.1) sui tre assi del sistema di coordinate cartesiane
si ottiene
∇2 Ax − σ 2 Ax = 0 ,
∇2 Ay − σ 2 Ay = 0 ,
∇2 Az − σ 2 Az = −µIδ(x)δ(y)f (z) .
∇2 Az − σ 2 Az = −µIδ(r) , (8.2)
H = Hϕ ϕ̂ , E = Eθ θ̂ + Er r̂ ,
8.1. DIPOLO ELEMENTARE 265
con
sin(θ)e−σr σ 1
Hϕ = I ∆z + 2 , (8.4)
4π r r
sin(θ)e−σr σ 1 1
Eθ = Z0 I ∆z + 2+ 3 , (8.5)
4π r r σr
cos(θ)e−σr 1 1
Er = Z0 I ∆z + , (8.6)
2π r2 σr3
σ 2π 1
=i e ,
r λr r2
e pertanto, se accade che il punto nel quale interessa valutare il
campo è posto ad una distanza r λ dalla sorgente, è lecito
trascurare il termine 1/r2 rispetto a 2π/rλ, e dunque approssimare
l’espressione del campo magnetico con la seguente
I ∆z
Hϕ i sin(θ) e−σr . (8.7)
2λr
In maniera analoga, il campo elettrico può essere approssimato
come segue
E = Z0 Hϕ iZ0 I ∆z sin(θ) e−σr
θ ,
2λr (8.8)
Er 0 .
dove Z0 = µ0 /0 è l’impedenza d’onda del vuoto (ovvero del
mezzo che circonda l’antenna).
266 CAPITOLO 8: ANTENNE
|I|2 (∆z)2 1 λ 1
P= 2
Z0 sin2 (θ) 2 − i r̂ ,
4λ r 2πr r2
π ∆z λ
W = Z0 |I|2 1−i . (8.9)
3 λ 2πr
1
Il vettore di Poynting contiene in realtà anche una componente diretta lungo θ,
ma questa non conta ai fini della potenza irradiata.
2
Si ricorda che l’integrale su una superficie sferica va operato come segue:
2π π
f (r, θ, ϕ) dSup.sf. = r2 dϕ dθ sin(θ) f (r, θ, ϕ)
Sup.sf. 0 0
Il limite statico
Volume V
+q
Dz
-q
Figura 8.3: Disposizione del dipolo e del volume V per la definizione del campo
nel limite statico.
Si ottiene
−I + iωq = 0 ,
si ottiene allora
U 1 iβ (iβ)2
Hϕ = + sin(θ) e−iβr , (8.10)
4π Z0 r2 r
U 1 iβ (iβ)2
Eθ = + + sin(θ) e−iβr , (8.11)
4π r3 r2 r
U 1 iβ
Er = + 2 cos(θ) e−iβr . (8.12)
2π r3 r
Si noti in particolare che, se ω → 0, si ha Hϕ → 0, ed il campo elet-
trico si riduce a quello ben noto dai corsi di Elettrotecnica, con la sola
dipendenza dall’inverso del cubo della distanza.
µ I ∆z −iβr
A= e ẑ .
4π r
La corrispondente grandezza nel dominio del tempo è allora
ẑ µ e−iβr
a(r, t) = I(ω)∆z eiωt dω =
2π 4π r
µ exp iω t − rc
= ẑ 2 ∆z I(ω) dω .
8π r
Si osservi che, per passare dalla prima alla seconda di queste espressioni
è necessario assumere che il mezzo in cui avviene la propagazione sia
un mezzo non dispersivo, altrimenti non è vero che vi è una dipendenza
lineare di β da ω.
Si ponga ora
1
i(t) = I(ω) eiωt dω .
2π
270 CAPITOLO 8: ANTENNE
Si ottiene così
µ i t − rc ∆z
a(r, t) = ẑ .
4π r
Nel dominio del tempo, il potenziale vettore ha dunque la forma di
un’onda sferica che si propaga nel verso delle r crescenti: infatti, il
valore di corrente che era presente ad un dato istante t sull’antenna viene
ritrovato ad una distanza r da essa dopo che è trascorso un intervallo di
tempo pari a r/c. Per questa ragione, il potenziale a(r, t) viene anche
indicato con il nome di potenziale ritardato.
Si osservi anche che questa interpretazione fornisce una ulteriore
giustificazione al motivo per cui, nel derivare la (8.3) si è posto a zero
il termine che dipende da exp{+iβz} (si veda l’Appendice 1 di questo
capitolo): questo darebbe luogo ad un termine del tipo i(t + rc ), e cioè
ad un termine che comparirebbe alla distanza r nell’istante temporale
−r/c, e cioè “prima dell’accensione” della corrente. Si tratterebbe al-
lora di un potenziale anticipato, che deve essere trascurato in virtù del
principio di causalità.
e
1 u (t∗ ) u (t∗ )
hϕ (t) = sin(θ) + . (8.15)
4πr r c
Parallelamente a quanto accade nel dominio della frequenza, anche
qui si riscontra la presenza di termini che hanno diverse dipendenze
dalle coordinate spaziali ed allora, per fornire una più chiara visione dei
fenomeni che entrano in gioco, conviene abbandonare una trattazione
del tutto generale, e concentrarsi invece su un caso particolare, quello
di un dipolo alimentato con un momento la cui espressione consenta di
eseguire i calcoli in forma chiusa. Si scelga, ad esempio,
t2
u(t) = u0 exp −2 2 .
T
Si ottiene così
4t 4 4t2
u (t) = − 2 u(t) , u (t) = 2 −1 ,
T T T2
e quindi
2
2Z0 u(t∗ ) cT cT t∗
er (t) = −4 cos(θ) ,
4πrcT 2 r r T
2
2
Z0 u(t∗ ) 4t∗ cT t∗ cT
eθ (t) = −4 −4 + sin(θ) ,
4πrcT 2 T r T r
2
u(t∗ ) 4t∗ cT t∗
hϕ (t) = −4 −4 sin(θ) .
