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Privato Capitolo 1-7

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RIASSUNTO DIRITTO PRIVATO TORRENTE

Capitolo 1: L’ORDINAMENTO GIURIDICO


L’ordinamento giuridico.
L’ordinamento giuridico è costituito dal complesso delle norme e di
istituzioni mediante le quali viene regolato e diretto lo svolgimento della
vita sociale e dei rapporti tra i singoli.
La cooperazione tra gli uomini rende realizzabili risultati che sarebbero
altrimenti irraggiungibili per il singolo.
Per aversi un gruppo organizzato occorrono 3 condizioni:
1) che il coordinamento degli apporti individuali venga disciplinato da
regole di condotta;
2) che queste regole siano decise da appositi organi;
3) che le regole di condotta e di struttura vengano effettivamente
osservate.
Il sistema di regole, modelli e schemi mediante i quali è organizzata una
collettività viene chiamato “ordinamento”.Quindi la finalità
dell’ordinamento giuridico è quella di “ordinare” la realtà sociale.
Gli uomini danno vita a collettività di vario tipo (pluralità degli
ordinamenti giuridici, Costituzione).Tra tutte le forme di collettività, la più
importante è la società politica. Le società politiche hanno assunto forme
diverse nella storia.
Un ordinamento giuridico si dice originario quando la sua organizzazione
non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un’altra
organizzazione (superiorem non recognoscit).
Lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali, indipendente ed
originario, dotato di potere sovrano nell’ambito del proprio territorio.

Gli ordinamenti sovranazionali. L’Unione Europea.


Interessa la teoria dell’ordinamento giuridico anche la partecipazione
dell’Italia alla comunità internazionale: l’art.10 della Costituzione enuncia
il principio per cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Il diritto internazionale trae origine dalla prassi delle relazioni tra gli Stati,
da accordi bilaterali o plurilaterali.

La norma giuridica.
L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole.Si
chiama norma e poiché dotata d’autorità si dice giuridica.
La norma giuridica non va mai confusa con la norma morale: mentre
ciascuna regola morale è assoluta, la regola giuridica deriva la propria
forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di autorità
nell’ambito dell’organizzazione di una collettività.
I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano “fonti”.
Non bisogna confondere il concetto di “norma giuridica” con quello di
“legge”: per un verso infatti, si può parlare di rapporto contenente a
contenuto in quanto nella legge vi sono le norme.
Diritto positivo e diritto naturale.
Il complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico
rappresenta il “diritto positivo” di quella società.
Il c.d. “diritto naturale” è talvolta inteso come matrice dei singoli diritti
positivi, talaltra come criterio di valutazione critica dei concreti
ordinamenti.
L’esigenza che il richiamo al diritto naturale cerca di soddisfare è in ogni
caso l’aspirazione a trovare un fondamento obiettivo al diritto positivo che
elimini il rischio di arbitrarietà del potere.

La struttura della norma. La fattispecie.


La fattispecie è un enunciato costituito da un’ipotesi di fatto che dopo
essersi verificato determina una conseguenza giuridica.
Si parla di fattispecie astratta e di fattispecie concreta.
Per fattispecie “astratta” s’intende un complesso di fatti non realmente
accaduti, ma descritti ipoteticamente in una norma ad indicare quanto
deve verificarsi affinché si produca una data conseguenza giuridica.
Per fattispecie “concreta” invece, s’intende un complesso di fatti
realmente verificatisi, e rispetto ai quali occorre accertare se e quali effetti
giuridici ne siano derivati.
Mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura
operazione intellettuale, l’indagine sulla fattispecie concreta consiste
nell’accertamento del fatto storico, realmente verificatosi, da confrontare
con l’ipotesi astratta prevista dalla legge.
La fattispecie può constare di un solo fatto e si chiama allora fattispecie
semplice.
Se invece la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici essa si
dice complessa.
In alcuni casi se la fattispecie consta di una serie di fatti che si succedono
nel tempo, viene detta formazione progressiva.

