Dante Alighieri Vita
Dante Alighieri Vita
Dante Alighieri Vita
Nel 1316, inviando a Cangrande il I canto del Paradiso, Dante indicava nel "morale
negotium sive ethica" il "genere" filosofico cui andava ascritta la Commedia: su eguale
metro sono da commisurare le altre opere d'argomento conoscitivo e politico, cioè il
Convivio, la Monarchia, le Epistole politiche. La moralità come ricerca del proprio
essere da parte dell'individuo e del gruppo sociale si sviluppa, nel pensiero dell'esule
fiorentino, come filosofia della pratica e della storia: muovendo dall'esigenza
d'autonomia cittadina e dai conflitti di parte, Dante approda a una concezione unitaria
e globale della storia e della politica. La base speculativa della posizione dantesca è
eclettica, ma identificabile nelle sue componenti fondamentali: il pensiero di
Aristotele (mediato attraverso Alberto Magno e San Tommaso); l'eredità classica e
postclassica, filtrata attraverso l'esegesi medievale (innanzitutto Virgilio, quindi
Cicerone, Seneca, Boezio); la tradizione biblica e le diverse correnti del pensiero
religioso cristiano; la conoscenza, parziale, del neoplatonismo; infine, l'influsso dei
contemporanei centri di cultura francesi. Dante accetta la struttura gerarchica e
finalistica della società umana del pensiero aristotelico-tomista, ma sviluppa e applica
in modo autonomo la teoria dei due fini, naturale e soprannaturale, dell'uomo,
giungendo a una valutazione indipendente dell'etica e della metafisica, concepite come
provvidenzialmente ordinate ai due fini in modo autonomo. Tale posizione è chiarita nel
Convivio (1304-07, la prosa; anteriori di circa un decennio le liriche commentate),
opera in volgare di contenuto enciclopedico-didascalico, progettata in 15 trattati (ma
interrotta al IV) e contenente nel primo, proemiale, l'esposta lode del volgare.
Illustrando nel II la lettera e l'allegoria della canzone Voi ch'intendendo, Dante
identifica la "donna gentile" dei versi con la filosofia, "bellissima e onestissima figlia
de lo Imperadore de lo universo" (cioè di Dio) e fonte di spirituale amore; sulla stessa
traccia si muove il III trattato, a commento di Amor che nella mente, che della
filosofia canta le lodi in chiave stilnovistica. Infine, abbandonata la veste al legorica
con la terza canzone (Le dolci rime), Dante può ordire nel IV trattato un commento
esclusivamente e apertamente didattico, che gli consente di introdurre il tema
politico: contro la definizione di nobiltà come bene ereditario data da Federico II, non
solo è ribadito il concetto stilnovistico di nobiltà legato alla "virtù" individuale, ma si
afferma l'autonomia dell'autorità filosofica (in particolare di Aristotele) di fronte a
quella imperiale, e il dominio di quest'ultima sulla terra tutta, giustificandone la
provvidenziale universalità e romanità. È questo il tema della Monarchia, opera latina
in 3 libri, che compendia organicamente il pensiero politico dantesco e ne espone
analiticamente i punti. Particolarmente importante è il libro III, dove l'autore entra
nel vivo della polemica contemporanea contro i decretalisti, sostenitori della
supremazia papale nei confronti del potere politico (ierocrazia): egli confuta l'asserita
dipendenza dell'imperatore dal pontefice e dichiara illegittima la donazione di
Costantino, riaffermando l'indipendenza dei due poteri e la loro autonoma e diretta
provenienza divina. Il contenuto della Monarchia, la sua ampiezza teoretica, la sua
acutezza metodologica, i toni biblici e ispirati dello stile si riallacciano da un lato alle
Epistole politiche, dall'altro alla Commedia. Le une rispecchiano i primi tempi
dell'esilio (Epistola I, in nome della parte bianca, per la pacificazione tentata dal
cardinale Niccolò da Prato), le successive speranze legate all'elezione imperiale di
Enrico VII (Epistole V, VI, VII, 1310-11, ai signori d'Italia, agli scellerati Fiorentini, a
Enrico, per caldeggiare e sostenere la sua discesa in Italia), le speranze ultime di
ravvedimento della Chiesa e dei suoi ministri (Epistola XI, 1314, ai cardinali italiani) in
un crescendo continuo dagli interessi cittadini all'impegno ecumenico, politico e
spirituale; la Commedia, ponendo via via l'accento - non solo nei cosiddetti canti
"politici" - sulla città, sui regni, sull'impero, richiama l'umanità tutta, nei capi, nei
popoli, negli individui, al riconoscimento dei propri compiti e al rispetto dei propri
limiti, mentre asserisce vigorosamente la mutua indipendenza delle sfere d'azione
religiosa e politica, sociale e metafisica.
