Studi e Ricerche 17
Studi e Ricerche 17
Studi e Ricerche 17
17
Collana Studi e Ricerche n. 17
Direttore: Andrea Giorgi
Segreteria di redazione: Lia Coen
© 2018 Università degli Studi di Trento-Dipartimento di Lettere e Filosofia
Via Tommaso Gar 14 - 38122 TRENTO
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e-mail: editoria@lett.unitn.it
ISBN 978-88-8443-798-3
Cittadinanza.
Inclusi ed esclusi
tra gli antichi e i moderni
COMITATO SCIENTIFICO
SOMMARIO
Appartenenza
Identità politica
Inclusione ed esclusione
Cittadini oltre la polis
Alla memoria di Mario Vegetti,
incomparabile maestro di pensiero,
luminoso esempio di passione civile
FULVIA DE LUISE
INTRODUZIONE
C ITTADINANZA . INCLUSI E ESCLUSI
PER GLI ANTICHI E I MODERNI
10 Fulvia de Luise
Cittadinanza. Inclusi ed esclusi per gli antichi e i moderni 11
12 Fulvia de Luise
Cittadinanza. Inclusi ed esclusi per gli antichi e i moderni 13
14 Fulvia de Luise
APPARTENENZA
FULVIA DE LUISE
1. Invenzione e progettualità
18 Fulvia de Luise
La storia delle poleis greche fino alla fine del IV secolo a.C.
appare di fatto animata da un eccezionale dinamismo costitu-
zionale, abbinato a ricorrenti rischi di stasis o metabole3 delle
forme di governo, costruite a ridosso di situazioni nuove o diffi-
cili. Perciò l’esperienza greca della politica appare a noi come
una pratica di progettazione continua,4 dentro la novità assoluta
del modello della polis, che in tutte le sue varianti si presenta
come una forma di ordine politico condiviso da una comunità di
cittadini.5 L’enfasi sull’aspetto costitutivo e creativo di questo
processo ha permesso a Christian Meier di sostenere che ai Gre-
ci delle poleis spetta «l’invenzione della categoria del politico».6
Luciano Canfora ha evidenziato alcune implicazioni paradossali
dell’idea secondo cui la polis «sono le persone dotate di cittadi-
nanza», soffermandosi sugli effetti che investono il rapporto tra
il tutto e le parti della città, nel caso di conflitti di potere, guerre
civili, cambi di regime.7 A monte delle diverse interpretazioni
del fenomeno, sta il modello teorico costruito da Aristotele nei
primi tre capitoli del libro III della Politica, dove il filosofo ri-
conduce la pluralità di esperienze costituzionali realizzate dalle
poleis greche a uno schema politico unitario: la costituzione
(politeia) come ordine (taxis) condiviso, che incorpora ed
esprime, secondo una specifica declinazione, il nesso che lega la
città (polis) ai suoi cittadini (politai).
3
La sovversione politica, nella forma della guerra civile (stasis) o del ro-
vesciamento costituzionale (metabole politeion) è eventualità sempre temuta
nella cultura letteraria e filosofica del mondo antico. Sulla stasis, cfr. Bertelli
1989 e Gehrke 1996; sulla metabole, cfr. Bertelli 1989a.
4
Per una panoramica completa sul significato della progettazione politica
nella cultura greca e sui suoi imponenti presupposti teorico-pratici, prima e
oltre Platone, cfr. l’importante studio di Bertelli 1996. Cfr. anche Bertelli
1994 per gli inizi del dibattito teorico sulle forme costituzionali, prima di
Erodoto e Platone.
5
Sul costituirsi di questo «spazio politico» come «ambito di omogeneità
del corpo sociale» resta di grande interesse lo studio pionieristico di Lanza e
Vegetti 1977.
6
Meier 1988.
7
Canfora 1991, 134-137.
L’invenzione del cittadino 19
8
Cfr. Anderson 2003 e Ober 2007, che indagano le condizioni della nasci-
ta della democrazia ad Atene, focalizzando l’attenzione su Clistene e la sua
riforma; cfr. Raaflaub 2007, per la fase centrale di costruzione della democra-
zia ateniese, caratterizzata dalle riforme di Efialte e Pericle; cfr. Robinson
1997 e Giangiulio 2015, per una focalizzazione a più ampio raggio sulle de-
mocrazie greche.
9
La dimensione perennemente conflittuale del contesto politico in cui si
sviluppa la democrazia è al centro dei lavori di Anderson 2003, Raaflaub,
Ober, Wallace 2007, Canfora 2011 e 2015.
10
Cfr. Hansen 1991, Camassa 2007, Cambiano 2016.
11
Cfr. Musti 1995, Canfora 2004 e 2015.
20 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 21
22 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 23
24 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 25
di un conflitto che supera la dimensione cittadina: «il Popolo di Atene», con
la sua aberrante imposizione dell’isonomia, è una minaccia al mondo greco
dei valori aristocratici, all’idea stessa del «buon governo», legata al privilegio
dei «migliori». Ed è con particolare risentimento che il testo allude agli ari-
stocratici di nascita che si erano piegati a stringere uno scellerato patto col
popolo, prestando ai suoi desideri le proprie capacità di direzione politica.
26 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 27
tadinanza come dispositivi miranti al fine che la città nel suo in-
sieme si è data. Nel libro IV della Politica, dove il filosofo sem-
bra raccogliere in sintesi i risultati teorici raggiunti nel libro III,
in vista della loro applicazione a casi e situazioni specifiche, il
valore strategico delle forme costituzionali si rende esplicito
nella definizione tecnica della politeia: «La costituzione è un
ordine per le città, riguardante le cariche pubbliche (peri tas ar-
chas), il modo in cui sono distribuite, quale sia il potere supre-
mo (to kyrion) della costituzione e quale sia il fine (telos) di cia-
scuna comunità».25 La scelta dei parametri che identificano i cit-
tadini, consentendo o negando l’accesso alle pratiche di eserci-
zio attivo della cittadinanza, è dunque, agli occhi del filosofo,
un atto politico strategico, mai neutro, e carico delle più rilevan-
ti conseguenze.
Senza citare il passo aristotelico, il costituzionalista Zagre-
belsky, intervenendo recentemente sulle pagine di un quotidiano
nazionale, ne parafrasava evidentemente il linguaggio per dire
che le scelte procedurali con cui si attribuisce e disciplina il po-
tere del cittadino elettore, sono in realtà atti costitutivi dell’elet-
tore in quanto tale:
Gli elettori non esistono in natura. Sono il prodotto delle leggi e dei si-
stemi elettorali. Neanche le parole degli elettori, i loro voti, sono un
dato naturale. Dipendono dagli artifici in cui sono inseriti e conteggia-
ti per produrre un risultato […] Gli elettori sono l’effetto delle leggi
elettorali. Queste, per così dire, “fanno l’elettore”, lo rispettano e lo
usano; sono neutrali o sono faziose; sono sincere o sono mentitorie.
Trasformano l’elettore da una realtà virtuale a una realtà concreta.26
28 Fulvia de Luise
27
Conoscere e comparare i modelli costituzionali prodotti dalle poleis do-
vette essere lo scopo della raccolta commentata di 158 politeiai, di cui l’unica
rimasta documenta istituzioni e storia della città di Atene.
L’invenzione del cittadino 29
28
Cfr. in particolare il fr. 30 West, in cui Solone rivendica di aver scritto
leggi ugualmente valide per i ricchi e per i poveri e di avere così recuperato
molti uomini, prima sottoposti a padrone, fuggiti lontano o venduti come
schiavi, restituendoli alla polis come cittadini; per farlo ha dovuto muoversi
«come lupo tra molti cani». L’eliminazione della schiavitù per debiti e i di-
spositivi di difesa legale per i poveri avevano di fatto limitato il potere degli
eupatridi, pur senza sottrarre il monopolio del potere politico e giudiziario alla
parte nobile e ricca. Nel IV secolo, dopo gli sviluppi e le ripetute crisi della
democrazia realizzata, saranno soprattutto i moderati a proporre il ripristino di
quella forma di governo bilanciata, ma non egualitaria, che viene evocata sot-
to il nome di «patrios politeia», «costituzione dei padri». Sul tema cfr. Ga-
staldi 2008.
29
Cfr. in particolare il fr. 3 West, vv. 30-39, sull’opposizione tra dysnomie
e eunomie, e il fr. 4 West.
30
Ben rappresentata in Omero è l’idea di giustizia come forma di ricono-
scimento condiviso, affidata nell’Iliade al giudizio dell’assemblea dei guerrie-
ri, nell’Odissea all’intelligenza morale di personaggi autorevoli come Ulisse.
Il significato di dike (giustizia) è fissato per contrasto rispetto a hybris (ol-
traggio) e a bia (violenza), definendo un limite, oltre il quale l’azione si tra-
sforma in violazione; chi lo viola scivola in una condizione sub-umana, il cui
modello negativo sono i Ciclopi che «non hanno assemblee di consiglio, non
leggi» (Od. IX 112) e sono più forti e più antichi di Zeus. La giustizia ha la
sua prima trattazione organica in Esiodo, che ne fa il canone del limite (Le
opere e i giorni, vv. 202-292), e nella Teogonia delinea la discendenza della
dea Dike da Zeus e dalla più antica Themis. Solone ne riproduceva in parte il
patrimonio simbolico, ma trasformava l’opera di giustizia in un impegno del
tutto umano, e specificamente politico, descrivendo in termini di contenimen-
to e di corretta misura la sua mediazione tra le parti sociali.
30 Fulvia de Luise
31
Abolito l’accesso politico differenziato secondo la gerarchia censitaria
di Solone, la popolazione cittadina si articola ora in dieci «tribù», ciascuna
delle quali riunisce al suo interno tre «trittie», che raccolgono a loro volta un
certo numero di «demi» di provenienza territoriale diversa (afferenti cioè a tre
distretti di differente composizione sociale: la costa, la città, le regioni del-
l’interno). I «demi» (in tutto 139) esprimono la loro rappresentanza attraverso
la tribù e ogni tribù invia 50 rappresentanti al Consiglio dei Cinquecento
(Boule), detentore del potere di governo. La tribù funziona dunque come una
circoscrizione elettorale e un organo di governo intermedio (con compiti am-
ministrativi e di reclutamento militare), che realizza già in sé l’integrazione di
cittadini di provenienza sociale diversa. Tutti coloro che sono riconosciuti
come cittadini accedono all’ekklesia, l’assemblea cui spetta il potere di ap-
provare le leggi proposte dal Consiglio dei Cinquecento. Ne sono esclusi i
«meteci» (stranieri residenti) e naturalmente le donne e gli schiavi. Le classi
censitarie hanno ancora un ruolo per la determinazione degli obblighi tributari
e per il servizio militare, ma non condizionano l’accesso all’elettorato attivo e
passivo.
32
Sul ruolo di Clistene come nomothetes e sulla sua almeno parziale
damnatio memoriae, cfr. Vegetti 2015.
L’invenzione del cittadino 31
32 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 33
34 Fulvia de Luise
39
Sulla rilevanza di questa dinamica per lo sviluppo delle istituzioni de-
mocratiche in Atene e per la riflessione dei filosofi sulle forme di governo,
cfr. Cambiano 2016 e anche de Luise 2017.
40
Monoson (2000) parla in senso molto forte di «Democratic entangle-
ments» di Platone (cfr. in part. 113-153 e 181-205), ipotizzando un suo pro-
fondo coinvolgimento con le forme reali e con elementi del discorso demo-
cratico circolante ad Atene, al di là delle esplicite sue critiche al sistema
dell’isonomia. Nel prosieguo del discorso si accennerà ancora ai possibili ef-
L’invenzione del cittadino 35
fetti di lungo periodo dell’esperienza della democrazia e del suo fascino ideo-
logico sul filosofo impegnato a costruire la città perfetta.
36 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 37
43
La composizione aleatoria degli organismi deputati a prendere decisioni
politiche è motivo sufficiente, agli occhi di Platone, per considerare la demo-
crazia un «mercato di costituzioni» (Rep. VIII 557 d 6), in cui le disposizioni
di legge variano di continuo e restano in gran parte inapplicate, determinando
uno stato di impunità latente per tutti.
44
L’uomo democratico, educato all’isonomia per quanto concerne i poteri
politici, trasferisce il medesimo criterio al rapporto che intrattiene con i piace-
ri. Il risultato è che vive «compiacendo» di volta in volta il desiderio che da
ultimo gli si presenta, senza istituire alcuna gerarchia di priorità tra essi: «ora
beve vino al suono del flauto, poi beve solo acqua e fa una cura dimagrante;
ora si dà agli esercizi fisici, a volte invece si impigrisce e non si cura di nien-
te, poi si atteggia come se dedicasse il suo tempo alla filosofia. Spesso prende
parte alla vita politica, e balza alla tribuna per parlare e agire a casaccio. E se
mai gli capita di provare invidia per certi uomini di guerra, si lascia trascinare
in quella direzione, oppure per gli uomini d’affari si rivolge a quest’altra e
non c’è nella sua vita alcun ordine né obbligo; tuttavia, chiamando questa
forma di vita piacevole, libera e beata, vi si dedica per l’intera esistenza».
«Hai perfettamente descritto» disse lui [Glaucone ndr] «la vita di un uomo
isonomico» (Rep. VIII 561 c 6-e 2).
38 Fulvia de Luise
sta ben attento a tenere alto il valore della koinonia, che costi-
tuiva il pilastro dell’ordine democratico, ponendolo a sostegno
ideologico del suo progetto di kallipolis.
