Appunti Storia Delle Istituzioni Politiche e Sociali
Appunti Storia Delle Istituzioni Politiche e Sociali
Appunti Storia Delle Istituzioni Politiche e Sociali
La cesura è data dalla diffusione del movimento dell’illuminismo (metà del XVIII
secolo).
• Presume la centralità della natura nella evoluzione delle società e delle politiche
(visione secondo cui l’uomo, di fatt, non poteva incidere sulla politica).
Ci conferma una visione ciclica e pessimista della storia (e/o della politica), nonchè
la marginalità stessa dell’uomo.
Per i classici e per Aristotele la costituzione perfetta era detta politeia. Essa
rappresentava quella società all’interno della quale tutti gli elementi che la
compongono si trovano in perfetto equilibrio fra di loro.
Posto che la visone ciclica della storia è per la storiografia moderna ormai da
rigettare, le categorie fissate da Aristotele e Polibio sono invece ancora oggi utili
per descrivere forme ed evoluzioni del potere.
1. Sistematizza di crisi.
Solo chi ha compreso l’origine delle costituzioni potrà comprendere quando, come
e dove avverrà di nuovo la crescita, l’acme, la metabolè e la fine di ogni
costituzione.
Ho ritenuto che il metodo espositivo trascelto sia sopratutto adatto allo studio
della costituzione romana: che la sua prima origine, come poi il suo sviluppo e la
sua crescita, furono dovuti esclusivamente a cause naturali.
A tal punto suscitarono (i re) invidia per il lusso e ostilità per la superiorità e poi
odio e ira violenta per gli abusi sessuali, finchè dal regno ebbe origine la
tirannide e si iniziò a complottare contro chi era al potere.
DALL’ARISTOCRAZIA ALL’OLIGARCHIA
Ma, per stesse ragioni, pure il popolo unisce le sue forze contro i tiranni dacchè
trova dei capi. Cosi il regno e la monarchia sono abbattuti ed ebbe origine
l’aristocrazia. All’inizio, contenti dell’incarico, i capi nulla ritengono più importante
dell’utile comune e amministrano con cura amorevole ogni cosa (negli affari sia di
tutto il popolo sia dei privati).
Ma poi il potere passa dai padri ai figli (inesperti dei mali, affatto ignari
dell’uguaglianza politica e della parresia; anzi educati fin dall’inizio nella condizione
di comando e di predominio dei padri).
Allora il popolo realizza l’oclocrazia: s’aduna per compiere stragi, esili, divisioni
di terre; finchè (ritornato allo stato ferino), ritrova un deposta e un monarca.
Sapere da dove provenga o chi proposto per primo la teoria della Costituzione
mista per noi è di grande rilevanza.
Inoltre si noti che la proposta del governo misto si è ripresa dalla teoria Positivista
e da studiosi del calibro di Norberto Bobbio, Pierpaolo Portinaro con ampie
ricadute sulla contemporaneità.
• Dopo, una volta diventato l’uomo il centro della storia, si comincia a leggere in
maniera completamente diversa il rapporto tra società e uomo, e tra uomo e
politica. Si assiste, perciò, a una forte accelerazione circa la considerazione del
ruolo della storia in ambito delle scienze politiche sociali.
Se nel ‘700 l’uomo è posto al centro della storia, nel primo Ottocento, l’uomo
diventa:
Per rendersene conto, del resto, basta guardare alle terribili vicende che hanno
funestato il Novecento, che nessuno storico avrebbero potuto prevedere a partire
dallo studio della Storia. Lo studio delle dinamiche politiche passate, piuttosto,
può aiutarci a comprendere e analizzare con spirito critico le categorie del
presente.
2. La seconda direzione seguita dagli storici della prima metà del Novecento
invece si profila come una risposta agli eccessi dello storicismo.
• Molti presenti generano molti dubbi diversi nella riflessione dello storico, la cui
diversità è dovuta alla pluralità di sistemi di valori di cui si diceva.
Capitolo 2
Per rendere l’analisi fin qui condotta funzionale al nostro corso occorre legarla alla
comprensione delle diverse forme di potere nelle diverse epoche storiche. Ne
discende che seguendo nel tempo l’evoluzione dell’uso di questa parola (potere)
possiamo ricavare informazioni utili a comprendere in maniera diacronica come il
potere politico sia stato pensato e descritto. Anzitutto però può essere utile
riflettere sull’espressione istituzioni politiche.
A tale riguardo, occorre considerare che tale sintagma (istituzione politica) per
gran parte dell’età moderna non esisteva. Per lo più le due parole comparivano
disgiunte nelle diverse fonti, ciascuna assumendo significati totalmente slegati
l’uno dall’altra.
Tuttavia sono almeno due i campi semantici che tale lemma richiama:
Poichè per buona parte dell’età moderna il concetto di potere politico, di autorità
e le sue diverse modalità di organizzazione erano considerate immutabili nel
tempo. Infatti in politica non c’era nulla di istituire dal momento che tutto era già
dato dalla natura. L’uomo, per cui, non poteva modificare l’ordine politico, dato
una volta per tutte.
Vediamo allora dal punto di vista politico quel che abbiamo già visto dal punto di
vista della conoscenza storica: esiste una logica politica immutabile o ciclica, e
ammesso che qualche mutamento avvenga, esso non avviene per volere
dell’uomo. Ne discende una considerazione importante: per buona parte
dell’età moderna il potere politico non aveva una sua intrinseca specificità politica,
e una prima scoperta dell’autonomia delle scienza politica avrà soltanto con
Niccolò Machiavelli (1469-1527).
Prima, infatti, il potere del principe, il potere del padre di famiglia o proprietario
fondiario sui cittadini erano considerati semplicemente come diverse espressioni di
un ordine gerarchico dato dalla natura e dunque immodificabile dall’uomo.
LA CESURA
Ancora una volta, è determinata dall’irrompere delle idee illuministe nella scena
politica della metà del settecento. Da quel momento in poi, infatti si osserva un
numero cresce di ricorrenze dell’espressione istituzioni politiche proprio in
relazione al discorso politico intorno all’organizzazione del potere politico.
Dalla metà del Settecento allora le parole istituzioni e politica vengono composte
e congiunte nel sintagma istituzioni politiche. Questa combinazione avviene per
descrivere “oggetti” legati a forme di organizzazione del potere ora pensato come
disponibile all’azione dell’uomo. Tale sintagma, da ora in avanti, si impone come
espressione “cardine” nel lessico che riguarda le trasformazioni che l’uomo può
(e deve) apportare ai modi di organizzazione del potere politico.
EMILE DURKHEIM
Padre fondatore della sociologia (1858-1917). Nella sua opera postuma Le regole
del metodo sociologico (1924) fissa una definizione di istituzione che possiamo
accettare ancora oggi: l’istituzioni è qui intesa come prodotto della società, in
quanto sistema di credenze prodotte dalla collettività.
Egli definisce la sua scienza, la sociologia, una scienza delle istituzioni, dove per
istituzioni si intende dunque ogni credenza e ogni forma di condotta istituita dalla
società.
LA SCUOLA ISTITUZIONALISTA
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vede la luce inoltre la scuola
istituzionalista che vede tra i suoi maggiori animatori:
Capitolo 3
LO STATO E LA SUA COSTITUZIONE
Che cos’è lo Stato?
Lo Stato, in ultima analisi, è una istituzione, un tipo particolare di Istituzione
politica, cioè un insieme di norme che tutti credono o si impegnano a credere
vincolanti.
Per quanto persuasivo, invadente o onnicomprensivo sia oggi lo Stato, esso non è
sempre esistito. Anzi, si tratta di un’acquisizione relativamente recente.
Lo stato è prodotto dell’uomo nel tempo. Prima si può parlare senz’altro di forme
di organizzazione del potere, anche raffinate, che accoglievano comunità
estremamente numerose, MA non c’era lo Stato.
Ci risponde Santi Romano uno dei giuristi più giustificativi dell’età liberale, al
centro del dibattito sulle istituzioni, sullo Stato, sulla crisi dello Stato del primo
Novecento.
Egli tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (1918) partecipa attivamente
al dibattito sulla centralità dello Stato, sottolineando gli elementi di crisi dello Stato
e scagliandosi polemicamente contro chi sosteneva invece un’ontologia dello
Stato.
Santi Romano affermava in Piena Guerra Mondiale che lo Stato come istituzione
sempre presente era si ammirevole, ma artificiosa.
In questa ottica allora, lo Stato come unico dominus dell’uomo, come unico
protagonista della Storia del Potere non era credibile. In l’ordinamento giuridico
(1918) sostiene che questa visione per questo suggestiva marginalizzava il ruolo
dell’uomo nel processo di evoluzione delle modalità di organizzazione delle forme
di potere.
Sostenere che lo Stato sia sempre esistito implica banalizzare la Storia del Potere,
escludendo l’uomo della storia.
Egli affermò inoltre che nella Storia umana (nella storia della società organizzate)
non tutte le forme di organizzazione del potere hanno avuto carattere statale.
ORDINAMENTI GIURIDICI
Tra questi, come si a distinguere lo stato?
Santi Romano dà definizione di Stato ben precisa: “organizzazione (istituzione)
del Potere con al vertice un soggetto (uno, pochi, molti) con sovranità non
derivata”.
La sovranità
La sovranità è concetto che dal punto teorico viene sistematizzata a partire dalla
metà del Cinquecento da autori come Jean Bodin (1529-1596), Giovane Botero
(1544-1617) e altri.
Perciò in chiave storica dobbiamo assumere che per lungo il tempo il potere si è
organizzato originando costituzioni dal basso verso l’alto. Chi comandava lo
faceva negoziando con i sudditi i margini di soggezione e accettando precisi
limiti al suo potere. Si organizza in questo modo un ordinamento giuridico, non lo
Stato.
A partire dal XII-XIII secolo chi deteneva il potere iniziò a sentirsi in diritto di
“imporre” le negoziazioni ai sudditi, dettando dall’alto il proprio ordine e le
regole di convivenza in virtù di un poter che si presumeva trasferitogli da Dio.
Secondo Santi Romano esso è uno “stabile modo di organizzazione della vita
sociale, regolato da norme che la collettività avverte come fortemente
vincolanti” (come le istituzioni).
• Garantire una comune natura giuridica, cioè che sia prodotto dalla stessa
comunità.
È una definizione che ricorda quella di Stato, in effetti, ma manca l’accenno ad altri
due elementi:
Tra Stato e ordinamenti c’è il rapporto di specie di genere: lo Stato è una specie
particolare di un genere più ampio che è l’ordinamento.
1.1 Prima ci sono gli ordinamenti politici, la cui “costituzione” si forma per
negoziazioni tra parti della società della comunità stessa.
1.2 Quanto è lungo questo prima? Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente
(476 d.C.)
1.3 Dal 476 d.C. al XIII secolo non c’è lo Stato, ci sono ordinamenti che
assumono denominazioni molto varie, con “costituzioni” altrettanto varie, e in
alcuni casi anche molto articolate, ma negoziate dal basso.
1.4 Il primo ad usare in maniera “quasi” consapevole il termine Stato per definire
una istituzione politica dotata di potere di dominio su più comunità è Niccolò
Machiavelli.
Prima di Machiavelli:
• Per status rei publicae si intendeva, per dirla con Santi Romano, l’ordinamento
che in un determinato periodo dava origine a determinate forme di
convivenza tra uomini e comunità.
È bene inoltre notare che la “fondazione” dello Stato, a partire dal XIII secolo,
avviene in maniera inavvertita. Ne deduciamo allora che per lungo tempo la
sovranità, ovvero il potere di comandare, e la sua “legittimazione” a dettare le
regole di convivenza collettiva, aveva un andamento dal basso verso l’alto.
È bene tenere presente, infatti che anche dopo l’arrivo dello Stato, e fino a un
punto molto avanzato della Storia benché legittimati dai crismi del potere divino,
nelle pratiche di comando i sovrani a lungo hanno continuato a esercitare il
potere secondo modalità contigue a quelle del Basso Medioevo. Ciò avveniva
usando pratiche e istituzioni funzionali a “negoziare” con segmenti importanti
dalle collettività. Cosicchè anche quelli Stati che nei manuali troviamo etichettati
come “Stati assoluti”, osserviamo e osserveremo che cosi assoluti non erano.
Ne assumiamo che:
• Tuttavia dal punto di viste delle pratiche avrà a lungo ancora natura pattizia.
Capitolo 4
Il nostro concetto di Stato convenzionalmente si porta dietro due “accessori
concettuali” importanti:
Osserviamo però:
1. La parola “stato” in senso consapevole vede la sua comparsa a partire dal XVI
secolo con Machiavelli (1531);
Dopo aver fissato un terminus ad quem (XIII secolo in poi per l’emersione del
concetto di Stato) domandiamoci:
Assumiamo una data convenzionale: dal 476 d.C. con la caduta dell’Impero
romano d’Occidente. L’impero non è lo Stato ma, dal nostro punto di vista, gli si
avvicina molto:
• Ha un progetto militare;
• Ha un progetto culturale;
LA CASTA
Un gruppo sociale a cui si appartiene per nascita e che non è in alcun modo
mutabile. La comunità organizzata per caste, perciò, è rigidissima: le caste più alte
governano sempre sulle caste inferiori, secondo un meccanismo di rapporti di
forza che rimarranno sempre tali. Secondo Max Weber le società orientali sono
organizzate principalmente per caste. La società dove questo fenomeno è più
evidente è l’India: sacerdoti, guerrieri, agricoltori e cosi via.
Nell’Europa medievale alcuni gruppi sociali funzionavano come caste (cioè erano
impermeabili a mutamenti sociali) mentre oggi quando si fa riferimento alla casta si
allude alla chiusura di un gruppo rispetto agli altri gruppi.
LA CLASSE
La classe è quel gruppo sociale a cui si appartiene in base alla funzione
economica che si riveste, caratteristica di società flessibili. Non è la ricchezza, nè
tantomeno il potere ma la funzione economica che si svolge in una comunità che
determina l’appartenenza a una classe.
IL CETO
Il ceto è una stratificazione sociale propria delle società intermedie tra società
antiche per casta e società più evolute per classi. Secondo Otto Brunner il ceto è
il gruppo si la che riunisce gli individui che condividono e godono la medesima
condizione in termini di diritti e doveri sociali, giuridici e politici.
OTTO BRUNNER
• (1898-1982) è uno storico e giurista austriaco, protagonista della stagione
storiografica del primo Novecento che ha il merito di innovare molto l’approccio
allo studio delle società umane e della politica.
• A lui si devono alcune delle più importanti opere sulla storia costituzione e
sociale dell’Europa tardo-medievale e moderna.
Capitolo 5
LA COSTITUZIONE PREMODERNA O MEDIEVALE
Con la caduta dell’Impero romano si apre uno spazio-tempo senza Stato (a cui
abbiamo già accennato) lungo quasi 10 anni. Per comprendere come e perchè gli
uomini decidono di organizzarsi per vivere in forma pacifica e associata
occorre assumere tre presupposti:
1. Il motore della Storia del potere e delle Istituzioni politiche è determinato dal
bisogno di vivere in pace, quindi con un bisogno di protezione e determinato
dal bisogno di vivere in forma associata il che implica coinvolgere un numero
sempre più ampio di individui e estendersi su porzioni sempre più ampie di
territorio.
Inoltre, per molto tempo poi furono gli stessi soggetti appartenenti ai ceti inferiori
a chiedere protezione ai soggetti appartenenti ai ceti superiori.
LO SPAZIO MEDIEVALE
- È anzitutto uno spazio plurale e complesso che si apre con il V secolo.
Dal V sec. In avanti c’è un alimento da tenere presente: senza lo Stato emerge una
straordinaria frammentarietà di forme ordinamentali, derivata dalla scomparsa
dello Stato, o meglio dell’Impero Romano, che assicurava un ordinamento
giuridico che proteggesse tutti. Tutti allora riprendono ad organizzarsi in proprio,
autonomamente, a partire dalla dimensione più vicina a loro, dallo spazio politico
più ristretto e contenuto della loro esperienza: la famiglia.
Il pater familias:
LA CASA-ORDINAMENTO
Si trova alla base della vita medievale come fondamento costituzionale, culturale e
teorico. È chiaro che tale ordinamento però:
- Non è autosufficiente.
- Non è un caso che proprio a partire da quegli anni in avanti prese forma una
vera e propria scienza dedicata all’arte del governo della casa: l’economia
come sistema di regole della casa (oikos-nomos) in alternativa alla politica
come arte del governo della polis.
Inoltre:
• All’interno della società senza Stato, il motore della Storia è dato dalla ricerca di
protezione che permea tutti gli strati sociali, tutti i ceti.
Assumendo che:
LA SIGNORIA FONDIARIA
È il secondo livello costituzionale dello spazio-tempo pre-statuale. Ha una
costituzione molto forte, come del resto l’aveva la casa. La solidità di questa
Costituzione deriva da un aspetto in particolare che garantisce una fortissima
tenuta del sistema
1. Essa lega soggetti appartenenti a ceti diversi: i patres familias e la sua casa
(la plebe) con i nobili.
Infatti, chi cerca protezione (il pater familias) non ha altra scelta che legarsi al
suo protettore nobile più vicino per non soccombere agli attacchi nemici.
Nella signoria fondiaria la solidarietà si attiva sulla base della logica che vede la
corresponsione della protezione in cambio del pagamento di un censo e/o
dall’impiego della forza lavoro nelle terre del nobile fondiario.
Per questa ragione i patres familias sono anche dette contadini censuari, perchè
pagano il censo. La signoria fondiaria per cui crea un filamento di potere
economico e politico ordinato gerarchicamente al cui vertice troviamo il signore
fondiario che detiene doversi poteri, tra cui quello giurisdizionale, quello di banno
(ossia di comandare), quello fiscale e quello militare.
• Perchè a differenza che nei primi due ordinamenti (casa e signoria fondiaria), il
nuovo ordinamento lega soggetti con eguali diritti, la cui unica differenza risiede
nella capacità economica.
Se ne deduce:
• È l’elemento pubblicistico.
Capitolo 6
Ricapitolando per Costituzione Premoderna intendiamo quella pluralità di
ordinamenti giuridici che dal 476 d.C in avanti vengono sperimentati dagli uomini
per dare ordine alle società per un arco temporale di quasi 10 secoli di Storia. Per
noi è molto importante conoscere tali ordinamenti e le rispettive Verfassung
insieme alla loro logica “istitutiva” (sinallagmatica).
Infatti tali ordinamenti li ritroveremo “intatti” dal XII secolo all’interno dello stato
territoriale. Sapere come funzionano questi ordinamenti ci consente di capire
come funziona lo Stato, o meglio, perchè lo Stato assume la sua costituzione
specifica e quali sono le logiche che seguiranno all’esercizio del potere statale.