All'opera critica e poetica di Dante va il merito di aver dato al volgare italiano dignità
di lingua d'arte. Se nella Vita nuova si limita a giustificare l'uso del volgare sul piano
della prassi poetica dei rimatori d'amore, nel Convivio Dante avvia un discorso più
generale sulla lingua italiana, riconoscendole, nel trattato introduttivo, quei tratti di
amabilità, ricchezza, proprietà, bontà che fino ad allora erano attribuiti solo al latino
(e al francese). Il tipo stesso di prosa volgare usato nel Convivio (dal periodare
complesso e alto, modellato su quello latino-scolastico) e il contenuto delle liriche
commentate nell'opera si distaccano dall'operetta giovanile (e Dante stesso ne è
cosciente), come si conviene alla diversa esperienza dell'autore, maturata dall'esilio, e
alla materia trattata, frutto di studi filosofici e di impegno civile e politico. Il volgare
sarà quindi "sole nuovo", che illuminerà sulla via della conoscenza coloro cui "lo sole
usato", cioè il latino, "non luce". È il riconoscimento della validità ideale e pratica
dell'italiano come lingua di scienza e d'arte. Lo svolgimento puntuale, teorico e
applicativo insieme, di questa tesi è contenuto nel De vulgari eloquentia (1304-05),
opera latina progettata in 4 libri, ma interrotta al cap. XIV del II libro. Dalle
affermazioni dell'autore, che porta a esempio se stesso come poeta della virtù,
appare chiaro che la lingua di cui egli tratta è quella d'arte: in particolare, è la lingua,
e lo stile, dello stesso Dante, nella sua più alta produzione lirica di ispirazione etica. In
questo senso il trattato sulla lingua si riallaccia al Convivio, alle grandi canzoni in esso
commentate (concreta applicazione della teoria), a tutta la ricerca stilistica di Dante,
aperta dalla Vita nuova e dalle Rime e riassunta e conclusa dalla Commedia. In essa la
lingua vive, nello stesso tempo, come mezzo di comunicazione e come creazione
artistica di volta in volta innovata, come il "sole nuovo" di cui l'autore aveva sentito la
necessità concettuale ed etico-politica e come realizzazione di ben precise scelte
stilistiche.
Con l'Ottocento Dante diviene vessillo per gli ideali patriottici, oltre che soggetto
egregio per gli studi romantici. Ugo Foscolo (Discorso sul testo... della Commedia di
Dante, 1825; La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1827),
prendendo le mosse dall'interpretazione vichiana, apre il secolo con una voce originale,
richiamandosi all'analisi storica e testuale (criterio filologico), valendosi di rigorosa
argomentazione e capacità sintetica (criterio storico-filosofico), e infine ponendo il
poeta al di sopra del creatore di allegorie. Giuseppe Mazzini (Prefazione a La
Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1842; Scritti letterari di un
italiano vivente, 1847) segue la traccia foscoliana, mettendo in rilievo la figura umana
del poeta e la sua missione entro la nazione e la storia. Pur dando la preferenza
all'indagine psicologistica e al rapporto poeta-ambiente, non si allontana molto da
questo schema Niccolò Tommaseo nel suo commento al poema, mentre alla visione
romantica della vita e della storia si riallaccia il rinato interesse per la biografia
dantesca, testimoniato da Il Veltro allegorico di Dante di C. Troya e dalla Vita di C.
Balbo. Nella prima metà del secolo, col rifiorire della questione della lingua, si ravviva
l'indagine sulle teorie del De vulgari eloquentia (G. Perticari, Dell'amor patrio di
Dante) e procede lo studio linguistico-lessicale e interpretativo della Commedia (V.
Monti nella Proposta; commenti di G. Biagioli, P. Costa, B. Bianchi; più tardi, edizioni e
illustrazioni di tutte le opere a cura di P. Fraticelli e G. B. Giuliani). Massimo esponente
della critica dantesca romantica è F. De Sanctis, le cui pagine ancor vive e avvincenti
delle Lezioni e saggi su Dante (1842-73) e della Storia della letteratura italiana
(1870-71) sono fondamentali anche per l'interpretazione moderna: il nucleo del poema
è individuato nel motivo universale e interiore (Dante come voce della società umana) e
in quello etico-politico; il criterio di lettura è l'emozione, la consonanza patetica tra
lettore e testo, senza sovrapposizioni culturali; la poeticità dell'opera è nell'elemento
umano, presente più nell'Inferno che nelle altre cantiche (di qui la tendenza a isolare
episodi e figure piuttosto che a rilevare l'unità dell'invenzione dantesca). L'ultimo
trentennio dell'Ottocento, con l'indagine positivista sui manoscritti della Commedia e
delle opere minori, con gli studi storici sui documenti, e linguistici sulle opere di Dante
e dei contemporanei, apre la strada alla ricerca critica modernamente intesa. G.
Carducci, A. D'Ancona, I. Del Lungo, P. Rajna, F. D'Ovidio, F. Torraca, M. Barbi, E. G.
Parodi appartengono a questa scuola "storica" che insieme all'esperienza crociana
segnerà di sé il dantismo del secolo seguente. G. Carducci, in particolare, si volge
prima alle trascurate Rime (Delle Rime di Dante, in Dante e il suo secolo, 1865), indi
all'opera complessiva (Della varia fortuna di Dante, Dante e l'età che fu sua, 1866-67,
L'opera di Dante, 1888), dando per la prima volta un quadro dell'autore nella critica e
nel costume del Trecento, indicando i rapporti con l'età successiva, dimostrandosi
valido storico e insieme sensibile interprete. Dal canto loro gli altri studiosi, valendosi
anche dei contributi della critica dantesca straniera (ricordiamo i nomi di C. Witte, E.
Moore, P. Toynbee), avviano quelle sistematiche ricerche filologiche e documentarie
che porteranno all'edizione critica del De vulgari eloquentia (1896, a cura di P. Rajna)
e della Vita Nuova (1907, 19322, a cura di M. Barbi), nonché all'edizione di tutte le
Opere curata dalla Società Dantesca Italiana (1921). Di contro alla corrente storico-
positivista, G. Pascoli elabora un'interpretazione del tutto soggettiva della Commedia
e di Dante: mosso dalla sua vocazione alla visione mistica e simbolica dei fatti, alla
rappresentazione dell'"inconoscibile" che anima il mondo, egli con Minerva oscura
(1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902) offre un'esegesi unitaria in
sé, ma fondata su basi eterogenee, e destinata a rimanere in gran parte isolata.