La sanzione.
La sanzione è una conseguenza al danno del trasgressore, la cui minaccia
favorisce l’osservanza spontanea della norma.
Spesso, accanto a “norme di condotta” (dette primarie), il legislatore
prevede una “reazione” dell’ordinamento (c.d. norme sanzionatorie o
secondarie), da far scattare in caso di inosservanza del comportamento
prescritto.
La sanzione può operare in modo diretto (realizzando il risultato che la
legge prescrive), o in modo indiretto: in questo caso l’ordinamento si
avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire
alla sua violazione.
Nel diritto privato, in particolare, la sanzione non opera, di regola,
direttamente. Se un pittore non realizza il quadro che gli ho ordinato, non
posso costringerlo, ma posso chiedere il risarcimento dei danni.

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Caratteri della norma giuridica: Generalità ed astrattezza.Il
principio Costituzionale di eguaglianza.
I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la
generalità e la astrattezza dei relativi precetti.
Con il carattere della generalità si intende sottolineare che la legge non
deve essere dettata per singoli individui, bensì o per tutti i consociati o
per classi generiche di soggetti.
Con il carattere della astrattezza si intende sottolineare che la legge non
deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per
fattispecie (stato di cose) astratte, ossia per situazioni individuate
ipoteticamente.
Importante è diventata il c.d. “principio di eguaglianza”(art. 3 Cost.).
Dal principio di eguaglianza va tenuto distinto il principio per cui i pubblici
uffici devono rispettare il criterio della imparzialità (art. 97 Cost.), ossia
l’obbligo di applicare le leggi in modo eguale.
Nell’art. 3 della Cost. è invece codificato il vero principio di eguaglianza,
che ha due profili:
1) il primo è di carattere formale (art. 3.1) ed importa che “tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni sociali e personali”;
2) il secondo è di carattere sostanziale (art. 3.2) ed impegna la
Repubblica a ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il controllo del rispetto del principio di eguaglianza è affidato alla corte
Costituzionale.

L’equità.
L’equità è stata definita la giustizia del caso singolo.
L’ordinamento giuridico sacrifica spesso la giustizia del caso singolo
all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi
alla valutazione soggettiva del giudice e preferisce che i singoli possano
prevedere esattamente quali saranno le conseguenze dei loro
comportamenti (principio della certezza del diritto).
Perciò, nel diritto privato, il ricorso all’equità è ammesso solo in casi
eccezionali e precisamente in quelli in cui la stessa norma giuridica rinvia
all’equità (art.113 c.p.c).
Dall’equità come criterio decisorio va distinta l’equità ‘integrativa’ che si
riferisce ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad
integrare o determinare ‘secondo equità’ gli elementi di una fattispecie.

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Capitolo 2: IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI
Diritto pubblico e diritto privato.
Una distinzione tradizionale, un tempo considerata fondamentale, è quella
tra diritto pubblico e diritto privato.
Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti
pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, ed impone a
questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per rispettare la vita
associata e il reperimento dei mezzi finanziari necessari per il
perseguimento delle finalità pubbliche. Si articola nelle varie branche del
costituzionale, penale, amministrativo.
Il diritto privato invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali,
sia dei singoli che degli enti privati, non affidandone la cura ad organi
pubblici, ma lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle
norme. Anche il diritto privato è parte dell’ordinamento (ius positum) ma
si tratta pur sempre di disposizioni in base a cui il singolo opera su un
piano di uguaglianza con altri individui, non trovandosi in situazione di
soggezione di fronte ad un potere pubblico supremo.
La linea di demarcazione tra diritto pubblico e privato è variabile e
incerta: un medesimo fatto può venire disciplinato sia da norme di diritto
privato che da norme di diritto pubblico.

Distinzione tra norme cogenti e norme derogabili.


Le norme di diritto privato si distinguono in inderogabili (o cogenti) e
derogabili (o dispositive): si dicono inderogabili quelle norme la cui
applicazione è imposta dall’ordinamento prescindendo dalla volontà dei
singoli; derogabili le norme la cui applicazione può essere evitata
mediante un accordo degli interessati.
Poi distinguiamo anche le norme supplettive, che viene applicata solo
quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un
determinato aspetto della fattispecie lacunoso.
Sebbene le norme di diritto pubblico siano quasi sempre cogenti, e quelle
di diritto privato per la maggior parte dispositive, possono anche aversi
norme di diritto pubblico suscettibili di deroga o norme di diritto privato
cogenti.

Fonti delle norme giuridiche.