Nei rapporti tra i diversi ordinamenti vigeva una logica “spietata” fatta si soprusi,
privilegi e sopraffazione. Per questa ragione nel corso del tempo si assurge a un
processo di invenzione di ordinamenti sempre più complessi.
Tuttavia, si presi attenzione al fatto che gli ordinamenti della casa e della signoria
fondiaria non sono dissolti, ma semplicemente entrati nel sistema feudale di
dominio. Inoltre, questi ordinamenti si attivano per via spontanea senza accordi
scritti in uno spazio privo di soggetti politici della volontà totalizzante. Insomma:
senza stato anche e sopratutto nel sistema feudale dove gli accordi formalizzati
per via di prassi, che produce delle regole, che sono il diritto inteso come
prodotto umano e sociale.
L’ANNO MILLE
A partire da quel periodo si ha una fase di grande maturità, nella quale paiono
vedersi i frutti delle varie esperienza sociali ed economiche dei primi anni
medievali. In altre parole, è un errore considerare l’anno mille come l’avvio di
un’epoca nuova, perchè dal punto di vista giuridico, le logiche saranno le
medesime del periodo precedente. Si assiste a una sostanziale continuità tra prima
e dopo dal punto di vista delle logiche tra potere e gerarchizzazione alla base del
rapporto tra corpi.
È l’anno a partire dal quale tale maturità produce degli elementi di novità:
• Strutturali
• Culturali
Gli elementi strutturali dal punto di vista economico, l’Europa Occidentale, vede
mutare profondamente il paesaggio agrario, per effetto delle sperimentazioni
tecnologiche e dei dissodamenti iniziati un secolo prima. In Normandia, Spagna,
Germania occidentale, Paesi Bassi, Italia settentrionale e Inghilterra.
Gli elementi culturali l’uomo dell’anno mille, irrobustito dalle esperienza dei secoli
precedenti appare più disposto ad investire sul presente e sul futuro e appare più
disposto ad “inventare” nuove forme di organizzazione. Si riaprono le vie di
comunicazione non solo religiosa ma anche economica: gli uomini si rimettono in
viaggio. Nascono e si consolidano le banche.
Tali elementi ci dicono che pur muovendoci in secoli - dal XI secolo in avanti -
densi di novità e di innovazioni dal punto di vista delle pratiche di governo quasi
del tutto rimane basato su logiche alto medievali.
2. Alla base di questa nuova tecnologia sta una logica completamente nuova,
diversa dalle precedenti (si ricorda: logica del bisogno di protezione).
Capitolo 7
LA CITTÀ
Ovunque, a partire dal XI secolo, si assiste ad un significativo fenomeno di
sviluppo, rinascita e nascita di città.
Sia chiaro, la città intesa come luogo di incontro tra individui, luogo di coagulo di
professioni diverse, luogo di accoglienza, non è invenzione degli uomini dell’XI
secolo.
Infatti, le città erano sempre esistite e continuavano a esistere, però dal V secolo in
avanti:
Le città rimaste non avevano più ruolo nella ricerca della pacificazione: il potere era
cercato altrove, cioè nella casa, nelle signorie fondiarie e nel sistema feudale.
Questa logica riguarda solo il soggetto collettivo che fonda la nuova città o che
comunque acquisisce il “comando” delle città preesistenti, rifondandolo dal punto
di vista giuridico-costituzionale. Insomma: riguarda il corpo che governa. Gli altri
non fanno parte del ceto di governo e devono osservare le solide regole
gerarchiche cetuali.
I governanti delle città non dettano nuove regole ma garantiscono l’equilibrio tra
tutti quei sistemi di regole. La città è il luogo che esalta al massimo la logica
corporativa cetuale: in città non si entra come singoli cittadini ma come membri
di una corporazione. La città viene vista come un ordinamento politico plurale.
L’atto fondativo di una città è ovunque un patto giurato tra soggetti equipotenti
che si promettono reciproca assistenza e che uniscono propri capitali. Tale atto nel
linguaggio giuridico medievale viene definito coniuratio ossia “patto giurato
insieme”.
Quelle della città e del feudo sono due concezioni alternative del mondo della
politica: il feudo, statico e definito dall’intraterritorialità; la città, invece, dinamica e
che contempla scambi tra soggetti posti su territori anche molto distanti fra loro.
• Apre le porte a nuove forme che saranno proprie dello stato principesco-
burocratico.
Tuttavia proprio l’accenno all’idea pattizia all’origine della città ci deve far capire
che si inserisce ancora all’interno di una logica pre-statuale di ordine che crea il
potere a partire dal basso verso l’alto. A questo punto del nostro “racconto”
dobbiamo ancora citare due paragrafi riguardo alla costituzione delle città:
LA MODELLISTICA GEOPOLITICA
Ma Weber distingue due modelli di città occidentale:
La città dell’Europa del Nord è fondata da “uomini nuovi” cioè da soggetti che
hanno acquisito una certa visibilità e un pò di potere grazie alle innovazioni sociali
che hanno preso avvio dopo l’anno mille. Non appartengono al ceto della nobiltà
antica ma sono inseriti all’interno di un ceto “medio” legato a professioni del
momento: mercanti, avvocati, artigiani, etc.
Gli uomini nuovi, grazie alla loro ascesa sociale, volevano sganciarsi dell’angusto
spazio del feudo. Da qui, l’idea del potens collettivo, l’idea di auto proteggersi
riunendo il loro capitale ridotto e il loro lavoro. Nasce cosi nell’Europa del Nord la
città da cui deriva pertanto una costituzione a struttura particolare. Anzitutto, dal
punto di vista territoriale ha estensione collettiva perchè i suoi fondatori non
hanno molta terra ma sopratutto capitali e la propria forza lavoro; in secondo
luogo, sono città medio-piccole e laboriose e, infine, sono città che inizialmente
convivono fianco a fianco con i feudi.
Anche dal punto di vista morfologico, la città del nord è medio-piccola, ha molte
botteghe, ma non possiede la terra circostante. Al proprio interno, oltre ai luoghi
tipici del potere cittadino - il mercato, le botteghe, le officine, il Palazzo del
Governo, i palazzi dei vari Consigli di corporazioni - accoglie anche il palazzotto
del nobile vicino che ha intuito i vantaggi economici della città-mercato. In
generale queste città sorgono vicino al castello del nobile normalmente posto su
un’altura. Per questa sua caratteristica di promiscuità con il feudo, lo storico
Giorgio Chittolini definisce la città come un isolotto di libertà in un modo di
privilegi e soprusi. La libertà è data da auto considerarsi, da parte dei fondatori,
tutti liveri e uguali, mentre tutto intorno vigeva il sistema feudale basato su una
rigida scala di valori cetuali.
Questa connotazione egualitaria e questo spirito di libertà, però, vale per i soggetti
fondatori e solo per coloro che si mettono a capo di un ordinamento il quale sarà
altrettanto spietatamente gerarchico e brutalmente corporativo quanto gli
ordinamenti precedenti.
Anche dal punto di vista morfologico queste città sono diverse da quelle del nord
perchè, oltre ad essere molto grandi, estendono il loro controllo su grandi
territori: si pensi a Firenze che nel 1400 controllava un territorio grande come
quasi 2/3 della Toscana attuale.
1. La città si fonda sulla coniuratio, cioè sul patto giurato di un gruppo di sodali
dello stesso ceto.
2. Ovunque si trovi, la città che nasce come mercato diviene a sua volta luogo di
potere e di governo.
Come negli altri ordinamenti della Costituzione Premoderna, osserviamo che non
ci troviamo immersi in un mondo governato da una logica assistenziale.
• Libri d’oro
• Cittadinari
• Abiti di cittadinanza
Ma la loro valenza costituzione è la medesima.
Tali documenti sono fondamentali per identificare chi può governare, infatti erano
conservati nelle zone più segrete e sicure del palazzo del governo. Tali documenti,
inoltre, non si esauriscono con il Medioevo, ma lo troviamo applicati, quasi gli
stessi fini almeno fino a metà Ottocento.
Essi possono essere definiti in modo diverso di luogo in luogo, ma quasi ovunque
nel lessico giuridico delle fondi di diritto, sono identificabili con la denominazione
di statuti cittadini. Qui sono raccolte le regole di convivenza, e descritte le pratiche
di convivenza e di potere per il funzionamento della città.
GLI STATUTI
Tali statuti richiamavano poi per campi specifici il contenuto e le regole che ogni
corporazione ammessa in città si dava: tale regole e pratiche corporative si trovano
raccolte in documenti definiti come statuti corporativi.
Per disciplinare una convivenza nei territori sottoposti al potere della città ma fuori
dalla città stessa, le regole vennero raccolte in documenti definiti come statuti
rurali.
Si tratta di sistemi di regole disposti dal più importante, ossia gli statuti cittadini,
passando per quelli di importanza immediatamente inferiore, gli statuti delle
corporazioni, sino ai meno importanti di tutti, ossia gli statuti rurali.
Le regole:
Assumendo che lo Stato non c’è sempre stato, ma che è un prodotto umano che
arriva da un certo momento in avanti dove nemmeno la complessità giuridica e
costituzionale, nè la forza e ricchezza delle città (mediterranee) vano confuse con
lo stato. È errato dire città-stato poichè mancano di alcuni elementi, come la
sovranità non derivata e i caratteri impersonali del potere, al contrario, la città è
retta da un potere personale: si sa sin da subito che il governo va a persone note
a cui si deve obbedienza.
Capitolo 8
Finora abbiamo parlato di uno spazio plurale senza stati, ma questa immagina a-
statuale è veritiera? Non esistevano già alcuni poteri universalistici?
• Res Publica Christiana: in sintesi estrema corrisponde alla comunità che riunisce
tutti i cristiani sotto l’autorità del Papa, rappresentante di Dio sulla terra.
1. A Roma c’era “qualcuno” che si sentiva investito da Dio a essere capo della
Chiesa, di tutti i cattolici: il Papa.
Questi due poteri, vocazionalmente universali, a ben vedere avevano una natura
costituzionale molto diversa rispetto agli ordinamenti fin qui studiati. Perchè?
A. Perchè a differenza del pater familias, dei signori fondiari dei feudatari e delle
universitates cittadine.
C. La loro sovranità allora, non era relativa, non promanava dal basso, ma bensì
dall’alto.
• Si tenga inoltre presente che non esiste una piramide feudale con vertice
unico ma tanti “grappoli” di potere e poteri.
A partire dal XI-XII secolo alcuni signori che già si trovavano al vertice di
ordinamenti feudali e/o cittadini si presentano sul territorio offrendo una protezione
più ampia in cambio di fedeltà maggiore e privando di autonomia gli assoggettati.
Nasce cosi quello che dagli storici e dai giuristi successivi è definito lo stato
territoriale. Naturalmente quei signori che intesero “imitare” il Papa e/o
l’Imperatore non erano consapevoli di costruire lo Stato.
A partire dal XII-XIII secolo è stato osservato che iniziano a comparire ordinamenti
con una Verfassung completamente diversa, ossia:
Tutto ciò avvenne attorno a soggetti di “comando” che intendevano imitare il Papa
e l’Imperatore. È proprio per questo aspetto culturale l’aspetto caratterizzante il
nuovo tipo di Costituzione.
LO STATO TERRITORIALE
Questo ordinamento era lo Stato territoriale, ossia un ordinamento che per quanto
“inventato” quasi involontariamente dalle società di quel tempo mosse dal
bisogno di sicurezza. Lo Stato ebbe subito e ovunque un successo dirompente e
nel giro di poco tempo il nostro spazio, prima affollato di città, feudi, signorie, fu
tutto costellato di Stati più o meno estesi.
Vale a dire che lo Stato è una macchina espansiva che va a distendersi su tutto il
territorio disponibile e si arresta solo quando incontra un potere omologo ma
opposto, cioè un altro Stato. È però difficile trovare una risposta al perchè sia
risultato un ordinamento di successo. Di certo:
- Non si tratta di un’evoluzione “anticiclica” della storia del potere dal bene al
meglio.
Una terza lettura è quella storiografica militare: alcuni hanno cercato la risposta
nella sfera militare e hanno descritto lo Stato come il prodotto della guerra tra
ceti e tra ordinamenti, cioè per costoro senza guerra non ci sarebbe lo Stato.
Tuttavia anche questa risposta non parrebbe convincente.
UN’ANALISI STRUTTURALE
Osserviamo allora la proposta del politologo norvegese Stein Rokkan
(1921-1975), sensibile al dato storico e a quello costituzionale. Ogni teleologismo,
infatti, lo abbiamo visto, si è limitato a cercare spiegazione nella dinamica delle
relazioni tra i diversi ordinamenti sul territorio.
È proprio in questa area che lo scontro tra due diverse visioni del mondo - quella
statica e quella dinamica - si fa più crudo. In questi territori infatti i diversi
governanti, per primi, avvertono il bisogno di proteggersi da vicini “aggressivi” e
con mire espansive.
Osserviamo però:
2. Le città infatti essenza realtà ricche e molto estese non si sentivano il bisogno
di “trasformarsi” in Stati, eppure anche in questo ambito territoriale presto tutto
si trasforma, lasciano il campo libero allo Stato territoriale.
2. Il caso di Firenze: Firenze era una ricca e dinamica signoria che pareva perciò
fare a meno di aderire a una logica statuale, eppure, dal 1490 al 1530 - e
massimamente dal 1537 con l’assorbimento di Siena nella sua origina - si
trasformò e confermò nello schema dello Stato territoriale. Di fronte alla
minaccia proveniente dalla famiglia Visconti a capo dello Stato di Milano anche
nell’area di Firenze si avvertì il bisogno di cambiare costituzione, passando da
una costituzione cittadina (più instabile e conflittuale) a una costituzione
statuale.
Un altro elemento della fortuna dirompente del modello statuale dunque sta propri
nella convivenza reciproca alla base della fondazione dello Stato.
Lo stato territoriale però non si configura come un dominio compatto con potere
e intenzioni assoluti, bensì come potere di coordinamento tra i diritti di tutti gli
ordinamenti assoggettatisi al suo potere. Il sovrano infatti è come un giudice e la
costituzione dello Stato territoriale è detta pattizia proprio perchè si basa su uno o
sui tanti patti (a seconda delle dinamiche storiche e geopolitiche) tra il centro e gli
ordinamenti assoggettati.
I PATTI DI CAPITOLAZIONE
I patti di capitolazione sono dunque gli atti in cui sono contenuti gli accordi che
segnano l’assoggettamento di un ordinamento allo Stato. La retorica dei patti si
soggezione è molto particolare e spesso è costruirà per simulare adesione
“spontanea” allo Stato. Si tratta di una simulazione però quasi fine a se stessa dal
momento che era quasi impossibile sottrarsi alla logica espansiva dello Stato
vicino, per cui, o si fondava uno Stato o si entrava a far parte di quello
territorialmente contiguo.
Capitolo 9
LA COSTITUZIONE PREMODERNA
Abbiamo detto che i Poteri universali preesistenti allo Stato - Chiesa e Impero - si
distinguono per sovranità non derivata, per un potere originario tratto da Cristo
come divino legislatore. Questi poteri, però, sul piano fattuale, non furono in grado
nei circa sei secoli (per la Chiesa) e quattro secoli (per l’Impero) precedenti di
modificare la regola con cui, dopo il crollo dell’Impero romano, si erano costruiti gli
accordi di convivenza su cui si erano costituiti i diversi ordinamenti. Dal punto di
vista fattuale erano, dunque, poteri effimeri.
Però abbiamo anche detto che ai fini della nostra analisi è molto utile prendere in
considerazione anche un alto aspetto riguardante la presenza di questi poteri
universali l’aspetto culturale: ossi la percezione che i coevi ebbero di tali
ordinamenti. Per moltissimi soggetti, quegli ordinamenti erano sconosciuti.
Però per pochi soggetti, ma allo stesso tempo i più potenti, cioè i soggetti già al
vertice degli ordinamenti civili, tali ordinamenti originari, universali erano noti cosi
come nota era anche la legittimazione divina dei soggetti che si trovano al vertice
di quegli ordinamenti universali. È proprio per questo aspetto culturale che
Chiesa e Impero vanno considerate presenze importanti ai fini della Storia dello
Stato e delle istituzioni.
Per questo possiamo sostenere che, in fin dei conti, la convivenza è reciproca.
Proprio per questa convivenza reciproca oltre che per il primo e secondo postulato
di Rokkan che, fuori d’ogni visione teologica, analizza lo Stato nei suoi momenti
cruciali con l’approccio modellistico elaborando dei modelli:
Ragionando sull’origine degli Stati teniamo presente, in primo luogo, che solo
dopo il XII-XIII secolo possiamo parlare di Stato. In secondo luogo, giova tenere in
conto l’analisi di Rokkan che muovendo da una “casistica” storia identifica due
modelli di costituzione territoriale.
A. Lo Stato monocellulare.
B. Lo Stato mosaico.
Posto che all’origine di ogni Stato c’è sempre un patto di capitolazione, vediamo i
due modelli nel dettaglio.
A. LO STATO MONOCELLULARE
È lo Stato che sorge per effetto di un unico atto di assoggettamento nei diversi
ordinamenti sul territorio ad un unico signore.
B. LO STATO MOSAICO
È lo Stato che si forme per effetto di diversi e successivi patti di capitolazione nei
diversi ordinamenti sul territorio ad un unico signore territoriale e ad un unico
centro: lo Stato.
Un altro esempio di Stato mosaico allo stesso identico modo, per gli stessi motivi
storici, politici e giuridici, attraverso la stessa dinamica costituzionale di tipo
“mosaico”, ma su scala maggiore, europea, un altro esempio tipico di Stato
territoriale è la Francia dal 1302 in avanti.
LA FRANCIA
Lo Stato territoriale in Francia si addensa attorno al signore de i’lle de France,
Filippo II il Bello, per successive annessioni, o meglio, assoggettamenti.
Dal punto di vista costituzione gli assoggettamenti che sono alla base del Regno di
Francia non sono diversi quelli visti per la Toscana. Paradigmatico, lo abbiamo già
visto, il cosiddetto Trattato d’unione del 1532 (più o meno coevo a quello di Pisa
per la Toscana) con il quale la Bretagna fino ad allora Ducato autonomo entra a far
parte del Regno di Francia.
- Per la Toscana più o meno sotto diversi aspetti solo a partire dal 1848.
Questa osservazione è funzionale per renderci conto della profondità storia di certe
istituzioni, della Verfassung degli Stati dell’età moderna.
Di più: da questo punto di vista ha poca rilevanza il fatto che nel corso di questa
storia tali accordi non siano stati sempre osservati nella lettera, perchè ciò che
veramente importa è che nessuno si assunto la responsabilità di eliminarli.
