Privato Capitolo 1-7
Privato Capitolo 1-7
Privato Capitolo 1-7
La norma giuridica.
L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole.Si
chiama norma e poiché dotata d’autorità si dice giuridica.
La norma giuridica non va mai confusa con la norma morale: mentre
ciascuna regola morale è assoluta, la regola giuridica deriva la propria
forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità
nell’ambito dell’organizzazione di una collettività.
I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano “fonti”.
Non bisogna confondere il concetto di “norma giuridica” con quello di
“legge”: per un verso infatti, si può parlare di rapporto contenente a
contenuto in quanto nella legge vi sono le norme.
Diritto positivo e diritto naturale.
Il complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico
rappresenta il “diritto positivo” di quella società.
Il c.d. “diritto naturale” è talvolta inteso come matrice dei singoli diritti
positivi, talaltra come criterio di valutazione critica dei concreti
ordinamenti.
L’esigenza che il richiamo al diritto naturale cerca di soddisfare è in ogni
caso l’aspirazione a trovare un fondamento obiettivo al diritto positivo che
elimini il rischio di arbitrarietà del potere.
La sanzione.
La sanzione è una conseguenza al danno del trasgressore, la cui minaccia
favorisce l’osservanza spontanea della norma.
Spesso, accanto a “norme di condotta” (dette primarie), il legislatore
prevede una “reazione” dell’ordinamento (c.d. norme sanzionatorie o
secondarie), da far scattare in caso di inosservanza del comportamento
prescritto.
La sanzione può operare in modo diretto (realizzando il risultato che la
legge prescrive), o in modo indiretto: in questo caso l’ordinamento si
avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire
alla sua violazione.
Nel diritto privato, in particolare, la sanzione non opera, di regola,
direttamente. Se un pittore non realizza il quadro che gli ho ordinato, non
posso costringerlo, ma posso chiedere il risarcimento dei danni.
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Caratteri della norma giuridica: Generalità ed astrattezza.Il
principio Costituzionale di eguaglianza.
I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la
generalità e la astrattezza dei relativi precetti.
Con il carattere della generalità si intende sottolineare che la legge non
deve essere dettata per singoli individui, bensì o per tutti i consociati o
per classi generiche di soggetti.
Con il carattere della astrattezza si intende sottolineare che la legge non
deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per
fattispecie (stato di cose) astratte, ossia per situazioni individuate
ipoteticamente.
Importante è diventata il c.d. “principio di eguaglianza”(art. 3 Cost.).
Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici
uffici devono rispettare il criterio della imparzialità (art. 97 Cost.), ossia
l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale.
Nell’art. 3 della Cost. è invece codificato il vero principio di eguaglianza,
che ha due profili:
1) il primo è di carattere formale (art. 3.1) ed importa che “tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni sociali e personali”;
2) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3.2) ed impegna la
Repubblica a ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla corte
Costituzionale.
L’equità.
L’equità è stata definita la giustizia del caso singolo.
L’ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo
all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi
alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano
prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro
comportamenti (principio della certezza del diritto).
Perciò, nel diritto privato, il ricorso all’equità è ammesso solo in casi
eccezionali e precisamente in quelli in cui la stessa norma giuridica rinvia
all’equità (art.113 c.p.c).
Dall’equità come criterio decisorio va distinta l’equità ‘integrativa’ che si
riferisce ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad
integrare o determinare ‘secondo equità’ gli elementi di una fattispecie.
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Capitolo 2: IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI
Diritto pubblico e diritto privato.
Una distinzione tradizionale, un tempo considerata fondamentale, è quella
tra diritto pubblico e diritto privato.
Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti
pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, ed impone a
questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita
associata e il reperimento dei mezzi finanziari necessari per il
perseguimento delle finalità pubbliche. Si articola nelle varie branche del
costituzionale, penale, amministrativo.
Il diritto privato invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali,
sia dei singoli che degli enti privati, non affidandone la cura ad organi
pubblici, ma lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle
norme. Anche il diritto privato è parte dell’ordinamento (ius positum) ma
si tratta pur sempre di disposizioni in base a cui il singolo opera su un
piano di uguaglianza con altri individui, non trovandosi in situazione di
soggezione di fronte ad un potere pubblico supremo.
La linea di demarcazione tra diritto pubblico e privato è variabile e
incerta: un medesimo fatto può venire disciplinato sia da norme di diritto
privato che da norme di diritto pubblico.
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1) Al vertice della gerarchia delle fonti di produzione vi è la Costituzione,
entrata in vigore nel 1948, che è la legge fondamentale dello Stato. Sullo
stesso piano gerarchico ci sono le leggi costituzionali, in quanto sono
emanate dal Parlamento. Su un gradino inferiore ci sono le leggi statali
ordinarie, che sono dette fonti primarie, e sono approvate dal parlamento
con una procedura particolare. Alle leggi statali sono equiparati sia i
decreti legislativi delegati che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati
dal Governo e non dal Parlamento, ma a condizione che, rispettivamente,
o si mantengano rispettosi della legge di delega (nel 1° caso) o siano
convertiti in legge dal Parlamento entro 60 gg. (nel 2° caso). Subordinate
alle leggi si possono avere tante altre “fonti” di diritto, dette fonti
secondarie: l’art.1 delle preleggi menziona “regolamenti”, “le norme
corporative” e “gli usi”.
