Rosmini
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CAPITOLO V
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Cap. V: la servitù dei beni ecclesiastici
1. [Allodio: la porzione delle terre tolte dai Germani ai popoli vinti e distribuite in varia misura agli
uomini liberi, che permaneva in loro pieno e assoluto possesso, esente da ogni altro obbligo o
tributo o soggezione feudale o statale che non fosse quello di servire in guerra lo Stato].
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Cap. V: la servitù dei beni ecclesiastici
2. [Per i n. 133, 134, 135, cfr. THOMASSIN, op. cit., t. III, l. I, c. I].
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3. Luc 10,5.7.
4. Cfr. 1Cor 9,4.15; 1Tim 5,17-18.
5. Mt 10,14.
6. Cfr. Ivi, 15.
7. At 5,4.
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scuno: «Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che
gli è riuscito di risparmiare»8.
135. Ancor di più, il precetto dato da Cristo ai fedeli di mante-
nere il clero, non s’estende oltre lo stretto bisogno, il che veniva si-
gnificato coll’espressione «di mangiare e di bere in qualsiasi casa in
cui entrassero i messaggeri evangelici»; onde Paolo attenendosi alla
maniera di esprimersi usata da Cristo, scrive ai Corinti: «Non abbia-
mo forse noi il diritto di mangiare e di bere?»9. Se ai fedeli era lasciata
tutta la spontaneità nel modo di somministrare il necessario sosten-
tamento al primo clero, di cui pure si aveva il precetto, quanto più
rimanevano spontanee per loro natura quelle offerte che oltrepas-
sassero questo limite del bisogno?
136. Sulla fine del secondo e al principio del terzo secolo Tertul-
liano ci fa conoscere che questa bella spontaneità si conservava. «O-
gnuno versa, dice nell’Apologetico, una monetuzza in un giorno del
mese, o quando vuole e soltanto se vuole e soltanto se può. Ché nes-
suno vi è costretto, ma il contributo è spontaneo. Sono questi, per
così dire, i depositi della pietà»10.
Tale norma ricompare più o meno spiegata in tutti i bei secoli
della Chiesa, che voleva e raccomandava, che non solo i fedeli non
fossero violentati alle oblazioni, ma neppure indotti a prestarle con
artifici e lusinghe, e fino nel IX secolo si vede il III Concilio di Cha-
lon pubblicare dei canoni per mantenere illesa, anche contro questo
abuso, la spontaneità dei doni che i fedeli offrivano alla Chiesa11.
137. La legge delle decime, che Dio aveva assegnato nell’antico
patto ai Leviti, non fu confermata da Cristo per il nuovo; e la ragione
8. 1Cor 16,2.
9. 1Cor 9,4.
10. TERTULLIANO, Apologetico, c. 39,5.
11. THOMASSIN, op. cit., p. III, l. I, c. XXIII, par. II.
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io credo esser questa: l’Autore della grazia non volle aggiungere al-
cun peso positivo oltre a quello che la natura delle cose esigeva e la
natura delle cose domandava solamente che il clero fosse mantenuto
dai fedeli per i quali si affaticava, il che non stabilisce alcuna misura
determinata alla sovvenzione, potendo esser più o meno bisognoso,
secondo il numero degli operai. L’assegnare una determinata misura
sarebbe stato un prescrivere talora più del bisogno, talora meno. Ma
non avendo neppure il Signore proibito tale oblazione, ma lasciata
del tutto libera alla discrezione dei fedeli, questi fino dai primi secoli
le offrirono spontaneamente, tenendo presente l’antica disposizione,
specialmente per coloro che venivano dalla sinagoga12. E ancora nel
secolo VI, sembra che per insinuazione dei vescovi più tenaci delle
antiche regole, Giustiniano vietava non solo di usare la forza per ri-
scuoterle, ma che neppure s’adoperassero le pene ecclesiastiche13.