Le fonti si distinguono in fonti di produzione e fonti di cognizione. Le
“fonti” di “produzione” delle norme giuridiche si intendono gli atti e i fatti
che producono diritto. Le fonti di “cognizione”, ossia i documenti e le
pubblicazioni ufficiali con cui si può conoscere il diritto.
Rispetto a ciascuna fonte si può distinguere:
a) l’Autorità investita del potere di emanare l’atto (il Parlamento, il
Governo);
b) il procedimento formativo dell’atto;
c) il documento normativo (la legge considerata nella sua lettera);
d) i precetti ricavabili dal documento.
Le fonti del diritto sono poste tra di loro in un ordine gerarchico.

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1) Al vertice della gerarchia delle fonti di produzione vi è la Costituzione,
entrata in vigore nel 1948, che è la legge fondamentale dello Stato. Sullo
stesso piano gerarchico ci sono le leggi costituzionali, in quanto sono
emanate dal Parlamento. Su un gradino inferiore ci sono le leggi statali
ordinarie, che sono dette fonti primarie, e sono approvate dal parlamento
con una procedura particolare. Alle leggi statali sono equiparati sia i
decreti legislativi delegati che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati
dal Governo e non dal Parlamento, ma a condizione che, rispettivamente,
o si mantengano rispettosi della legge di delega (nel 1° caso) o siano
convertiti in legge dal Parlamento entro 60 gg. (nel 2° caso). Subordinate
alle leggi si possono avere tante altre “fonti” di diritto, dette fonti
secondarie: l’art.1 delle preleggi menziona “regolamenti”, “le norme
corporative” e “gli usi”.
I regolamenti sono degli atti che comprendono norme giuridiche emanate
dagli organi del potere esecutivo. A livello regionale le fonti secondarie
sono rappresentate dai regolamenti regionali, che sono competenti in
determinati ambiti stabiliti.

2) Le fonti comunitarie invece sono costituite dai regolamenti, che hanno


portata generale, sono obbligatorie in tutti i loro elementi e possono
essere applicati in ciascuno degli Stati membri; le direttive, che vincolano
lo Stato a cui sono rivolte, i cui organi sono liberi di scegliere la forma e i
mezzi per raggiungere il risultato; e le decisioni della Corte di giustizia
dell’U.E.

3) Le fonti terziarie sono gli usi e le consuetudini. Affinché sussista una


consuetudine ricorrono delle condizioni:
1) la ripetizione costante nel tempo di un certo comportamento in un
certo ambito;
2) la considerazione che quel comportamento sia vincolante, cioè
oggetto di una regola giuridica.
La consuetudine può essere:
a) secundum legem quelle che operano “in accordo” con la legge;
b) praeter legem quelle che operano “al di là” della legge;
c) contra legem quelle che operano contro la legge.

La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione. Essa è


fonte strutturalmente subordinata alla legge, e può operare solo nei limiti
in cui la legge lo consente.

Il codice civile
Nel linguaggio giuridico, il termine “codice” indica una raccolta di materiali
normativi. Il codice civile è stato approvato nel 1942 con un decreto
regio.
Gli articoli possono essere sempre modificati, in tutto o in parte abrogati,
con leggi ordinarie successive; spesso le modifiche vengono apportate con
la tecnica della “Novella”, ossia sostituendo direttamente il testo di un
articolo, ferma la numerazione originaria, ovvero aggiungendo articoli

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nuovi. Esso è costituito:
– dalla parte introduttiva, di 31 articoli dedicati alle preleggi, cioè le fonti
del diritto;
– dal libro primo (artt. 1-455) delle persone e della famiglia;
– dal libro secondo (artt. 456-809) delle successioni;
– dal libro terzo (artt. 810-1172) della proprietà;
– dal libro quarto (artt. 1173-2059) delle obbligazioni;
– dal libro quinto (artt. 2060-2642) del lavoro;
– dal libro sesto (artt. 2643-2962) della tutela dei diritti.

Capitolo 3: EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI


Entrata in vigore della legge.
Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede oltre
all’approvazione da parte delle due Camere:
a) la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica
entro un mese dall’approvazione (Art.73 Cost.);
b) la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (Art.73 ult.
comma, Cost.);
c) il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla
pubblicazione all’entrata in vigore della legge, e che di regola è di 15 gg.
Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria
per tutti, anche per chi, in realtà, non ne abbia conoscenza.Vale, infatti, il
principio per cui ignorantia iuris non excusat.