Infatti per tutti c’era, in maniera differente, la profonda consapevolezza della
valenza costituiva di tali patti; costituiva per la Costituzione dello Stato.
Per questa ragione abbiamo molto insistito nella ricognizione delle diverse
costituzioni, dei diversi ordinamenti che si sono creati spontaneamente dal V
secolo in avanti, perchè tali ordinamenti li ritroviamo come “tasselli” costitutivi
del mosaico statale. In sostanza sono quei poteri locali che da allora in avanti
troviamo fino ad oggi sul territorio e perchè il sovrano, non solo non cancella tali
ordinamenti, ma si impegna a tutelarli di fronte a terzi.
Parlando della diffusione dello Stato abbiamo introdotto un’altra sua caratteristica:
lo Stato non annulla, ma agisce invece secondo una logica conservatrice e ciò
ha importantissime ricadute dal punto di vista costituzionale.
Il che equivale a dire che il potere è nuovo ma il suo esercizio riprende per
molti aspetti logiche tradizionali. L’aspetto conservativo appunto questo ci
conferma: che lo Stato non domina, ma tutela le autonomie.
A. Plurale: composta da tanti pezzi, quanti sono gli ordinamenti che “contiene”.
B. Plurale poi, sopratutto perchè ogni provincia che entra a far parte dello Stato
vede mantenuta la propria specificità giuridica.
C. Plurale perchè lo stato funziona sulla base di tanti sistemi di regole validi
ognuno per ogni corpo.
Si tratta, quindi, di una Verfassung plurale, dunque, perchè lo Stato è Stato di corpi
collettivi, ciascuno dei quali ha proprie regole.
• Statico.
• Dinamico.
IL PARADIGMA DI OAKESHOTT
Al di là dell’aspetto dinamico strictu sensu, su cui ritorneremo, ci aiuta a capire una
cosa importante sul funzionamento dello Stato: per lungo tempo a nessuno era
venuto in mente di dire che per molti secoli la “nostra storia” l’esercizio del potere
di comando sul territorio non fosse la legislazione, cioè la scrittura/imposizione di
nuove leggi da parte di un sovrano.
Si tenga inoltre presente che la natura del potere del sovrano comporta importanti
“ricadute”:
A. Di tipo concettuale.
B. Di tipo costituzionale.
Se questa idea del potere come Iurisdictio, dl potere di dire il dirotto, come
massima del potere nello Stato e come potere del sovrano, si “attiva” nel Basso
Medioevo. Essa è ancora centrale nella visione costituzione dei coevi nel pieno
dell’età moderna: Jean Domat, uno dei più noti giuristi di Luigi XIV, nel regno del
Re Sole affermava che: “tra i diritti del sovrano, il primo e più importante, il
fondamento dell’ordine pubblico è il diritto di amministrare la giustizia”.
La Iurisdictio però è il potere del sovrano di dire il diritto, NON il potere di fare
le leggi. È il potere dichiarativo di applicare le regole del diritto preesistente, dal
momento che il sovrano non innova il sistema ma semplicemente lo mantiene in
equilibrio.
A. Anzitutto, dal punto di vista delle pratiche del governo crea l’idea (moderna)
che chi governa non sia investito di un potere assoluto ma di un potere che è
legale perchè finalizzato ad applicare un diritto che lui giudica più giusto.
Inoltre, e cosi possiamo alle ricadute “costituzionali”.
B. Tale concezione innesca pratiche legate all’esercito del potere che produrranno
la nascita di nuove istituzioni politiche fondamentali per l’evoluzione del potere
statuale.
Alla base di queste pratiche “propulsive” che sospingono l’evoluzione della forma-
Stato sta la logica secondo la quale:
2. Allora l’esercizio del potere del sovrano deve prevedere pratiche che - come
avviene per i giudici - rendano “partecipi” del giudizio le parti in causa.
Il altri termini, il potere come Iurisdictio porta con sè l’idea che quel potere sia
“condiviso” con i destinatari del comando. Preme però sottolineare che questo
non è soltanto un aspetto culturale o teorico, ma anche profondamente pratico.
Realmente, e per tutti, in quei secoli gli atti dei sovrani per essere legali dovevano
essere legittimati dalla presenza dei destinatari di tali atti: in caso contrario, l’atto
non era legale.
Ne deduciamo che il potere del sovrano è potere di dire il diritto. Tale potere deve
essere legittimato con la partecipazione dei destinatari del comando; solo cosi tale
comando era accettato da tutti i soggetti sul territori, cioè ogni atto politico del
sovrano doveva essere “processualizzato” come avveniva, secondo un iter simile
alla sentenza del giudice in tribunale.
Insomma, la logica di fondo è contenuta nel celebre brocardo del tempo: “Quod
omnes tangit ab omnibus aprobari debet” (letteralmente: ciò che tocca tutti, da
tutti deve essere approvato).
Questa logica vale a dire il bisogno del principe di chiamare a sè le parti per
validare i suoi atti, per legittimare gli atti politici. Cosi facendo, produce un
meccanismo costituzionale:
Insomma, generò l’idea (moderna) che il potere dello Stato non corrisponde al
diritto di supremazia di un uomo su altri uomini.
Il potere del sovrano allora è il potere di applicare un diritto già esistente, il che
implica che l’esercizio di tale potere richieda la “partecipazione” degli altri soggetti,
dei destinatari degli atti del principe.
Questa logica produce anche nuove istituzioni politiche atte ad accogliere “gli altri”
al cospetto del principe. Tali istituzioni sono l’evoluzione delle antiche
assemblee feudali che anche nel Medioevo senza-Stato erano sempre esistite
per far funzionare i diversi ordinamenti che abbiamo visto. Erano a quell’epoca
poco più assemblee dove si riunivano il signore e i suoi consanguinei per prendere
decisioni più importanti.
Queste assemblee:
Capitolo 10
Sarà oggetto di questo capitolo lo studio della natura delle fonti del diritto
prima delle codificazioni modernamente intese, tenendo presente che prima
degli inizi dell’Ottocento tutti gli ordinamenti giuridici generali si caratterizzano per
l’esistenza di una pluralità di fonti giuridiche aventi diversa origine e ampiezza
applicativa.
1. La consuetudine.
2. Gli statuti locali che suddivisa o in tre tipologie -> cittadini, corporativi e rurali.
4. Il Diritto romano.
5. La Giurisprudenza giudiziaria.
Infatti oggi, a partire dal 1804 in avanti, la regola generale è prima di tuto il diritto
positivo cioè posto da qualcuno, ossia lo Stato. Fino al 1804 la regola generale era
prima di tutto e per tutti il diritto “trovato” sul territorio, lo ius inventum, ossia il
diritto non posto da qualcuno, bensì le regole prodotte dalle cose, dal tempo e nel
tempo.
In particolare la logica applicativa delle fonti era che le regole prodotte da qualche
signore o dai reges o da qualche città, acquisiva vigenza perchè qualcuno (signore,
reges o città) esiste e ha “posto” quel sistema di regole.
I coevi dicevano: “se quel soggetto non fosse esistito, quelle regole non ci
sarebbero state”.
Allo stesso modo, i coevi sostenevano che le regole consuetudinarie prodotte dalle
cose, legate al territorio e poste non si sa da chi in particolare ma sono dotate del
carattere vincolante dalla convinzione comune sedimentatasi nel tempo
avevano valore superiore a tutto in quanto prodotto in ultima analisi della natura.
La consuetudine per giuristi e politici del tempo era lo ius inventum per
eccellenza, il diritto trovato, il diritto più bello e straordinario di applicare.
LA CONSUETUDINE
È la fonte tipologicamente più antica. Gioca un ruolo di primissimo piano per lungo
tutta l’età moderna. Si ricordi che molte delle norme scritte prodotte partire dal
Basso Medioevo altro non sono che la formalizzazione di regole consuetudinarie
già in vigore. Parafrasando l’efficacia metafora di Paolo Grossi: la consuetudine
non è altro che un sentire in un bosco, un’infinità di passi costantemente ripetuti
nel tempo.
Oltre e accanto agli Stati Generali del comune, troviamo anche una serie di testi
statuari generali: generalmente corrispondo alle varie magistrature addette
all’amministrazione della comunità cittadina (annona, lavori pubblici, tesoro e
contabilità, igiene, finanze e tributi).
Gli statuti cittadini, in termini di storicità, sono percepiti come fonti del diritto a
partire da quando le città e ordinamenti consimili assumono un ruolo nuovo e
importante nel panorama politico e costituzionale di quei secoli.
Si tratta di statuti prodotti dalle singole corporazioni artigiane. Le norme ivi indicate
sono vincolanti per i membri rispettivi di ciascuna corporazione. Riguardano in
particolare i rapporti di produzione e di lavoro propria di ciascuna corporazione.
Dunque anche lì, in città, come nello Stato il soggetto di vertice, chi governava la
città (persona giuridica) doveva (si sentiva obbligato a) applicare a ciascuna
corporazione le regole dettate dal proprio statuo.
• Repressione penale.
La riscoperta del Corpus Iuris Civilis tra l’XI e il XII secolo, per i giuristi dell’epoca,
non rappresenta soltanto la possibilità di attingere ad uno “scrigno inesauribile”
per arricchire il proprio lessico giuridico: questa monumentale compilazione
rappresentava un modello finalmente autorevole e quindi universalmente
condivisibile. Infatti, proprio la sua caratteristica di modello autorevole garantiva
altresì l’osservanza generale.
I luoghi deputati allo studio del Corpus furono innazitutto le università. Infatti, esse
divennero a partire dal XII secolo in poi centri di elaborazione di una nuova
“tecnologia della giustizia”. Questa nuova generazione di giuristi che si
formavano nelle università erano per lo più interpreti del diritto antico.
Con il termine interpretatio qui, intendiamo con Grossi, più che il significato di
interpretazione, quello di intermediazione tra legge antica e fatti nuovi a cui essa di
volta in volta era applicata.
A costoro infatti presero l’abitudine di rivolgersi i giudici, gli avvocati, i notai che
fronte ad ogni controversi o caso pratico non risolvibile in base alle norme reperibili
nei singoli ordinamenti, necessitavano di ricorrere a un diritto più completo e
uniformabile, comune.
È molto importante notare però che il diritto romano si diffuse su gran parte
dell’Europa Occidentale, non in virtù di una qualche autorità politica interessata ad
importante l’osservazione. Bensì grazie a un’esigenza spontanea della società, che
trovò in esso il modo più pratico per appagare i propri nuovi bisogni.
I vari reges medievali e della prima età moderna, infatti, ravvedevano in quel
sistema di regole proveniente dall’età classica (anche se organizzate da
Giustiniano nell’alto Medioevo) una forma di ius inventum: cioè di “diritto trovato”
e non posto da alcuno (tanto meno da qualche sovrano omologo).
Il diritto romano allora potè diffondersi nella indifferenza dei sovrani di quei secoli
che non intesero come diritto posto da qualche altro sovrano con cui mettersi in
competizione ma, giustamente, come diritto consuetudinario messo per iscritto e
sistematizzato dai giuristi e dai giudici.
Se ne deduca allora che ciò che viene utilizzato e citato nella comune vita forense
non è mai l’originale norma romana, che sopratutto a partire dal Cinquecento
ormai pochi conoscevamo davvero. Bensì, l’interpretazione di essa era data da
autorevoli giuristi.
Ma qual’è allora la posizione del diritto romani rispetto alle altre fonti del diritto?
Anzitutto si tenga presente che il diritto romano è sempre una fonte integrativa e
sussidiaria rispetto a tutte le altre e ad esso si ricorre, solitamente, quando vi siano
altre norme entro i singoli ordinamenti capaci di regolare il caso controverso.
Infatti, la sua ragion d’essere sta nel riempire gli spazi lasciati vuoti dagli
ordinamenti giuridici minori.
F. LA GIURISPRUDENZA GIUDIZIARIA
A questo proposito si tenga presente che fino al Cinquecento questa fonte del
diritto non ha un peso rilevante nell’Europa continentale e a “far diritto” era il
parere del giurista universitario, non quello del giudice, che molto spesso non
possiede una specifica cultura legale (è “indotto”).
- La Rota Romana
- La Rota Fiorentina
- I Parlements francesi
- Il Reichskammergericht tedesco
Prima di chiudere questo capitolo occorre fare una riflessione circa la graduazione
delle fonti negli ordinamenti premoderni: infatti essa si ispira prevalentemente ad
un criterio del tutto diverso rispetto a quello che governò il rapporto tra le fonti del
diritto nell’ambito degli ordinamenti (interamente statalizzati) di oggi.
Mentre attualmente la gerarchia delle fonti si fonda sulla prevalenza della norma
di grado superiore rispetto alla norma di grado inferiore. Vale a dire: la prevalenza
della Costituzione sulla legge, la legge del regolamento, il regolamento sulla
circolare. Negli ordinamenti premoderni il principio base è quello della prevalenza
della norma speciale sulla norma generale.
Data questa premessa, il giudice cerca sempre parer prima la norma a lui più
“vicina” (la consuetudine o lo statuto locale) e solo sussidiariamente ricorre al
diritto romano.
Inoltre per la legge del principe o lo statuto della città si applica solitamente lo
stesso criterio: esse cedono nel concorso con norme gerarchicamente inferiori ma
di applicazione più specifica, salvo che (cosa che avviene molto spesso) essa non
rechi clausole espresse che dichiarano la sua prevalenza su ogni altra norme di
contenuto contrastale.
Sia chiaro che il sovrano giudice non è il sovrano contemporaneo che crea un
sistema democratico:
1. La sua natura tutoria è tale che egli cerca di intervenire il meno possibile
lasciando che i conflitti si sì rollano tra gli ordinamenti coinvolti.
Capitolo 11
Lo Stato, il “nostro” Stato, non è assoluto ma tutore dei soggetti che assorbe e
fagocita. Abbiamo allora allontanato l’idea di uno Stato assoluto retto da un
sovrano unico detentore del potere. Al contrario, fin dal momento della nascita
dello Stato, il sovrano si presenta ai suoi sottoposti come tutore - come giudice -
che fa rispettare i diritti diversi di tutti i diversi ordinamenti che assoggetta.
Si ricordino a tal proposito gli esempi della Toscana e della Bretagna, duce casi
estremamente diversi se si tengono in considerazione le rispettive dimensioni e la
distanza geografica, ma per questo ancora più provanti quanto stiamo dicendo:
B. Il sovrano è un giudice-tutore.
1. Lo Stato-Societas
2. Lo Stato-Universitas
I due ideal-tipi di Stato:
2. Lo Ius dicere come potere di dire il diritto preesistente dove il “nostro” Sovrano
non poteva (nè voleva) scrivere nuove regole ma applicare quelle preesistenti
attingendo ai diversi ordinamenti e anche quando scriveva regole lui stesso, si
trattava per lo più di una messa per iscritto di consuetudini secolari o
comunque necessarie a coordinare i diversi sistemi di regole sul territorio.
Una tale configurazione del potere era densa di ricadute sul piano istituzionale
dall’equiparazione del potere sovrano al potere del giudice. Infatti discendeva la
conseguenza che gli atti costituzionale del sovrano fossero sottoposti a “vincoli”: a
procedure di natura processuale. Prima tra tutte quella del contraddittorio
necessario.
Si noti che tali atti del sovrano-giudice dovevano soddisfare la regola - che acquisì
presto valenza politica - che ciò che riguarda tutti deve essere da tutti
ascoltato e approvato.
La densità istituzionale invece stava nel fatto che la necessità di soddisfare tale
principio imponeva al sovrano di convocare al proprio cospetto tutti i potenziali
interessati prima di assumere decisioni di carattere generale che potesse in
qualche modo incidere sui loro diritti.
Tale pratica serviva a validare gli atti politici del sovrano, cioè a verificare la
conformità di tali atti ai diritti dei corpi presenti nello Stato.
Infatti dalla necessità del sovrano di “condividere” alcune scelte con i corpi si
produssero quelle istituzioni rappresentative a base cetuale che vediamo operare a
fianco dei sovrani dall’età tardo-medievale in avanti.
Queste assemblee erano sorte, quando nel mezzo del declino del feudalesimo, il
principe era impegnato (più o meno consapevolmente) nella costruzione di uno
Stato territoriale più unificato e efficacemente organizzato, ma non era ancora
abbastanza forte da procedere in maniera autocritica. Egli allora appoggia il
bisogno di assicurarsi l’appoggio e la collaborazione delle classi politicamente
attive della popolazione.
Capitolo 12
Le istituzioni che noi abbiamo definito protoparlamenti sono istituzioni collegiali
evoluzione di piccole assemblee feudali che col tempo accolgono un discreto
numero di soggetti. Col tempo questo ampliamento a cui si accennava avvenne
mediante la convocazione “al centro” al cospetto del principe, non a titolo
personale, bensì in quanto appartenenti ad un ceto, o meglio in quanto
rappresentanti di un ceto.
Questi rappresentanti non erano scelti a caso ma “oculatamente” ceto per ceto, e
naturalmente, corpo per copro perchè in generale non c’erano solo ceti ma anche
“rappresentanti” di altri “poteri forti” sul territorio, cioè le città.
Per questo lo Stato della prima età moderna viene definito stato per ceti perchè
funziona grazie alla combinazione del potere sovrano (giudice) con quello dei ceti
(aventi parte) riuniti nel Protoparlamento.
PROTOPARLAMENTO
Lo abbiamo detto, è una nostra etichetta, che intende riunire un amplissimo
concetto che copre tutto l’occidente con diverse denominazioni:
- Stati generali;
- Stamenti;
- Cortes;
- Diete;
- Duma;
- Parlamento.
A. Clero
B. Nobiltà
Inoltre, quasi ovunque i partecipanti a quelle assemblee erano eletti dal loro ceto di
appartenenza.
A. IL CLERO
Era rappresentanti nella maggior parte dei casi: da alti prelati che sedevano nelle
assemblee iure suo (per un diritto loro proprio). Come detto, deputati eletti in
rappresentanza dell’intero copro ecclesiastico si ritrovano in pochi esempi, gli Stati
Generali francesi e le Diete di Norvegia e Svezia.
B. LA NOBILTÀ
Generalmente ciascun membro di questo ceto aveva diritto a partecipare alle
assemblee. I difetti di tale sistema erano numerosi, il più evidente era che i
parlamenti finivano invasi da sciami di signori di campagna, parzialmente in rovina,
pronti spesso a vendere il proprio voto al maggior offerente. Tuttavia il pregiudizio
che tutti i nobili dovessero partecipare era talmente forte che raramente il
contrapposto sistema della rappresentanza della nobiltà attraverso deputati eletti
potè prevalere.