L'opera di B. Croce segna, invece, un punto d'arrivo e di partenza per la moderna
critica dantesca. Prese le mosse non tanto dal presupposto desanctisiano del rapporto
emotivo tra lettore e testo, quanto da una categoria teoretica ben precisa (l'arte
come intuizione lirica ed espressione), egli assume come criterio di valutazione
dell'opera d'arte l'impressione estetica e la metodica distinzione tra "poesia" e "non
poesia". Perciò nella Commedia la "struttura" è contrapposta alla "poesia", il "romanzo
teologico" all'"elemento lirico": frutto di ragione, e quindi non poetico, il primo; di
intuizione lirica, e perciò tutto poetico, il secondo. Il saggio La poesia di Dante (1921)
e tutta la riflessione crociana sull'arte hanno rappresentato una tappa obbligata per il
critico del Novecento, influendo (in quanto precedente accettato o polemicamente
respinto) sulle diverse correnti del campo letterario - e quindi anche del dantismo -
del nostro secolo. Tra gli studiosi d'ascendenza crociana è A. Momigliano (commento
alla Divina Commedia, 1945-47), il cui saggio sul Paesaggio nella Divina Commedia
(1932) propone come criterio d'unità il motivo paesistico, sensibilmente analizzato;
con lui ricordiamo anche F. Maggini, Luigi Russo e Carlo Grabher. Entro la tendenza
storicizzante postcrociana, che mira a colmare lo iato tra "poesia" e "non poesia" e a
considerare l'opera d'arte un divenire piuttosto che un fatto, incontriamo l'opera di
N. Sapegno (commento alla Divina Commedia, 1957; Dante Alighieri, in "Storia della
letteratura italiana", volume II, 1965), il quale si propone di dare un'interpretazione
unitaria dell'autore e delle sue opere, fondendo le componenti linguistica, poetica,
storico-culturale; e, ancora, G. Getto, che con il concetto di "poesia dell'intelligenza"
presenta una rivalutazione del Paradiso dantesco (Aspetti della poesia di Dante,
19662). La cultura letteraria contemporanea, che mutua da quella scientifica
rigorosità di procedimento e specializzazione di oggetti, trova ancora in Dante un
campo di ricerca fecondo, soprattutto per ciò che è dell'individuazione delle fonti, per
lo studio dei testi, per la retta interpretazione del mondo dantesco e delle sue forme,
sia nei confronti del pensiero filosofico e religioso (B. Nardi e G. Busnelli) e politico
(F. Ercole, A. Solmi, ancora Nardi), sia in rapporto alla lingua e allo stile (A. Schiaffini,
B. Terracini, C. Segre, M. Fubini) e alla ricerca filologica (G. Contini, F. Mazzoni, G.
Petrocchi, A. Pagliaro). Entro questa tendenza e nell'ambito di una tradizione ormai
secolare, anche le culture straniere forniscono filoni esegetici particolarmente
interessanti, quali l'interpretazione "figurale" di E. Auerbach, quella simbolico-
teologica di Ch. S. Singleton, quella linguistica di L. Spitzer.
La Bibliografia
Vita Nova
Convivio
De Vulgari Eloquentia
Divina Commedia
Scheda Informativa
* Contenuti: la D.C. è un’enciclopedia del sapere dell’epoca, contiene così molte vicende
e molti saperi del 300.
* Peccato filosofico: Dante, dopo la morte di Beatrice nel 1290, si dedica agli studi
filosofici, cadendo nel peccato. La filosofia infatti è una forma di superbia (antico
peccato dell’hubris): si esalta la ragione per trovare la verità, senza l’aiuto di Dio. La
verità infatti è raggiungibile solo mediante Dio, ovvero con la teologia.
* Cosmologia: Dante basa la sua cosmologia sulla teoria tolemaica, assunta da tutto il
medioevo, che vede la terra immobile al centro dell’universo. Per Dante la terra si
divide in due emisferi: quello settentrionale, abitato dagli uomini, e quello meridionale
completamente occupato dalle acque. Alcuni angeli ribelli, capeggiati da lucifero,
vennero lanciati dal cielo e la terra, inorridita da loro, si aprì, formando una voragine a
forma di cono tronco. La terra di “scarto” divenne nell’emisfero boreale (ricoperto
d’acqua), nel punto opposto a Gerusalemme, il monte del purgatorio. Inferno e
purgatorio hanno quindi una forma analoga e speculare. All’interno della voragine
infernale sono collocati in ordine crescente i peccatori, secondo la gravità del peccato.
I peccati sono scanditi secondo “l’Etica”di Aristotele che prevede 3 tipi di peccati:
1. Per incontinenza: 2-5 cerchio, lussuriosi, golosi, avari, prodighi, iracondi
2. Per violenza: 7 cerchio (diviso in 3 gironi) contro il prossimo, contro se stessi,
contro Dio.
3. Per fraudolenza: 8 cerchio: chi usa l’intelligenza per ingannare coloro che non si
fidano di lui; 9 cerchio: chi usa l’intelligenza per ingannare chi si fida di lui: famigliari,
patria, amici. Al centro della terra, al termine dell’inferno, vi è Lucifero, un mostro
enorme con ali di pipistrello e con 3 facce, conficcato con la testa in giù. Ognuna delle
3 bocche mangia i 3 più grandi peccatori: Bruto, Cassio (che uccisero Giulo Cesare,
simbolo dell’impero) e Giuda (che uccise Gesù, simbolo del cristianesimo). I peccatori
sono collocati nel girone corrispondente al peccato più grave che hanno commesso.
