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Edmund Husserl

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EDMUND HUSSERL

A cura di Diego Fusaro


' Noi siamo riusciti a comprendere, anche se solo nelle linee più generali, come il
filosofare umano e i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato
o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque- e come potremmo
dimenticarlo?-, nel nostro filosofare, funzionari dell'umanità. '

INDICE

BIOGRAFIA
VITA, OPERE E CONTESTO STORICO
ARITMETICA E LOGICA
LA FENOMENOLOGIA
L'IO E IL MONDO DELLA VITA
L'IDEA DELLA FENOMENOLOGIA
LE RICERCHE LOGICHE
LOGICA E PSICOLOGIA IN FREGE E IN HUSSERL
L'EROISMO DELLA RAGIONE IN HUSSERL

BIOGRAFIA
1859 Edmund Husserl nasce a Prossnitz, Moravia, l'8 aprile del 1859.
1878 Dopo aver studiato due anni prima astronomia all'Università di
Leipzig, si trasferisce a Berlino per studiare matematica. Egli segue i
corsi di algebra di Weirstrass.
1883 Conclude gli studi di matematica con una tesi sul calcolo delle
variazioni.
1884 Il 24 aprile muore il padre. Si trasferisce lo stesso anno a Vienna,
dove segue le lezioni di Brentano.
1887 Sposa il 6 agosto Malvine Steinschneider.
1891 Pubblica la Filosofia dell'aritmetica .E nel settembre dello stesso
anno si trasferisce a Göttingen dove viene nominato professore
nell'Università dell'omonima cittadina.
1906 Dopo aver pubblicato nel 1901 le Ricerche logiche , diviene
professore a tutti gli effetti, ricopre la cattedra di filosofia.
1913 Husserl mantiene uno stretto rapporto con Jaspers. Sono di
quest'anno le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia
fenomenologica.
1916 Il 5 gennaio si trasferisce a Friburgo per ricoprire la cattedra di
filosofia. Lì avrà come allievo Heidegger.
1918 Inizia un'assidua corrispondenza con i fisici di Gottinga.
1926 Heidegger presenta al maestro, Husserl, una copia di Essere e
tempo .
1927 Lavora all'Enciclopedia Britannica.
1928 Venne obbligato dal regime nazista a lasciare l'insegnamento in
quanto ebreo. Egli si ritira così a vita privata. Pubblicherà nel 1929 la
Logica formale e trascendentale .
1938 Muore il 27 aprile del 1938.

VITA, OPERE E CONTESTO STORICO


Edmund Husserl nacque nel 1859 a Prossnitz, in Moravia, da famiglia
ebrea, studiò matematica e fisica, prima presso l'università di Lipsia e
poi, dal 1878, in quella di Berlino, dove seguì i corsi dei matematici
Kronecker e Weierstrass, laureandosi con quest'ultimo nel 1833. Nel
1884 ritornò a Vienna, dove si avvicinò a Brentano e, nel 1887, sostenne
l'esame per la libera docenza ad Halle. In questo stesso anno, dopo
essersi convertito alla confessione evangelica, sposò Malvine Charlotte
Steinscheider, anch'ella ebrea convertita. Nel 1891 pubblicò la sua
prima opera Filosofia dell'aritmetica , poi nel 1900 e 1901 i due volumi di
Ricerche logiche . Nominato nel 1901 professore straordinario
all'università di Gottinga, vi rimase fino al 1916, quando divenne
professore a Friburgo. In questo periodo fondò la rivista che poi
divenne l'organo del movimento fenomenologico, lo 'Jahrbuch für
Philosophie und phanomenologische Forschung' (Annuario di filosofia
e di ricerca fenomenologica), in cui compariranno anche scritti
importanti dei suoi primi discepoli, quali Scheler e Heidegger, e
pubblicò alcuni dei suoi scritti più significativi, quali Filosofia come
scienza rigorosa (1911) e il primo tomo delle Idee per una fenomenologia
pura e una filosofia fenomenologica (1913). Nel dopoguerra, la filosofia di
Husserl cominciò ad essere conosciuta anche fuori dalla Germania: nel
1922 tenne una conferenza a Londra sulla fenomenologia e, nel 1929,
altre conferenze alla Sorbona di Parigi, poi ripetute a Strasburgo, il cui
testo fu trascritto in francese, sotto la guida di A. Koyré, da G. Pfeiffer
ed E. Lévinas, comparendo nel 1931 con il titolo Meditazioni cartesiane .
Intanto, nel 1928, sulla cattedra di Friburgo gli era successo l'allievo
Heidegger, mentre egli si dedicava alla composizione di altre opere,
come Logica formale e trascendentale (1929) e una Postilla alle Idee , da
apporre come premessa alla traduzione inglese di quest'opera, uscita
nel 1931: in essa, egli prendeva posizione tra l'altro contro la filosofia
dell'allievo Heidegger. Con l'avvento del nazismo nel 1933 arrivarono
tempi duri per Husserl: fu radiato dall'università di Friburgo in quanto
ebreo, proprio nel periodo in cui Heidegger ne era rettore; stessa sorte
toccò al figlio, professore di Diritto, che nel 1936 emigrò negli USA. In
alcune conferenze, tenute a Vienna e a Praga nel 1935, Husserl rilanciò
il programma fenomenologico come via di salvezza dai pericoli di
disumanizzazione e irrazionalismo che incombevano sulla cultura
europea: esse costituiscono l'abbozzo della sua ultima opera,
incompiuta, che sarà pubblicata postuma col titolo La crisi delle scienze
europee e la fenomenologia trascendentale (1954) . Nel 1938 Husserl morì a
Friburgo; i suoi numerosi manoscritti, grazie a H. L. van Breda,
poterono essere salvati dalla distruzione ed essere trasferiti
all'università di Lovanio, dove costituiscono il fondo degli 'Archivi
Husserl'. A partire dal 1950 ha preso avvio, sotto il titolo di
'Husserliana', la pubblicazione di questi inediti: tra essi vanno ricordati
i volumi secondo e terzo delle Idee (1952) , Filosofia prima (1956) e Sulla
fenomenologia della coscienza interna del tempo (1966) . Altri scritti sono
stati pubblicati dal suo allievo L. Landgrebe ( Esperienza e giudizio del
1939) e da G. Brand ( Mondo, io e tempo del 1955).

ARITMETICA E LOGICA
La prima opera di Husserl, Filosofia dell'aritmetica (1891), é dedicato a
Brentano, dal quale Husserl riprende il concetto di intenzionalità come
carattere costitutivo degli atti psichici che 'tendono' sempre
necessariamente verso il loro oggetto. Su questa base, Husserl
considera la genesi del concetto di numero : esso a suo avviso deriva
da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua
attenzione su molteplicità di oggetti riuniti in 'aggregato' specifico (ad
esempio un insieme di mele). A partire da questo, esso procede a
ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito
come collegamento collettivo delle unità costitutive di una
molteplicità; procedendo a contare tali unità, si arriva al concetto di
numero. Husserl riconosce l' esistenza autonoma dei numeri come
forme generali, cioè come strutture rappresentative costanti del
soggetto, le quali condizionano l'attività conoscitiva, ma nella misura
in cui descrive tali strutture nella loro genesi e organizzazione mentale,
resta ancora vincolato allo psicologismo . In seguito ad una recensione
critica di Frege, apparsa nel 1894, che Husserl rimprovera di
confondere ancora il piano logico con quello psicologico, e alla lettura
di Bolzano, Husserl si allontano a poco a poco dallo psicologismo.
Riconosce che la logica per compiere ragionamenti o deduzioni
corrette, ma ha a che fare anche con il significato dei concetti e, quindi,
con il loro contenuto oggettivo. Si pone dunque la necessità di
affrontare il problema delle relazioni tra logica e psicologia e Husserl
lo fa con lo scritto Ricerche logiche . Le leggi che descrivono i processi
psicologici sono generalizzazioni che partono dall'esperienza e
pertanto non hanno validità necessaria, ma sono modificabili o
correggibili in base all'accertamento di fatti empirici. I princìpi logici e
matematici, invece, sono necessariamente veri e la verità stessa é
atemporale, cosicchè il rapporto fra premesse e conclusione nei
ragionamenti non é riducibile all'accertamento empirico di relazioni di
coesistenza o di successione di atti psichici. Una logica pura non é
quindi fondabile su basi empirico-psicologiche, ma non può nemanco
avere un carattere meramente formale; essa invece deve essere la teoria
di ogni possibile tipo di ragionamento, in grado di determinare le
condizioni ideali di possibilità della scienza in generale. Su questa
base, Husserl analizza il concetto di significato ; egli é del parere che
l'unità minima di significato sia non il termine linguistico
singolarmente preso, ma la proposizione , la quale in generale enuncia
che qualcosa o é o non é. La logica studia la proposizione a prescindere
dal fatto che essa sia vera o falsa oppure che sia formulata verbalmente
o pensata da qualcuno; sotto questo profilo, dunque, essa é
pienamente indipendente dalla psicologia e non si configura come
scienza del pensiero. Per proposizione però Husserl intende non i
singoli enunciati, ma l'unità o l' essenza di tutti gli enunciati con lo
stesso significato. Questa essenza ha esistenza autonoma rispetto ai
singoli enunciati, allo stesso modo degli universali (ad esempio la
bianchezza), i quali non sono entità singole, ma l'insieme o l'essenza di
una molteplicità di cose singole (in questo caso le singole cose
bianche). Di queste essenze, secondo Husserl, abbiamo un'esperienza
autoevidente, caratterizzata da una certezza superiore a ogni certezza
data dalle scienze empiriche: egli chiama questa esperienza intuizione
categoriale, per distinguerla dalla semplice intuizione empirica, che
carpisce solamente oggetti individuali. La logica pura consiste nella
descrizione di queste essenze, che sono alla base di ogni tipo di
indagine e scienza: si tratta di un'analisi fenomenologica, che mostra
come le leggi logiche appaiono ed operano nel vissuto (in tedesco
Erlebnis ) concreto della conoscenza. Partendo dalla considerazione
dell'oggetto intenzionale dei vari atti psichici, essa descrive come tali
leggi, indipendenti dall'esperienza, si realizzano soggettivamente in
riferimento agli oggetti, che sono intenzionali negli atti conoscitivi.

LA FENOMENOLOGIA
Per Husserl l'ideale della vera filosofia consiste nel realizzare l'idea
della conoscenza assoluta, basandosi su un fondamento certo, e la
fenomenologia é il metodo che permette di raggiungere questo
obiettivo. Questo programma Husserl lo delinea e lo svolge negli scritti
successivi alle Ricerche logiche , nella Filosofia come scienza rigorosa e,
specialmente, nelle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia
fenomenologica . Per costituirsi come scienza rigorosa, la filosofia non
deve assumere nulla come ovvio e indiscutibile, ma deve raggiungere
criticamente un fondamento dotato di evidenza assoluta. A questo
scopo, essa non può partire dall' atteggiamento naturale , che assume il
mondo come un insieme di fatti ovvi: le stesse scienze empiriche si
fondano su questo presupposto e identificano la conoscenza con
l'accertamento dei fatti ritenuti oggettivi e indiscutibili. La scienza,
secondo Husserl, analizza il mondo in maniera ingenua, accettandolo
acriticamente come esistente e limitandosi ad accumulare sapere su
sapere. Ma l'esperienza delle cose é variabile e cangevole e, dunque,
non può garantire l' oggettività e la validità della conoscenza, cosicchè
le scienze della natura non possono propriamente risolvere i problemi
di una teoria della conoscenza. Dunque Husserl può affermare, nella
Filosofia come scienza rigorosa , che ' ogni scienza della natura é ingenua nei
suoi punti di partenza: la natura che essa vuole prendere in esame, per essa
esiste semplicemente ' . Bisogna invece liberarsi da ogni presupposto, sia
dalle credenze comuni, sia da quelle proprie di tali scienze, così come
dai contenuti dottrinali di tutte le filosofie precedenti. A questo
provvede quella che Husserl definisce, con un termine mutuato dallo
scetticismo antico, epochè , che letteralmente vuol dire 'sospensione
del giudizio' . L' epochè consiste nel mettere tra parentesi
l'atteggiamento naturale e tutto quel ch'esso comporta: ad esempio,
l'assunzione dell'esistenza del mondo o la distinzione di soggetto e
oggetto quali dati ovvi. Essa però non ha un compito meramente
distruttivo nei confronti delle credenze o dei pregiudizi diffusi e, in
questo senso, non coincide con il dubbio scettico. La sua finalità é
invece costruttiva ed é correlata all'assunzione di un atteggiamento
fenomenologico che raggiunge la consapevolezza che la conoscenza di
questi dati, che appaiono ovvi all' atteggiamento naturale, é possibile
solamente in riferimento alla soggettività. ' Io non nego questo mondo,
quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno
scettico, ma esercito in senso proprio l'epochè fenomenologica, cioè: io non
assumo il mondo che mi é costantemente già dato in quanto essente, come
faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze
positive, come un mondo preliminarmente assente e, in definitiva, come un
mondo che non é un terreno universale d'essere per una conoscenza che
procede attraverso l'esperienza e il pensiero. Io non attuo più alcuna
esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto ' ( Idee per una
fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica libro I, sez. II, cap. I,
§ 32) . Sospendendo l'affermazione della realtà del mondo, il mondo
stesso diviene un insieme di fenomeni che si danno alla coscienza e ai
quali la coscienza si rapporta come ad oggetti che essa intenziona nei
propri atti. Si tratta di apprendere a guardare le cose nel loro costituirsi
come fenomeni in relazione agli atti di rappresentazione, di
percezione, di ricordo e così via, cioè in relazione alle esperienze
vissute (Erlebnisse), in cui esse si danno. Si capisce allora il significato
del programma di Husserl di tornare alle 'cose stesse' : messa tra
parentesi l'esistenza del mondo come un dato ovvio, verso il quale si
prova interesse, l'atteggiamento fenomenologico diviene
l'atteggiamento meramente teoretico di uno spettatore disinteressato.
Lo sguardo di questo spettatore però é diretto non già verso le cose
empiriche nella loro accidentalità, bensì verso le essenze .
L'atteggiamento fenomenologico assume come criterio di validità l'
evidenza , con la quale i contenuti intenzionali dalla coscienza si danno
nella loro essenza in specifici atti intenzionali. Questo vuol dire che
l'analisi fenomenologica mette tra parentesi l'oggetto naturale nella sua
singolarità e opera quella che Husserl definisce riduzione eidetica (dal
greco  , 'forme' , 'idee' o 'essenze'), che porta appunto alle essenze
quali si danno nell'intuizione della coscienza. Recuperando il progetto
di Cartesio, Husserl si propone dare una fondazione assoluta alla
conoscenza: e ritiene di poterlo fare con la fenomenologia (che è
scienza dei puri fenomeni), grazie alla quale egli dice di essere
approdato in un “mondo nuovo”. Anche Cartesio era approdato in tale
mondo, scoprendo la soggettività su cui poggia l’Età moderna,
ponendo la realtà tra parentesi e sottoponendo a indagine il modo in
cui avviene la conoscenza: solo che, alla stregua di Colombo, non s’era
accorto di essere giunto in un mondo nuovo e aveva finito per
intendere il “cogito” come un mero “io psicologico”. La prima mossa
della fenomenologia dev’essere, secondo Husserl, la messa tra
parentesi delle esistenze, ossia dell’esistenza reale di ciò che
continuamente ci si dà alla coscienza. Messe le esistenze “sotto indice
di questionabilità”, si studiano i puri fenomeni di coscienza, a
prescindere dalla loro reale esistenza: la coscienza è sempre una
“coscienza di”, è cioè caratterizzata da intenzionalità: si tratta appunto
di studiare tutto ciò a cui tende la nostra coscienza: le essenze o, come
Husserl ama esprimersi, le “singolarità eidetiche”. Portiamo un
esempio concreto del metodo fenomenologico: vedo di fronte a me un
tavolo; in opposizione al procedere della scienza, metto tra parentesi
l’esistenza reale del tavolo (che, come giustamente notava Cartesio,
non è certa), e lavoro sull’essenza del tavolo (infatti, sul fatto che io stia
percependo un tavolo non c’è dubbio). Anche Cartesio era, a suo
modo, giunto fin qui: solo che, troppo affrettatamente, aveva preteso
di dimostrare la reale esistenza del mondo esterno, per di più
passando dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio. La fenomenologia
è, come Husserl ama esprimersi, un “puro guardare” che va contro la
tendenza naturale (e in questo senso essa è un atteggiamento
“innaturale”) a concepire le cose come esistenti: posso (e devo)
dubitare che il tavolo esista, ma non posso dubitare del fatto che lo sto
vedendo. Proprio la percezione così intesa (che Cartesio aveva
chiamato “clara et distinta perceptio”) è quello che Husserl chiama il
“principio dei principi” della fenomenologia. Il programma di Husserl
di fondazione della conoscenza non può però arretrarsi alla riduzione
eidetica: le essenze infatti sono i correlati intenzionali degli atti della
coscienza, i quali possono, a loro volta, essere fatti oggetti di
riflessione. La riflessione é una proprietà fondamentale del vissuto:
grazie ad essa ogni Erlebnis (vissuto) é coglibile e analizzabile. In altre
parole si può dirigere uno sguardo riflessivo sugli atti stessi della
coscienza e del pensiero: in questo modo, essi diventano oggetti di
quella che Husserl definisce percezione immanente , la quale é fornita
di evidenza assoluta. Si può infatti sospendere il giudizio sull'esistenza
del mondo, ma é evidente che esso appare alla coscienza: non posso
sospendere il giudizio sul fatto che io sto pensando. Questo vuol dire
che, mentre il mondo naturale e le cose che gli appartengono possono
essere o non essere, la percezione immanente garantisce
necessariamente l'esistenza del suo oggetto, cioè del vissuto
intenzionale della coscienza. La coscienza é dunque il risultato ultimo
e indubitabile della riduzione, non ulteriormente riducibile ad altro:
Husserl la chiama residuo fenomenologico . Non si tratta però della
coscienza empirica dei singoli individui: anche questa, infatti, é
sottoponibile ad una riduzione, che la liberi dai suoi caratteri
meramente empirici. Il residuo fenomenologico é invece la coscienza
pura o trascendentale , che non necessita di altre condizioni
antecedenti per esistere: tutto é neutralizzabile e riducibile a riduzione,
il mondo e Dio, le scienze e la teologia, ad eccezione dell'io puro, che
però non é una sostanza ma é la funzione originaria e universale della
coscienza che costituisce il mondo. Rispetto ad essa, il mondo naturale
é trascendente, ma esiste e ha senso solo tramite gli atti della coscienza:
quest'ultima infatti é intenzionalità, cioè é sempre coscienza di
qualcosa. La nozione di intenzionalità della coscienza consente dunque
a Husserl di tenersi alla larga dalle forme di naturalismo e positivismo,
per le quali la scienza basata su dati oggettivi, indipendenti dalla
coscienza, rappresenta il modello della conoscenza, sia dalle forme di
spiritualismo, che, ravvisando nella pura introspezione la via di
accesso privilegiata agli atti della coscienza, smarriscono appunto il
carattere intenzionale della coscienza, garante dell'oggettività della
conoscenza stessa. Husserl definisce la fenomenologia come eidetica ,
cioè 'scienza di essenze': a differenza dei fatti empirici, esistenti nello
spazio e nel tempo, che possono essere diversi da come sono, le
essenze sono necessarie ed universali. Ed é per questo motivo che
spesso gli interpreti hanno di vero e proprio 'platonismo di Husserl' .
Ogni scienza empirica racchiude anche conoscenze eidetiche, ma solo
la fenomenologia, al pari della logica e della matematica pura, é esente
da dati di fatto e riguarda anche essenze. Esse rappresentano le
strutture a priori, costanti e generali, dell'esperienza, le quali hanno
per correlato il mondo come insieme degli oggetti di un'esperienza
possibile. Il mondo e la realtà hanno senso solo se riferiti alla
coscienza, la quale ha appunto la proprietà di conferire senso ad essi.
Ogni vissuto intenzionale é costituito da un aspetto soggettivo,
chiamato noesi (che letteralmente vuol dire 'l'operazione del pensare'),
cioè dall'atto intenzionale che conferisce senso (il percepire, il
ricordare, il desiderare, ecc.) e da un aspetto oggettivo, chiamato
noema (che letteralmente vuol dire 'ciò che é pensato'), cioè il
percepito, il ricordato, il desiderato, ecc. Nel noema é dato il mondo
intenzionato dalla coscienza nelle sue differenziazioni regionali, cioè
nei diversi modi di essere in cui le cose si danno alla coscienza. In base
a queste differenziazioni si costituiscono le cosiddette ontologie
regionali , dove per regione si intende ' la complessiva e superiore unità di
generi pertinenti a un concreto ' . A ciascuna ontologia regionale
appartengono dunque specifiche essenze regionali: in virtù di esse si
può ricavare la costituzione fondamentale di ogni conoscenza possibile
e il fondamento ontologico di tutte le scienze empiriche. La
fenomenologia però é diversa dall'ontologia classica, la quale assume
le unità, di cui essa si occupa, nella loro identità, come se si trattasse di
qualcosa di fisso e definito; la fenomenologia invece assume le varie
unità, cioè le essenze, nel flusso che le correla al vissuto della coscienza
ed é finalizzata a stabilire non una dottrina delle varie realtà, ma della
costituzione delle realtà oggettive a partire dalla coscienza dell'io puro.
Husserl dedica alla trattazione di queste tematiche la terza parte delle
Idee , pubblicata postuma. Nella seconda parte, anch'essa pubblicata
dopo la morte del pensatore ebreo, Husserl fornisce un'analisi
fenomenologica dei modi in cui si costituiscono i tre strati della realtà
mondana. Il primo é quello delle cose materiali , cioè il campo delle
realtà trascendenti spaziotemporali, oggetto della percezione e delle
scienze naturali e rette dalla pura causalità. Il secondo strato é quello
del corpo proprio , cioè della totalità liberamente mobile degli organi
di senso, e delle nature animali, soggette a condizionamenti e oggetto
della somatologia, alla quale scorrettamente é collegata la psicologia,
dal momento che non ha senso per Husserl parlare di parallelismo
psico-fisico. Il mondo che sta di fronte al soggetto dipende per Husserl
dal corpo proprio e dalle peculiarità della psiche. E proprio il terzo
strato é costituito dalla psiche , uno strato caratterizzato dalla storicità,
in quanto flusso di Erlebnisse collegati tra loro e copn il corpo proprio:
a partire dalla psiche, si costituisce il vero, che non trasuda negli
Erlebnisse. L'io però per Husserl richiede il tu, il noi, l'altro, il mondo:
su questa base poggia il mondo spirituale, in cui la persona,
nell'associazione con le altre persone, è centro di un mondo circostante
che si configura come orizzonte aperto ai dati oggettivi naturali e
sociali che possono offrirsi. La vita spirituale ha la sua legge
fondamentale nella motivazione, cosicchè in tale mondo l'io si
configura come io libero: questo conferisce al mondo spirituale un
primato ontologico su quello meramente naturale.