• Anche nelle città nel pieno dell’età protomoderna i rappresentanti delle città
erano prodotto di una selezione di forma elettorale.
Un’assemblea perciò è divisa in diverse camere ciascuna delle quali era destinata
ad accogliere un unico ceto o comunque un unico corpo che condividesse diritti
giuridici e interessi politici (ceto o corpo).
A. Protoparlamenti bi-camerali
B. Protoparlamenti tri-camerali
C. Protoparlamenti quadri-camerali
È il più diffuso, ma non l’unico possibile. Il motivo per cui da zona a zona si ebbero
configurazioni diverse, però, non è sempre chiaro.
IL MANDATO OPERATIVO
Un altro elemento che connota in maniera peculiare queste assemblee e che ne
complicava ulteriormente il funzionamento è il mandato imperativo, ossia quel
rapporto vincolante che lega il rappresentante/delegato al corpo/ceto di
appartenenza che lo ha scelto/eletto. In estrema sintesi il rappresentante presso il
Protoparlamento doveva rigorosamente rappresentare/tutelare esclusivamente
l’interesse del ceto di appartenenza.
In particolare doveva tutelare l’interesse del collegio che lo aveva scelto all’interno
di quel ceto. In caso contrario il collegio (coloro che l’avevano eletto) aveva il
potere di revocargli il mandato. Inoltre, questo nesso strettissimo, tra
rappresentante/deputato/mandatario e il proprio territorio di appartenenza fare a si
che le questioni nazionali fossero messe in discussione sulla base degli angusti
interessi locali.
Infatti bisogna osservare che poichè lo Stato per ceti è espressione istituzionale
dell’ordine cetuale e territoriale, queste istituzioni cetuali centrali possono
spesso avevano derivazioni sul territorio come gli Stati provinciali in Francia
oppure i Landtagen nell’Impero tedesco.
A. La logica giuridica risiede nel bisogno del principe - percepito come vincolante
- di applicare il principio del “Quod omnes tangit”.
B. La logica costituzionale risiede nel bisogno del principe - percepito come
vincolante - di condividere il potere con i ceti e nel bisogno del principe - percepito
come vincolante - di validare i propri atti nel Protoparlamento.
Sul versante cetuale la pratica della convocazione nel Protoparlamento portò allo
sviluppo di procedure di selezione atte ad i denti ficcare il deputato. Da parte del
principe si ebbe una progressiva accettazione, sopratutto si diffuse la pratica di
convocare questi Protoparlamenti.
Sul piano generale è attraverso questa pratica che entro fine XV secolo nasce una
sporta di rappresentanza pre-politica. In questo senso non è azzardato dire che: lo
Stato territoriale della prima età moderna ha inventato la rappresentanza.
Però, bisogna resistere alla tentazione di assimilare i Protoparlamenti ai Parlamenti
“moderni” e “contemporanei”. Molte sono le differenze tra i Protoparlamenti e i
Parlamenti contemporanei, tra le tante ricordiamo le più importanti:
- Non esprimevano interessi generali per giungere alla volontà comune, bensì
interessi corporativi.
Tecnicamente:
È vero, però, che con i Protoparlamenti e lo Stato per ceti si innesta nel processo
di organizzazione del potere un meccanismo che sarà alla base di tutti o quasi tutti
i sistemi fino a oggi, ovvero la rappresentanza. Esso rappresenta il principio
tecnico per il quale oggi – nello Stato-Universitas, nello Stato di diritto
contemporaneo – le leggi non le fa un unico soggetto ma una istituzione collegiale
i cui membri sono elettivi.
I Protoparlamenti erano istituzioni il cui fine non era produrre e sintetizzare con
leggi nuove e innovative la volontà comune, bensì il fine era quello di tutelare le
antiche ‘libertà’ dei singoli corpi, i diritti dei singoli corpi senza nulla innovare nel
quadro di uno Stato che continuava – e continuò a lungo – a configurarsi come
stato plurale e giurisdizionale.
Al punto che non è azzardato affermare che la storia del potere, dello Stato, in
Occidente passa proprio attraverso l’evoluzione del rapporto tra Sovrano e ceti, tra
Sovrano e Protoparlamenti, dove naturalmente si hanno delle configurazione e dei
risultati diversi da zona a zona.
Data l’enorme diffusione che ebbero queste istituzioni, si ebbe anche un forte
impegno della cultura coeva, della giuspolitica coeva per trovare giustificazione
costituzionale della presenza dei Protoparlamenti a fianco del Sovrano. Tale
giustificazione si trovò attorno a un’idea che pur presente da tempo nella cultura
politica, era poco invalsa perché non si poneva poca attenzione sul problema della
gestione del potere.Tale idea forte fu ‘isolata’ come regola costituzionale per
eccellenza e dall’età premoderna in avanti fu ripresa per ‘leggere’ e giustificare
queste istituzioni (i Protoparlamenti) e l’assetto costituzionale derivato. Si parla,
quindi, della formula del governo misto.
Capitolo 13
Parlando di Protoparlamenti e della loro diffusione su ampia scala nel quadrante
europeo del Tre-Quattrocento, siamo andati alla ricerca della giustificazione
costituzionale della presenza di tali assemblee a fianco del sovrano. L’abbiamo
allora ritrovata attorno a un’idea forte, una teoria molto solida e credibile che fu
elaborata lungo tutto questo blocco di secoli che abbiamo preso in esame, almeno
fino a metà del XVII secolo, che è quella basata sul modello: del governo misto.
Del governo misto avevamo già parlato: si tratta di un modello che per le sue
origini rimonta al pensiero dei classici: Polibio e Cicerone, recuperando l’azione
anticiclica e anticrisi del governo misto che Polibio aveva ben sintetizzato
analizzando la Res Publica romana.
Insomma, si può immaginare che agli occhi di chi si trovava ‘immerso’ nella
società cetuale e stratificata, nello Stato per ceti paresse facile e quasi fisiologico
vedere riprodotto il salvifico schema misto dell’uno, dei pochi e dei molti di matrice
polibiana.
Lo Stato per ceti, però, è una forma tipica dello Stato d’età premoderna e moderna
e sarebbe profondamente errato pensare all’Europa di Antico Regime come uno
spazio caratterizzato da omogeneità costituzionale.
Gli stati dove il sistema cetuale e protoparlamentare non decollò mai sono quei
stati la cui fortissima connotazione cittadina bloccò – quasi all’origine – lo sviluppo
di pratiche protoparlamentari e cetuali e dove, pertanto il rapporto tra Centro e
Periferia rimase perlopiù ancorato a negoziazioni bilaterali sintetizzate già dai patti
di capitolazione via via aggiornati.
Più o meno ovunque, allora lo Stato, in generale, si configura come Stato per ceti,
tenendo conto della forte presenza di corpi territoriali (città) ossia proiezioni
territoriali del ceto. Lo Stato può essere definito uno Stato di corpi. In ultima analisi
lo Stato per ceti o di corpi esprime l’immagine di un sistema di potere plurale che
si estende su un territorio, su uno spazio polimorfo affollato di tanti poteri territoriali
e morali. Insomma, lo Stato è da intendersi come una sorta di ‘federazione’ di
poteri diversi.
Questo è lo Stato premoderno e della prima età moderna: uno Stato che promette
di dare “a ciascuno il suo”. Uno Stato basato sulla pratica politica che prevede la
consultazione dei corpi interessati.
Nel frattempo siamo arrivati a un punto cruciale della nostra storia dal punto di
vista cronologico, grossomodo, le diverse trasformazioni di cui abbiamo parlato si
snodano dal Trecento in avanti: siamo giunti al Cinque-Seicento. Snodo cruciale
dal punto di vista delle forme di organizzazione del potere: è una stagione di
ulteriore accelerazione e evoluzione nelle forme di governo dei diversi Stati
occidentali. Un altro snodo cruciale è che fino ad ora abbiamo raccontato una
storia soprattutto di istituzioni, di modelli, di costituzioni che hanno consentito di
avere in mente tutte – o quasi – le tessere per comprendere e studiare:
Nel tornante Cinque-Seicentesco, dal momento che la ‘Storia del potere’ tra età
pre-moderna, moderna e contemporanea, in larga parte, passa attraverso i
rapporti tra istituzioni che abbiamo fin qui descritto, cioè i rapporti che
intercorrono tra Sovrano e ceti e tra Sovrano e corpi; tra ceti e ceti, tra corpi e
corpi. È ovvio allora che il diverso assortimento e andamento di tali rapporti
determinerà soluzioni diverse e forme diverse.
Soprattutto nelle aree in cui si decise, da parte dei ceti, di autorizzare il Sovrano a
prelevare annualmente una tassa fissa per l’esercito senza previa loro
autorizzazione.
Filosofo e giurista francese, è colui che più di ogni altro meglio registra il passaggio
a questa nuova percezione. In un famoso passo afferma che: “il Sovrano non deve
in alcun modo sottoporsi al comando altrui e deve potere dare legge ai sui sudditi,
cancellare o annullare le parole inutili".
Tuttavia, non dobbiamo leggere questa nuova concezione del potere come una
sorta di anticipazione né della sovranità assoluta, né della sovranità moderna
ottocentesca. Infatti questa nuova concezione del potere sovrano come potere
esclusivo (o quasi) del re continua ad appoggiarsi su una visione plurale dello
Stato.
Il sovrano NON è affatto affrancato dalle leggi di Dio e dalle leggi di natura, contro
le quali nulla può e nulla – egli stesso – intendeva fare, ma anzi la nuova
concezione del potere sovrano fa del re il principale interprete delle leggi di
natura e di Dio. Mantiene ai Protoparlamenti il ruolo di:
Vi sono zone dove i Protoparlamenti vedono però declinare i loro ruoli e in cui il
Sovrano farà da solo, come in Germania, in Francia, in Danimarca etc, però vi sono
zone in cui, come in Inghilterra, Aragona, Ungheria, Polonia, Svezia e Sicilia, invece
tali assemblee cetuali ebbero molta vitalità almeno fino a tutto il XVIII secolo. Ad
ogni modo, è innegabile che la tendenza generale fosse quella di marginalizzare
tali Protoparlamenti.
• Si ha sì un’evoluzione.
• La logica plurale.
Si tratta di una lenta evoluzione della psicologia collettiva che si manifesta tra fine
XVII e inizio XVIII secolo, che senza annullare totalmente la società di corpi ne
inizia a minare alla base i fondamenti teorici centrati sulla natura. Poco per volta,
tra Sei e Settecento, fasce sempre più ampie di ceti acculturati rifiutano l’idea
dell’ordine naturale e si convincono che è l’uomo il motore della storia. Inoltre, è
proprio a partire da tali convincimenti che dalla metà del XVIII secolo si affermano i
principi del movimento dell’Illuminismo: l’uomo è al centro delle storia e diviene
padrone anche delle Istituzioni. L’uomo – e NON la natura – fa la politica.
Paradigmatica di questo nuovo ‘sentire’ contro l’ordine sociale e politico dato per
sempre, e che invece si concentrava sul nuovo ruolo dell’uomo nella Storia e nella
società è la definizione del concetto di Antico Regime che dal 1790 i rivoluzionari
costruirono proprio sul rovescio della società moderna. Rovescio di cui,
spregiativamente, veniva proprio sottolineato il rispetto di un ordine violento e fatto
di abusi in cui l’uomo non godeva di alcuna tutela.
Capitolo 14
Passiamo ora alla sezione successiva, quella in cui, date le ‘tessere’ istituzionali
viste fino ad ora, proveremo a vedere come si sono composte nei diversi quadranti
occidentali, o almeno in quelli più significativi per il nostro discorso. Proveremo
cioè ad entrare in alcuni dei più significativi casi ‘nazionali’ per vedere il
funzionamento di quelle istituzioni di cui abbiamo a lungo parlato. Questo nostro
percorso si snoda a partire dal tornante cinque-seicentesco, cruciale per le forme
di governo.
SCENARIO EUROPEO
Lo scenario europeo di partenza è molto vario e composito per presenza di Stati
dalla Verfassung molto diversa. Possiamo identificare almeno 4 tipi di
Costituzione:
1. Stati o monarchie elettive: dove i poteri intermedi cetuali e/o territoriali sono
molto forti e i sovrani eletti dai corpi.
Tuttavia Sia nell’uno che nell’altro caso, si tratta di una conflittualità ‘benefica’
che spinse alla ricerca di nuovi e più stabili equilibri costituzionali. Insomma, a
metà Quattrocento quando nel 1453 termina, di fatto, la Guerra dei Cent’anni tra
Francia e Inghilterra, le ‘grandi’ monarchie apparivano più solide per diversi fattori:
Tali componenti, del resto, sono quelle tipiche degli Stati che da Stati
Protomoderni divengono Monarchie nazionali. Tra queste spiccano senz’altro la
monarchia francese e quella inglese. Queste tendenze sono evidenti oltre che in
Francia e in Inghilterra, anche nella Penisola Iberica (dove si distinguevano
almeno sei stati territoriali) e nella Penisola italiana (dove si trovavano gli Stati
regionali, o ‘Stati senza re’).
LA PENISOLA IBERICA
Qui si distinguono, l’abbiamo detto, almeno sei Stati territoriali: Portogallo,
Castiglia, Aragona, Catalogna, Granada e Navarra.
LA PENISOLA ITALIANA
Si distingue per la diffusione degli Stati regionali, o degli Stati senza re, ossia Stati
che vedono al centro dei poteri cittadini autosufficienti di raggio regionale. In più,
l’elemento caratterizzante tra XV e XVI secolo sono le città. C’erano tre città sopra
i 100.000 abitanti: Milano, Napoli e Venezia. Quattro città sopra i 50.000 abitanti:
Firenze, Genova, Bologna e Palermo e più di quindici città medie inoltre erano
concentrate nell’Italia centro-settentrionale.
Questa situazione si protrae fino a inizio XVII secolo quando si apre una stagione di
forte accelerazione del tempo storico che dal punto di vista costituzionale segna
l’avvio della stagione di quello che parte della storiografia definisce
dell’assolutismo, su cui ci soffermeremo parlando più specificamente del caso
francese.
In alcuni parti d’Europa si fa strada un nuovo modo di pensare il potere nello Stato:
non più condiviso tra il sovrano e i Protoparlamenti (espressione dei ceti) ma di
esclusiva pertinenza del sovrano che si inizia a pensare come unico detentore del
potere di comando. Tuttavia tale potere non si traduce in effettivo potere assoluto:
perché ancora il sovrano si sente vincolato a leggi divine, a leggi di natura e leggi
cetuali.
Anche la società può cambiare per effetto delle azioni e del pensiero dell’uomo: tra
i primi a sostenerlo c’è Thomas Hobbes per il quale: lo Stato è composto da
individui che consapevolmente lasciano lo Stato di natura e fondano lo Stato civile
retto da un Sovrano che rappresenti tutti. Paradigmatica di questo sentire sarà la
Rivoluzione di fine secolo che sdogana un nuovo concetto di Stato che ha come
suo rappresentante un uomo.
Ci avviamo allora allo studio di casi concreti, cioè l’analisi di come in alcuni
quadranti geopolitici tutte quelle ‘tessere’ che abbiamo finora studiato, si
compongono dando origine, a seconda dell’assortimento, alla propria specifica
forma di governo. Ciò, necessariamente, ci costringe a spostare la nostra
narrazione da un livello teorico-modellistico a un livello fattuale.
Capitolo 15
L’ESPERIENZA INGLESE
Da dove iniziare? Si tratta di una storia particolare, di cui a noi interessa indagare il
versante costituzionale e istituzionale. Iniziamo da un punto certo e da una data
certa:
A una costituzione più solida, ‘accentrata’ attorno alla corte normanna che crea
una struttura più omogenea e ‘compatta’. Naturalmente, stiamo parlando dell’XI
secolo, per questo suggeriamo cautela nel definire la costituzione ‘accentrata’ e
‘compatta’. Tuttavia, il passaggio è avvertibile.
Preme sottolineare però che tale compattezza, stabilità e omogeneità non si limita
alla sfera politica ma anche e soprattutto alla sfera giuridica, cioè da subito: si
creano alcune corti regie con sede a Londra. Tali corti si (auto)incaricano di
applicare su tutto il regno il diritto comune a tutti gli uomini liberi del regno.
Il diritto comune in area inglese, non è ciò che per diritto comune si intende, più o
meno nello stesso periodo, sul continente europeo, patria dello ius commune, il
diritto romano. In Inghilterra questo diritto comune è il prodotto di una amalgama
di regole dato dalla progressiva ‘integrazione’ del vecchissimo sistema di regole
consuetudinarie sorte secoli prima. Con ‘incursioni’ disciplinanti, con ‘comandi’
che queste corti centrali – per il re – inviavano alle numerosissime corti locali, e
interpreti di tali consuetudini. ciò avveniva tramite il sistema dei writ.
IL WRIT
1. I writ cessano per richiesta dei Lords nella Magna Charta del 1215: da allora in
poi il sistema si stabilizza
2. 2. Al sistema del Common Law che poteva essere lacunoso sotto certi aspetti
dalla metà del XIV secolo si aggiunse il sistema dell’equity Ossia Degli atti di
giustizia erogati dal cancelliere del re sulla base del diritto canonico.
Infatti, a partire dal 1215 il diritto è gestito dai soli giudici ‘privati’ in virtù della rule
of law, ossia dell’autonomia del diritto e del primato del diritto sulla politica. Per
politica inoltre si intende la dialettica (a fasi alterne) tra Sovrano e Parlamento.
Il diritto, d’altra parte sarà plasmato in quasi totale autonomia sia dal re e sia dai
princìpi teorici continentali (diritto romano, etc..).
Sulla base del principio della Rule of Law affermatosi a partire dal XIV secolo ossia,
come abbiamo detto, sull’affermazione dell’autonomia del diritto e del primato del
diritto sulla politica.
Dal punto di vista della politica, il quadro iniziale è quello che abbiamo già avuto
modo di delineare, quello di:
- Un Protoparlamento monocamerale.
- L’assetto rigidamente cetuale Però Quasi da subito, per effetto della genesi
costituzionale di tipo ‘monocellulare’, si registra una più marcata tendenza
all’accentramento.
Proprio per questa ragione, a partire dal XIII sec. si attiva un rapporto
crescentemente ‘conflittuale’ tra i diversi sovrani che si susseguono al potere e i
diversi Protoparlamenti che vennero periodicamente convocati per le diverse
ragioni già illustrate. Cioè Enrico I, Enrico II e massimamente Enrico III (1216-1272)
si trovarono sempre più costretti a negoziare con i corpi le proprie azioni
‘centralizzatrici.