Abrogazione della legge.


L’abrogazione della legge si verifica quando la disposizione di legge perde
la sua efficacia. Questo può verificarsi in diversi modi: l’abrogazione può
essere espressa o tacita:
– espressa quando il legislatore in una legge posteriore dichiara
esplicitamente abrogata una legge anteriore;
– tacita se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale,
ma le disposizioni posteriori o sono incompatibili con una o più
disposizioni antecedenti, o vi è una nuova regolamentazione dell’intera
materia.
L’abrogazione può verificarsi anche mediante un referendum popolare,
quando ne facciano richiesta almeno 500.000 elettori o 5 Consigli
regionali, e la proposta di abrogazione si considera approvata se alla
votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto purché la proposta
di abrogazione consegua la maggioranza dei voti espressi (Art.75 Cost.).
Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare
l’efficacia. Ma mentre l’abrogazione ha effetto solo per l’avvenire, cioè
irretroattivo (la legge, benché abrogata, può e deve essere ancora
applicata ai fatti verificatisi quando era in vigore), la dichiarazione di
incostituzionalità, invece, annulla la disposizione illegittima ex tunc, come
se non fosse mai stata emanata. La deroga si ha quando una nuova

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norma sostituisce, ma solo per specifici casi, la disciplina prevista dalla
norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri
casi.

Irretroattività della legge.


L’art.11 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per
l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Si dice, quindi, retroattiva una
norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie verificatesi
in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. Nel nostro ordinamento
solo la norma penale non può essere retroattiva: “nessuno può essere
punito per un fatto che non costituiva reato”. Efficacia retroattiva hanno,
invece, le c.d. “leggi interpretative”, ossia emanate per chiarire il
significato di norme antecedenti e che, quindi, si applicano a tutti i fatti
regolati da queste ultime.

Successione di leggi.
In alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia
legge e quella nuova con specifiche norme, che si chiamano disposizioni
transitorie. Le nuove norme non sono efficaci nei confronti di fatti
compiuti dalla legge precedente, anche se non si sono ancora verificati gli
effetti (teoria del fatto compiuto). Inoltre il diritto già acquistato da un
soggetto non può essere eliminato da una legge successiva (teoria del
diritto quesito).

Capitolo 4: L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE


DELLA LEGGE
L’applicazione della legge.
Per applicazione della legge s’intende la concreta realizzazione di quanto è
ordinato dalle regole che compongono il diritto dello Stato.
E’ compito dello Stato attraverso i suoi organi, curare l’applicazione delle
norme di diritto pubblico. Viceversa l’applicazione delle norme di diritto
privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata all’iniziativa, alla
prudenza e al buon senso dei singoli. In caso di lesione da parte di un
soggetto, si ricorre all’autorità giurisdizionale.

L’interpretazione della legge.


Interpretare un testo normativo significa capire e decidere cosa realmente
significhi il testo e in che modo debba essere applicato.
L’attività di interpretazione non può mai esaurirsi nel solo esame dei dati
testuali. L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo,
nel senso più immediato, viene detta interpretazione “dichiarativa”.
Quando invece il processo interpretativo attribuisce ad una disposizione
un significato diverso da quello che apparirebbe, a prima vista, esserle
“proprio”, si parla di interpretazione “correttiva”.
Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si
distingue tra interpretazione:

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a) interpretazione giudiziale, compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio
della loro funzione;
b) interpretazione dottrinale, costituita dagli apporti di studio dei cultori
delle materie giuridiche, che raccolgono materiale utile alla
interpretazione delle varie disposizioni, e illustrano i possibili significati e
le varie soluzioni interpretative;
c) interpretazione autentica, che proviene dallo stesso legislatore, che
emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti.
Questa ha efficacia retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il
valore da attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano
sorti sulla sua interpretazione.

Le regole dell’interpretazione.
Il c.c. impone di valutare non solo il significato proprio delle parole (c.d.
interpretazione letterale), ma anche l’intenzione del legislatore.
Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono:
a) il criterio logico: attraverso l’argumentum a contrario, l’argumentum a
simili, l’argumentum a fortiori e l’argumentum ad absurdum;
b) il criterio storico: nessuna disposizione spunta all’improvviso in un
ordinamento;
c) il criterio sistematico: il complesso delle norme in cui la disposizione va
inserita;
d) il criterio sociologico: gli aspetti economico-sociali a cui la norma si
riferisce;
e) il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col
senso di giustizia della comunità, favorendo invece soluzioni equilibrate
degli interessi confliggenti.