L'IO E IL MONDO DELLA VITA


Husserl sapeva bene che la sua esigenza di un nuovo, radicale inizio e
di una nuova, radicale fondazione della conoscenza presentava
analogie con il programma perseguito tre secoli addietro da Cartesio.
Proprio su questo punto Husserl ritorna nelle Meditazioni cartesiane :
Cartesio ha inaugurato una filosofia di specie nuova, il passaggio
dall'oggettività ovvia e spontanea al soggettivismo trascendentale, e su
questa linea si colloca pure la fenomenologia. Anche oggi infatti é
andato perduto, a parere di Husserl, il senso dell'unità della scienza a
causa della carenza di chiarezza sui princìpi di essa e i filosofi non
collaborano più in vista di questo fine, cosicchè bisogna rievocare in
vita il radicalismo di Cartesio. La scienza é in cerca di verità valide per
tutti, ma non può pretendere ad alcuna validità definitiva se manca l'
evidenza assolutamente certa, scevra di ogni dubbio, del suo
fondamento. Questa non é ricercabile nel mondo quale appare
all'esperienza comune e alle stesse scienze naturali, perchè, come
aveva dimostrato Cartesio, quel mondo potrebbe essere solo un sogno
o una serie di immagini virtuali inviate al nostro cervello da un genio
maligno. Mettendo il mondo tra parentesi, però, io raggiungo non un
puro nulla, ma me stesso come io puro o coscienza pura, in cui e per
cui l'intero mondo oggettivo é per me. Infatti io possiedo, in quanto io,
un mondo continuativo che é 'per me' ed io stesso sono dato a me
stesso in un'esperienza evidente. Il tempo , come coesistenza e
successione dei momenti di vita, é la forma universale che sta alla base
di ogni genesi dell'io. Affiora qui l'evidenza apodittica dell'io sono,
erroneamente trasformato da Cartesio in una sostanza pensante: si
tratta invece dell' io o ego trascendentale , che é indisgiungibile dalle
sue esperienze vissute, é il polo identico dei momenti di vita della
coscienza e l'universo delle possibili forme che essi possono assumere.
Questa é l'evidenza originaria: e Husserl dice che ' non ha senso voler
cogliere l'universo dell'essere vero come qualcosa che stia al di fuori
dell'universo della cosa possibile ' . Il mondo e le cose assumono un
significato e un senso solo attraverso l'io, cosicchè si può affermare che
la soggettività trascendentale é ' l'universo della possibilità di senso ' . La
fenomenologia, avendo il suo fondamento nell'evidenza dell'io
trascendentale, é definita da Husserl come idealismo trascendentale ,
differente dall'idealismo psicologico alla Berkeley , ma anche da quello
kantiano, il quale persevera nel mantenere un mondo di cose in sè
come concetto limite. A differenza dell'idealismo tradizionale, quello
trascendentale non nega l'esistenza del mondo, ma ha come unico fine
il chiarimento del senso di questo mondo . Su questa base, Husserl può
asserire che la filosofia può solo rivelare il senso del mondo, non
mutarlo. Il rischio del primato accordato all'io può consistere in una
forma di solipsismo, che rinchiuda il soggetto in se stesso e lo renda
irraggiungibile agli altri e incapace di accedere lui ad essi. Sempre
nelle Meditazioni cartesiane Husserl si prende la briga di mostrare che l'
intersoggettività é costitutiva della soggettività trascendentale; per il
pensatore ebreo, infatti, io originariamente ho esperienza del mondo
come intersoggettivo, cioè come ' un mondo che é per tutti ed i cui oggetti
sono disponibili a tutti '. Entro questa sfera comune io tento di delimitare
la sfera specifica di quel che é 'mio proprio', ma questo presuppone il
concetto di 'altro'. In questo modo, si dirada l'apparenza di solipsismo,
pur continuando a valere il principoio secondo cui tutto quel che é per
me, compresi gli altri soggetti, possono attingere il loro senso
esclusivamente dalla mia sfera di coscienza. Le filosofie della vita, e
anche filosofi che facevano proprio il metodo fenomenologico (Scheler
ed Heidegger), biasimavano Husserl per un eccesso di intellettualismo,
per un'insistenza unilaterale sul problema della conoscenza e, quindi,
per l'incapacità di pervenire alla soggettività pratica e attiva e di
affrontare i problemi dell'esistenza. Contro queste critiche Husserl
rivendic, nella Postilla alle Idee (1930), il carattere universale della
fenomenologia, avente un metodo in grado di far fronte a tutti i
problemi della filosofia e, per questa strada, anche a ' tutte le domande
che l'uomo concreto può porre ' . Forse proprio in risposta a queste accuse
di distrattezza e alla nozione di essere-nel-mondo di Heidegger,
Husserl pone al centro della propria riflessione, negli ultimi anni di
vita, il concetto di mondo-della-vita , che svolge una mansione di
primo piano nell'opera intitolata La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale (pubblicata postuma). Le scienze
contemporanee, nonostante i loro evidenti successi, sono tormentate
da paradossi e da problemi di fondazioni e attraversano una crisi
profonda, espressione della crisi radicale della vita dell'umanità
europea. In discussione é non tanto il valore delle conoscenze
specifiche conseguite dalle singole scienze, quanto il significato che la
scienza nel suo complesso ha e può avere per l'umanità. Alla base della
crisi c'é la riduzione dell'idea della scienza a scienza di fatti, la quale
prescinde da qualunque riferimento al soggetto che effettua l'indagine
scientifica. Questo vale anche per le cosiddette scienze dello spirito, in
cui l'avalutatività, in quanto salvaguardia da giudizi arbitrari
meramente soggettivi, diviene l'ideale da perseguire. Escludendo in
linea di principio i problemi del senso dell'esistenza e del mondo in
generale, la scienza finisce con l'estraniarsi dagli uomini; ne consegue
per Husserl che ' le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto ' .
L'origine della crisi di oggigiorno delle scienze va scorta per Husserl
nella crisi dell'idea di filosofia, come scienza onnicomprensiva della
totalità dell'essere, di cui le singole scienze costituiscono ramificazioni
specifiche. L'umanità europea si era costituita come autonoma grazie a
questa concezione della filosofia, affiorata nel Rinascimento, la quale
tendeva a dare alla vita regole basate sulla ragione, al fine di rendere
liberi. A partire da Settecento, la possibilità di una metafisica era
divenuta problematica ed era franata la fede in una filosofia universale
in grado di guidare l'uomo e, quindi, la fede in una ragione che fosse
capace di dare un senso alla totalità della natura e della storia. Per
capire la crisi che investe il presente, per Husserl, si deve riconsiderare
la storia dell'umanità, rendendosi conto che le battaglie spirituali
dell'umanità europea sono lotte tra filosofie: ' le uniche battaglie davvero
significative del nostro tempo sono battaglie tra un'umanità che é già franata
in se stessa e un'umanità che é ancora radicata su un terreno, e che lotta
proprio per questo inserimento o per uno nuovo. Le vere battaglie spirituali
dell'umanità europea sono lotte tra filosofie, cioè tra le filosofie scettiche- o
meglio tra le non filosofie, che hanno mantenuto il nome ma che hanno
smarrito la coscienza dei loro compiti- e le vere filosofie, quelle ancora vive '
( La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale parte I, § §
6-7). Grazie a questa riconsiderazione storica ci si può rendere conto
che 'il senso dell'umanità' autentica consiste in una umanità ' fondata
sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così ' .
Questa nuova nozione di umanità fa la sua comparsa, stando a
Husserl, in Grecia con la nascita della filosofia come attività teoretica
puramente disinteressata e condotta dalla ragione, volta ad un sapere
universale dotato di fondamento assoluto. Si é originato in questo
modo un § , un fine, consistente nella realizzazione di
un'umanità pienamente razionale: questo fine, al tempo stesso, é un
compito infinito, che ha i suoi funzionari e garanti nei filosofi,
responsabili per il vero essere dell'umanità. Per uscire dalla crisi
imperante nel presente bisogna dunque recuperare il senso originario
di questo 'fine', proseguendo l'eredità trasmessa dai primi filosofi
greci, la quale é scivolata nei meandri dell'oblìo, originando la crisi
delle scienze stesse: questo é possibile solo tramite la filosofia
fenomenologica, in grado di volgere uno sguardo pienamente
disinteressato verso le cose stesse e, quindi, di ravvisare nella
soggettività trascendentale il fondamento di ogni sapere possibile; il
liberare l'umanità dalla crisi é compito dei filosofi: ' L'umanità in
generale é per essenza un essere uomini entro organismi umani
generativamente e socialmente connessi, e se l'uomo é un essere razionale, lo é
solo se tutta la sua umanità é un'umanità razionale [...] Noi siamo riusciti a
comprendere, anche se solo nelle linee più generali, come il filosofare umano e
i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato o comunque
limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque- e come potremmo
dimenticarlo?-, nel nostro filosofare, funzionari dell'umanità [...] E' chiaro (e
che cosa altrimenti ci potrebbe aiutare?) che occorrono esaurienti
considerazioni storiche e critiche per giungere, prima di qualsiasi decisione, a
un'autocomprensione radicale, che occorre indagare su ciò che
originariamente si perseguiva con la filosofia, ciò che tutte le filosofie e tutti i
filosofi, storicamente intercomunicanti, hanno perseguito; e tutto questo
attraverso una considerazione critica di ciò che nella propria finalità e nel
proprio metodo rivela quell'aderenza ultima e autentica alla propria origine
che, penetrata, lega a sè apoditticamente la volontà ' . Per Husserl, la crisi
delle scienze incomincia già con Galileo e con la sua idea della
matematizzazione della natura, che ha portato a considerare la natura
stessa come un mondo di corpi realmente circoscritto in sè e, quindi, a
far proprio l'atteggiamento naturale, che assume il mondo come un
dato ovvio, distinto e non dipendente dal soggetto che lo conosce e
grazie al quale riceve un significato. In questo modo, si prepara il
dualismo cartesiano tra natura e mondo psichico, che é la premessa per
la specializzazione delle varie scienze e per la costruzione di una
psicologia oggettivistica. Sotto questa prospettiva, la stessa
soggettività, l'anima o la mente, diviene un'entità analoga alle cose
naturali, indagabile con i metodi presi a prestito dalle scienze della
natura. Questo ha portato a dimenticare il fondamento che conferisce
senso alle stesse operazioni delle scienze naturali, cioè quello che
Husserl definisce il mondo-della-vita (in tedesco Labenswelt ) , cioè la
vita che ha esperienza del mondo prima di qualsiasi formazione di
categorie e giudizi. In questo senso, essa é prescientifica e
precategoriale, ma é al tempo stesso il fondamento e la fonte delle
conoscenze stesse delle scienze. Questo non vuol dire che essa fornisca
i dati della sensibilità come dati ovvi a partire dai quali esse si
costruiscono. Il mondo della vita é piuttosto definito da Husserl come '
un regno di evidenze originarie ' , esperite nella loro immediatezza e
comuni a tutti gli uomini in quanto soggetti conoscenti. Ad esso si
perviene tramite la riduzione fenomenologica, che permette di vederne
il centro nella soggettività che, sia nei modi prescientifici, sia in quelli
scientifici, tende a raggiungere il senso ultimo del mondo. Il primo in
sè non è, dunque, l'essere del mondo nella sua ovvietà, come
presumono le scienze naturali, ma la soggettività, che nelle sue forme
prescientifiche pone ingenuamente l'essere del mondo e poi, nelle varie
scienze, l'obiettivizza. La fenomenologia invece, in quanto riflessione
da parte del soggetto conoscente su se stesso e sulla propria vita
conoscitiva, può ritornare a questa fonte ultima di tutte le informazioni
conoscitive e, su questa base, costruire una filosofia universale fondata
in maniera pura e definitiva. Tramite la fenomenologia, la filosofia può
dunque recuperare il 'telos', il fine, già insito nella sua origine greca,
della ricerca e realizzazione di un'umanità interamente e liberamente
fondata sulla ragione. Indicando nella fenomenologia la prosecuzione
più adeguata dell'ideale di una libera indagine razionale, scevra di
presupposti e tendente ad una validità universale, Husserl intendeva
opporsi all'irrazionalismo, che ormai egli vedeva minacciare la visione
spirituale e materiale dell'Europa e soprattutto della Germania e al
quale le scienze, a suo parere, non erano più in grado di opporre alcun
attacco. Sotto questa prospettiva, la filosofia riacquisiva il compito
etico di salvaguardare il significato autentico dell'idea di umanità.

__________________________________________________________
SINTESI DELL’IDEA DELLA
FENOMELOGIA

DI EDMUND HUSSERL

 
 

Le cinque lezioni sull’Idea della fenomenologia (Die Idee der


Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, 1907; tr. it. a cura di C. Sini, Laterza,
Roma-Bari 1992) furono tenute da Edmund Husserl presso l’Università di
Gottinga dal 26 aprile al 2 maggio 1907. Esse sono successive alle
Ricerche logiche, con le quali intrattengono, a tratti, un rapporto polemico,
come se Husserl volesse in certo senso prendere le distanze da quell’opera.
L’ Idea della fenomenologia è un testo particolarmente significativo perché
traccia con una precisione sorprendente e con una chiarezza, potremmo
dire, “cartesiana” le coordinate della nuova “scienza delle pure essenze”
scoperta da Husserl.

La I lezione si apre con la distinzione husserliana tra la “conoscenza


scientifica” e la “conoscenza filosofica” (cioè fenomelogica). La prima è
una forma di conoscenza ingenua, acritica, la quale si muove sul terreno
dell’atteggiamento naturale dell’accogliere il mondo e i suoi enti come
esistenti e reali in maniera ovvia e non bisognosa di spiegazioni. È una
forma di conoscenza ingenua e acritica perché non si pone il problema
della “possibilità della conoscenza in assoluto”, ossia del fondamento della
sua possibilità. Il mistero del conoscere non viene neppure sfiorato dalla
conoscenza scientifica. Su questo problema, che assume i tratti del mistero,
si concentra invece la conoscenza filosofica, la quale pone in discussione la
“correlazione” implicata in ogni conoscenza: cioè il rapporto tra il soggetto
conoscente e l’oggetto conosciuto. Che cosa garantisce al soggetto di
conoscere qualcosa di effettivamente esterno a se stesso? Già Cartesio s’era
accorto di questo problema, nel quale si annidano gli eterni problemi della
filosofia e i pericoli della caduta nello scetticismo. Questo problema viene
risolto dalla fenomenologia, che è un atteggiamento, un “metodo nuovo” (p.
53) tramite il quale la filosofia si pone nelle condizioni di poter conquistare
finalmente “una dimensione nuova rispetto a ogni conoscenza di tipo
naturale” (p. 52) e autonoma, un nuovo inizio e una nuova legittimità.    