Come è noto, all’inizio del libro IV, prima di impegnarsi in
quella che sarà una vera e propria «fondazione» politica, il So-
crate platonico si sofferma sul fatto che la città dovrà essere trat-
tata come un intero45 e mantenersi innanzitutto «una» (mia),46
perché sarebbe impossibile attribuire il nome di polis a aggrega-
zioni di «parti», che sono ciascuna una città. Di conseguenza,
alla base della ricostruzione di una città degna di questo nome,
dovrà porsi il rifiuto di distinguere interessi e aspirazioni proprie
di gruppi o di individui, senza mai accettare l’apparente natura-
lità antropologica del conflitto e della pleonexia, che mette cia-
scuno contro tutti. Obiettivo iperbolico della kallipolis diventerà
anzi quello di sopprimere ogni altro sentimento di appartenenza,
familiare o di gruppo, per lasciare in vita soltanto quello genera-
to dall’identità civile: il senso della koinonia, che dovrebbe in-
durre tutti a considerare i propri concittadini come consangui-
nei, per poter dire così all’unisono «mio» o «non mio», pensan-
do a gioie e dolori di ciascuno di essi.47
È interessante notare che questo esito è preparato con molto
anticipo nel libro III della Repubblica, dove, usando l’idea di
fratellanza come emblema dei sentimenti che tengono insieme
una comunità politica, Platone non disdegna di ricorrere all’ar-
ma antica del mito, facendo risuonare in chi già la possiede la
simbologia profonda dell’autoctonia, sia pure nella forma espli-
citamente falsa di una «nobile menzogna»:
Ma a proposito di quelle menzogne che, come dicevamo or ora, pos-
sono rendersi opportune, quale espediente potremo trovare per raccon-
tarne una nobile e farla credere in primo luogo a quegli stessi gover-
nanti, altrimenti almeno al resto della città? […] Cercherò di convin-
45
Cfr. Rep. IV 419 b 3-c 4.
46
Cfr. Rep. IV 422 e 1-423 b 2 per il tema della mia polis: l’unità cittadi-
na non tollera divisioni in parti sociali tra loro estranee e contrapposte, ma
solo articolazioni funzionali al bene comune.
47
Cfr. Rep. V 462 a 9-463 b 8.
L’invenzione del cittadino 39
48
Pl. Rep. III 414 b 7-e 5, traduzione Vegetti
49
Per l’approfondimento analitico e interpretativo di questi aspetti, si ri-
manda ancora al saggio di Gastaldi contenuto in questo volume.
40 Fulvia de Luise
50
Nel caso delle donne, un mito (giunto con Plutarco in versione tarda,
ma probabilmente di antica fonte) data l’esclusione femminile dalla politica
addirittura all’istituzione stessa della città: la polis sceglie Atena come sua
divinità protettrice per effetto di un voto in cui prevale numericamente la
componente femminile, rispetto a quella maschile (che avrebbe preferito l’al-
ternativa di Poseidone). L’esclusione delle donne dagli spazi della politica,
adottata per ritorsione e mai più revocata, risulta dunque così antica che parla-
re di donne in assemblea o al governo, come fanno in modo diverso Aristofa-
ne e Platone, evoca immediatamente il ridicolo. Sull’immagine e la posizione
giuridica della donna nell’antichità, fondamentale resta Cantarella 1985. Per
gli schiavi il problema della cittadinanza non si può porre, essendo la loro
condizione giuridica talmente al di sotto di ogni tutela che esso viene solleva-
to, al contrario, per discutere la legittimità di concessioni di cittadinanza al-
largata, nei rarissimi casi in cui uno stato di penuria di cittadini abbia consen-
tito di includere nella cittadinanza addirittura ex schiavi affrancati. Sia Plato-
ne che Aristotele discutono i criteri della schiavizzazione legittima, ma non la
condizione di schiavitù (di evidente utilità al funzionamento del sistema pro-
duttivo). Mentre Platone pone il limite dell’andrapodizein (per diritto di guer-
ra) distinguendo i Greci, non schiavizzabili, dai barbari, Aristotele teorizza il
caso degli «schiavi per natura» (Pol. I 3-5), immaginando che una tale condi-
zione si dia se, e solo se, parliamo di uomini di per sé incapaci di governarsi e
quindi in ultima istanza avvantaggiati dal sottostare al dominio dispotico di
un padrone. Da notare che, in quanto una tale incapacità produce effetti ana-
loghi alla mancanza di cultura e di educazione, Aristotele non esita a ipotizza-
re che la cittadinanza dovrebbe essere negata anche a tutti i lavoratori manuali
(banausoi), i quali, benché liberi e benché contribuiscano in modo essenziale
L’invenzione del cittadino 41
alla vita della città, proprio a causa del lavoro sono privati del tempo e della
formazione necessaria a considerarli parti attive della città.
51
Pol. III 2, 1275 a 36-37.
52
Pol. III 2, 1275 b 22-25.
42 Fulvia de Luise
53
Pol. III 2, 1275 b 32-34.
L’invenzione del cittadino 43
Conclusioni
54
Arist. Pol. III 9, 1280 b 30-1281 a 2.
55
Cfr. Rep. IX 592 a 5-b 4. Sul tema cfr. Vegetti 2005 e 2009.
56
M. Bettini, Quella lezione dell’antica Roma, «Repubblica», 31 gennaio
2017, p. 29.
44 Fulvia de Luise
Bibliografia
L’invenzione del cittadino 45
46 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 47
48 Fulvia de Luise
L’invenzione del cittadino 49
SILVIA GASTALDI
1
Per quanto riguarda gli autori successivi, Eliano nella Varia Historia
(13, 24) ne fornisce una versione pressoché identica, mentre Plutarco, nella
Vita di Pericle (37, 3) modifica la formula che abbiamo visto asserendo che,
secondo la legge di Pericle, avrebbero potuto essere ateniesi solo coloro che
fossero nati da due ateniesi. Secondo Blok 2009a, 142-143 è probabile che la
formulazione più vicina a quella originale sia quella riportata da Plutarco,
mentre quanto scrive Aristotele rappresenterebbe piuttosto una parafrasi.
52 Silvia Gastaldi
8
Si tratta della guerra che, dal 395 al 387 a.C., oppone Sparta a una coali-
zione formata da Atene, Tebe, Argo e Corinto, con l’appoggio della Persia. I
successi ateniesi allarmano i Persiani, che, passando dalla parte di Sparta,
fanno cessare le ostilità. Così, nel 387 viene sottoscritta la pace di Antalcida.
56 Silvia Gastaldi
sebbene sia pubblicato solo nel 380.11 Tra le ragioni addotte per
sostenere la superiorità di Atene sulle altre città vi è proprio
l’autoctonia e le espressioni utilizzate a questo riguardo sono
quasi identiche a quelle che si leggono in Lisia: «Abitiamo que-
sto paese non avendone scacciato altri né avendolo trovato de-
serto né essendoci riuniti qui come un miscuglio di varie razze,
ma così nobile e pura è la nostra origine che occupiamo senza
interruzione la terra da cui fummo generati, in quanto siamo au-
toctoni e possiamo chiamare la nostra città con gli stessi nomi
che diamo ai più stretti congiunti» (par. 24), aggiungendo, subi-
to dopo, che questi nomi sono quelli di «nutrice, padre e madre»
(par. 25).12
L’autoctonia degli Ateniesi, intesa ancora come un legame di
tipo parentale con la terra, diviene centrale nell’epitafio per i
caduti della battaglia di Cheronea del 338 attribuito a Demoste-
ne.13 La circostanza è drammatica: sconfitti da Filippo di Mace-
donia, gli Ateniesi hanno perduto la loro libertà. Il riferimento a
questo evento è presente proprio all’esordio dell’epitafio, dove
si afferma che i cittadini di cui si sta celebrando il funerale pub-
blico hanno preferito morire nobilmente piuttosto che vivere e
vedere la Grecia atychousa, sconfitta. Benché il loro valore, la
loro arete, non possa essere adeguatamente espresso con le pa-
role, l’oratore dichiara di volerli elogiare, così come hanno fatto
coloro che, nel corso del tempo, la città ha delegato a questo
11
I discorsi di Isocrate, pur presentandosi come demegorie, sono dei veri
e propri pamphlets che circolano in forma scritta, dopo che l’autore li ha ac-
curatamente composti: quest’opera di rifinitura può richiedere molti anni.
12
Trad. it. Marzi 1991.Il motivo dell’autoctonia è presente anche in altri
discorsi di Isocrate: cfr. Sulla pace 49, dove viene usato polemicamente, e
cioè per domandarsi se gli Ateniesi, che sostengono – come titolo di merito e
di superiorità sugli altri – di essere autoctoni e di abitare la loro città da più
tempo di tutti gli altri, non sono in grado di amministrare adeguatamente Ate-
ne; Panatenaico 124-125, in cui gli Ateniesi sono definiti i soli autoctoni tra i
Greci, avendo avuto come nutrice la terra da cui nacquero, e che essi hanno
amato come i migliori tra i figli amano i loro padri e le loro madri. Il linguag-
gio utilizzato in questo discorso è del tutto analogo a quello del Panegirico.
13
Si tratta di un’opera che è generalmente considerata spuria. Sulle diver-
se posizioni interpretative cfr. Lesky, II, trad. it. 19752, 796, n. 19.
58 Silvia Gastaldi
14
La differenza che Demostene traccia è quella tra ἐπήήλυδες, cittadini
immigrati, equiparati a figli adottivi (εἰσποιετοῖς τῶν παίίδων), e figli le-
gittimi (γνήήσιοι).
L’autoctonia degli Ateniesi: un mito civico di identità 59
15
Sulle differenti ipotesi interpretative di cui il Menesseno è stato fatto
oggetto cfr. Clavaud 1981. Maggiormente mirati ai contenuti sono Schiassi
1962, 37-57; Kahn 1963, 220-234.
16
Menesseno è menzionato, in Fedone 59 b, tra coloro che erano presenti
nel carcere in cui era stato rinchiuso Socrate e che assistettero alla sua morte.
60 Silvia Gastaldi
17
Si avverte chiaramente, in questo passo, l’eco dell’Epitafio di Pericle in
Tucidide: sull’irrilevanza dei requisiti di ricchezza e di status ai fini della par-
tecipazione alla politica, cfr. Tucidide II, 37, 1-2. Per quanto riguarda questa
particolare definizione della democrazia, lo stesso Tucidide, riferendosi al
ruolo svolto da Pericle, afferma che in Atene vi era una democrazia, ma di
fatto il potere era affidato al primo cittadino (II, 65, 9).
62 Silvia Gastaldi
18
Non possediamo altri epitafi risalenti a questo periodo. Aristotele, in
Retorica I, 7, 1365 a 33-35, fa riferimento a un altro epitafio di Pericle, forse
per i caduti nella guerra contro Samo, che non ci è pervenuto, nemmeno nella
riscrittura o rielaborazione di Tucidide. Riguardo alla scarsità del numero de-
gli epitafi che ci sono pervenuti si può osservare, come ha giustamente fatto
notare Canfora 2010, 69-82, che probabilmente non ne esisteva la versione
scritta, trattandosi di discorsi d’apparato, destinati a svilupparsi secondo uno
schema consolidato, costituito da una sequenza di luoghi comuni. È quanto fa
rilevare Socrate nel Menesseno, come si è visto.
L’autoctonia degli Ateniesi: un mito civico di identità 63
19
Sulla contrapposizione tra Ceramico e Acropoli e sulle diverse modalità
che, in ciascuna delle due sedi, viene declinato il motivo dell’autoctonia si
vedano le osservazioni di Loraux 1981a, 49ss.
20
III 14, 6.
64 Silvia Gastaldi
21
Esistono due versioni riguardo all’etimologia di questo nome. Il termine
viene fatto derivare dall’unione del suffisso -chthon, e cioè terra, con due di-
versi prefissi: o eris, contesa, alludendo con questo alla lotta di Atena contro
Efesto per mantenere la sua verginità, oppure erion, lana, in riferimento al
pezzo di tessuto con cui la dea si sarebbe asciugata la gamba su cui era caduto
lo sperma di Efesto.
22
Un’ampia descrizione della produzione artistica riferita al mito di Erit-
tonio, accompagnata da un apparato iconografico, è condotta da Cruccas
2007, 43-78.
23
La questione relativa a questa doppia denominazione è stata ampiamen-
te studiata, ma lascia una serie di questioni aperte. Sembra che i due nomi
siano intercambiabili, almeno nel IV secolo, e che indichino lo stesso perso-
L’autoctonia degli Ateniesi: un mito civico di identità 65
Bibliografia
28
Il termine gegeneis, che significa “nati dalla terra”, indica, da una parte,
chi ha un’origine ctonia ma dall’altra, e più spesso, personaggi mostruosi,
come i Giganti, che tentano la scalata all’Olimpo per detronizzare Zeus (su
cui cfr. il classico volume di Vian 1952), o gli Sparti che, come si è detto,
escono dalla terra armati e che, come i Giganti, sono caratterizzati dalla vio-
lenza.
68 Silvia Gastaldi
Introduzione
1
Bobbio 1999, 380.
72 Lucilla G. Moliterno
2
Ovvero i «decreti».
3
Arist. Pol. 1292 a.
4
Moliterno 2016, § 3, 3.1.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 73
5
Cfr. Le Bon 1895, livre I, chapitre III, § 2.
6
Pl. Rep. 557 b.
7
Cfr. Pl. Rep. 558 d-561 e.
8
Pl. Grg. 507 e.
9
Pl. Rep. 561 d.
10
Pl. Rep. 561 e.