4πrcT 2 T r T
Ji = qδ(x)δ(y)e−iωz/v ẑ ,
µ −iωξ/v exp{−iωnd/c}
dA = qe ∆z ẑ
4π d
dove n è l’indice di rifrazione del mezzo che circonda il conduttore elet-
trico, e
d = ρ2 + (z − ξ)2 ,
è la distanza del punto P dall’elemento di corrente considerato.
Il potenziale vettore dovuto alla corrente dell’intero filo è allora
ξ n 2
+∞ exp −iω + ρ + (z − ξ)2
µq v c
A= ẑ dξ ,
4π −∞ ρ2 + (z − ξ)2
cui corrisponde, nel dominio del tempo,
u + z n 2
+∞ δ t− − ρ + u2
µq v c
a = 2 ẑ du 2π ,
8π −∞ ρ2 + u2
274 CAPITOLO 8: ANTENNE
avendo supposto che il mezzo sia non dispersivo, di modo che n non
dipende da ω.
Analizziamo ora il comportamento della funzione
di Dirac all’interno
dell’integrale, e poniamo a tal fine w = u+(nc/v) ρ2 + u2 . La funzione
è allora
1
δ vt − z − w ,
v
ed il suo argomento si annulla per w = vt − z = z0 − z , z0 essendo la
posizione della particella al tempo t. Occorre distinguere due casi:
• caso sub-relativistico: (nv/c) < 1, ovvero v < c/n, e quindi il
caso di una particella che si muove con velocità inferiore alla ve-
locità della radiazione elettromagnetica nel mezzo considerato. Al
variare di u da meno infinito a più infinito, anche w cambia con
continuità tra questi estremi e quindi, qualsiasi sia la posizione
iniziale z0 , è sempre possibile trovare un valore di z che annulli
l’argomento della funzione di Dirac. Ne segue che il potenziale
vettore è diverso da zero in tutti i punti dello spazio.
Ciò che rimane da chiarire, ora, è che cosa rappresenti Um dal punto
di vista fisico: infatti, mentre nel caso del dipolo elettrico è semplice
definire il momento Ue , che è dato dal prodotto di una carica per una
lunghezza, la stessa cosa non si può dire per Um , dal momento che non
esiste una carica magnetica elementare.
Quello che è possibile fare, tuttavia, è costruire un dipolo magnetico
equivalente e ciò che si dimostra qui di seguito è che questo può essere
ottenuto se si realizza una antenna a spira di corrente.
La dimostrazione procederà come segue: per semplicità dei calcoli, ci
si limiterà al caso statico, e si considererà una spira di raggio R percorsa
da una corrente I (si veda la Fig.(8.4)). Utilizzando la sovrapposizione
degli effetti, e le conoscenze che sono state acquisite nel corso dello studio
del comportamento del dipolo elettrico, si calcolerà il campo prodotto
dalla spira, che verrà pensata come la giustapposizione di tanti condut-
tori elettrici di lunghezza infinitesima, disposti a formare un cerchio.
Per confronto con le (8.16–8.18), ridotte al loro limite statico, si vedrà
allora che la spira di corrente si comporta effettivamente come un dipolo
magnetico equivalente di opportuna ampiezza, e si potrà così inferire che
le (8.16–8.18) sono le espressioni dei campi prodotti, anche al di là del
limite statico, da una distribuzione circolare di corrente.
276 CAPITOLO 8: ANTENNE
z
r
θ P P = (r,θ,ϕ)
r1 Q = (R,π/2,ϕ1)
Q y
ϕ1
x
Figura 8.4: Spira di corrente in un sistema di coordinate sferiche.
µ IRdϕ1
dA = ϕ̂1 ,
4π r1
r1 come segue:
r1 r − R cos(ϕ − ϕ1 ) sin(θ) .
Si ottiene così
µIR R
dA 1 + cos(ϕ − ϕ1 ) sin(θ) ϕ̂1 dϕ1 . (8.19)
4πr r
Il potenziale vettore dovuto all’intera distribuzione di corrente può ora
essere ottenuto semplicemente, integrando la (8.19) su tutta la spira. A
tal fine conviene scomporre dA nelle sue componenti cartesiane, otte-
nendo (si veda la Fig.(8.5))
y
dA dAx = -dA sin(ϕ1)
ϕ1
dAy = dA cos(ϕ1)
ϕ1
x
espressioni che coincidono con le (8.16–8.18) ridotte nel loro limite statico,
a patto che si ponga
Um = πµIR2 = µIS ,
x
|Um|=Z0|Ue|
Um
z
y Ue
JS = ẑ × H = −H0 x̂ , MS = E × ẑ = −E0 ŷ ,
∇×A 1 µI e−σr
H= = ∇× â ,
µ µ 4π r
I −iβr
H −i e r̂ × â .
2λr
Nel caso che si sta analizzando qui, la corrente elettrica è pari a I =
−E0 ∆x∆y/Z0 x̂ e quindi il contributo al campo magnetico che deriva
dal dipolo elettrico è
1 E0 ∆S −iβr
HDE = −i ,e r̂ × (−x̂) , ∆S = ∆x∆y .
Z0 2λr
Analogamente, una distribuzione di corrente magnetica dà luogo ad un
contributo di campo elettrico che vale
E0 ∆S −iβr
EDM = +i e r̂ × (−x̂) ,
2λr
e dunque il campo elettrico totale prodotto dalla sorgente di Huygens
risulta dato dalla seguente espressione (nota anche come formula di Sil-
ver):
E = EDM + Z0 HDE × r̂ =
E0 ∆S −iβr
= i e 1 + cos(θ) cos(ϕ)θ̂ − sin(ϕ)ϕ̂ .