2. Giudici naturali
A ben vedere, allora, la Carta del 1215 non va assolutamente intesa come una
anticipazione ‘costituzionale’ e nemmeno come fondamento della costituzione
inglese moderna. Quella Carta, nella percezione dei coevi, valeva solo per quel
Protoparlamento e per quel Sovrano. Per il futuro ebbe perlopiù valore di
‘precedente’ giurisprudenziale.
LE PROVISIONI DI OXFORD
Tali provisioni hanno contenuti significativi sia dal punto di vista costituzionale, sia
istituzionale.
La fine del Basso Medioevo però segna una stagione fondamentale per
l’evoluzione della costituzione inglese Una rapidissima rassegna cronologica che
affronteremo nel prossimo capitolo darà conto di questa evoluzione.
Capitolo 16
Osserviamo allora l’evoluzione della Verfassung inglese. Partendo da una
rapidissima rassegna cronologica dei maggiori avvenimenti costituzionalmente
rilevanti della storia evenemenziale inglese.
• 49 Lords.
Perché?
A cui aggiungeranno
4. Le petizioni non sono più solo raccolte dalla Camera ma stimolate, sostenute e
‘prodotte’ dagli stessi deputati in base alle loro indagini sul territorio. Il risultato
sarà la specializzazione dei Comuni nell’elaborazione di atti che tendono a dare
una risposta ai bisogni sul territorio.
2. 2. Siamo alla vigilia della sanzione della priorità dei Comuni in materia fiscale.
Man mano che ci si addentra nell’età moderna con il complicarsi della vicenda tra
Stato e Società. Diviene sempre più strategico il ruolo del Sovrano e il suo
atteggiamento nei confronti:
2. 2. Dei Parlamenti
3. 3. Della logica del Potere condiviso – che secondo il linguaggio coevo inglese
si definiva del King in Parliament.
La novità di questo periodo fu nel ripensare l’ordine sociale: non più dato dalla
Natura ma dall’Uomo. A partire dalla metà del Seicento si insinua nella mentalità
collettiva questa idea che darà i propri frutti diversi decenni dopo con Thomas
Hobbes, John Locke E che avrà vasta eco anche sulle scelte costituzionali e
istituzionali successive.
In effetti, a partire dalla metà del Cinquecento, mentre nella maggior parte del
continente, per motivi diversi, i Protoparlamenti vengono marginalizzati In
Inghilterra avviene il contrario. Se da una parte abbiamo visto il consolidarsi
all’interno dell’isola del sistema giuridico a base consuetudinaria e casistica, il
cosiddetto Common Law con l’applicazione del principio dell’equity. Abbiamo
visto anche una progressiva evoluzione del Protoparlamento, dalla medievale curia
regis al suo ispessimento costituzionale e la sua istituzionalizzazione.
L’ANTEFATTO
Tutto comincia con la fine della Guerra delle due Rose, combattuta tra la casa
dei Lancaster e la casa degli York. I Tudor la vincono quali pretendenti Lancaster.
Vedremo allora come, durante tutto il Cinquecento, la politica adottata dai Tudor
muoverà nella direzione di una progressiva espansione della tradizionale autorità
del sovrano, ossia della cosiddetta ‘prerogativa’, trovando però il suo ‘limite’ nel
Parlamento con il quale porterà avanti ogni atto regio.
In generale possiamo dire che con i Tudor e soprattutto con Enrico VII, l’Inghilterra
si afferma come Stato ‘nazionale’; si affranca dal potere religioso del Papa; si
consolida come Stato giurisdizionale; esalta la centralità del Sovrano MA anche; la
sua stretta collaborazione con il Parlamento secondo il modello del King in
Parliament.
Sotto i Tudor in clima non favorevole, come durante il regno di Enrico VIII,
fortemente autoreferenziale gli atti più importanti e che ebbero conseguenze
politiche gravissime non furono mai presi dal solo Sovrano bensì dal Sovrano con
l’appoggio del ‘suo’ Parlamento. In sostanza in questi secoli si ha la conferma
della validità della formula del governo misto, come l’abbiamo visto teorizzare
da numerosi coevi.
Enrico VIII afferma nel 1548 che il momento in cui il suo potere è più forte, il
momento in cui egli può compiere gli atti più complessi, è proprio quando egli si è
trovato assiso al centro del ‘suo’ Parlamento, con i suoi pochi e con i suoi molti
“riuniti in un unico corpo politico”.
THOMAS SMITH
“Il supremo ed assoluto potere del reame d’Inghilterra risiede nel Parlamento. Il
Parlamento quindi abroga le leggi, fa le nuove, modifica i diritti e le proprietà dei
privati, legittima i bastardi, stabilisce forme di religione, detta le norme di
successione della corona, stabilisce i sussidi per la medesima, le tasse pro capite e
ogni genere d’imposta, concede amnistie ed indulti. Tutto ciò il Parlamento
d’Inghilterra lo può fare giacché si reputa che ogni inglese sia in esso presente, sia
di persona, sia per procura o mandato, di qualsivoglia stato, grado o dignità o
qualità che egli sia, dal monarca alla più infima persona d’Inghilterra”.
Non del Re da solo ma del Re e del suo Parlamento come un corpo unico Che fa
cose per il tempo considerate quasi impossibili poiché contrastanti con l’ordine di
natura:
D. Legittima i bastardi Eppure il Re con il ‘suo’ Parlamento può fare tutto ciò.
Non pare allora un caso che nel 1534 proprio Enrico VIII emani due atti
fondamentali per la Storia costituzionale e politica inglese:
1. L’atto di successione
2. L’atto di supremazia.
Si noti che tali atti di enorme gravità e densissimi di conseguenze furono fatti sì dal
re Enrico VIII ma con il ‘suo’ Parlamento.
1. L’ATTO DI SUCCESSIONE
Si tratta di un atto con il quale il Sovrano e il suo Parlamento:
D. Legittima i figli avuti da Anna come potenziali successori al trono Si tratta di atti
questi che molto hanno a che vedere con questioni religiose (annullamento del
matrimonio) e regole di natura (riconoscimento dei bastardi).
Si noti però che questo atto è sempre impostato con la retorica del Re con il suo
‘suo’ Parlamento.
2. L’ATTO DI SUPREMAZIA
Come secondo atto – non meno importante – Enrico VIII seduto in Parlamento
emana il cosiddetto Atto di Supremazia, con il quale:
• Con un atto del 1536 si dichiara l’estinzione della autorità del Vescovo di
Roma.
• Con un atto del 1547 invece si orienta la Chiesa Anglicana verso la religione
calvinista.
Gli anni successivi sono segnati dai regni fortemente accentratori di Maria
Stuarda e di Elisabetta I. Tuttavia confermarono il modello di governo del King in
Parliament; il modello del potere condiviso e il modello del governo misto.
Governo misto che in quei decenni conobbe, anche grazie ai successi di immagine
dell’Inghilterra, una stagione di grandissimo successo.
L’esperienza Tudor si esaurisce però quando nel 1603 muore Elisabetta I e arriva al
potere la dinastia Stuart, quando la situazione inglese, sotto innumerevoli punti di
vista, subisce una flessione, una battuta d’arresto. Tale flessione, ovviamente,
ebbe chiari effetti anche sul piano politico, istituzionale e costituzionale.
Preme tuttavia segnalare che il Seicento non fu affatto, o non soltanto, un secolo di
crisi e/o decadenza Ma di trasformazione. Fu un secolo complesso. E per quanto
riguarda l’Inghilterra uno dei segnali più evidenti di questo assunto è l’arrivo al
potere della dinastia Stuart e il loro ‘progetto di governo’ che fin da subito si
mostrò alternativo a quello fino ad allora attuato dai Tudor e dai loro predecessor.
LA DINASTIA STUART
Con Giacomo I Stuart nel 1603 fu sancita l’unione di Inghilterra e Scozia Inoltre sin
da subito la dinastia attuò:
A. Sociali: tra magnati e Lords da una parte e borghesi e piccola nobiltà dall’altra
Tale situazione finì per diventare ancora più complessa con la successione al trono
di Carlo I nel 1625.
Capitolo 17
Ai Tudor succedono gli Scozzesi Stuart. Alla morte di Elisabetta I, nel 1603, le
succedono gli Stuart con Giacomo I. Con Giacomo I si verifica un’unione
‘personale’ tra i regni di Scozia e Inghilterra senza però che ci fosse una fusione tra
le due entità territoriali che infatti mantengono differenti parlamenti e ordinamenti.
Inoltre si noti gli Stuart si dimostrarono sensibili alla concezione assolutistica del
potere monarchico in voga nell’Europa continentale. Di più Tale dinastia si espose,
teorizzando e esplicitando la volontà assolutistica attirando così le aspre critiche
dei pari.
Abbiamo visto che sin da subito la politica Stuart provocò acute tensioni di ordine:
CARLO I STUART
Confermò la politica del padre Giacomo I:
A. Antiparlamentare
Sebbene la pratica del governo del favorito fosse una tendenza molto diffusa nel
XVII secolo sia in Francia sia in Spagna sia in altri grandi Stati europei, in Inghilterra
ciò fu avvertito con grande disagio dal Parlamento che sin da subito si dimostrò
ostile al re.
B. B. Nel 1626: nuova convocazione del Parlamento da parte di Carlo I per avere
un nuovo finanziamento: Il Parlamento dal canto suo: negò il finanziamento e
avanzò la pretesa di impeachment per il duca di Buckingam.
Carlo I contro il Parlamento si trattava di una scelta di aperta rottura con il re, che
rompeva le consuetudini costituzionali degli ultimi secoli. Quello del Parlamento fu
perciò un atto fortemente provocatorio contro il quale Carlo I reagì altrettanto
provocatoriamente: sciolse il Parlamento. Il Parlamento è riconvocato nel 1628.
Solo nel 1628 Carlo I riconvocò il Parlamento ma i parlamentari proseguirono la
politica ostile al sovrano:
Infatti produssero un documento molto duro nei confronti del sovrano che
vincolava l’accettazione delle richieste di finanziamento alla previa accettazione da
parte del Sovrano di questo documento.
Dopo molti dibattiti la Petizione dei diritti fu approvata. Tuttavia, gli animi non erano
pacificati:
B. Nel 1629 Carlo I, impreparato a risolvere per via costituzionale tale conflitto,
sciolse in maniera definitiva il Parlamento.
A. Il Consiglio privato.
B. La Camera stellata.
Soprattutto avviò una politica che sembrava negare i valori alla base della
Costituzione inglese: in particolare, per quanto riguarda la religione. Mostrò
chiaramente l’intenzione di rivedere i suoi rapporti con la Chiesa di Roma.
2. Vendita di monopoli.
Nel 1639 Carlo I attacca la Scozia, la controversia ha inizio con il rifiuto da parte
degli scozzesi di adottare il libro di preghiera anglicano. Carlo I allora attacca
militarmente la Scozia, ma viene sconfitto ripetutamente. Il dissesto finanziario
derivato dalla dura sconfitta fu evidente e così nel 1640 fu costretto a convocare
nuovamente il Parlamento.
Sciogliere il Parlamento però non fu una buona risoluzione. Le difficoltà per Carlo I
aumentarono a dismisura:
E così Nel 1640 Carlo I fu costretto a convocare un nuovo Parlamento che pur con
varie epurazioni rimase in vigore fino al 1653, e per questo fu detto il Lungo
Parlamento (Long Parli). Tuttavia i rapporti tra la Corona e il nuovo Parlamento
non migliorarono, anzi rimasero altamente conflittuali.
Il Parlamento:
C. Pubblicava un atto molto importate che intendeva vincolare gli atti futuri di
Carlo I: il cosiddetto Triennal Act ament).
Si gettavano allora le basi per un ulteriore inasprimento del rapporto tra Corona e
Parlamento che sfocerà nel colpo di Stato.
Il Re, dal canto suo, cercò di attuare un colpo di Stato per risolvere una volta per
tutte la questione dell’opposizione parlamentare. Entrò a Westminster con un
drappello di suoi uomini per far arrestare i capi dell’opposizione, i quali avvisati,
non si fecero trovare. Si trattò dell’ennesimo fallimento di Carlo I che, di fatto,
faceva precipitare il paese in una condizione di guerra civile non dichiarata.
LA GUERRA CIVILE
C. Infine, addirittura alcune fazioni popolari di teste rotonde facenti capo a Oliver
Cromwell (moderati) e anche alcune frange più avanzate di radicali.
Rivendicavano la fine della monarchia e l’impianto della Repubblica e
rivendicavano il suffragio universale maschile.
Si trattò di una crisi senza precedenti: Carlo I fu arrestato. Nel novembre del
1647, fuggito agli arresti, raccolse un esercito per scontrarsi con le forze
sostenitrici del Parlamento, riaccendendo la guerra civile, ma venne sconfitto
dall’esercito riformato di Cromwell. Con questa vittoria Oliver Cromwell allora
conquistò la leadership dell’intero movimento puritano antimonarchico. Tale
movimento si faceva sostenitore di un sistema costituzionale non radicale e
rispettoso della proprietà privata.
OLIVER CROMWELL
Convocò subito il Parlamento (quello eletto nel 1640) escludendo però da esso gli
elementi sgraditi. Per via dell’epurazione, questa assemblea fu definita il
Parlamento moncone (rump Parliament). Il Parlamento moncone approvò infine la
sentenza del processo che condannava a morte il sovrano per tradimento della
causa inglese.
Si trattava, l’abbiamo detto, di una crisi senza precedenti sotto tutti i punti di vista:
1. Sociale.
2. Politico.
3.Costituzionale Siamo arrivati in effetti alla metà del XVII secolo quando Thomas
Hobbes scrive il suo Leviatano e ci troviamo di fronte alla crisi del Governo misto
e della Costituzione inglese.
LA STAGIONE ‘REPUBBLICANA’
Nel 1649 Oliver Cromwell avvia un governo autoreferenziale di ‘tipo’ repubblicano:
abolisce la Camera dei Lords e avvia una politica estera imperialista contro le
province olandese. Questa stagione ‘repubblicana’ – di fatto dittatoriale – proseguì
fino al 1658.
Alla morte di Cromwell il quadro delineato era ancora più complesso: il figlio di
Cromwell infatti si dimostrò incapace di governare e il Parlamento era frazionato.
Fu così allora che nel 1660 si raggiunse un accordo trasversale tra whigs e tories in
senso anti-Cromwell e anti-repubblicano. Si decise per il ripristino del sistema
monarchico. La dinastia Stuart tornò al trono con il figlio di Carlo I ossia Carlo II.
CARLO II (1660-1685)
Formalmente si impegnava a ripristinare la tradizionale Costituzione inglese nella
formula del King in Parliament. Tuttavia Costui riprese sin da subito la politica del
padre:
Infatti il Parlamento richiede allora nel 1662 un Atto di conformità con il quale
imponeva al clero regole e testi anglicani. Il Sovrano però rispondeva, nel 1672,
con un atto di indulgenza a favore dei cattolici. Infine, il Parlamento riuscì ad
imporre nel 1678 il Test Act con il quale si stabiliva per il Clero il giuramento di
fedeltà alla Chiesa anglicana.
Abbiamo poi visto l’avvio di una stagione politica e costituzionale non meno fosca,
quella del governo autocratico – repubblicano con Oliver Cromwell. Una stagione,
lo si sottolinea, assai dirompente dal punto di vista costituzionale.
Cromwell infatti:
- Chiamò al trono Maria Stuart (protestante) e suo marito Guglielmo III d’Orange
(olandese, anticattolico e antifrancese).
IL BILL OF RIGHTS
Capitolo 18
IL GOVERNO BILANCIATO
Lungi dall’essere solo un avvicendamento dinastico la Gloriosa Rivoluzione è
anzitutto un evento di portata epocale che segno l’avvio per l’Inghilterra di una
nuova Costituzione. Di fatto Il tornante 1688-89 segna per l’Inghilterra il passaggio
a una nuova era, con il superamento della Costituzione medievale e l’approdo alla
Costituzione ‘moderna’ o dei moderni.
D. Gli individui sono garantiti come tali e NON come appartenenti ai ceti.
Ed è proprio attraverso questo dispositivo che l’Inghilterra approda alle teorie del
moderno Costituzionalismo, dove Il focus di ogni riflessione è finalizzato ad
evitare le degenerazioni dispotiche del potere.
LA MONARCHIA BILANCIATA
Prima di vedere l’aspetto teorico del Governo Bilanciato, andiamo ad osservare il
versante costituzionale: siamo naturalmente in ambito di una monarchia che però
assume una nuova forma di governo che chiamiamo Bilanciata. Possiamo quindi
dire che l’Inghilterra post 1688 è una Monarchia moderata bilanciata. Il
meccanismo della ‘bilancia’ qui è visibilissimo: esso, inoltre, è reso ancor più
visibile dal dispositivo costituzionale fissato proprio nel Bill of Rights.
Nel Bill of Rights, infatti, dal punto di vista del potere era sancito che:
Alla luce di queste assunzioni: con il Bill of Rights, con la Glorious Revolution non
si ottiene soltanto un cambio di dinastia e non si ha solo una trasformazione
strutturale e formale Si ha un totale cambio di Verfassung.
Si ricorda che l’offerta della corona a Guglielmo III d’Orange e a Maria Stuart era
subordinata all’accettazione di diritti definiti indubitabili tramite giuramento
solenne. Mai prima di allora l’accesso al trono era stato vincolato da simili
condizioni. In secondo luogo, il tradizionale brocardo cuius regio et eius religio,
viene di fatto ribaltato: da ora in poi non sarà più il sovrano a determinare la
religione dei sudditi, ma l’esatto contrario.
Dopo questa epocale cesura infatti in Inghilterra l’accesso al trono era subordinato
alla dichiarazione di fede nella religione dei sudditi. Si tratta un sostanziale
ribaltamento di tutti i principi di Antico regime:
Si tratta di una nuova Verfassung perché i soggetti sono gli stessi ma i loro rapporti
sono profondamente diversi e i poteri posti in un diverso equilibrio: i poteri sono
ora separati. Il Re sceglie a sua discrezione i suoi ministri; svolge potere
esecutivo. Il Parlamento – elettivo per la Camera Bassa – svolge il potere
legislativo. Inoltre, grazie al sistema di checks and balances i due organi si
controllano reciprocamente e nessun altro ‘legame’ esisteva tra i due.
Occorre dare uno sguardo al versante teorico da questo punto di vista occorre
avere chiari due passaggi fondamentali:
IL LEVIATANO
Definitivo superamento della fortunata teoria del Governo Misto. Hobbes infatti è
tra i primi teorici a commentare l’inapplicabilità della teoria del Governo misto a
partire da teorie giusnaturalistiche. Inoltre con la sua smentita del Governo misto
assistiamo all’approdo a una nuova concezione del potere all’interno dello Stato.