74 Lucilla G. Moliterno
11
Pl. Lg. 645 e.
12
Pl. Lg. 864 d.
13
Cfr. Pl. Grg. 521 e.
14
Il termine significa privi di noesis, in quanto non ancora giunti all’età
adulta. Pl. Grg. 464 e.
15
Schumpeter 1977, 250.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 75
22
Th. III 44, 4 Traduzione di Savino (Garzanti, 2013).
23
«Non riflettete che la vostra signoria è una tirannide» (corsivo mio, Th.
III 37, 2).
78 Lucilla G. Moliterno
24
Corsivi miei, Th. III 38, 4-7.
25
Cfr. Cariler 2011, 5-121.
26
Cfr. Ar. Ec. vv. 193-212.
27
Ar. Ach. vv. 23-27.
28
Cfr. Mény, Surel 2001, 171.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 79
2.1. La cittadinanza
29
Cfr. Mény, Surel 2001, introduzione, capitolo IV.
30
Arist. Pol. 1275 a.
31
Cfr. Pl. Grg. 452 e.
80 Lucilla G. Moliterno
36
Ar. V. vv. 715-718.
37
Cfr. Pl. Grg. 519 a. Viene in mente per lontana analogia il dibattito sul
cosiddetto «bonus Renzi» che, in base al decreto legge 66 dell’aprile 2014,
destina ottanta euro mensili alla busta paga dei lavoratori dipendenti – e cate-
gorie assimilate – con reddito lordo annuo inferiore a una certa cifra.
38
Pl. Rep. 565 a.
39
Cfr. Foucault 2005, 44.
40
Cfr. Ferraro 1986, 93.
82 Lucilla G. Moliterno
41
Arist. Pol. 1279 b.
42
Cfr. Pl. Rep. 565 b e seguenti.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 83
43
Cfr. E. Suppl. vv. 403-408, 426-462.
44
Cfr. ivi, vv. 350-353, Th. II, 65, 8.
45
Cfr. E. Suppl. vv. 350-353. Il termine isopsephon è composto da ison e
psephos. Quest’ultimo era una piccola pietra adoperata come gettone di voto,
la cui radice si trova anche in psephisma. Lo stesso termine è usato anche da
Tucidide nel «programma di guerra» pericleo in riferimento ai lacedemoni
(cfr. Th. I 141, 6) e da Platone nelle Leggi, in riferimento al «voto» della ge-
rousia, dello «stesso valore […] di quello dei re» spartani (Pl. Lg. 692 a).
46
Cfr. E. Suppl. vv. 236-245.
84 Lucilla G. Moliterno
2.3. L’ethnos
51
Scriverà, ad esempio, Voltaire sul popolo romano: «i grandi e il popolo
erano sempre divisi [...]. Il Senato di Roma, che aveva l’ingiusto ed esecrabile
orgoglio di non voler spartire nulla con i plebei, non conosceva altro mezzo,
per allontanarli dal governo, che quello di tenerli sempre impegnati in guerre
all’estero. Consideravano il popolo come una bestia feroce che andava aizzata
contro i vicini per paura che divorasse i suoi stessi padroni». Voltaire 1987,
36. Si noti come, nella storia del pensiero occidentale, s’incontrino frequen-
temente paragoni tra il soggetto collettivo popolo e un animale forte e impo-
nente. Nel pensiero dell’Ellade classica si trovano numerosi paragoni tra la
figura del popolo e animali selvatici soprattutto nelle opere degli autori anti-
democratici (a titolo d’esempio cfr. Pl. Lg. 666 e; Rep. VI); si tratta, dunque,
d’immagini rilevanti nell’analisi della demagogia.
52
Cfr. Salmorán 2017, 193-200.
86 Lucilla G. Moliterno
53
Cfr. Canfora 2011, passim.
54
Pl. Men. 237 a.
55
Usualmente il Menesseno è interpretato dai filologi come un testo dalla
intenzione parodica, una satira del genere epitaffio in generale e del testo pe-
ricleo in particolare. Fermo restando che è ovviamente innegabile la vis ironi-
ca (si pensi alla dichiarazione di Aspasia, riportata da Socrate, sulla guerra
civile: «furono le nostre stesse divisioni interne, non gli altri, a vincerci. Sì,
invitti noi siamo ancora oggi nei confronti di questi nemici: siamo noi, inve-
ce, che abbiamo vinto noi stessi, e da noi stessi siamo stati sopraffatti». Pl.
Men. 243 d-e); nel Menesseno, tuttavia, ci sono temi che vanno oltre il discor-
so pericleo, rendendo la composizione originale (ad esempio la nozione di
eguaglianza di nascita, l’isogonia, cfr. Pl. Men. 238 e-239 a). Il dialogo plato-
nico potrebbe anche essere un’exercitatio di ripetizione di argomenti – paral-
lelo ad esempio allo studio dell’argomentazione di Protagora – in cui il filoso-
fo esplora quali potrebbero essere i fondamenti teoretici della posizione pro-
democratica. Cfr. Canfora 2011, 8-20; Bertelli 2005, 344-348.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 87
3. Il demos-platea
56
Isocr. Panegirico, 50. Traduzione leggermente modificata.
57
Th. II 41.
58
Arist. Ath. 26.
88 Lucilla G. Moliterno
59
Pl. Grg. 481 d-482 a.
60
Ar. Eq. vv. 1341-1342.
61
Hobbes 2013, X, potere. Un esempio dalla storia contemporanea è il di-
scorso del 1994 con cui Berlusconi annuncia di volersi occupare della cosa pub-
blica: «L’Italia è il Paese che amo». Il testo completo è fruibile nella sezione Poli-
tica del sito internet del quotidiano «La Repubblica», pubblicato il 22/01/2004
http://www.repubblica.it/2004/a/sezioni/politica/festaforza/discesa/discesa.html
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 89
62
Pl. Grg. 502 c-d.
63
Canfora 2014, passim.
64
Pl. Ap. 19 b-c.
90 Lucilla G. Moliterno
Bibliografia
65
Cfr. Arist. Rh. 1413 b-1414 a.
66
Cfr. Le Bon 1895, livre I, chapitre III, § 3.
La figura del demos: un’invenzione dei demagoghi? 91
Opere antiche
1. La parola mancante
3
Bobbio 1973 e 1990.
Cittadinanza e diritti, tra antichi e moderni 95
2. I diritti in Grecia
12
Stolfi 2015, 394.
13
Stolfi 2006b, 60.
14
Ivi, 60-61.
98 Valentina Pazé
3. Intermezzo metodologico
18
Miller 1995, 221-222 e 2005. Cfr. le critiche di Keyt 1996, Gill 1996 e
la replica di Miller 1996.
100 Valentina Pazé
19
Bobbio 1985, 60. Per l’intera discussione su Il nome e la cosa: 55-63.
Cittadinanza e diritti, tra antichi e moderni 101
20
Cfr. in merito Fabre 1998 e Bauman 2000.
21
Mi servo qui della distinzione tra diritti fondamentali e patrimoniali
messa a punto da Luigi Ferrajoli (2001 e 2007).
22
Ferrajoli 2001, 5.
23
Ferrajoli 2007, 639ss.
102 Valentina Pazé
30
Carter 2004, 198-199, 206.
31
Ivi, 199.
32
Ivi, 203-205.
33
Ivi, 205. Si noti invece che poco prima Carter aveva dichiarato che non
intendeva ragionare in termini di diritti umani universali (p. 203).
106 Valentina Pazé
42
Hansen, 2001. Il sottotitolo della traduzione italiana del testo di Hansen
– La sovranità del tribunale popolare ad Atene – può apparire paradossale,
ma suona come un invito a ridimensionare la tesi di Finley sulla «sovranità
assoluta» dell’assemblea.
43
Il paragone con la Gran Bretagna è di Hansen 2003, 126.
44
Maffi 2011.
Cittadinanza e diritti, tra antichi e moderni 109
zione.45 In realtà le cose non sono così semplici. Il fatto che una
norma disponga obblighi o divieti a tutela di una certa categoria
di persone non significa che riconosca loro dei diritti. O meglio,
ciò può essere sostenuto sul piano strettamente logico, ma non
se si tiene conto dei significati di cui è venuto a caricarsi la pa-
rola ‘diritto’, che vanno oltre la semplice idea di corrispettivo di
un dovere. Se ad Atene alla donna adultera veniva riservato un
trattamento più mite di quello previsto per il suo compagno (ri-
sparmiata dalla morte lei, abbandonato alla vendetta privata lui),
non era certo perché la si ritenesse degna di particolare rispetto
e si intendesse garantirle il diritto alla vita. Essa veniva rispar-
miata proprio perché fondamentalmente disprezzata e non rico-
nosciuta come un soggetto responsabile delle proprie azioni.46
Un analogo discorso vale per le tutele di cui godevano gli schia-
vi nel mondo antico, predisposte non nel loro interesse, ma in
quello del padrone, per il quale lo schiavo rappresentava un be-
ne da non danneggiare o distruggere a cuor leggero.
Insomma, se è vero che tutti i diritti sono traducibili in corre-
lativi doveri, non è vero l’inverso, ossia che l’esistenza di doveri
implichi sempre quella dei diritti.47 In particolare, sarebbe scor-
45
Secondo Marchettoni, ad esempio, «la formalizzazione del concetto di
diritto in termini di dovere sembra comportare che l’asserita estraneità del
concetto di diritto soggettivo rispetto alle culture non occidentali si fonda su
un equivoco. Dal momento che il concetto di diritto è riconducibile ad altre
nozioni sufficientemente semplici – come quella di dovere – da potere essere
assunte come universali, non ci sono basi per sollevare dubbi, come talvolta è
stato fatto, sulla compatibilità del linguaggio dei diritti con le culture extra-
europee» (Marchettoni 2012, 112).
46
Cantarella 1985, 63: «Perché questo silenzio? Perché, alla città, la sorte
della donna non interessava. Per la città, la donna non era un soggetto attivo,
un essere che ragionava e che voleva». Bobbio ha osservato più in generale
come il divieto di omicidio, presente in tutte le culture antiche, abbia espresso
originariamente l’esigenza di garantire la pace sociale e il bene della comuni-
tà, più che il diritto alla vita individuale (Bobbio 1990, 55.)
47
Sulla non corrispondenza biunivoca tra diritti e doveri, cfr. Kelsen,
1994, 85 e Bobbio 1999, 443: «La legge naturale, nella concezione del giu-
snaturalismo tradizionale, era una regola di condotta che aveva come destina-
tari soprattutto i sovrani cui imponeva l’obbligo di esercitare il potere rispet-
110 Valentina Pazé
56
Si pensi alla tortura, vietata nei confronti dei cittadini, ma non nei con-
fronti di schiavi, meteci, stranieri. Commentando un’affermazione di Licurgo
sul carattere eminentemente ‘democratico’ della tortura, Laura Pepe sostiene
che essa «assurge a manifesto dell’ideologia democratica ateniese, e dell’en-
fasi che essa attribuisce alla distanza tra il polites e chi polites non è» (Pepe
2011, 235).
57
Ober 2005, 107.
58
Ivi, 113ss.
59
Canfora 1982, 18-19.
114 Valentina Pazé
6. Conclusione
60
Cfr. Cohen 2000; Ober 2005, 117; Martini 2005: 43; 45-46. A proposito
dei meteci, anche Hansen mette in dubbio che Aristotele, in Pol. 1275 a, 9-10,
si riferisca ad Atene e osserva che le orazioni spesso mostrano meteci che si
presentano in tribunale da soli o assistiti da un amico, e non dal loro prostates
(Hansen 2003, 178).
61
Ober 2005, 11-12. Diversa la tesi di Dover 1983, 105-106.
Cittadinanza e diritti, tra antichi e moderni 115
64
Bovero 2000, 118.
65
Vegetti 2017.
Cittadinanza e diritti, tra antichi e moderni 117
Bibliografia
66
Bovero 2016 15.
67
Ferrajoli 2001, 6.
68
Cfr. Palombella 2002, per il quale i diritti fondamentali costituiscono i
«criteri di riconoscimento» di un ordinamento giuridico, e Bovero 2016, 15,
per il quale «sono fondamentali quei diritti che non conseguono dall’esistenza
di determinati doveri logicamente antecedenti ad essi, ma al contrario vengo-
no concepiti (e stipulati) come originari, e dunque essi stessi fondanti rispetto
a una certa classe di doveri, che ne conseguono logicamente». Sulle due acce-
zioni di diritti fondamentali, cfr. anche Costa 2008 366.
118 Valentina Pazé
IL CITTADINO IN ARISTOTELE:
CRITERI DI INCLUSIONE/ESCLUSIONE
1
In particolare sui cc. 1-5 del III libro vd. Kahlenberg 1934, 8-14; Braun
1961, 5-44 (anche Braun 1965, 19-52); Develin 1973; Johnson 1984 (anche
Johnson 1990, 115-125); Morrison 1999; Frede 2005; Collins 2006, 119-131;
Roberts 2009; Gastaldi 2017; su aspetti particolari importanti anche Mossé
1967; Lévy 1980.
2
In generale sul concetto di metechein tes politeias (specialmente in epo-
ca arcaica) vd. Walter 1993.
126 Lucio Bertelli
3
Vd. Accattino 2013, 147.
4
Tutte traduzioni italiane dei passi del III libro sono prese da Accattino
2013.
5
Accattino 2013, 148.
6
Vd. per esempio Susemihl, Hicks 1894, 355, Schütrumpf 1991, 383, che
suppone in questa parte di Pol. III l’ignoranza della definizione data in Pol. I.
