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Bancario Di Salvo

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Sentenza n. 340/2020 pubbl.

il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
SEZIONE XVI CIVILE

Il Tribunale, in persona del Giudice Unico, dott. Giuseppe Di


Salvo, ha emesso la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile di I grado iscritta al n. 39225 del ruolo


generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015, trattenuta in
decisione all’udienza del 4-6-2019 e vertente

Firmato Da: DI SALVO GIUSEPPE Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 46966e4e7e62bb007090368af413032a
T R A

Co.Ge.R. s.r.l.
con sede in Rieti, in persona del legale rappresentante pro-
tempore, Quintili Fabiano che agisce anche nella qualità di
fideiussore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ruggero di
Lauria 20 presso lo studio dell’avv. Alessandro Renzi,
rappresentati e difesi dall’avv. Barbara Di Pietrantonio del Foro
di Teramo in virtù di procura a margine dell’atto di citazione
ATTORI
E

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. - GRUPPO BNP PARIBAS


con sede in Roma, P. Iva 09339391006, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma,
Corso Trieste 37 presso lo studio dell’avv. Claudio Trinchi che la
rappresenta e difende giusta procura generale alle liti a rogito
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del notaio Mario Liguori di Roma del 22-10-2007, rep. 151287,
racc. 33023.
CONVENUTA
OGGETTO: contratti bancari

CONCLUSIONI

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 4-6-2019, le


parti concludevano come da verbale in atti.

PREMESSO IN FATTO CHE:

Con atto di citazione, ritualmente notificato, la Co.Ge.R.


s.r.l. conveniva in giudizio la BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A.
chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Piaccia
all’On. Tribunale adito, contrariis rejectis:
IN VIA PREGIUDIZIALE: SOSPENDERE: il presente giudizio per

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rimettere alla Corte Costituzionale le questioni di legittimità
costituzionale sopra esposte qualora l’Ill.mo Giudice adito non
dovesse ritenere di sollevare la questione pregiudiziale di
legittimità costituzionale
Nel merito
ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia delle condizioni
generali di contratto di apertura del credito e di conto corrente
per violazione degli artt. 1284, 1346, 1418 comma 2 e 1815 comma 2
e dell’art. 117 TUB;
ACCERTARE E DICHIARARE: la violazione delle Norme per la
trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari,
ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 della L. n. 154 del 17
febbraio 1992;
ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità della clausola contrattuale
anatocistica relativa al contratto di cui in narrativa e per
l’effetto l’inefficacia della capitalizzazione trimestrale post
luglio 2000 degli interessi sugli interessi unilateralmente

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Sentenza n. 340/2020 pubbl. il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020
applicata dalla banca per violazione dell’art. 25 del d.lgs. n.
342/1999;
ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità della clausola di modifica
unilaterale dei tassi d’interesse nonché delle altre condizioni
contrattuali in quanto non approvate specificatamente dal cliente,
secondo quanto disposto dall’art. 1341 c.c.;
ACCERTARE E DICHIARARE: l’applicazione da parte dell’istituto di
credito di tassi di interesse usurari superando i limiti imposti
dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 incorrendo nell’usura oggettiva e
soggettiva come indicato nella perizia;
ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia dell’addebito in
c/c, da parte della banca delle commissioni di massimo scoperto
nonché di tutti gli oneri, le competenze e le spese
illegittimamente addebitate per violazione degli artt. 1284 c. 3,
1325 e 1418 c. 2, e 1346 c.c.,
ACCERTARE E DICHIARARE: l’illegittimità del calcolo dei c.d.
giorni di valuta concretizzandosi in una modifica unilaterale ed

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arbitraria del saggio d’interesse per i motivi esposti in
narrativa;
ACCERTARE E DICHIARARE: l’illegittimità della revoca/risoluzione
del contratto per violazione dei principi di correttezza e buona
fede per i motivi indicati in narrativa; e per l’effetto
ORDINARE: alla parte qui convenuta, di rettificare/cancellare la
segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia stessa non
sussistendo i presupposti di legge;
ORDINARE: all’istituto di credito di rideterminare il “dare e
avere” tra le parti mediante il ricalcolo contabile dell’intero
rapporto applicando il saggio legale, senza capitalizzazione degli
interessi sugli interessi, del tasso ultra legale ed usurario,
della commissione di massimo scoperto e della valuta,
CONDANNARE: l’Istituto di credito convenuto, al pagamento dei
danni patrimoniali e non patrimoniali che ci si riserva di
quantificare;
DICHIARARE: la liberazione dei fideiussori per un'obbligazione
futura ex art. 1956 c.c.;
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CONDANNARE: la banca convenuta ex art. 96 c.p.c. qualora
risultando soccombente nel presente giudizio appaia evidente che,
non accettando di risolvere la controversia in mediazione, abbia
resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.
CONDANNARE: l’istituto di credito convenuto al pagamento delle
spese tutte del presente giudizio.”
Si costituiva in giudizio la BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A.
chiedendo il rigetto di tutte le domande attoree perché infondate.
Svolta l’istruttoria nel corso della quale veniva espletata una
c.t.u. contabile, all’udienza in data 4-6-2019 i procuratori delle
parti precisavano le conclusioni come da relativo verbale in atti.
La causa veniva quindi assunta in decisione, concessi i termini
di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle
repliche.

