Don Carlos
Don Carlos
Don Carlos
Posa si definisce artefice del proprio destino, egli afferma che non è stato il caso a portarlo
dal re, bensì è stato lui stesso a fare in modo che ciò avvenisse. Nel conflitto di forze,
spesso ha la meglio chi soccombe, la debolezza diventa più forte della forza e i rapporti si
capovolgono. Posa è riuscito ad avvicinarsi al potere paradossalmente standovi lontano.
Posa si definisce ‘Bürger dieser Welt’, egli si dichiara cosmopolita. Un concetto che è
assolutamente non in linea sul piano sincronico con gli ideali della cultura cinquecentesca.
L’idea di un nuovo modo di fare politica proviene da ciò che sta accadendo nella stessa
epoca in quelli che saranno poi gli Stati Umani. Schiller rende Posa il più seduttivo eroe
della ragione politica, il re è infatti in contemplazione di Posa, che è lo stesso
atteggiamento dello spettatore. L’universalismo politico di Posa sembra però avere un fine
estremamente ridotto rispetto alle sue ambizioni. Posa è interessato a diventare il
confessore del re, per questo motivo lo trae in inganno; avendo ottenuto libero accesso
alla regina, Posa può adesso ottenere nuovamente la fedeltà di Carlos. Elisabetta non
cade nella trappola di Posa, riconosce che egli abbia potuto agire sul re simulando,
avvalendosi di ideali che non gli appartengono. Il piano è quello di rendere Carlos una
sorta di agente segreto, egli deve trasferirsi a Bruxelles e sovvertire il piano di Alba.
Nella prima scena del quarto atto Carlos consegna a Posa le sue lettere alla regina e in
particolare una lettera che dovrebbe costituire il vero e proprio atto di accusa della regina,
questa consegna scatena tutta una serie di avvenimenti che ripropongono quel conflitto di
posizioni di forza fra Carlos e Posa. Subito dopo la consegna delle lettere, infatti, Carlos
dubita delle intenzioni di Posa, il quale a sua volta teme l’irrisolutezza di Carlos e
soprattutto teme che Carlos possa non avere più fiducia in lui. Nel parallelismo delle scene
al monologo di Posa segue un breve monologo del re che è ancora tormentato dai dubbi
nei confronti della regina e alle velate accuse di Rodrigo si interroga sulla sua paternità. I
dubbi che affliggono il re sono intrecciati e hanno a che fare con l’affidabilità delle persone
che gli stanno intorno, la quale è sia morale che politica. Lo snodo deve avvenire
sciogliendo i due filoni che Schiller è stato attento a tenere legati fino ad ora. Se il motivo
dell’amore è stato il legante delle vicende del dramma, adesso il filone sentimentale e
quello politico devono dividersi ed opporsi l’uno all’altro. Qui le cose cominciano a
complicarsi. Il quarto atto è un atto in cui le cose devono confondersi, la percezione della
situazione da parte dello spettatore deve essere quanto mai confusa. Il re in questo
momento si trova a sbrigare un doppio intreccio: quello a lui visibile è quello che gli hanno
reso esplicito Alba e Domingo e che quindi riguarda la tresca amorosa, l’altro invece è
quello segreto che riguarda il complotto per la liberazione delle fiandre. Il dialogo tra il re e
la regina porta alla luce i dubbi del re, ai quali la regina risponde raccontando la verità
sugli incontri tra lei e Carlos. Il re è adesso in una situazione di assoluta debolezza, tant’è
vero che uscendo dalla stanza la regina cade e ciò comporta tutta una serie di
conseguenze. Tra le altre, ciò causa la preoccupazione di Carlos il quale, incautamente, si
reca da Eboli e la implora di poter far visita alla regina. In precedenza però Posa,
insospettito dai dubbi di Carlos e temendo un suo gesto inopportuno, si è fatto dare dal re
un mandato di arresto in bianco per Carlos, nella convinzione che potrebbe essere
necessario. Quando Carlos si reca da Eboli, Posa interviene e lo fa arrestare, sennonché
Carlos ha nuovamente detto le cose come stanno. Nel colloquio con il re Posa ha gettato
sospetti politici sulla regina e su Carlos per ottenere il controllo della situazione. Questo
controllo della situazione passa, però, per un piano spericolato: la necessità di avere la
chiave della situazione condanna uno dei due, o Carlos di cadere in sospetto delle
Corona, o Posa di aver commesso un arresto di arbitrio. Posa stavolta ha commesso un
errore, ha letto in Carlos dei dubbi che crede riguardino il progetto delle Fiandre. Quest’
errore di Posa determinerà la condanna di entrambi. Carlos dà un’interpretazione molto
precisa delle intenzioni di Posa: ciò che muove Posa non è un sentimento d’amicizia o
d’amore, bensì la possibilità di influenzare una larga massa, di avere una parte all’interno
di un processo storico. Il disegno di Posa si configura, dunque, nient’altro che come
un’ambizione personale. Posa è pronto a sacrificare anche ciò che gli è più caro in nome
di una sua ambizione egoistica. Il problema adesso è quello di neutralizzare Eboli, a fare
ciò se ne occupa la regina. Eboli, infatti, dopo l’arresto di Carlos, temendo che la
condanna sia irrevocabile, confessa tutto alla regina, la quale la condanna all’ esilio. Da un
lato abbiamo la triade ‘Domingo – Alba – Re’, indebolita dal fatto che il re ha smascherato
gli intrighi dei suoi consiglieri, e dall’altro la triade ‘Carlos - Posa – Regina’ che sembra
avere la meglio ma è comunque indebolita dall’arresto di Carlos. Il gioco dei rapporti di
forza tra Carlos e Posa è sempre attivo. Se da bambini l’autoaccusa di Carlos era servita a
scagionare Posa, adesso l’autoaccusa di quest’ultimo scagionerà il primo. Tuttavia la
dinamica è la stessa e si basa sulla conquista del primato morale. La condanna di Posa
però ha un valore coercitivo, ha il valore di vincolare Carlos al progetto nelle Fiandre.