7
In realtà poi Aristotele nell’analisi delle singole koinoniai non applica il
metodo ‘diairetico, ma quello ‘genetico’ (Pol. I 2, 1252 a 1), più utile per di-
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 127
mostrare l’integrazione delle singole parti rispetto al telos della città; vd. in
proposito Accattino 1978, 177-178.
8
Vd. p.e. Xen. Mem. 3, 4, 12.
128 Lucio Bertelli
9
Per l’interpretazione di questa categoria rinvio al commento di Accattino
2013, 148.
10
Per esempio nel caso dei poietoi politai, cioè cittadini per decreto, se
sceglievano la residenza in Atene, venivano iscritti nelle liste dei demi come
gli altri cittadini: si vedano i casi dei Plateesi del 427 a.C. (effettiva a partire
dalla seconda generazione: vd. Dem. 59, 104-106; Isocr. 12, 94) e la cittadi-
nanza concessa ai Samii per decreto nel 405 a.C. (vd. Meiggs, Lewis, 283-
287 n. 94,), rinnovata nel 403 a.C.; su ciò vd. MacDowell 1978, 70-73; ma
vd. anche le osservazioni di Gauthier 1986; quanto all’esclusione dei pa-
rekmakotes (quelli che avevano superato il limite d’età) non si capisce a quale
legge Aristotele si riferisca (vd. Lévy 1980, 236 n. 169): come egli stesso ri-
corda in Ath. Pol. 53, 3 al compimento del 60° anno d’età il cittadino ateniese
era iscritto obbligatoriamente, pena la perdita dei diritti civili, all’elenco degli
‘arbitri’ (diatetai).
11
Accattino 2013, 61, 150, sulla scorta di Schütrumpf 1991, 389-390, ri-
tiene che il termine krivsi~ di 1275 a 23 non sia specificamente rivolto
all’attività giudiziaria, come di solito si intende (vd. Barker 19686, 93;
Simpson 1998, 134), ma «abbia il significato più ampio di decisione»; in ef-
fetti la formula di 1275 a 23 è piuttosto generica e nel prosieguo dell’argo-
130 Lucio Bertelli
mentazione Aristotele distingue tra archai vere e proprie, limitate nel tempo,
e le funzioni di dikastes (giudice) e ekklesiastes (membro dell’assemblea).
12
In effetti a Pol. IV 14, 1297 b 41-98 a 3 Aristotele distingue le tre parti
di ogni costituzione in tò bouleuomenon (funzione deliberativa, cioè boulé ed
ekklesia), archai (magistrati con potere di comando su specifiche aree: 1299 a
25-28), e tò dikazon (tribunali), secondo la ripartizione corrente ad Atene nel
IV sec. a.C. (vd. Rhodes 1981, 32); per la classificazione delle funzioni poli-
tiche in Pol. IV 14-16 vd. il commento di Canevaro in Bertelli, Moggi (eds.),
2014, 279-377.
13
Per un giudizio analogo in riferimento alla costituzione di Solone vd.
Ath. Pol. 9, 1 e Pol. II 12, 1274 a 3-7. Cfr. Schütrumpf 1991, 390.
14
1275 a 34-75 b 3.
15
Cfr. anche Cat. 12, 14 b 3-7 su ‘anteriorità’ = maggior valore. Sull’ap-
plicazione delle categorie di anteriore e posteriore alla classificazione delle
costituzioni in Pol. III si rinvia a Fortenbaugh 1976.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 131
16
1275 b 17-21.
17
Vd. Mulgan 1977, 54, Accattino 1986, 33, Accattino 2013, 151; al con-
trario Morrison 1999, 146, ritiene che Aristotele sia alla ricerca di una defini-
zione normativa del cittadino che vada al di là delle singole realtà politiche.
18
Su questo aspetto della formula vd. in part. Johnson 1984, 77-80 (anche
1990, 117-121), che intende arché di 1275 b 15 e 18 come «sphere of authori-
ty», non come carica effettivamente ricoperta («office») secondo la definizio-
ne di 1275 a 23.
132 Lucio Bertelli
19
Schofield 1996, 841-842; vd. anche Accattino 2013, 151. Schofield
(ibidem, 842ss.) contesta, a mio giudizio giustamente, che con exousia si
debba intendere un ‘diritto’ a partecipare secondo la nota interpretazione di
Miller 1995, 101-104, 146 (anche Schütrumpf 1991, 393-394 intende exousia
come ‘Recht’): infatti si tratta solo di una «potentiality for actual partecipa-
tion» (Schofield 1996, 842) inerente allo status di cittadino, quindi variabile
secondo le diverse costituzioni e, in uno stesso tipo di costituzione, secondo
le sue diverse attuazioni. Per Nussbaum 1990, 167-168 exousia significhe-
rebbe «the authorization to share in judicial and deliberative funtioning»: ma
‘authorization’ da parte di chi?
20
L’obiezione era già stata sollevata da Newman 1887, 230; in forma più
elaborata vd. anche Cooper 1990, 228, Morrison 1999, 145.
21
Sulla questione testuale e l’interpretazione di queste righe vd. Accattino
2013, 179-180.
22
Per la distinzione tra ‘cittadino in senso stretto’ e ‘cittadino in senso la-
to’, cioè i «free-born native residents» (koinonia ton eleutheron: III 6, 1279 a
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 133
21) vd. Cooper 1990, 228229; Morrison 1999, 156-161 suppone l’esistenza di
una ‘gradualità’ nell’esercizio della cittadinanza; per la categoria dei cittadini
solo archomenoi vd. Mossé 1967; Lévy 1980, 237-241.
23
Per il senso dell’espressione cfr. Pol. I 11, 1258 b 9-10; vd. Newman
1887, 141.
24
Vd. Newman 1887, 141-142; Schütrumpf 1991, 398.
25
Vd. Ath. Pol. 26, 4 (legge di Pericle); Dem. LVII, 30 (403/402 a.C.);
vd. Rhodes 1981, 331-335, 493-503; per la procedura di iscrizione alla citta-
dinanza vd. Ath. Pol. 42; in generale sulla cittadinanza ad Atene vd. Manville
1997, 3-34.
26
Il richiamo allo ‘scherzo’ di Gorgia (1275 b 26-30) che a Larissa esiste-
vano dei «fabbricanti di Larissesi», cioè i magistrati chiamati demiourgoi,
non fa altro che confermare che la cittadinanza deriva da una decisione politi-
ca. Vd. commento di Accattino 2013, 153-154; inaccettabile l’interpretazione
di Collins 2006, 121-122.
27
Il testo di 1275 b 37 (pollous gar ephuleteuse xenous kai doulous me-
toikous) non è chiaro: in Ath. Pol. 21, 4 si parla solo di neopolitai. Per la que-
stione vd. Rhodes 1981, 254-256.
134 Lucio Bertelli
28
Vd. Schütrumpf 1991, 401; per la separazione artificiale dei cc. 2 e 3
vd. Aubonnet 1971, 9.
29
Nel giudicare i regimi in questione Aristotele adotta una prospettiva tra-
simachea (l’utile di chi ha il potere: vd. Plat. Resp. I 338 d ss. (cfr. Accattino
2013, 156); la nozione di «utile comune» sottintende quella di giustizia, come
verrà detto esplicitamente a Pol. III 6.
30
Diverso è il caso della koinonia del luogo in Pol. II 1, 1260 b 41: infatti
qui si parla dell’elemento minimo materiale della koinonia, non della sua
forma; diversamente Schütrumpf 1991, 403.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 135
31
Giustamente Accattino 2013, 158, richiama il principio della superiorità
della forma (eidos) sulla materia enunciato in Phys. II 1, 193 a 28ss., e Me-
taph. VII 3, 1029 a 1ss.
32
Accattino 1986, 35.
33
Per le difficoltà di questo capitolo vd. Schütrumpf 1991, 412s.; Gastaldi
2017, 128ss.
34
Sul significato dell’espressione vd. Gastaldi 2017, 132.
35
Sulla distinzione delle due parti vd. in particolare Accattino 2013, 159.
36
L’indagine «se bisogna identificare o no la virtù dell’uomo buono con
quella del bravo cittadino» (1276 b 16-18) è posta, come osserva giustamente
136 Lucio Bertelli
Accattino 2013, 159, in forma di problema dialettico secondo i criteri dei To-
pici (vd. Top. I 4, 101 b 32-34).
37
Per la differenza tra le due qualificazioni di agathos e spoudaios vd. in
particolare Develin 1973, 73-77; Gastaldi 1987; 1995; 2017, 130-131;
Schütrumpf 1991, 408, osserva tuttavia che le connotazioni di agathos e di
spoudaios nel cap. 4 non sono rigidamente distinte, ma si alternano come at-
tributi sia dell’uomo buono sia del bravo cittadino, e pertanto non possono
essere assunte come criteri per l’interpretazione del capitolo, come vorrebbe
Develin.
38
Frede 2005, 172.
39
Cfr. EN VI 13, 1144 b 30 – 45 a 1.
40
Accattino 1986, 35; vd. anche Mulgan 1977, 57.
41
Vd. Gastaldi 2017, 130.
42
Per i riferimenti vd. Schütrumpf 1991, 418. Tuttavia Aristotele non usa
il paragone della nave per indicare la funzione del comandante rispetto
all’equipaggio, come nell’uso platonico (vd. Resp. VI 488 a-e; Pol. 296 e),
ma per stabilire quale sia la capacità (dynamis) e la virtù specifica di ogni
singolo membro e quale sia quella comune (koinos) a tutto l’equipaggio.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 137
43
Non viene specificata nel testo la natura di questa anomoiotes: secondo
Accattino 1986, 35, «deve trattarsi della disparità nell’occupazione delle man-
sioni di governo», coerentemente alle diverse funzioni dei marinai; cfr. anche
Schütrumpf 1991, 419.
44
La differenza era fortemente sottolineata da von Arnim 1924, 38-40 e
sulla sua scorta da Braun 1961, 10-11 n. 12; 1965, 38-39; cfr. anche
Schütrumpf 1991, 420s., il quale tuttavia non vede contraddizione tra l’ariste
politeia di III e quella di VII; Accattino 1986, 39, contro le ipotesi di von Ar-
nim e di Braun, si limita a precisare che in III 4 non «vi siamo elementi suffi-
cienti per identificare nei dettagli un preciso assetto costituzionale, per il
semplice fatto che questo problema resta soltanto sullo sfondo».
138 Lucio Bertelli
45
Accattino 1986, 37; cfr. anche Simpson 1998, 143.
46
Opinione che Aristotele (vd. EN VI 5, 1140 b 7 [Pericle]; VI 8, 1141 b
23ss.) condivide con Platone e altri; vd. riferimenti in Newman 1902a, 160;
Schütrumpf 1991, 424
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 139
47
Secondo Accattino 2013, 162, probabile allusione all’educazione dei
phylakes nella Repubblica di Platone
48
Accattino 2013, 162.
49
Vd. p.e. Plat. Leg. I 643 e, XII 942 c; per altri confronti vd. Accattino
2013, 162; Schütrumpf 1991, 426s.
50
Per il riferimento ai capitoli di Pol. I vd. Simpson 1998, 144 n. 24; Ac-
cattino 2013, 163; al contrario Schütrumpf 1991, 415, nega alcun riferimento
di III 4 alla discussione di Pol. I.
140 Lucio Bertelli
51
Per i riferimenti vd. Accattino 2013, 164.
52
Ibidem.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 141
53
Vd. Simpson 1998, 148; in realtà il riferimento più pertinente è a III 18,
1288 a 33-41, dove si rinvia ai protoi logoi – cioè a III 4 – sulla identità della
virtù di uomo e cittadino nella città migliore; vd. Schütrumpf 1991, 443; Ac-
cattino 2013, 170.
54
Sui rapporti tra Pol. III e IV vd. Accattino 2013, 22-24; diversamente
Schütrumpf 1980, 272-280, Schütrumpf, Gehrke 1996, 180-184.
55
Altri (Schütrumpf, Gehrke 1996, 328; Simpson 1998, 316 n. 58) pensa-
no a un riferimento a Pol. VII (9, 1328 b 37s.; 13, 1332 a 31ss.; 14, 1333 a
11ss.).
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 143
56
Sul concetto vd. Ruppel 1927; Lévy 1993; Hansen 2013.
57
Le traduzioni dal libro IV derivano da Bertelli, Moggi 2014 (la tradu-
zione è dovuta a Barbara Guagliumi).
144 Lucio Bertelli
63
Hansen 1993, 97s.
64
«In generale sono tali opinioni che di solito si esprimono sulle costitu-
zioni, ma è più veritiero e migliore il modo in cui noi le distinguiamo, cioè
che, se due o una sono quelle ben costituite, le altre sono degenerazioni, le
une dell’armonia ben temperata, le altre della costituzione migliore, oligar-
chiche quando il regime si fa più severo e dispotico, democratiche quando si
fa più rilassato e debole.» Un rinvio probabile a questo testo si trova in 8,
1293 b 27, dove a proposito di politeia e di aristocrazia come regime misto,
trattata nel cap. 7, si ammette che queste siano deviazioni rispetto all’ortho-
tate politeia, ma si afferma anche che «le vere deviazioni sono deviazioni di
queste, come abbiamo detto nelle trattazioni iniziali», vale a dire nel passo di
IV 3. Sulle diverse interpretazioni di IV 3, 1290 a 24-28 vd. Schütrumpf,
Gerke 1996, 250s.; Accattino 1986, 100-102 n. 22.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 147
65
In realtà Aristotele introduce sia l’argomento delle due parti contrappo-
ste sia la riduzione a due forme costituzionali con espressioni che indicano
l’uso di un endoxon di altri: dokeî a 1291 b 8, dokoûsin a 1291 b 12; senza
dubbio Aristotele era convinto che l’opposizione fondamentale in qualsiasi
città fosse quella tra poveri e ricchi (vd. V 11, 1315 a 31-33; VI 3, 1318 a 30),
e che «la maggior parte delle costituzioni è o democratica o oligarchica» (IV
11, 1296 a 22-23), ma la polarizzazione su democrazia e oligarchia gli serviva
come premessa alla successiva divisione dei due regimi nelle loro forme spe-
cifiche. Vd. commento di Pezzoli in Bertelli, Moggi 2014, 199.