Con la lezione II, Husserl tratteggia il metodo fenomenologico, instaurando


un proficuo dialogo con Cartesio. Il primo gesto che il fenomenologo deve
compiere è quella “sospensione di giudizio” (epoché), in forza della quale
viene messa tra parentesi l’esistenza del mondo: esistenza che, come
abbiamo visto, veniva ingenuamente data per scontata dal sapere
scientifico. L’atteggiamento fenomenologico non deve “lasciar valere
alcuna datità” (p. 54): non deve cioè accettare alcunché come scontato. Ma
nel porre ogni cosa tra parentesi, lasciandola avvolgere dal dubbio, ci si
imbatte nel problema su cui si affaticò lo stesso Cartesio: se si dubita di
ogni cosa, “allora si deve poter esibire un essere che noi dobbiamo
riconoscere come assolutamente dato e indubitabile” (p. 55) in quanto
assolutamente chiaro. Come aveva detto Cartesio, questo essere di cui non
si può dubitare è il soggetto dubitante stesso: posso dubitar di tutto ma non
del fatto che io sto dubitando; in termini husserliani, “è indubbiamente
certo che io dubito” (p. 55). Ma è anche certo che le mie cogitationes (ossia
le cose che percepisco, rappresento, giudico, inferisco) non sono avvolte
dal dubbio: “è assolutamente chiaro e certo che io percepisco questo o
quest’altro” (p. 56). In altri termini, non posso dubitare né di me come
soggetto dubitante né delle percezioni che ricevo: non posso cioè dubitare
del blu del divano che vedo, ad esempio. Ciò non significa che il divano
percepito esista effettivamente e sia fuori di me: questo, infatti, resta in
dubbio. Significa piuttosto che “le figure di pensiero che io attuo realmente
mi sono date, purché io rifletta su di esse, le rilevi e le ponga in un puro
guardare” (p. 56). In questa maniera, l’atteggiamento fenomenologico si
configura come un “puro guardare” incentrato sulla “piena chiarezza
offerta allo sguardo” (p. 59): si tratta di una “chiarezza di tipo essenziale”
(p. 59), che ha cioè a che fare con le “pure essenze” e non con le esistenze.
E la “trascendenza” che accompagna ogni conoscenza (vale a dire il fatto
che le cogitationes rimandino a qualcosa di esistente in sé e fuori di me)
resta nel dubbio, posta “tra parentesi” al fine di poter indagare su
quell’enigma essenziale della conoscenza che è la sua pretesa di
trascendenza. La fenomenologia è allora una “critica della conoscenza” (p.
60) che si propone di “illuminarci sull’essenza della conoscenza” (p. 60).

Con la III lezione, Husserl mette in chiaro come l’assunzione delle


cogitationes come terreno di indagine fenomenologica non significhi
assumerle come meri fatti psicologici. In ciò egli si oppone allo
psicologismo. L’epoché ha messo tra parentesi pure le validità psicologiche
e le ovvietà antropologiche (ad esempio, l’uomo inteso come ente del
mondo). Lo “sguardo puro” della fenomenologia ha ora dianzi a sé, nelle
cogitationes come dati assoluti, degli assoluti fenomeni di conoscenza
slegati dall’esistenza. Tali cogitationes si riferiscono “intenzionalmente”
(nella misura in cui la coscienza si dà sempre come “coscienza di”, cioè
diretta verso qualcosa) a qualcosa che è reale e oggettivo, sì, ma in senso
“trascendente”, vale a dire come modo di darsi del fenomeno. Si perviene
così alla fenomenologia come “scienza dei puri fenomeni” (p. 77),
sganciati dalla loro esistenza (la quale resta tra parentesi). Grazie alla
“riduzione fenomenologica” (p. 74), il mondo intero è ridotto a pure
essenze della cui esistenza non ci si cura: la fenomenologia è per l’appunto
scienza dei puri fenomeni quali ci si donano incessantemente alla
coscienza. In questo modo, si mette “saldamente piede sulla nuova terra”
(p. 77) della fenomenologia: occorre però evitare di finire in balia delle
“bufere dello scetticismo” (p. 77).

Ma se, sospesa l’esistenza, si ha a che fare con puri fenomeni, non si torna
forse al pànta rei di cui diceva Eraclito? Non si ha, in altri termini, un
sempre cangiante flusso di contenuti in divenire e accidentali? Come si
potrà far scienza del mutevole e dell’accidentale? Husserl ribatte che
occorre guardare le cose in maniera “chiara e distinta”, secondo
l’insegnamento di Cartesio: da quest’ultimo, Husserl recupera la nozione di
“clara et distincta perceptio” (p. 83), la quale garantisce la certezza e la
validità delle cogitationes: possiamo usare tranquillamente ogni cogitatio
di cui abbiamo una percezione chiara e distinta. Quando col “puro sguardo”
ho intuizione del rosso del tetto della casa, con ciò stesso intuisco anche il
senso universale del rosso, della cosa rossa, del tetto, della casa. Detto
altrimenti, anche “universalità, cioè oggetti universali e stati di cose
universali, possono pervenire ad assoluta datiti diretta” (p. 87). In questa
maniera, la fenomenologia può essere scienza a tutti gli effetti.           

La lezione IV si concentra sul fenomeno dell’intenzionalità della coscienza,


il suo immancabile tendere a qualche cosa. La riduzione del mondo a pure
essenze non ci costringe nell’ambito di mere singolarità accidentali, ma
anzi ci permette di cogliere l’universalità, come s’è preventivamente
chiarito nella III lezione. Addirittura, il senso universale dei fenomeni
osservati si manifesta da sé nei fenomeni stessi, senza che noi dobbiamo
aggiungervi alcunché dall’esterno. È infatti il fenomeno ad avere
immanentemente in sé l’oggettività “numero” piuttosto che “colore”,
“percezione” piuttosto che “ricordo”. Queste datità universali sono un
qualcosa “di ultimo e di assoluto” che non dev’essere revocato in dubbio.
Invece, occorre distinguere tra ciò che è chiaramente dato a una pura
ragione intuitiva da ciò che spesso l’intelletto astratto contrabbanda come
se fosse direttamente osservato, mentre invece è frutto di ovvietà e di
pregiudizi inconsapevoli. A questo proposito, dice Husserl: “intelletto
meno che si può e intuizione più pura che si può (intuitio sine
comprehensione)” (p. 103), nella convinzione che si debba “lasciare la
parola all’occhio che guarda” (p. 103).

Con la lezione V si porta l’attenzione sul tempo: le universalità osservate


tramite l’intuizione nel fenomeno si intrecciano con la singolarità del
vissuto. Il “rosso in specie” si dà in questa percezione di rosso e in nessun
altro modo altrove. Ma la percezione è un vissuto che dura nel tempo e che
incessantemente intreccia il presente con l’appena passato. Inoltre, su di
essa influisce il ricordo dei passati più lontani. Occorre chiarire il rapporto
tra l’individualità (del vissuto) e l’universalità (del suo senso, della
“specie”).  La specie “rosso” può altrettanto bene essere “ideata”, ossia resa
oggetto di descrizione fenomenologica, sia che la si percepisca sia che la si
immagini. Husserl dice che si descrive la “essenza individuale” (la “specie
rosso” data hic et nunc) e non tanto l’esistenza individuale (questo percetto
e questo immaginato). Si deve allora porre una “contrapposizione tra
esistenza ed essenza”, in quanto modi diversi di datità. Ciò solleva
immediatamente uno sciame di problemi: come dice Husserl, “si rivela che
il puro essere della cogitatio non si presenta affatto, a una più precisa
considerazione, come una cosa tanto semplice” (p. 111). Le cogitationes
non sono tutte ugualmente oggettive e, per di più, la coscienza – lungi
dall’essere un inerte contenitore di fenomeni – concorre a costituire i
fenomeni, ad esempio coi suoi atti temporali. E vi concorre pure con “atti
categoriali”, giacché essa non vedrebbe ciò che guarda se non vi
aggiungesse all’istante i suoi giudizi, le sue categorie (questo è rosso,
questo rosso è un tetto, ecc). Gli atti di pensiero coi quali la coscienza ha a
che fare sono non di rado “immaginari” (ad esempio, “San Giorgio a
cavallo”) e simbolici (ad esempio, il quadrato rotondo). Come sono
possibili – si domanda Husserl – “questi puri miracoli?”.     

INDIETRO
Qualche appunto sulle Logische Untersuchungen di

Husserl
A cura di Jonathan Fanesi

[ Con queste poche pagine non ho intenzione di offrire un’esposizione sistematica delle

problematiche teoretiche interne alle Logische Untersuchungen, impresa questa che

sarebbe al di fuori della mia attuale portata, bensì fornire a qualsivoglia lettore,

quell’insieme di appunti che io stesso ho avuto modo di scrivere durante lo studio dell’

opera. Nonostante siano solo appunti, ho pensato di far parlare lo stesso Husserl,

introducendo una serie di citazioni tratte dalle stesse Logische Untersuchungen  con

tanto di note a fondo pagina, in modo tale che da rimediare, nel caso fosse necessario, a

una mia possibile nebulosità espressiva e, nello stesso tempo, far sì che queste “ carte “

siano solo l’ occasione, con la benedizione di Malebranche, di ritornare alle “ cose

stesse “, al testo di Husserl. I diagrammi che qui compaiono, sono esemplificazioni

visive o nella maggior parte dei casi, riassuntive, di alcune articolazioni concettuali che

ho rinvenuto nell’ opera. Le Logische Untersuchungen, come ogni grande scritto,

sollevano questioni che non trovano una loro contestualizzazione critica all’ interno

dell’ orizzonte filosofico – speculativo in cui si stagliano, bensì hanno il fortunato

destino di trascendere il contesto operativo – funzionale, quel contesto in cui compaiono

e si esplicitano, per trovare la loro vera patria nella teoresi in senso lato.

Il precetto husserliano della chiarezza e dell’ evidenza, mai come nella nostra epoca,

risulta fondamentale; eppure, molti procedono come se l’ unica legge fosse l’arbitrarietà

assoluta, altri invece, affilano le punte di frecce che non scoccheranno mai contro il
bersaglio e, altri ancora infine, spolverano i fossili all’ interno del museo della Filosofia,

facendo passare il loro faticoso catalogare, il loro accurato spolverare, per un creativo e

critico operare.  ]

Le problematiche trattate nelle Ricerche logiche (Logische

Untersuchungen) – come lo stesso Husserl afferma all’ interno della “

Prefazione alla prima edizione “ dell’ opera ( 1900 ) –, sono sorte nel

tentativo di operare una chiarificazione filosofica della matematica pura,

chiarificazione che, nel procedere delle analisi, ha dischiuso il più vasto

orizzonte della teoria in generale e del rapporto che intercorre tra la forma e

la materia della conoscenza.

L’impostazione adottata nella “ Philosophie der Arithmetik “ ( 1891 ) si è

rivelata inefficace nel momento in cui si passava dal piano dei nessi

psicologici del pensiero all’unità logica del contenuto del pensiero: le

nuove esigenze teoretiche riguardanti il problema della teoria e della

conoscenza in generale unite al fallimentare tentativo di costruire una

fondazione psicologia dell’ aritmetica, hanno portato Husserl a studiare


analiticamente il rapporto tra la soggettività del conoscere e l’ oggettività

del contenuto della conoscenza.

In questo modo le Logische Untersuchungen  rappresentano “ un’ opera di

rottura, e quindi non un punto d’arrivo, ma un inizio “[1]: si tratta di

realizzare un vero proprio Fundamentalarbeit che, pur sorgendo dalle

macerie della fondazione psicologista ( psicologismo sui generis )  prima

adottata, sappia coniugare la dimensione soggettiva con quella oggettiva.

Se lo psicologismo, almeno nell’ accezione naturalistica e non in quella

attualistica – come nota Melandri –, é in sé da rifiutare, non per questo va

cancellata la dimensione della soggettività, destinata quindi ad essere

ripensata su base diversa. 

Le Logische Untersuchungen sono procedute dai Prolegomeni a una logica

pura, un testo nato dalla rielaborazione di due serie complementari di

lezioni tenute ad Halle nell’ estate e nell’ inverno del 1896. 

In questo breve testo, Husserl argomenta in maniera sistematica l’

impossibilità di pervenire ad una fondazione psicologica per la logica e l’

aritmetica, ponendo così le premesse per lo sviluppo delle successive

ricerche finalizzate alla costituzione di una vera e propria logica pura.

La logica pura – come si vedrà inseguito –, intesa come disciplina

nomologica volta alla chiarificazione fenomenologica dei concetti primitivi

che costituiscono l’ idea dell’ unità teoretica di ogni scienza, rappresenta, in

maniera inequivocabile, quel Fundamentalarbeit di cui gli scienziati non


hanno bisogno nel loro procedere, incuranti di “ penetrare negli ultimi

fondamenti del loro fare “[2].

Al filosofo – scrive Husserl –, non interessa la mera operatività funzionale

di una determinata teoria scientifica e i risultati a cui essa può approdare sul

piano tecnico – pratico, egli, ha a cuore la chiarezza gnoseologica dei

costituenti essenziali della teoria in generale, delle forme connettive

attraverso le quali i concetti atomici si coordinano in un’ unità sistematica:

si viene a delineare così una distinzione ineludibile tra la sfera della scienza

ingenuamente positiva e la filosofia, il cui tèlos primario è la

chiarificazione teoretica dell’ essenza dei concetti di cui la prima fa uso.

Egli inizia distinguendo i tre fondamentali indirizzi della logica del tempo (

psicologista, formale e metafisico ), affermando che quello psicologista,

sotto l’ influsso di Stuart Mill, si può considerare, sia per il numero che per

l’ importanza dei suoi adepti, l’ indirizzo prevalente.

Se in Sigwart lo psicologismo è una concezione fondamentale che

tiranneggia in maniera assoluta, in Erdmann viene confusa l’ impossibilità

logica come assurdità del contenuto giudicativo – ideale con l’

impossibilità psicologica, intesa come ineffettuabilità dell’ atto giudicativo.

Nella folta schiera dei logici psicologisti, al di là delle divergenze teoriche,

Husserl annovera Stuart Mill, Bain, Wundt, Sigwart, Erdmann e Lipps.

Sia la teoria di Cornelius che il principio Mach – Avenarius, sono da

ritenere forme più o meno esplicite di psicologismo, quest’ ultimo può solo
risultare fecondo nel momento in cui viene assunto all’ interno della logica

come tecnologia.

A differenza degli autori poc’anzi citati, Leibniz, Kant ed Herbart, al di là

dei limiti teorici presenti nelle loro opere, hanno compiuto, seppur in

maniere diverse, delle svolte nella trattazione di queste problematiche: se a

Kant, bisogna tributare il merito di aver distinto la logica pura dalla logica

applicata ( al di là della discutibilissima divisione tra intelletto e ragione ),

a Herbart, si deve la separazione, con tutte le riserve del caso, della

psicologia dalla logica, infine a Leibniz, la tesi dell’ idealità della logica.

Dopo questa distinzione storico – teoretica, Husserl nota che proprio la

confusione tra i campi, ha ostacolato il progresso nella conoscenza logica.

“ Tuttavia, ben più pericolosa è un’ altra deficienza nella delimitazione del

campo, vale a dire la confusione tra i campi, la fusione di elementi

eterogenei in modo tale da formare una presunta unità di campo,

specialmente quando si fonda su un’ interpretazione del tutto erronea degli

oggetti in questione che la scienza deve indagare. “[3]

Come si evincerà dal procedere successivo delle analisi, il rifiuto dello

psicologismo da parte di Husserl, va valutato non solo in relazione alla

cattiva fondazione a cui era approdato nell’ opera del 1891, ma da precise

esigenze metodologico – teoretiche. 


La psicologia, che vuole avere un ruolo fondazionale per la logica è fondata

su leggi che, lungi dall’ essere esatte e autentiche, sono vaghe

generalizzazioni dell’ esperienza: essa, è quindi una scienza basata

sull’esperienza, i cui enuncianti non sono altro che regolarità

approssimative della coesistenza o successione dei fenomeni psichici.

Le leggi psicologiche, in quanto leggi naturali, non hanno un’ evidenza

apodittica ed, essendo fondate attraverso un processo induttivo, si stagliano

in un orizzonte di mera probabilità. Lo psicologismo in questo senso

racchiude in sé tutti quegli errori che possono scaturire dalla confusione tra

i campi: non distingue la legge come membro della causazione dalla legge

come regola della causazione, confonde le leggi naturali con le leggi

logiche, i giudizi stessi con le leggi come contenuti giudicativi.

I logici psicologisti non distinguono il piano reale da quello ideale, la

regolamentazione causale da quella normativa, la necessità reale dalla

necessità logica, il fondamento reale dal fondamento logico.

Tutte queste coppie di concetti antitetici vanno riportate in seno all’

epistemologia in senso lato, facendo scaturire una fondamentale distinzione

tra le scienze ideali e le scienze reali: le prime, totalmente a – priori, sono

costituite da leggi generali ed ideali fondate con evidenza in concetti

generali, le seconde invece, sono empiriche e, in quanto dotate di

proposizioni fattuali, formulano leggi che hanno un’ universalità reale.


Si delinea così una netta separazione tra la dimensione reale e quella

ideale, tra la sfera fattuale a cui inerisce la temporalità e la sfera della

verità a – temporale, tale da rendere impossibile l’ utilizzo di una legge

logica come legge della fattualità della vita psichica: mentre nella scienza

dei fatti la legalità autentica è un semplice ideale, nella conoscenza

puramente concettuale si trova realizzata.

Se gli errori dello psicologismo sono dovuti ad una prima e fondamentale

confusione, quella tra psicologia e logica, una nuova fondazione deve

nascere attraverso un processo di chiarificazione concettuale – linguistica;

se la psicologia si occupa dei nessi psichici di coesistenza e successione dei

fenomeni psichici, questi sono da distinguere dai rapporti oggettivi di

premessa e conseguenza, oggetto della logica.

L’ importanza di queste argomentazioni, non deve essere valutata solo in

un’ ottica critico – demolitoria, bensì anche da un punto di vista costruttivo:

la par destruens nel suo procedere ha posto le basi per la par costruens

vera e propria.

La logica pura di cui si parla nei Prolegomeni, avendo un ruolo

fondazionale – teoretico di primo piano, si occupa delle condizioni evidenti

della possibilità di una teoria in generale; tali condizioni sono sia

soggettive che oggettive: soggettive ( noetiche ), in quanto condizioni ideali

radicate nella soggettività e nel rapporto che questa nutre in relazione alla

conoscenza; oggettive, nel momento in cui non concernono l’unità


soggettiva della conoscenza, bensì l’ unità oggettiva di proposizioni o

verità, l’ unità teoretica.

Una teoria sopprime se – stessa se contravviene nel suo contenuto alle leggi

senza le quali una teoria non avrebbe alcuno senso: contravviene alle

condizioni soggettive se e solo se, nega ogni preminenza al giudizio

evidente rispetto a quello cieco.

Da questo punto di vista, le teorie possono essere assurde, false,

logicamente o poeticamente assurde e scettiche: se lo scetticismo in senso

assoluto è intrinsecamente assurdo, non lo è lo scetticismo metafisico.