Data la visione di uno Stato di Natura conflittuale che mette a rischio la vita stessa
degli individui e data la conflittualità che deriva dalla sfrenata ambizione di ognuno
a possedere tutti i beni degli altri, Hobbes elabora una teoria per uscire da tale
stato di natura e costituire lo Stato civile di convivenza.
Attenzione: qui entra in gioco la logica ‘scientifica’ del momento, ossia come per le
scoperte scientifiche l’uomo ha usato la sua razionalità. Anche in politica e società
l’uomo può usare la propria razionalità per creare un nuovo ordine civile di
convivenza.
Infatti gli uomini, sceglievano razionalmente di privarsi della propria autonomia, dei
propri poteri – a patto che ciascuno faccia lo stesso – e di cedere a un soggetto
terzo esterno alla comunità tali poteri.
C. Ravvisava solo nella salute dei propri sudditi il limite al suo potere.
LO STATO DI INDIVIDUI
Lo Stato era allora totalmente in mano al Sovrano. Tuttavia in base agli accordi
individuali perde il suo assetto plurale e cetual-corporativo assume una natura
individuale: è Stato di individui.
LO STATO DI HOBBES
È Stato di individui e ha una base rappresentativa. Ciò apre la via al moderno
Costituzionalismo. Infatti, da questo punto di vista, pare evidente che le
elaborazioni teoriche di Hobbes preparino in qualche modo il terreno alle riflessioni
che circa quattro decenni dopo saranno pubblicate da John Locke.
- La convivenza pacifica.
Quando l’equilibrio si rompe per un’azione invadente dell’uomo o dell’altro dei due
poteri il Governo si dissolve e le Costituzione si scioglie ed è necessario un nuovo
atto fondativo. Insomma, lo schema di Locke è in pratica riassuntivo dello Stato
inglese post-1688: quello che abbiamo chiamato della Monarchia Bilanciata.
Prima dell’avvio del tornante settecentesco preme evidenziare ancora due Atti
importanti che segnano la storia della Monarchia Bilanciata inglese:
A. L’Atto di tolleranza: firmato da Guglielmo III nel 1689 e che conferma le libertà
religiose.
Capitolo 19
Ricapitolando abbiamo detto che nel corso del Settecento il Governo bilanciato
sorto con la crisi del Governo misto e con la Glorious Revolution andrà incontro a
una importante trasformazione, ma prima di analizzare l’esito di questa
trasformazione è importante inquadrare il panorama settecentesco e gli aspetti
culturali, sociali e diplomatici fondamentali che contraddistinguono il secolo XVIII.
IL SETTECENTO
Rappresenta un tornante importante:
1. l’Union Act del 1707 con il quale si sanciva l’unione effettiva della Scozia
all’Inghilterra: nasce la Gran Bretagna, un unico regno, dotato di un unico
Parlamento.
2. Nel 1714 accede al potere una nuova dinastia: gli Hannover. Costoro in effetti
proveniva dalla Germania, dall’omonimo ducato, e parlavano a stento inglese.
A. Vicende sociali.
B. B. Vicende politiche.
C. C. Vicende diplomatiche.
A. Alla società
B. B. Al sistema politico
Il secondo aspetto è legato alle vicende sociali. In quei decenni la Gran Bretagna,
grazie alla sanzione della libertà di stampa e della libertà di parola, dopo il 1688
diviene:
In altre parole, già dalla fine del Seicento in Inghilterra si erano gettate le basi per la
formazione della moderna opinione pubblica.
• Fatti politici.
A. Il Potere legislativo: sia e rimanga saldo nelle mani del Parlamento che anzi,
sempre più, diventa lo specchio dell’opinione pubblica e del sistema partitico.
B. Il Potere esecutivo: scivola sempre più nelle mani dei ministri del Re, che però
in assenza del Re garantiranno il loro appoggio: al Parlamento e al leader del
partito vincitore delle elezioni, quindi alla maggioranza parlamentare.
IL CABINET
Si afferma progressivamente come organo detentore del potere esecutivo-
collegiale. Il cabinet:
3. Le sue sedute erano segrete e non venivano prodotti verbali Ebbene accade
che con gli Hannover all’inizio del Settecento la Verfassung si trasformò, da
bilanciata a sbilanciata a favore del Parlamento.
Questo stato di cose perdurerà almeno fino al 1760 data decisiva perché
accaddero molti avvenimenti:
Capitolo 20
Ricapitolando abbiamo detto che la prosecuzione dinastica con gli Hannover al
trono d’Inghilterra ebbe diverse ricadute costituzionali. In particolare, la loro
refrattarietà alle consuetudini e alle leggi inglesi, e la loro frequente distanza da
Westminister, fece sì che al livello di potere esecutivo si assistesse:
Questa situazione, abbiamo detto che proseguì fino al 1760 quando salì al trono
di Inghilterra Giorgio III di Hannover. Apparentemente questa non parrebbe una
novità eclatante dal momento che si trattava di un altro sovrano della stessa
dinastia ‘quasi’ tedesca e poco inglese. Eppure Giorgio III dimostrava alcune
caratteristiche peculiari:
C. Si sentiva inglese.
Tuttavia, in via di prassi nei cinque decenni precedenti, l’assenza dei sovrani aveva
sbilanciato i rapporti tra i due Poteri:
LA CRISI COSTITUZIONALE
B. Della presidenza del Cabinet (ormai presieduto dal leader della maggioranza
parlamentare)
Brolinbrooke sostiene il ruolo centrale del re come primo patriota del regno.
Intanto però la politica nazionale procedeva e imponeva a tutti gli attori scelte di
campo più o meno brutali e tra questi anche e naturalmente Giorgio III.
LE VICENDE DIPLOMATICHE
La vicenda diplomatica più impegnativa in cui si trova coinvolta la Gran Bretagna
della seconda metà del Settecento. È senz’altro il rapporto conflittuale con le ‘sue’
colonie d’America. Vediamo meglio il nesso tra questa vicenda e il nostro discorso
sulla forma di governo.
Di fronte al crescente attrito tra la Gran Bretagna di Giorgio III e le ‘sue’ colonie
d’America. Accadde un evento che avrebbe avuto forti ricadute in ambito
costituzionale:
L’esito di tale guerra fu rovinoso: l’Inghilterra subì una durissima sconfitta militare e
nel 1782 dalla Pace di Parigi uscì umiliata e profondamente impoverita; il 1782,
l’anno della Pace di Parigi, segna la sconfitta dell’Inghilterra in tutti i campi:
politico, diplomatico, economico, e soprattutto costituzionale:
Egli affermava allora che bisognava prendere atto che si era commesso un errore:
Per questa ragione si dimetteva e auspicava che gli altri ministri facessero lo
stesso. Perché?
O meglio non è più possibile governare senza, anche, la fiducia del Parlamento.
Tali dimissioni ‘costituzionalizzano’ lo slittamento a favore del Parlamento che dal
1700 si era avuto all’ombra di diversi sovrani Hannover.
Infatti, dal momento che, in assenza dei sovrani Hannover, il potere esecutivo era
sempre più scivolato nelle mani del Cabinet e, dal suo canto, per ovviare
all’assenza degli Hannover, aveva cominciato sempre più a negoziare le scelte di
politica ‘esecutiva’ con il Parlamento.
B. Avere la fiducia del Parlamento – come per prassi a partire dal Settecento.
Dal punto di vista costituzionale è accaduto che: i due poteri sono ora in mano a
tre organi:
LA MONARCHIA PARLAMENTARE
Da allora in avanti la Costituzione inglese sarà sempre più confermata e
consolidata. La modernità costituzionale era del resto oramai raggiunta. Da allora
in avanti si ‘allargherà’ il numero dei ‘privilegiati’ chiamati ad eleggere i deputati:
nel 1832 si assiste al primo allargamento elettorale e nel 1867 ulteriore
ampliamento dei soggetti elettorali.
Questo assetto costituzionale consolidatosi nel XVIII secolo si irrobustirà nel XIX
secolo con le riforme predette al corpo elettorale. Si modificherà in direzione della
crescita del ruolo del leader del partito di maggioranza che diventerà anche Prime
minister e poi premier. Tuttavia la logica costituzionale rimarrà sempre la stessa
imperniata sul dispositivo della doppia fiducia al Cabinet.
Sia chiaro come in moltissimi altri casi di cui abbiamo discusso nei capitoli
precedenti si tratta di una situazione dovuta a necessità costituzionali e pratiche: il
re, infatti, sceglie quale primo ministro colui che è in grado di raccogliere i più ampi
consensi in Parlamento. Perché senza il Parlamento, ossia senza soldi e senza
leggi, il monarca non può governare.
A. La ‘modernità costituzionale’ arriva nel 1688 con l’avvio della forma di governo
bilanciato.
B. Ulteriore scatto in avanti si ha dal 1782 in avanti con l’evoluzione del sistema in
senso parlamentare Si noti dunque che • L’avvio del governo parlamentare a
partire dal 1782 – arriva a 93 anni dall’emanazione del Bill of Rights – che
aveva segnato la svolta costituzionale e il passaggio alla ‘costituzione dei
moderni’.
Ciò che è essenziale è che il capo del partito che vince le elezioni è nominato
primo ministro ed ottiene automaticamente la fiducia in Parlamento. Il sistema
elettorale inglese è dall’origine votato alla stabilità perché basato su un saldissimo
bipartitismo (whigs e tories) che elimina terzi contendenti che potrebbero
indebolire il sistema. Inoltre, di regola, le sconfitte elettorali decretano la fine della
carriera di un primo ministro.
Per la solidità costituzionale del primo ministro e il nesso forte che lo lega alla
maggioranza parlamentare taluni hanno parlato di: ‘DITTATURA ELETTORALE’
Data la preponderanza assunta progressivamente dal Primo ministro all’interno del
Cabinet.
3. Il governo ha quindi ereditato dal monarca quel che restava della medievale
prerogativa regia, e quindi il potere di emanare decreti aventi carattere
eccezionale, poiché il Primo ministro brandisce lo scettro di warlord che una
volta spettava solo al re, in materia militare.
Cosi si conclude che agli esordi del XX secolo la parabola evolutiva della forma di
governo della Monarchia inglese attraverso i secoli presi in esame Che vede per
l’appunto l’evoluzione da:
B. Da bilanciato a parlamentare.
Capitolo 21
L’ESPERIENZA FRANCESE: Dentro lo spazio ‘dei francesi’
Questa definizione ‘dei francesi’ non è casuale: la Francia dal punto di vista
costituzionale è uno Stato mosaico, cioè si allarga per successivi ampliamenti
territoriali che si registrano in maniera più o meno irregolare dal Basso Medioevo in
avanti. Solo molto dopo, rispetto all’Inghilterra, nello spazio continentale si può
parlare di ‘Regno di Francia’.
Dal nostro punto di vista si tratta di un passaggio cruciale: al vertice non c’è più un
signore feudale più ricco e potente di altri, ma un Sovrano-giudice che si presume
investito da Dio che pretende soggezione politica e territoriale in cambio della
protezione offerta ai sudditi.
IL REGNO DI FRANCIA
Non a caso in quel torno di decenni, fino al XIII secolo, comincia a delinearsi dal
punto di vista costituzionale: sono creati nuovi uffici ‘reali’ e sono creati nuovi
ufficiali-impiegati ‘del re’.
Avvenne alcuni decenni dopo, con FILIPPO IV detto il Bello re Capetingio, quando
tutte le istituzioni a cui prima si è accennato si consolidano, cioè: al vertice
(Consiglio del Re e Camera dei conti) sul territorio (Balivi, Siniscalchi, Prevosti).
Inoltre, come perfetto del “suo” tempo Filippo IV si dichiarò capo della Chiesa in
Francia imponendo il prelievo fiscale al clero. Cercò di rendersi autonomo
dall’autorità del Papa di Roma.
PERCHÉ?
Bonifacio VIII scomunicò Filippo IV. La scomunica per quel tempo, infatti, per un
Sovrano significava la fine del suo Potere, perché a seguito della scomunica i
sudditi non erano più tenuti all’obbedienza al Sovrano.
LA REAZIONE DI FILIPPO IV
Cioè per consolidare il proprio ruolo al vertice del regno nonostante la scomunica
convocò – per la prima volta – in Francia un’assemblea che riunisse i maggiori
‘ceti’ del suo regno, ossia gli Stati generali.
3. Una per le città e i borghi più importanti inoltre vi erano poi magistrati, ufficiali e
alti amministratori locali.
Tuttavia, sebbene l’idea di Filippo IV si fosse rivelata vincente a discapito del Papa,
la Storia dell’istituzione degli stati Generali per quanto riguarda la Costituzione
francese va in una direzione diversa rispetto a quella inglese. Gli Stati Generali
ebbero sin da subito un’esistenza molto stentata.
1. Difficoltà logistiche e operative: non era agevole, per i delegati, spostarsi dalle
loro province per recarsi al centro dove – diversamente da quanto accadeva in
Inghilterra – costoro dovevano semplicemente avallare la volontà del Sovrano.
Infatti, da subito
B. Le riunioni degli Stati generali furono quasi sempre ‘imperfette’ per l’altissimo
tasso di assenteismo.
Fino all’inizio del XV secolo gli Stati Generali non hanno un regolamento definitivo,
anzi, di volta in volta per le varie convocazioni:
Insomma, fino alla fine del XV secolo ogni convocazione era in sé unica e slegata
dalla Costituzione del Regno, cioè solo a fine XV secolo si ha un modello
standard. Per Stati generali con assortimento ‘tipo’ clero, nobiltà e terzo Stato:
città. Riunioni in tre camere separate e voto per ceto.
Dobbiamo però tenere a mente che dal 1302 al 1614 Gli Stati generali furono
convocati circa 35 volte cioè più o meno quanto il parlamento inglese fu
convocato in circa vent’anni.
A. Dal 1302 al 1484: vengono convocati con una qualche frequenza, imperversa
la Guerra dei Cent’anni e il re ha bisogno di finanziamenti.
Due riflessioni di fronte alla sequenza delle convocazioni degli stati generali:
2. La bassa frequenza (una media di 1 ogni 10 anni) NON deve indurci a pensare
agli Stati Generali come istituzioni deboli dal punto di vista costituzionale.
Capitolo 22
Tra la metà del Trecento e la fine del Quattrocento si verifica il momento di
massima visibilità degli Stati Generali con maggiore frequenza di convocazioni, in
cui si avvicendano una serie di fasi:
- La fase più cruda dello scontro tra sovrani francesi e sovrani inglesi.
Queste fasi, insomma, fanno parte di una stagione in cui i Re di Francia hanno
molti bisogni – dalla scomunica in avanti – e cercano aiuto nei ceti. Infatti quando
le crisi diminuiscono e conseguentemente diminuiscono i bisogni dei Re le
convocazioni degli Stati Generali diminuiscono e – addirittura – dal 1484 al 1561
non si hanno più convocazioni.
2. Dall’altra i delegati dei ceti che, come sempre accadeva in ogni convocazione
precedente, si ritrovano costretti ad avallare scelte del sovrano anche e
soprattutto in termini di prelievo fiscale.
Nel 1439, di fronte alla richiesta di Carlo VIII di acconsentire al prelievo per
l’esercito con tassa annuale. Gli Stati Generali approvano – a favore del re – una
imposta annuale , senza che in futuro ci sia più bisogno della loro convocazione
per autorizzarla.
Tale imposta assumerà il nome di taglia. È una decisione molto importante dal
punto di vista costituzionale perché toglie agli Stati Generali ogni potere
contrattuale e li priva di forza nei confronti/scontri che li opponevano al Re.
Con la scelta del 1439 gli Stati Generali, di fatto, si auto-escludono dal ‘gioco dei
poteri’ all’interno dello Stato. Infatti Dal 1439 al 1614 gli Stati Generali furono
convocati pochissime volte (cinque o sei) e per questioni di scarso rilievo.
Basti pensare alle Cortes. Saranno proprio queste infatti ad ispirare nel 1812 una
vittoriosa rivolta contro Napoleone che allora era ovunque in Europa all’apice della
sua parabola politica, avendo conquistato e sottomesso la maggior parte degli
Stati del continente. Questo esempio, solo per segnalare la forza evocativa e
costituzionale di istituzioni e consuetudini consolidate nell’immaginario collettivo
dell’Occidente continentale.
IL SEICENTO
Non deve essere considerato un secolo di decadenza Bensì Un secolo nel quale si
ebbero innovazioni molto importati.
È il secolo:
1. Del Barocco.
Dal nostro punto di vista istituzionale per valutare la forza delle istituzioni occorre
osservarle anche nelle fasi in cui apparentemente sono assenti. Osservare cioè:
1. Ugualmente cetuali.
2. Ugualmente tricamerali.
Capitolo 23
PER ORIENTARCI, VEDIAMO IL CONTESTO DEL SECOLO XVII
1. Politica.
2. Economia.
4. Religione.
5. È infatti in questo contesto che prende avvio una delle stagioni più
interessanti della storia delle istituzioni francesi.
DA RICHELIEU A MAZZARINO
Nel 1642 moriva il ‘ministro’ Richelieu, indicando come suo successore al fianco di
Luigi XIII il cardinale Mazzarino. Vediamo in Francia, perfettamente rappresentata
la figura del ‘favorito’ del re, che lo affiancava nelle scelte di governo, figura che
abbiamo visto in Inghilterra essere duramente osteggiata da ogni frangia del
Parlamento. Quando l’anno seguente anche Luigi XIII morì, e essendo erede al
trono il figlio di appena 5 anni, con la reggenza della madre Anna d’Asburgo In
tale congiuntura favorevole, allora, Mazzarino organizzò il suo progetto politico su
tre punti principali.
Uno snodo cruciale è il 1648 a queste agitazioni scaturì una rivolta che prese il
nome di fronda parlamentare. Nell’agosto del 1648 Scoppiò una rivolta urbana
capeggiata dai parlamentari locali che costrinsero Mazzarino, la reggente e il
sovrano bambino a fuggire da Parigi, e firmare nell’aprile del 1649 la pace di Rueil.
Luigi XIV Abbiamo visto che Luigi XIV, figlio di Luigi XIII, accede al potere nel 1643
alla morte del padre. Tuttavia, essendo ancora un bambino fu affiancato al potere
dalla reggenza della madre Anna d’Austria e del primo ministro il Cardinale
Mazzarino.
Dal 1661 al 1715 governerà invece da solo. È infatti nella figura di Luigi XIV –
autodefinitosi le Roi Soleil – che si identifica:
• Politica amministrativa.
• Politica religiosa.
• Politica diplomatica.
L’obiettivo di Luigi XIV era ridimensionare il potere dell’alta nobiltà che fino ad
allora:
A. Aveva governato al centro tramite l’Assemblea dei notabili, nel Consiglio del Re.
B. Governava le comunità locali come membri più eminenti tra i residenti delle
diverse città e borghi disseminati sul territorio.