La Chiesa poteva convertire in precetto quel che era invalso per
consuetudine, come fece, prima in qualche luogo nel secolo VI14, poi
12. Cfr. O RIGENE, Omelie sui Numeri, omelia 11: L’offerta delle primizie (in particolare
11,1-2); il passo di S. CIPRIANO, L’unità della Chiesa cattolica, cap. XXVI, dice:
Ora invece non diamo neppure le decime del nostro patrimonio, pare doversi pren-
dere come un rimprovero a quelli che per meno fervore, non le pagavano [Il
brano completo a cui si riferisce è il seguente: «Tra di noi è talmente diminuita la concordia che
è venuta a mancare anche la generosità nelle nostre buone opere. In quel tempo vendevano le
loro case e i campi, e, per assicurarsi dei tesori nel cielo, offrivano agli apostoli il ricavato della
vendita perché fosse distribuito a beneficio dei poveri. Ora invece non diamo neppure le decime
del nostro patrimonio e, mentre il Signore ci comanda di vendere, noi invece comperiamo e
aumentiamo i nostri beni»].
13. L. 39 Cod. De Episcop. et Cleric. [THOMASSIN, op. cit, p. 3, l. I, c. VII, par. XII: E di fatto nella
Chiesa greca e nello stesso Codice di Giustiniano è stato stabilito che (…): non conviene che i
vescovi o il clero costringano qualcuno ad offrire i frutti, od imporre l’obbligo di dare, o in altri
modi tormentarlo, o scomunicarlo, o anatematizzarlo, o negargli la comunione e per questo mo-
tivo non battezzarlo. (Cod. de Episcop. et Cleric., c. 38). Nelle pagine seguenti Rosmini cita
spesso leggi del Corpus juris civilis e del Corpus juris canonici. Le citazioni non sono sempre
esatte, o almeno non rispondono più ai criteri scientifici attuali (cfr. O. ROBLEDA, Jus privatum
romanum, Romae 1960, pp. 315-322); abbiamo integrato nel testo con le sigle ora in uso].
14. Così si fece nel II Concilio di Macon dell’anno 585 [THOMASSIN, op. cit., p. III, l. I, c.
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VI, par. IV; per il II Concilio di Macon, cfr. Sacrosanta Concilia 6,673-680].
15. In Capitul. An. 779, 794, 801. [THOMASSIN, op. cit, p. III, l. I, c. VII, par. I: Per ottenere le
decime i Capitolari vogliono usare non giuramenti, ma anatemi; cfr. MONUMENTA HISTORIAE
GERMANIAE, Legum sectio II, Capitularia Regum Francorum, I,46-51 (n. 7), 73-78 (n. 25), 185-
186 (n. 3)].
16. Mt 20,25-26; cfr. anche Lc 22,25-26.
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18. «I beni affittuari [colonía o colonato] non potevano essere per i coloni una pro-
prietà; poiché i coloni, o servi della gleba si chiamavano appunto mani morte,
perché non potevano avere nulla in proprio». CIBRARIO, Dell’Economia del medio E-
vo, l. III, c. III [LUIGI CIBRARIO (1802-1870); questa, Dell’economia politica del Medioevo (libri
3, Torino 1839), è l’opera che diede al Cibrario maggior fama. La citazione di questa opera,
pubblicata nel 1839 che qui ci troviamo dinanzi al testo della quinta piaga è posteriore a quello
della stesura originaria del 1832/33].
19. At 4,35.
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ne»20. Il dolce spettacolo che offriva questa fraternità, non mai cono-
sciuta, in Alessandria, indusse Filone, benché ebreo, a scriverne un
libro elogiativo. Ad essa mirarono sempre i Santi come il più bel tipo
della dilezione evangelica e si sa dalla storia quanto il Crisostomo
ebbe desiderato di poterla introdurre fra il suo popolo di Costanti-
nopoli; era la perfezione di quanto narra Livio dei bei tempi di Ro-
ma, dove dice, che il censo privato era piccolo, largo il comune.
143. Questa regola si conservò a lungo nel clero. Di tutto l’avere
della Chiesa erano depositari i vescovi successori degli Apostoli, i
quali distribuivano, per lo più mensilmente, quanto era necessario
agli ecclesiastici che sotto di essi lavoravano per il vangelo; nessun
individuo aveva cosa alcuna in proprio. Quando Costantino nel 321
permise le disposizioni testamentarie a favore della Chiesa, così si
espresse: «Ciascuno abbia morendo la libertà di lasciare i beni che
egli stima al santissimo cattolico e venerabile Concilio della Chiesa
cattolica»21.
