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7 Parole

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Era tradizione che il Venerdì santo la comunità dei fedeli si riunisse in Chiesa per

ascoltare la “predica” sulle sette parole che i vangeli riportano abbia detto Gesù
sulla croce. Queste parole si trovano distribuite nei quattro diversi testi e furono
ricomposte in una sola sequenza comparando i diversi racconti. La frasi
pronunciate da Gesù e riunite insieme danno luogo ad un percorso spirituale e
umano di grande suggestione, che però non deve esaurire la lettura completa dei
testi della passione; ogni evangelista,infatti, riporta un’ultima parola di Gesù che
suggella il percorso che lo stesso scrittore ha compiuto nel presentare la sua
esperienza di Cristo. La lunga tradizione delle “Sette Parole di Gesù in croce”, frutto
di un tentativo sincronico lodevole può allora aiutarci, come dice il vescovo Paglia,
ad individuare «una sorta di “testamento settenario”» che Gesù lascia a ciascuno di
noi.
Il testo attribuito a Pietro Metastasio, alla base di questo oratorio, non è desunto
dalle Sacre Scritture. Infatti non vengono musicate le sette ultime frasi che Gesù
pronunciò sulla croce. Queste erano oggetto della predicazione che precedeva ogni
singolo intervento poetico-musicale che è come una sorta di commento meditato
dell'uomo orante di fronte al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo.
In tal modo gli uditori diventano attoniti spettatori della scena del Golgota, che
dipinge a fosche tinte gli ultimi istanti di Gesù, ma sempre con un intento
catechetico, con la luce della Salvezza che rischiara lo sfondo della scena.

INVITO

Con questa introduzione siamo già sul Golgota, Gesù è già crocifisso. L’autore ci
invita ad ascoltare le parole che udremo («gli estremi accenti»), senza perderne
alcuno. Non facciamo come quelli che sotto la croce, deridevano, insultavano,
fraintendevano,… .

Già trafitto in duro legno


dall'indegno popol rio;
la grand'alma un uomo Dio
sta sul Golgota a spirar!

Voi che a Lui fedeli siete,


non perdete, no, i momenti;
<di Gesù, gli estremi accenti,
deh! venite ad ascoltar. > (2 volte)
I PAROLA

PADRE PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO


(LC 23,33-34)
(PATER, DIMITTE ILLIS, QUIA NESCIUNT QUID FACIUNT)
«Dopo tutte le empietà commesse contro di lui dai Giudei, che gli ricambiavano
male per bene, egli disse dalla croce da cui pendeva: Padre, perdonali, perché non
sanno quello che fanno. Come uomo, pregò il Padre, lui che insieme con il Padre
esaudisce le preghiere. Anche ora egli prega in noi, prega per noi, è pregato da noi.
Prega in noi come sacerdote nostro, prega per noi come nostro capo, è pregato da
noi come nostro Dio. Quando dunque egli pregava dalla croce, vedeva e prevedeva;
vedeva tutti i suoi nemici, ma prevedeva che molti di essi sarebbero diventati suoi
amici, e perciò pregava per loro il perdono. Essi infierivano, ed egli pregava. Cristo
è venuto non per la perdizione di quello che trovò, ma per cercare e salvare quelli
che erano perduti , per rendere credenti e amici i nemici che infierivano, amandoli.»
(AGOSTINO, Discorso 382, 2) Così S. Agostino meditando questa parola riportata
dall’evangelista Luca; ma anche noi sentiamo forte la supplica che Gesù fa al Padre:
poter continuare ad amare chi ora lo inchioda. Non è semplice perdonare e la
preghiera di Gesù ne è un chiaro paradigma: il perdono non è automatico, è un dono
di Dio. Nessun uomo nella più crudele sofferenza, nemmeno l’uomo Gesù, è stato
capace di dire «io vi/ti perdono», ma lo ha chiesto al Padre e il Padre glielo ha
donato e in quel perdono ci siamo anche noi! Non sforzarti di perdonare solo con le
tue forze: chiedilo al Padre che perdoni per te e il perdono nascerà dentro di te!

Di mille colpe reo


lo so Signore io sono:
non merito perdono né più il potrei sperar.
Ma senti quella voce
che per me prega e poi,
lascia, Signor, lascia, Signor, se puoi,
lascia di perdonar, lascia di perdonar!

