Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Dante Alighieri Vita

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 26

Dante Alighieri – Vita

Poeta italiano (Firenze 1265-Ravenna 1321). Nacque da Alighiero di Bellincione e da


Bella in una famiglia di piccola nobiltà cittadina (il trisavolo Cacciaguida, cavaliere di
Corrado II, era morto nella crociata del 1147) non fornita di larghe risorse. Perduta
nell'infanzia la madre, promesso dal 1277 a Gemma Donati (il matrimonio avvenne
intorno al 1285), visse adolescenza e giovinezza nelle occupazioni consuete ai giovani
del suo ambiente: studi grammaticali e retorici, amicizie letterarie, incontri con
personaggi affermati della cultura del
tempo. Primo fra questi il guelfo Brunetto
Latini, massimo esponente della cultura
retorico-enciclopedica del Duecento, al
quale era dovuta la divulgazione in Firenze
dell'enciclopedismo francese. Altra
componente culturale del tempo, la
cosiddetta scuola poetica "siciliana", e poi
dei rimatori siculo-toscani, fra cui ebbe
grande spicco la personalità artistica di
Guittone d'Arezzo: letture di questo tipo
influenzarono il primo momento poetico di
Dante e lo disposero al fondamentale incontro (1283) con un altro poeta, già
affermato e maggiore d'età, Guido Cavalcanti, definito nella Vita nuova "primo amico".
In questi anni l'esperienza letteraria e la vita stessa del poeta ricevettero
un'impronta originale e incancellabile dall'incontro con Beatrice Portinari: momento
vitale, il cui significato è chiarito dalla Vita nuova. La morte della donna amata (1290)
e la ricerca di un conforto al proprio dolore avviarono Dante a una più profonda
meditazione e a più ampi studi di filosofia cui seguì ben presto (1295) la
partecipazione alla vita pubblica. Egli aveva già servito il Comune (1289) combattendo
a Campaldino (contro Arezzo) e a Caprona (contro Pisa); ma, nella guelfa Firenze divisa
in parte nera (capeggiata dai potenti Donati e sostenuta dal papa) e parte bianca
(guidata dai Cerchi, più moderati e fautori d'una politica autonoma), Dante, aderendo
spontaneamente ai Bianchi e opponendosi all'ingerenza di Bonifacio VIII nella vita
cittadina, primeggiò tra i responsabili della politica fiorentina. Ambasciatore del
Comune a San Gemignano e priore nel 1300, venne inviato in ambasceria presso il papa
nel 1301, quando Carlo di Valois (ufficialmente paciere tra le parti, ma occulto
sostenitore dei Donati) si avvicinava a Firenze. Con l'entrata di Carlo in città i Neri
conquistarono il potere: nel 1302, accusato di baratteria, Dante venne condannato
prima all'esilio e poi alla morte. Bandito, egli fu tra i firmatari, a San Godenzo, del
patto con gli Ubaldini per muovere guerra a Firenze; cercò quindi aiuti per i fuorusciti
a Forlì e a Verona e sperò infine, inutilmente, nella pacificazione delle parti tentata
nel 1304 dal cardinale Niccolò da Prato. Staccatosi dai compagni, Dante non partecipò
a un tentativo armato contro Firenze (La Lastra, luglio 1304) e cominciò le solitarie
peregrinazioni per ogni parte d'Italia. Tra il 1304 e il 1306 fu a Bologna: lì prese a
comporre il De vulgari eloquentia e il Convivio, che segnano l'ulteriore allargarsi e
approfondirsi di interessi culturali e civili. Dopo un soggiorno in Lunigiana presso i
Malaspina (1306), Dante fu a Lucca (1308), indi in Casentino. In quello stesso anno
l'elezione di Enrico di Lussemburgo a imperatore fece rinascere le speranze
dell'esule, convinto che il disinteresse dei passati imperatori e la prolungata vacanza
dell'impero fossero cause determinanti del disordine politico e morale d'Italia e
d'Europa e che la venuta in Italia di Enrico VII avrebbe riportato l'ordine e la pace.
Ma la morte di Enrico (1313), dopo che la sua missione era stata avversata, oltre che
da Firenze, dalla curia papale e dal re di Napoli, troncò ogni sogno di pacificazione; e
Dante, intorno al 1316, riparò a Verona, presso Cangrande della Scala, e più tardi a
Ravenna, presso Guido da Polenta: qui egli compì la Commedia (v. Divina Commedia) e
qui lo raggiunse la morte, il 14 settembre 1321.