Questa breve parentesi sullo scetticismo e il relativismo, serve a mostrare

come lo psicologico in “ tutte le sue varianti, non è altro che relativismo,

soltanto che non sempre lo si riconosce e lo si ammette apertamente “[4].

Tra le forme di relativismo, Husserl annovera anche quelle teorie che

riconducono la logica alle modalità funzionali dell’ intelletto care agli

aprioristi ( non Kant, ma coloro che pur rifacendosi a Kant trascurano le

leggi logiche fondamentali ).

Alla luce dell’imperativo metodologico di non confondere i campi, Husserl

afferma che, in un’ultima analisi, tutte le posizioni relativistiche, scettiche e

psicologiste, si possono ricondurre a profonde equivocazioni all’ interno

della sfera terminologica della logica.

Molti problemi nascano a causa dell’ambigua terminologia adottata che, in

tal modo si può prestare ad una duplice interpretazione: il termine “


giudizio “ ad esempio, nella visione psicologia della logica come

tecnologia, è un’ assunzione di verità, mentre nella logica pura è un’unità

ideale di significato.

L’ insostenibilità dello psicologismo nel campo della logica, non spinge

però Husserl verso posizioni rigide e radicali care a chi, come a Frege,

aveva bollato la “ Philosophie der Arithmetik ”, come un’ opera tout court

psicologista: “ Nella controversia sulla fondazione psicologica oppure

oggettiva della logica, io assumo una posizione intermedia “[5].

Gli stessi antipsicologisti cadono in errore nella misura in cui radicalizzano

la funzione regolativa della conoscenza, in quanto sussiste una profonda

differenza tra lo statuto autonomo delle proposizioni della logica e la loro

applicazione pratica: in principi logici fondamentali – sentenzia Husserl –,

benché possano fungere da norme, non sono essi stessi norme.

Nella scienza, è necessario distinguere un piano metodologico, che

costituisce l’ apparato funzionale per avere conoscenze, dal suo contenuto

teoretico ( idealiter ), indipendente dalla dimensione soggettiva: in questo

modo la logica pura rappresenta quel nucleo fondamentale in cui le leggi

sono puramente ideali, mentre la logica metodologica, non è altro che l’

insieme degli apparati per ottenere conoscenze in un determinato campo di

verità.

 
“ La logica pura è il primo e più essenziale fondamento della logica

metodologica. Ma naturalmente quest’ ultima ha fondamenti del tutto

diversi da quelli che le offre la psicologia. “[6]

Gli esponenti dell’ antipsicologismo hanno attributo alla logica le leggi

normali contrapposte alle leggi naturali di cui si occuperebbe la psicologia,

quando invece l’ opposto della legge naturale è la legge ideale, la cui

estensione è costituita da concetti puramente generali.

Da questo punto di vista, sia aritmetica che la logica pura, non dicono nulla

sulla realtà, essendo scienze delle singolarità ideali di certi concetti

generali.

Lo psicologismo, oltre a confondere il rapporto tra ideale e reale,

misconosce la relazione essenziale che intercorre tra verità ed evidenza.

Al tal proposito, Husserl afferma che l’ evidenza non è altro che l’ accordo

tra il senso dell’ enunciato e lo stato di cose, mentre l’ idea di tale accordo é

la verità.

“ La psicologia vuole chiarire con evidenza come si formano le

rappresentazioni del mondo: la scienza del mondo ( come concetto

comprensivo della diverse scienze reali ) vuole conoscere ciò che è realiter

come mondo vero ed effettivo; la teoria della conoscenza vuole invece


comprendere con evidenza che cosa costituisca la possibilità di una

conoscenza evidente del reale e la possibilità, dal punto di vista oggettivo

ideale, di una scienza e di una conoscenza in generale. “[7]

Una volta dimostrata l’ inefficacia della fondazione psicologica ( nel senso

prima precisato ) per la logica, Husserl si domanda quale sia la

caratteristica peculiare della scienza: non trattandosi del nesso psicologico

– reale, si evince che la scienza sarà tale in base all’unità del nesso

obbiettivo – ideale di fondazione.

Tale nesso è, al tempo stesso, nesso delle cose e nesso delle verità; tra i due

piani sussiste un rapporto di coodipendenza a - priori, con la conseguenza

che possono essere pensati in maniera indipendente solo da un punto di

vista astratto. Se al nesso delle cose spetta l’ essere in sé, al nesso delle

verità la verità in sé.

Questa distinzione ( astratta o metodologica ) tra nesso delle cose e nesso

delle verità interno alla scienza, permette a Husserl di procedere in quel

cammino di chiarificazione metodologica che innerva i Prolegomeni.

Se ogni nesso esplicativo è un nesso deduttivo, non ogni nesso deduttivo è

esplicativo; se tutti i fondamenti sono premesse, non tutte le premesse sono

fondamenti; infine, c’è differenza tra una conclusione che segue da leggi e

da una che segue secondo leggi.


Dopo aver realizzato lo status quaestionis, chiarito le differenze

fondamentali tra la dimensione della logica e quella della psicologia, si

tratta ora di sviluppare quell’ orizzonte puramente fondazionale che è la

logica pura.

La logica pura deve chiarire e accertare scientificamente i concetti

primitivi che costituiscono l’ idea dell’ unità teoretica della scienza in

generale e che sono indipendenti rispetto alla particolarità di qualsiasi

materia della conoscenza, le forme connettive elementari ( ad esempio la

connessione disgiuntiva ), le categorie oggettuali pure ( formali ), le


categorie pure del significato e infine le leggi di complicazione delle

categorie pure secondo una legge.

La logica pura non si esaurisce nel processo di chiarificazione, ma deve

risalire all’ origine fenomenologica dei concetti primitivi stessi, operare

quindi una “ presentificazione intuitiva dell’ essenza in un’ intuizione

adeguata “[8].

Il secondo gruppo di problemi di cui si occupa la logica pura, concernono

la validità obbiettiva delle forme costruttive risultanti dalle categorie di

significato e dalla categorie oggettuali pure: le leggi che ineriscono a tali

forme risultanti hanno una generalità logico – categoriale, essendo dirette

ai significati e agli oggetti.

In questo modo la logica pura diviene la scienza delle condizioni di

possibilità di una teoria in generale, il cui oggetto di studio sono i concetti

fondamentali, le forme connettive elementari e le leggi di complicazione.

La logica pura non opera una spiegazione ( Erklärung ) dei costituenti

atomici della teoria in generale, bensì una loro chiarificazione (

Aufklärung ): ciò significa che, a differenza delle discipline matematiche,

la logica pura non costruisce un insieme di proposizioni che si sviluppano

nella loro validità ingenuamente positiva.

Tra Erklärung e Aufklärung c’è lo scarto che compare tra il normale

procedere degli scienziati che – come Husserl scriverà nella Krisis –, sono

nel migliori dei casi geniali tecnici del metodo, e i filosofi che, rispetto a i
primi, sono dotati di un’ autocoscienza teoretica e hanno di mira i

fondamenti che rimangono latenti al di sotto della mera operatività

funzionale della scienza.

Come si è detto in precedenza, la logica pura si fonda su due istanze: la

prima, concerne la chiarificazione dei concetti atomici e delle leggi di

complicazione, la seconda invece, riguarda la riconduzione fenomenologica

di tali concetti.

È quindi necessario, addentrarci all’ interno della seconda istanza, offrendo

una delucidazione critica ai fini della nostra esposizione.

La fenomenologia, deve analizzare e dischiudere nella loro generalità

essenziale i vissuti rappresentazionali giudicativi e conoscitivi e le fonti

dalle quali scaturiscono i concetti fondamentali e leggi logiche della logica

pura.

Al logico puro, non interessa il giudizio psicologico concreto, ma il

giudizio logico, ossia l’enunciato identico, che è unico in rapporto ai

molteplici vissuti di giudizio.

“ Pertanto questo esser – dato delle idee logiche e delle leggi pure che si

costituiscono insieme ad esse non può bastare. Sorge così il grande compito

di portare le idee logiche, i concetti e leggi, alla chiarezza e distinzione dal


punto di vista gnoseologico. E a questo punto interviene l’analisi

fenomenologica “[9].

Anticipando le ricerche successive, Husserl scrive che i concetti logici

hanno origine nell’ intuizione, sorgendo dall’ astrazione ideante sul

fondamento di certi vissuti, e proprio per questo, “ debbono trovare nuova

verifica ed essere ricompresi nella loro identità con se stessi ogni volta che

questa astrazione è ripetuta “[10].

Si cominciano a delineare le peculiarità di questa fenomenologia interna

alle Ricerche logiche: non è possibile accontentarsi di pure e semplici

parole, bisogna ritornare alle cose stesse, ossia rendere evidente sulla base

di intuizioni pienamente sviluppate che ciò che è stato dato nell’ astrazione

effettuata corrisponde al significato delle parole: “ mantenere i significati

nella loro invariabile identità (… ), mediante un’ intuizione riproducibile

“[11].

La fenomenologia oltre ad assumere una funzione distruttiva nei confronti

dell’ equivocazione linguistica, esige un orientamento innaturale del

pensiero e dell’intuizione, in quanto bisogna rendere oggetti questi stessi

atti e il loro contenuto immanente, ma nel far ciò, ricade nel linguaggio che

cerca di chiarire.

 
“ Non è assolutamente possibile descrivere gli atti intenzionali senza

ricorrere nell’ esposizione alle cose intenzionate “[12].

In questo arduo cammino di chiarificazione gnoseologica, il fenomenologo

incontrerà difficoltà nel suo tentativo di pervenire a risultati evidenti, ma

anche nell’esporli e trasmetterli ad altri.

Solo attraverso la fenomenologia pura, totalmente diversa dalla psicologia

come scienza empirica delle proprietà e degli stati psicologici, è davvero

possibile superare lo psicologismo.

Con le Ricerche logiche Husserl  non intende offrire un sistema di logica,

ma preparare il terreno a una logica filosofica, “ chiarificata a partire dalle

fonti originarie della fenomenologia “[13].

La fenomenologia intensa come conditio sine qua non della logica pura,

non è volta a spiegare, ma a “ chiarificare l’ idea della conoscenza nei suoi

elementi costitutivi e nelle sue leggi “[14].

Husserl subito dopo, afferma che fenomenologia si caratterizza per un’

assenza totale di presupposti metafisici, scientifico – naturalistici e

psicologici.

Dopo aver concluso questa breve ricognizione sui Prolegomeni, è giunto il

momento di passare in rassegna alle ricerche logiche vere e proprie, di cui

la prima dedicata a “Espressione e significato “, è la conditio prima per una

autentica comprensione delle successive, ragione per cui ci soffermeremo


in maniera approfondita sulle problematiche teoretiche esplicitate da

Husserl in questa ricerca.

Husserl esordisce dicendo che se ogni segno ( das Anzeichen ) è sempre

segno di qualcosa, non ogni segno ha un significato, un senso che in esso si

esprime: i segnali non esprimono nulla, a meno che, oltre alla funzione

dell’ indicare, non assolvano anche a una funzione significante.

Posta la non identità tra segni indicativi e segni significativi, Husserl

afferma che quest’ ultimi non perdono il loro valore di significazione nella

vita psichica isolata: la sfera del significato, non può identificarsi con la

mera funzione informativa del segno stesso.

 
“ L’ espressione è piú che un mero complesso fonetico. Esso intende

qualcosa, riferendosi al tempo stesso all’ oggettualità “[15].

All’ interno dell’espressione Husserl distingue a livello metodologico gli

atti che conferiscono il senso ( senso = significato ) o intenzioni

significanti dagli atti che riempiono intuitivamente il significato ( non

essenziali nell’ espressione ).

Ciò che un’ espressione esprime si articola in: a) informazione; b) contenuti

( = significati ); c) riferimento agli oggetti.

 
 

“ Non appena la vuota intenzione significante si riempie, i riferimento all’

oggetto si realizza, la denominazione diventa una relazione attualmente

presente alla coscienza tra nome e oggetto nominato “[16].

La distinzione husserliana tra l’ intenzione significante e l’ intuizione

riempiente, è una distinzione astratta, funzionale alle analisi; lo stesso

Husserl scriverà infatti: “ Per il momento questi cenni possono bastare; il

loro nesso è soltanto quelli di prevenire fini dall’ inizio l’ errore di

considerare ovviamente distinguibili nell’ atto donatore di senso due

aspetti, uno dei quali conferirebbe all’ espressione il significato, l’altro la

determinatezza della direzione verso l’ oggetto “[17].

Husserl parla di significato anche a proposito degli atti di riempimento e

quindi non solo per quanto concerne l’ intenzione significante; nell’ unità

di riempimento il contenuto riempiente coincide con il contenuto

significante, affinché la dimensione oggettuale non si scinda in

intenzionata e data.

L’analisi fenomenologica prende in esame il tessuto degli atti intenzionali;

la sua complessità si rivela non appena ci si rende conto “ che tutti  gli

oggetti ed i riferimenti all’ oggetto sono per noi ciò che sono solo in virtù

degli atti dell’ intenzionare ( … ) “[18].


Non è difficile accorgersi di come Husserl abbia distinto la dimensione

della significazione a cui spetta il novero delle intenzioni significanti da,

quella del riferimento oggettuale: significazione e riempimento, trovano

una loro fusione, solo all’ interno della conoscenza.

La semantica che Husserl sviluppa all’ interno delle Logische

Untersuchungen è una semantica intensionale che, a differenza di quella

fregeana di stampo estensionale, s’ interessa al problema del significato,

non facendo coincidere quest’ ultimo con il riferimento oggettuale.

Nel nome – scrive l’ Autore – bisogna distinguere l’ equivocità che inerisce

al piano del significato, dalla pluriestensionalità o plurivalenza; inoltre, se

l’ essenza dell’ espressione coincide con il significato, la stessa intuizione

può riempire diverse espressioni.

“ Il vincitore di Jena “ e “ il vincitore di Waterloo “ hanno il medesimo

riferimento all’ oggetto, ma due differenti significati ( Frege avrebbe invece

parlato di identico significato, ma di sensi diversi ).

Se la significatività non coincide con l’ intuizione, il linguaggio privo

d’intuizioni non è per questo privo d’idee, con la conseguenza che nel

pensiero aritmetico - simbolico, non si opera con segni privi di significato.

Un’ ulteriore distinzione che compare all’ interno della prima ricerca, è

quella che riguarda l’espressione soggettivo – occasionale, in cui solo le

circostanze determinano, tra un gruppo concettualmente unitario di

significati possibili, quale significato possieda attualmente e le espressioni


obbiettive che, a differenza delle prime, sono indipendenti dalla persona e

dalle circostanze in cui vengono pronunciate.

Questa differenza non va intesa come se le prime fossero immerse nel

flusso dei vissuti psichici, mentre le seconde, fossero avulse dal continuo

susseguirsi delle rappresentazioni soggettive: per essere precisi, è

necessario parlare non di fluttuazione del significato, ma di fluttuazione del

significare.

“ Cioè, fluttuano gli atti soggettivi che conferiscono significato all’

espressioni ( … ). Ma non si mutano i significati stessi ( … ) “[19].

Alla classe delle soggettive - occasionali apparteranno l’ espressioni

relative alla percezione, al dubbio, alla speranza, al desiderio, mentre, tutte

le espressioni teoretiche rientrano nella classe di quelle obbiettive.

La distinzione appena summenzionata, s’intreccia con altrettante

distinzioni interne all’ espressione. Al tal proposito, basti ricordare l’

espressioni incomplete e complete, quelle anomale e quelle normali, quelle

vaghe e quelle esatte.

Alla fine di Espressione e significato, alla luce delle problematiche trattate

in questa ricerca, Husserl afferma che logica pura si occupa dei significati

intesi come unità ideali e dei rapporti a - priori che intercorrerono tra
questi: svolgendo questo compito, la logica pura è una disciplina

nomologica che si rivolge all’ essenza ideale della scienza come tale.

L’ idealità del significato è un’idealità non in senso normativo, ma in un

senso specifico, opponendosi così sia all’ individualità che alla realtà.

Nella seconda ricerca logica intitolata “ L’ unità delle specie e le teorie

moderne dell’ astrazione “, l’ Autore, richiamandosi agli ultimi paragrafi

della ricerca precedente, analizza il rapporto che intercorre tra il significato

inteso come specie ( o specifico ) e l’ espressione significante; nel

procedere dell’ argomentazione, verranno prese in considerazione alcune

delle teorie dell’ astrazione, al fine di evidenziarne limiti e pregi, in un’

ottica funzionale al cammino di questa fenomenologia analitica.

Il significato come specie, emerge sullo sfondo dell’ espressione

significante mediante l’ astrazione; tra il significato e l’ espressione

significante, intercorre lo stesso rapporto che si realizza tra la specie “ rosso

“ e il pezzo di carta rosso.

Nella fondazione fenomenologica della logica pura il problema dell’

astrazione è duplice: da un lato, riguarda nella classe categoriale dei

significati, gli oggetti generali e gli oggettivi individuali, dall’ altro,

concerne i significati in quanto unità specifiche.

Come è facile intuire, Husserl sviluppa l’ analisi dell’ astrazione sul piano

degli atti della coscienza, ponendo una distinzione tra l’ atto individuale e l’

atto specializzante.
Per quanto concerne la teoria degli oggetti generali, sono state elaborate

poliedriche teorie dell’ astrazione, ma tra queste, due in particolar modo, si

presentano come completamente erronee: la prima, operando un’

ipostatizzazione metafisica del generale, assume l’ esistenza reale della

specie al di fuori del pensiero ( realismo platonico ); la seconda invece,

ipostatizza psicologicamente il generale, assumendo l’ esistenza reale

della specie nel pensiero ( psicologia lockeana ).

Tra il realismo platonico e la psicologia lockeana, c’è stato il nominalismo

che ha avuto la pretesa di risolvere il generale nel particolare, con la

conseguenza che la generalità concerne la funzione associativa dei segni

( funzione psicologica ).

La teoria nominalistica dell’ astrazione cade in errore perché: 1) trascura le

forme di coscienza nelle loro proprietà irriducibili; 2) confonde i diversi

piani della generalità; 3) privilegia in maniera unilaterale la generalità

propria dei concetti nella loro funzione predicativa.

Alla fenomenologia interessa esclusivamente il contenuto delle stesso

vissuto di significato e di riempimento e quindi, la generalità non intesa

come funzione psicologica, ma inerente al contenuto intenzionale degli

stessi vissuti logici.

Per spiegare la profonda differenza che intercorre tra la generalità della

funzione psicologica e la generalità in senso fenomenologico, Husserl

ricorre ad una serie di esempi: mentre in “ un A “ il termine “ un “ esprime


una forma logica primitiva, in “ tutti gli A “ la generalità appartiene alla

forma dell’ atto stesso, infine, in “ A in generale “ siamo di fronte ad una

generalità specifica.

La teoria dell’ astrazione di marca fenomenologica ha il compito di fare

emergere l’essenza intuitiva della differenza tra i significati individuali e

generali: l’ astrazione, è quindi l’ atto in cui si realizza la coscienza della

generalità come riempimento dell’intenzione del nome generale.