2λr
Si osservi che, per θ = π, vale E ≡ 0: l’antenna di Huygens non
irradia posterioremente.
q'
+L
q r' P
dx r
x
-L
I(ξ) dξ dEθ
dEθ iZ0
sin(θ ) e−iβr , dHϕ = , (8.20)
2λr Z0
usata in precedenza perchè esso agisce sulla fase del campo, non
sulla sua ampiezza. In altre parole, questo termine rende conto
della fase con cui l’onda irradiata dalla coordinata ξ raggiunge il
punto P , e poichè la fase evolve sulla scala della lunghezza d’onda,
non è più possibile trascurare la posizione ξ da cui l’onda viene irra-
diata perchè, come detto, questa può essere proprio dello stesso or-
dine di grandezza di λ. In prima approssimazione, si deve dunque
tenere almeno il primo termine dell’espansione di Taylor, e scrivere
allora4
βr βr − βξ cos(θ) .
βξ 2 L2
1 ⇒ r .
r λ
Questa regione dello spazio viene detta zona di Fraunhofer ed occorre porre attenzione
al fatto che non è detto che la zona di Fraunhofer sia sempre racchiusa nella zona di
Fresnel, e dunque che l’approssimazione proposta sia valida. Ciò dipende, essenzial-
mente, dalle dimensioni dell’antenna e dalla lunghezza d’onda del campo irradiato.
Nelle applicazioni alle radiofrequenze, ad esempio, si ha tipicamente f 100 MHz,
ovvero λ 3 m, e L 1 m di modo che
rFresnel 1 m , rFraunhofer 10 cm ,
rFresnel 1 µm , rFraunhofer 1 m ,
dove si è approssimato θ con θ ancora una volta in virtù del fatto che
il punto di osservazione P è a grande distanza dall’antenna.
Si osserva dunque un fatto di rilievo: per poter calcolare il campo
irradiato da un’antenna di lunghezza generica è necessario conoscere il
modo in cui la corrente I(ξ) si distribuisce su di essa, e questo è un punto
tutt’altro che banale perchè, come si diceva all’inizio del capitolo, questa
corrente dipende sia dal generatore, sia dallo stesso campo irradiato, e
cioè essa non può essere assunta come un dato del problema, ma va
invece calcolata.
Esistono due diverse metodologie utili a questo calcolo:
z a
L
a 2+(z-x)2
x
V0
2a
1 ∂ 2 Az ω ∂ 2 Az
Ez = −iωAz + = −i + β 2 Az .
iωµ ∂z 2 β 2 ∂z 2
Ez = −V0 δ(z) ,
286 CAPITOLO 8: ANTENNE
ω ∂ 2 Az
−V0 δ(z) = −i 2 + β 2 Az .
β ∂z 2
I0
z=0 z
e dunque
sin(βz)
I(z) = −I0 .
sin(βL)
Operiamo ora un cambio di coordinate per rappresentare il caso
dell’antenna, e poniamo z = ξ−L per ξ > 0, e z = −ξ−L per ξ < 0
(perchè nell’aprire i due tratti di linea in modo che essi si presentino
come un’antenna filiforme, occorre tener conto che in uno dei bracci
dell’antenna la corrente fluisce in verso opposto rispetto a quello
che faceva nella corrispondente linea di trasmissione).
I0
z=0 z=-L z=-L z=0
ξ= −L ξ= 0
-
ξ= 0
+
ξ=L ξ
e quindi, in definitiva,
sin β(L − |z|)
I(z) = I0 ,
sin(βL)
in accordo con la (8.27). Il fatto che vi sia questa perfetta co-
incidenza illustra però un aspetto di rilievo: infatti, quando si è
studiata la propagazione nelle linee di trasmissione si è sottoli-
neato come quello studio fosse valido nell’ipotesi che non vi fosse
alcuna irradiazione da parte della linea. Al contrario, in questa
sede lo studio viene effettuato proprio per descrivere l’emissione da
parte di una distribuzione di corrente, ed il fatto che i due risultati
coincidano significa che almeno una delle due trattazioni (ma in
realtà entrambe) è approssimata. Come si è già avuto modo di
dire, nell’ambito dell’equazione di Hallen l’approssimazione deriva
dal fatto di avere arrestato la procedura iterativa al solo primo or-
dine, ed il risultato che si ottiene non è per nulla soddisfacente se si
guarda all’impedenza di antenna, e dunque alla potenza irradiata
perchè, di fatto, si tratta l’antenna come una linea di trasmissione
che non irradia.
Si mostra ora l’utilizzo del risultato fornito dall’equazione di Hallen
per il calcolo della corrente in alcune antenne di particolare rilievo.
Antenna corta
È un’antenna per la quale vale
βL 1 .
Ne segue che, nell’espressione (8.27) che dà l’andamento della corrente,
si può approssimare la funzione seno con il suo argomento, di modo che
si ottiene
βL − β|z| |z|
I(z) I0 = I0 1 − .
βL L
La corrente ha dunque un andamento triangolare, che converge a zero
sugli estremi dell’antenna, come illustrato nella Fig.(8.11).
Nota la distribuzione di corrente, è possibile utilizzare la (8.21) per
valutare il campo irradiato dall’antenna, che risulta
−iβr +L
E = iZ sin(θ) e |ξ|
θ 0 I0 1 − e−iβξ cos(θ) dξ
2λr −L L ,
Hϕ = Eθ /Z0
292 CAPITOLO 8: ANTENNE
I(z)
-L +L z
Figura 8.11: Antenna corta con distribuzione triangolare di corrente.
I0 L
Eθ iZ0 sin(θ) e−iβr .