Pensiero Politico & Filosofico

Nel 1316, inviando a Cangrande il I canto del Paradiso, Dante indicava nel "morale
negotium sive ethica" il "genere" filosofico cui andava ascritta la Commedia: su eguale
metro sono da commisurare le altre opere d'argomento conoscitivo e politico, cioè il
Convivio, la Monarchia, le Epistole politiche. La moralità come ricerca del proprio
essere da parte dell'individuo e del gruppo sociale si sviluppa, nel pensiero dell'esule
fiorentino, come filosofia della pratica e della storia: muovendo dall'esigenza
d'autonomia cittadina e dai conflitti di parte, Dante approda a una concezione unitaria
e globale della storia e della politica. La base speculativa della posizione dantesca è
eclettica, ma identificabile nelle sue componenti fondamentali: il pensiero di
Aristotele (mediato attraverso Alberto Magno e San Tommaso); l'eredità classica e
postclassica, filtrata attraverso l'esegesi medievale (innanzitutto Virgilio, quindi
Cicerone, Seneca, Boezio); la tradizione biblica e le diverse correnti del pensiero
religioso cristiano; la conoscenza, parziale, del neoplatonismo; infine, l'influsso dei
contemporanei centri di cultura francesi. Dante accetta la struttura gerarchica e
finalistica della società umana del pensiero aristotelico-tomista, ma sviluppa e applica
in modo autonomo la teoria dei due fini, naturale e soprannaturale, dell'uomo,
giungendo a una valutazione indipendente dell'etica e della metafisica, concepite come
provvidenzialmente ordinate ai due fini in modo autonomo. Tale posizione è chiarita nel
Convivio (1304-07, la prosa; anteriori di circa un decennio le liriche commentate),
opera in volgare di contenuto enciclopedico-didascalico, progettata in 15 trattati (ma
interrotta al IV) e contenente nel primo, proemiale, l'esposta lode del volgare.
Illustrando nel II la lettera e l'allegoria della canzone Voi ch'intendendo, Dante
identifica la "donna gentile" dei versi con la filosofia, "bellissima e onestissima figlia
de lo Imperadore de lo universo" (cioè di Dio) e fonte di spirituale amore; sulla stessa
traccia si muove il III trattato, a commento di Amor che nella mente, che della
filosofia canta le lodi in chiave stilnovistica. Infine, abbandonata la veste al legorica
con la terza canzone (Le dolci rime), Dante può ordire nel IV trattato un commento
esclusivamente e apertamente didattico, che gli consente di introdurre il tema
politico: contro la definizione di nobiltà come bene ereditario data da Federico II, non
solo è ribadito il concetto stilnovistico di nobiltà legato alla "virtù" individuale, ma si
afferma l'autonomia dell'autorità filosofica (in particolare di Aristotele) di fronte a
quella imperiale, e il dominio di quest'ultima sulla terra tutta, giustificandone la
provvidenziale universalità e romanità. È questo il tema della Monarchia, opera latina
in 3 libri, che compendia organicamente il pensiero politico dantesco e ne espone
analiticamente i punti. Particolarmente importante è il libro III, dove l'autore entra
nel vivo della polemica contemporanea contro i decretalisti, sostenitori della
supremazia papale nei confronti del potere politico (ierocrazia): egli confuta l'asserita
dipendenza dell'imperatore dal pontefice e dichiara illegittima la donazione di
Costantino, riaffermando l'indipendenza dei due poteri e la loro autonoma e diretta
provenienza divina. Il contenuto della Monarchia, la sua ampiezza teoretica, la sua
acutezza metodologica, i toni biblici e ispirati dello stile si riallacciano da un lato alle
Epistole politiche, dall'altro alla Commedia. Le une rispecchiano i primi tempi
dell'esilio (Epistola I, in nome della parte bianca, per la pacificazione tentata dal
cardinale Niccolò da Prato), le successive speranze legate all'elezione imperiale di
Enrico VII (Epistole V, VI, VII, 1310-11, ai signori d'Italia, agli scellerati Fiorentini, a
Enrico, per caldeggiare e sostenere la sua discesa in Italia), le speranze ultime di
ravvedimento della Chiesa e dei suoi ministri (Epistola XI, 1314, ai cardinali italiani) in
un crescendo continuo dagli interessi cittadini all'impegno ecumenico, politico e
spirituale; la Commedia, ponendo via via l'accento - non solo nei cosiddetti canti
"politici" - sulla città, sui regni, sull'impero, richiama l'umanità tutta, nei capi, nei
popoli, negli individui, al riconoscimento dei propri compiti e al rispetto dei propri
limiti, mentre asserisce vigorosamente la mutua indipendenza delle sfere d'azione
religiosa e politica, sociale e metafisica.

Il Problema della lingua e dello stile

All'opera critica e poetica di Dante va il merito di aver dato al volgare italiano dignità
di lingua d'arte. Se nella Vita nuova si limita a giustificare l'uso del volgare sul piano
della prassi poetica dei rimatori d'amore, nel Convivio Dante avvia un discorso più
generale sulla lingua italiana, riconoscendole, nel trattato introduttivo, quei tratti di
amabilità, ricchezza, proprietà, bontà che fino ad allora erano attribuiti solo al latino
(e al francese). Il tipo stesso di prosa volgare usato nel Convivio (dal periodare
complesso e alto, modellato su quello latino-scolastico) e il contenuto delle liriche
commentate nell'opera si distaccano dall'operetta giovanile (e Dante stesso ne è
cosciente), come si conviene alla diversa esperienza dell'autore, maturata dall'esilio, e
alla materia trattata, frutto di studi filosofici e di impegno civile e politico. Il volgare
sarà quindi "sole nuovo", che illuminerà sulla via della conoscenza coloro cui "lo sole
usato", cioè il latino, "non luce". È il riconoscimento della validità ideale e pratica
dell'italiano come lingua di scienza e d'arte. Lo svolgimento puntuale, teorico e
applicativo insieme, di questa tesi è contenuto nel De vulgari eloquentia (1304-05),
opera latina progettata in 4 libri, ma interrotta al cap. XIV del II libro. Dalle
affermazioni dell'autore, che porta a esempio se stesso come poeta della virtù,
appare chiaro che la lingua di cui egli tratta è quella d'arte: in particolare, è la lingua,
e lo stile, dello stesso Dante, nella sua più alta produzione lirica di ispirazione etica. In
questo senso il trattato sulla lingua si riallaccia al Convivio, alle grandi canzoni in esso
commentate (concreta applicazione della teoria), a tutta la ricerca stilistica di Dante,
aperta dalla Vita nuova e dalle Rime e riassunta e conclusa dalla Commedia. In essa la
lingua vive, nello stesso tempo, come mezzo di comunicazione e come creazione
artistica di volta in volta innovata, come il "sole nuovo" di cui l'autore aveva sentito la
necessità concettuale ed etico-politica e come realizzazione di ben precise scelte
stilistiche.