1
II PAROLA

OGGI SARAI CON ME IN PARADISO (LC 23,39-43)


(HODIE MECUM ERIS IN PARADISO)

Il Padre ha subito concesso a Gesù la possibilità di perdonare. Gesù la fa sua e


attesta – unico volta nei vangeli – che quel malfattore, crocifisso anche lui, che ha
preso le sue difese, sarà con lui nel Paradiso. Scandalo, provocazione per i
benpensanti, per i cristiani della “prima ora” (cfr Mt 20,1.10ss), per quelli che si
fanno forti della loro fede e delle loro opere: per primo, in Paradiso, c’è entrato un
ladro convertitosi all’ultimo minuto! Ma siamo realmente certi della nostra fede
della “prima ora”? Di fronte a Dio non contano i meriti accumulati, conta solo la
sincerità del cuore. Allora forse Gregorio di Nazianzio parla anche di noi: «Se sei il
ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e
riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i
malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è
stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato.
Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di
quali beni ti eri privato. Contempla quelle bellezze e lascia che il mormoratore, del
tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.» (GREGORIO DI
NAZIANZIO, Discorso 45,23)

Quando morte coll'orrido artiglio


la mia vita a predare ne venga,
deh! Signor! Deh! Signor!
Tu ricorda di me!

Tu mi assisti nel crudo periglio,


e deposta la squallida salma,
venga l'alma a regnare con Te,
Quando morte coll'orrido artiglio
la mia vita a predare ne venga,
deh! Signor! Deh! Signor!
Ti ricorda di me!

2
III PAROLA

DONNA ECCO TUO FIGLIO(GV 19,25)


(MULIER, ECCE FILIUS TUUS)
Stare in croce, appeso, soffocante impone a Gesù di cercare qualsiasi posizione che
lo faciliti nella respirazione e perciò deve chinare il capo, guardare in basso. Laggiù
scopre che di tutti i suoi amici e discepoli solo alcune donne, solo sua madre e un
giovinetto (Giovanni) sono rimasti. Maria sta lì presso la croce. La fermezza di
questo verbo “sta” fa dire a Sant’Ambrogio che Maria stava in piedi presso la croce,
no che piangesse («Stantem illa lego, flentem non lego»). Gesù non pensa a sé, non
chiede aiuto o sostegno, ma si preoccupa della madre e dell’amico. Li affida
reciprocamente. Ai piedi della croce nasce una nuova famiglia, una nuova
fraternità, nasce la Chiesa. Se a Cana quel chiamare di Gesù «donna» ci sembra dar
fastidio (cfr Gv 2,4a), qui Gesù, nel momento in cui la sua ora è giunta (cfr Gv 2,4b),
scoppia di tenerezza e di fronte all’affetto e alla compostezza della madre avverte
che ella può prendersi cura dei suoi figli, dei suoi discepoli. Sì perché in quel giovane
discepolo amato da Gesù ci sono anche gli altri discepoli, ci siamo anche noi! Al
discepolo, ad ogni discepolo amato è conseguentemente affidata Maria, come un
tesoro da custodire. Lei ci porta nel cuore, ma noi la portiamo nella nostra casa,
nella nostra vita?

Volgi, deh! Volgi, a me il Tuo ciglio,


Madre pietosa! Maria pietosa.
Poiché amorosa me qual Tuo Figlio
devi guardare! Devi guardar
Di tanto onore degno mi rendi,
nel santo amore, Tu il cor m'accendi.
Né un solo istante, freddo incostante;
ah! No, non sia che Te o Maria
lasci d'amar! lasci d'amar.

3
IV PAROLA

DIO MIO, DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO ? (MT 27,46; MC 15,34)

(DEUS MEUS, DEUS MEUS, UTQUID DERELIQUISTI ME?)