2λr
Dunque, l’antenna corta si comporta come un dipolo corto, ma di metà
lunghezza. Ciò è dovuto al fatto che, mentre nel dipolo corto la corrente
è costante su tutta la lunghezza (infinitesima) dell’antenna, qui la cor-
rente ha distribuzione triangolare, ed i diversi punti dell’antenna non
contribuiscono alla formazione del campo nello stesso modo.
È ora interessante valutare il comportamento dell’antenna anche nel
dominio del tempo. Infatti, la distribuzione della corrente
|z| 2πV0
I(z) = I0 1 − =i β(L − |z|) ,
L Z0 Ω
2πL
I0 = i ωV0 ,
Ω
ovvero, nel dominio del tempo
Antenna marconiana
È una antenna largamente utilizzata nel campo delle basse frequenze:
essa è costituita da un filo metallico, corto rispetto alla lunghezza d’onda,
che viene disposto veritcalmente al suolo, ed alimentato usando il suolo
come riferimento.
L
V(t) I(z)
Antenna a L rovesciata
z
b
L
V(t)
Antenna λ/2
I(z)
-λ/4 +λ/4 z
Figura 8.14: Antenna a λ/2 con la sua distribuzione di corrente.
È evidente che il più delicato tra i due passi è il primo, giacchè una
volta che questo è stato risolto, il secondo discende automaticamente, ed
ai fini della sua risoluzione conviene avvalersi del teorema di equivalenza,
che afferma quanto segue: considerata una regione di spazio sede di
un campo elettromagnetico sostenuto da certe sorgenti, e racchiuse le
sorgenti dentro ad una superficie arbitraria S, orientata dalla normale
esterna n̂, nulla cambia all’esterno di S se si spengono le sorgenti del
campo e le si sostituisce con le densità superficiali di corrente
JS = n̂ × Htan , MS = Etan × n̂ ,
• Approssimazione di Bethe
Questa approssimazione viene utilizzata nella situazione comple-
mentare alla precedente, e cioè quando la lunghezza d’onda della
radiazione è molto maggiore delle dimensioni dell’apertura. Il caso
tipico in cui ciò avviene è quello illustrato dalla Fig.(8.15), che
mostra un’antenna a fessure, ottenuta realizzando delle fessure
longitudinali disposte lungo una guida d’onda di larghezza6 λ/2.
L’approssimazione di Bethe consiste, essenzialmente, nel ritenere
che le fessure non vi siano: in questo modo, la guida è costituita
ovunque da un conduttore elettrico perfetto, e quindi si ha MS ≡ 0
dappertutto, mentre si ha JS = 0 sulle fessure, ed il valore di
5
In realtà, è stato dimostrato che l’approssimazione vale anche per dimensioni di
apertura comparabili con la lunghezza d’onda, ma solo quando si calcola il valore del
campo nei punti in cui esso è massimo.
6
Si osservi che le fessure vanno praticate vicino ai bordi, perchè al centro della
guida esse non alterano significativamente il campo, e dunque non danno luogo ad
irradiazione.
298 CAPITOLO 8: ANTENNE
λ/2
z
r
q P
y
j
x
dove
h2 = κ2x + κ2y − ω 2 µ , (8.29)
è la componente del vettore d’onda che è allineata lungo l’asse z, e
Ê(κx , κy ) è lo spettro di onde piane (del campo sul piano z = 0), dato
da
Ê(κx , κy ) = dx dy E(x, y, z = 0) exp{iκx x + iκy y} . (8.30)
0 0 0
-1 -1
κx0 κx -1
κx0 κx κx0 κx
∂φ κx
= ux − uz ,
∂κx ω 2 µ − κ2x − κ2y
∂φ κy
= uy − uz ,
∂κy ω 2 µ − κ2x − κ2y
ed annullarle, per trovare che detto punto è quello individuato dai valori
κx0 e κy0 tali che
u κx0 κx0
x
= =
uz ω 2 µ − κ2x0 − κ2y0 κz0
uy κy0 κy0 , (8.32)
= =
z
u ω µ − κx0 − κy0
2 2 2 κz0
e dunque per
√ √ √
κx0 = ux ω µ , κy0 = uy ω µ , κz0 = uz ω µ . (8.33)
dove
1 ∂2φ 1 ∂2φ
ξ(κx , κy ) = (κ x − κ x0 )2
+ (κy − κy0 )2 +
2 ∂κ2x 2 ∂κ2y
∂2φ
+ (κx − κx0 )(κy − κy0 ) + . . . .
∂κx ∂κy
1. nel passare dalla (8.31) alla prima delle (8.34), lo spettro di onde
piane Ê(κx , κy ) è stato portato al di fuori del doppio integrale,
ed è stato valutato nel solo punto di fase stazionaria, κx = κx0 ,
κy = κy0 . Ciò è stato fatto in virtù di quanto si è osservato più
sopra, e cioè del fatto che tutti i termini dello spettro con vettori
d’onda differenti da κx0 e κy0 vengono mediati a zero dal termine
esponenziale;
I0 h(θ, ϕ) −iβr
E∞ (r, θ, ϕ) ≡ E(r → ∞, θϕ) = iZ0 e , (8.35)
2λr
dove la funzione h(θ, ϕ) è complessa, ha le dimensioni di metri, e
prende il nome di altezza (o lunghezza) efficace in trasmissione.
z z
a) r b) r
θ0 P θ0 P
y y
ϕ ϕ
x x
Per ora tuttavia, risulta utile definire alcuni altri parametri di in-
teresse; infatti, sia l’altezza efficace sia il vettore di radiazione sono
quantità complesse e vettoriali e, come tali, esse offrono una rappre-
sentazione molto completa del campo, perchè ne forniscono ampiezza,
fase e polarizzazione. In molte applicazioni, però, queste informazioni
sono addirittura sovrabbondanti, perchè spesso basta la sola conoscenza
del modulo del campo e, per questa ragione, viene introdotto il solido di
direttività dell’antenna, che è definito come segue:
|E(r, θ, ϕ)| 4πr2 |f (θ, ϕ)|2 4π
D(θ, ϕ) = lim = 2π π =
r→∞
|E(r, θ, ϕ)|2 dS dϕ 2
dθ|f (θ, ϕ)| sin(θ)
S(r) 0 0
|h(θ, ϕ)|2 4π
= 2π π , (8.36)
2
dϕ dθ|h(θ, ϕ)| sin(θ)
0 0
308 CAPITOLO 8: ANTENNE
180 0 0.5
a Da'
210 330
240 300
270 -180 -90 0 90 180
Angolo a
|E∞ |2 2
Ir (θ, ϕ) = r .