Sono giudicati da Minosse (rappresentato mostruosamente): davanti a lui le anime
confessano i peccati. Minasse gli avvolge nella coda tante volte quante è il numero del
girone dove devono andare. All’interno dell’inferno vi è una organizzazione divina. La
pena ricevuta è morale (assenza di Dio) e fisica, e dipende dalle norme del
contrappasso (sopportare il contrario). Questo può essere per analogia (si subisce una
pena equivalente al peccato commesso) o per antitesi (si subisce la pena opposta).
Sono esclusi dai peccatori gli ignavi, ovvero coloro che non si sono mai schierati: essi
risiedono nell’antinferno. Ogni individuo è colto nella sua specificità: ogni anima è colta
nella sua essenza, in modo da rendere ogni individuo unico.
Virgilio, il principe dei poeti latini vissuto nel I sec. a.C., costituì per Dante il più
grande esempio nel regno dell’arte e del sapere.
Per comporre la sua Comedia Dante si ispirò certamente all’Eneide virgiliana, avendola
studiata a lungo e con grande amore. Essa, infatti, gli fornì molti elementi di
ispirazione,non solo per quanto riguarda la struttura esteriore, la figurazione di luoghi
e di esseri mitologici,ma anche per l’idea di rappresentare la vita nel regno dei morti,
strumento che viene usato da Virgilio per l’esaltazione di Roma e del suo impero,
mentre da Dante per esprimere in forma d’arte tutto il suo mondo politico, morale e
religioso.
Virgilio è stato considerato da quasi tutti gli antichi critici e commentatori come
l’allegoria della ragione umana e naturale che porta al giusto ordine terreno cioè,
secondo le idee di Dante, alla monarchia universale. Gli interpreti moderni, invece,si
sono opposti a questa interpretazione, come ci dice il critico E.Auerbach, e hanno
messo in risalto l’aspetto politico, umano, personale della figura di Virgilio, senza
tuttavia riuscire a negare il suo significato. Agli occhi di Dante il Virgilio storico è
contemporaneamente poeta e guida. Il Virgilio storico è rappresentato dall’abitante
del Limbo che per desiderio di Beatrice si assume il compito di guidare Dante.Come
egli un tempo, da romano e da poeta, aveva fatto discendere Enea per consiglio divino
nell’oltretomba, affinchè egli conoscesse il destino del mondo romano, così ora è
chiamato dalle potenze celesti ad una funzione di guida non meno fondamentale,
perchè non ci sono dubbi che Dante giudicasse la sua missione tanto importante
quanto quella di Enea: egli si sentiva chiamato per annunciare al mondo l’ordinamento
giusto, che gli viene rivelato durante il suo cammino, e, da parte sua, Virgilio dovrà
mostrargli e spiegargli il vero ordinamento terreno, le cui leggi saranno eseguite
nell’aldilà, ma non fino alle soglie della salvezza, cioè fino al paradiso, non potendo egli
godere della visione di Dio in quanto è morto senza conoscerlo, quindi da infedele.
Non c’è da stupirsi del fatto che Dante, credente, abbia scelto come guida un pagano e
abbia affiancato l’Eneide alla Bibbia tra i modelli principali della sua
ispirazione,infatti, la concezione dantesca della storia è assai diversa da quella
moderna: la storia è considerata da Dante come la realizzazione di un disegno divino
per cui tutti i fatti storici, anche quelli in realtà precedenti o estranei alla nascita di
Gesù, vengono inseriti all’interno della concezione cristiana. Questo fenomeno prende
il nome di sincretismo.
Dante dimenticò ben presto il simbolo che incarnava, e fece di lui il dolcissimo padre e
l’amico ideale che ognuno desidererebbe avere con sè nella vita.
Riassunto Dei Canti
Inferno
Canto I
Dante si smarrisce nell' oscura selva dei suoi errori e peccati. Quando spera di poter
salire sulla cima di un colle e rivedere la luce del sole, il cammino gli è sbarrato da tre
fiere, simboleggianti lussuria, superbia ed avarizia, ed è costretto a retrocedere. Gli
appare Virgilio, il suo modello di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre
attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante potrà ascendere al
Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato battezzato, dovrà lasciarlo ad un' altra
guida.
Canto II
Virgilio rassicura Dante, e gli racconta di essere stato inviato sulla terra da Beatrice,
che lo ha pregato di soccorrere il suo amico in grave pericolo. Beatrice a sua volta era
stata mandata dalla Vergine (la Grazia preveniente) e da Lucia (la Grazia illuminante).
Virgilio e Dante si addentrano nella selva.
Canto III
I due poeti arrivano alla porta dell'inferno, dove una scritta invita ad abbandonare
ogni speranza a chi sta per entrare. Nel vestibolo stanno gli ignavi, tra cui papa
Celestino V, e gli angeli rimasti neutrali quando Lucifero si ribellò. Sulla riva
dell'Acheronte, Caronte, che traghetta le anime dei dannati, non vuole fare passare un
vivo, ma Virgilio gli intima di non andare oltre la volontà del cielo. Subito dopo si
avverte una scossa di terremoto e Dante sviene.