OSSERVA IN DIRITTO

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Premessa l’assoluta infondatezza della questioni di
illegittimità costituzionale sollevate dall’attrice con
riferimento alla normativa di cui al T.U. Bancario rispetto agli
artt. 2-23-41 della Cost. non solo per la genericità delle stesse,
ma soprattutto perché deve essere esclusa una violazione della
normativa costituzionale da parte di siffatta normativa di
settore, giova premettere, ai fini della delimitazione del thema
decidendum, che la parte attrice, titolare del rapporto di conto
corrente n. 677, acceso nel 2012, presso l’agenzia di Rieti della
convenuta, ha instaurato il presente giudizio al fine di sentire
accertare l’applicazione, da parte della Banca convenuta, di
interessi illegittimi ed al fine di sentirla condannare alla
ripetizione degli interessi indebitamente applicati.
In particolare, con riferimento al suddetto rapporto, la parte
attrice ha lamentato l’applicazione illegittima di:
a) Interes
si anatocistici;

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b) Interes
si usurari;
c) Interes
si indeterminati ed in assenza di pattuizione scritta;
d) Commiss
ioni di massimo scoperto.
In primo luogo, la società attrice lamenta l’applicazione di
illegittimi interessi anatocistici.

Appare utile, per un appropriato inquadramento della


fattispecie, procedere alla ricostruzione delle tematiche relative
al contenzioso nella materia per cui è lite.
L’art. 120 t.u.b., al 2° co., aggiunto dal d.lgs. n. 342/1999,
dispone: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione
di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in
essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni
caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei
confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio

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degli interessi sia debitori sia creditori”. Il 2° co. dell’art. 2
della cit. delib. CICR, a sua volta, dispone: “Nell'ambito di ogni
singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità
nel conteggio degli interessi creditori e debitori”.
Di conseguenza, nel periodo successivo al 2000 non può
ritenersi che la capitalizzazione degli interessi passivi sia
illegittima tout court, dovendosi invece specificare (cosa che
tuttavia non è stata fatta) sotto quale altro profilo la banca non
si sarebbe attenuta alle disposizioni normative in questione.
Il quadro normativo, tuttavia, risulta nuovamente mutato a
decorrere dall’1.1.2014. Infatti, da tale data, il vecchio testo
dell’art. 120, comma 2, TUB è, stato modificato dalla L. n.
147/2013 (legge di stabilità per il 2014), nel seguente modo: “Il
CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi
nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività
bancaria, prevedendo in ogni caso che:

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a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei
confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio
degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano
produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di
capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte
capitale”.
La nuova norma pare assicurare solo la medesima scansione
temporale (mensile, trimestrale, ecc.) della liquidazione degli
interessi di tutte le operazione di dare e avere, ma senza alcuna
capitalizzazione. La lettera b) conferma questa lettura della
lettera a) ed elimina l'anatocismo degli interessi liquidati o,
meglio, contabilizzati (il legislatore erra quando continua a
parlare di interessi capitalizzati).
Poi, a pochi mesi di distanza, nel giugno 2014, il legislatore
ha ulteriormente modificato il secondo comma dell'art. 120 del TUB
con il Decreto Competitività, entrato in vigore immediatamente