2Z0
Si osservi che, poichè per definizione si ha |E∞ (r, θ, ϕ)| ≤ |Emax |, risulta
DM ≥ 1 e DM = 1 solo per un’antenna che sia idealmente isotropa (cioè,
per un’antenna puntiforme). La direttività consente il calcolo imme-
diato della densità di potenza irradiata dall’antenna nella sua direzione
di massimo: si ha infatti
|E∞ (r, θ, ϕ)|2 dS
|Emax |2 |Emax |2 4πr2 S(r)
Smax (r) = = =
2Z0 2Z0 4πr2 |E (r, θ, ϕ)|2 dS
∞
S(r)
Pirr
= DM , (8.38)
4πr2
dove Pirr è la potenza totale irradiata dall’antenna. Questo risultato si
può leggere come segue: se l’antenna fosse isotropa, la densità di potenza
sarebbe uguale in ogni direzione dello spazio, e pari al rapporto tra la
potenza irradiata e la superficie sferica su cui essa viene valutata perchè
l’antenna isotropa irradia un’onda che è perfettamente sferica. Se invece
si usa un’antenna non isotropa, la densità di potenza nella direzione di
massimo aumenta di un fattore che è proprio pari alla direttività.
Si osservi anche che, dividendo e moltiplicando la (8.37) per 4πr2 , si
può riscrivere la direttività nella forma di un rapporto di potenze:
P0
DM = .
Pirr
Si ottiene quindi
2Z0 4πr2 |Emax |2 λ2 |f (θ, ϕ)|2 2λ2
|h(θ, ϕ)|2 = = P 0 |f (θ, ϕ)|2 =
2Z0 |I0 |2 Z02 π|I0 |2 Z02
2λ2
= Pirr DM |f (θ, ϕ)|2 =
π|I0 |2 Z02
1 2λ2
= Rirr |I0 |2 DM |f (θ, ϕ)|2 ,
2 π|I0 |2 Z02
da cui discende subito
Rirr DM
|h(θ, ϕ)| = λ |f (θ, ϕ)| . (8.39)
πZ0
I vettori h e f hanno dunque ugual direzione e verso, ma diverso mo-
dulo, ed il rapporto tra i moduli dipende dalla lunghezza d’onda, dalla
resistenza di radiazione e dalla direttività dell’antenna.
Si osservi anche che, se la (8.39) viene valutata nella direzione di
massimo dove, per definizione vale f (θmax , ϕmax ) = 1, si ottiene
πZ0
Rirr DM = |h(θmax , ϕmax )|2 , (8.40)
λ2
relazione che lega tra loro la direttività e la resistenza di radiazione at-
traverso il modulo dell’altezza efficace, valutato nella direzione di mas-
sima irradiazione.
Si osservi infine che, se l’antenna ha perdite, vale una relazione
analoga alla precedente, nella quale però compaiono il guadagno in
potenza al posto della direttività, e la resistenza di ingresso al posto
della resistenza di radiazione:
πZ0
Ri G = 2 |h(θmax , ϕmax )|2 .
λ
Ora che si sono definiti tutti i parametri di interesse, se ne analizzano
alcuni esempi relativi ad antenne di particolare riguardo.
h(θ, ϕ) = L sin(θ) θ̂ .
I(z) = I0 cos(βz) ,
os ( θ)
2dc
Um (iβ)2 πR2 I0 β
Hθ = sin(θ) e−iβr = − sin(θ), e−iβr ,
4πµ r 2λr
πR2 I0 β
Eϕ = −Z0 Hθ = Z0 sin(θ) e−iβr ,
2λr
dove R è il raggio della spira. Ne segue dunque
q
+ l/4
I(z) 1
- l/4
2 e−iβr
Emax = i Z0 I0 .
λβr
8.5. PARAMETRI IN TRASMISSIONE 317
z z
2L = l 2L = 3l/2
q q
+ l/2 + 3l/4
1 1
I(z) I(z)
- l/2 - 3l/4
e si ottiene
cos βL cos(θ) − cos(βL)
f (θ, ϕ) = θ̂ ,
sin(θ) 1 − cos(βL)
-L +L z
I(z) = I0 e−iβz , −L ≤ z ≤ L .
Il campo irradiato è
I0 −iβr sin βL(1 − cos(θ))
Eθ = i Z0 e sin(θ) ,
2λr 1 − cos(θ)
ed i massimi del vettore di radiazione si hanno per
π
βL(1 − cos(θ)) = (2k + 1) , k = 0, 1, . . . ,
2
con k che può arrivare fino al valore in corrispondenza al quale βL ≥
(2k + 1)π/2. Il numero di massimi aumenta all’aumentare di L/λ ed il
massimo assoluto si ha in corrispondenza al minimo degli θ.
8.5. PARAMETRI IN TRASMISSIONE 319
x x
R = 2l R = 20l
+ a/2 + a/2
z z
- a/2 - a/2
attenuate.
1
D
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0 2 4 6 8 10
R
h(θ, ϕ) = L sin(θ) θ̂ ,
si ottiene
4π 4π 3
DM = 2π π = = .