Canto IV
Dante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi di colpe. Virgilio lo
conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In
un prato verde all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea,
Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone. I poeti si allontanano dal Limbo
nell'oscurità.
Canto V
All' entrata del secondo cerchio Minosse assegna ai peccatori il luogo in cui
sconteranno la loro pena. Al suo interno gli spiriti dei lussuriosi sono trascinati da una
tempesta incessante. Paolo e Francesca, amanti infelici uccisi dal marito di lei,
raccontano a Dante la loro storia; questi si commuove e sviene nuovamente.
Canto VI
Il terzo cerchio, custodito dal cane tricipite Cerbero, è quello dei golosi. Essi stanno
sdraiati nel fango sotto un pioggia di neve, grandine e acqua sporca; uno di loro,
Ciacco, predice a Dante la vittoria dei Neri fiorentini sui Bianchi.
Canto VII
Il quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, il dio greco della ricchezza, è quello
degli avari e dei prodighi, condannati a spingere col petto pesanti macigni. Dante e
Virgilio giungono poi alla palude dello Stige, in cui sono immersi iracondi ed accidiosi. I
primi si percuotono e mordono a vicenda, i secondi giacciono sotto la superficie.
Canto VIII
Canto IX
Sulle torri delle città appaiono le Erinni, che chiamano Medusa affinché tramuti Dante
in pietra. Interviene però un messo celeste, che apre le porte di Dite e fa entrare i
poeti. All'interno delle mura, gli eretici giacciono in sepolcri infuocati posti in una
pianura sconfinata.
Canto X
Uno dei dannati, Farinata degli Uberti, riconosce Dante e lo chiama a sé; egli avverte il
poeta che il suo ritorno a Firenze sarà molto travagliato. Da un altro sepolcro
Cavalcante de' Cavalcanti chiede a Dante notizie del figlio Guido. Poi i due poeti
riprendono il cammino.
Canto XI
Davanti ai due poeti si apre un abisso puzzolente. Virgilio spiega a Dante la struttura
del basso inferno: esso è formato da tre cerchi, in cui si puniscono rispettivamente i
violenti, i fraudolenti e gli incontinenti. Questi ultimi sono coloro che stanno fuori
dalla città di Dite, data la minore gravità del loro peccato; i due viaggiatori si trovano
ora invece dove sono punite le altre due categorie.
Canto XII
Siamo nel primo girone del settimo cerchio, custodito dai Centauri. Qui i violenti
contro il prossimo giacciono nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Il centauro
Nesso mostra a Dante alcuni dei dannati, tra cui Alessandro Magno, Guido di Monfort,
Attila e Pirro.
Canto XIII
Nel secondo girone, custodito dalle Arpie, stanno i violenti contro se stessi, ovvero i
suicidi, tramutati in piante, e gli scialacquatori, inseguiti e morsi da cagne affamate.
Dante strappa un ramoscello da una pianta, che comincia a parlare: è Pier delle Vigne,
che prega Dante di riabilitare la sua memoria.
Canto XIV
Nel terzo girone, in un deserto infuocato, i violenti contro Dio nella persona, ovvero i
bestemmiatori, sono sdraiati a terra sotto una pioggia di fuoco; tra essi c'è il gigante
Capaneo. Dante e Virgilio arrivano alla sorgente del Flegetonte, e qui il secondo spiega
al primo l'origine dei fiumi infernali.
Canto XV
Sopraggiunge una schiera di violenti contro Dio nella natura, cioè di sodomiti. Tra di
loro c'è l'antico maestro di Dante, Brunetto Latini, che raccomanda a Dante la propria
opera letteraria, il "Tesoro", e gli preannuncia le sue future sofferenze.
Canto XVI
Dante è riconosciuto da tre fiorentini, che gli chiedono se sono vere le brutte notizie
su Firenze apprese da un dannato appena arrivato all'inferno, Guglielmo Borsiere;
Dante risponde con un'aspra invettiva contro la corruzione della propria città.
Proseguendo nel viaggio, i due poeti arrivano all'abisso in cui precipita il Flegetonte, e
vedono salire da esso un orribile mostro: Gerione, simbolo della frode.
Canto XVII
Gerione custodisce il terzo girone, quello dei violenti nell'arte, cioè usurai, seduttori e
adulatori. I primi siedono al limite del deserto, presso l'abisso, con al collo delle borse
recanti lo stemma della loro famiglia. Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione che
li porta al fondo dell'abisso.
Canto XVIII
Canto XIX
Nella terza bolgia i simoniaci sono conficcati a testa in giù nella pietra; lingue di fuoco
bruciano loro le piante dei piedi. Dante ne interroga uno, papa Niccolò III; questi
scambia il poeta per Bonifacio VIII, che dovrebbe prendere il suo posto nella buca
spingendolo più in basso, ed inveisce contro di lui. Dante pronuncia un discorso contro i
papi simoniaci.
Canto XX
Nella quarta bolgia gli indovini camminano piangendo con il viso ritorto all'indietro
dalla parte del dorso; tra essi Anfiarao e Tiresia.
Canto XXI
Nella quinta bolgia i diavoli Malebranche tormentano i barattieri immersi nella pece
bollente. Virgilio chiede di parlare con un diavolo; si fa avanti Malacoda, al quale
Virgilio spiega il motivo del viaggio di Dante. Malacoda gli fornisce una scorta di dieci
diavoli.
Canto XXII
Canto XXIII
Con i diavoli alle calcagna, Virgilio prende Dante in braccio e si cala nella sesta bolgia,
dove gli ipocriti camminano sotto pesanti cappe di piombo dorato. Crocifisso a terra
c'è Caifa.