Più tardi fu anche espressamente proibito dalla Chiesa il conce-
dere a un individuo del clero qualche porzione di beni separandola
dalla massa comune, come dimostra un rescritto del V secolo attri-
buito al santo papa Gelasio e ciò anche affinché i beni ecclesiastici
fossero meglio amministrati e conservati22. Da questo stesso spirito
della Chiesa derivò la legge di Valentiniano che vietava il lasciare
legati o eredità agl’individui del clero secolare o regolare23, legge di
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26. In seguito per la prima volta si concesse ai sacerdoti rurali, che si chiamavano parroci,
l’amministrazione dei beni, su questo esempio lo si fece anche nelle città per quei sa-
cerdoti che si diceva avessero un titolo o reggessero delle chiese. Tutto ciò risulta anche
dal Concilio Agustano, presieduto dallo stesso Caesario nell’anno 506, secondo i cano-
ni 32 e 33. BERARDI, Ibid. De Symmacho, cap. XLVIII.
27. GRATIANUS, Caus. XVI, q. 1, c. LXI.
28. Osserva un autore recente che il godimento d’una porzione di beni per i singo-
li all’inizio non si faceva, se non dove mancavano le congregazioni dei preti,
car dans celles-ci, dice, la vie commune maintint encore quelque temps
l’ancien état de choses, WALTER [Manuel du Droit Ecclésiastique de toutes les confes-
sions chrétiennes, par M. FERDINAND WALTER, traduit de l’Allemand par A. de Roquemont, Paris
1840, p. 323]. § 241.
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sto lasciò alla Chiesa, la personalità dei ministri suoi scompare; essi
non rappresentano se stessi, ma la Chiesa; è sempre tutto il corpo
della Chiesa che opera per mezzo di essi e per la virtù del suo Capo
in tutte le loro funzioni. Gli organi non hanno alcuna personalità
propria più che la abbia un piede, un braccio, o altro membro nel
corpo umano. Di questa ammirabile costituzione, il fondamento
dunque è la perfetta unità mistica. Ora se le membra del corpo uma-
no volessero ciascuna essere e divenire una persona a parte, il corpo,
perduta ogni sua bellezza e il suo ordine naturale, si muterebbe in
un mostro, o piuttosto non potrebbe più esistere; così è a dire della
Chiesa.
Ma questo è appunto quello che tentò di fare di essa il sistema
feudale. Perché ogni vassallo non può rappresentare che se medesi-
mo, la persona a cui serve e con essa le sue cose. Senza di che questo
vassallaggio e servizio prestato al signore temporale, ha un oggetto,
un ufficio essenzialmente temporale e secolare. Fino a tanto che si
trattava di ricchezze libere, queste potevano avere una destinazione
spirituale; e l’ebbero sempre tutti i beni liberi della Chiesa. Si ammi-
nistravano, si dispensavano in spirito e in usi di carità; per esse i sa-
cri ministri si mantenevano, il culto divino si alimentava; le mani dei
poveri, delle vedove, dei lebbrosi, degli schiavi, dei pellegrini, dei
miseri, erano tutte gli scrigni preziosi, dove la Chiesa riponeva, sicu-
ri dalla rapacità umana, i suoi tesori. Col far tutto questo la madre
dei fedeli non usciva dal ministero ecclesiastico, che è pur ministero
di carità materna, e di cristiana misericordia29.
29. Gioverà riportare qui, sotto gli occhi del lettore, questo stesso concetto espres-
so colle parole d’uno scrittore del V secolo, GIULIANO POMERIO: Ma adesso che i
sacerdoti dell’era cristiana più che reperire gestiscono le risorse della Chiesa, anche in
questo servono Dio: infatti, se le offerte date alla Chiesa appartengono a Dio, COMPIE
OPERA DIVINA chi non trascura i beni da Dio affidati, non già per assecondare un qual-
che desiderio di guadagno, ma per amministrarli con ogni scrupolo. Quindi i mezzi of-
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ferti dal popolo – presi in consegna dai sacerdoti – NON VANNO ANNOVERATI TRA I BENI
DEL MONDO, MA DI DIO. De Vita Contemplativa L. II, c. XVI,4. [THOMASSIN, op. cit., p.