3 8π/3 2
dϕ dθ sin (θ)
0 0
A Zi
ZL ZL
A' V0
A'
z z Ei
a) b)
A
Ei A
ZL ZL
A' y A' y
x x
Figura 8.29: Antenna di ricezione eccitata da un’onda piana.
ZL ZL
VL = VAA = V0 = Ei · hr ,
Zi + ZL Zi + ZL
VL Ei · hr
IL = = ,
ZL Zi + ZL
|Ei |2
Wi = .
2Z0
Patt Patt
Aeff = = 2 .
Wi |Ei |/2Z0
z Ei
Hi
θ
ki
y
ϕ
x
ht = L sin(θ) θ̂ .
Per ciò che concerne la ricezione, si può considerare una struttura come
quella appena descritta, e supporre, almeno inizialmente, che essa sia
investita da un campo elettrico polarizzato rettilineamente e parallelo
all’asse del filo. Il dipolo è elementare se le dimensioni di tutti i compo-
nenti (piatti e filo metallico) sono molto inferiori alla lunghezza d’onda
e, quando questo accade, è lecito applicare concetti di tipo statico, e
parlare di differenza di potenziale tra i due piatti, che risulta
V = −Ei L .
z
Ei
Hi
q
k
A i
B
y
j
x
V0 = −iβπ R2 sin(θ) ϕ̂ · Ei ,
e quindi
ht ≡ hr = −iβπ R2 sin(θ) ϕ̂ .
Anche per l’antenna a spira di corrente, quindi, l’altezza efficace
in ricezione coincide con quella in trasmissione; questo fatto, insieme
a quello analogo che si era riscontrato nel caso dell’antenna a dipolo
corto non è casuale: in realta, come è dimostrato nell’appendice 5 di
questo capitolo, l’uguaglianza tra l’altezza efficace in ricezione ed in
trasmissione è una proprietà generale che vale per qualsiasi antenna.
2. Antenna con perdite. Per ciò che concerne la relazione che vale in
questo caso, si può considerare il comportamento di due antenne
filiformi, disposte parallelamente, orientate in modo ottimale l’una
rispetto all’altra, ed entrambe adattate, ovvero chiuse su un carico
con impedenza ZL1,2 = Zi∗1,2 .
d
Z1 Z2
1 2
|E1→2 |2 |ht1 I1 |2
= ,
|E2→1 |2 |ht2 I2 |2
8.7. RECIPROCITÀ E RADIOCOLLEGAMENTI 337
(∆z)2
Aeff = Z0 ,
4Ri
mentre il guadagno può essere ricavato a partire dalla relazione
λ2
Aeff = G ,
4π
che è la relazione che si intendeva provare.
Pirr Rirr 3 1
G=D =D = 2 ,
Palim RΩ + Rirr 2 3 λ RΩ
1+
2π L Z0
λ2 1 Z0 2
Aeff = G L ,
4π 4 RΩ
4π 2
D= πR ,
λ2
da cui segue
Aeff = πR2 ≡ Ageom .
Aeff,RX GTX
PRX = Palim,TX .
4πd2
λ 2
PRX = GRX GTX Palim,TX , (8.50)
4πd
che è, per l’appunto, la formula di Friis. Si noti che, per come è stata
ricavata, essa vale solo se le due antenne del radiocollegamento sono
l’una nel campo lontano dell’altra, e se il mezzo interposto tra di esse è
omogeneo, e cioè privo di qualsiasi ostacolo, ed anche privo di perdite.
Il fattore (λ/4πd)2 che compare nella formula è detto attenuazione
di spazio libero e questa dicitura non deve trarre in inganno: infatti,
esso è sì un fattore che mostra come la potenza ricevuta diminuisca
all’aumentare della lunghezza d del radiocollegamento, ma questa di-
minuzione non deve essere imputata a fenomeni dissipativi, giacchè il
mezzo tra le antenne è, per ipotesi, privo di perdite. La ragione della di-
minuzione sta semplicemente nel fatto che qualsiasi antenna emette delle
onde che, nella regione di campo lontano, tendono ad essere sferiche, e
solo una porzione di queste onde raggiunge l’antenna di ricezione.
Il termine (GTX Palim,TX ) è stato invece posto in evidenza perchè esso
racchiude il ruolo dell’antenna di trasmissione ai fini della potenza rice-
vuta. Come si vede, questo termine è dato dalla prodotto della potenza
di alimentazione per il guadagno dell’antenna di trasmissione, ed esso
mostra come, dal punto di vista del ricevitore, sia impossibile discernere
tra il campo irradiato da un’antenna a basso guadagno alimentata con
alta potenza, o da una ad alto guadagno e bassa potenza. Per questa
ragione, questo termine viene indicato con la dicitura di effective radi-
ated power (ERP, potenza irradiata efficace), ed esso viene comunemente
340 CAPITOLO 8: ANTENNE
ση2 = k Ta B , (8.51)
e cioè l’altezza efficace in trasmissione, che è il parametro che descrive come un campo
irradiato viene distribuito nello spazio, è pari alla trasformata di Fourier della corrente
sull’antenna.