2. Sradicare la nobiltà dal territorio e rimuoverla dal vertice delle istituzioni – dove
oltre a svolgere attività di esazione fiscale, amministrava la giustizia.
In effetti gli Stati Generali durante il regno di Luigi XIV non vennero mai convocati.
Il Sovrano infatti Tentava di portare nelle proprie mani quote di un potere che fino
ad allora era stato condiviso con una pluralità di organi cetuali di antichissima
tradizione.
Luigi XIV allora con due ordinanze emanate nel 1667 e nel 1670.
2. Il Re Sole, più che sovvertire il modello in vigore fino a quel momento, puntava
a risolvere a suo favore alcune disfunzioni del sistema fiscale e della
condivisione con i ceti del potere – di cui voleva godere in maniera esclusiva.
L’aspetto amministrativo di Luigi XIV creò una serie di nuovi organi centrali
direttamente dipendenti da lui, dove sopratutto nelle periferie, ampliò la rete degli
intendenti creati dai suoi predecessori e li dotò di nuovi poteri. Nell’ambito della
finanza invece diede pieni poteri a Jean-Baptiste Colbert, già segretario di
Mazzarino, che attuò un piano di risanamento delle finanze funzionale a questa
virata sovrano-centrica.
Infatti, Luigi XVI cancellò il vecchio apparato statale che la monarchia francese si
portava dietro dal periodo feudale. In primo luogo:
Con due importanti editti del 1667 e del 1683 Luigi XIV trasformò gli intendenti in
veri e propri ministri sul territorio, unici amministratori di tutte le nuove imposte
varate dal Sovrano. Questa inedita struttura di governo non deve in alcun modo
essere confusa con la moderna amministrazione, che arriverà negli Stati del
continente solo all’alba del XIX secolo per giungere ‘quasi immutata’ fino a oggi.
Gli intendenti del Seicento, dunque, erano semplici funzionari delegati del re ed
erano depositari di un’amministrazione tutoria, completamente inserita nella logica
del sistema consolidatosi fino ad allora, che attribuiva al centro funzioni di
coordinamento dei numerosi poteri presenti sul territorio, secondo il sistema del
potere condiviso (plurale).
Il Re Sole chiuse il suo Regno nel 1715. L’ambizioso progetto portato avanti di
Luigi XIV fu sì, un modello di assolutismo per altri sovrani sul continente Ma allo
stesso tempo Fu un regno ‘pesante’ per i suoi sudditi perchè sempre in guerra e
perchè oppresso da un fisco invadente.
Capitolo 24
Alla morte di Luigi XVI gli succedeva Luigi XV, ancora bambino, e i suoi due
reggenti: Filippo d’Orléans e Luigi Enrico.
Dal 1726 Luigi XV assume il potere in prima persona con il suo ministro, il cardinale
André-Hercule de Fleury. Dal 1743, infine, Luigi XV regna da solo.
Cercarono sì, di farlo, ma inutilmente: infatti la Francia del secolo XVII era percorsa
da drammatiche crisi.
Inoltre, gli stessi ceti privilegiati non sempre erano solidali tra di loro dove l’antica
nobiltà e la nuova nobiltà di toga erano spesso in conflitto sull’unico argomento
condiviso, ossia l’ostilità della Corona nei loro confronti.
LA CRISI POLITICA
I PARLAMENTI DI FRANCIA
Erano grandi tribunali sorti per servire la giustizia del Re. Vi era un Parlamento per
ogni provincia. Essi adempivano a funzioni parapolitiche e funzioni di servizio,
ricoperte dalla nobiltà di toga. Inoltre, tali Parlamenti si sentivano perciò sempre
più rappresentativi sia del territorio sia della nobiltà recente.
E tuttavia ciò che più incise negli ultimi decenni fu la crisi economica dovuta a:
C. Carestia.
L’immediata conseguenza fu la crisi dei ceti meno abbienti di cui faceva parte il
90% della popolazione: la ‘massa lavoro’ e gettito fiscale su cui fino ad allora si era
retta l’economia della Francia. Per contro la rendita fondiaria dei proprietari, dei
nobili e del clero, raddoppiò.
Di fronte alla condizione disastrosa delle casse dello Stato. Due erano le strade
possibili:
Tra il 1775 e il 1781 elabora un nuovo progetto per un nuovo sistema di governo
locale e centrale che promanava dalle municipalità governate dai proprietari.
Passando attraverso le assemblee con funzioni amministrative territoriali: le
assemblee di distretto composte da proprietari, le assemblee provinciali
composte da proprietari, per arrivare fino all’assemblea centrale, detta
significativamente Grande Municipalité.
1. Berry.
2. 2. Delfinato.
3. 3. Borbonese.
4. 4. Alta Guienna.
Il re Luigi XVI nel 1776 destituì Turgot dalla guida delle finanze dello Stato e lo
sostituì con Jacques Necker. Economista e esponente del secondo filone di
pensiero egli aspirava a una riduzione delle spese dello Stato tramite adeguati
progetti fiscali.
Tuttavia anche Necker non riuscì a imporre un sistema fiscale duraturo: le spese
nel 1781 ripresero a salire e il re Luigi XVI lo licenziò.
Luigi XVI nominò un nuovo controllore delle finanze: Charles Alexandre de Calonne
(1734-1802) che muovendosi nel solco proprietaristico e razionalizzatore.
De Calonne nel 1786 riuscì a far varare un progetto fiscale delle spese che
prevedeva l’imposta unica fondiaria chiamata significativamente Sovvenzione
territoriale. Tale imposta, inoltre, intendeva colpire – TUTTI i proprietari terrieri
indifferentemente dal loro ceto.
Tale assemblea era molto più accondiscendente perché i componenti erano scelti
dal re stesso ed era composta da nobili che controllavano il territorio e che
volevano mantenersi fedeli al re.
Nel 1787 convoca l’assemblea dei notabili, convocando 144 notabili regolarmente
divisi secondo i tre ceti. Inaspettatamente l’assemblea dei notabili votò contro il
progetto di De Calonne di una tassa unica per tutti i proprietari. Si tratta di un fatto
inaspettato che dimostra la difficile congiunzione.
Capitolo 25
Dicevamo una crisi irreversibile: nel maggio 1787 anche Loménie de Brienne fu
costretto ad ammettere il suo fallimento. Nello stesso mese Luigi XVI scioglie
l’Assemblea dei Notabili. Per competenza territoriale allora si impose sulla scena il
Parlamento di Parigi che si pretese e si accreditò di fronte al sovrano e a tutti come
‘rappresentante’ degli interessi dei ceti privilegiati.
Lo scenario nel frattempo, dalla metà del 1781 al 1787, era profondamente
cambiato. La domanda di fondo che circolava nella sfera pubblica non era più:
B. I nobili invece ritenevano in gioco: i loro privilegi, il loro potere sul territorio e il
loro potere nello Stato.
Il Parlamento di Parigi nel settembre 1788 stabiliva che gli Stati Generali avrebbero
dovuto funzionare secondo le regole cetuali del 1614. Non è solo una questione
tecnica, bensì una questione di alta densità politica perché:
3. Ogni ceto esprimeva il proprio parere con un voto. Un voto per i 130.000
componenti del Clero; un voto per i 200.000 componenti della Nobiltà; un voto
per i 22.000.000 componenti del Terzo Stato.
Nell’autunno del 1788 allora sembrerebbe che la crisi del sistema francese si
fosse risolta a favore della nobiltà per voce del Parlamento di Parigi. Il disegno
della nobiltà, infatti, a quell’altezza:
Tuttavia il governo misto si trovava dal punto di vista costituzionale in fase calante,
basti pensare alla vicenda inglese e all’avvio della formula parlamentare e
soprattutto si creò un vasto moto d’opinione contrario al progetto nobiliare e
antiborghese che si profilava dietro la richiesta dei nobili a favore degli Stati
Generali e del ripristino del governo misto.
Per attenuare le proteste anti nobiliari, nel gennaio del 1789 il Parlamento di Parigi
emanò un regolamento riguardo al funzionamento degli Stati Generali. Stabilì che:
A. Il Terzo Stato avrebbe dovuto raddoppiare i propri rappresentanti.
B. Gli Stati Generali avrebbero, come già fino al 1614, votato per ceto (ossia ogni
assemblea un voto).
Il 5 maggio 1789 una riunione epocale degli Stati Generali con 1165 delegati
cetuali di cui: 290 del Clero, 295 della Nobiltà, 580 del Terzo Stato.
IL CONCETTO DI NAZIONE
A. Il Terzo Stato è la nazione.
Dal nostro punto di vista non è solo un evento politico, ma anche, e soprattutto,
costituzionale. Era infatti avvenuta una trasformazione epocale: i delegati cetuali
(che aderirono al progetto di Sieyès) da debole delegazione cetuale divengono a
densissima rappresentanza nazionale.
Capitolo 26
Il 14 luglio 1789 alcune centinaia di artigiani e bottegai parigini assaltarono la
prigione della Bastiglia in cerca di armi e fucili. Fu allora che la storia della Francia
e della Rivoluzione subì un’accelerazione portentosa.
LA RIVOLUZIONE ‘MUNICIPALE’
L’insieme di questi avvenimenti che in moltissime zone della Francia si conclusero
con:
1. l’abbattimento dei tradizionali organi comunali.
2. la creazione di nuovi organismi municipali, che prese il nome di “rivoluzione
municipale”.
LA ‘GRANDE PAURA’
Nelle regioni rurali della Francia la rivolta, detta “Grande Paura”, coinvolse le
masse contadine che distrussero i simboli dell’antico ordine feudale. Infatti nei mesi
di luglio e agosto 1789 si ebbe in molte zone del Centro-Nord del paese la
distruzione dei registri e delle mappe catastali su cui si fondava il prelievo feudale.
Tale sollevazione dette da subito il segno tangibile dell’irruzione delle plebi
contadine nell’agone politico.
Inoltre a questi principi ne erano aggiunti almeno altri due: ossia: la sovranità
nazionale e la separazione dei poteri.
Ad ottobre 1789 però una nuova carestia provocò una nuova manifestazione
popolare che arrivò a Versailles costringendo il re a riconoscere alcune concessioni
e a trasferirsi a Parigi. Nel frattempo, in tutta la Francia, erano sorti e si erano
radicati club e società “politiche” dove per la prima volta i sudditi potevano fare e
parlare pubblicamente di Politica. I principali ‘gruppi’ politici erano:
1. I giacobini: divisi in democratici e costituzionali (detti “foglianti”).
2. I cordiglieri: democratici radicali antimonarchici.
3. Gli “anglomani”: nobili e borghesi liberali a favore di una monarchia
costituzionale all’inglese.
All’interno dell’assemblea si creò una spaccatura politica tra ‘destra’ e ‘sinistra’. Tale
distinzione è ancora oggi in uso per distinguere le diverse ‘famiglie politiche’ attive
all’interno di ogni sistema politico nazionale. Si tratta in effetti di una distinzione che
inizialmente derivava esclusivamente dalla posizione fisica all’interno della sala
dell’assemblea nazionale costituente.
LA RIVOLUZIONE E L’ASSEMBLEA
L’irruzione delle masse rivoluzionarie nel conflitto aveva alterato i tradizionali
equilibri, costringendo le forze in campo a collocarsi – come si disse da allora in
avanti – “a destra” o “a sinistra” della sala del Maneggio del palazzo delle Tuileries
a Parigi Infatti, come abbiamo sottolineato: la posizione dipendeva dalla natura
conservatrice (a destra) o progressista (a sinistra) della propria ispirazione ideale.
Dal gennaio 1790 l’Assemblea varò riforme di portata universale in tutti i campi
istituzionali. 1. Nel campo dell’amministrazione:
A. furono cancellate le vecchie circoscrizioni territoriali, espressione della
stratificazione storica dello Stato francese.
B. Creati i dipartimenti (in tutto furono 83), i distretti, i cantoni fino ai comuni su cui
verrà incardinata la “nuova” amministrazione ora definitivamente pubblica ed
esecutiva.
C. Nel maggio 1790 inoltre la capitale fu divisa in 48 sezioni. Questo per favorire lo
svolgimento di attività politiche che diedero linfa a club e società popolari.
Nel campo giuridico: fu confermata la centralità e il primato della legge dello Stato
su ogni altra fonte giuridica e soprattutto sulle consuetudini.
Infine importanti furono anche le riforme al sistema giudiziario: la legge dell’agosto
1790 istituì a ogni livello di amministrazione territoriale un organo giudiziario
elettivo. Esso attuava la definitiva separazione dei poteri e la fine della venalità
delle cariche.
Dopo che fu sventata la fuga all’estero del re e della famiglia le forze democratiche
accrebbero molto i loro consensi orientandosi sempre più verso la Repubblica.
Infatti dopo la repressione di una mobilitazione repubblicana di cordiglieri e
giacobini, il movimento rivoluzionario si sdoppiò da un lato il fronte moderato
della borghesia, timorosa del successo dei democratici, dall’altro la massa
rivoluzionaria, democratica e repubblicana.
Nel settembre 1791 l’Assemblea approvò la nuova Costituzione. Questa istituiva
una monarchia costituzionale bilanciata nonostante ridimensionasse i poteri del re:
era su base censitaria, esprimeva valori borghesi ed era, perciò, non gradita ai
democratici e repubblicani.
LA COSTITUZIONE BILANCIATA
L’architettura istituzionale prevedeva una camera di 745 membri elettivi, ossia
l’Assemblea legislativa su base censitaria a cui competeva il potere legislativo,
mentre il potere esecutivo era di competenza dei ministri nominati dal re. Il sovrano,
che disponeva solo del veto sospensivo sugli atti della camera, vedeva così
notevolmente ridimensionati i suoi poteri.
Da un punto di vista politico la Costituzione si fondava sulla distinzione tra i cittadini
attivi (circa 4.000.000), con un censo pari o superiore alle tre giornate di lavoro, e i
cittadini passivi (circa 3.000.000), con un censo inferiore. Solo ai cittadini attivi
attraverso un sistema elettorale a due gradi, era riconosciuto il diritto di eleggere i
deputati, mentre i cittadini passivi godevano dei soli diritti civili.
La cittadinanza politica, dunque non era riconosciuta a tutti e finiva per coincidere
con la proprietà proprio tale coincidenza esprimeva compiutamente i valori di una
società borghese il suffragio ristretto su base censitaria, infatti da un lato si ergeva
a solido baluardo contro il rischio di ritorno al passato dall’altro, però, rendeva
impossibile ogni evoluzione democratica.
L’ASSEMBLEA LEGISLATIVA
L’Assemblea nazionale costituente si sciolse, sostituita da un’Assemblea
legislativa: a destra i foglianti, per i quali la rivoluzione era terminata; al centro i
moderati “girondini”; a sinistra giacobini e cordiglieri e al centro sedevano invece
dei deputati incerti tra le due ali.
Al contempo, però tra la maggior parte dei governanti conservatori e dei sovrani di
Europa si formò una “grande coalizione” antifrancese alimentata dal timore che la
Francia divenisse il modello di tutti coloro che intendevano sovvertire l’ordine
cetuale tradizionale. La Francia, dunque, fu sempre più osteggiata anche
militarmente dai conservatori di tutta Europa che nei decenni successivi fu
sconvolta da numerose guerre si della Francia sia contro la Francia.
Capitolo 27
Come abbiamo visto l’esecuzione di Luigi XVI trasformò la rivoluzione in un evento
universale. Le implicazioni di tale evento non erano più limitate ai destini della
Francia, ma investivano direttamente l’assetto del potere statale e dell’intera
società europea. Si chiudeva un’epoca e se ne apriva un’altra nella quale la
Francia repubblicana avrebbe dovuto difendersi dalla controffensiva dell’Europa di
Antico regime, ‘dei troni e dell’altare’.
I girondini allora dovettero fare i conti con il divampare della guerra civile fratricida
tra masse popolari, borghesia e ceti privilegiati che si estese rapidamente anche
alla vicina Bretagna.
1. Un Tribunale rivoluzionario.
LA NUOVA COSTITUZIONE
3. Il suffragio universale.
IL ‘TERRORE’
Successivamente fu varata poi la ‘legge sui sospetti’ strumento efficace ma
arbitrario e illiberale che sulla base di denunce anonime consentiva alle autorità di
agire contro chiunque. Si aprì il periodo definito del ‘Terrore’, con centinaia di
decapitazioni di molti oppositori politici, compresi rappresentanti del clero.
Infine fu chiuso il club dei giacobini di Parigi molti dei girondini sopravvissuti al
Terrore furono, poi, riammessi ai lavori della Convenzione.
IL TERRORE BIANCO
I risentimenti ancora vivi portarono però a un reflusso antigiacobino di giovani
borghesi, che dettero vita al “Terrore Bianco” con molti morti tra giacobini e
sanculotti.
2. impedisse una concentrazione dei poteri tale da riprodurre, come nel recente
passato giacobino, una dittatura ‘para legale’.
2. il Consiglio degli Anziani poteva solo accettare o rigettare in blocco tali leggi.
La novità della Costituzione dell’anno III era l’introduzione della Presidenza della
repubblica. Essa era attribuita a un organo collettivo detto ‘Direttorio’ composto da
5 direttori rinnovabili annualmente per un quinto a opera del Consiglio degli
Anziani.
Infatti al Direttorio spettava il controllo del potere esecutivo (non collegiale) tale
potere era svolto attraverso ministri competenti nelle diverse materie.
Attenzione in vista delle elezioni previste per l’ottobre 1795 i termidoriani vararono
una legge elettorale che imponeva per la formazione delle due nuove camere il
ricorso, per almeno due terzi, a membri già facenti parte della Convenzione (e
dunque di provata fede repubblicana e termidoriana).
Il Direttorio allora si trovò subito di fronte aa una parte all’opposizione dei realisti e
dall’altra al ritorno di una montante opposizione giacobina e ultrademocratica.
Nel marzo 1797 le elezioni politiche per il rinnovo di un terzo dei consigli come già
quelle del 1795 dettero un risultato molto favorevole per la destra monarchica. La
destra allora acquisì una posizione di maggioranza creando una situazione di
conflitto con il Direttorio ancora allineato sulle posizioni termidoriane. Poiché la
Costituzione non prevedeva alcuna forma di dialogo o di compensazione tra i due
consigli che avevano il potere legislativo e il Direttorio: che controllava il potere
esecutivo il clima istituzionale andò rapidamente arroventandosi.
Capitolo 31
Come abbiamo avuto modo di osservare nei capitoli precedenti, l’Europa
dell’ultimo decennio del secolo XVIII era caratterizzata da profonde trasformazioni
in campo sociale, giuridico, politico e istituzionale. Tali trasformazioni in buona
parte erano state stimolate dalle suggestioni provenienti dalle due grandi
rivoluzioni politiche del periodo: quella americana e quella francese.