III, l III, c. I, par. IV e V; PL 59,461. GIULIANO POMERIO, sacerdote, oratore, nato in Mauritania
verso la metà del sec. V, si trasferì in Gallia, ad Arles, dove esercitò la professione di retore; fu
suo discepolo Cesario. La sua opera De vita contemplativa, in tre libri, è una sapiente regola
pastorale per il clero].
30. Pendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Nes-
suno però, quando presta servizio militare, s’intralcia nelle faccende della vita comune:
2Tim 2,3-4.
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31. Noi abbiamo detto che la conciliazione delle due idee, l’una di individualità
propria dell’impero barbarico e l’altra di unione organica propria della Chiesa,
sono di natura loro inconciliabili e che la loro momentanea pace e fusione non
è che apparente; la prima idea molte volte prevalse a tal punto da sembrare
che dovesse annientare la sua contraria; ma la Chiesa in tali frangenti con una
potenza tutta nuova, la ristabilisce e restaura. Ora prediremo dunque che non
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149. Ora tutto questo ci spiega le vicende subite dai beni eccle-
siastici. I signori del medio evo, operando secondo l’idea d'indivi-
dualità e di signoria, non solo considerarono come feudali anche i
beni liberi della Chiesa, ma se ne impossessarono e ne disposero
come fossero loro individuali, li dispensarono ai laici, li alienarono:
tali usurpazioni furono ampio fornite di discordia fra loro e la Chie-
sa, che con canoni conciliari, leggi pontificie, e pene canoniche con-
trastò un tanto abuso.
I prelati, cioè quella parte di essi ligia al principe, nella quale
l’idea di individualità si era radicata insieme con i feudi, operando pu-
re a tenore di questa, disposero in egual modo delle proprietà eccle-
siastiche come fossero loro proprie, dimentichi che erano comuni le
alienarono, le infeudarono, le permutarono, le donarono agli stessi
laici, le spesero negli sfarzi, nei lussi, nelle delizie, nelle milizie, nelle
violenze; pure ad essi la Chiesa si oppose con innumerevoli canoni e
decreti. Così divenne sempre più vincolata soprattutto l’alienazione,
l’amministrazione e la disposizione; e il clero inferiore si rese sempre
vi sarà mai pace fra i due poteri, il temporale e lo spirituale? Lungi da noi un
così funesto presentimento; la pace può aversi e si avrà, però ad una condizio-
ne, che il potere temporale cacci interamente da sé l’idea della individualità, re-
liquia del barbarismo violento e del feudalismo, e si riedifichi sopra l’idea
propria della Chiesa, che non può perire, cioè nell’idea della unità organica e
cristiana degli uomini. Questa è la sola conciliazione possibile, non delle due
idee che non possono conciliarsi, ma dei due ordini il temporale e lo spirituale
che ammettono benissimo conciliazione. Così i governi temporali devono inte-
ramente mutare da signorie in società civili. Dopo una lotta d’oltre un millennio,
vediamo forse che già s’avvicini, che sia già cominciato questo desiderabile
cambiamento? Tutta la società d’Europa travaglia in tal parto. L’espulsione
dai governi dell’idea signorile, che turba il riposo del mondo, è la grand’opera
che la Provvidenza preparò con tante lotte intestine dell’umanità, che presero
forma e apparenza principalmente di conflitto fra potere laicale e potere eccle-
siastico (benché non sia tale) durate tanti secoli, ed ardenti tuttavia sotto le ce-
neri, finché l’opera sia perfezionata e compiuta.
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più slegato dai suoi prelati, tanto che la Chiesa dovette necessaria-
mente proteggerlo, contro l’arbitrio e la crudeltà di questi, con rin-
novate e minute disposizioni. Ecco da dove si originò così spesso la
lotta accesa anche oggi fra i capitoli e i vescovi; e l’inamovibilità dei
parroci, che toglie ai prelati in gran parte il potere di rimediar pron-
tamente agli scandali ed alle sciagure spirituali delle popolazioni.