Erroneamente, questo risultato potrebbe far pensare che questo provi già
l’affermazione che si voleva formalizzare, e cioè il fatto che comunque sia assegnato un
8.8. SCHIERE DI ANTENNE 343
0
r0
r0
1 r P
r1 O
N-1
! −1
N
e−iβrn
ESch. = i Z0 In hn , (8.52)
n=0
2λrn
diagramma di radiazione, esiste sempre un modo per generarlo, a patto che si possa
agire in modo opportuno sulla corrente di alimentazione dell’antenna. A rigore, in-
vece, non è ancora lecito trarre questa conclusione: infatti, le distribuzioni di campo
fisicamente sensate sono definite solo per valori di u compresi nell’intervallo ([−β, β]),
e non già per u ∈ IR come nella trasformata di Fourier comunemente definita; inoltre,
è anche necessario che la restrizione di h(u) all’intervallo −β ≤ u ≤ β sia ottenibile
trasformando secondo Fourier una funzione I(·) a supporto compatto. Come si vede
quindi, esistono delle notevoli limitazioni sulle scelte possibili per h(u), ma si può
comunque dimostrare che, essendo gli esponenziali complessi una base di funzioni
dense in L2 , almeno in linea teorica è sempre possibile realizzare una qualsivoglia
h ∈ L2 ([−β, β]) attraverso funzioni a supporto compatto. In pratica, però, può ac-
cadere che ne risultino delle distribuzioni di corrente talmente complicate da essere
tecnicamente irrealizzabili, di modo che non è possibile avere sempre un’antenna che
irradi secondo il diagramma desiderato.
344 CAPITOLO 8: ANTENNE
rn r − rn cos(ψ) = r − r̂ · rn .
r̂ · rn = rn cos(ψ) ,
ψ
r0 r1 ... rN-1
F = (η − η1 )(η − η2 ) · (η − ηN −1 ) .
346 CAPITOLO 8: ANTENNE
Se accade che uno degli zeri cade sul cerchio unitario del piano
complesso, |ηj | = 1, ad esso corrisponde una direzione di zero del
campo totale irradiato che è sottesa dall’angolo
log(ηj )
cos(ψ) = ∈R
I .
iβd
Si osservi che, dato che la funzione coseno è pari, se ψ è una
direzione di zero, lo è anche −ψ.
P y
j 210 330
a
x 240 300
270
Per prima cosa, si osserva subito che, dovendo essere due le di-
rezioni di zero, il minimo numero di antenne con cui è necessario
8.8. SCHIERE DI ANTENNE 347
realizzare la schiera è
N −1=2 ⇒ N =3 .
α = −iδ ,
!
N −1
sin(N ν)
F = eiβd cos(ψ)−δ = ei(N −1)ν ,
=0
sin(ν)
348 CAPITOLO 8: ANTENNE
8 8 8
2 2 2
0 0 0
-90 -45 0 45 -90 -90 -45 0 45 -90 -90 -45 0 45 -90
ν (gradi) ν (gradi) ν (gradi)
Figura 8.36: Modulo del fattore di composizione di una schiera a fase progres-
siva con un numero di elementi N = 1, 4, 8.
con
1 πd δ
ν= βd cos(ψ) − δ = cos(ψ) − .
2 λ 2
La figura (8.36) mostra l’andamento del modulo del fattore di com-
posizione all’aumentare di N (N = 1, 4, 8 in figura): come si può os-
servare, la funzione è periodica di periodo π nella variabile ν ed il suo
valore massimo, che è raggiunto per ν = 0, vale N . Ciò significa che, se
esiste una direzione ψ lungo la quale risulta ν = 0, in quella direzione
il campo elettromagnetico totale irradiato dalla schiera è N volte mag-
giore di quello irradiato da ogni singola antenna, e quindi la densità di
potenza è N 2 volte maggiore di quella ottenibile con una sola antenna.
Il lobo principale ha larghezza delimitata dai valori di nu = ±π/N ,
e la sua ampiezza è quindi pari a
2π
∆ν = .
N
Per ciò che concerne l’ampiezza dei primi lobi laterali, invece, è suffi-
ciente porre a zero la quantità
" "
d " sin(N ν) "
" "
dν " sin(ν) " = 0 ,
Per ciò che concerne l’unicità, invece, è sufficiente notare che il lobo
è unico se l’intervallo di valori coperto da ν è inferiore a π, e quindi se
πd δ πd δ λ
− − − − ≤π ⇒ d≤ .
λ 2 λ 2 2
Schiere broad–side
Il massimo (ν = 0) deve essere raggiunto per ψ = π/2; dunque
πd π δ
cos − =0 ⇒ δ=0 .
λ 2 2
La larghezza del lobo principale, ∆ψ, può essere ricavata imponendo che
πd π ∆ψ δ πd π ∆ψ π
cos ± − = cos ± =± ,
λ 2 2 2 λ 2 2 N
e quindi, supponendo ∆ψ piccolo,
2λ
∆ψ .
Nd
Schiere end–fire
In queste schiere il massimo deve essere raggiunto per ψ = 0; dunque
πd δ 2πd
cos(0) − = 0 ⇒ δ= = βd .
λ 2 λ
La larghezza del lobo principale è data dalla relazione
πd ∆ψ πd π
cos − = ,
λ 2 λ N
e risulta
2λ
∆ψ 2 ,
Nd
ovvero, al crescere di N , esso si restringe meno rapidamente che nelle
schiere broad–side.
8.9. ANTENNE A LARGA BANDA 351
L’antenna Yagi–Uda
0.31 λ
0.25 λ
Riflettore Antenna
alimentata
L’antenna logaritmica
Uno dei principali difetti delle schiere di antenne è il fatto che le loro
caratteristiche dipendono fortemente dalla frequenza, perchè dalla fre-
quenza dipende ν e quindi, in ultima analisi F . Negli anni si è quindi
sviluppata una intensa attività di ricerca tesa ad individuare quali strut-
ture potessero assicurare allo stesso tempo sia un guadagno maggiore di
quello ottenibile con una singola antenna, sia una banda sufficientemente
larga; uno dei principali contributi in questo senso fu dato, nel 1949 da
Y. Mushiake, che osservò come una antenna auto–complementare pre-
sentasse sempre la stessa impedenza, pari a metà dell’impedenza d’onda
nel vuoto, a qualsiasi frequenza.