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dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. E’ stata, di
fatto, riaffermata la legittimità dell'anatocismo bancario
delegando al CICR il compito di stabilire modalità e criteri per
la generazione di interessi sugli interessi maturati su base
annua. Tale modifica tuttavia non è stata confermata dalla legge
di conversione del Decreto Competitività ed è pertanto priva di
effetto.
Pertanto la materia è di nuovo regolata in via primaria dalla
modifica introdotta dalla Legge di Stabilità.
In tale disallineamento tra normativa primaria e secondaria,
si discute se fino alla data di emissione della nuova delibera
attuativa da parte del CICR ai sensi dell'art. 120 TUB come
modificato dalla Legge di Stabilità 2014, l'anatocismo debba
ritenersi ancora ammesso nelle operazioni bancarie nel rispetto
delle disposizioni della Delibera CICR del 2000, o debba ritenersi
illegittimo alla luce dell'attuale formulazione di tale articolo.
Orbene, conformemente all’orientamento già espresso da questo
Tribunale, deve ritenersi che la legge di stabilità sia certamente
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RG n. 39225/2015
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fonte normativa sovraordinata rispetto alla delibera del CICR del
9.2.2000 e pariordinata rispetto al D.Lgs. n. 342/1999 che aveva
delegato al CICR l’intervento normativo su modalità e tempi della
capitalizzazione degli interessi in deroga al divieto di
anatocismo dell’art. 1283 cod. civ.
Di conseguenza, a partire dall’1.1.2014 prevale sul precedente
assetto normativo e peraltro esclude dalla futura delega al CICR
la possibilità prima prevista per tale comitato dal D.Lgs. n.
342/1999 di regolamentare la capitalizzazione periodica degli
interessi in contrasto col dettato dell’art. 1283 cod. civ.,
negando in radice la possibilità che al termine dell’anno, o del
periodo di capitalizzazione previsto (attualmente il trimestre),
gli interessi maturati possano andare a costituire capitale
soggetto a sua volta ad applicazione di interessi. Secondo questa
interpretazione, coerente con la finalità di dare continuità
all’orientamento espresso dalle sezioni unite della Corte di
Cassazione, sugli interessi calcolati a partire dal 2014 non sono

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più applicabili ulteriori interessi nei trimestri successivi a
quello di maturazione, o comunque nei periodi successivi alla
capitalizzazione, intesa come accorpamento degli interessi al
capitale, per cui capitale ed interessi devono rimanere separati
nei conteggi periodici.
Trattandosi di norma non retroattiva, questa trova
applicazione anche per i contratti conclusi prima del 31.12.2013
(avendo questi natura di contratti di durata destinati a produrre
per lungo tempo i loro effetti), ma opera con riferimento alle
operazioni compiute a partire dall’1.1.2014.
Lo ius variandi è stato disciplinato prima dall’art. 4 comma 2
L. 17 febbraio 1992, n. 154 (disposizione dotata di ultrattività ex
art. 161 comma 2 T.U.), e poi dall’art. 118 T.U. più volte
modificato, dal D.L 4 luglio 2006, n. 223 convertito con
modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, dalla L. 24 dicembre
2007, n. 244 , dal D. L.vo 13 agosto 2010, n. 141, dal D.Lgs. 14
dicembre 2010, n. 218, dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito
con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106.
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Peraltro, è importante sottolineare che il procedimento di
modifica attraverso il quale si esercita lo ius variandi è sempre
prescritto per le sole variazioni delle condizioni contrattuali in
senso sfavorevole al cliente e non per le modifiche favorevoli allo
stesso.
Con riferimento alla usura originaria, e cioè quella
eventualmente riscontrabile al momento della stipulazione del
contratto di apertura del rapporto, ovvero al momento
dell’esercizio dello ius variandi da parte della Banca, devesi
osservare che il nuovo criterio di calcolo indicato dalle Sezioni
Unite della Cassazione nella recente pronuncia n. 16303/2018,
secondo cui -per il periodo compreso tra l’entrata in vigore della
L. 108/1996 ed il 31.12.2009- la base di calcolo da confrontare
con il tasso soglia va determinata effettuando la separata
comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in
concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS)
eventualmente applicata rispettivamente con il tasso soglia e con

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“la CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale
della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi
dell’art. 2, comma 1, della legge n. 108, compensandosi, poi,
l’importo dell’eventuale eccedenza della CMS rientrante nella
soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo,
pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella
soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.
Devesi tener conto, poi, in ordine al fenomeno della c.d.
usura sopravvenuta, della recente pronuncia delle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione n. 24675 del 19.10.2017, per mezzo della
quale è stato risolto il contrasto creatosi in giurisprudenza
circa la applicabilità della l. n. 108/1996 ai contratti stipulati
antecedentemente alla sua entrata in vigore nonché ai contratti
stipulati sotto la vigenza della normativa anti-usura,
ogniqualvolta il tasso di interesse, in origine pattuito
lecitamente, abbia superato, in corso di svolgimento del rapporto
per effetto di rilevazioni trimestrali in diminutio del tasso

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soglia, il limite oltre il quale gli interessi sono
presuntivamente sempre usurari.
Orbene il Supremo Consesso nella sua decisione, valorizzando
la disposizione di cui all’art. 1, comma 1, d. l. n. 394/2000 di
interpretazione autentica della l. n. 108/1996, ha negato tout
court la configurabilità nel nostro ordinamento dell’usura
sopravvenuta, argomentando come segue: “La ragione della illiceità
risiederebbe, […], nella violazione di un divieto imperativo di
legge, il divieto dell'usura, e in particolare il divieto di
pretendere un tasso d'interesse superiore alla soglia dell'usura
come fissata in base alla legge. Sennonché il divieto dell'usura è
contenuto nell'art. 644 cod. pen.; le (altre) disposizioni della
legge n. 108, cit., non formulano tale divieto, ma si limitano a
prevedere (per quanto qui rileva) un meccanismo di determinazione
del tasso oltre il quale gli interessi sono considerati sempre
usurari a mente, appunto, dell'art. 644, comma terzo, cod. pen.
novellato (che recita: «La legge stabilisce il limite oltre il