150. Ma poiché il divino fondatore della Chiesa non voleva che
perisse il principio della comunione dei beni ecclesiastici, non solo
rispetto al loro possesso, ma anche rispetto alla loro amministrazio-
ne ed al loro godimento, perciò egli suscitò in quei tempi e moltipli-
cò il monachesimo e gli ordini religiosi, i quali facessero espressa e
pubblica professione d’un principio così salutare ed i fedeli, guidati
da quell’istinto cristiano, che in essi mai manca, si mostrarono da
quell’ora più propensi a portare le loro oblazioni e i loro doni a quel
clero religioso che custodiva severamente l’antica norma antica, an-
ziché al clero secolare; per cui quando dal Concilio Lateranense III
(1179) fu intimata la restituzione delle decime alienate ai laici, questi
per la maggior parte le rimisero ai monasteri non più alle chiese a
cui erano appartenuti, il che fu successivamente permesso dagli
stessi pontefici, purché s’aggiungesse l’assenso del vescovo32.
151. Una terza e preziosa norma dell’antichità era che «il clero
non usasse dei beni ecclesiastici se non il puro necessario al proprio
sostentamento, impiegando il di più in opere pie, specialmente a sol-
lievo degli indigenti». - Cristo avea fondato l’apostolato sulla pover-
tà e sull’abbandono alla Provvidenza che avrebbe mossi i fedeli al
sostentamento dei loro evangelizzatori. Egli ne aveva dato il più su-
blime esempio: «Le volpi, poté dire, hanno le loro tane e gli uccelli del
cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»33: tale
32. Decr. Greg., l. III, tit. X, c. VII; l. V, tit. XXXIII, c. III; e in VI, l. III, tit. XIII, c. II, §
2 [X,3,10,7; X,5,33,3; VI Decr. 3.13.2.2].
33. Mt 8,20; cfr. anche Lc 9,58.
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39. Lettere, l. V, ep. 21 a Leonzio vescovo, [PG 78,1338. Isidoro, monaco esegeta, poi abate
del monastero di Pelusio, cittadina presso le foci orientali del Nilo, morì nel 449 ca. Ci ha lascia-
to un esemplare epistolario di 2000lettere].
40. De Vita Contemplativa, l. II, c. IX,2 [PL 59,454], dove particolarmente merita
d’essere osservata questa sentenza: «Ciò che la Chiesa ha, lo possiede in comune
con tutti coloro che non hanno nulla», come quella che dimostra l’opinione che
allora s’aveva dell’essere i beni della Chiesa non d’uso individuale, ma comu-
ne.
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41. Questa regola è anche registrata nel decreto di GRAZIANO, Caus. XII, q. I, can.
XXII, dove si riporta uno dei canoni apostolici, che dice: Tra coloro che sono in-
digenti, anche il vescovo (se veramente è indigente) ne prenda secondo la sua necessità
e dei fratelli pellegrini, affinché non gli manchi nulla del necessario.
42. Os 4,8.
43. E perciò, secondo questi sentimenti, quanto meno benefici, parola che rammen-
ta un dono che fa il signore temporale a chi vuole, del suo.
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eterne …
Se poi un qualsiasi ministro della Chiesa non ha di che vivere, la
Chiesa non è che deve dargli un premio quaggiù, ma solo procurar-
gli l’indispensabile: così un giorno questi otterrà – per la sua fatica –
la ricompensa che già in questa vita attende nella speranza, rassicu-
rato dalla promessa del Signore.
Pure coloro i quali, in quanto autosufficienti, non cercano di farsi
corrispondere alcun compenso, ma vivono comunque a spese della
Chiesa, non spetta a me dire con quale peccato, a causa d’una simile
pretesa, riservino per sé il cibo dei poveri; essi che, invece d’aiutare
la Chiesa con le loro possibilità, come sarebbe stato loro dovere,
gravano di più sul suo bilancio. Per questo forse, quelli che vivono
in comunità non assistono nessun povero né ospitano visitatori, op-
pure non riducono il loro patrimonio con spese quotidiane»44.