NAPOLEONE BONAPARTE
Il personaggio che, nel bene e nel male, a partire dalla metà degli anni Novanta del
Settecento, più di tutti contribuì a ‘esportare’ nel mondo la rivoluzione fu
Napoleone Bonaparte (1769-1821).
A. Si trovò nella posizione di decidere della politica estera e militare della Francia.
Il mondo di Napoleone non è dunque fuori luogo definire il quindicennio che segue
la sua discesa in campo come “mondo di Napoleone”. Proprio per la portata e gli
effetti delle sue scelte e delle sue intuizioni, non è affatto esagerato dire che, dopo
l’esperienza napoleonica, in Francia e in tutto il continente europeo nulla fu più
come prima.
2. riuscì a porre sotto il controllo dei suoi ufficiali i deputati dei due consigli
legislativi.
I tre consoli nominarono anche una commissione con il compito di scrivere una
nuova Costituzione. La nuova Costituzione (detta Costituzione dell’anno VIII) entro
in vigore già il 13 dicembre 1799 (22 frimaio) e fu poi ratificata con un plebiscito
nazionale nel febbraio 1800.
IL CONSOLATO A VITA
Ristabilita (momentaneamente) la pace internazionale e pacificati i conflitti
all’interno della società francese Napoleone Bonaparte si dedicò alla revisione
della Costituzione per ampliare le proprie prerogative al vertice dell’ordinamento
della repubblica.
IL SECONDO PLEBISCITO
Grazie al consenso di cui godeva al Senato, Bonaparte indisse un plebiscito (il
secondo da quando era arrivato al potere) con il quale interrogava direttamente il
popolo di Francia - In quanto massima autorità costituente secondo la logica
rivoluzionaria - sulla possibilità di essere nominato console a vita.
LA DERIVA CENTRALISTICA
La nazione rispose con 3.500.000 sì e soli 8.374 no: era il segno della grande
fiducia a favore del ‘generale’, ma anche l’inizio di una deriva centralistica che
spostava il ruolo guida dello Stato dalla nazione al primo console.
LA COSTITUZIONE DELL’ANNO X
A seguito del plebiscito Napoleone fece scrivere un nuovo testo costituzionale che
il Senato approvò il 4 agosto 1802 Tale testo noto come Costituzione dell’anno X
venne ratificato con un nuovo plebiscito.
In console a vita:
LA REPUBBLICA IMPERIALE
Napoleone impresse nel 1804 una svolta irreversibile al processo di accentramento
del potere nelle sue mani con il parere positivo del Senato scrisse un testo
costituzionale nel quale il primo console a vita diveniva imperatore ereditario per
ordine di primogenitura maschile. La nuova Costituzione segnava l’approdo a una
nuova forma di Stato pur mantenendo alcuni istituti repubblicani, era del tutto
assimilabile alla monarchia. Tale contraddittoria commistione era del resto evidente
fin dal primo articolo di quella Costituzione che recitava: “il governo della
Repubblica è affidato a un Imperatore”.
LE COSTITUZIONI DI NAPOLEONE
Nel quindicennio in cui fu al potere (1799- 1814) Napoleone ‘produsse’ tre
costituzioni:
3. quella dell’anno XII (1804: imperatore), dove le ultime due, però, furono solo
aggiustamenti della prima.
Tuttavia, col passare del tempo la prassi politica si discostò sempre più dalle forme
costituzionali depotenziando alcuni organi a tutto vantaggio di un sistema di potere
centrato sulla figura di Napoleone.
Quasi tutto il continente sotto Napoleone dal 1809 in avanti il Grande Impero di
Napoleone per consolidare il blocco continentale, procedette a nuove importanti
annessioni, soprattutto nell’area nordoccidentale: l’ex-regno d’Olanda, dopo aver
destituito il fratello Luigi sul mare del Nord, i territori di Amburgo, Brema, Lubecca
e il granducato di Oldenburg.
Capitolo 32
LA FINE DE L’ANCIEN RÉGIME
Come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo precedente La stagione
napoleonica costituisce un’esperienza di fondamentale importanza non solo per la
Francia e per l’Europa ma per l’intera comunità mondiale. Nel quindicennio tra la
fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo si assiste a un passaggio epocale. Si può
osservare che era archiviato l’Antico Regime e sostituito da pratiche e istituzioni di
matrice rivoluzionaria ma ispirate da una logica nuova, spesso elaborata dallo
stesso Napoleone o dai suoi più stretti collaboratori.
Napoleone ‘chiuse’ la stagione rivoluzionaria stravolgendone alcuni princìpi
fondando un regime che pur autocentrico, non fu reazionario.
La macchina Statale che Napoleone aveva costruito a partire dal 1799 Infatti si
rivelò sempre più costosa e sempre maggiori furono i bisogni finanziari del suo
Stato soprattutto a partire dal 1804, quando la trasformazione imperiale impose
l’avvio di una serie di pratiche politiche, amministrative e di autorappresentazione
che fecero salire a dismisura le uscite pubbliche. Tuttavia, attraverso la sua intensa
opera di riforme Napoleone fu fautore di un’inedita modernizzazione politica sia dal
punto di vista ideale sia da quello pratico e alcune delle applicazioni politiche o
istituzionali di quella stagione continuarono a ispirare statisti e costituzionalisti
anche nei decenni successivi fino a oggi.
IL PREFETTO NAPOLEONICO
Le competenze del prefetto erano sia politiche che amministrative:
I PREFETTI
Secondo un’efficace immagine dello stesso Napoleone, furono le “masse di
granito” su cui venne eretto il regime. Per la sua collocazione “periferica” la
storiografia ha a lungo ed erroneamente considerato il prefetto una istituzione-
copia dell’intendente di Antico Regime in realtà la logica alla base di queste due
istituzioni era totalmente differente.
4. GLI UFFICI DI STATISTICA sempre più presenti all’interno dello Stato, erano
investiti del compito di: rilevare, raccogliere, inventariare dati statistici, sociali ed
economici, utili per la programmazione dell’intervento pubblico in maniera certa e
sistematica mediante inchieste e censimenti.
Capitolo 33
IL RIORDINO
Tra i progetti più ambiziosi di Napoleone ci fu la riorganizzazione del farraginoso
sistema legislativo francese nonostante la fine dell’Antico Regime, i giudici si
trovavano ancora, con grande difficoltà, costretti ad applicare:
I CODICI DI NAPOLEONE
A questa imponente opera di riorganizzazione Napoleone dedicò tre codici:
1. Il Codice civile.
2. Il Codice di commercio.
IL codice civile del 21 marzo 1804 notò anche come Codice Napoleone fu il
risultato del lavoro di una commissione interna al Consiglio di Stato che Napoleone
aveva incaricato già dai primi mesi del Consolato. Il Codice, compilato nel corso di
102 sedute di cui 57 con la presenza dello stesso Napoleone, si componeva di
2.281 articoli. Il Consiglio di Stato è un organo ausiliario dello Stato che svolge
funzioni sia consultive sia giurisdizionali:
3. Laicità dello Stato (sancita dal Concordato con la Chiesa cattolica del 1801).
5. La libertà individuale.
6. La libertà di coscienza.
a. la liberta individuale
b. la proprietà privata
c. la libertà di pensiero
LA CENSURA PREVENTIVA
Per evitare pericolose opposizioni la libertà di stampa fu minata nella sua essenza
“liberale” dall’istituzione della censura preventiva affidata al ministro della polizia:
nessuno poteva pubblicare senza la preventiva autorizzazione del governo e,
addirittura, dal 1810 era possibile stampare un solo giornale per Dipartimento.
Tuttavia sempre in quegli anni lo Stato ampliò notevolmente lo spettro dei suoi
interventi a favore della società furono aperti:
1. nuovi ospedali.
2. brefotrofi.
LA LEGIONE D’ONORE
Napoleone era consapevole del fatto che alcune istituzioni sociali pre-
rivoluzionarie bene servivano a disciplinare la società. A questo scopo pur
mantenendo in vigore tutte le disposizioni rivoluzionarie che avevano dissolto il
sistema feudale. Istituì un nuovo ordine cavalleresco.
Infatti nel 1802 Napoleone istituì la Legione d’onore come onorificenza con cui
“premiare” i francesi che si erano distinti al servizio dello Stato,
dall’amministrazione all’esercito.
LA NOBILTÀ DI STATO
A compimento di questo progetto di disciplinamento della società e per aumentare
il consenso nel 1808 Napoleone istituì anche una nuova nobiltà di Stato la quale,
senza conferire privilegi fiscali era – come nell’Antico Regime – fonte di notevole
distinzione sociale.
Questa nuova nobiltà infatti come in passato era divisa per titoli e gradi (che erano
cinque) ordinati gerarchicamente e trasmissibile ai discendenti per primogenitura
maschile.
UN SISTEMA ‘MERITOCRATICO’
A fianco di funzionari, ufficiali e amministratori che si erano distinti nel corso della
stagione rivoluzionaria. Infatti Napoleone ammise anche funzionari già distintisi al
tempo dell’Antico Regime.
IL SISTEMA DI RECLUTAMENTO
Era legato al talento e alle capacità individuali Tuttavia per i livelli alti e dirigenziali
dello Stato napoleonico la selezione avveniva per cooptazione e sulla base della
fedeltà al governo una fedeltà misurata attraverso i dati forniti da “controllori”
sparsi su tutto il territorio e appositamente incaricati di verificare il consenso nei
confronti dello Stato e di Napoleone in primis.
OLTRE NAPOLEONE
La vicenda dello Stato napoleonico, come è noto, si chiuse con una sconfitta
militare e l'abdicazione dell'imperatore cui seguì la sua reclusione nell'isola di
Sant'Elena. Dal 1815, si aprì l’epoca della Restaurazione ossia una stagione nel
corso della quale si assiste a uno sforzo, orchestrato dagli Stati vincitori, per
contenere, reprimere e cancellare la nuova visione della politica, dei rapporti sociali
e dell’orizzonte culturale che, dalla Francia rivoluzionaria e napoleonica, si era
diffusa nel continente europeo.
Infatti i lasciti della stagione rivoluzionaria e napoleonica, non potevano più, nel
nuovo contesto storico, essere sradicati. Idee forti come quelle di nazione e di
costituzione, di rappresentanza, cittadinanza individuale e di libertà individuali
continuarono da allora in avanti a eccitare le riflessioni dei sudditi di tutto il
continente e a ispirarne azioni e movimenti per il loro ripristino all'interno di tutti gli
Stati.
Capitolo 34
Per introdurre il nostro discorso sulla Costituzione in Italia. Occorre in primo luogo
rispondere a una domanda fondamentale e altrove che ci siamo già posti: Che
cos’è la Costituzione?
Si tenga presente che come abbiamo visto nei primi capitoli alla parola
Costituzione sono applicati una serie di significati apparentemente diversi: In molte
lingue, tra cui l’italiano Infatti Ritroviamo questa parola principalmente quando
alludiamo al corpo umano in ambito medico e al corpo dello Stato in ambito di
scienze della politica.
IN SENSO MATERIALE
Con il lemma Costituzione intendiamo l’unità politica della comunità/società nel
suo rapportarsi ad un dato territorio.
Per addentrarci nella storia della Costituzione italiana è doveroso porti alcune
domande, per esempio: Qual è stata la prima costituzione italiana? O ancora che
cos’è lo Statuto Albertino?
Nessuna delle Costituzioni concesse nel 1848 sulla penisola italiana. Infatti
assunse il nome di Costituzione, ma quello di Statuto, dove il problema non è solo
lessicale, ma ideologica.
Tale questione lessicale testimonia che la cultura municipale, da cui tali testi furono
prodotti, la parola Statuto appariva molto più rassicurante di “Costituzione” e
sembrava richiamare direttamente l’universo cittadino (gli Statuti erano infatti fin
dall’età medievale i patti fondativi delle comunità locali).
Il 4 marzo del 1848 fu del tutto inaspettato e avvenne in maniera molto frettolosa
come tentativo di arginare il dilagare dei moti rivoluzionari.
L’arrivo sulla scena di una carta costituzionale Carlo Alberto allora, su consiglio del
suo staff di ministri, pressato dagli eventi, decide di concedere una Costituzione ai
sudditi del suo Regno.
4. La religione cattolica era proclamata religione di Stato mentre gli altri culti
erano «tollerati».
1922: “primavera di bellezza nel fascismo è la salvezza della nostra libertà”. Nel
1922 le violenze fasciste si moltiplicavano in tutto il paese e lo squadrismo si
organizzava in forme ormai legalizzate, come la Milizia nazionale. Al già debole
governo Bonomi (luglio 1921- febbraio 1922) succede il debolissimo governo
Facta (febbraio-ottobre 1922). Nell’ottobre del 1922 i capi del partito fascista
(Balbo, De Vecchi, De Bono, Bianchi) preparano d’accordo con Benito Mussolini la
Marcia su Roma.
Il progetto di abolizione delle garanzie statutarie nel rispetto dello Statuto poteva
realizzarsi soltanto mettendo fuori legge l’opposizione.
A. Con la legge del novembre 1926 si dichiaravano decaduti i mandati dei 123
deputati aventiniani.
C. Con la legge del 9 novembre 1928 sul Gran Consiglio, si ridefinivano i rapporti
fra lo Stato e il partito (di fatto già unico, ma che unico diverrà soltanto a partire
dal 1938 con la dichiarazione contenuta nello Statuto del Partito nazionale
fascista), venendo a creare un regime del capo di governo.
DIRITTI CALPESTATI
In tema di soppressione dei diritti, spiccano: ¾ l’abolizione dei partiti e della libertà
di associazione politica nel 1928; ¾ la soppressione della libertà di stampa nel
1928; ¾ con la legge 3 aprile 1926 si assiste alla sottomissione sotto stretto
controllo dello Stato dell’intero ordinamento sindacale. ¾ La reintroduzione della
pena di morte (1926).
La monarchia che permette di calpestare i diritti la presenza della Corona era ormai
svuotata di ogni significato politico. La magistratura non era considerabile
indipendente dal momento che non poteva più giudicare in materia di reati politici.
Il Concordato del 1929 segnava in maniera molto netta il confine di non ingerenza
della Chiesa e delle associazioni cattoliche in questioni politiche.
E IL PARLAMENTO?
Con l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni (legge 19 gennaio
1939) viene abrogata la Camera dei deputati. Essa, del resto, ormai da anni era
stata drasticamente mutilata nelle sue prerogative. La nuova camera era composta
da consiglieri nominati in quanto componenti o del Pnf o del Consiglio nazionale
delle corporazioni: il suo ruolo era tuttavia del tutto privo di importanza, infatti
rimaneva il Gran Consiglio del Fascismo l’organo chiamato ad esercitare la
consulenza del governo in materia politica.
LA CRISI COSTITUZIONALE
Sotto l’incalzare degli avvenimenti della Seconda guerra mondiale, il 24 luglio 1943
è convocata la riunione del Gran Consiglio del Fascismo in cui viene resa
manifesta la crisi del fascismo.
RE E LE SUE PREROGATIVE
Vittorio Emanuele III allora fece arrestare Benito Mussolini. In effetti, si trattò di un
‘colpo di mano’ del re che per salvare se stesso eliminò il Duce. Il governo fu allora
affidato al generale Pietro Badoglio.
2. Alla fine della guerra si sarebbe dovuta convocare un’assemblea costituente per
la redazione della nuova Costituzione italiana.
IL NUOVO GOVERNO
Il 18 giugno 1944 venne allora formato il primo governo di Cnl presieduto da
Bonomi: la costituzione (Verfassung) del governo Bonomi innovò profondamente la
forma di governo italiana, dal momento che il Comitato centrale di liberazione
nazionale si sostituì alla Corona nella funzione di organo rappresentativo
dell’opinione pubblica italiana.
Capitolo 35
L’OPZIONE REPUBBLICANA
Dopo il disastro della guerra e lo shock del totalitarismo. L’Italia è chiamata alle
urne per decidere della forma di Stato da darsi: la Monarchia Parlamentare o la
Repubblica.
DIRITTI RICONQUISTATI
Il 2 giugno 1946 l’opzione repubblicana prevalse al referendum. Lo stesso giorno,
per la prima volta a suffragio universale, i cittadini italiani votarono per l’elezione
dei membri dell’Assemblea Costituente, con un sistema elettorale proporzionale
con liste concorrenti nei diversi collegi elettorali plurinominali.
I partiti entrati in campo nel dopo guerra avevano, a seguito della traumatica
esperienza totalitaria riconoscevano a fondamento dello Stato italiano:
2. l’affermazione e la tutela dei nuovi diritti sociali (al lavoro, all’istruzione, alla
salute).
LA COSTITUZIONE AMERICANA
Il 17 ottobre 1787 si riunì a Filadelfia una Convenzione che decidesse sull’assetto
confederato o federato degli Stati uniti d’America. In quella circostanza si lavorò
alla stesura di una nuova Costituzione e si delineò, da allora e per sempre, il
moderno concetto di Konstitution, che vede la Costituzione come atto scritto,
emanato da assemblee costituenti rappresentative della nazione.
Furi dall’aula all’interno della Costituente riecheggiano quelli che sono i princìpi
antifascisti e puramente democratici di cui la Resistenza si fa portatrice almeno dal
1943 in avanti. Molti sono gli uomini e le donne di democrazia, che intendono la
politica come servizio del cittadino che non può essere neutrale, ma impegnato
secondo coscienza l’emancipazione delle donne allora rientra come un ‘punto’ del
difficile compito di ‘formare i cittadini’.
LA COMMISSIONE DEI 75
Risolutiva fu la decisione del Presidente dell’Assemblea Costituente, Giuseppe
Sagarat, di costituire una commissione di 75 membri presieduta da Meuccio Ruini
1. composta in proporzione alla consistenza numerica dei gruppi parlamentari
LA COMMISSIONE DEI 75
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le
confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i
propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro
rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze.
Art. 10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è
regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo
straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio
della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa
l’estradizione dello straniero per reati politici.
Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in
condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce
le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a
tre bande verticali di eguali dimensioni.
Art. 138 Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono
adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non
minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di
ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a
referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano
domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque
Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è
approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la
legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a
maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
A COSTITUZIONE ITALIANA
È una costituzione rigida, ovvero modificabile soltanto tramite procedure
complesse e rigorose, chiaramente sistematizzate dagli artt. 138 e 139 Tuttavia
Nonostante siano passati più di 70 anni dalla sua promulgazione, rimane una
Costituzione sensibile alle istanze del Paese contemporaneo e potatrice di princìpi
ancora validi per tutta la comunità italiana.