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quale gli interessi sono sempre usurari»). L'art. 2, comma 4,
legge n. 108, cit. (che recita: «Il limite previsto dal terzo
comma dell'art. 644 del codice penale, oltre il quale gli
interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso ...»)
definisce, sì, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre
usurari, ma si tratta appunto del limite previsto dal terzo comma
dell'art. 644 del codice penale, essendo la norma penale l'unica
che contiene il divieto di farsi dare o promettere interessi o
altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di
denaro o di altra utilità. Una sanzione (che implica il divieto)
dell'usura è contenuta, per l'esattezza, anche nell'art. 1815,
secondo comma, cod. civ. - pure oggetto dell'interpretazione
autentica di cui si discute - il quale però presuppone una nozione
di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella
norma penale integrata dal meccanismo previsto dalla legge n. 108.
Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso
come usurario senza fare applicazione dell'art. 644 cod. pen.; «ai
fini dell'applicazione» del quale, però, non può farsi a meno -
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perché così impone la norma d'interpretazione autentica - di
considerare il «momento in cui gli interessi sono convenuti,
indipendentemente dal momento del loro pagamento». Non ha perciò
fondamento la tesi che cerca di limitare l'efficacia della norma
di interpretazione autentica alla sola sanzione penale e alla
sanzione civile della gratuità del mutuo, perché in tanto è
configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la
violazione dell'art. 644 cod. pen., come interpretato dall'art. 1,
comma 1, d.l. n. 394 del 2000. […] Tale esegesi delle disposizioni
della legge n. 108 non contrasta, inoltre, con la loro ratio. Una
parte della dottrina attribuisce alla legge n. 108 una ratio
calmieratrice del mercato del credito, che imporrebbe il rispetto
in ogni caso del tasso soglia al momento del pagamento degli
interessi. Va però osservato che la ratio delle nuove disposizioni
sull'usura consiste invece nell'efficace contrasto di tale
fenomeno”.
In chiusura, pertanto, è stata sancita la validità della

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clausola contrattuale contenente un tasso di interesse che,
sebbene pattuito lecitamente, abbia superato al momento del
pagamento il tasso soglia. Invero le Sezioni Unite, nelle ipotesi
di superamento del tasso soglia in un momento successivo a quello
in cui il tasso di interesse è stato pattuito, hanno
perentoriamente escluso, non solo la nullità o l’inefficacia della
clausola contrattuale contenente il tasso di interesse, ma anche
il ricorso al canone della buona fede nell’esecuzione del
contratto in virtù del quale sarebbe stato scorretto la pretesa di
pagamento di un tasso di interesse divenuto usurario ovvero sopra
soglia, enunciando il seguente principio di diritto: “allorché il
tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi,
nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura
come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del
1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola
contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata
anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della
clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale
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soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa
del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso
validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto
del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere
di buona fede nell'esecuzione del contratto”.
La parte attrice ha eccepito la nullità della applicazione
della cd. “commissione di massimo scoperto”, sostenendo che gli
addebiti relativi a tale voce non sarebbero stati pattuiti e che
comunque essa, risolvendosi in un costo aggiuntivo legato
all’erogazione del credito, sia priva di causa e che la relativa
clausola negoziale sia affetta da nullità.
Nella tecnica bancaria, la commissione di massimo scoperto -
tradizionalmente introdotta con una pattuizione accessoria ai
contratti di affidamento in conto corrente- era una commissione
riconosciuta dal cliente alla banca a fronte dell’impegno di
quest’ultima di tenere a sua disposizione l’importo oggetto
dell’affidamento.