152. Gli abusi opposti a questa generosa norma prima del me-
dioevo non potevano essere che parziali, perché erano degli uomini
e non della Chiesa, che per la sua stessa indole li ripudiava; ma co-
me poté conservarsi in atto la stessa regola, generalmente parlando,
quando i beni della Chiesa, perdendo la loro primitiva natura, di-
vennero feudali e gli ecclesiastici più eminenti altrettanti feudatari?
Da quell’ora la distribuzione dei beni prese un’altra legge, un’altra
direzione: i beni invece di scorrere all’ingiù nelle mani del povero,
ristagnarono, o rifluirono all’insù nelle mani del signore; la prima
idea si smarrì o almeno si rese in molti inefficace e sottentrò a quella
l’idea della proprietà assoluta, i sacri depositi vennero depredati.
153. La dispersione per di più del comune patrimonio in benefi-
ci assegnati ai singoli ecclesiastici, da una parte impoverì gli stessi
ecclesiastici, ai quali il vescovo dava una quota dei beni proporzio-
nata alle loro fatiche ed al loro merito, perché avessero uno stimolo
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46. L. I, ep. 44; l. II, ep. 5; l. III, ep. 11; l. IV, ep. 26; l. VII, ep. 8; l. XI, ep. 51. - Nella
Spagna la porzione dei poveri si lasciava unita a quelle del vescovo e del clero
inferiore e così i beni ecclesiastici restavano tripartiti.
47. Sembra cosa probabile, che non sempre la quadruplice partizione si dovesse
intendere in parti uguali, ma la misura delle singole parti variasse, secondo i
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bisogni. Il che osserva CARLO SEBASTIANO BERARDI, nella sua opera sopra il De-
creto di Graziano, dove, riferito un canone di Gelasio papa, aggiunge: In ciò si
deve certamente osservare quella ripartizione quadripartita dei beni ecclesiastici – non
però intesa in maniera rigida -, per la cui proporzione si deve esigere una valutazione
geometrica, come si usa dire, e non aritmetica. Gratiani Canones etc. P. II, c. XLVI:
De Gelasio [BERARDI, op. cit., p. 394].
48. Fra le più deplorabili illusioni di parole, o per dire meglio, vere menzogne, si
devono enumerare le commende. Per eludere la legge che vietava l’accumulo in
una sola persona di più benefici, si davano a commenda, cioè gliene si affidava
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57. Nel Corpo del Diritto Canonico sono registrate le magnifiche dottrine di S.
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Ora qual senso doloroso, qual danno agli stessi ben intesi interessi
della Chiesa, quale scandalo non è il pensiero, l’opinione prevalente,
che il clero abbia le mani sempre aperte a ricevere e sempre chiuse a
dare? Certo la considerazione che tutto ciò che entra nell’arca della
Chiesa e non ne esce forse più in perpetuo, è cosa che rattrista, che
genera la disistima, suscita l’invidia, estingue la liberalità dei fedeli,
produce il sospetto che vi si accumulino col passare dei secoli quei
tesori di cui necessitano le famiglie per vivere, il commercio per fio-
rire, lo stato per difendersi; presta un appiglio ai governi per inter-
venire nelle disposizioni dei beni ecclesiastici, detta loro leggi diso-
norevoli di ammortizzazione, disamora e disunisce sempre più il
popolo dal clero e dalla Chiesa, occasiona l’incredulità, provoca le
maldicenze e le calunnie degli empi, ed infine arma il furore della
moltitudine sommossa degli scellerati, o la cupidigia dei potenti a
rompere violentemente l’arca serrata per farne uscir l’oro, ad abbat-
tere le porte serrate del santuario per rapirne i tesori. Personalmente
stimo assai più desiderabile, assai più utile alla Chiesa di Dio il non
dare motivo a tutti questi mali, che non sia l’abbondare di ricchezze
temporali, o l’impedire che qualche parte di esse vengano fors’anche
sconsideratamente alienate.