66
Vd. Mulgan 1991, 308, 313. Lo schema adottato è quello degli opposti,
come enunciato chiaramente in VI 6, 1320 b 17-21.
67
Cfr. anche III 9, 1280 a 24-25; V 1, 1301 a 28-31; VI 2, 1317 a 40 - b
11.
148 Lucio Bertelli
73
Parlando di «entrate pubbliche» (prosodoi), Aristotele sottintende che
non c’è possibilità di erogare un misthos per la partecipazione politica in que-
sto regime, come si deduce dal rapporto prosodoi-misthos nel IV tipo di de-
mocrazia. Vd. Bertelli, Moggi 2014, 222.
74
Vagamente questa forma di «Bauerndemokratie» (vd. Gehrke 1985,
312-315) richiama la democrazia dei tempi antichi dell’Areopagitico di Iso-
crate (vd. in part. Areop. 26, 36-35) e secondo Hansen 1989, 96, nasconde
una ripresa del ‘mito storico’ della democrazia soloniana; vd. anche Carter
1986, 76-98. Questo modello di democrazia è richiamato in causa esplicita-
mente a VI 4, 1318 b 6 - 19 a 4, dove è definito come la migliore forma di
democrazia per i caratteri del demos geôrgikos.
75
Si ripete la qualifica di anupeuthunoi per il secondo tipo (1292 b 35-
36), ma per il terzo alla generica definizione di politai, si sostituisce quella di
‘liberi’ (eleutheroi) (1292 b 39).
76
Anche in V 5, 1305 a 29 questa forma di democrazia è indicata come
«la più recente» (neôtate).
150 Lucio Bertelli
77
Per i possibili riferimenti all’Atene contemporanea ad Aristotele e per i
problemi relativi alla reale incidenza del misthos sulla partecipazione politica
rinvio alla discussione in Bertelli, Moggi 2014, 223-228.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 151
78
Aspetto questo già rilevato da Newman 1902 b, XL-XLI, e sottolineato
da Mulgan 1991, 313s., e da Schütrumpf, Gehrke 1996, 298-305.
79
Cfr. Arist. AP 41, 2-3: ma sull’aspetto ideologico del giudizio sulla de-
mocrazia degli psephismata di AP vd. Bertelli 1993, 53-98, in part. 77-80;
nell’accentuare il predominio degli psephismata sulle leggi Aristotele pare
ignorare che dal 404 a.C. in Atene si era stabilito il principio che nessun pse-
phisma né della boulé né dell’ekklesia poteva prevalere sulla legge (nomos);
vd. Andocid. I (De Mysteriis), 87 (vd. anche Dem. 23 [In Aristocr.], 218, 7;
24 [In Timarch], 30, 2-4), su cui vd. tuttavia i dubbi di autenticità di Caneva-
ro, Harris 2012, 116-119.
80
Un’anticipazione dei tipi di costituzione mista di IV si può considerare
il regime misto di plethos dotato collettivamente di phronesis, con accesso
solo alle funzioni politiche dell’assemblea e dei tribunali, e di aristoi a cui
sono affidate le archai più importanti, esposto in III 11.
152 Lucio Bertelli
81
In Pol. III 7, 1279 a 37 - b 4 essa ha una diversa caratterizzazione: non
è un regime misto, ma una politeia dove il plethos governa nell’interesse co-
mune (e pertanto è allineata tra le costituzioni rette), questo plethos è dotato
di virtù militare (aretè polemiké) ed è costituito dai ‘possessori delle armi’
(hoi kektemenoi tà hopla).
82
Accattino 1986, 96.
83
Vd. Harpocr. s.v. politeia e riferimenti in Bordes 1980, 250.
84
In effetti la definizione di politeia è spesso applicata nei casi di trasfor-
mazione costituzionale di oligarchie o democrazie o per regimi che contem-
perano elementi democratici ed oligarchici (vd. p.e. Maliesi, IV 13, 1297 b
14-16, Taranto, V 3, 1303 a 3-6; Turi, V 7, 1307 a 27 - b 19; cfr. Schütrumpf,
Gehrke 1996, 327s.
85
L’affermazione potrebbe sembrare in contraddizione con quanto detto a
1293 a 41, e infatti hanno introdotte congetture per sanare un testo, che tutta-
via appare attestato da tutta la tradizione. Una interpretazione alternativa, ma
convergente, a quella da me proposta è avanzata nelle Note testuali da M.
Curnis in Bertelli, Moggi 2014, 383: nella frase precedente Aristotele osser-
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 153
vava che «in tutte le costituzioni prevale ciò che decide la maggioranza (hoi
pleiones); e infatti in oligarchia, in aristocrazia e in democrazia, il parere della
maggioranza di coloro che partecipano al governo è sovrano» (1294 a 11-14),
in conseguenza di ciò – conclude Curnis – «proprio perché l’approvazione di
decisioni a maggioranza è caratteristica comune alle varie forme politiche,
nella maggior parte delle città è definibile almeno un aspetto della politia. E
infatti, prosegue Aristotele, la commistione di agiati e di disagiati, di ricchez-
za e di libertà, accomuna le forme di aristocrazia e di politia».
86
Sul polimorfismo dell’uso del modello spartano nella Politica vd. Ber-
telli 2004, 31ss.
87
Cfr. Accattino 1986, 96-99; per una diversa interpretazione della poli-
teia – coincidente tout-court con la mese politeia – vd. Evrigenis 1999;
Lockwood 2006.
154 Lucio Bertelli
88
Le ipotesi di identità di questo personaggio sono state molte e varie (vd.
Bertelli, Moggi 2014, 261): resta in ogni caso come la più probabile quella
già proposta da Newman 1887, 470, 1902, 220-221, che lo identificava con
Teramene, il promotore della costituzione dei 5000 alla fine del 411 a.C.,
fondata sugli hopla parechomenoi (vd. Thuc. VIII 97; Arist. AP 33), elogiata
da Tucidide (ibidem) come la migliore dei suoi tempi in quanto «equilibrata
(metria) fusione (xynkrasis) di pochi e molti».
89
Sul genere di ‘vita pratica’ (bios praktikos) proposto in VII 1-3 vd. Ga-
staldi 2003, cap. I, 19-65); Bertelli 2004.
90
Un procedimento analogo è impiegato in Protrep. Fr. 42 Düring per
stabilire quali siano le «cose buone in sé», e in EE I 2 quali siano le «condi-
zioni senza di cui”» della felicità che tuttavia non si identificano con essa.
Cfr. Schütrumpf 2005, 356.
156 Lucio Bertelli
91
Vd. Cambiano 2016, 78.
Il cittadino in Aristotele: criteri di inclusione/esclusione 157
Anche questo è però evidente: che per un verso vanno assegnate agli
stessi, ma per altro verso uomini diversi. In quanto ciascuna di queste
due funzioni richiede un vigore diverso e l’una ha bisogno di saggezza
e l’altra di forza fisica, vanno assegnate a uomini diversi; in quanto
invece è cosa impossibile che coloro che hanno la forza per costringe-
re e impedire tollerino di rimanere sempre subalterni, per questo van-
no assegnate agli stessi uomini. Coloro infatti che sono signori delle
armi sono anche arbitri della stabilità o del venir meno della costitu-
zione. Resta allora che la costituzione affidi entrambe le funzioni agli
stessi, non però contemporaneamente, ma come è naturale che la forza
fisica sia nei più giovani e la saggezza nei più anziani, così in questo
modo è quindi utile e giusto che esse vengano distribuite ad entrambi;
questa divisione infatti tiene conto del merito.92 (9, 1329 a 6-17)
92
9, 1329 a 6-17.
93
Per l’ariste politeia come modello di giustizia distributiva vd. in part.
Keyt 1985, 33-36.
94
Per quanto riguarda la «folla marinara» (nautikòs ochlos) Aristotele ne
prevede la necessità nella sua città perfetta, ma le ciurme saranno formate da
«perieci e contadini», quindi non-cittadini (Pol. VII 6, 1327 b 7 - 13).
158 Lucio Bertelli
Conclusioni
95
Ma anche a livello di costituzione reale, pur prendendo atto che in certi
regimi (democrazia) i banausoi erano compresi nella cittadinanza, escludeva
che questi fossero in possesso della «virtù del cittadino» – cioè la virtù di
svolgere la sua funzione in vista della salvezza della città partecipando all’at-
tività politica – perché non era sufficiente la qualifica di essere liberi per na-
scita, era necessario anche essere liberi dalle «attività necessarie» (tà anan-
kaia) alla sopravvivenza: vd. III 5, 1278 a 9-11. La riprova è che la partecipa-
zione limitata di un plethos non ignobile al governo in III 11 è condizionata
dal possedere collettivamente la virtù della phronesis.
96
Frede 2005, 168, in polemica con M. Nussbaum (vd. in part. Nussbaum
1990) che invece voleva «reclutare Aristotele nel moderno campo liberale».
160 Lucio Bertelli
Bibliografia
1. Frontiere problematiche
1
Costa 1999-2001 e Costa 2005.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 167
2. I Leveller a Putney
3
Vastissima è la letteratura sulla Rivoluzione inglese. Tra le opere cano-
niche cfr. Brailsford 1962; Trevelyan 1965; Tawney 1967; Hill 1976.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 169
4
Henry Ireton (1611-1651), generale del New Model Army.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 171
voglia dire che ogni uomo che abiti nel Paese debba essere con-
siderato egualmente, e debba avere un eguale voto nella elezio-
ne di quei rappresentanti, delle persone cioè che compongono la
Rappresentanza generale. Se questo è il significato, allora ho
qualche obiezione da fare».5 Poco dopo, esaurite alcune conte-
stazioni procedurali, la risposta arriva dal colonnello
Rainsborough,6 il quale conferma a Ireton che ha inteso benis-
simo e difende così l’articolo in questione: «Io penso veramente
che l’essere più povero che vi sia in Inghilterra ha una vita da
vivere quanto il più grande e perciò credo sia chiaro che ogni
uomo il quale ha da vivere sotto un governo debba prima con il
suo consenso accettare quel governo. E ritengo che l’uomo più
povero in Inghilterra non sia affatto tenuto a rigore a obbedire a
quel governo che egli non ha avuto alcuna voce nel creare; e so-
no sicuro che, quando avrò ascoltato le ragioni in contrario, a
quelle ragioni vi sarà chi risponda».7 E poco dopo precisa che
deve trattarsi di voto di peso eguale: «Non trovo nessun passo
nella legge di Dio che affermi che un Lord debba scegliere venti
deputati, e un gentiluomo soltanto due, e un povero nessuno».8
Ora che è del tutto chiara la tesi per la quale il potere di un
governo, cui corrisponde l’obbligo di obbedienza di tutti coloro
che risiedono nel suo territorio, non può avere altro fondamento
legittimo che il consenso di eguale peso e periodicamente reite-
rato di tutti gli uomini a tale potere sottoposti, a Ireton non resta
che contrastarla altrettanto apertamente, esponendo con forza le
preannunciate obiezioni:
5
Revelli 1997, 70. La traduzione proposta da Revelli riprende quella di
Gabrieli 1956. Per i testi originali dei dibattiti cfr. innanzitutto il primo volu-
me dei Clarke Papers, pubblicati tra il 1891 e il 1901 dalla Royal Historical
Society e da Longmans di Londra. William Clarke era il segretario di sir
Thomas Fairfax incaricato di verbalizzare le riunioni del Consiglio dell’Eser-
cito.
6
Thomas Rainsborough (1610-1648), colonnello del New Model Army.
7
Revelli 1997, 71.
8
Ivi, 75.
172 Ermanno Vitale
9
Ivi, 72-73.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 173
siasi bene cada sotto i suoi occhi – cibi, bevande, vestiti –, il diritto di
prenderseli e usarne per il proprio sostentamento. Egli è libero di
prendersi la terra, di occuparla, di amministrarla, di coltivarla; ha lo
stesso diritto di avere tutto ciò che un altro uomo considera sua pro-
prietà.10
10
Ivi, 78.
11
Ivi, 79-80. Vale la pena di osservare che Rainsborough per un verso ri-
conosce la proprietà, ma per l’altro allude all’origine oscura, perlomeno im-
morale se non proprio illegale, di qualsiasi grande patrimonio, così come
all’uso criminale che se ne può fare e all’impunità di fatto che assicura.
174 Ermanno Vitale
4. Retoriche incrociate?
13
Aristotele, Politica, 1296a.
176 Ermanno Vitale
ci, come del resto i diritti di libertà e i diritti sociali, non siano
naturali, anche quando espressamente rivendicati come tali,
bensì il frutto storico di lunghe lotte per la loro definizione pri-
ma e in seguito per il concreto esercizio da parte dei loro titolari,
emerge con maggiore chiarezza proprio dall’intervento del sol-
dato Sexby:
Vedo che sebbene il nostro fine sia stato la libertà, si è deviato da es-
so. Ci siamo impegnati in questo Paese e abbiamo rischiato la vita so-
lo per recuperare i nostri diritti innati e i nostri privilegi di inglesi;
mentre, secondo gli argomenti sostenuti ora, non ne avremmo alcuni.