L’analogia.
Quando il giudice si trova di fronte a casi che nessuna norma prevede e
risolve, non può rifiutarsi di decidere; quindi deve procedere per analogia,
cioè rifacendosi a casi simili o ai principi generali dell’ordinamento.
L’analogia si fonda su una identità di ratio: ove tra due fattispecie sussista
una somiglianza data da identità di alcuni elementi; anche al secondo
caso, per il quale ricorre una identica ratio (giustificazione), potrà
applicarsi la norma dettata per la prima fattispecie.
L’analogia non è consentita né per le leggi penali, né per le norme
eccezionali.
Il divieto si giustifica nel primo caso, per il principio di stretta legalità che
caratterizza le norme incriminatrici: nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto. Nel
secondo caso, per non allargare le deroghe, privilegiando la disciplina
normale e non quella eccezionale.

Capitolo 5: I CONFLITTI DI LEGGI NELLO SPAZIO


Il diritto internazionale privato.

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In ciascun Paese, vengono elaborate norme di diritto internazionale
privato: il diritto internazionale privato è l’insieme delle norme di diritto
interno che il giudice italiano deve applicare - nel caso in cui si debba
decidere una controversia relativa ad una fattispecie che presenti
elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento giuridico - per
individuare la legge regolatrice della fattispecie, ossia l’ordinamento
giuridico in base al quale dev’essere decisa la controversia.
Il diritto internazionale privato:
a) sebbene venga tradizionalmente denominato così, non è in realtà un
diritto internazionale: tale è il c.d. diritto internazionale pubblico, ossia il
diritto che ha fonte in accordi tra soggetti internazionali, ma non il diritto
internazionale privato, che è invece il diritto interno, ciascun ordinamento
stabilendo il proprio;
b) non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma
comprende pure altri tipi di rapporti soprattutto quelli di tipo processuale;
c) è costituito non da norme materiali, ossia che disciplinano esse stesse
la sostanza di talunirapporti, bensì da regole strumentali, che si limitano
cioè ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere
poi, applicando l’ordinamento così individuato, a stabilire come quel
rapporto vada disciplinato.

Qualificazione del rapporto e momenti di collegamento.

Per stabilire quale sia l’ordinamento da applicare occorre in primo luogo


procedere alla qualificazione del rapporto in questione, evidenziandone la
natura.Fatto ciò, occorre che la norma di diritto internazionale privato
precisi un elemento del rapporto per elevarlo a momento di collegamento,
ossia al momento decisivo per l’individuazione dell’ordinamento
competente a regolare il rapporto in oggetto.

I vari momenti di collegamento.


a) Per quanto riguarda la capacità giuridica delle persone fisiche (art.20)
si applica la legge nazionale della persona. Se questa ha più cittadinanze
si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa
ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana,
questa prevale (art. 19, comma 2).
b) La capacità d’agire delle persone fisiche è pure regolata dalla loro legge
nazionale (art. 23, comma 1).
c) Gli enti, le società, le associazioni e le fondazioni sono disciplinati dalla
legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di
costituzione (art. 25, comma 1).Tuttavia si applica la legge italiana se la
sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova
l’oggetto principale di tali enti.
d) Per quanto riguarda il matrimonio si distingue tra:

la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre


matrimonio, sono regolata dalla legge nazionale di ciascun nubendo al
momento del matrimonio (art.27);