Canto XXIV
Nella settima bolgia i ladri sono continuamente assaliti da torme di serpenti; tra essi
Vanni Fucci, che con rabbia predice a Dante la sconfitta dei Bianchi e l'esilio futuro.
Canto XXV
Canto XXVI
Dante pronuncia una nuova invettiva contro Firenze, poi lui e Virgilio passano
nell'ottava bolgia, dei consiglieri fraudolenti; essi vagano senza riposo avvolti da una
fiamma. In una fiamma biforcuta sono avvolti due dannati, Ulisse e Diomede; il primo
racconta la storia del suo ultimo viaggio e della sua morte.
Canto XXVII
Dante incontra l'anima di Guido da Montefeltro, che un diavolo disputò con successo a
S. Francesco.
Canto XXVIII
Nella nona bolgia stanno i seminatori di discordia, mutilati dalla spada di un diavolo.
Tra essi ci sono Maometto e Bertrando del Bornio, che cammina tenendo in mano la
sua testa mozzata.
Canto XXIX
Dopo l'incontro con Geri del Bello, un parente di Dante, i due poeti passano nella
decima bolgia, quella dei falsari; tra essi gli alchimisti sopportano scabbia e lebbra.
Canto XXX
La rabbia colpisce invece i falsatori della persona, tra cui Gianni Schicchi e Mirra.
Seguono poi i falsari di moneta colpiti dall'idropisia: tra essi Mastro Adamo. Infine i
falsatori di parola, che sopportano la febbre: Dante scorge in mezzo a loro l'anima del
greco Sinone.
Canto XXXI
Custodi del nono cerchio sono i Giganti, incatenati ed immersi fino alla vita nel pozzo
infernale. Anteo però è slegato e può prendere in mano i viaggiatori e depositarli sul
fondo, costituito dal lago ghiacciato di Cocito.
Canto XXXII
Cocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio
fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il
capo rivolto in alto: tra essi Bocca degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un
dannato che rode la testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.
Canto XXXIII
Il dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino della Gherardesca, la sua
vittima l'arcivescovo Ruggeri. Dante e Virgilio passano poi nella zona detta Tolomea,
dove i traditori degli amici tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si
congelano sugli occhi: tra essi frate Alberigo e Branca Doria.
Canto XXXIV
Purgatorio
Canto I
Canto II
Mentre sorge l'alba giunge una navicella guidata da un angelo; da essa scendono le
anime destinate al Purgatorio. Tra di esse c'è quella di Casella, un amico di Dante.
Canto III
Ai piedi del monte i due poeti trovano la schiera degli scomunicati, che devono
rimanere in attesa per un periodo lungo trenta volte quello della loro scomunica; tra
essi c'è Manfredi, che racconta come morì a Benevento.
Canto IV
Virgilio spiega a Dante, stupito di vedere il Sole a sinistra invece che a destra, la
posizione geografica del Purgatorio, agli antipodi rispetto a Gerusalemme. I due
incontrano poi coloro che si pentirono solo in punto di morte, i quali devono stare
nell'Antipurgatorio un tempo pari a quello della loro vita. Tra essi c'è il fiorentino
Belacqua.
Canto V
Canto VI
Virgilio nota in disparte l'anima di Sordello, poeta mantovano come lui, e lo abbraccia.
A quella vista Dante amaramente ricorda come gli Italiani siano invece in continua
lotta fra loro, con i Fiorentini in prima fila.
Canto VII
Sordello porta i due poeti in una valletta fiorita, dove i principi negligenti attendono di
entrare nel Purgatorio.
Canto VIII
Al calar della sera le anime si dedicano alla preghiera. Dante riconosce l'amico giudice
Nino Visconti, che si lamenta di essere stato dimenticato dalla moglie. Si avvicina
Corrado Malaspina, della cui famiglia Dante tesse l'elogio.
Canto IX
Dante si addormenta e sogna di volare in groppa ad un'aquila fino alla sfera del fuoco,
dove entrambi bruciano. Al risveglio Virgilio lo conduce alla porta del Purgatorio, dove
un angelo incide con la spada sulla sua fronte sette P (simboleggianti i sette peccati
capitali da cui Dante dovrà purificarsi durante il viaggio).
Canto X
Varcata la porta, i due poeti salgono su un cornicione del monte la cui parete sul lato
interno è colma di bassorilievi in marmo bianco riproducenti esempi di umiltà. Qui i
superbi camminano curvi sotto il peso di enormi macigni, studiando gli esempi dei
bassorilievi.
Canto XXI
Il poeta Stazio spiega a Dante e Virgilio che il terremoto avviene ogni volta che
un'anima ormai purificata si sente pronta per salire al cielo; questo è quanto accade
ora a lui, dopo un'espiazione pluricentenaria.
Canto XXII
I tre poeti arrivano all'uscita, dove l'Angelo della Giustizia cancella la quinta P. Stazio
racconta del suo peccato (la prodigalità eccessiva) e della sua conversione al
Cristianesimo provocata dalla lettura di Virgilio. Chiede poi notizie degli altri grandi
poeti pagani. Si giunge alla sesta cornice, dove voci gridano esempi di temperanza ai
golosi.
Canto XXIII
I golosi soffrono fame e sete sotto alberi carichi di frutti e presso chiare sorgenti,
cantando preghiere. Tra essi Forese Donati, amico di Dante.