Critica: L’ 800 e il ‘900

Con l'Ottocento Dante diviene vessillo per gli ideali patriottici, oltre che soggetto
egregio per gli studi romantici. Ugo Foscolo (Discorso sul testo... della Commedia di
Dante, 1825; La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1827),
prendendo le mosse dall'interpretazione vichiana, apre il secolo con una voce originale,
richiamandosi all'analisi storica e testuale (criterio filologico), valendosi di rigorosa
argomentazione e capacità sintetica (criterio storico-filosofico), e infine ponendo il
poeta al di sopra del creatore di allegorie. Giuseppe Mazzini (Prefazione a La
Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1842; Scritti letterari di un
italiano vivente, 1847) segue la traccia foscoliana, mettendo in rilievo la figura umana
del poeta e la sua missione entro la nazione e la storia. Pur dando la preferenza
all'indagine psicologistica e al rapporto poeta-ambiente, non si allontana molto da
questo schema Niccolò Tommaseo nel suo commento al poema, mentre alla visione
romantica della vita e della storia si riallaccia il rinato interesse per la biografia
dantesca, testimoniato da Il Veltro allegorico di Dante di C. Troya e dalla Vita di C.
Balbo. Nella prima metà del secolo, col rifiorire della questione della lingua, si ravviva
l'indagine sulle teorie del De vulgari eloquentia (G. Perticari, Dell'amor patrio di
Dante) e procede lo studio linguistico-lessicale e interpretativo della Commedia (V.
Monti nella Proposta; commenti di G. Biagioli, P. Costa, B. Bianchi; più tardi, edizioni e
illustrazioni di tutte le opere a cura di P. Fraticelli e G. B. Giuliani). Massimo esponente
della critica dantesca romantica è F. De Sanctis, le cui pagine ancor vive e avvincenti
delle Lezioni e saggi su Dante (1842-73) e della Storia della letteratura italiana
(1870-71) sono fondamentali anche per l'interpretazione moderna: il nucleo del poema
è individuato nel motivo universale e interiore (Dante come voce della società umana) e
in quello etico-politico; il criterio di lettura è l'emozione, la consonanza patetica tra
lettore e testo, senza sovrapposizioni culturali; la poeticità dell'opera è nell'elemento
umano, presente più nell'Inferno che nelle altre cantiche (di qui la tendenza a isolare
episodi e figure piuttosto che a rilevare l'unità dell'invenzione dantesca). L'ultimo
trentennio dell'Ottocento, con l'indagine positivista sui manoscritti della Commedia e
delle opere minori, con gli studi storici sui documenti, e linguistici sulle opere di Dante
e dei contemporanei, apre la strada alla ricerca critica modernamente intesa. G.
Carducci, A. D'Ancona, I. Del Lungo, P. Rajna, F. D'Ovidio, F. Torraca, M. Barbi, E. G.
Parodi appartengono a questa scuola "storica" che insieme all'esperienza crociana
segnerà di sé il dantismo del secolo seguente. G. Carducci, in particolare, si volge
prima alle trascurate Rime (Delle Rime di Dante, in Dante e il suo secolo, 1865), indi
all'opera complessiva (Della varia fortuna di Dante, Dante e l'età che fu sua, 1866-67,
L'opera di Dante, 1888), dando per la prima volta un quadro dell'autore nella critica e
nel costume del Trecento, indicando i rapporti con l'età successiva, dimostrandosi
valido storico e insieme sensibile interprete. Dal canto loro gli altri studiosi, valendosi
anche dei contributi della critica dantesca straniera (ricordiamo i nomi di C. Witte, E.
Moore, P. Toynbee), avviano quelle sistematiche ricerche filologiche e documentarie
che porteranno all'edizione critica del De vulgari eloquentia (1896, a cura di P. Rajna)
e della Vita Nuova (1907, 19322, a cura di M. Barbi), nonché all'edizione di tutte le
Opere curata dalla Società Dantesca Italiana (1921). Di contro alla corrente storico-
positivista, G. Pascoli elabora un'interpretazione del tutto soggettiva della Commedia
e di Dante: mosso dalla sua vocazione alla visione mistica e simbolica dei fatti, alla
rappresentazione dell'"inconoscibile" che anima il mondo, egli con Minerva oscura
(1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902) offre un'esegesi unitaria in
sé, ma fondata su basi eterogenee, e destinata a rimanere in gran parte isolata.
L'opera di B. Croce segna, invece, un punto d'arrivo e di partenza per la moderna
critica dantesca. Prese le mosse non tanto dal presupposto desanctisiano del rapporto
emotivo tra lettore e testo, quanto da una categoria teoretica ben precisa (l'arte
come intuizione lirica ed espressione), egli assume come criterio di valutazione
dell'opera d'arte l'impressione estetica e la metodica distinzione tra "poesia" e "non
poesia". Perciò nella Commedia la "struttura" è contrapposta alla "poesia", il "romanzo
teologico" all'"elemento lirico": frutto di ragione, e quindi non poetico, il primo; di
intuizione lirica, e perciò tutto poetico, il secondo. Il saggio La poesia di Dante (1921)
e tutta la riflessione crociana sull'arte hanno rappresentato una tappa obbligata per il
critico del Novecento, influendo (in quanto precedente accettato o polemicamente
respinto) sulle diverse correnti del campo letterario - e quindi anche del dantismo -
del nostro secolo. Tra gli studiosi d'ascendenza crociana è A. Momigliano (commento
alla Divina Commedia, 1945-47), il cui saggio sul Paesaggio nella Divina Commedia
(1932) propone come criterio d'unità il motivo paesistico, sensibilmente analizzato;
con lui ricordiamo anche F. Maggini, Luigi Russo e Carlo Grabher. Entro la tendenza
storicizzante postcrociana, che mira a colmare lo iato tra "poesia" e "non poesia" e a
considerare l'opera d'arte un divenire piuttosto che un fatto, incontriamo l'opera di
N. Sapegno (commento alla Divina Commedia, 1957; Dante Alighieri, in "Storia della
letteratura italiana", volume II, 1965), il quale si propone di dare un'interpretazione
unitaria dell'autore e delle sue opere, fondendo le componenti linguistica, poetica,
storico-culturale; e, ancora, G. Getto, che con il concetto di "poesia dell'intelligenza"
presenta una rivalutazione del Paradiso dantesco (Aspetti della poesia di Dante,
19662). La cultura letteraria contemporanea, che mutua da quella scientifica
rigorosità di procedimento e specializzazione di oggetti, trova ancora in Dante un
campo di ricerca fecondo, soprattutto per ciò che è dell'individuazione delle fonti, per
lo studio dei testi, per la retta interpretazione del mondo dantesco e delle sue forme,
sia nei confronti del pensiero filosofico e religioso (B. Nardi e G. Busnelli) e politico
(F. Ercole, A. Solmi, ancora Nardi), sia in rapporto alla lingua e allo stile (A. Schiaffini,
B. Terracini, C. Segre, M. Fubini) e alla ricerca filologica (G. Contini, F. Mazzoni, G.
Petrocchi, A. Pagliaro). Entro questa tendenza e nell'ambito di una tradizione ormai
secolare, anche le culture straniere forniscono filoni esegetici particolarmente
interessanti, quali l'interpretazione "figurale" di E. Auerbach, quella simbolico-
teologica di Ch. S. Singleton, quella linguistica di L. Spitzer.