I regolamenti sono degli atti che comprendono norme giuridiche emanate
dagli organi del potere esecutivo. A livello regionale le fonti secondarie
sono rappresentate dai regolamenti regionali, che sono competenti in
determinati ambiti stabiliti.
Il codice civile
Nel linguaggio giuridico, il termine “codice” indica una raccolta di materiali
normativi. Il codice civile è stato approvato nel 1942 con un decreto
regio.
Gli articoli possono essere sempre modificati, in tutto o in parte abrogati,
con leggi ordinarie successive; spesso le modifiche vengono apportate con
la tecnica della “Novella”, ossia sostituendo direttamente il testo di un
articolo, ferma la numerazione originaria, ovvero aggiungendo articoli
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nuovi. Esso è costituito:
– dalla parte introduttiva, di 31 articoli dedicati alle preleggi, cioè le fonti
del diritto;
– dal libro primo (artt. 1-455) delle persone e della famiglia;
– dal libro secondo (artt. 456-809) delle successioni;
– dal libro terzo (artt. 810-1172) della proprietà;
– dal libro quarto (artt. 1173-2059) delle obbligazioni;
– dal libro quinto (artt. 2060-2642) del lavoro;
– dal libro sesto (artt. 2643-2962) della tutela dei diritti.
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norma sostituisce, ma solo per specifici casi, la disciplina prevista dalla
norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri
casi.
Successione di leggi.
In alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia
legge e quella nuova con specifiche norme, che si chiamano disposizioni
transitorie. Le nuove norme non sono efficaci nei confronti di fatti
compiuti dalla legge precedente, anche se non si sono ancora verificati gli
effetti (teoria del fatto compiuto). Inoltre il diritto già acquistato da un
soggetto non può essere eliminato da una legge successiva (teoria del
diritto quesito).
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a) interpretazione giudiziale, compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio
della loro funzione;
b) interpretazione dottrinale, costituita dagli apporti di studio dei cultori
delle materie giuridiche, che raccolgono materiale utile alla
interpretazione delle varie disposizioni, e illustrano i possibili significati e
le varie soluzioni interpretative;
c) interpretazione autentica, che proviene dallo stesso legislatore, che
emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti.
Questa ha efficacia retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il
valore da attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano
sorti sulla sua interpretazione.
Le regole dell’interpretazione.
Il c.c. impone di valutare non solo il significato proprio delle parole (c.d.
interpretazione letterale), ma anche l’intenzione del legislatore.
Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono:
a) il criterio logico: attraverso l’argumentum a contrario, l’argumentum a
simili, l’argumentum a fortiori e l’argumentum ad absurdum;
b) il criterio storico: nessuna disposizione spunta all’improvviso in un
ordinamento;
c) il criterio sistematico: il complesso delle norme in cui la disposizione va
inserita;
d) il criterio sociologico: gli aspetti economico-sociali a cui la norma si
riferisce;
e) il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col
senso di giustizia della comunità, favorendo invece soluzioni equilibrate
degli interessi confliggenti.
L’analogia.
Quando il giudice si trova di fronte a casi che nessuna norma prevede e
risolve, non può rifiutarsi di decidere; quindi deve procedere per analogia,
cioè rifacendosi a casi simili o ai principi generali dell’ordinamento.
L’analogia si fonda su una identità di ratio: ove tra due fattispecie sussista
una somiglianza data da identità di alcuni elementi; anche al secondo
caso, per il quale ricorre una identica ratio (giustificazione), potrà
applicarsi la norma dettata per la prima fattispecie.
L’analogia non è consentita né per le leggi penali, né per le norme
eccezionali.
Il divieto si giustifica nel primo caso, per il principio di stretta legalità che
caratterizza le norme incriminatrici: nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto. Nel
secondo caso, per non allargare le deroghe, privilegiando la disciplina
normale e non quella eccezionale.
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In ciascun Paese, vengono elaborate norme di diritto internazionale
privato: il diritto internazionale privato è l’insieme delle norme di diritto
interno che il giudice italiano deve applicare - nel caso in cui si debba
decidere una controversia relativa ad una fattispecie che presenti
elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento giuridico - per
individuare la legge regolatrice della fattispecie, ossia l’ordinamento
giuridico in base al quale dev’essere decisa la controversia.
Il diritto internazionale privato:
a) sebbene venga tradizionalmente denominato così, non è in realtà un
diritto internazionale: tale è il c.d. diritto internazionale pubblico, ossia il
diritto che ha fonte in accordi tra soggetti internazionali, ma non il diritto
internazionale privato, che è invece il diritto interno, ciascun ordinamento
stabilendo il proprio;
b) non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma
comprende pure altri tipi di rapporti soprattutto quelli di tipo processuale;
c) è costituito non da norme materiali, ossia che disciplinano esse stesse
la sostanza di talunirapporti, bensì da regole strumentali, che si limitano
cioè ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere
poi, applicando l’ordinamento così individuato, a stabilire come quel
rapporto vada disciplinato.