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Tuttavia, nel corso degli anni, tale commissione è stata
talvolta applicata anche in maniera diversa rispetto alla sua
originaria funzione, non tenendo conto dell’ammontare dei fondi
messi a disposizione del cliente, utilizzati o non utilizzati, ma
dell’esposizione debitoria massima concretamente raggiunta dal
cliente in un determinato periodo di riferimento, solitamente
trimestrale, non atteggiandosi quindi a controprestazione di
quanto erogato dalla banca al cliente per il periodo di utilizzo
dell’affidamento, ma neppure a remunerazione della tenuta a
disposizione del cliente di somme da parte della banca.
Tale problema è stato, dunque, affrontato in vario modo dalla
giurisprudenza e, con riferimento al periodo anteriore alla data
di entrata in vigore della legge di conversione 28 gennaio 2009 n.
2 (ed, a fortiori, prima dell'art. 117 bis del TUB successivamente
introdotto), si sono affermati i seguenti orientamenti:
a) Un primo orientamento ha ritenuto la cms sempre munita di
causa negoziale lecita, quale che sia la natura di detta
commissione ed il parametro di sua applicazione. Ex multis, in tal
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senso Tribunale Chieti 22 ottobre 2013, secondo il quale
“l'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un
ulteriore compenso, per l'apertura di credito, oltre alla misura
degli interessi pattuiti, può essere considerata sorretta da causa
lecita, in quanto, appunto, remunerazione correlata all'obbligo, a
carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il
massimo importo affidato, o in quanto correlata al rischio
crescente che la banca assume, in proporzione all'ammontare
dell'utilizzo concreto di detto credito da parte del cliente”;
b) Un secondo orientamento giurisprudenziale ha invece
ritenuto che, in assenza di diversa specificazione ed al di fuori
di fattispecie peculiari, la cms abbia sempre una propria causa
laddove sia parametrata allo scoperto del conto, non potendo
estendersi con certezza detta conclusione nelle altre ipotesi. Ex
multis, in tal senso Tribunale Mondovì 17 febbraio 2009, secondo
il quale “la “commissione di massimo scoperto” contenuta nei
contratti bancari, così denominata e senza altra specificazione,

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può quindi ritenersi sorretta da causa lecita – in ipotesi - solo
in relazione allo scoperto di conto. Non sussistendo, entro il
limite del fido, per definizione, uno “scoperto” e potendo
riconoscere validità, per quanto sopra esposto, alle clausole
contrattuali che prevedano “commissioni di massimo scoperto”, solo
se costituenti corrispettivo per l’utilizzo, da parte del cliente,
di importi superiori al credito a sua disposizione, deve
concludersi per l’illegittimità della clausola contrattuale che
ponga a carico del cliente il pagamento di una somma, a tale
titolo, da calcolarsi anche su importi entro il limite del fido,
in quanto priva di causa. Qualora la banca ritenga di dover
richiedere una commissione anche per il credito affidato o per il
credito utilizzato, la relativa pattuizione dovrà essere esplicita
in tal senso, dimostrativa della causa giuridica che la sorregge,
ed il relativo importo dovrà aggiungersi agli interessi pattuiti
nel “costo” del finanziamento concesso”.
c) Un terzo orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che la
cms abbia valida causa solo laddove prevista come corrispettivo
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Sentenza n. 340/2020 pubbl. il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020
per la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto,
calcolata sull'importo accordato e non utilizzato, rimanendo priva
di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal
correntista. Ex multis, in tal senso Tribunale Firenze 16 luglio
2013, secondo il quale “Quanto alla CMS trimestrale, si osserva
che con la sentenza n. 870 del 18 gennaio 2006 la Cassazione ha
finalmente dato una corretta definizione della commissione di
massimo scoperto, definendola come la remunerazione accordata alla
banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del
correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della
somma. La CMS assume dunque, carattere di corrispettivo
dell’obbligo della banca di tenere a disposizione del cliente una
certa somma per un certo lasso di tempo, indipendentemente
dall’utilizzazione del credito. Se è tale la funzione della CMS,
allora la stessa deve essere computata solo ed unicamente nel caso
in cui il cliente non abbia mai utilizzato l’apertura di credito.
Viceversa, quando la banca, come di solito accade, applica tale

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commissione in caso di utilizzo dell’apertura di credito, la CMS
risulta essere priva di una giustificazione causale, in quanto il
corrispettivo della messa a disposizione del cliente di una certa
somma è rappresentato dagli interessi corrispettivi applicati, che
dovranno essere calcolati, nella misura convenuta, sulla somma
concretamente utilizzata e per tutto il periodo di tempo in cui la
somma è stata utilizzata. Pertanto, la CMS va calcolata o
sull’intera somma messa a disposizione della banca (accordato)
ovvero sulla somma rimasta disponibile in quel dato momento e non
utilizzata dal cliente. Da ciò discende che la CMS applicata nel
trimestre sull’utilizzato altro non è che un onere mascherato e
come tale va trattata e quindi non è dovuta poiché priva di causa.
A maggior ragione, l’applicazione di tale commissione risulta
oltremodo priva di giustificazione causale, in caso di chiusura
del conto, che determina il venir meno anche dell’apertura di
credito in esso regolata. La CMS va, dunque, ritenuta indebita in
quanto applicata trimestralmente insieme agli interessi passivi,
ovvero sull’utilizzato”;
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Sentenza n. 340/2020 pubbl. il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020
d) Infine, un quarto indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto
invece la CMS priva di causa negoziale tout court, in ogni
fattispecie, sia se calcolata sull'utilizzato (indifferentemente
intra o extra fido), sia se calcolata sull'accordato. Ex multis,
in tal senso Tribunale di Novara 1° ottobre 2012.
In questo contesto è, poi, intervenuto l’art. 2 bis del D.L.
29.11.2008 n°185, inserito in sede di conversione nell’art. 1
della L. 28.1.2009 n° 2 prevedendo la nullità delle clausole
contrattuali aventi ad oggetto la c.m.s. nel caso in cui il saldo
del cliente risultasse a debito per un periodo continuativo
inferiore a trenta giorni, ovvero a fronte di utilizzi in assenza
di fido, nonché delle clausole che prevedessero una remunerazione
accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore
di un correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento
della somma ed altre restrizioni.
Tuttavia, tale intervento normativo non teneva conto delle
ulteriori commissioni sostitutive (es. commissione per istruttoria