Siamo molte migliaia di soldati ad aver arrischiato la vita: abbiamo
avuto poca proprietà nel Paese quanto a terre, pure abbiamo avuto un
diritto di nascita. Ma sembra ora che, se un uomo non ha proprietà fis-
sa nel Paese, non ha alcun diritto in esso. Mi meraviglio che ci siamo
tanto ingannati. Se non avevamo alcun diritto, non siamo stati che dei
mercenari. […] Vi dirò in una parola la mia decisione. Son deciso a
non rinunciare di fronte a nessuno al mio diritto innato. Qualunque
ostacolo si frapponga e checché si pensi, non lo cederò a nessuno. Se
questo viene negato ai poveri, che ci hanno tanto contato, sarà il più
grande degli scandali. […] Vi prego di non perdere tanto tempo in
questa discussione. Dobbiamo essere franchi. Quando gli uomini arri-
vano a capire queste cose, non si lasceranno defraudare di ciò per cui
si sono battuti.14
14
Revelli 1997, 95.
178 Ermanno Vitale
Troppo poco per il soldato Sexby, che replica del tutto in-
soddisfatto: se le cose stavano così, «avreste fatto bene ad av-
vertircene e credo che in tal caso avreste avuto meno uomini ai
vostri ordini».16
Sappiamo come sono andate poi le cose. I leader dei livella-
tori (Lilburne, Overton, Prince e Walwyn) vennero sconfitti, e la
loro proposta di patto costituzionale – la cui versione più com-
pleta e aggiornata è datata primo maggio 1649 e viene scritta
durante la prigionia nella Torre di Londra – venne sostituita da
un Agreement of the People che recepiva sostanzialmente le po-
sizioni di Ireton e dei Grandi dell’Esercito. In uno dei tanti
pamphlet che alimentavano l’azione politica dei Leveller, pub-
blicato nel marzo 1649, Overton scrive:
prima i Comuni non potevano votare alcuna legge senza l’approva-
zione dei Lord: ora non si azzardano a approvare nulla senza il con-
senso del Conclave degli ufficiali. Prima eravamo governati dal re, dai
Lord e dai Comuni; ora lo siamo da un generale, dalla corte marziale e
dai Comuni: qual è , di grazia, la differenza?17
18
Si tratta del giovane soldato Robert Lockyer, accusato di ammutina-
mento insieme a altri soldati poi graziati per intercessione di Cromwell per
una protesta legata a paghe arretrate.
180 Ermanno Vitale
19
de Gouges 2007, 19-23.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 183
5. Conclusioni
22
Wollstonecraft 2008, 27-28.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 185
23
Bobbio 1984, 18-21.
Inclusi ed esclusi. La cittadinanza dei moderni 187
Bibliografia
EMIDIO SPINELLI
1
Mi limito qui a segnalare solo alcuni lavori ‘classici’ in merito all’atti-
tudine politica di Epicuro e degli Epicurei: Philippson 1910; Müller 1974,
1983, 1988; Goldschmidt 1977 e il preziosissimo résumé in Goldschmidt
1981; Long 1986; Van der Waerdt 1987; Alberti 1995; Armstrong 1997; Mo-
rel 2000, 2007, 2015.
2
Cfr. DL X 119, senza dimenticare che questa secca formula è subito se-
guita da un egualmente forte richiamo allo οὐδὲ τυραννεύύσειν; cfr. anche il
µμὴ πολιτεύύεσθαι attestato da Cicerone (ad Att. XIV 20, 5=fr. 8 Us.) nonché
GV 58 (su cui vedi infra, pp. 194-195).
3
Cfr. il fr. 551 Us.; cfr. anche frr. 7-10, 133 e 552-560 Us. Una simile,
angusta prospettiva di lettura è del resto divenuta insostenibile dopo l’ottima
trattazione monografica di Roskam 2007. Sul carattere ‘situazionale’ più che
‘dogmatico’ di tali laconiche massime politiche epicuree cfr. Fish 2011, 98 e
ancora Roskam 2007, 36, 40-41 e 146.
192 Emidio Spinelli
2016. Si ricordi infine che l’intera collezione di tali Massime fu altamente ap-
prezzata da Luciano, il quale la presentò come τὸ κάάλλιστον τῶν βιβλίίων
(cfr. Alex. 47).
9
Cfr. rispettivamente: Morel 2015; O’Keefe 2010, 139; Verde 2013a,
193.
10
Non si può inoltre sottovalutare il peso e il ruolo di alcune relazioni
personali, nonché palesemente cariche di forza politica, come ad esempio
quelle fra Epicuro e Mitre, su cui ricche informazioni si possono trarre dalle
Pragmateiai di Filodemo (cfr. perciò Militello 1997).
11
Sulla nozione di ἀσφάάλεια in ambito epicureo sempre valide restano
le pagine di Barigazzi 1983; cfr. anche Schofield 1999, 748-756 e Roskam
2007, 37-40.
12
Trad. Arrighetti 19732, 124, leggermente modificata.
194 Emidio Spinelli
19
Questo significa che il loro coinvolgimento politico è sempre relativo e
dettato da specifiche circostanze, quelle in cui il loro grado di sicurezza sia
eventualmente minacciato. Ciò non esclude che il saggio epicureo, in cir-
costanze diverse e meno pericolose, possa vivere lontano dai confini della
propria città di appartenenza e possa arrivare ad amare la campagna (il
φιλαγρήήσειν ricordato in DL X 120a=fr. 570 Us.) o perfino, se necessario,
mettersi al servizio di un monarca, naturalmente ἐν καιρῷ, come si legge
ancora in DL X 121b (=fr. 577 Us.; su questo aspetto cfr. McConnell 2010).
20
Goldschmidt 1981, 294
21
Trad. Arrighetti 19732, 136, leggermente modificata.
Norme giuridiche, partecipazione politica e scelte filosofiche 197
22
Né si può dimenticare che è già Cicerone a sottolineare con forza il val-
ore del principio della solida utilitas: Cic. De fin. I 21, 71-72 (=fr. 227 Us.),
su cui cfr. Verde 2016.
23
Non posso né voglio qui scendere nei dettagli della questione, sicura-
mente complessa e non facile da dirimere, relativa al carattere egoistico o al-
truistico dell’amicizia epicurea; mi limito dunque a menzionare alcune voci,
reciprocamente dissonanti: Arrighetti 1978; Gemelli 1978; Mitsis 1987;
O’Connor 1989; O’Keefe 2001a; Evans 2004; Brown 2009, 182-191.
24
MC 16, trad. Arrighetti 19732, 126, leggermente modificata. Si noti, ol-
tre alla continuità con alcune considerazioni di Democrito (cfr. DK 68 B
119), l’insistenza dei verbi διῴκηκε καὶ … διοικεῖ καὶ διοικήήσει, che de-
clinano in tutte le scansioni temporali – passato, presente, futuro – l’unica
possibile provvidenza riconosciuta da Epicuro: non quella divina, ma quella
della ragione umana sviluppata al meglio dal σοφόός, terrena ed effimera sì,
ma validamente responsabile e produttiva; sul tema cfr. anche Verde 2013b.
25
Cfr. Erler 2010 e ora Verde 2018; si veda anche De Sanctis 2012.
26
Anche se Epicuro sa sputare su τὸ καλόόν, quando esso non risponde ai
dettami rigorosi delle sue norme filosofiche, ma si nutre di false credenze,
senza alimentare il piacere: cfr. fr. 512 Us.
198 Emidio Spinelli
27
Trad. Arrighetti 19732, 122. Sulla centralità delle MC 5 e 6 cfr. anche
Goldschmidt 1981, 296; per una spiegazione chiara e utile della mutua impli-
cazione delle virtù in Epicuro cfr. inoltre Mitsis 2015, 105-107 e soprattutto
Warren 2014.
28
MC 17, trad. Arrighetti 19732, 126. Su questa massima, le sue radici
storiche e le sue implicazione filosofiche cfr. in primo luogo Clay 1972; cfr.
anche Mitsis 2015, 108. Né si dimentichi il titolo di un’opera perduta registra-
to nel catalogo laerziano degli scritti di Epicuro (DL X 28): Περὶ
δικαιοσύύνης καὶ τῶν ἄλλων ἀρετῶν.
29
Sulla funzione paideutica di tutto ciò che viene ricompreso da Epicuro
sotto l’ambito ampio dell’avverbio δικαίως cfr. anche Longo Auricchio 1988,
143.
30
Ancora una volta un imperfetto (ἦν), a segnare insieme tanto una sorta
di priorità cronologica, quanto la continuità del risultato che viene a conden-
sarsi nella formulazione di ciò che è δίίκαιον: cfr. supra, n. 13, nonché GV
67, contro ogni forma di servilismo politico. Sulla MC 6 cfr. inoltre
McConnell 2010 e Verde 2013a, 194-195.
Norme giuridiche, partecipazione politica e scelte filosofiche 199
31
Trad. Arrighetti 19732, 126, leggermente modificata. E se volessimo
sfruttare anche le conclusioni di Colote, per rafforzare quest’affermazione di
Epicuro senza dover cedere allo spirito polemico del testimone Plutarco, im-
pegnato a bollarle come οὐ δικαίίως οὐδὲ ἀληθῶς alla luce di una superio-
re, platonica e decisiva idea di giustizia in sé (prestata indebitamente a ritroso
perfino a Parmenide, Eraclito e Socrate), potremmo ribadire che nella visione
epicurea della gestione politica «quelli, avendo disposto leggi e usi legali e
avendo stabilito il governo da parte di re e magistrati per le città, indirizzaro-
no la vita verso una grande sicurezza e pace e la allontanarono dai tumulti;
ma se qualcuno eliminerà queste cose, vivremo una vita da bestie e chi si im-
batterà in un altro non farà che danneggiarlo» (Plut. Adv. Col. 1124D, trad.
mia). In proposito cfr. soprattutto Roskam 2013; cfr. anche Goldschmidt
1977, 17-18, n. 4, nonché, per l’imbarazzo di Grozio nel riconoscere la pater-
nità epicurea di una simile posizione, ancora Goldschmidt 1981, 301-302.
32
Occorre tuttavia precisare che si tratta di una nozione e addirittura di un
neologismo, di cui si scuserà, molti secoli più tardi, Hobbes: cfr. il suo Levia-
tano, parte I, Dell’uomo, capp. 13 -16 e De cive, parte I, La libertà, capp. 1-4;
cfr. anche Goldschmidt 1981, 301 e Morel 2015, 579.
33
Cfr. soprattutto Morel 2015, 574 e Long, Sedley 1987, vol. 1, 136.
34
Si tratta di un elemento storicamente cogente per Epicuro, vista la si-
tuazione politica intorno a lui e poi messo in luce soprattutto da Ermarco: cfr.
200 Emidio Spinelli
38
Su questo punto e in particolare sulla natura della πρόόληψις di τὸ
δίίκαιον cfr. almeno Goldschmidt 1977, 25-41 e ora Tsouna 2016, 173; im-
portanti osservazioni anche in Morel 2000, 405ss.
39
Abbiamo ancora un imperfetto, ἦν, a collocare nel tempo primigenio la
presenza del criterio di ciò che è συµμφέέρον e a significare insieme la conti-
nuità del giusto, che permane essenzialmente/concettualmente lo stesso nel
tempo, sebbene, come vedremo, nelle sue estrinsecazioni storiche muti a se-
conda dei tempi e dei luoghi: su questo punto cfr. ancora Morel 2000.
40
Trad. Arrighetti 19732, 132, leggermente modificata.
202 Emidio Spinelli
54
Si potrebbe pensare al kantiano Zwang, alla sua coercizione legale o
Obligation esterna? Per opportuni rinvii a passi significativi della Metaphysik
der Sitten di Kant o ancora ad alcune pagine dei Parerga di Schopenhauer
cfr. Goldschmidt 1981, 312-313. Né si dimentichi che Epicuro, ammaestrato
anche da una realistica considerazione delle vicende storiche passate e ancor
più da quelle a lui ben presenti del suo tempo politicamente incerto e spesso
crudelmente instabile (come ben attesta una notazione inserita nella sezione
biografica della Vita di Epicuro in Diogene Laerzio, X 10: καὶ
χαλεπωτάάτων δὲ καιρῶν κατασχόόντων τηνικάάδε τὴν Ἑλλάάδα), non
sembra avere dubbi, poiché, come ha scritto giustamente Goldschmidt 1981,
313, c’è in lui «un approccio fenomenologico che scopre l’effettualità come
elemento costitutivo del diritto». Per un’accurata panoramica riassuntiva cfr.
anche Morel 2007.
55
Utili osservazioni in proposito in Cosenza 1996.
56
Trad. Arrighetti 19732, ibidem Cfr. anche Cic. De fin. I 50 (sul ruolo
cruciale della suspicio) e 53, nonché Lucr. IV 1018-1019 e 1154-1160.
57
L’enorme forza del sospetto, inteso come devastante passione da estir-
pare, emerge ad esempio in modo chiarissimo nella MC 11.