Canto XXIV
Forese indica a Dante l'anima di Bonagiunta da Lucca, col quale il poeta intavola una
discussione sul "dolce stil novo". Bonagiunta mostra di aver capito che la sua poesia,
oltre a quella di Jacopo da Lentini e di Guittone d'Arezzo, non può rientrare in quel
genere non essendo ispirata dal vero amore. Forese predice la morte violenta del
fratello Corso. In lontananza si scorge un albero da frutta verso il quale tendono le
braccia numerose anime; una voce grida esempi di golosità punita, ricordando che
quell'albero discende da quello del bene e del male. L'Angelo dell'Astinenza cancella la
sesta P dalla fronte di Dante.
Canto XXV
Stazio spiega come si genera l'uomo e come si formano le ombre dopo la morte
corporea. Nella settima cornice i lussuriosi avvolti da fiamme cantano, ascoltano
esempi di castità e si danno baci fraterni.
Canto XXVI
Dante trova tra i lussuriosi Guido Guinizelli, per il quale mostra grande ammirazione;
ma questi si schermisce, dicendo che assieme a lui c'è un poeta ben più grande,
Arnaldo Daniello, che canta piangendo i propri eccessi di un tempo.
Canto XXVII
Nell'Eden i poeti incontrano Matelda che raccoglie fiori; essa spiega come nell'Eden vi
siano acqua e vento; la prima viene da una sorgente divina e forma il Lete, che cancella
le colpe, e l'Eunoè, che predispone al bene; il secondo è originato dal movimento del
Primo Mobile.
Canto XXIX
I quattro risalgono le sponde del Lete. Viene verso di loro una meravigliosa
processione: nella scia di sette candelabri dorati avanzano ventiquattro vegliardi,
seguiti da quattro strani animali; tra essi un grifone tira il carro trionfale, affiancato
a destra da tre donne e a sinistra da quattro. Infine seguono due vecchi, quattro
personaggi di aspetto dimesso, e un vecchio che cammina dormendo.
Canto XXX
Canto XXXI
Beatrice rimprovera Dante e poi gli ingiunge di guardarla; folgorato da tanta bellezza
il poeta sviene. Matelda lo fa rinvenire immergendolo nel Lete e lo riporta al cospetto
di Beatrice.
Canto XXXII
La processione torna indietro fino all'albero di Adamo ed Eva, a cui il Grifone lega il
timone del carro. Dante si addormenta al suono di un dolce canto. Matelda lo risveglia
e gli mostra la processione che sta tornando in cielo. Beatrice siede sotto l'albero in
compagnia delle sette donne che portano i sette candelabri. Improvvisamente
un'aquila piomba addosso al carro, la terra si fende sotto di esso e un drago emerge
dall'abisso squarciandone il fondo. Sul carro spuntano sette teste, una prostituta e un
gigante che la frusta, scioglie il carro e lo porta via.
Canto XXXIII
I presenti si incamminano, e Beatrice profetizza la venuta di un messo divino che
ucciderà la prostituta e il gigante; invita Dante a riferire agli uomini ciò che ha visto.
Dante e Stazio bevono l'acqua dall' Eunoè e si sentono pronti per salire al Paradiso.
Paradiso
Canto I
Dante vede Beatrice fissare il Sole; egli fa altrettanto, ma poi comincia a fissare gli
occhi di Beatrice, che diventano sempre più scintillanti, mentre le sue orecchie
sentono l'armonia delle sfere celesti. Dante e Beatrice stanno ascendendo attraverso
la sfera del fuoco verso il Paradiso, come di necessità fanno tutti i corpi purificati.
Canto II
Le anime del cielo della Luna, mosso dagli angeli, appaiono evanescenti. Tra esse
Piccarda Donati, sorella di Forese, che spiega che qui stanno i beati che vennero meno
ai loro voti. Ella fu rapita a forza dal convento, e sorte analoga fu anche quella
dell'imperatrice Costanza.
Canto IV
Dante si chiede: a) Perché aver subito violenza può diminuire la beatitudine futura,
come fosse una colpa? b) E' vero ciò che dice Platone, che le anime tornano alle stelle?
Beatrice spiega che in realtà tutti i beati stanno nell'Empireo, ma si mostrano a Dante
nei diversi cieli perché egli possa distinguere tra i vari gradi di beatitudine, e che gli
spiriti di questo cielo non resistettero completamente alla violenza.
Canto V
Beatrice mostra a Dante la santità del voto, poi salgono al cielo di Mercurio, mosso
dagli Arcangeli, dove gli spiriti attivi stanno avvolti dalla luce; uno di essi si rivolge al
poeta.
Canto VI
Canto VII
Riguardo all'affermazione di Giustiniano sulla vendetta di Cristo, Beatrice spiega che
la morte del Figlio di Dio fu giusta per quanto riguardava la natura umana di Cristo, ma
blasfema riguardo quella divina. Dio scelse il sacrificio del figlio per redimere l'uomo
come mezzo implicante sia la misericordia che la giustizia.
Canto VIII
Dante e Beatrice salgono al cielo di Venere, mosso dai Principati. Qui stanno gli spiriti
amanti del bene, tra cui Carlo Martello.
Canto IX
Carlo Martello predice a Dante mali futuri per gli Angioini; poi la poetessa Cunizza da
Romano profetizza la rovina delle città venete che si ribellano all'Impero. Il trovatore
Folchetto di Marsiglia indica a Dante l'anima di Raab, e poi si lancia in un'invettiva
contro il clero.