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urgente, commissione per scoperto di conto, recupero spese per
ogni sospeso, commissione mancanza fondi, onere per passaggio a
debito nel trimestre), frustrando l’obiettivo di trasparenza ed
intelleggibilità delle voci di costo e di tutela del risparmio
della clientela perseguito dal legislatore.
E’ quindi intervenuto l’art. 6 bis del D.L. 6.12.2011 n° 201
(decreto Salva Italia), convertito nella L. 22.12.2011 n° 214, che
ha introdotto nel T.U.B. l’art. 117 bis, poi nuovamente modificato
nel 2012. Sicchè, l’attuale disciplina dettata dall’art. 117 bis
del T.U.B. e dal Decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze n° 644 del 30.6.2012 così articolata prevede:
per i contratti di apertura di credito in conto corrente (in
base ai quali il cliente ha facoltà di utilizzare e di
ripristinare la disponibilità dell’affidamento) e per gli
affidamenti a valere su conti di pagamento (ossia su conti aperti
presso istituti di pagamento autorizzati ex art. 114-octies lett.
b del TUB) l’applicazione nei rapporti tra intermediari abilitati
e clienti siano essi consumatori, o professionisti (non vi
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Sentenza n. 340/2020 pubbl. il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020
rientrano gli operatori professionali del mercato finanziario
quali le banche, le società finanziarie, le società di gestione
del risparmio, i fondi pensione, Poste Italiane SPA) quali unici
oneri a carico del cliente di una commissione omnicomprensiva
calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a
disposizione del cliente ed alla durata dell’affidamento,
commissione che deve essere pattuita nel contratto e non deve
superare il limite dello 0,5% trimestrale della somma messa a
disposizione del cliente, (che esclude le commissioni per
l’istruttoria e le spese per il conteggio degli interessi, potendo
invece essere poste a carico del cliente le imposte, le spese
notarili, gli oneri conseguenti a inadempimento del cliente, le
spese per iscrizione ipotecaria e le spese per far fronte a
servizi di pagamento per l’utilizzo dell’affidamento) ed un tasso
di interesse debitore sulle somme effettivamente prelevate;
per gli sconfinamenti (utilizzo extrafido, o in assenza di
fido che faccia registrare uno sconfinamento nel saldo di giornata

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e non nel solo saldo per valuta richiedendosi l’effettivo addebito
autorizzato dall’intermediario sia esso richiesto, o meno dal
cliente) l’applicazione esclusiva di una commissione istruttoria
veloce, (c.i.v.) che va determinata per ciascun contratto in
misura fissa ed espressa in valore assoluto e solo per i clienti
che non siano consumatori possono essere previsti tre scaglioni a
seconda dell’entità dello sconfinamento, mentre altrimenti non può
essere determinata in percentuale rispetto allo sconfinamento, ma
non ha un limite fisso predeterminato non dovendo comunque
eccedere i costi medi sostenuti dall’intermediario per svolgere
l’istruttoria e a questa direttamente connessi e di un tasso di
interesse debitore sull’ammontare e per la durata dello
sconfinamento (per cui tale tasso non può essere applicato in caso
di sconfinamento per la parte utilizzata nei limiti del fido).
La c.i.v. in base all’art. 1 comma 1 ter d.L. 24.3.2012 n° 29
(come modificato dal Decreto CICR) non si applica ai consumatori
nei casi di sconfinamenti pari o inferiori a 500 euro in assenza
di affidamento ovvero oltre il limite del fido, per un solo
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periodo, per ciascun trimestre bancario, non superiore alla durata
di sette giorni consecutivi e neppure nei casi in cui lo
sconfinamento sia la conseguenza di un pagamento effettuato a
favore dell’intermediario.
Le clausole non conformi a questa disciplina sono nulle in
base all’art. 27 bis del D.L. 24.1.2012 n° 1 e successive
modifiche ed in base all’art. 117 bis comma 3° del TUB, in quanto
l’art. 27 bis nella sua attuale formulazione è stato introdotto
per estendere la sanzione della nullità a tutti i casi di
violazione della disciplina attuativa dettata dal Decreto CICR
sopravvenuto all’art. 117 bis del TUB, il quale ultimo stabilisce
che la nullità della clausola non comporta la nullità del
contratto escludendo quindi la disciplina della nullità parziale
dell’art. 1419 cod. civ..
La disciplina è entrata in vigore l’1.7.2012 e l’adeguamento
dei contratti di apertura di credito e conto corrente in corso
doveva avvenire ad opera delle banche entro un mese per rispettare