160. Le ammonizioni, i canoni, le pene della Chiesa giunsero
poco a poco a rendere mansueti i conquistatori barbari e ad impedi-
re che dissipassero a lor piacere il patrimonio ecclesiastico. Ma è da
avvertire che il potere secolare non arrecò danno solo colla violenza,
e colle razzie; fece assai più male colle sue stesse liberalità, guastò
colle leggi civili dettate da uno spirito secolare e profano a tutela e
protezione della Chiesa e dei suoi beni. Il governo civile non ha il
senso ecclesiastico ed ogni qualvolta mette mano nel santuario, ne
Ambrogio e degli altri Padri intorno allo spirito di liberalità della Chiesa sem-
pre pronta a spezzare i vasi sacri per soccorrere i vasi viventi redenti col san-
gue di Cristo. Si veda GRAZIANO, Caus. XII, q. l, can. 2,20,21.
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58. L’esenzione dalle imposte deve considerarsi secondo due periodi diversi degli
Stati. Perché tutti i moderni Stati d’Europa dal tempo della loro fondazione al
nostro mutarono spesso di natura. Nel primo periodo erano Signorie; in que-
sto periodo i contributi dei sudditi era cosa privata del principe che signoreg-
giava e reggeva lo Stato per conto suo; quindi esentando dagli oneri pubblici
chi voleva, egli donava del suo; così furono esentati i nobili e gli ecclesiastici.
Ma gli Stati Europei lentamente cambiarono in vere società civili per un segre-
to lavoro del cristianesimo e principalmente per l’influenza dei papi. Qui co-
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mincia la questione: in una società civile è secondo l’equità che i beni della
Chiesa siano immuni dai pubblici gravami? A cui si dovrebbe rispondere che
nell’ipotesi che questi beni non eccedessero il necessario al mantenimento del
clero, o il di più si desse ai poveri, non sarebbe contro l’equità un tal favore;
ma trattandosi di beni eccedenti tali bisogni, ovvero non applicandosi più alle
antiche opere di beneficenza, è ragionevole che paghino come tutti gli altri; e
ad ogni modo questo è la soluzione più decorosa e più utile per la stessa Chie-
sa.
A render valide le alienazioni dei beni ecclesiastici si moltiplicarono le forma-
lità, molto più di quelle richieste per convalidare le alienazioni dei beni priva-
ti; fra le altre disposizioni si prolungarono gli anni della prescrizione; al con-
trario si diminuirono le formalità richieste per tutti i testamenti al fine di favo-
rire la validità d’un testamento per la Chiesa; fu giusto? Considerate queste
disposizioni come armi di difesa contro le frodi che abbondavano per usurpa-
re i beni della Chiesa assai di più di quelli dei privati, esse non si possono a-
brogare. Viste sotto un altro aspetto, alcune di tali disposizioni meritano inve-
ce lode di giustizia, in quanto cioè emendavano le leggi civili e preparavano la
via a leggi più eque, di cui avrebbero un tempo egualmente goduto tutti i cit-
tadini. Così le formalità richieste dalle leggi romane per la validità di un te-
stamento erano, o certo erano divenute, eccessive. La Chiesa le riprese in ra-
gione delle sostanze ecclesiastiche e così mostrò la via alla riforma della legi-
slazione su questo punto e accrebbe con ciò la libertà per tutti di fare testa-
mento. Ora, corretta la legislazione, è desiderabile che la Chiesa fra le nazioni
civili non sia favorita con alcuni privilegi che migliori la sua condizione
nell’ordine temporale; bastandole che le si lasci quel privilegio, o per meglio
dire quel diritto sacro e inviolabile ch’ella ha per natura, la libertà, la piena li-
bertà non solo di ricevere e di amministrare da sé quanto spontaneamente le
offrano o le hanno già offerto i fedeli, ma anche di dare, di largheggiare se-
condo quello spirito di carità che l’anima e la informa.
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59. Si consideri l’elezione dei primi diaconi. Gli Apostoli convocano la moltitudi-
ne dei discepoli, e le parlano così Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di
buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico
(At 6,3). Lasciano che la moltitudine li scelga, secondo il suo buon giudizio
(Cercate dunque, fratelli); a se stessi non riservano che la conferma e l'ordina-
zione. Era un usare il meno possibile della pienezza della potestà che avevano
da Cristo. Qual divina prudenza! Tale dovrebbe esser la norma di tutti i prela-
ti.
60. 1Cor 16,2-4.
61. 1Cor 6,12.
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62. S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle lettere ai Corinti, Om. 21. [PG 61,180].
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