La Bibliografia

N. Zingarelli, La vita, i tempi e le opere di Dante, Milano, 1944; M. Apollonio, Dante.


Storia della Commedia, Milano, 1952; M. Barbi, Dante. Vita, opere, fortuna, Firenze
1952; U. Cosmo, Guida a Dante, (a cura di B. Maier),
Firenze, 1962; M. Barbi, Problemi di critica dantesca,
Firenze, 1965; idem, Studi sul canzoniere di Dante,
Firenze, 1965; M. Casella, Introduzione alle opere di
Dante, Milano, 1965; F. Maggini, Introduzione allo studio
di Dante, Pisa, 1965; B. Nardi, Saggi e note di critica
dantesca, Milano-Napoli, 1966; E. Paratore, Tradizione e
struttura in Dante, Firenze, 1968; C. S. Singleton,
Saggio sulla "Vita Nuova", Bologna, 1968; P. De Robertis, Il libro della Vita Nuova,
Firenze, 1970; A. Vallone, Studi su Dante. Dal '300 all'età romantica, Ravenna, 1970;
N. Mineo, Dante, Bari, 1971; A. Vallone, Dante, Milano, 1971; A. Comollo, Il dissenso
religioso in Dante, Firenze, 1990.

Opere Giovanili e Le Rime

Carattere di franca esercitazione, soprattutto linguistica e metrica, hanno due


componimenti letterari attribuiti a Dante in forza dello stile, il Detto d'amore* e il
Fiore, nati nell'ambito dell'ideale lezione di Brunetto Latini. Il Detto, poemetto mutilo
in distici di settenari a rima baciata, è rielaborazione giovanile di una parte del Roman
de la Rose. Più tardo, ben più spigliato, di maggior respiro, il Fiore, "corona" di 232
sonetti, parafrasa e riassume con abilità le parti narrative del Roman stesso,
omettendone le digressioni dottrinali, ma non gli spunti polemici. La prima opera di
incontestata paternità e di contenuto assolutamente originale è la Vita nuova (ca.
1293), che raccoglie 31 liriche in una cornice di prosa, a celebrazione dell'amore del
poeta per Beatrice, ed è non solo il primo romanzo autobiografico della nostra
letteratura, ma anche il manifesto della personalissima concezione che, pur entro lo
stilnovo, Dante ebbe del l'amore e della poesia a esso ispirata. Narrando il primo e il
secondo incontro con Beatrice, gli effetti miracolosi del suo saluto e la sofferenza per
la perdita di esso, l'interiorizzarsi del proprio sentimento, il presentimento della
morte dell'amata e l'angoscia per la sua scomparsa; rievocando la ricerca di conforto
nell'amore di una "gentile donna" e l'interiore lotta che ne consegue, fino al vittorioso
prevalere del pensiero di Beatrice e del proposito di dire di lei "quello che mai non fue
detto d'alcuna", Dante pone le basi del futuro primo nucleo della Commedia. Nello
stesso tempo supera i modi e i contenuti dello stilnovo, elaborando un suo proprio
concetto d'amore, non più soltanto frutto di nobiltà spirituale e fonte di rinnovamento
interiore, ma sentimento assoluto che trova in se stesso la propria ricompensa e apre
all'uomo la conoscenza (analogica) del Divino, tramite la contemplazione della
perfezione e della bellezza dell'amata. Per il carattere particolare che la Vita nuova
assume nell'itinerario umano e poetico di Dante, vi è compresa solo una parte delle
liriche composte nel decennio 1283-93. Nelle altre Rime* (la produzione si conclude
intorno al 1308), a un momento sicilianeggiante e guittoniano, improntato a un
provenzalismo di maniera, succedono le testimonianze dell'adesione dantesca allo
stilnovismo, prima generico e di scuola, poi scopertamente cavalcantiano, indi aderente
ai moduli del grande maestro, il Guinizzelli. Di altri stimoli è esempio la "tenzone" con
Forese Donati (ca. 1293-96), realistica nelle forme e pungente nel contenuto: essa,
cadute le ipotesi di apocrifità, rimane come prova di genere e di linguaggio, notevole in
sé e per la futura utilizzazione nella Commedia. Le contemporanee canzoni allegoriche
e dottrinali (tra cui le tre poi commentate nel Convivio), pur movendo ancora dalla
tematica stilnovistica e guinizzelliana (con ascendenze guittoniane), mostrano un nuovo
Dante, fatto poeta di virtù e di scienza, mentre nelle rime ricche ed equivoche delle
"petrose" (modellate, con evidenti prestiti tecnici e tematici, sul trobar clus del
provenzale Arnault Daniel) un'alta ricerca d'arte e di stile innesca il tema di una
bruciante passione non corrisposta. Alle canzoni allegoriche e dottrinali si riallacciano
molte delle composizioni dell'esilio (tra cui la canzone sulla giustizia Tre donne),
testimoni d'un pieno possesso dello stile e di vigoroso impegno morale e civile. Ma non
scompaiono del tutto gli antichi temi: riprende la corrispondenza poetica con Cino da
Pistoia (già precedente all'esilio), ritorna, con la canzone "montanina", la
rappresentazione dell'amore dispotico in toni stilnovistici; quest'ultimo esperimento
chiude (se si trascurano numerose Rime di dubbia attribuzione) il ciclo lirico
dell'Alighieri, fondamentale non solo per la comprensione della personalità dell'autore
(teso a sperimentare e a svolgere originalmente le forme e i contenuti poetici più
diversi), ma anche per il futuro svolgimento della lirica italiana.