Norme giuridiche, partecipazione politica e scelte filosofiche 207
allora? Poiché essa si muove ora sul piano del mero arbitrio,
scisso da ogni fondamento naturale, essa, continua il testo epi-
cureo, «non ha più la natura del giusto».65
Detto in un altro modo, sempre ricordandosi di εἰς τὰ
πράάγµματα βλέέπειν e facendo ricorso a terminologia di casa
nell’epistemologia epicurea, esplicitamente utilizzata sempre
nella MC 37: fino a quando il contenuto di una legge e l’azione
giusta che essa prescrive trovano conferma (l’espressione verba-
le è inequivocabile: τὸ µὲν ἐπιµαρτυρούµενον) nell’utilità arre-
cata ai rapporti reciproci fra i membri di una comunità politica,
fino a quel punto quella legge deve legittimamente essere inseri-
ta nella sfera di τὸ δίκαιον. Il ripetersi continuo di una prassi
giusta, sancita da quella legge e finché essa tale resta, inoltre,
determina un fenomeno ben noto a chiunque abbia frequentato
la canonica epicurea, poiché produce, grazie alla conservazione
nella memoria di percezioni ripetute di quell’atto, una vera e
propria prenozione o πρόληψις, che si rafforza qualora venga
salvaguardato l’utile nella comunanza dei rapporti reciproci e
che costituisce così un solido criterio di valutazione della validi-
tà della legge stessa.
Questo complesso meccanismo, legato al mutare delle circo-
stanze storiche, viene descritto accuratamente nella MC 38, che
vale la pena leggere per esteso:
Quando, non essendo mutate le circostanze, quelle cose sancite come
giuste dalla legge si rivelano nella pratica non conformi alla prenozio-
ne del giusto, vuol dire che esse non erano giuste. Quando poi, essen-
do mutate le circostanze, quelle medesime prescrizioni che erano giu-
ste non sono più utili, in tal caso erano giuste allora quando erano utili
per la vita in comune dei concittadini, ma più tardi non erano più giu-
ste quando si rivelarono non più utili.66
65
Su tale distinzione fra legge e giustizia insiste soprattutto il lavoro di
Alberti 1995, la quale aggiunge anche che «utility is regarded as the criterion,
not for a law’s existence, but for its validty» (ivi, 176).
66
Trad. Arrighetti 19732, 134.
210 Emidio Spinelli
67
Riassumo e parafraso, in questo capoverso, quanto si legge nella MC 7:
per un’interpretazione attenta e utile di tale massima, fortemente legata alle
MC 6 e 14, cfr. ora Roskam 2018, 16-18.
68
Spunti interessanti in proposito si leggono in Arrighetti 1970.
69
Si tratta di una prospettiva negativa duramente criticata, in seguito, an-
che da Lucrezio (V 1105-1157), «but without entertaining the theoretical pos-
sibility that such a life could achieve ἀσφάάλεια» (Long, Sedley 1987, vol. 2,
131).
70
MC 40. Mi servo qui dell’efficace traduzione di Diano 1987, 75; cfr.
anche Armstrong 1997, 325.
Norme giuridiche, partecipazione politica e scelte filosofiche 211
più il bisogno di mura o leggi e di tutte le cose cui noi mettiamo mano
l’uno a vantaggio dell’ altro. […].71
Bibliografia
75
Una prima versione di questo contributo è stata presentata a Roma, il 4
gennaio 2016, in occasione del XV Colloquio internazionale “nómos-lex”,
organizzato dall’ILIESI-CNR, nei cui Atti essa sarà a breve pubblicata.
214 Emidio Spinelli
ENRICO PIERGIACOMI
222 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 223
224 Enrico Piergiacomi
9
Cfr. Diog. Laert. X 4 e 121 b, fr. 557 Us. (= Lact. Divin. instit. III 17, 6),
il trattato di Colote dedicato a Tolemeo Filadelfo e la sua lode della sicurezza
civile garantita dai re (ap. Plut. Adv. Col. 1107 D 1-E 6 e 1124 D 1-9), Diog.
Oin. fr. 29. Così argomentano anche Philippson 1910, 330-336, Müller 1972
66-81, Gigante, Dorandi 1980; Long 1986, 291-293, Silvestre 1995, Roskam
2007, 54-56. Contra Fowler 1989, 130-150, e Benferhat 2005, 33-36. Media-
na la posizione di McConnell 2010, che basa parte della sua analisi sul GV 67,
che mostra che vi è anche un modo cattivo di servire i sovrani.
10
Così prevede il motto λάάθῃ βιώώσας, contro cui Plutarco rivolge il De
latenter vivendo. Cfr. sul tema almeno Diog. Laert. X 119, Epic. RS XIV e
GV 38, fr. 9 Us. (= Sen. De ot. 3, 2), fr. 554 Us. (= Plut. Adv. Col. 1125 C 10-
D 1), Metrodor. frr. 5-7 e 31-32, Goldschmidt 1977, 85-123, Martin 2001,
Roskam 2007, 44-66.
11
Un’altra riflessione originale e che va in tale direzione è in Long 1986.
Lo studioso si concentra su Epicuro, ma usa ampiamente i frammenti di Er-
marco e il poema di Lucrezio.
12
Sul personaggio, noto per aver intentato un processo contro Publio Cor-
nelio Silla, come riferisce Cicerone nella sua orazione Pro Sulla, cfr. almeno
I piaceri del cittadino epicureo 225
Ramsey 1982, 125-129; Castner 1988, 40-42; Broughton 1990; Alexander
1999; Benferhat 2005, 266-270; Binot 2013.
13
Rambaud 1969, 270; Benferhat 2005, 270; Erler 2012, 81-89. Sulla dif-
fusione difficoltosa e in parte dialettica dell’Epicureismo a Roma, cfr. Parato-
re 1960; Gemelli 1983; Canfora 1993; Bernferhat 2005, 58-74, e Vesperini
2012, 249-377.
14
Cfr. Sedley 1996, 316-317 e 337-338, e Tsouna 2007, 17. Secondo Dia-
no 1948, Cicerone avrebbe usato, nel comporre il discorso di Torquato del De
finibus, «uno di quei sommari catechistici che erano in uso nella scuola [epi-
curea]». Per Tsouna 2001, invece, Torquato attingerebbe alle opere di Filo-
demo. La studiosa cambia però parzialmente idea in Tsouna 2007, 14 n. 4 e
25-26, ipotizzando un uso degli scritti di Zenone di Sidone. È indubbio, ad
ogni modo, che, almeno quanto alla terminologia, Cicerone attinga a volte
allo Stoicismo e alla morale romana del mos maiorum (Paratore 1960, 65-67;
Erler 2001, Sedley 1996, 138, Mitsis 2014, 113-114; Calheiros de Lima 2014,
13). Armstrong 2011, 108-110, aggiunge – usando il finale del libro II del De
finibus (35, 119) – che la trattazione etica di Torquato potrebbe essere incom-
pleta.
226 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 227
Quale sia stato il motivo [della condotta virtuosa dei suoi avi], lo
vedrò subito; per ora fisserò questo punto: se compirono queste
azioni, che sono senza dubbio illustri, per qualche motivo, la virtù
di per se stessa non ne fu il motivo. «Strappò la collana al nemi-
co»: sì, ma si protesse per non morire. «Però affrontò un grave pe-
ricolo»: sì, ma sotto gli occhi dell’esercito. «E che cosa ottenne da
17
Sulla critica ciceroniana alla virtù epicurea, rimando a Maso 2008, 227-
230.
228 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 229
Oin. frr. 29 e 51, NF 207; Roskam 2007, 46-60; Fish 2011, 87-88; Armstrong
2011, 109-115. Si noti che Lucrezio condanna la ricerca della fama politica,
ma non di quella poetica (1, 921-950; 2, 1-54; 3, 9-11; 5, 1113-1135; 6, 1-
19). Per la congruenza di questa sua aspirazione con il credo della scuola, cfr.
Nichols 1976, 31-33, e Roskam 2007, 99-101.
20
Cfr. Epic. RS VI-VII, e Metrodor. fr. 60 K. (= Stob. IV 4, 26). Del resto,
Filodemo dirà che la politica può giovarsi della filosofia, per conferire benes-
sere a sé e allo Stato (Rhet. III coll. 15 a 16-16 a 9, ed. Hammerstaedt 1992).
Per altri riferimenti e alcune approfondite analisi, cfr. Barigazzi 1983, 89-92;
Roskam 2007; Fish 2011; Roskam 2011.
21
Cfr. qui Dorandi 1982b, 168-169. Filodemo condanna l’insubordina-
zione anche in De ira col. 33, 28-35. Sui fini del De bono rege (ed. Dorandi
230 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 231
232 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 233
18, 61). Può darsi allora che i falsi piaceri che inducono a dero-
gare dai doveri (cfr. ancora De fin. I 10, 33) possano annoverare
anche quelli erotici. E se ciò è vero, le prospettive di Torquato e
di Lucrezio sull’officium sarebbero tra loro conciliabili.
Il discorso di De fin. I 10, 33-35 sull’inseparabilità di virtù-
piacere e la sua interpretazione della condotta di Torquato Impe-
riosus non dicono nulla in sé sulla virtù del cittadino. Mostrano
solo come un Epicureo avrebbe giustificato un caso-limite, ossia
un comportamento che a una prima lettura sarebbe stato erro-
neamente ricondotto alla pura integrità morale e non alla ricerca
segreta del piacere. D’altro canto, il passo De fin. I 10, 35 ci di-
ce almeno che il bene che la virtù di un comandante vuole di-
spensare alla città è la sicurezza, che è posseduta davvero se ce
l’hanno sia i governanti, sia i cittadini governati. L’ἀσφάάλεια
è, per così dire, una proprietà ‘olistica’.32 La conclusione tornerà
utile più avanti, per capire perché un cittadino epicureo ha l’in-
teresse ad obbedire alle leggi e a chi governa.
32
Sul punto, che fu già notato da Ermarco (fr. 34, ed. Longo Auricchio
1988 = Porph. Abst. I 10, 2-4; sul testo, essenziale è Vander Waerdt 1988) e
sarà ribadito da Filodemo (De invidia, PHerc. 1678, fr. 18, ed. Tepedino
Guerra 1985), cfr. Goldschmidt 1977, 123, Long 1986, 308-312, e McConnell
2012, 101-105.
33
Per alcuni paralleli, che tuttavia attribuiscono tale potere lenitivo alla fi-
losofia, allo studio della natura, o alla saggezza, cfr. Epic. Ad Her. 37 e 78 /
RS XI-XII, Polistrat. De contemptu, coll. 8, 23-10, 8 e 32, 26-33, 21 (ed. In-
delli 1978, PHerc. 336/1150), Dem. Lac. PHerc. 831 col. 8 (ed. Parisi 2014),
Lucret. 1, 146-148.
234 Enrico Piergiacomi
34
Trad. Marinone 2010, 107, modificata; il corsivo è mio.
I piaceri del cittadino epicureo 235
35
Ad Men. 128, RS XXVI e XXIX-XXX, GV 59. Sulla divisione epicurea
dei desideri, cfr. Annas 1998, 265-273. Sul carattere naturale ma non-
necessario del sesso e sulle regole igieniche necessarie per goderne appieno,
cfr. Brown 1987, 108-111.
236 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 237
238 Enrico Piergiacomi
43
Pensa a un intervento di Cicerone nella costruzione dell’immagine
dell’anima-città anche McConnell 2012, 105-106. Sull’imitazione del caratte-
re e dello stile di Torquato compiuta da Cicerone, cfr. Calheiros de Lima
2014, 11-21.
44
I 18, 61. Elenchi simili in Philod. De elect. coll. 17-20, De ira col. 28,
6-40.
45
Cfr. consedit in mente in I 16, 50. Anche questa è un’immagine che ri-
torna nel Bruta animalia ratione uti (989 E 9-F 5).
46
Le più frequenti occorrenze si trovano in Filodemo (e.g. De piet. coll.
28, 47, 1338-1344, 53-54; De mus. IV col. 118; De elect. coll. 8, 10, 12).
Queste e altre sono utilizzate da Tsouna 2007 per evidenziare, giustamente, le
convergenze tra la morale di Torquato e quella filodemea. Cfr. pure Lucret. 3,
79-86 e Diog. Oin. fr. 19.
I piaceri del cittadino epicureo 239
240 Enrico Piergiacomi
47
Armstrong 2011, 117. Il valore strumentale del coraggio è poi in Diog.
Laert. X 120, che dice che tale virtù non si genera per natura, bensì per calco-
lo dell’utile (cfr. qui Mitsis 2014, 116-118). Di diverso avviso sarà Dem. Lac.
PHerc. 1012, col. 67, 4-7, che parla della naturalità delle ἀρεταίί.
48
Il punto è messo particolarmente in chiaro da Alberti 2008, 189-191.
I piaceri del cittadino epicureo 241
242 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 243
54
Sposo l’interpretazione di Liebersohn 2015.
244 Enrico Piergiacomi
55
Trad. Marinone 2010, 117; il corsivo è mio.
I piaceri del cittadino epicureo 245
che egli sta dicendo che la comunità non sarà felice, finché ogni
singolo membro non sarà beato, e viceversa. L’impegno di un
Epicureo sarà allora, anzitutto, quello trovare la quiete in se
stesso, affinché la pace possa riverberarsi sulla comunità. Un al-
tro insegnamento chiave di Epicuro era, del resto, che solo chi è
utile a sé è utile ai molti,56 o anche che solo chi è diventato se-
reno può infondere la serenità ad altri (GV 79).