“ Fuorviati dalla confusione tra oggetto e contenuto psichico, si dimentica

che gli oggetti di cui diventiamo coscienti non sono semplicemente dentro

la coscienza, come in una scatola, in modo tale che noi li possiamo reperire

ed afferrare in essa; ma essi si costituiscono in primo luogo in ciò che essi

sono e per ciò che essi valgono per noi, in diverse forme d’intenzioni

oggettuali “[20].

La terza ricerca s’intitola “ Sulla teoria degli interi e delle parti “. Husserl

dichiara sin dall’ inizio, che non si sta lavorando ad un’esposizione

sistematica della logica, ma alla sua chiarificazione critico – conoscitiva.

In questa ricerca, vengono trattati problemi che hanno come minimo

comune denominatore l’ indipendenza o la non – indipendenza: oggetti


indipendenti – non indipendenti,concreto e astratto, contenuti indipendenti

– non indipendenti.

Husserl afferma che la non – indipendenza è dovuta ad una legalità

essenziale.

“ Gli oggetti non – indipendenti sono di specie pure in rapporto a cui vi è

una legge essenziale secondo la quale essi esistono, quando esisterono,

soltanto come parti un interi più comprensivi di una certa specie

corrispondente “[21].

Al fine di chiarire il concetto di non – indipendenza, ci serviremo di una

rappresentazione grafica.

                                                                                   

                                                                 
 

Gli oggetti t1, t2, t3 sono non – indipendenti nella misura in cui esistono,

secondo una legge essenziale, solo come parti di un intero più comprensivo

T.

È bene notare che per Husserl anche l’ incompatibilità è una forma di non –

indipendenza.

Espressioni come “t1 ha bisogno d’integrazione “ o “ t1 è fondato in un

certo momento “ equivalgono a “t1 non – indipendente “.

La differenza tra oggetti indipendenti e non – indipendenti è una differenza

oggettiva ( basata sull’essenza pura ), quella invece che compare tra

contenuti intuitivamente distinti e fusi non può gettare luce sulla differenza

degli oggetti prima summenzionata.

Alla non – indipendenza del contenuto appartiene sempre una legge a –

priori ( necessità oggettivo – ideale ), questa che determina il modo in cui

l’ oggetto non – indipendente è parte ( o momento ) di un intero

comprensivo, varia a seconda dei casi; ciò significa che le leggi che

definiscono una qualsiasi classi di oggetti si fondano sulla particolarità

essenziale dei contenuti.

Il concetto di non – indipendenza è equivalente a quello di legalità ideale

dei contesti puri: “ Se una parte si trova in un contesto idealmente regolato

da una legge – un contesto non è quindi meramente fattuale – essa è allora

non indipendente. “[22].


Dopo aver definito la non – indipendenza come una legalità ideale che

regola i momenti ( contenuti ) di un contesto ( intero ) relazionale in base

alla particolarità essenziale dei contenuti stessi, Husserl distingue le

discipline sintetiche a – priori che appartengono alla sfera materiale, dalle

discipline analitiche a – priori che invece ineriscono alla sfera formale.

Le proposizioni analiticamente necessarie ( formalizzabili completamente )

hanno una verità pienamente indipendente dalla natura intrinseca della loro

oggettualità.

Alle discipline sintetiche a – priori spettano leggi che includono concetti

materiali in modo tale da non consentire la loro formalizzazione salva

veritate.

Se le leggi della non – indipendenza si basano ( = dipendono = non sono

indipendenti dalla natura intrinseca della loro oggettualità )  sulla

particolarità essenziale dei contenuti, saranno incluse nella sfera dell’ a –

priori sintetico e non dell’ a – priori analitico.

La non – indipendenza e l’ indipendenza possono essere assunti o in

maniera assoluta o in maniera relativa; inoltre, per quanto concerne le parti

di un intero, se c’è un rapporto di fondazione ( = nesso ), può essere

duplice: o bilaterale o unilaterale.

La fondazione può essere, oltre che bilaterale e unilaterale, immediata o

mediata: in “ G”, “  “ è parte immediata di “ G “; in “ 

G”, “  “ è parte mediata di “ G “.


Accanto a queste diverse tipologie di fondazione, ne compare una ulteriore

che riguarda la parte: Husserl infatti, distingue la parte in quanto frazione

( in senso stretto ) e la parte in quanto momento ( astratta dell’ intero ).

“ Chiamiamo frazione ogni parte indipendente relativamente ad un intero

G, momento di questo stesso intero G ogni parte non – indipendente

relativamente ad esso “[23].

L’ intero non è un mero sistema di contenuteti qualsiasi ( un mero essere

insieme ), ma un sistema di contenuti che vengono abbracciati da una

fondazione unitaria.

Vi sono possono essere due tipologie di interi: la prima tipologia si basa su

una fondazione per compenetrazione, la seconda tipologia invece, gode di

una fondazione per concatenazione ( legge ).


Nella quarta ricerca intitolata “ La differenza tra significati indipendenti e

non – indipendenti e l’idea di una grammatica pura “, Husserl analizza la

differenza tra espressioni categorematiche e i sincategorematiche,

concluse e in - concluse.

Si tratta di applicare la distinzione tra indipendenza e non – indipendenza al

campo del significato, ottenendo in questo modo il fondamento necessario

per accertare le categorie essenziali del significato nelle quali sono radicate

una molteplicità di leggi a – priori del significato, che fanno astrazione

dalla validità obiettiva dei significati.

Le leggi a – priori del significato, che separano il senso dal non – senso,

danno alla logica pura le forme possibili di significato; tali leggi, inerenti

alla comprensione dei significati offrono solide basi alla grammatica a –

priori, premessa fondamentale alla morfologia pura dei significati.

Husserl distingue la morfologia pura dei significati ( complessione del

significato ) dalla teoria pura delle validità ( logica in senso stretto ).

È bene sottolineare come non si possa spiegare il carattere composto dei

significati come un puro riflesso del carattere composto degli oggetti.

Mantenendo ferma l’ idea che il significato proprio sia semplice, Husserl

sostiene:

 
“ Il nome proprio E denomina l’ oggetto, per così dire, in un solo raggio

che è in sé uniforme e quindi non può differenziarsi in rapporto al

medesimo oggetto intenzionale “[24].

La distinzione tra espressioni categorematiche e sincategorematiche è

valida, ma non nella forma di Bolzano.

L’ interpretazione puramente estrinseca ( Bolzano ) relativa alla distinzione

tra sincategoremi e categoremi, pone sullo stesso piano dei sincategoremi,

le sillabe, i suoni e le lettere alfabetiche.

L’ integrazione necessaria a un sincategorema all’ interno del contesto

espressivo, ad esempio “ ma “, è diversa dall’ integrazione di un frammento

espressivo come “ bi “ che, per esprimere un pensiero, deve prima

diventare espressione tout court.

“ Con la formazione di strutture linguistiche complesse si costruisce, di

grado in grado, il significato complessivo, nella formazione progressiva

della parola, e soltanto dalla parola compiuta prende l’ avvio un pensiero

“[25].

L’espressione sincategorematica in quanto necessita d’integrazione è

incompleta: un’incompletezza da non confondere con un altro tipo di

incompletezza, quello relativo all’espressioni lacunose.


La distinzione nel campo dei significati è una distinzione originaria e

fondamentale, le articolazioni sintattiche possono essere fissate partendo

solo dal piano semantico.

Il significato indipendente è tale se costituisce il pieno ed intero significato

di un concreto atto significante; inoltre, la non – indipendenza si gioca sia

sul piano del significato intenzionato che riempito.

Husserl, si domanda come sia possibile comprendere un sincategorema

isolato? Egli risponde dicendo:

“ La non – indipendenza del significato riempiente che, nell’ effettuazione

di ogni riempimento, funge necessariamente come componente di un

significato riempiente di più ampia portata fa sì che si parli, per

trasposizione, di non indipendenza del significato intenzionate. [26]“

Come per gli oggetti non – indipendenti, ad ogni significato non –

indipendente “ appartiene una certa legge essenziale che regola l’

integrazione mediante nuovi significati di cui ha bisogno, indicando così le

specie e le forme dei contesti in cui deve essere inserito “[27].

In precedenza, si era detto che le leggi a – priori del significato, separano il

senso dal non – senso; Husserl, ora distingue il non – senso di cui si

occupano tali leggi, dal controsenso.


Nell’ espressione “ un quadrato rotondo “ siamo dinanzi ad un controsenso,

in quanto pur avendo un significato, non c’è nessun oggetto evidente che

gli corrisponda; nel caso di un “ quadrato o “, non si tratta di un

controsenso, ma di un non – senso, poiché l’evidenza apodittica svela la

mancanza di un significato unitario.

Husserl distingue un controsenso materiale ( sintetico ) come nel caso del “

quadrato rotondo”, da un controsenso formale, in cui vi è

un’incompatibilità obbiettiva ( formale ), fondata sull’essenza pura delle

categorie pure del significato.

La morfologia pura dei significati si occupa: a) della distinzione

fondamentale tra significati indipendenti e non – indipendenti, dove la non

– indipendenza è una certa “ legalità essenzialità che regola l’ integrazione

mediante nuovi significati di cui ha bisogno, indicando così le specie e le

forme dei contesti puri in cui dev’essere inserito “[28] ( nel connettere

significati, noi non siamo  liberi; l’ impossibilità di connettere

arbitrariamente i significati, non inserisce alla singolarità specifica di

questi, ma alle categorie del significato ); b) delle leggi inerenti alla

trasformazione del significato che riguardano i mutamenti del significare;

queste leggi a – priori fanno sì che i significati si trasformino in nuovi

significati mantenendo il loro nucleo essenziale ( Husserl fa l’ esempio

della nominalizzazione dell’aggettivo e della suppositio materialis.

Trasformazione intesa come passaggio dal significato originario a quello


nominalizzato, che mantiene un abstractum comune, un nucleo che ha

forme nucleari diverse. ).

La logica pura fissa in questo modo le forme primitive dei significati

indipendenti, delle proposizioni complete, con le loro articolazioni

immanenti e le strutture di queste articolazioni; questa fissazione, non

riguarda solo le forme primitive ma anche le leggi a priori della

complicazione e della modificazione di ogni forma primitiva: viene

costituito così il campo a – priori del significato in rapporto a tutte quelle

forme che hanno la loro origine a – priori nelle forme elementari.

Le leggi della morfologia pura dei significati, funzionali alla preclusione

del non – senso, sono diverse da quelle leggi riguardanti la possibilità

oggettuale ( che sanciscono se via un oggetto o no ), la verità e il senso

formalmente coerente dal senso formalmente incoerente ( controsenso

formale ).

All’ interno delle leggi analitiche, Husserl distingue quelle leggi della

validità obbiettiva fondate sulle categorie pure del significato ( PDNC ), da

quelle ontologiche, fondate invece sull’ analiticità apofantica.

Le ricerche condotte fin qui – scrive l’ Autore – riconoscono l’ indubbia

legittimità dell’ idea di una grammatica universale, prospettata dal

razionalismo del XVII e del XVIII secolo.

La morfologia pura, intesa come sfera fondamentale e in se stessa prima,

opera con “ entità assolutamente a – priori “[29] e mette a nudo “


un’impalcatura  ideale “[30] che ogni lingua fattuale riempie e riveste in

modi diversi, anche se, la stessa grammatica pura non abbraccia tutte le

lingue particolari.

Poiché la morfologia pura dei significati non tratta dei problemi relativi alla

verità, all’oggettualità e alla possibilità obbiettiva, può essere definita una “

grammatica puramente logica “[31].

La quinta ricerca intitolata “ Sui vissuti intenzionali e i loro contenuti “ è l’

orizzonte operativo in cui Husserl, comincia ad analizzare il problema della

coscienza e dei vissuti intenzionali, in relazione alle problematiche trattate

in precedenza.

L’ analisi fenomenologica distingue il carattere d’ atto ( l’ atto è un vissuto

intenzionale ) dal contenuto dell’ atto.

Per quanto riguarda la coscienza, l’Autore individua tre diverse concezioni:

a) la prima intende la coscienza come una compagine fenomenologica

reale dell’ io; b) la seconda, come un interno rendersi conto dei propri

vissuti psichici; c) l’ ultima infine, come un insieme di vissuti intenzionali.

Il concetto fenomenologico di vissuto è diverso da quello comune; inoltre,

la coscienza che ha espressioni vissute ( nell’accezione fenomenologica ),

ha in sé solo gli atti correlativi del percepire, del giudicare, con il loro

variabile materiale sensoriale.

 
“ L’ io fenomenologicamente ridotto non è nulla di peculiare che si trovi

sospeso al di sopra dei molteplici vissuti, ma s’identifica semplicemente

con la loro propria unità di connessione “[32].

Nelle Ricerche logiche Husserl – diversamente che nelle Ideen ritiene

incomprensibile ammettere un autonomo principio egologico “ portatore di

tutti i contenuti “[33], poiché l’ io fenomenologico non è altro che l’ unità di

coscienza, l’ unità di connessione dei molteplici vissuti: con il termine atto

non s’indica nessuna attività delle coscienza.

“ Debbo dunque confessare che non riesco affatto a scoprire questo io

primitivo come un necessario punto di riferimento “[34].

Al fine di giungere fenomenologicamente alla coscienza ( “ complessione

di vissuti “[35] ), bisogna attuare un processo di neutralizzazione ( die

Ausschaltung ) di qualsiasi riferimento all’ esserci empirico – reale.

Per quanto concerne l’ intenzione si deve distinguere tra un concetto più

ristretto ed uno più ampio d’ intenzione ( gli atti riempimenti o adempienti

non sono atti in senso stretto ).

Il vissuto intenzionale ( che non è mai una sensazione ) inteso come atto, è

“ l’ intendere – il – mondo mentre, il mondo è l’ oggetto inteso “[36]

( distinzione questa, anteriore a ogni metafisica ).


 

“ In rapporto a questa distinzione è indifferente – vogliamo sottolinearlo

ancora una volta – in che modo si ponga il problema di sapere che cosa

costituisca l’ essere oggettivo, il vero ed effettivo essere – in s- sé o di un

altro oggetto qualsiasi “[37].

Tutte le differenze logiche ed in particolar modo tutte le differenze di

forma categoriale, si costituiscono negli atti logici ( = intenzioni ).

Husserl distingue il contenuto reale dell’ atto dal suo contenuto

fenomenologico: il contenuto reale è il sistema dei vissuti parziali di cui

esso è realmente costituito ( l’ analisi di questa dimensione spetta alla

psicologia descrittiva ); il contenuto intenzionale invece, si articola in : a)

oggetto intenzionale dell’ atto; b) materia intenzionale; c) essenza

intenzionale.

Il contenuto come materia è una componente del vissuto – atto che quest’

ultimo può avere in comune con atti di qualità completamente diversa;

Husserl afferma che la materia non si limita a far sì che l’ atto apprende l’

oggettualità, ma determina in che modo esso l’ apprende.

Ciò che distingue un giudizio da un alto giudizio è la materia, “ ciò che

conferisce all’atto il suo riferimento determinato all’ oggetto “[38].


Husserl definisce la rappresentazione qualsiasi atto in cui qualcosa si

oggettualizza per noi in senso lato; inoltre, ogni atto è esso stesso una

rappresentazione, oppure è fondato in una o più rappresentazione. 

L’ultima ricerca logica s’intitola “ Elementi di una chiarificazione

fenomenologica della coscienza “, in questa ricerca Husserl sviluppa in

maniera sistematica tutto quel novero di risultati a cui era giunto attraverso

le analisi precedenti.

Tutto il pensiero e in particolare la conoscenza teoretica si “ effettua in certi

atti che intervengono all’ interno del discorso espressivo “[39]; gli atti vanno

inteso come la fonte di tutte le unità di validità, delle idee generali e pure.

Il significato dell’espressione è insito nell’ essenza intenzionale dell’ atto

corrispondente.

Nel momento in cui ci chiediamo se vi siano atti specifici assegnati alla

significazione, ci imbattiamo nella distinzione tra intenzione significante e

intuizione riempiente.

Nel discutere del rapporto tra significazione e intuizione, Husserl dichiara

la necessità di estendere il concetto di intuizione, tanto da distinguere un

‘intuizione semplice ( sensibilità ), da un’ intuizione categoriale ( fondata ).

Tutte le specie di atti possono fungere come veicoli di significato? Se tutti

gli atti sono esprimibili, questo non ci porta a concludere che possano

fungere da veicoli di significato ( la loro esprimibilità è irrilevante ).


Gli atti significanti possono presentarsi anche al di fuori dell’espressione?

A questa domanda, Husserl risponde che gli atti significanti si presentano

al di fuori dell’espressione, nel caso delle conoscenze senza le parole.

L’ Autore distingue all’ intero dell’ espressione tre elementi: a) percezione;

b) atto; c) complesso fonetico.

L’ atto tra la percezione e il complesso fonetico è essenziale: “ Deve essere

questo atto di mediazione che opera propriamente come donatore di senso,

esso appartiene all’espressione sensata come la sua componente essenziale,

facendo sì che il senso resti identico, sia che si associ ad una percezione

che lo confermi o no “[40].

La non – essenzialità della percezione nella fissazione del significato, va

valutata con più attenzione; infatti, se la percezione non contiene il

significato, lo determina.

A tal proposito, Husserl prende in considerazione gli asserti “ il merlo “ e “

questo merlo “, mostrando come nel secondo asserto il pronome

dimostrativo ponga in evidenza il ruolo della percezione.

“ La percezione realizza dunque la possibilità per il dispiegamento dell’

intendere – questo con il suo riferimento determinato all’ oggetto, ad

esempio, a questo foglio di carta di fronte ai miei occhi; ma essa stessa non

costituisce, a nostro avviso, il significato e neppure una sua parte “[41].

 
 

Il conoscere viene a delinearsi come l’ atto che media tra il complesso

fonetico animato da un senso e l’ intuizione della cosa; attraverso il

carattere d’ atto del conoscere, la parola deve il proprio riferimento di senso

all’ oggettualità dell’ intuizione.

Parlando del riempimento Husserl distingue un riempimento statico da uno

dinamico: nel riempimento statico, i membri del rapporto si trovano in una

coincidenza temporale ed intrinseca, nel riempimento dinamico invece, i

membri del rapporto sono temporalmente separati.

L’ unità della conoscenza si articola in: a) espressione verbale; b) atto del

significare; c) atto dell’ intuire; d) unità del riempimento.

L’ opposto esclusivo del riempimento è l’ elusione.

L’ elusione o non – riempimento non indica un mera privazione di

riempimento, ma un fatto descrittivo nuovo, una forma peculiare di sintesi:

una sorta di sintesi di diversificazione, in cui l’intenzione non concorda con

l’ elusione.

Oltre al riempimento e all’elusione, sussiste l’ inclusione: in questo caso, l’

intenzione si riempie in un atto che contiene più di quanto sia necessario al

suo riempimento.