Vita Nova

“Vita Nova” letteralmente significa “vita rinnovata dall’amore. E’ il primo esempio di


romanzo autobiografico d’amore scritto in volgare. Fu composta nel 1293-1294 ed è la
prima e unica opera non composta in esilio.
Strutturalmente è un prosimetro, cioè composto da parti in prosa e parti in versi. Le
parti in prosa si dividono in parti narrative e parti esegetiche: le parti narrative
spiegano come è nato il componimento, mentre quelle esegetiche, la sua struttura.
E’composto da 42 capitoli, in cui si articolano 31 testi poetici, 25 sonetti, 5 canzoni e 1
ballata. Lo stile dominate è quello elegiaco.
La Vita Nova è un componimento interamente dedicato a Beatrice. Beatrice è la musa
di Dante, rappresentata come una creatura angelica e lodata secondo tutti i criteri
stilnovistici.
Si narra l’amore di Dante verso costei, riportando tutte le tipologie stilnovistiche,
ovvero a)amore per lode disinteressata, b)amore provato solo da cor gentile, c)
trinomio saluto-salute-salvezza.
La morte di Beatrice rappresenta il compimento dell’amore di Dante che si perfeziona
e la stessa diventa l’anello di congiunzione fra Dio e l’uomo. Quindi Beatrice si incarna
nella figura di donna-angelo e l’amore di Dante verso Beatrice diventa l’amore che
L’uomo prova verso Dio.
Dante conclude la Vita Nova dicendo che non avrebbe mai più parlato di Beatrice
finchè non fosse riuscito a dire qualcosa che nessun uomo avesse mai detto alla
propria donna, cosi anticipa l’incontro di Beatrice e Dante nel Paradiso e il loro viaggio
attraverso il regno dei Cieli.

Convivio

“Convivio” , letteralmente, significa “banchetto”. E’ il primo esempio di prosa saggistica


scritta in volgare. Dante voleva scrivere 15 libri ma non ci riuscì anche perché era
troppo impegnato nella stesura della Divina Commedia. Dante vuole allestire un
banchetto in cui vuole spezzare, metaforicamente, il pane della conoscenza anche agli
esclusi. Egli intende mettersi a capo di una classe sociale i cui componenti avessero in
comune la nobiltà d’animo e un amore disinteressato per la cultura, cioè dalla cultura
non traggono nessun tipo di guadagno e ricchezza.
Il convivio tratta del volgare ma anche di temi filosofici ect…
Inoltre tratta dei 4 sensi secondo i quali devono essere interpretate le scritture:
1. SENSO LETTERALE, cioè il senso alla lettera;
2. SENSO MORALE, cioè il principio morale;
3. SENSO ALLEGORICO cioè il significato nascosto. L’allegoria si divide in allegoria
dei poeti e in quella dei teologici. Nell’analisi di miti, fiabe, racconti i poeti non
tengono conto di fatti realmente accaduti a differenza dei teologici;
4. SENSO ANAGOGICO cioè un senso che va oltre quello morale e prefigura l’aldilà;