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il termine dell’1.10.2012 col meccanismo previsto dall’art. 118
del TUB se contemplato nei singoli contratti (che richiede la
comunicazione scritta al cliente con un preavviso di almeno due
mesi e l’evidenziazione che si tratta di “proposta di modifica
unilaterale del contratto”).
Alla luce di tale complessa situazione, devesi ritenere che –
con riferimento al periodo antecedente il 2009 (data del primo
intervento normativo)- la cms abbia un'idonea causa
giustificatrice solo qualora sia prevista come corrispettivo per
la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto,
calcolata sull'importo accordato e non utilizzato, conformemente
all’orientamento riportato sub c) ed alla posizione espressa dalla
Suprema Corte, secondo cui la c.m.s. rappresenta “la remunerazione
accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a
favore del correntista indipendentemente dall’effettivo
prelevamento della somma” (in tal senso Cass. 18.1.2006 n°870)
servendo a riequilibrare i costi sostenuti dalla banca per

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approvvigionarsi del denaro che sarebbe stato concesso alla
clientela.
Per contro, la cms deve essere ritenuta priva di causa laddove
calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. Ed
infatti, appare legittimo che i contratti di apertura di credito
prevedano la cms come una remunerazione della messa a disposizione
di un importo da parte della banca, nella misura in cui detta
somma non sia utilizzata: trattasi, invero, di una prestazione
dell'istituto di credito che ha (a prescindere dal suo ammontare)
un costo per lo stesso, segnatamente nemmeno remunerato dagli
interessi, generalmente calcolati solo sull'importo utilizzato se,
quando e nella misura in cui si verifichi l’utilizzazione.
D'altro canto, non può riconoscersi un'idonea causa
giustificatrice laddove la cms sia applicata sull'utilizzato,
indifferentemente intra o extra fido. Rileva in tal senso non solo
e non tanto la previsione di interessi sull'importo utilizzato (la
quale già remunera la banca della concreta privazione di

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liquidità), ma anche e soprattutto l'atteggiarsi della cms in
dette ipotesi.
Ed invero, laddove la cms sia applicata sull'utilizzato, la
stessa – in genere – viene parametrata all'utilizzo più elevato
nel trimestre di riferimento, a prescindere dalla durata di detta
massima esposizione debitoria. Orbene, è proprio l'irrilevanza
della durata della massima esposizione debitoria nel periodo di
riferimento a palesare la mancanza di causa della cms in dette
ipotesi: in questi termini, infatti, la cms perde la logica di un
corrispettivo per la somma utilizzata, prescindendo dalla concreta
durata della perdita di liquidità della banca, atteggiandosi
invece come una sorta di inammissibile clausola penale per il
“fatto lecito”, in quanto, da un lato, quantificata in un forfait
a prescindere dalla durata dell'erogazione del credito e,
dall'altro, inaccettabilmente prevista per quanto è oggetto del
contratto di apertura di credito e non anche per l'inadempienza
dello stesso. Inoltre, va anche considerato che i contratti di

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RG n. 39225/2015
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apertura di credito in genere prevedono un interesse moratorio
convenzionale specifico per le somme rese disponibili extra fido.
Ciò posto, all’esito delle emergenze istruttorie nonché della
c.t.u. espletata le cui conclusioni, essendo immuni da vizi
tecnico argomentativi devono essere nella loro sostanza condivise,
il che consente di disattendere la richiesta dell’attrice di
riconvocazione del c.t.u., è risultato, testualmente, che: “1.
Accertamento dell’eventuale superamento del c.d. Tasso-Soglia di
cui alla L. n. 108/96
Sulla base delle risultanze analiticamente esposte nel prospetto
in appendice alla presente relazione (Appendice 1), è risultato
che – nel periodo dal 02.04.2012 (N.B. data di apertura del c/c)
al 09.06.2015 (N.B. data di notifica dell’atto di citazione) – il
T.E.G. del rapporto non ha mai superato il corrispondente tasso-
soglia ex L. n. 108/96 di periodo, potendo così escludere
l’ipotesi di usurarietà originaria e/o sopravvenuta con
riferimento agli interessi corrispettivi secondo i parametri di