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per la forma del matrimonio vale la legge del luogo di celebrazione,
ma può applicarsi pure la legge nazionale di almeno uno dei coniugi al
momento della celebrazione o la legge dello Stato di comune residenza in
quel momento (art.28);
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straniera applicabile, anche interpellando il Ministero della Giustizia o
istituzioni specializzate ed eventualmente con la collaborazione delle parti.
Nel caso in cui non risulti possibile in alcun modo, il giudice deciderà in
base alla legge italiana.
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Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione
dell’interesse del singolo al quale, al tempo stesso si riconosce una
situazione di libertà (di chiedere o non chiedere il risarcimento del danno
secondo una mia personale valutazione di opportunità).
In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma
per realizzare un interesse altrui. Le figure di poteri che al tempo stesso
sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà. Mentre l’esercizio del
diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che
ritiene più opportuni, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine
della cura dell’interesse altrui.
Le facoltà (o diritti facoltativi) sono, invece, manifestazioni del diritto
soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono in esso
comprese. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il diritto di cui
fanno parte.
Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi
successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed altri no, si ha la figura
dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a
condizione che prenda la laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se
non quando avrà preso la laurea: intanto si trova in una posizione di
attesa che viene tutelata dall’ordinamento).
Quest’ipotesi del diritto soggettivo che si realizza attraverso stadi
successivi viene anche considerata, oltre che dal lato del soggetto
(aspettativa), sotto il punto di vista oggettivo della fattispecie. Si parla,
infatti, di fattispecie a formazione progressiva, per dire che il risultato si
realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al singolo costituisce un effetto
anticipato della fattispecie.
A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la
quale deriva falla sua posizione in un gruppo sociale. Status è, pertanto,
una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una
collettività. Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino)
o do diritto privato (es. stato di figlio).
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- i diritti reali (iura in re, diritti su una cosa): attribuiscono al titolare
una signoria piena (proprietà) o limitata (diritti reali su cosa altrui) su un
bene. Relazione immediata tra l’uomo e la cosa, gli altri soggetti devono
solo astenersi dall’impedire lo svolgimento pacifico della signoria;
Il rovescio sia nei diritti reali che nei diritti di credito è costituito dal
dovere:
- a fronte del diritto reale si pone, in capo a qualsiasi consociato, un
generico dovere negativo di astensione dal compiere qualsiasi atto volto a
impedire o limitare il godimento del bene;
- a fronte del diritto di credito si pone il dovere, di una o più persone
determinate, tenute ad eseguire una determinata prestazione o
comportamento per il soddisfacimento del creditore.
Situazioni di fatto.
L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il
dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il soggetto può trovarsi
rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.
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Si hanno le 2 figure delpossessoe detenzione.
Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di
pre-uso di un marchio, di famiglia, di rapporti di lavoro, di mezzadria.
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capitali, etc) con autonomia patrimoniale perfetta.
A) LA PERSONA FISICA
La capacità giuridica.
Nel nostro ordinamento i soggetti dell’attività giuridica sono la persona
fisica, la persona giuridica e gli enti di fatto. La capacità giuridica è
l’idoneità a diventare titolare di diritti e doveri.
L’uomo acquista la capacità giuridica con la nascita. Dato l’art. 3 della
cost. che prevede l’uguaglianza tra gli uomini, ogni uomo dispone della
capacità giuridica, anche lo straniero.
Per le persone fisiche si acquista al momento della nascita (art.1 c.c.), del
distacco, cioè, del feto dal corpo materno.
Entro 10 giorni la nascita deve essere dichiarata all’ufficiale di stato civile
per la formazione dell’atto di nascita.
La persona fisica perde la capacità giuridica con la morte, che è la
cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Anche la morte deve essere dichiarata dai congiunti o dal direttore
dell’ospedale all’ufficiale di stato civile.
Le incapacità speciali.
In alcuni rapporti la capacità giuridica presenta delle limitazioni.
Le incapacità possono essere:
a) assolute: se un soggetto non può compiere un certo atto (non può
sposarsi prima di 16 anni);
b) relative: se un soggetto non può compiere un atto con determinate
persone o in determinate circostanze (ad es. il tutore non può avere la
capacità di succedere alla persona sottoposta alla sua tutela).
In tutti questi casi si ravvisa una limitazione della capacità giuridica.
Il concepito.
Non è invece considerato “soggetto” il concepito, ma alcune posizioni
giuridiche gli sono concesse. Il concepito ha la capacità a succedere per
causa di morte; la capacità di ricevere per donazione; ha diritto al
risarcimento di danni alla salute e l’integrità fisica causatigli prima o
durante il parto. I suoi diritti sono però subordinati alla nascita.
Per l’art.462.2 c.c. si presume concepito al tempo dell’apertura della
successione chi è nato entro 300 gg. dalla morte della persona della cui
successione di tratta. Il comma 3 afferma che possono inoltre ricevere per
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