L’ unità dell’ identificazione e quindi qualsiasi unità conoscitiva in senso

stretto, ha il suo luogo d’origine negli atti oggettivanti; questi, possono


trovarsi in una possibile funzione conoscitiva, sia come atti intenzionanti,

che come atti di riempimento o di elusione.

“ In generale possiamo affermare che tutte le differenze fenomenologiche

degli atti oggettivanti possono essere ricondotte alle intenzioni elementari

ed ai riempimenti di cui essi sono costituiti, entrambi unificati dalla sintesi

del riempimento “[42].

Husserl, dopo aver detto che in ogni riempimento si realizza una più o

meno traduzione intuitiva [ la traduzione intuitiva si realizza nel momento

in cui c’è coincidenza tra l’ oggetto nell’ intenzione e nel riempimento ],

scrive:

“ Ciò che l’ intenzione appunto intende, ma che porta a rappresentazione in

modo più o meno indiretto o inadeguato, viene presentato di fronte a noi –

o almeno in modo relativamente più diretto – dal riempimento, offre all’

intenzione la sua pienezza “.[43]

Se le intenzioni signitive sono vuote o bisognose di pienezza, attraverso l’

intuizione l’oggetto a cui l’ intenzione signitiva rinvia, viene reso presente

in senso pregnante.
L’intenzione significante possono essere o possibili o impossibili; questa

distinzione vale per tutti gli atti nella loro essenza conoscitiva.

L’ atto riempiente ha un vantaggio che manca alla mera intenzione,

conducendo l’ intenzione almeno più direttamente in prossima della cosa

stessa.

                            

                             

Quale rapporto intercorre tra il riempimento e la traduzione intuitiva? Se la

traduzione intuitiva non esaurisce il riempimento, bisogna precisare che

questa può essere propria o impropria.


Non ad ogni intenzione signitiva possono appartenere degli atti intuitivi

nella modalità della traduzione oggettivamente completa.

Tra il piano del signitivo e quello dell’ intuitivo, esiste un gap: “ Ma il

campo del significato è molto ampio di quello dell’ intuizione, cioè del

campo complessivo dei riempimenti possibili. Infatti nella sfera dei

significati si aggiunge quella molteplicità illimitata di significati complessi,

che sono privi di << realtà >> o di << possibilità >>, si tratta di formazioni

di significati che confluiscono bensì in significati unitari, ma a questi non

può tuttavia corrispondere alcun correlato possibile ed unitario di

riempimento. “[44]

Husserl, a proposito del rapporto tra intuitivo e signitivo, ammette due casi

limiti: il primo, in cui il valore dell’ intuizione è 0 e quello signitivo 1; il

secondo, invece, che presenta l’ intuizione con valore 1 e il signitivo con

valore 0.

i+s=1

- a)  [ ( i = 0 ) . ( s = 1 ) ]

- b)  [ ( i = 1 ) . ( s = 0 ) ]

 
Nel caso b non c’è nessun contenuto signitivo, in quanto tutto è pienezza.

Proprio in queste pagine Husserl espone un assioma riguardante il rapporto

tra l’ intenzione e il riempimento: Ogni intenzione mediata richiede un

riempimento mediato, che ovviamente termina dopo un numero finito di

passi in un’intuizione immediata.

“ Non ogni volta che il riempimento dì un’ intenzione signitiva si compie

sulla base di un’ intuizione, le materie dei due atti si trovano, come prima si

era presupposto, in un rapporto di coincidenza, in modo tale che l’ oggetto

che si manifesta intuitivamente sussiste in se stesso in quanto oggetto

inteso nel significato. Ma solo quando ciò accade, si può parlare veramente

di traduzione intuitiva, solo allora il pensiero è realizzato nel modo della

percezione oppure illustrato nel modo dell’ immaginazione “[45].

In precedenza, a proposito degli atti intuitivi, Husserl aveva distinto la

percezione dall’ immaginazione, si tratta ora di spiegare questa differenza.

Se la percezione è intesa come una “ presentazione “, l’ immaginazione è

assunta come una riproduzione analogizzante.

Nel caso dell’ atto, bisogna distinguere lo statuto puramente intuitivo dallo

statuto signitivo: se il primo è il sistema delle determinazioni dell’ oggetto


che cadono nella manifestazione, il secondo è il sistema di tutte quelle

determinazioni che non cadono nella manifestazione.

Per quanto riguarda la pienezza del contenuto intuitivo, si può distinguere:

a) l’ estensione o ricchezza della pienezza; b) vivacità della pienezza; c)

portata di realtà della pienezza.

Dopo aver trattato del rapporto tra intenzione e intuizione, si giunge ad uno

dei capitoli ( Sensibilità e intelletto ) più importanti della sesta ricerca

logica.

Husserl si domanda se per parole come “ il “, “ ma “, “ con “, “ alcuni “, “

due “ e “ è “, sia possibile il riempimento.

Essendo chiaro il riempimento dei significati nominali, bisogna chiedersi in

che modo venga a riempirsi l’ intero enunciato.

Al fine di rispondere a questa domanda, è necessario non ridurre

( assolutizzare ) il rapporto tra significare e intuire sul modello significato

proprio – percezione; asserzioni come “[46] l’ intenzione significante trova

perciò nella mera percezione l’ atto in cui si riempie in modo

completamente adeguato ( … ) “ possono essere soggette a fraintendimenti.

“ Così, ad esempio, quando parliamo del colore come genere o della specie

rosso, il manifestarsi di una cosa rossa singola può eventualmente offrire l’

intuizione di conferma. “[47]

 
Posto che l’espressione non è un rispecchiamento in immagine della

percezione, la situazione si fa critica, se si pensa che anche nella sfera delle

generalità si parla di conoscenza, facendo riferimento agli atti intellettuali

intuitivamente fondati.

In che misura si può parlare di riempimento riguardo alle forme integrative

di significato?

Husserl compie una distinzione interna all’ enunciato, che estende al piano

stesso degli atti oggettivanti, tra gli elementi sostanziali, che trovano

riempimento nell’ intuizione, e le forme integrative le quali, benché

abbiamo bisogno di un riempimento, non lo trovano nella percezione o in

atti similari.

“ Io posso vedere il colore, non l’ esser – colorato. Posso avere la

sensazione levigatezza, ma non dell’esser – levigato. Posso udire il suono

ma non l’esser – sonoro. Nell’ oggetto l’ essere non è nulla, non è una sua

parte, non è un momento insito in esso: non è una qualità o un carattere d’

intensità, e neppure una figura, una forma interna in generale, una proprietà

costitutiva comunque intesa. Ma l’ essere non è nemmeno qualcosa che si

aggiunga all’ oggetto, come non è una proprietà reale esterna: per questo,

in senso reale, non è in generale una proprietà. “[48]

 
 

L’ origine del concetto di essere e delle altre categorie, non è insita nella

percezione ( né interna né esterna ).

“ Un e il, e ed o, se e allora, tutti e nessuno, qualcosa e nulla, le forme

della quantità e le determinazioni numeriche ecc. – tutti questi sono

elementi proposizionali significanti, ma cercheremo invano i loro correlati

oggettuali ( se in generale possiamo attribuire ad essi dei correlati

oggettuali ) nella sfera degli oggetti reali, espressione che non vuol dire

altro se non: oggetti di una percezione possibile. “[49]

Deve esserci quindi un atto che svolga rispetto agli elementi significanti, la

stessa funzione assolta dalla percezione sensibile nei riguardi degli

elementi sostanziali.

Quando diciamo che i significati categorialmente formati trovano un

riempimento, vuol dire che tali significati sono riferiti all’ oggetto stesso

nella sua messa in forma categoriale.

Husserl distingue gli oggetti sensibili o reali, oggetti del grado inferiore di

un’ intuizione possibile, dagli oggetti categorial – ideale, di grado invece

superiore.
I primi si presentano nella percezione in un atto di un solo grado, non

sottostando alla necessità di una costituzione a più raggi.

La complessione di atti della semplicemente percezione fa sorgere atti

( fondati ) che costituiscono nuove oggettività ( negli atti fondati risiede la

categoralità dell’ intuire ).

Al di là delle varie proprietà costitutive della cosa, l’ unità della percezione

si realizza come “ unità semplice, fusione immediata delle intenzioni

parziali e senza l’ intervento di nuovi atti intenzionali “[50].

Interrogandosi sul rapporto tra gli oggetti del grado inferiori e quelli di

grado superiore, l’ Autore si domanda in che modo le percezioni singole

costituiscano o fondino la percezione continua, essendo possibile osservare

una cosa in un decorso percettivo continuo.

Nel caso di P = {p1, p2, p3…pn}, dove P è la percezione continua e p1, p2,

p3…pn sono le singole percezioni, il rapporto di fondazione di p1, p2, p3…

pn in P, è una situazione fenomenologicamente diversa, rispetto a quella

che concerne gli atti ( fondati ) che costituiscono le nuove oggettività

( oggetti d’ ordine superiore ).

P è fondata nel senso in cui un intero è fondato dalle sue parti ( l’ oggetto

intenzionato è sempre lo stesso ), ma non nel senso in cui l’ atto fondato

deve produrre un nuovo carattere d’ atto.

L’ oggetto intenzionato nella percezione continua è esclusivamente l’

oggetto sensibile, non la sua identità con se – stesso; inoltre, vi è una


profonda differenza tra l’ unità d’identificazione, che riguarda la stessità

dell’ oggetto intenzionato nella percezione continua e l’ unità di un atto d’

identificazione, che concerne invece gli atti del secondo gruppo, essendo

una “ nuova coscienza d’ oggettività, che porta a manifestazione un nuovo

oggetto ( … ) “[51] ( in questo caso la sensibilità fondante dà la sostanza agli

atti di forma categoriale ).

La funzione intellettivo – categoriale di una forma nuova fa rimanere

immutato lo statuto sensibile dell’ oggetto; Husserl infatti scrive che le

forme categoriali lasciano intatti i loro oggetti primari, realizzando così una

ristrutturazione oggettiva di ciò che è primariamente intuito.

Gli atti categoriali, distinti dagli atti sensibili intesi come atti dell’

intuizione semplice, si distinguono in puramente categoriali  ( atti dell’

intelletto puro ), e misti ( affetti dalla sensibilità ).

L’aritmetica pura, la logica pura e la teoria pura delle varietà sono costituiti

da concetti puramente categoriali.

Nel momento in cui gli atti categoriali fungono da oggetti fondanti, il

riempimento si effettua in una catena di atti attraverso cui regrediamo ai

livelli inferiori della successione delle fondazioni.

Dalla percezione sensibile alla percezione categoriale, si passa dall’ oggetto

colto in maniera semplice, all’oggetto colto come membro relazionale: in

questo modo, non è difficile capire come l’ astrazione sia un processo

relazionale ( vedi p. 459 ).


L’ astrazione è un’apprensione che costituisce la generalità, dividendosi in:

astrazione sensibile ( colore, cosa, virtù ) e, astrazione categoriale ( unità,

pluralità, identità ).

“ L’ intenzione diretta al generale non decide ora sull’ essere ed il non –

essere, bensì sulla possibilità e impossibilità del generale e della sua datiti

nel modo dell’ astrazione adeguata. “[52]

Poiché riguardo agli atti fondati vi può essere una complicazione

potenzialmente in infinitum, alla morfologia pura dei significati, una

morfologia pura delle intuizioni “ in cui si dovrebbe dimostrare, attraverso

una generalizzazione intuitiva, la possibilità dei tipi primitivi delle

intuizioni semplici e complesse e definire le leggi della loro successiva

complicazioni in intuizioni sempre nuove e più complicate “[53].

 
[1]
E. Husserl, Ricerche logiche, V. 1, Net, Milano, 2005, p. 9.
[2]
Ivi, p. 29.
[3]
Ivi, p. 26.
[4]
Ivi, p. 138.
[5]
Ivi, p. 174.
[6]
Ivi, p. 172.
[7]
Ivi, p. 213.
[8]
Ivi, p. 248.
[9]
Ivi, p. 271 ( corsivo nostro )
[10]
Ivi, p. 271.
[11]
Ivi, p. 272 ( corsivo nostro ).
[12]
Ivi, p. 276 ( corsivo nostro ).
[13]
Ivi, p. 278.
[14]
Ivi, p. 286.
[15]
Ivi, p. 304 ( corsivo nostro ).
[16]
Ivi, p. 304.
[17]
Ivi, p. 316 ( corsivo nostro ).
[18]
Ivi, p. 308 ( corsivo nostro ).
[19]
Ivi, p. 319.
[20]
  Ibidem, 435.
[21]
  E. Husserl, Ricerche logiche, V. 2, Net, Milano, 2005, p .31.
[22]
Ivi, p. 41.
[23]
Ivi, p. 57 ( corsivo nostro ).
[24]
Ivi, p. 93.
[25]
Ibidem, p 98.
[26]
Ivi, p. 105.
[27]
Ibidem, p 107.
[28]
Ivi, p. 107.
[29]
Ivi, p. 127.
[30]
Ivi, p. 127.
[31]
Ivi, p. 128.
[32]
Ivi, p. 145.
[33]
Ivi, p. 145.
[34]
Ivi, p. 151.
[35]
Ivi, p. 175.
[36]
Ivi, p. 175.
[37]
  Ivi, p. 175.
[38]
Ivi, p. 215.
[39]
Ivi, p. 299.
[40]
Ivi, p. 317.
[41]
Ivi, p. 319.
[42]
Ibidem, p 361.
[43]
Ivi, p. 361.
[44]
Ivi, p. 492.
[45]
Ivi, p. 374.
[46]
Ivi, p. 433.
[47]
Ibidem, 435.
[48]
Ibidem, 441.
[49]
Ivi, p. 441.
[50]
Ivi, p. 450 – 451.
[51]
Ivi, p. 452 – 453.
[52]
Ivi, p. 465.
[53]
Ivi, p. 484.
L’EROISMO DELLA RAGIONE

La teoresi: alba dell’ Occidente?

a cura di Jonathan Fanesi

Con questo breve articolo mi propongo d’ illuminare, seppur con fioca luce,

l’ ethos della fenomenologia husserliana, il cui tratto distintivo consiste

nell’ essere una ricerca autenticamente teoretica che proprio in virtù del

suo statuto, coinvolge l’ uomo nella totalità del suo essente. In queste

poche pagine, mi sono soffermato su una costellazione di problematiche

che hanno guidato sin dai primi passi il cammino dei miei studi. Da qui, l’

interesse per il problema della scienza in Husserl e il legame che questa

detiene con la filosofia e con l’etica. Nel procedere dell’ analisi, mi sono

sempre più convinto che la fenomenologia husserliana, rappresenti una

sfida per tutti coloro che rifiutano la filosofia come mero “ calcolo logico “,

ma che al medesimo tempo sono lungi dall’ assumere un atteggiamento di

disprezzo e di non – curanza verso i portati pratici e teorici di una scienza

che ha profondamente segnato l’ epoca moderna e contemporanea. In


questo articolo, in parallelo all’ analisi condotta sulla relazione tra scienza

e filosofia, ho focalizzato la mia attenzione sul problema della storicità

vitale della fenomenologia e sulla sua  funzione di critica responsabile.

Auspico che queste poche pagine possano offrire un’ immagine non

convenzionale della ricerca husserliana, troppe volte bollata come un

filosofare astratto, decontestualizzato irresponsabilmente da quel mondo

in cui si decidono le questioni vitali. Non so se sia riuscito nel mio intento.

Questo lo deciderà il lettore. È stato detto che la chiarezza espressiva è

fondamentale quando si scrive in filosofia, in quanto segno distintivo

dell’onestà intellettuale dell’ autore. Personalmente sono convinto che non

debba essere condotta più in là l’ apologia della chiarezza e dello stile,

poiché si rischia di cadere in una sterile retorica, atta a mascherare i limiti

ermeneutici e culturali di chi legge. Forse in queste parole si nasconde una

velata forma di auto – giustificazionismo. Forse. Ciò che mi preme dire è

che ho cercato di argomentare in maniera consequenziale, facendo il

minor uso possibile delle citazioni all’ opera husserliana, solo là dove era

necessario: troppe volte si leggono libri o articoli, in cui il pensiero dell’

autore si riduce all’ insieme dei connettivi logici che utilizza al fine di porre

in relazione una miriade infinita di passi. Il continuo e reiterato citare  è

indice di “ scrocconeria intellettuale , sindrome che colpisce molti,


accademici e aspiranti canuti del pensiero. Ritengo che il più grande onore

che si possa fare ai classici, consista nell’ abbandonare ogni

atteggiamento di cieca riverenza, di ottusa e a – critica celebrazione.

Husserl ha rappresentato nel mio caso, una stimolante e feconda

occasione per riflettere su problemi che godono di vita propria, conscio del

fatto che la filosofia sia un “ pensare attraverso “.

Concludo qui, concludo iniziando.

Dobbiamo accettare il tramonto dell’ Occidente come se si trattasse di una

fatalità, di un destino che ci sovrasta? (E. Husserl, L’ idea d’Europa)

La fenomenologia husserliana intesa come “Wissenschaft der < <radices

>>“[1] è una ricerca teoretico – metodologica volta a tematizzare ciò che


anonimamente opera nella latenza di ogni scienza; in quest’accezione,

essa incarna quel Fundamentalarbeit che non di rado cade nell’ oblio a

causa di quella tendenza interna al pensiero scientifico moderno che

potrebbe essere etichettata come sindrome di Galileo: lo scienziato non

solo scopre ma insieme occulta, scopre nuove e potenti modalità

attraverso le quali spiegare il funzionamento del mondo, occulta le

implicazioni di senso che le sue operazioni dischiudono nell’ orizzonte

gnoseologico.

In Galileo – secondo Husserl –, il metodo matematico è ipostatizzato, con

la conseguenza che si scambia l’ abito ideal – simbolico del metodo con la

realtà in sé[2], ritenendo che tutto sia non solo esprimibile in termini

quantitativi ma che ciò che si sottrae alla misurazione numerica, non

esista.

La confusione tra metodo e ontologia[3] del mondo necessita di una pratica

di smascheramento che nel linguaggio husserliano è definita “ riduzione “:

per riduzione Husserl intende il superamento di ogni tesi astratta e

unilaterale che nasconde le relazioni essenziali e costitutive tra le cose e il

soggetto.

La presenza di molteplici “ riduzioni “ nel metodo fenomenologico, ben si

evince nella Krisis, dove Husserl – alla ricerca di una nuova scientificità –,
prima mostra come il mondo obiettivo e vero creato dall’ applicazione

della matematica alla scienza della natura sia solo una sustruzione logico –

teoretica, per poi, una volta giunto sul piano del mondo – della – vita,

inteso come regno delle evidenze originarie, distinguere due possibili

atteggiamenti: il primo, consistente nel vivere dentro (Hineinleben) l’

orizzonte del mondo, il secondo invece, come realizzazione di una vita

desta nell’ aver coscienza del mondo (Dahinleben), che “ dirompe la

normalità di questo vivere verso “[4] e si costituisce in un rapportarsi

riflessivo al come del modo soggettivo di datità del mondo – della – vita.