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per la forma del matrimonio vale la legge del luogo di celebrazione,
ma può applicarsi pure la legge nazionale di almeno uno dei coniugi al
momento della celebrazione o la legge dello Stato di comune residenza in
quel momento (art.28);

per i rapporti personali tra coniugi si applica la legge nazionale se


hanno uguale cittadinanza o, se hanno diversa cittadinanza, la legge dello
Stato nel quale la vita matrimoniale è localizzata (art.29);

i rapporti patrimoniali tra coniugi vanno regolati dalla legge


applicabile ai rapporti personali a meno che i coniugi abbiano convenuto
per iscritto l’applicabilità della legge dello Stato di cui almeno uno di essi è
cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede (art.30, comma 1);

e) Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al


momento della nascita. Il riconoscimento di un figlio naturale è regolato
dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o dalla legge
nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui
questo avviene (art.33, comma 1);
f) L’adozione è regolata dal diritto nazionale dell’adottato o degli adottanti
se comune o, in mancanza, del diritto dello stato nel quale gli adottanti
sono entrambi residenti al momento dell’adozione (art.38, comma 1);
g) La successione mortis causa è regolata dalla legge nazionale del
soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte (art.46,
comma 1);
h) Per i beni immobili (diritti reali e possesso) si applica la lex rei sitae
(art.54, comma 1), per i beni immateriali la legge dello Stato di
utilizzazione (art.54);
i) Le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla legge dello Stato con il
quale il contratto presenta il collegamento più stretto (art.57 rinvia alla
alla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle convenzioni
contrattuali del 1980, che fonda un diritto internazionale privato uniforme,
si tratta di un regolamento di applicazione universale);
l) Le obbligazioni non contrattuali sono regolate con riferimento al
Regolamento 864/2007/CE - Roma II - si tratta anche in questo caso di
un regolamento di applicazione universale.

Il rinvio ad altra legge. Il limite dell’ordine pubblico.


L’eventuale rinvio operato dal nostro diritto internazionale privato ad un
ordinamento straniero pone problemi delicati.
Nell’ipotesi in cui quell’ordinamento a sua volta, nella stessa situazione
rinvii ad un altro ordinamento, l’art. 13, comma 1, della L. n. 218
stabilisce che “si tiene conto del rinvio operato dal diritto internazionale
privato straniero alla legge di un altro Stato:
a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio;
b) se si tratta di rinvio alla legge italiana.

La conoscenza della legge straniera.


L’art.14 stabilisce che spetta al giudice accertare il contenuto della legge

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straniera applicabile, anche interpellando il Ministero della Giustizia o
istituzioni specializzate ed eventualmente con la collaborazione delle parti.
Nel caso in cui non risulti possibile in alcun modo, il giudice deciderà in
base alla legge italiana.

La condizione dello straniero.


Tra gli stranieri occorre distinguere i c.d. cittadini comunitari dai c.d.
extracomunitari.
Per i primi si applica l’art.17 del Trattato Istitutivo della CE, cosi come
modificato dal Titolo II del Trattato di Maastricht, che ha introdotto la
“cittadinanza dell’Unione”, attribuita a chiunque abbia la cittadinanza di
uno Stato membro. Ai cittadini comunitari non solo va riconosciuto il
godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma
spettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto delle elezioni
comunali.
Per gli extracomunitari è applicabile sia il diritto d’asilo, sia
l’inammissibilità della estradizione per reati politici.
Inoltre allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio
dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana
previsti dalle norme di diritto interno. Pure all’extracomunitario
“regolarmente soggiornante” è assicurato il godimento dei diritti in
materia civile attribuiti al cittadino italiano, a meno che le convenzioni
internazionali in vigore per Italia dispongano diversamente.
La regola della condizione di reciprocità, ossia la concessione di un diritto
allo straniero a condizione che nella medesima fattispecie ad un italiano,
nel paese di cui quello straniero è cittadino, quel diritto sarebbe parimenti
riconosciuto, malgrado sia superata, è però sopravvissuta, anche se
ridotta ad un ambito di applicazione residuale.
A tutti i lavoratori stranieri, infine, è garantita parità di trattamento e
piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.

Capitolo 6: LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE


Il rapporto giuridico.
Il rapporto giuridico è la relazione tra due soggetti, regolata dal diritto
oggettivo. Soggetto attivo è colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce
il potere (o diritto soggettivo) (per es. di pretendere il pagamento).
Soggetto passivo è colui a carico del quale sta il dovere (per es. di
pagare).
Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto
giuridico si usa l’espressione “parti”.
Contrapposto al concetto di parte è quello di terzo, ossia chi non è parte o
non è soggetto di un rapporto giuridico. Regola generale è che il rapporto
giuridico non produce effetti né a favore, né a danno del terzo.

Situazioni soggettive attive (diritto soggettivo, potestà,


facoltà, aspettativa, status).