Due evangelisti (Matteo e Marco) riportano solo queste parole. Per loro Gesù in
croce è in silenzio, incompreso da tutti, deriso, solo nel suo dolore fisico e morale.
Solo. Dei suoi discepoli nessuna traccia, anche le donne sono lontane (Mc 15,40).
Due ladri sono i suoi ultimi compagni e una folla di curiosi lo insulta e lo schernisce.
Con le ultime forze Gesù grida. Chiama qualcuno che sente lontano. Chiama suo
Padre, il suo Dio e gli grida il suo abbandono: «perché?». Ma Dio è veramente
lontano? Ha veramente abbandonato suo Figlio?
San Paolo, nella lettera ai Filippesi, dice che Gesù facendosi uomo «svuotò se stesso»
(Fil 2,7), lasciò tutto quello che per diritto aveva della sua divinità, fino al punto da
sperimentare, da sentire, da provare uomo come noi il dramma della notte, il freddo
di non percepire più l’amore di Dio, la sua presenza, la sua paternità.
Quante volte l’uomo sente Dio lontano, perché oppresso dalla solitudine, crocifisso
dal dolore, ferito dalle ingiustizie … «Dov’è Dio?»
Coraggio, fatti forza, Dio non è lontano è nello stesso grido che stai facendo! Sì,
perché la tua non è una bestemmia, come non lo è stata per Gesù. Questo grido,
queste parole che esprimono il profondo strazio interiore, sono l’inizio di una
preghiera, di un salmo (il 22). È una pagina della Bibbia, è Parola di Dio, suggerita
da Dio a qualcuno perché possa esprimere il suo dolore, ma nello stesso tempo
sperare, come fa il salmista alla fine, e dire «io vivrò per Lui» (Sal 22,30). Dio non ci
abbandona, anche se lo possiamo sentire lontano, perché «Lui, in un certo senso, ha
bisogno di noi per essere Dio» (V. Paglia)

Dunque dal Padre ancor,


abbandonato sei. Piuttosto, o Dio, morir,
<Ridotto t'ha l'amore piuttosto, o Dio, morir!!
a questo buon Gesù.> Non più, non più peccar
(2 volte) piuttosto, o Dio, morir!
Ed io coi falli miei, peccar non più, piuttosto,
<per misero gioire, o Dio, morir!
potrotti abbandonar?>
(2 volte)

4
V PAROLA

HO SETE (GV 19,28)


(SITIO)
Ogni morente soffre la sete. Il respiro affannato secca le labbra e la gola. Quale
sollievo, quale carità un fazzoletto bagnato che asciuga le labbra di chi è agli ultimi
respiri! Anche Gesù arde di sete, anche Lui ha bisogno di sentire bagnate le labbra,
di poter rinfrescare la gola. «Ma il popolo lo ripagò in malo modo – dice Cirillo di
Gerusalemme -: Gesù, che per esso aveva fatto scaturire l’acqua dalla dura roccia
dovette dire: “Ho sete”; Gesù, che per esso aveva fatto piantare la vite dovette
chiedere di gustarne il frutto. E ottenne il frutto di quale vite? (…) Per il Signore che
aveva sete inzupparono una spugna di aceto, la posero in cima ad una canna e
gliela offrirono.» (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XIII, 29). La sete di Gesù è
ancor più profonda; è la sua anima ad essere assetata: «ha sete di te, Signore,
l’anima mia» (Sal 63,2). È la sete dell’anima che cerca Dio, che anela a Lui, come la
cerva anela l’acqua fresca di un ruscello (cfr Sal 42,2). È la sete che viene quando «le
lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre “Dov’è il tuo
Dio”?» (Sal 42,4). Altre volte Gesù ha avuto sete, come quel meriggio a Sichem,
quando incontra al Pozzo di Giacobbe la donna samaritana (cfr Gv 4, 1-42). E lì la
sua non è solo sete di acqua, ma sete di fede, di fiducia, sete di salvare quella donna.
Lui che è l’acqua viva, ora in croce ha sete. Ha sete di tutto ciò.
… e continua ad aver sete. In tutti i crocifissi della storia, in ogni uomo che sta
morendo, in ogni uomo assetato, in ogni uomo che sente Dio lontano, in ogni uomo
crocifisso dal vizio e dal peccato. “I Thirst” (Ho sete) fece scrivere la Beata Teresa di
Calcutta accanto al crocifisso della cappella di ogni Casa della Carità, come monito
e come invito. Ad ascoltare gli assetati. E a non dar loro aceto!

Qual giglio candido allorché Tra mille spasimi, tra mille


il cielo spasimi
nemico negagli il fresco umor! tal pur esangue di sete lagnasi
il capo languido sul verde il mio Signor?
stelo Ov'è, quel barbaro che
nel raggio fervido posa talor mentr'Ei langue
… <il refrigerio di poche lacrime
gli neghi ancor?> (2 volte)
Qual giglio candido … il mio
Signor?
Di sete lagnasi il mio Signor!