Questa distinzione, tra un’ epoché diretta alla sustruzione logico –

simbolica spacciata per la vera realtà (o realtà in sé) e un’ epoché

applicata all’ atteggiamento naturale sul piano del mondo – della – vita, ci

consente di comprendere la centralità teorica che riveste la filosofia di

Cartesio nella riflessione husserliana e, inoltre, ci illumina nel medesimo

tempo sul problema della filosofia come scienza rigorosa e sulla relazione

che questa detiene con le altre scienze.

Come ben si evince da più punti della vasta produzione dell’ autore delle

Idee, Cartesio rappresenta un punto di riferimento ineludibile per la

ricerca fenomenologia, tanto che lo stesso Husserl nei Discorsi parigini del

1929 definirà la fenomenologia “ nuovo cartesianesimo “ [5]: in Descartes,


per la prima volta nella storia della teoresi occidentale, si scopre l’ ego

come punto archimedeo di ogni autentica filosofia, con la conseguenza

che nelle Meditationes comparirebbe una dimensione d’intenzionalità

seppur non ancora del tutto esplicitata.

La profonda e decisiva differenza che intercorre tra Cartesio e Kant è che

quest’ultimo, a differenza del padre dell’ età moderna, ha fondato la sua

teoria della conoscenza sull’ indubitabilità dell’ operazioni della scienza

naturale, senza interrogarsi sulla validità e la legittimità della scienza

stessa.

Kant, nonostante sia il primo dopo Descartes ad aver elaborato una

filosofia scientifica sistematica, è colpevole di non avere mai “ penetrato le

inaudite profondità della considerazione fondamentale cartesiana “[6].

Gli impervi sentieri speculativi che percorre Cartesio, passanti attraverso le

stazioni del dubbio metodico e del dubbio iperbolico, testimoniano l’

estremo radicalismo dell’autoresponsabilità filosofica, la cruciale strategia

di partire senza terreno e senza alcun presupposto, nel tentativo di

giungere ad un punto primo, roccaforte teorica dalla quale difendersi dagli

attacchi di uno scetticismo che mai desiste nella sua millenaria guerra

contro le manifestazioni della vera filosofia.


La fondazione della filosofia come scienza rigorosa diviene possibile solo

nel momento in cui si supera ogni prospettiva ingenua, naturale o

scientifica, giungendo ad un piano della ricerca nel quale vige la profonda

consapevolezza che la soggettività che produce la scienza non potrà mai

venire conosciuta dalla scienza obiettiva.

Già nei Prolegomeni Husserl scriveva che al filosofo non interessa la mera

operatività funzionale di una determinata teoria scientifica e i risultati a

cui essa può approdare sul piano tecnico – pratico, egli, ha a cuore la

chiarezza gnoseologica dei costituenti essenziali della teoria in generale,

delle forme connettive attraverso le quali i concetti atomici si coordinano

in un’ unità sistematica: non è difficile accorgersi di come la logica pura a

cui Husserl aspirava all’ interno delle Ricerche logiche[7], fondata su un

processo di chiarificazione (Aufklärung) e riconduzione fenomenologia,

non fosse altro che una prefigurazione di quella filosofia come scienza

rigorosa di cui parlerà nelle opere successive. 

In quest’ ottica, non si tratta di negare il valore tecnico – pragmatico della

scienza e dei suoi risultati attraverso un positivismo anacronistico di

matrice spiritualista, teso a rigettare dogmaticamente tutto ciò che

proviene dalla matematica, dalla fisica e dalla biologia: il rigore e l’

evidenza di queste discipline, “ resta fuori discussione “[8].


Una delle peculiarità costitutive della fenomenologia husserliana è il suo

porsi al di là della dialettica tra le scienze della natura e le scienze dello

spirito, riconoscendo in entrambe una comune radice di positivismo

latente, alla luce di un filosofare che più dei termini della relazione, tiene

in gran conto la relazione stessa.

In questo senso, è utile ricordare brevemente le considerazioni critiche

che Husserl compie nei confronti di Dilthey.

La riflessione di Dilthey fondata sull’idea di superare il naturalismo che

soggiace alla Kritik der reinen Vernuft, attraverso la cruciale distinzione tra

la psicologia esplicativa (erklärende Psichologie) e la psicologia descrittiva

(beschreibende Psichologie), lo portava a privilegiare il nesso vivente

(Lebenszussamenhang) sul nesso causale (Kausalzussamenhang).

Agli occhi di Husserl, tanto le scienze dello spirito quanto quelle della

natura, hanno bisogno sia della spiegazione che della comprensione, con

la conseguenza che le prime rischiavano di subire – nell’ ottica diltheyana

– una perdita d’oggettività, naufragando in una forma di positivismo

spiritualista.

Ciò che alle scienze rimane precluso è “ la visione dell’ intero “ [9], queste –

come dirà in L’idea d’ Europa – crescono nel loro isolamento, nella loro
nociva astrazione; civettando con M. Horkheimer “ la filosofia è separata

da un abisso dalle restanti discipline “[10].

Dinanzi all’ uomo di scienza che “ si è tramutato in un lavoratore dedito

unicamente a un grande ingranaggio “[11], spetta al filosofo o

fenomenologo denunciarne i limiti[12], mostrando – come direbbe

Schopenhauer – che le scienze “coltivate puramente per se stesse” [13] sono

“come un volto senza occhi“[14] a cui sfuggono le storture dell’ esistente, in

un operare che non contestualizzato nella totalità, diviene mortifero per il

mondo – della – vita (Lebenswelt).

Il Fundamentalarbeit è al medesimo tempo un lavoro di par destruens e

par costruens: par destruens, in quanto tende a illuminare criticamente

tutte le forme di riduzionismo che agiscono tacitamente nell’edificio della

conoscenza; par costruens, poiché l’ esplicitazione dell’ anonimo fungente

è un compito etico – teorico di fondamentale importanza.

Per quanto riguarda la dimensione critica della fenomenologia

husserliana, è interessante soffermarsi sulla strategia argomentativa

adottata nei Prolegomeni ad una logica pura.

Nell’ esporre le varie tesi dei logici psicologisti, Husserl non si limita a

metterne in discussione i presupposti teorici, mostrando come in tali


autori via sia una deleteria confusione tra i campi[15], egli pone in rilievo l’

importanza di una critica non unilaterale[16], capace di non cancellare la

dimensione soggettiva sotto la problematica accusa di psicologismo.

La fenomenologia come via media[17] tra psicologismo e logicismo è un

tentativo metodologico[18] di combattere quelle che Horkheimer nell’

Eclisse della ragione definirebbe come contrastanti panacee: o

relativizzare il soggetto in nome di un esasperato psicologismo o eliminare

il soggetto in virtù di una mendace equazione nella quale il soggetto in

senso lato coincide soggetto empirico – naturale.

Già nelle Ricerche logiche, ci si accorge della straordinaria esigenza

husserliana di custodire una dimensione privilegiata in cui poter lavorare

criticamente sulla relazione e sui termini di questa, forma e materia della

conoscenza.

In tal modo è facile comprendere come all’ interno dell’ambigua categoria

“ psicologismo “ gravitino correnti e autori tra loro eterogenei, dinanzi ai

quali Husserl si confronta in maniera differente: se infatti, Stuart Mill, Bain,

Wundt, Sigwart, Erdmann e Lipps possono essere collocati in una cornice

teorica comune di psicologismo naturalistico, ciò non può avvenire con

Brentano, la cui psicognosia o fenomenografia, rappresenta un costante e


proficuo punto di riferimento critico per l’ evoluzione della

fenomenologia.

Il problema dello psicologismo non riguarda una mera querelle

storiografica o il particolare interesse di Husserl nel prendere le distanze

da tesi che intaccavano i cardini della sua ricerca teoretica, si tratta invece

vedere nello psicologismo una della forme più nefaste di scetticismo,

contro le quali l’ autentica filosofia ha da sempre combattuto.

L’impostazione adottata nella Philosophie der Arithmetik (1891) si è

rivelata inefficace nel momento in cui si passava dal piano dei nessi

psicologici del pensiero all’unità logica del contenuto del pensiero: le

nuove esigenze teoretiche riguardanti il problema della teoria e della

conoscenza in generale unite al fallimentare tentativo di costruire una

fondazione psicologia (brentaniana) dell’ aritmetica, hanno portato

Husserl a studiare analiticamente il rapporto tra la soggettività del

conoscere e l’ oggettività del contenuto della conoscenza.

Tale opera, bollata da Frege con l’ infamante marchio di opera

psicologista[19], se letta con attenzione, ci rivela un Husserl intento a

portare all’ estreme conseguenza la descrittiva psicologica brentaniana,

con l’ insorgenza di problematiche apparentemente disorientanti, quali


quelle delle molteplicità momentanee, dinanzi alle quali introdurrà la

nozione di momento figurativo o quasi – qualitativo.

Il regressivo e continuativo ritorno alle radici tipico della fenomenologia

husserliana, è mosso da un spirito antiriduzionista teso a

problematicizzare in maniera feconda lo statuto delle discipline

scientifiche e della conoscenza in senso lato: l’ analisi che l’ Autore compie

nella Krisis riguardo al paradigma Galileo, ne è un brillante esempio.

In virtù dell’ essenza eminentemente metodologica della fenomenologia

di Husserl, questa lungi dal rappresentare una metafisica tra le metafisiche

comparse e avvicendatesi nel corso dei secoli, vuole essere una vera e

propria philosophia prima, come si evince del resto dalle battute iniziali di

Erste Philosophie.

La tematizzazione di quell’ anonimia clandestina che opera nel silenzio

dell’ oblio in cui è finita, non è un processo astrattamente teorico mosso

da un’ istanza di sola critica delle idee, una sorta di dialettica tra una

scienza epimeteica e una filosofia prometeica decontestualizzata dalla

temporalità della storia: lo spettatore disinteressato (unbeteiligter

Zuschauer), proprio essendo disinteressato allo sterile pragmatismo che

inficia ogni visione naturalistica e positivistica della scienza, diviene “


funzionario dell’ umanità “[20], all’ insegna di una filosofia necessaria

proprio in quanto inutile.

La genesi e il graduale sviluppo della fenomenologia avviene attraverso un

intenso dialogo con alcuni esponenti di spicco della tradizione filosofica

occidentale: dai Prolegomeni alla Krisis, Husserl non smetterà mai di

confrontarsi con le soluzioni offerte dai suoi predecessori nel dominio

della teoretica.

In questo suo continuo procedere, egli è guidato dall’ idea che al di sotto

della molteplicità delle filosofie succedutesi nella ricca tradizionale

occidentale, vi sia una philosophia perennis, un ventaglio di questioni

fondamentali dinanzi alle quali i filosofi passati hanno offerto risposte

differenti, in modo più o meno consapevole.

All’ interno di questa philosophia perennis vige una ragnatela di relazioni

teleologiche che tende a rendere gli autori del passato preconizzatori o

antesignani della fenomenologia, intesa come tematizzazione e continua –

realizzazione di quell’ ideale teoretico (in senso concreto) nato in Grecia e

dispersosi, eccezion fatta per alcuni filosofi, nell’ epoca moderna.

Il metodo di lettura che Husserl adottata dinanzi alla ricca e complessa

tradizione filosofica europea, si basa su un’ ermeneutica che proprio in


virtù dell’ impulso teleologico che la muove, è – con le dovute differenze

del caso – di stampo schleiermacheriano: una volta dischiuso l’ orizzonte

della philosophia perennis, è possibile “ comprendere i pensatori passati,

così come essi stessi non sarebbero mai riusciti a capirsi “ [21]; tale

ermeneutica è – parafrasando lo stesso Autore – una storiografia interna

(innere Historie) tesa a svelare la teologia universale della ragione

attraverso il fondamento dell’ a – priori storico.

La philosophia perennis costituisce una temporalità interna al tempo

estrinseco della storia delle idee, una temporalità in cui è possibile

applicare una “ considerazione teleologica “[22], che è in sé

un’autoconsiderazione di ciò che noi siamo in quanto esseri – storici:

dischiudere un orizzonte teleologico significa così costituire un’ “ unità

complessiva  attualizzata su cui esercitare una critica responsabile “[23].

Ogni autentica comprensione del passato filosofico, non mossa quindi

come la storia antiquaria in Nietzsche da una cieca furia collezionistica, è

un atto di responsabilità critica nei confronti di noi stessi e del contesto

storico in cui operiamo.

In quest’ ottica, bisogna “ localizzare ciò che realmente si nasconde “ [24] nel

pensiero degli autori, conducendo ricognizioni speculative su problemi che

non sempre affiorano in maniera intelligibile, ma le cui soluzioni hanno


implicitamente condizionato il corso del filo d’ Arianna all’ interno del

labirinto delle idee.

A tal proposito, per rendersi concretamente conto del modo di procedere

husserliano, è sufficiente far riferimento alla succinta analisi che l’ Autore

compie su Platone in Fenomenologia e teoria della conoscenza: qui, dopo

aver riconosciuto l’ innegabile valore filosofico del pensiero platonico,

scrive che il venerabile maestro d’ Aristotele – a differenza degli Stoici –,

non pose la legittima distinzione tra la logica noetica (noetische Logik) e la

logica noematica (noematische Logik).

Il linguaggio e le categorie teoriche che egli utilizza in questo caso, sono di

chiara derivazione fenomenologica, precisamente fanno riferimento agli

orizzonti speculativi dischiusi dalle Idee, ma questo non le rende inadatte

ad essere applicate nel novero delle analisi della storiografia interna.

L’ esigenza husserliana di non accettare “ nulla come già dato “ [25] non lo

porta al di là della storia, in un fantomatico regno delle ombre, ma oltre lo

storicismo, quello storicismo in cui l’ Autore scorge una delle possibili

declinazioni del relativismo.

La storia autentica, o per meglio dire, l’ autentica storia delle idee, in

quanto in Husserl non si può propriamente parlare di filosofia della storia


in senso classico, ma di filosofia della storia della filosofia e della scienza,

custodisce la linfa di una vita spirituale che può essere risvegliata alla luce

della teleologia: “ Infatti da queste filosofie del passato scaturisce, se

sappiamo sprofondare il nostro sguardo in esse, penetrando l’ anima delle

loro parole e delle loro teorie, una vita filosofica con tutta la ricchezza e la

forza delle loro motivazioni viventi “[26].

Le riflessioni husserliane riguardanti la storia, per il loro taglio

squisitamente teorico avulso dalla considerazione dei fatti strutturali che

innervano il cursus temporis, trattato in maniera sistematica dalla

storiografia (Historie), rischiano di sottrarsi al paradigma interpretativo di

Löwith utilizzato in The meaning of history e, in generale, paiono essere

divergenti rispetto alle tradizionali filosofie della storia avvicendatesi,

sotto diverse spoglie, nell’ arco dei secoli.

Come avevamo avuto modo di dire poc’anzi, l’ esigenza di partire senza

alcun fondamento non portava Husserl al di là della storia, in un mondo di

cose morte (eine Welt toter Sachen) , ma nello stesso tempo, l’orizzonte

storico presieduto dall’ analisi fenomenologica è, volendo esprimerci in

termini marxiani, un orizzonte di fenomeni sovrastrutturali.

Nel nostro caso, il ricorso ad un’espressione tipicamente marxiana, quale

quella di sovrastruttura, non è una mera esposizione dei mirabili intrecci e


delle sorprendenti analogie che possono venire illuminate dal lanternino

del cogitare dello studioso, bensì è funzionale all’ inquadramento teorico

del problema della storia in Husserl.

Come ben si evince da una prima lettura dell’ opera di Marx, nonostante

sia fuorviante interpretare la relazione tra struttura e sovrastruttura in

termini di causa ed effetto, c’è, tuttavia, una superiorità assiologica e

fondazionale della prima sulla seconda, che si manifesta del resto, nella

tesi marxiana di far poggiare la dialettica hegeliana non sulla testa ma sui

piedi.

Da qui l’ idea che se i filosofi si sono solo limiti ad interpretare il mondo,

offrendo punti d’osservazione della realtà differenti e non di rado

contrastanti, sia ora venuto il momento di cambiare il mondo stesso in

virtù della prassi.

Nell’ ottica husserliana ciò che in Marx verrebbe relegato al piano della

sovrastruttura acquista un’istanza decisiva e determinante al medesimo

tempo.

Il nucleo essenziale e originario della storia sul quale si concentra l’ analisi

fenomenologica è il piano nobile delle idee, di quelle idee che, seppur in

maniera anonima e apparentemente clandestina rispetto a considerazioni


più materialmente concrete del cursus temporis, condizionano e

determinano l’ evolversi della vita.

C’è un’economia della storia, l’ economia decisiva per la storia, che si

decide sul piano del fundamentum, all’interno di un’ unità di vita che viene

preservata solo da coloro che sanno cogliere la relazione decisiva tra noi e

la tradizione, rendendo il tempo praesens, tempo di responsabilità.

Solo in questo modo è possibile comprendere il costituirsi di un orizzonte

storico, al di là della filosofia della storia stricto sensu e delle varie versioni

dello storicismo ottocentesco.

All’ interno della Krisis, a convalida delle tesi qui esposte, si legge che le

vere guerre interne all’umanità europea, sono le guerre combattute dallo

scetticismo contro l’autentica filosofia.

Nel momento in cui la teoresi ha in sé un ethos superiore, la fondazione

apodittica della filosofia concepita come “ autoconsiderazione e

responsabilità ultima dell’ uomo autonomo “[27] è la stella polare che guida

la vita di vocazione[28] (Berufsleben) del filosofo.

Se in Husserl manca quella che è l’ istanza decisiva della filosofia di Marx,

ovvero la comprensione filosofica intesa non come mero rispecchiamento

del mondo nel pensiero, ma come filosoficizzazione del mondo stesso


nella prassi - alla luce della presa di coscienza dell’ inadaequatio rei et

intellectus – nella riflessione husserliana non vi è, tuttavia, alcuna scissione

tra l’autentica teoresi e l’ etica, con la conseguenza che “ alle assurdità

teoretiche seguono inevitabilmente assurdità (evidenti incoerenze) nell’

attuale condotta teoretica, assiologia ed etica “[29].

Le lezioni su Fichte del 1917, lezioni che nonostante siano imbevute di un

linguaggio retorico e nazionalistico, e s’inseriscano in una linea

interpretativa che fu molto feconda nella Germania del XIX secolo, basti

pensare a Treitschke che vide nei Discorsi alla nazione tedesca il culmine

della riflessione fichteana, ci offrono un particolare punto d’osservazione

sullo sviluppo della riflessione dell’ Autore.

Qui, dopo aver sottolineato l’ arbitrio della logica di Fichte e la sua

incoerenza sul piano concettuale, scrive che tutte le intuizioni etico –

religiose hanno nell’ autore della Dottrina della scienza, un  vero e proprio

“ ancoraggio teoretico “[30], con la fondamentale conseguenza che la

teoresi in senso lato, lungi dall’ essere scissa dalla vita individuale e

collettiva, rappresenta – come dirà in L’idea d’Europa – una forma

rinnovamento: “ La particolarità delle questioni teoretiche pure nell’

ambito della filosofia è che l’orientamento delle loro risposte può


diventare, e deve diventare, determinante per la vita e decisivo nel porre

il fine ultimo della vita individuale “[31].