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Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione
dell’interesse del singolo al quale, al tempo stesso si riconosce una
situazione di libertà (di chiedere o non chiedere il risarcimento del danno
secondo una mia personale valutazione di opportunità).
In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma
per realizzare un interesse altrui. Le figure di poteri che al tempo stesso
sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà. Mentre l’esercizio del
diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che
ritiene più opportuni, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine
della cura dell’interesse altrui.
Le facoltà (o diritti facoltativi) sono, invece, manifestazioni del diritto
soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono in esso
comprese. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il diritto di cui
fanno parte.
Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi
successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed altri no, si ha la figura
dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a
condizione che prenda la laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se
non quando avrà preso la laurea: intanto si trova in una posizione di
attesa che viene tutelata dall’ordinamento).
Quest’ipotesi del diritto soggettivo che si realizza attraverso stadi
successivi viene anche considerata, oltre che dal lato del soggetto
(aspettativa), sotto il punto di vista oggettivo della fattispecie. Si parla,
infatti, di fattispecie a formazione progressiva, per dire che il risultato si
realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al singolo costituisce un effetto
anticipato della fattispecie.
A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la
quale deriva falla sua posizione in un gruppo sociale. Status è, pertanto,
una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una
collettività. Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino)
o do diritto privato (es. stato di figlio).

L’esercizio del diritto soggettivo.


Colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si
chiama titolare del diritto medesimo.
L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua
realizzazione, che consiste nella soddisfazione dell’interesse protetto,
sebbene spesso i due fenomeni possono coincidere.
La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva:
quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che
l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo.
Si ha abuso del diritto soggettivo quando il titolare del diritto si avvale
della facoltà e dei poteri che gli sono concessi per realizzare finalità
ulteriori eccedenti l’ambito di interesse.

Categorie di diritti soggettivi.

a) diritti assoluti → garantiscono al titolare un potere che egli può far


valere verso tutti (erga omnes), di cui fanno parte:

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- i diritti reali (iura in re, diritti su una cosa): attribuiscono al titolare
una signoria piena (proprietà) o limitata (diritti reali su cosa altrui) su un
bene. Relazione immediata tra l’uomo e la cosa, gli altri soggetti devono
solo astenersi dall’impedire lo svolgimento pacifico della signoria;

- i diritti della personalità (diritto all’integrità fisica, al nome,


all’immagine): sono tutelati in capo al singolo nei confronti di tutti i
consociati.

b) diritti relativi → attribuiscono al titolare un potere che egli può far


valere solo nei confronti di una o più persone determinate:

- diritti di credito (personali): riferiti ad una persona tenuta ad un


determinato comportamento nei confronti del titolare del diritto.

Il rovescio sia nei diritti reali che nei diritti di credito è costituito dal
dovere:
- a fronte del diritto reale si pone, in capo a qualsiasi consociato, un
generico dovere negativo di astensione dal compiere qualsiasi atto volto a
impedire o limitare il godimento del bene;
- a fronte del diritto di credito si pone il dovere, di una o più persone
determinate, tenute ad eseguire una determinata prestazione o
comportamento per il soddisfacimento del creditore.

c) diritti potestativi → consistono nel potere di operare il mutamento della


situazione giuridica di un altro soggetto.

Infine i diritti personali di godimento (situazione in cui il soggetto è


obbligato a far godere di un proprio bene un altro soggetto, es: locazione
o comodato), hanno duplice natura: relativa verso chi ha concesso il
godimento, assoluta verso tutti i consociati i quali sono tenuti ad astenersi
dal turbare tale godimento.

Gli interessi legittimi.


In taluni casi, l’osservanza di una disposizione interessa determinati
individui non più genericamente quali cittadini, bensì specificamente come
portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica (es. il candidato di un
concorso). In questi casi al privato viene riconosciuto uno specifico potere
di controllo della regolarità dell’azione pubblica ed un potere di
impugnativa degli atti eventualmente viziati.
La situazione giuridica dei portatori di tali interessi qualificati viene
definita come “interesse legittimo” (il candidato ad un concorso non ha
diritto di vincerlo, ma ha un interesse legittimo al regolare svolgimento
della gara e può quindi chiedere l’annullamento di tutti gli atti che siano
illegittimi).