De Vulgari Eloquentia

Trattato linguistico, di stilistica e critica letteraria iniziato nel 1304, ma interrotto


nel 1305.
E’ un elogio in latino del volgare e Dante nell’opera continua a riferirsi a quella classe
sociale che trae guadagno dalla cultura, gia interpellata nel Convivio.
Dante è alla ricerca del volgare letterario, ovvero un volgare che avesse quattro
caratteristiche principali:
1. ILLUSTRE, cioè chi parla deve dare lustro al volgare e il volgare da importanza a chi
lo parla.
2. AULICO cioè elevato, di stile.
3. CURIALE cioè, se in Italia ci fosse una Curia Papale, esso deve essere parlato lì,
comunque in luoghi formali.
4. CARDINALE cioè deve rappresentare il cardine attorno al quale girano gli altri
volgari.
Comincia la sua ricerca dalla Torre di Babele, da cui si dice tutti i linguaggi si
diversificarono. Analizza tre lingue: il Greco, il Germanico e una lingua diversificata in
lingua d’Oc, d’Oil e lingua volgare del Sì. Prende in considerazione l’ultima lingua e
specialmente quella volgare del Sì. La divide in 14 dialetti, anche perché non si può
parlare di volgari, perchè in Italia non c’è una lingua ufficiale. Ritrova un volgare
quanto più letterario in quello della lirica siculo-toscana e in quello dello Stil Novo.
Dante inoltre indica i tre temi fondamentali della letteratura provenzale italiana:
-amore (provenzale Arnaldo D’Agnello, italiana Cino da Pistoia)
-rettitudine (provenzale Gerard De Bornel, italiana Dante)
-prodezza d’arme (provenzale Bertrant De Bou)
E i tre stili:
-tragico: CANZONE
-elegiaco: SONETTI
-comico: BALLATA
Il De Vulgari Eloquentia fu pubblicato da Trissino nel 1529 con la Questione Della
Lingua.

Divina Commedia

La Divina Commedia è un poema didascalico, allegorico scritto in terzine di


endecasillabi legate da una rima incatenata (ABABCBCDC…). E’ composta da tre
cantiche suddivise complessivamente in cento canti: la prima cantica (Inferno)
comprende 34 canti, le altre due 33 ciascuno. Il primo canto dell'Inferno viene
considerato un prologo a tutta l'opera: in questo modo si ha un canto iniziale più 33
canti per ciascuna cantica. La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad
un massimo di 160. Importantissima quindi la numerologia: 100 canti che
rappresentano i 7 peccati capitali e le arti del Trivio e del Quadrivio. Tre cantiche,
dove tre è il numero perfetto, che rappresenta la Trinità.
E’ la “summa” del sapere medievale perché in esso sono contenute tutte le
informazioni relative alle scoperte del tempo, in tutti i campi. Il poema, pur
continuando i modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione
religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata
delle cose), tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben
lontana dalla spiritualità tipica del Medioevo, tesa a cristallizzare la visione del reale.
Forse il titolo originale dell'opera è Comedìa: infatti è così che Dante stesso chiama la
sua opera (Inferno XXI, 1-3), inoltre il nome di Commedia appare usato nell'Epistola
XIII, indirizzata a Cangrande della Scala, a cui il poeta dedica il Paradiso. In essa,
comunque, vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: un motivo di
carattere letterario, secondo cui per commedìa era usanza definire un genere
letterario che da un inizio difficoltoso per il protagonista si concludeva con un lieto
fine; e un motivo di carattere stilistico, giacché la parola commedìa indicava opere
scritte in un basso linguaggio, Dante scrive infatti in lingua volgare. Più che un atto di
modestia da parte dell'autore, egli scelse questo nome probabilmente per via del
"lieto fine" della parabola del viaggio ultraterreno, da un inizio drammatico (l'Inferno)
al più bello dei finali: la visione di Dio nel Paradiso (anche perché in Grecia la commedia
è una rappresentazione teatrale a lieto fine). Il termine “commedia” deriva inoltre dal
greco “comicus”, cioè stile comico, basso, ma non si intende ciò, anzi, ma un
pluristilismo e plurilinguismo (usa diversi stili a seconda del luogo in cui si trova:
Inferno, bestemmia e dice parolaccie; Paradiso, linguaggio aulico). Il titolo Divina
Commedia è stato per la prima volta usato da Giovanni Boccaccio, più di 70 anni dopo
dell'anno di ambientazione del testo (1300), nel 1373 nella sua biografia dantesca
Trattatello in laude di Dante, ma non divenne d'uso comune fino a che fu adottato da
Ludovico Dolce nella sua edizione a stampa del poema nel 1554.
Il racconto della Divina Commedia è in prima persona: Dante narra di un viaggio che
finge di aver compiuto. La narrazione inizia dal punto in cui Dante si smarrisce in una
"selva oscura", metafora del peccato e del male: egli tenta di uscirne e di salire su un
colle illuminato dal sole, ma ne viene impedito da tre belve feroci che lo ricacciano
indietro. Gli si fa incontro però l'anima del grande poeta Virgilio, il quale si dice inviato
da Beatrice, la donna amata da Dante (morta da alcuni anni, nel 1290), per condurlo al
bene attraverso un altro cammino: egli dovrà visitare i tre regni soprannaturali,
l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Dante acconsente e viene guidato da Virgilio
attraverso l'Inferno e il Purgatorio; quindi gli si fa incontro Beatrice, che lo guida
nella visita del Paradiso. In questi tre regni Dante osserva le punizioni e i premi
riservati ai defunti, e incontra numerosissimi personaggi famosi del passato (sia reali
che mitologici) e della sua epoca. Questo viaggio non lo intraprende da solo, ma è
accompagnato da due figure: Virgilio e Beatrice. Costoro hanno un ruolo
importantissimo nel poema: il primo rappresenta la ragione umana e la filosofia, la
seconda, invece, la grazia divina. Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante
scrisse ciascuna delle cantiche del suo capolavoro e gli studiosi hanno formulato
ipotesi anche contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In linea di
massima la critica odierna colloca:
• L'inizio della stesura dell' Inferno nel biennio 1304-1305 oppure in quello 1306-
1307, in ogni caso dopo l'esilio (1302). Salvo l'eccezione del riferimento al papato di
Clemente V (1305-1314), spesso indicato come un possibile ritocco post-conclusione,
non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il 1309. Al 1317 risale la prima menzione
in un documento (un registro di atti bolognese, con una terzina dell'Inferno copiata
sulla copertina), mentre i manoscritti più antichi che ci sono pervenuti risalgono al
1330 circa, una decina di anni dopo la morte di Dante.
• La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte dell'Inferno
e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313. Tracce della sua
diffusione si riscontrano già nel 1315-1316.
• Il Paradiso viene collocato da 1316 al 1321, data della morte del poeta.
Il viaggio inizia il venerdì santo del 1300 e dura più o meno una settimana. La stesura,
invece, cominciò circa nel 1304, in esilio. Il tempo della storia e quello del racconto non
coincidono. La fonte principale è l’ “Eneide” di Virgilio, in cui, nel sesto libro di Enea, si
narra di un viaggio nel regno degli inferi. Un’altra fonte è l’ “Odissea” di Omero, però
Dante non conosce il greco. Poi “Itinerarium Mentis in Deum”e alcune leggende
narranti viaggi, pellegrinaggi immaginari, imprese di navigazione, ebbero grande eco.