Canto X
Si sale al cielo del Sole, mosso dalle Potestà; qui gli spiriti sapienti sfolgorano disposti
in tre corone concentriche; tra essi Tommaso d'Aquino.
Canto XI
Canto XII
Canto XIII
Canto XIV
Canto XV
I beati tacciono per far parlare Dante; dal gruppo esce l'anima del suo antenato
Cacciaguida, che accenna alla sua vita passata e loda i costumi dell'antica Firenze.
Canto XVI
Dante rivolge a Cacciaguida numerose domande sulla sua famiglia e sulle condizioni
della città all'epoca in cui egli era vivo.
Canto XVII
Dante interroga Cacciaguida sul proprio futuro, e questi gli predice l'esilio e il
successivo rifugio presso il magnanimo Cangrande della Scala; incita poi Dante a
raccontare ciò che ha appreso nel suo viaggio, anche se potrà riuscire sgradito a
qualcuno.
Canto XVIII
Cacciaguida mostra otto grandi spiriti, poi Dante e Beatrice salgono al cielo di Giove,
mosso dalle Dominazioni, in cui gli spiriti giusti volteggiano nell'aere formando le
parole di una sentenza biblica e l'immagine di un'aquila. Dante riflette sulla giustizia
terrena e pronuncia un'invettiva contro la curia di Roma che mercanteggia la fede.
Canto XIX
Canto XX
Canto XXI
Dante e Beatrice salgono al cielo di Saturno, mosso dai Troni, qui gli spiriti
contemplanti vanno e vengono per una scala dorata diretta verso l'alto. Essi non
cantano come dovrebbero per non annichilire Dante con la completa bellezza del
Paradiso: lo spiega Pier Damiani, che poi passa a deplorare il lusso dei prelati.
Canto XXII
Canto XXIII
Nel mezzo del cielo sfavilla un sole da cui emerge la figura di Cristo; Dante non può
sopportarne la vista e torna a guardare i beati, mentre Beatrice risplende di bellezza;
tra essi vede Maria su cui cala l'arcangelo Gabriele. La Vergine ascende con loro
nell'Empireo.
Canto XXIV
Beatrice invita i beati a dare a Dante un po' della loro saggezza; San Pietro interroga
il poeta sulla fede, e questi risponde con sicurezza e proprietà su tutti gli argomenti.
San Pietro gli impartisce la benedizione.
Canto XXV
San Jacopo di Galizia interroga Dante sulla Speranza, e il poeta si mostra sicuro anche
su questo secondo argomento. Arriva anche San Giovanni, che dichiara essere falsa la
leggenda che il suo corpo si trovi già in Paradiso.
Canto XXVI
San Giovanni interroga Dante sulla Carità, e anche stavolta il poeta si mostra
preparato. I beati intonano una lode al Signore, mentre Dante si avvicina ad Adamo e
gli pone alcune domande sulla sua esistenza.
Canto XXVII
San Pietro pronuncia un'invettiva contro i papa corrotti, in particolare Giovanni XXII
e Clemente V; poi i beati tornano all'Empireo, mentre Dante e Beatrice salgono al
Primo Mobile, mosso dai Serafini. Beatrice spiega a Dante il movimento del creato e
biasima l'umanità corrotta.
Canto XXVIII
Negli occhi di Beatrice si riflette un punto di luce (Dio) attorniato da nove cerchi
infuocati (gli ordini angelici); tra essi i più vicini a Dio sono più veloci e virtuosi.
Beatrice descrive la gerarchia dei cori degli angeli.
Canto XXIX
Dio creò gli angeli per manifestare la sua bontà; quelli che si ribellarono con Lucifero
caddero sulla Terra mentre quelli rimasti fedeli divennero incapaci di compiere
peccato; il loro numero è infinito e bruciano di amore divino con diversa intensità, a
seconda di come hanno ricevuto la luce divina. Beatrice poi deplora i cattivi
predicatori.
Canto XXX
Dante e Beatrice arrivano nell'Empireo, dove un fiume di luce scorre tra rive fiorite
prendendo forma di cerchio; da esso escono faville di luce che si trasformano in beati
ed angeli, che si dispongono in una rosa circolare di mille gradini. Beatrice guida Dante
al centro della rosa.
Canto XXXI
Beatrice torna al suo posto nella rosa, e al suo posto di fianco a Dante appare San
Bernardo, che gli indica Maria circondata da angeli e beati a cui infonde letizia.
Canto XXXII
San Bernardo indica a Dante Eva, Rachele, Beatrice, Sara, Rebecca, Giuditta e Ruth,
che stanno ai piedi di Maria; alla sua sinistra coloro che credettero in Cristo venturo,
alla destra quelli che credettero in Cristo venuto; di fronte a Maria numerosi santi e
l'Arcangelo Gabriele. Infine attorno a Maria si vedono anche Adamo, San Pietro e San
Giovanni, Mosè, Sant'Anna e Santa Lucia.
Canto XXXIII
San Bernardo elogia Maria e le chiede di intercedere affinché Dante possa godere
della visione di Dio. Maria acconsente e leva in alto lo sguardo; allora Bernardo invita
Dante a guardare il Creatore e la Trinità, in forma di triplice cerchio; il secondo
cerchio sembra racchiudere un'effigie umana e Dante si sforza di comprendere
quell'affascinante mistero (l'Incarnazione), ma la sua debole mente non può farcela da
sola; solo il sopraggiungere di un'intuizione diretta ed istantanea infusagli dalla Grazia
divina gli fa intravedere per un attimo la verità.
Riepilogando in numeri…