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analisi stabiliti nei quesiti peritali.
2. Ricalcolo del saldo al 09.06.2015 con applicazione dei giorni
di valuta così come rilevati negli E/C bancari
Sulla base delle risultanze analiticamente esposte nel prospetto
in appendice alla presente relazione (Appendice 2) – nell’ambito
della presente ipotesi di lavoro – è risultato che, a seguito del
ricalcolo degli interessi e delle competenze nel periodo dal
02.04.2012 (N.B. data di apertura del c/c) al 09.06.2015 (N.B.
data di notifica dell’atto di citazione), il saldo finale del c/c
n. 6335-677 sarebbe pari all’importo a debito di € 45.967,11
anziché di € 68.979,16 come registrato negli E/C bancari, con una
differenza a credito del correntista di € 23.012,05.
3. Ricalcolo del saldo al 09.06.2015 con applicazione dei giorni
di valuta disciplinati dall’art. 120 del T.U.B.
Sulla base delle risultanze analiticamente esposte nel prospetto
in appendice alla presente relazione (Appendice 3) – nell’ambito
della presente ipotesi di lavoro – è risultato che, a seguito del
ricalcolo degli interessi e delle competenze nel periodo dal
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02.04.2012 (N.B. data di apertura del c/c) al 09.06.2015 (N.B.
data di notifica dell’atto di citazione), il saldo finale del c/c
n. 6335-677 sarebbe pari all’importo a debito di € 44.526,26
anziché di € 68.979,16 con una differenza a credito del
correntista di € 24.452,90.”
In conclusione, scartata l’ipotesi di ricalcolo n. 1 della
c.t.u. non ritenendosi pertinente al caso in esame, ne discende
che appare meritevole di accoglimento l’ipotesi n. 2 del c.t.u. e
per l’effetto, valutato il saldo in questione, risulta una
differenza a favore dell’attrice di € 24.452,90, ed in tale misura
deve quindi essere quantificato il credito in favore dell’attrice.
Rebus sic stantibus, devono ritenersi assorbite le altre
domande proposte dall’attrice.
La domanda di risarcimento danni proposta dall’attrice,
essendo risultata del tutto sfornita di prova, deve essere
disattesa.
Non sussistono i presupposti per la condanna della convenuta

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ex art. 96 c.p.c., richiesta dall’attrice; come è ormai noto, si
tratta di un meccanismo di natura tipicamente sanzionatoria
introdotto dalla legge n. 69 del 2009, in considerazione del danno
che con l'abuso dello strumento processuale viene arrecato non
solo alla controparte, ma indirettamente anche all'erario, con la
congestione degli uffici giudiziari, l'incremento del rischio del
superamento del canone costituzionale della ragionevole durata del
processo ed il pericolo di condanna dello Stato alla
corresponsione dell'indennizzo ex L. n. 89 del 2001. Come è stato
sottolineato dalla S.C., con l'art. 96, terzo comma, c.p.c. è
stato introdotto nell'ordinamento processuale il potere del
giudice di applicare una vera e propria pena pecuniaria di natura
privata, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova
del danno causalmente derivato alla condotta processuale
dell'avversario (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17902 del
30/07/2010). E' pertanto sufficiente che sussistano i requisiti
della totale soccombenza e della condotta censurabile sotto il
profilo dell'abuso dello strumento processuale.
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Sentenza n. 340/2020 pubbl. il 08/01/2020
RG n. 39225/2015
Repert. n. 313/2020 del 08/01/2020
Nel caso in esame, tuttavia, non vi sono elementi per poter
ritenere sussistente un abuso dello strumento processuale da parte
della convenuta.
Tenuto conto dell’accoglimento solo in parte delle domande
svolte dalla parte attrice, appare equo disporre la compensazione
delle spese di lite tra le parti nella misura della metà, ponendo
a carico della parte convenuta la restante metà, liquidata in
ragione dell’accolto.
Analogo criterio va osservato per la ripartizione delle spese
di ctu, liquidate in separato provvedimento, ponendo le stesse a
carico di entrambe le parti per metà ciascuna.
P.Q.M.

il Giudice Unico del Tribunale di Roma, definitivamente


pronunciando, così provvede:
in parziale accoglimento delle domande attoree determina il
saldo di c/c in favore dell’attrice di € 24.452,90;
Respinge la domanda di risarcimento danni ed ex art. 96 c.p.c.

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proposte dall’attrice.
Condanna parte convenuta alla refusione, in favore di parte
attrice, delle spese di lite che liquida in complessivi € 3.890,00
per compensi, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%,
iva e cap come per legge, compensando tra le parti la restante
metà.
Pone definitivamente a carico di entrambe le parti per metà
ciascuna le spese di c.t.u.
Così deciso in Roma, in data 3.12.2019

il Giudice unico
dott. Giuseppe Di Salvo

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