Carlos tuttavia protrarrà la dinamica dei rapporti di forza anche dopo la morte di Posa. Se
il vantaggio di posizione dipende dalla capacità di intuizione della natura dell’altro, il
problema è che qui Posa ha fatto un errore: ha costruito il suo progetto su un’idea
dell’amore tra Carlos e la regina che ora quest’ultima ora mostra nella sua debolezza.
Posa entra in scena nel dramma con l’idea di sfruttare l’amore tra Carlos ed Elisabetta per
le sue finalità politiche, la nobiltà morale di Posa ne risulta gravemente intaccata. Abbiamo
visto fino a adesso come l’intrigo politico è sempre più debole della forza morale, il tema
sta perciò diventando quello della dinamica dei rapporti di forza che non hanno più a che
fare con la capacità intuitiva, bensì con la capacità di sfruttare le virtù morali: chi si
mantiene più integro in questo contesto, vince. Poiché Posa si trova in una situazione di
palese svantaggio nei confronti della regina, è chiaro che il centro della situazione si sta
spostando da Posa ad Elisabetta. Mentre mostra la debolezza del progetto di Posa,
Elisabetta gli si mostra superiore anche nella capacità intuitiva. Elisabetta riassume in sé
la forza morale e la capacità intuitiva. Posa è guidato unicamente dalla sua ambizione, il
motore di tutta la narrazione non è stato altro che l’ambizione di un individuo, che giunge
la sua apoteosi nel momento in cui Posa autocondannandosi sta per diventare una figura
eterna della storia. L’ambizione di Posa è quella di diventare l’iniziatore di un processo di
liberazione che se giungesse a termine renderebbe eterno il suo nome. Posa ha disposto
le pedine del suo piano in modo tale che non vi sia via di uscita, la regina propone di
schierare se stessa a difesa di entrambi, ma egli la rifiuta. La frase ‘Oh Dio, è pur bella la
vita’ è motivata dal fatto che la regina dimostra di essere una sorta di quintessenza della
bellezza intesa come ciò che contiene la verità più profonda. A questa scena segue la
serie di scene confuse in cui gli intrighi continuano a susseguirsi. In questo contesto
sembra chiaro che Posa non ha via di scampo, verrà condannato e coloro che penseranno
di aver smascherato la sua trama lo definiscono ‘diabolico’. Che Posa sia diabolico e che il
meccanicismo del suo calcolo sia diabolico è assodato. All’interno del dramma Schiller
non fa altro che costruire e al contempo sgretolare la figura di Posa
Alla fine del quarto atto compare nuovamente la figura di Eboli, la quale serve
esclusivamente da introduzione al quinto atto. L’idea di Carlos di andare fino in fondo alla
propria condanna spiazza Posa, che aveva fatto i conti con l’autodenuncia. Ciò che guida
il dialogo tra Carlos e Posa è la logica del doppio sacrificio: chi muore si sacrifica per la
causa, e resterà eterno nella storia. Con Alba giunge l’ordine del re di liberare Carlos. Il
dialogo fra Carlos e Posa continua con la spiegazione da parte di Posa della sua
macchinazione. C’è qui un apparente scollamento tra Posa e Carlos, in realtà ognuno dei
due segue la propria natura. La concezione del suicido utilitario è un’idea che circola nella
letteratura tedesca. Posa si fa uccidere in nome del suo piano. Alla virtù politica di Posa si
oppone la virtù pura e disinteressata di Carlos, il quale non può cedere all’inganno. Nella
storia Carlos è una figura di cui si tramanda la follia, il carattere instabile.
Carlos fa di Posa una proiezione di se stesso, una figura cristologica: vede in Posa colui
che si è sacrificato gratuitamente, proprio come Cristo, e che quindi è rimasto vittima delle
sue intenzioni. Sennonché noi la sappiamo più lunga, e questo è un fraintendimento di
Carlos. Se non intervenisse la regina a questo punto, il progetto di Posa sarebbe finito, in
quanto Carlos in realtà avrebbe condotto oltre la morte di Posa quella sfida di generosità
che avevano iniziato da bambini. Filippo si rende protagonista di un monologo in pubblico,
egli riflette su ciò che potrà fare per cancellare il ricordo di Posa. Nel momento in cui sorge
in Filippo la coscienza di essere ancora il re, il suo atteggiamento cambia. Essendo ancora
lui a fare la storia, trasformerà la memoria di Posa nella memoria di un pagliaccio, e cioè
tramanderà i suoi ideali come gli ideali di un pazzo.
Entra in scena adesso il grande inquisitore, il quale non ha bisogno di simulare e dunque
può dire la verità sul potere. Posa è spinto da un’ambizione che in associazione con la
ragione può fa saltare sistemi saldissimi. È l’accoppiata ambizione – ragione che Schiller
denuncia. Il grande inquisitore impartisce al re una lezione di realpolitik: mantenere il
regno significa reprimere. Nessun regno può permettersi di derogare alle leggi che lo
tengono in piedi, nel comportamento di Filippo si vede in lui stesso una forma di
ammutinamento nei confronti di quelle leggi, lui stesso è stato sedotto in nome del
desiderio di essere amato, di essere felice.