Vi è un’altra aggiunta considerevole che possiamo ricavare
dallo studio della metafora di Torquato, ripetuta in De fin. I 18,
57-58. Essa ci mostra che uno Stato e una famiglia felici consi-
stono nello Stato e nella famiglia senza conflitti intestini, dove
non è la competizione folle tra individui a dare valore all’insie-
me, bensì l’armonia dei suoi membri. Da un punto di vista epi-
stemologico, inoltre, la metafora ci mostra che Torquato ricorre
qui a un modulo argomentativo tipico della sua scuola. Si tratta
dell’argomento per analogia, che consiste nell’inferire una pro-
prietà occulta da una o più evidenze empiriche. In questo caso
specifico, si parte dalla premessa evidente che uno Stato / una
famiglia si auto-distrugge a causa delle lotte tra membri, per
concludere che un individuo sta male per un analogo conflitto
intestino. La conseguenza morale di questa argomentazione epi-
stemologica è che Torquato ‘politicizza’, per così dire, lo spazio
dell’anima. Vi è un rapporto di isomorfismo tra la città e la psi-
che, tanto che la seconda rappresenta in piccolo l’identico be-
nessere che nella prima si manifesta in grande.
56
De Sanctis 2012.
246 Enrico Piergiacomi
57
Cfr. per ciascuna posizione Packer 1938, 40-42; Müller 1972, 119-124;
Konstan 1996, 396; Landolfi 1996, 881-892; Essler 2012; Mitsis 2014, 147-
165.
58
È probabile che questa teoria sia derivata da un’interpretazione di Epic.
GV 23. Cfr. Diano 1948, 75; Armstrong 2011, 125-128; Essler 2012, 157-
158; Mitsis 2014, 147-148. Il potere delle abitudini di distaccare dalla ricerca
interessata del piacere è riconosciuto anche in Cic. De fin. V 25, 74 (= fr. 398
Us.). Lucrezio sostiene, di contro, che una pacifica convivenza tra uomo e
donna avviene per lunga consuetudine (4, 1278-1287).
59
Trad. Marinone 2010, 124-127; corsivo mio.
I piaceri del cittadino epicureo 247
248 Enrico Piergiacomi
62
Qualcosa del genere pensano Hirzel 1882, 688-689, e Mitsis 2014, 149.
63
Cfr. I 20, 66: facile, ut mihi videtur, expediunt. Accenno al fatto che
Torquato poteva benissimo dissentire da altri Epicurei, come è attestato dai
passi De fin. I 9, 31 e 17, 55. Nel primo, egli riferisce (senza abbracciarla) la
tesi dei colleghi che vogliono che l’identità del bene con il piacere è colta per
prenozione (cfr. qui Packer 1938, 19-21; Sedley 1996, 323-327; Tsouna 2007,
17 e 70-73; Verde 2013, 68-70 e 165-166). Il secondo afferma, invece, che
sono nel torto quegli Epicurei che asseriscono che le virtù e i doveri sono de-
siderabili di per sé, dunque slegati dalla ricerca del godimento (la loro posi-
zione è richiamata da Cicerone in De fin. I 7, 25).
64
Cfr. I 20, 28 e Tsouna 2007, 28. Sul legame tra amicizia e scienza della
natura, è ancora fondamentale Arrighetti 1978. L’idea che Torquato potesse
abbracciare questa prospettiva è rinforzata dalla sua conoscenza della fisica
epicurea (I 8, 28; 19, 63-65; 21, 71).
I piaceri del cittadino epicureo 249
65
Calheiros de Lima 2014, 13-14.
250 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 251
Abbreviazioni*
66
E, di conseguenza, che legalità e giustizia non debbono necessariamente
coincidere. Su questo aspetto, cfr. anche Epic. fr. 530 Us., Philod. De elect.
coll. 11-12, Diog. Oin. fr. 56 Smith, Alberti 2008, pp. 97-103.
*
La lista comprende solo le opere epicuree citate spesso nel testo princi-
pale o nelle note. Quelle richiamate un’unica volta sono accompagnate subito
dal riferimento bibliografico all’edizione critica.
252 Enrico Piergiacomi
Bibliografia
I piaceri del cittadino epicureo 253
254 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 255
256 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 257
258 Enrico Piergiacomi
I piaceri del cittadino epicureo 259
260 Enrico Piergiacomi
SILVIA FAZZO
1. Premessa
2
In linea di massima, divenendo cittadini, i singoli sudditi lasciavano la
loro originaria iscrizione ai diversi municipia, nei quali si strutturava l’am-
ministrazione romana soprattutto nei territori occidentali. Analoga rinuncia
poteva avvenire nei territori orientali, ove anche in età romana le poleis resta-
vano indipendenti dal punto di vista amministrativo, e in ciascuna di esse i
cittadini avevano diritti maggiori e diversi da quelli dei non cittadini.
3
Lo si vede dalla normativa vigente in Egitto, che pur precludendo l’e-
stensione della cittadinanza ai sudditi di quella provincia imperiale, faceva
eccezione per i greci residenti in Egitto.
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 263
264 Silvia Fazzo
266 Silvia Fazzo
Per deliberazione del senato e del popolo, Tito Aurelio Alessandro, filoso-
fo, uno dei diadochi in Atene [ha commemorato con questa statua] il pa-
dre Tito Aurelio Alessandro, filosofo.8
7
Cfr. Chaniotes 2004, Text n. 4, che commenta ivi, p. 80: «The name Ti-
tus Aurelius, held both by the father and the son (l. 4 and l. 8), implies that the
family was awarded Roman citizenship by the late emperor Antoninus Pius
(Titus Aurelius Fulvus Antoninus), probably when he was holding the office
of the governor in Asia (135-136).
8
L’epigrafe ha già sollevato dibattito dal 2004, quando Chaniotis la pub-
blicò, cfr. Sharples 2005 e Fazzo 2005, soprattutto nell’Appendice Alessan-
dro di Afrodisia nell’epigrafe di Karakasu e nella dedica del De fato, pp.
283-297.
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 267
9
De fato, 164, 13-15. Notevole mi pare qui l’uso del termine astratto (τῆς
φιλοσοφίίας προίίσταµμαι) e non di altri termini che indichino più pragmati-
camente la scuola come istituzione. Quanto invece all’epigrafe, la scuola ari-
stotelica di appartenenza non è affatto menzionata, come spesso non lo è in
altre attestazioni epigrafiche, specie se di diadochoi aristotelici o platonici.
10
Fazzo 2017.
268 Silvia Fazzo
270 Silvia Fazzo
12
Cfr. Ippolito, L’Anticristo, 49, 2 e Tacito, Agricola, 32, 1 con Marotta
2009, 68.
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 271
Nel I sec. a. C. un caso fra i più noti è quello del poeta greco
Archia, la cui causa fu patrocinata da Cicerone: dopo anni di re-
sidenza, Archia fu accusato di avere usurpato la cittadinanza
romana, in quanto il suo nome non compariva nei registri del
municipium dal quale proveniva.
13
Elio Aristide, A Roma, trad. it. in Fontanella 2007. Cfr. Marotta 2009,
57, 187 n. 342, che compara i contenuti di questo testo con Filone d’Ales-
sandria Ambasceria a Gaio § 143; scrive infatti Marotta: «Roma si è costan-
temente impegnata a diffondere nell’Occidente ancora ‘barbaro’ le conse-
guenze civilizzatrici del suo incontro con la Grecia. Filone d’Alessandria
aveva percepito le dimensioni e la tensione di questa forza, scrivendo una fra-
se che, alla luce di quanto finora s’è detto, mi sembra descriva puntualmente
le vere attitudini del dominio imperiale dei Romani: «Augusto ha ellenizzato
gran parte dei barbari d’Occidente» (Filone d’Alessandria, Ambasceria a
Gaio 147)».
14
Cfr. Migliario 1999. Si tratta di Giuliano, un singolo primate della tribù
berbera degli Zegrenses e dei membri della sua famiglia, figli e figlie elencati
in ordine di età, dagli otto ai due anni.
272 Silvia Fazzo
15
A costoro l’immunitas poteva essere conferita anche al di sopra del nu-
mero massimo previsto per i diversi municipia, cinque, o sette, o dieci, mentre
per la città di Roma non era previsto un tetto massimo. Sul rescritto di Anto-
nino Pio del 140 cfr. Nutton 1988, cap. IV.
16
Schlange-Schöningen 2003, 45-60: «Galen ein Römischer Bürger?»;
Boudon-Millot 2012, 24-25. Il parere tendenzialmente negativo degli studiosi
si basa e silentio sul fatto che di Galeno non siano noti con sufficiente autore-
volezza i tria nomina. Eppure Raggi (2013, 477), indica come Publio Aelius
Nicone il padre di Galeno, il che fa ritenere che abbia ricevuto la cittadinanza
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 273
274 Silvia Fazzo
20
Sed Clotho «ego mehercules» inquit «pusillum temporis adicere illi vo-
lebam, dum hos pauculos, qui supersunt, civitate donaret (constituerat enim
omnes Graecos, Gallos, Hispanos, Britannos togatos videre»). Ringrazio El-
vira Migliario e Anselmo Baroni per avermi ricordato il passo di Seneca.
21
Sul caso di Saul, ovvero Paulo, cfr. infatti infra, l’Appendice a questo
contributo (§ 11.1).
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 275
22
Il futuro imperatore si chiamava, per esteso, Titus Aurelius Fulvus
Boionius Arrius Antoninus (portando così i tria nomina del nonno Titus Aure-
lius Fulvus, console nell’89 d.C., mentre gli altri tre nomi gli erano propri da
parte di madre, donde pure poteva vantare un’ascendenza illustre, avendo
avuto un nonno, Arrio Antonino, due volte console, nel 69 e nel 97 – mentre
‘Boionius’ veniva dall’altro nonno materno.
276 Silvia Fazzo
23
Cito dall’esordio del De fato, ove Alessandro dedica il trattato agli Im-
peratori Settimio Severo e Antonino, detto Caracalla, suo figlio e coreggente.
La dicitura qui in corsivo µμετὰ µμαρτυρίίας … δίίκαιος εἶναι τυγχάάνειν
τοιαῦτα αἰτούύµμενος, è afflitta da una corruzione testuale, come segnala la
crux philologorum nell’edizione di Bruns 1892, 164, 3-6. La corruzione è for-
se modica: dopo µμαρτυρίίας, nel ms. Ven. gr. 258 (668), f. 221v2, si legge
ἧς, espunto da Bruns, che Thillet 1984 emenda in <τοιαύύτ>ης seguendo
Moerbeke tali, senza che il senso probabile sia compromesso.
24
Fra le traduzioni moderne, si segnalano quelle italiane di Natali 1996,
2009, e di Magris 1995, quella inglese di Sharples 1983, che aprì la strada
all’intera serie di traduzioni inglesi dai commentatori aristotelici, quella fran-
cese di Thillet 1984 e quella spagnola di Salles, Molina Ayala 2009, le quali
tutte, corredate da ampio commento, mostrano la rilevanza del tema per la
storiografia filosofia attuale. Molte più indicazioni bibliografiche si troveran-
no fra breve in Fazzo, Gili (in corso di pubblicazione).
25
Ivi infatti Alessandro afferma che l’estensione dell’ambito di interesse
di questo tema è enorme e non secondo a nessuno per estensione ed impor-
tanza, cfr. 164, 15ss. Significativamente, Alessandro invita gli imperatores a
scrivergli liberamente qualora desiderino ulteriori approfondimenti su un te-
ma così controverso, importante e difficile, cfr. 165, 9-12. Se si potesse rite-
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 277
nere che Alessandro abbia approfondito il tema etico della responsabilità mo-
rale confrontandosi con aspetti della cultura giuridica romana, si potrebbe for-
se annoverare anche questo fra i casi di ‘acculturazione inversa’ – dalla cultu-
ra romana su quella greca, detta così perché si va a rovesciare la formula ora-
ziana (già retoricamente strutturata come capovolgimento e come una sorta di
ossimoro) Graecia capta ferum victorem cepit. Mi riferisco qui, sia nei con-
cetti sia nella terminologia, agli atti del convegno a cura di Franchi, Proietti
2012, con introduzione di E. Migliario.
278 Silvia Fazzo
280 Silvia Fazzo
29
Sul ruolo di Alessandro nella tradizione araba, cfr. Fazzo 2018.
30
De fato, 164, 13-15, cfr. supra n. 9.
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 281
282 Silvia Fazzo
284 Silvia Fazzo
10. Conclusione
286 Silvia Fazzo
33
Livio, Ab urbe condita 10.9.4. Tale Lex Porcia viene talora attribuita a
M. Porcio Catone il Censore, 195 a.C. ca.; è ricordata da Montesquieu, De
l’esprit des Lois, l. VI cap. XI.
34
Atti 16; 37, 2.Corinzi 11.23-25, a proposito di una sua flagellazione in
pubblico (δηµμοσίίᾳ).
35
Per un’informazione sulle fonti antiche relative a Paolo di Tarso si può
ancora vedere Balboni 1968, D. Balboni, v. Paolo, apostolo, santo, martire,
in Bibliotheca Sanctorum, vol. X, Citta Nuova Editrice, Roma 1968, col. 164-
212, in part. 165s., 182s. Per una sintesi dello stato dell’arte in epoca recente,
Marotta 2009, 58s.
288 Silvia Fazzo
36
Solo dal tempo di Eusebio di Cesarea (III-IV sec.) troviamo la tradizio-
ne che vuole che fosse decapitato – il che peraltro può accordarsi con le fonti
che abbiamo citato,
Un caso di cittadinanza privilegiata in epoca romana 289
37
Dedico questo paragrafo a mia madre Vera Grazia Dea, i cui antenati
riposano in Val di Non .
38
Studio e traduzione in Tozzi 2002.
290 Silvia Fazzo
Bibliografia
40
Marotta 2009, 83s.
292 Silvia Fazzo
NOTE BIO-BIBLIOGRAFICHE DEGLI AUTORI