All’infinito All’infinito
Terminali Terminali
r = costanteθ ,
8.9. ANTENNE A LARGA BANDA 353
dj d
j+1
∇2 Az − σ 2 Az = 0 ,
d2 f (r)
− σ 2 f (r) = 0 ⇒ f (r) = Ce−σr + De+σr ,
dr2
dove C e D sono due costanti arbitrarie, che possono essere determinate
imponendo le condizioni al contorno.
A tal fine, mostriamo innanzi tutto che, nel problema che stiamo
considerando qui deve essere D ≡ 0. Infatti, se il mezzo è privo di
perdite, di modo che σ = iβ, i termini exp{−iβr}/r e exp{+iβr}/r
rappresentano, rispettivamente, un’onda sferica che viaggia nel verso
delle r crescenti, ed una che viaggia in quello delle r decrescenti. Dunque,
l’addendo che dipende da C è un’onda che “esplode” allontanandosi dalla
sorgente, mentre quello che dipende da D è un’onda che “implode” verso
di essa provenendo dall’infinito.
Questo termine ha pertanto un significato fisico che è accettabile,
perchè indica che è possibile che vi siano delle onde che sono state irra-
diate da qualche altra sorgente e che vengono a “chiudersi” sull’antenna a
dipolo corto che occupa l’origine del sistema di coordinate sferiche. Tut-
tavia, queste onde non sono la soluzione del nostro problema, perchè noi
stiamo studiando quello che accade quando si dispone una sola sorgente
nel centro di un sistema di coordinate sferiche, ed è dunque necessario
porre D ≡ 0.
Per ciò che concerne C, invece, si può procedere come segue. Si
integra l’equazione di partenza su un volume infinitesimo ∆V centrato
attorno all’origine del sistema di coordinate sferiche. Si ottiene
∇2 Az − σ 2 Az d∆V = −µI∆z ,
∆V
356 CAPITOLO 8: ANTENNE
e dunque anche
(∇Az · r̂) dS − σ 2 Az d∆V = −µI∆z ,
S(∆V ) ∆V
dove
1 ∂2φ 1 ∂2φ
ξ(κx , κy ) = (κ x − κ x0 )2
+ (κy − κy0 )2 +
2 ∂κ2x 2 ∂κ2y
∂2φ
+ (κx − κx0 )(κy − κy0 ) =
∂κx ∂κy
1 2
= (κz + κ2x )(κx − κx0 )2 + (κ2z + κ2y )(κy − κy0 )2 +
2βκ2z
+2κx κy (κx − κx0 )(κy − κy0 ) .
Ciò può essere fatto come segue: per prima cosa, si trasla l’origine delle
coordinate nel punto di fase stazionaria, ponendo kx = κx − κx0 e ky =
κy − κy0 . Successivamente si introduce una rotazione di coordinate,
definita dalle relazioni
kx = wx cos(δ) + wy sin(δ) ,
ky = −wx sin(δ) + wy cos(δ) .
2κx κy κx κ2x
tan(2δ) = ⇒ tan(δ) = e sin2 (δ) = .
κ2y − κ2x κy κ2x + κ2y
Si ottiene così
x = r cos(ϕ) , y = r sin(ϕ) ,
si ottiene allora
2π R
IC = dϕ r dr exp{iκx r cos(ϕ) + iκy r sin(ϕ)} .
0 0
Si ponga poi
κx = K cos(α) , κy = K sin(α) , K= κ2x + κ2y .
L’integrale diventa
R 2π
IC = r dr dϕ exp{iKr cos(ϕ − α)} ,
0 0
ed essendo
2π
1
J0 (u) = exp{iu cos(ξ − ξ0 )} dξ ,
2π 0
anche R
IC = 2π dr r J0 (Kr) .
0
Usando ora l’integrale notevole
x
dξ ξ J0 (ξ) = xJ1 (x) ,
0
si ha infine
2πR 2πR
IC = J1 (KR) = J1 R κ2x + κ2y ,
K κ2x + κ2y
A Zi
Ji ZL ZL
A' V0
A'
A
Mezzo privo
di sorgenti Zi
A'
n All'infinito
S1 1 2 S2
E1 = e1 V1 , H1 = h1 I1 ,
E2 = e2 V21 , H2 = h2 I21 ,
dove V1 ed I1 rappresentano la tensione e la corrente presenti nell’an-
tenna “1” quando questa è alimentata dal suo generatore e viene fatta
lavorare nella sua funzione di antenna di trasmissione, mentre V21 e I21
sono la tensione e la corrente che sono presenti nell’antenna “1” quando
questa è usata come antenna di ricezione, e viene investita dal campo
prodotto dall’antenna “2”. Con queste definizioni si ottiene
(E1 × H2 − E2 × H1 )· n̂ dS1 = V1 I21 −V 21I1 (e1 × h1 )· n̂ dS1 .
S1 S1
anche
V1 I21 − V21 I1 = − (V12 I2 − V2 I12 ) .
Ora, poichè si è detto che le antenne sono alimentate da generatori ideali,
è sempre possibile trovare due sezioni nelle quali risulta
I12 = I21 ≡ 0 .
Si osservi che, avendo scelto una sezione sulla quale I21 = 0, la tensione
V21 è la tensione dovuta all’antenna “2” e presente nell’antenna “1”,
8.9. APPENDICI 363
V21 = E2 · hr1 .
I1 I2 −iβd I2 I1 −iβd
i Z0 e ht2 · hr1 = i Z0 e ht1 · hr2 ,
2λd 2λd
da cui segue
ht2 · hr1 = ht1 · hr2 . (8.56)
Si osservi che questo risultato è stato derivato solamente come con-
seguenza del teorema di reciprocità, ed esso vale quindi per qualsiasi cop-
pia di antenne “1”e “2”. In particolare, si è dimostrato che se l’antenna
“2” è un’antenna a dipolo corto, vale
hr1 ≡ ht1 ,