Divina Commedia – Approfondimenti & Appunti

Scheda Informativa

* Titolo: si presume che il titolo “commedia” sia quello scelto originariamente da


Dante, avendo come prova scritta una lettera scritta da Dante a Cangrande della
Scala in cui dice di aver terminato la sua opera “commedia di Dante Alighieri,
fiorentino di nascita ma non per costumi”. L’aggettivo divina è stato aggiunto
successivamente da G. Boccaccio, che la definisci così sia per i contenuti, sia per le
competenze.

* Struttura opera: l’opera si compone di 100 canti strutturati secondo un rigoroso


ordine logico. Questi 100 canti si dividono in 3 cantiche: Paradiso (33 canti),
Purgatorio (33 canti), Inferno (33 canti + 1 d’introduzione). L’opera conta 14.233
endecasillabi raggruppati in terzine a rima incatenata.

* Contenuti: la D.C. è un’enciclopedia del sapere dell’epoca, contiene così molte vicende
e molti saperi del 300.

* Argomenti: la D.C. è il racconto di un viaggio, compiuto da Dante all’età di 35 anni nel


1300 che incominciò o l’8 aprile o il 25 marzo e durò 1 settimana, intrapreso nella
dimensione ultraterrena, dove Dante è l’unico vivo in mezzo alle anime. Questo viaggio
ha un significato metaforico e rappresenta il cammino dell’interna umanità, di cui
Dante si sente l’eletto da dio, il profeta, dal peccato verso la verità e la salvezza. Tre
personaggi hanno preceduto Dante compiendo un viaggio nell’aldilà:
1. Enea: Enea era sceso nell’oltretomba per incontrare il padre, Anchise, che gli rivela
il compito datogli da Dio, ovvero fondare Roma da cui avrà origine l’impero romano e il
cristianesimo.
2. Ulisse: scende nell’Ade.
3. S. Paolo: racconta di un viaggio in paradiso dove ebbe l’incarico di rivelare il
progetto di Dio.
Anche Dante, come S. Paolo e Enea, ha la possibilità di andare e tornare dall’aldilà,
venendo a conoscenza dei progetti di Dio e della verità che in seguito doveva rivelare
all’umanità.
All’interno della divina commedia, non c’è differenza tra leggenda e storia, tra fisica e
religione, quindi Dante non racconta attraverso una metafora ma, avendo vissuto in
persona questo viaggio, ne fa un riassunto a posteriori. Diversamente dai racconti
classici il narratore l’autore e il protagonista coincidono: la narrazione è in 1° persona
enfatizzando così il racconto stesso.

* Concezione figurale: l’opera è considerata pluristilistica, plurilinguistica ed


allegorica. L’allegoria della D.C. è stata studiata da uno studioso tedesco, Auerbach
che ha elaborato la definizione di concezione figurale. Esistono due tipi di allegoria:
quella poetica (si annuncia un evento immaginario attraverso un evento immaginario,
quindi sia il significato che il significante sono immaginari) e quella teologica (si
annuncia un fatto che si realizzerà attraverso un evento storico oggettivo:
significante storico, significato oggettivo). Dante segue l’allegoria religiosa però
annuncia fatti che si sono già adempiuti, mediante altri fatti storici, oggettivi: sia il
significante che il significato sono fatti oggettivi.

* Peccato filosofico: Dante, dopo la morte di Beatrice nel 1290, si dedica agli studi
filosofici, cadendo nel peccato. La filosofia infatti è una forma di superbia (antico
peccato dell’hubris): si esalta la ragione per trovare la verità, senza l’aiuto di Dio. La
verità infatti è raggiungibile solo mediante Dio, ovvero con la teologia.