Situazioni di fatto.
L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il
dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il soggetto può trovarsi
rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.

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Si hanno le 2 figure delpossessoe detenzione.
Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di
pre-uso di un marchio, di famiglia, di rapporti di lavoro, di mezzadria.

Situazioni soggettive passive (dovere, obbligo, soggezione,


onere).
La figura del dovere generico di astensione incombe su tutti come
rovescio della figura del diritto assoluto;
all’obbligo è tenuto il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa
riscontro nel soggetto attivo la pretesa, ossia il potere di esigere il
comportamento;
la soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo.
Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere.
Quest’ultimo ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma
l’esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento (che però,
essendo previsto nell’interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio e
quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti inattuato).

Vicende del rapporto giuridico.


Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto attivo acquista il
diritto soggettivo. L’acquisto può essere di 2 specie: a titolo derivativo
quando il diritto si trasmette da una persona ad un’altra (fenomeno di
successione); e a titolo originario quando il diritto soggettivo sorge a
favore di una persona senza essere trasmesso da nessuno.
Titolo d’acquisto è l’atto che giustifica l’acquisto. Con la successione, chi
lo acquista si chiama successore o avente causa.
E’ chiaro che la successione non si verifica nel caso di acquisto originario.
L’acquisto a titolo derivativo può essere di 2 specie: acquisto derivativo-
traslativo o acquisto derivativo- costitutivo.
Nelle 2 forme dell’acquisto a titolo derivativo, il nuovo soggetto ha lo
stesso diritto che aveva il precedente titolare. La successione è di 2
specie: a titolo universale e a titolo particolare.
La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione. Il rapporto si
estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso
ad altri.

Capitolo 7: IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO


Soggetti e persone.
La capacità giuridica nel nostro ordinamento compete:
a) alle persone fisiche,
b) agli enti (es. associazioni, fondazioni, comitati) tra cui distinguiamo:

- enti ‘persone giuridiche’ (associazioni riconosciute, società di

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capitali, etc) con autonomia patrimoniale perfetta.

- enti non dotati di personalità (associazioni non riconosciute,


società di persone, etc) che difettano di autonomia patrimoniale.

c) ad altre strutture organizzate che la legge tratta, almeno a certi fini,


come autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive
(es: il condominio).

A) LA PERSONA FISICA
La capacità giuridica.
Nel nostro ordinamento i soggetti dell’attività giuridica sono la persona
fisica, la persona giuridica e gli enti di fatto. La capacità giuridica è
l’idoneità a diventare titolare di diritti e doveri.
L’uomo acquista la capacità giuridica con la nascita. Dato l’art. 3 della
cost. che prevede l’uguaglianza tra gli uomini, ogni uomo dispone della
capacità giuridica, anche lo straniero.
Per le persone fisiche si acquista al momento della nascita (art.1 c.c.), del
distacco, cioè, del feto dal corpo materno.
Entro 10 giorni la nascita deve essere dichiarata all’ufficiale di stato civile
per la formazione dell’atto di nascita.
La persona fisica perde la capacità giuridica con la morte, che è la
cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Anche la morte deve essere dichiarata dai congiunti o dal direttore
dell’ospedale all’ufficiale di stato civile.

Le incapacità speciali.
In alcuni rapporti la capacità giuridica presenta delle limitazioni.
Le incapacità possono essere:
a) assolute: se un soggetto non può compiere un certo atto (non può
sposarsi prima di 16 anni);
b) relative: se un soggetto non può compiere un atto con determinate
persone o in determinate circostanze (ad es. il tutore non può avere la
capacità di succedere alla persona sottoposta alla sua tutela).
In tutti questi casi si ravvisa una limitazione della capacità giuridica.

Il concepito.
Non è invece considerato “soggetto” il concepito, ma alcune posizioni
giuridiche gli sono concesse. Il concepito ha la capacità a succedere per
causa di morte; la capacità di ricevere per donazione; ha diritto al
risarcimento di danni alla salute e l’integrità fisica causatigli prima o
durante il parto. I suoi diritti sono però subordinati alla nascita.
Per l’art.462.2 c.c. si presume concepito al tempo dell’apertura della
successione chi è nato entro 300 gg. dalla morte della persona della cui
successione di tratta. Il comma 3 afferma che possono inoltre ricevere per

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