Dopo aver realizzato lo status quaestionis, soffermandoci sulla relazione

tra la filosofia e la scienza e sul problema della storicità vitale, abbiamo le

premesse fondamentali per proseguire in maniera coerente all’ interno

del pensiero husserliano.

La filosofia dunque, lungi dall’ esser un normale lavoro che si compie nella

solitudine della propria stanza, è un’ impresa collettiva e progressiva, a cui

il vero filosofo non può sottrarsi.

In Husserl, la cartesiana solitudine del filosofo, non rappresenta la fuga

della teoria dinanzi al mondo quotidiano, da quel mondo in cui vi saranno

sempre pozzi per i Talete di ogni secolo; in perfetta sintonia con il lato

distruttivo dell’ epoché, la solitudine è isolamento rispetto alle relazioni

estrinseche e inveramento nella storicità vitale.

In quest’ottica, per coloro che hanno compreso l’ importanza decisiva

della fondazione rigorosa della filosofia, non è più possibile “ tornare

tranquillamente al lavoro che abbiamo interrotto “[32], poiché, la radikale

Besinnung (coscienza radicale) impone un rinnovamento autentico dell’

uomo alla luce della vocazione (Beruf).


La fenomenologia come emblema dell’ autentico filosofare, è un organo e

al contempo una fase del cammino che porta l’ umanità alla sua piena

autorealizzazione.

È quindi possibile comprendere come una riflessione teoretica quale la

fenomenologia, così apparentemente disinteressata al proprio tempo,

finisca per coltivare domande che sembravano gravitare su altre orbite

speculative.

A partire dall’ idea della filosofia come scienza rigorosa, è lecito e

necessario domandarsi in che misura lo Stato debba controllare la vita e la

cultura e se, lo sviluppo etico stesso, non imponga un graduale

smantellamento del potere statale.

Inoltre, in relazione al problema dei limiti dello Stato, Husserl si domanda

da un lato, in che termini ciò che storico debba essere rispettato in quanto

tale a discapito della razionalità e dall’ altro, se la comunità etica debba

compiersi chiudendosi verso l’ esterno, o se sia necessario che finisca con

l’ abbracciare il mondo intero.

Se tali domande compariranno in L’ idea d’ Europa e non nella Krisis,

ciononostante tra le due opere intercorre un fortissimo legame


speculativo riguardo all’ origine della cultura europea da rinvenire nella

Grecia filosofica.

Secondo Husserl, la Grecia rappresenta la vera origine cultura dell’ Europa

– occidentale, con la decisiva conseguenza che, qualunque atto di

rinnovamento, deve tener in gran conto l’ orizzonte ellenico.

La fenomenologia, diviene così un tentativo di trasformazione e di

rifondazione dell’ originaria fondazione greca, di quell’ originario

principiarsi della teoresi occidentale che è caduto nell’ oblio in seguito alle

profonde scissioni che attraversano l’epoca moderna[33].

Lo schizzo che Husserl realizza riguardo al processo di sviluppo e

involuzione della storia delle idee, si suddivide idealmente in tre fasi

fondamentali: la prima, costituita dalla filosofia greca, sorta alla luce della

vera cultura; la seconda, resasi manifesta nel Medioevo, inteso come

orizzonte storico segnato dalla teologizzazione dello scibile umano; infine,

l ‘ultima fase, quella del Moderno, in cui da un lato si assiste ad una de –

teologizzazione delle scienze ed a una riforma sul piano religioso, ma dall’

altro, si comincia ad obliare il senso autentico della filosofia, sotto la

tirannide delle matematiche[34] e della specializzazione isolante[35] delle

scienze.
Dinanzi alla separazione delle discipline scientifiche che caratterizza in

maniera così peculiare l’ epoca moderna, la filosofia radicale deve

promuovere una contro – tendenza: mostrare le relazioni essenziali che

intercorrono tra le singole discipline e ricomporre l’ unità perduta

attraverso un processo di fondazione e rifondazione.

Il grande sviluppo scientifico – seicentesco, mosso da una profonda istanza

di libertà, il cui paradigma è Galileo, è abitato da una lotta tra l’ imperante

obiettivismo fisicalistico e il soggettivismo trascendentale, che avrà

ripercussioni sui secoli successivi.

Il valore della tripartizione husserliana non consiste di certo nell’

originalità delle sue scelte interpretative, bensì nel fatto che la triade “

Grecia – Medioevo – Modernità “ costituisce una sorta di schema

trascendentale, nell’ accezione kantiana del termine: una mediazione tra

la categorie della teoresi e la dimensione fenomenica della storia[36].

Sorge quindi una dialettica che, lungi dall’ essere destinata ad una sintesi

conciliatoria, va mantenuta nella sua fondamentale vitalità: se infatti, la

storia con il suo ricco repertorio di eventi sembra allontanare da sé ogni

gabbia esplicativa totalizzante, la filosofia invece, pare volare sulla realtà

concreta come la nottola di Minerva sul far del crepuscolo.


La storicità vitale, custodita e tematizzata dalla storiografia interna (innere

Historie), trova qui, nella tripartizione “ Grecia – Medioevo – Moderno “,

una sua lucida esemplificazione.

Solo partendo da quest’ ottica, è possibile mettere tra parentesi tutto quel

novero di puerili accuse tese denunciare la falsa storicità del pensiero

husserliano e dell’ orizzonte temporale che esso dischiude.

Noi, in quanto eredi della venerabile tradizione greca, dobbiamo in una

radicale presa di coscienza, riappropriarci del telos che abbiamo obliato, in

un atto di responsabilità critica che si pone sul piano del rinnovamento

della totalità della nostra vita.

Ciò non si traduce in un ritorno nostalgico alla natia patria della nostra

cultura europea, in un canto dolente delle ultime muse o in una

celebrazione entusiastica dei fiori che un tempo abitavano l’ humus del

passato, ma che ora compaiono sotto la lente d’ ingrandimento dello

scienziato moderno: in Husserl, atteggiamenti di questo tipo sono del

tutto assenti.

Quasi[37] in senso hegeliano, l’ andare avanti dell’ autentica teoresi, è un

ritornare indietro fondante e rifondante al medesimo tempo, in un


cammino progressivo e continuativo verso un’ umanità capace di

autoregolamentarsi nel senso autentico del termine.

In quest’ ottica la fenomenologia husserliana, lungi dall’ esser una

riflessione acquiescente nei confronti della realtà, “ l’ ultima teoria

borghese della conoscenza “[38] come direbbe ironicamente M.

Horkheimer, è un vero e proprio metodo di tematizzazione di quelle

anonime clandestine che operano celatamente nella conoscenza e nel /

sul mondo – della – vita (Lebenswelt).

L’ eroismo della ragione consiste nel vivere all’ interno della radikale

Besinnung (coscienza radicale), in un’ epoca in cui ogni cosa diviene “

oggetto di esaltazione nazionale, merce di mercato e di potere nazionale,

strumento di potere “[39], un’epoca segnata dalle mille declinazioni del

relativismo imperante, dinanzi alle quali, ancora una volta, bisogna

impugnare le armi e continuare a combattere quelle guerre d’idee che

hanno segnato così profondamente la storia d’ Europa e dell’ Occidente.

[1]
E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Bompiani, Milano, 2004, p. 268.
[2]
Al tal proposito è interessante soffermarsi sull’Introduzione a Esperienza e giudizio, in cui l’ autore
ribadisce in piena sintonia con quanto dirà nella Krisis, che il metodo è un rivestimento di idee sopra il
mondo delle intuizioni originarie, una sustruzione che ipostatizzata diviene mendace.
[3]
Le questioni riguardanti il rapporto tra metodo ed ontologia hanno una rilevanza notevole, sia nel
contesto del pensiero husserliano, che nella filosofia contemporanea in senso lato. In base al tipo di
relazione che intercorre tra i due termini, si può propendere per una visione riduzionista forte (nel caso
della perfetta identità), riduzionista debole (se la relazione è asimmetrica). In Husserl, da un lato si tratta
di mostrare la differenza tra metodo ed ontologia, dall’ altro, rivendicare lo statuto dell’ antepredicativo,
del mondo – della – vita che, come si dice in Krisis, non è altro che “ il mondo della mera  ,
tradizionalmente trattata con tanto disprezzo “. (p. 490).
[4]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p.
172.
[5]
E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano,  2002, p. 3.
[6]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p.
126.
[7]
Sulla genesi della fenomenologia è interessante ricordarsi come le problematiche trattate nelle
Logische Untersuchungen – come lo stesso Husserl afferma all’ interno della prefazione alla prima
edizione dell’ opera (1900) –, siano sorte nel tentativo di operare una chiarificazione filosofica della
matematica pura, chiarificazione che nel procedere delle analisi, ha dischiuso il più vasto orizzonte della
teoria in generale e del rapporto che intercorre tra la forma e la materia della conoscenza.

[8]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 34.
[9]
E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 127.
[10]
M. Horkheimer, La società di transizione, Einaudi Paperbacks, Torino, 1979, p. 106.
[11]
E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 127.
[12]
Il limite fondamentale dello scienziato ingenuo, consiste per Husserl, nella ricomprensione simbolico
– esteriore dei passi originari della scienza, contrapposta all’ effettiva comprensione dello scienziato
autentico (filosofo), intesa come spontaneo e graduale ripercorrimento delle tappe decisive dello sviluppo
delle discipline scientifiche.
[13]
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Supplementi al primo libro, Bur,
Milano, 2002, p. 185.
[14]
Ibidem.
[15]
La psicologia che vuole avere un ruolo fondazionale per la logica è fondata su leggi che lungi dall’
essere esatte e autentiche sono vaghe generalizzazioni dell’ esperienza: essa è quindi una scienza basata
sull’esperienza, i cui enuncianti non sono altro che regolarità approssimative della coesistenza o
successione dei fenomeni psichici. Le leggi psicologiche, in quanto leggi naturali, non hanno un’ evidenza
apodittica ed, essendo fondate attraverso un processo induttivo, si stagliano in un orizzonte di mera
probabilità. Lo psicologismo in questo senso racchiude in sé tutti quegli errori che possono scaturire
dalla confusione tra i campi: non distingue la legge come membro della causazione dalla legge come
regola della causazione, confonde le leggi naturali con le leggi logiche, i giudizi stessi con le leggi come
contenuti giudicativi.

I logici psicologisti non distinguono il piano reale da quello ideale, la regolamentazione causale da quella
normativa, la necessità reale dalla necessità logica, il fondamento reale dal fondamento logico.

Tutte queste coppie di concetti antitetici vanno riportate in seno all’ epistemologia in senso lato,
facendo scaturire una fondamentale distinzione tra le scienze ideali e le scienze reali: le prime,
totalmente a – priori, sono costituite da leggi generali ed ideali fondate con evidenza in concetti
generali, le seconde invece, sono empiriche e, in quanto dotate di proposizioni fattuali, formulano leggi
che hanno un’ universalità reale.
[16]
C’è una chiara analogia tra la strategia argomentativa che Husserl applica nella dialettica tra le scienze
della natura e dello spirito e quella relativa al dualismo “ psicologismo – antipsicologismo “: in entrambi
in casi, si manifesta il tentativo di superare (aufheben) posizioni rigide e unilaterali, che difficilmente
potrebbero illuminare la relazione in se stessa. L’ utilizzo del verbo “ superare “ (aufheben) dischiude
implicitamente un orizzonte semantico di matrice hegeliana. Qui, non c’è nessun richiamo teorico alla
dialettica di Hegel. La fenomenologia come “ superamento “ (Aufhebung) della sterile opposizione tra tesi
unilaterali, non va intesa in senso dialettico.
[17]
“ Nella controversia sulla fondazione psicologica oppure oggettiva della logica, io assumo una
posizione intermedia “.E. Husserl, Ricerche logiche, V. 1, Net, Milano, 2005, p. 174. Gli stessi
antipsicologisti cadono in errore nella misura in cui radicalizzano la funzione regolativa della conoscenza,
in quanto sussiste una profonda differenza tra lo statuto autonomo delle proposizioni della logica e la loro
applicazione pratica: in principi logici fondamentali – sentenzia Husserl –, benché possano fungere da
norme, non sono essi stessi norme.
[18]
La fenomenologia intesa come philosophia prima è in senso autentico un metodo. Due dei cardini
teorici della metodologia husserliana possono essere ravvisati: a) nel tentativo di superare le rigide
opposizioni tra tesi unilaterali (a tal proposito vedi nota 14); b) nello squarciare i veli naturalistici e
positivamente scientifici dalle nozioni fondamentali della gnoseologia. Riguardo al punto b, si potrebbe
prendere come esempio, la considerazione che fa l’ Autore sul concetto di esperienza in Fenomenologia e
teoria della conoscenza (p. 159), in cui dice che bisogna liberarsi dall’ errore di confondere l’ esperienza
(Erfarhung) con l’ esperienza naturale (naturale Erfarhung).
[19]
Come abbiamo detto in precedenza, l’ abbandono dello psicologismo (almeno nella sua versione
naturalistica), non porta all’ oblio della soggettività. A riguardo, è bene ricordare quanto dice Husserl
nella Krisis, sulla psicologia e sul rapporto che questa ha avuto con la filosofia trascendentale. Se infatti la
psicologia è rimasta impigliata in pregiudizi naturalistici, ciononostante se correttamente intesa
(attraverso l’ impiego di una riduzione psicologico – fenomenologica) , può divenire uno stadio
preliminare della fenomenologia.
[20]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 99.
[21]
Ibidem, p. 101.
[22]
Ibidem, p. 101.
[23]
Ibidem, p. 101.
[24]
Ibidem, p. 103.
[25]
E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 104.
[26]
Ibidem, p. 105.
[27]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p.
448.
[28]
È importante spendere qualche parole riguardo a tali questioni. La vita di vocazione del filosofo
(Berufsleben) o, in generale, dell’ artista o dello scienziato, è una vita il cui valore non è assoluto ma
relativo, in quanto solo la vita etica vale in senso assoluto. Husserl dice espressamente che bisogna
decidersi circa il rapporto tra la vita di vocazione e la vita etica autentica, con la conseguenza che la prima
non è in grado di regolare, determinandola, ogni azione dell’ uomo. La forma di vita della vera humanitas
fondata su un continuo rinnovamento, coglie l’ uomo nella sua totalità, rendendolo in grado di giustificare
dinanzi a sé, ogni sua azione. Queste riflessione gettano un’ intesa luce sull’ ethos della fenomenologia
husserliana, mostrandoci come non solo ogni questione teoretica autentica abbia in sé una forza direttiva
per la vita, ma come tra teoresi e vita non intercorra una sterile identità, ma un isomorfismo della
responsabilità. Inoltre, come ben si evincerà dalle analisi successive, ogni radicale rinnovamento dell’
umanità verso un’ umanità criticamente libera, presuppone una filosofia radicale, capace di superare i
limiti delle scienze ingenuamente intese.
[29]
E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 15.
[30]
E. Husserl, Fichte e l’ ideale d’ umanità, Edizioni ETS, Pisa, 2006, p. 51.
[31]
Ibidem, p. 54.
[32]
E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 
44.
[33]
L’ istanza fondamentale della Modernità – secondo Husserl –, consiste nel movimento di liberazione
che contrassegna in modo decisivo quest’ epoca; tale movimento, si rende manifesto sia sul piano
religioso, attraverso la Riforma protestante intesa come rivendicazione del modello originario del
cristianesimo, sia mediante la restaurazione del senso antico e antidogmatico dello spirito teoretico. In
questo modo, l’ Autore assume nei confronti del Medioevo un atteggiamento squisitamente anti –
romantico, non lontano da quello adottato da Hegel nella Fenomenologia dello spirito (1807) e nelle
Lezioni berlinesi: l’ epoca medievale è segnata da una profonda teologizzazione del conoscere e della vita
umana, dinanzi alla quale sorgerà il Moderno, come custode delle istanze di libertà e di liberazione ( da ).
Il Medioevo, appare agli occhi di Husserl, come un orizzonte storico – culturale nato dalla fusione e dall’
incontro della tradizione speculativa greca con la religione cristiana. L’ analogia Husserl – Hegel è
funzionale all’ inquadramento teorico della lettura husserliana della storia delle idee, ciò naturalmente
non ci deve portare ad identificare la visione hegeliana con quella dell’autore delle Ideen. In quest’
ultimo, è assente l’ idea che la storia sia la manifestazione temporale di una Ragione (Vernuft) assoluta,
immanente che cerca di comprendere se – stessa, dinanzi alla quale gli individui sono semplici occasioni
per riempire la biografia dell’ Assoluto. La teleologia in Husserl, non assume come in Hegel, un valore
teologico secolarizzato, bensì dischiude problemi circa il senso dell’ autentica teoresi: saper cogliere il
filo d’ Arianna all’ interno del labirinto della storia (nel senso husserliano), significa comprendere la
nostra responsabilità vitale rispetto alla epoca in cui viviamo e, in generale, dinanzi a quell’ Occidente –
europeo di matrice greca da cui proveniamo.
[34]
Sul problema della matematica e del ruolo che questa assume nella rivoluzione scientifica seicentesca,
si possono consultare le bellissime pagine spese da Husserl nella Krisis. Qui, come altrove, non si
argomenta contro il valore delle matematica e delle sue potenzialità tecnico – conoscitive, bensì si
sottolinea la non – assolutezza del metodo matematico, all’ insegna delle cruciali questioni circa il
rapporto tra ontologia del mondo – della vita e le sustruzioni logico – simboliche delle discipline formali.
Ad un ordine di problemi diversi ma interdipendenti, appartiene il rapporto tra scienze e fenomenologia.
Sul senso della rifondazione delle scienze a partire dalla fenomenologia, si vedano le Ideen.
[35]
La specializzazione delle scienze e la loro positivizzazione formale, l’ esigenza di non risolvere la
filosofia nei moduli strumentali e tecnologici del sapere scientifico, sono tematiche care ai pensatori della
scuola di Francoforte e a chi, come Horkheimer, auspicava di trovare in una rinnovata fusione tra la
ragione soggettiva e la ragione oggettiva, un’arma contro i signori del declino e contro la barbarie del
900’.
[36]
Qui, il ricorso ad un’ espressione tipicamente kantiana, vuol essere un’esemplificazione didattica
finalizzata ad illuminare criticamente la tripartizione adottata dall’ Autore.
[37]
In questo caso, scrivo volutamente “ quasi “: infatti, se Hegel si fermerebbe al mero ritornare indietro
fondante, indice di una teleologia rigidamente chiusa, nel caso di Husserl, c’è fondazione e rifondazione,
poiché la teleologia non è di tipo dialettico.
[38]
M. Horkheimer, Filosofia e teoria critica, Einaudi, Torino, 2003, p. 85.
[39]
E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 142.

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