5
VI PAROLA

TUTTO È COMPIUTO (GV 19,30)


(CONSUMMATUM EST)
L’ultima parola di Gesù secondo l’evangelista Giovanni è questo verbo: «è
compiuto». Non significa un banale «è finita!», ma l’affermazione sovrana che la
missione di Gesù, Figlio di Dio è stata pienamente compiuta. Il verbo, nella forma
passiva, è assolutamente impersonale. Gesù non dice: «Ho finito, ho terminato la
mia missione», riconosce che nella sua storia nulla è stato possibile (e fattibile)
senza l’opera del Padre. Colui che dice e fa una tale affermazione non sembra un
morente abbandonato e solo, ma è come un artigiano che di fronte alla bellezza
dell’opera delle sue mani, stremato sì dalla fatica, riconosce che, grazie a Dio la sua
creazione è terminata. Questo verbo riecheggia infatti dalle prime pagine della
Bibbia, quando Dio, «portò a compimento il lavoro che aveva fatto» (Gen 2,2) con la
creazione. Qui c’è qualcosa di più: la creazione è stata redenta, si è compiuta la
Redenzione, a motivo della quale Dio, quest’uomo morente in croce si è incarnato.
All’uomo rimane di accoglierla, di restarvi, di compiere il proprio dovere (la volontà
di Dio), per poter dire alla fine della vita: «sono solo un servo» (cfr Lc 17,10). Solo un
servo, sì. Ma finalmente salvo!

L'alta impresa è già, compiuta,


E Gesù con braccio forte
negli abissi la rea morte
negli abissi la rea morte
vincitor precipitò!

Chi alle colpe ormai ritorna


della morte brama il regno
<e di quella vita è indegno,
che Gesù ci ridonò.> (2 volte)
L’alta impresa … vincitor precipitò

6
VII PAROLA

PADRE NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO (LC 23,46)


(IN MANUS TUAS, DOMINE, COMMENDO SPIRITUM MEUM)
Gesù grida di nuovo, ma non grida la sua solitudine, l’abbandono di Dio. Luca in
questo grido ci apre alla speranza. Sulle labbra di Gesù, le sue ultime parole sono un
misto di affetto e preghiera. Gesù sta morendo e prega con le parole del Salmo 31, il
salmo dell’afflitto che prevede la sua liberazione e ringrazia Dio che sta per operala.
Ma, soprattutto, Gesù chiama il Padre, suo Padre! Quante volte Gesù si è rivolto a
Dio con questo nome! Ora lo chiama, lo invoca, «abbà», «papà», ma non per
lamentarsi ma per gettarsi, lui con le braccia obbligatoriamente aperte da chiodi
infilati nei polsi, nelle braccia del Padre. È come se Gesù dicesse «Papà, tu non mi hai
lasciato, abbracciami, mi consegno tutto a te!». Gesù sta morendo e muore da Figlio.
È speranza per ogni morente, perché come insegnava il Servo di Dio Giovanni Paolo
II: «Con la sua morte Gesù rivela che alla fine della vita l'uomo non è votato
all'immersione nell'oscurità, nel vuoto esistenziale, nella voragine del nulla, ma è
invitato all'incontro col Padre, verso il quale si è mosso nel cammino della fede e
dell'amore in vita, e nelle cui braccia si è gettato con santo abbandono nell'ora della
morte. Un abbandono che, come quello di Gesù, comporta il dono totale di sé da
parte di un'anima che accetta di essere spogliata del suo corpo e della vita terrestre,
ma che sa di trovare nelle braccia, nel cuore del Padre la nuova vita, partecipazione
alla vita stessa di Dio». (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 7- XII-1988)

Jesus autem emissa voce Gesù morì! Gesù morì!


magna,
expiravit, expiravit! Insensibile in mezzo a
tanto duolo,
Gesù morì! … Gesù morì! a tanto duolo,
Ricopresi di nero manto il più dei macigni stupido
cielo, resterà l'uomo solo,
i duri sassi spezzansi, che coi suoi falli origine
si squarcia il sacro velo fu
(sacro). del comun dolor!
E l'universo attonito Fu del comun dolor!
compiange il suo Signor! Gesù mori … morì!

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