* Cosmologia: Dante basa la sua cosmologia sulla teoria tolemaica, assunta da tutto il
medioevo, che vede la terra immobile al centro dell’universo. Per Dante la terra si
divide in due emisferi: quello settentrionale, abitato dagli uomini, e quello meridionale
completamente occupato dalle acque. Alcuni angeli ribelli, capeggiati da lucifero,
vennero lanciati dal cielo e la terra, inorridita da loro, si aprì, formando una voragine a
forma di cono tronco. La terra di “scarto” divenne nell’emisfero boreale (ricoperto
d’acqua), nel punto opposto a Gerusalemme, il monte del purgatorio. Inferno e
purgatorio hanno quindi una forma analoga e speculare. All’interno della voragine
infernale sono collocati in ordine crescente i peccatori, secondo la gravità del peccato.
I peccati sono scanditi secondo “l’Etica”di Aristotele che prevede 3 tipi di peccati:
1. Per incontinenza: 2-5 cerchio, lussuriosi, golosi, avari, prodighi, iracondi
2. Per violenza: 7 cerchio (diviso in 3 gironi) contro il prossimo, contro se stessi,
contro Dio.
3. Per fraudolenza: 8 cerchio: chi usa l’intelligenza per ingannare coloro che non si
fidano di lui; 9 cerchio: chi usa l’intelligenza per ingannare chi si fida di lui: famigliari,
patria, amici. Al centro della terra, al termine dell’inferno, vi è Lucifero, un mostro
enorme con ali di pipistrello e con 3 facce, conficcato con la testa in giù. Ognuna delle
3 bocche mangia i 3 più grandi peccatori: Bruto, Cassio (che uccisero Giulo Cesare,
simbolo dell’impero) e Giuda (che uccise Gesù, simbolo del cristianesimo). I peccatori
sono collocati nel girone corrispondente al peccato più grave che hanno commesso.
Sono giudicati da Minosse (rappresentato mostruosamente): davanti a lui le anime
confessano i peccati. Minasse gli avvolge nella coda tante volte quante è il numero del
girone dove devono andare. All’interno dell’inferno vi è una organizzazione divina. La
pena ricevuta è morale (assenza di Dio) e fisica, e dipende dalle norme del
contrappasso (sopportare il contrario). Questo può essere per analogia (si subisce una
pena equivalente al peccato commesso) o per antitesi (si subisce la pena opposta).
Sono esclusi dai peccatori gli ignavi, ovvero coloro che non si sono mai schierati: essi
risiedono nell’antinferno. Ogni individuo è colto nella sua specificità: ogni anima è colta
nella sua essenza, in modo da rendere ogni individuo unico.

Figura di Virgilio In Dante

Virgilio, il principe dei poeti latini vissuto nel I sec. a.C., costituì per Dante il più
grande esempio nel regno dell’arte e del sapere.
Per comporre la sua Comedia Dante si ispirò certamente all’Eneide virgiliana, avendola
studiata a lungo e con grande amore. Essa, infatti, gli fornì molti elementi di
ispirazione,non solo per quanto riguarda la struttura esteriore, la figurazione di luoghi
e di esseri mitologici,ma anche per l’idea di rappresentare la vita nel regno dei morti,
strumento che viene usato da Virgilio per l’esaltazione di Roma e del suo impero,
mentre da Dante per esprimere in forma d’arte tutto il suo mondo politico, morale e
religioso.
Virgilio è stato considerato da quasi tutti gli antichi critici e commentatori come
l’allegoria della ragione umana e naturale che porta al giusto ordine terreno cioè,
secondo le idee di Dante, alla monarchia universale. Gli interpreti moderni, invece,si
sono opposti a questa interpretazione, come ci dice il critico E.Auerbach, e hanno
messo in risalto l’aspetto politico, umano, personale della figura di Virgilio, senza
tuttavia riuscire a negare il suo significato. Agli occhi di Dante il Virgilio storico è
contemporaneamente poeta e guida. Il Virgilio storico è rappresentato dall’abitante
del Limbo che per desiderio di Beatrice si assume il compito di guidare Dante.Come
egli un tempo, da romano e da poeta, aveva fatto discendere Enea per consiglio divino
nell’oltretomba, affinchè egli conoscesse il destino del mondo romano, così ora è
chiamato dalle potenze celesti ad una funzione di guida non meno fondamentale,
perchè non ci sono dubbi che Dante giudicasse la sua missione tanto importante
quanto quella di Enea: egli si sentiva chiamato per annunciare al mondo l’ordinamento
giusto, che gli viene rivelato durante il suo cammino, e, da parte sua, Virgilio dovrà
mostrargli e spiegargli il vero ordinamento terreno, le cui leggi saranno eseguite
nell’aldilà, ma non fino alle soglie della salvezza, cioè fino al paradiso, non potendo egli
godere della visione di Dio in quanto è morto senza conoscerlo, quindi da infedele.
Non c’è da stupirsi del fatto che Dante, credente, abbia scelto come guida un pagano e
abbia affiancato l’Eneide alla Bibbia tra i modelli principali della sua
ispirazione,infatti, la concezione dantesca della storia è assai diversa da quella
moderna: la storia è considerata da Dante come la realizzazione di un disegno divino
per cui tutti i fatti storici, anche quelli in realtà precedenti o estranei alla nascita di
Gesù, vengono inseriti all’interno della concezione cristiana. Questo fenomeno prende
il nome di sincretismo.
Dante dimenticò ben presto il simbolo che incarnava, e fece di lui il dolcissimo padre e
l’amico ideale che ognuno desidererebbe avere con sè nella vita.
Riassunto Dei Canti

Ecco un riassunto dei canti della Divina Commedia…

Inferno

Canto I

Dante si smarrisce nell' oscura selva dei suoi errori e peccati. Quando spera di poter
salire sulla cima di un colle e rivedere la luce del sole, il cammino gli è sbarrato da tre
fiere, simboleggianti lussuria, superbia ed avarizia, ed è costretto a retrocedere. Gli
appare Virgilio, il suo modello di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre
attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante potrà ascendere al
Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato battezzato, dovrà lasciarlo ad un' altra
guida.
Canto II

Virgilio rassicura Dante, e gli racconta di essere stato inviato sulla terra da Beatrice,
che lo ha pregato di soccorrere il suo amico in grave pericolo. Beatrice a sua volta era
stata mandata dalla Vergine (la Grazia preveniente) e da Lucia (la Grazia illuminante).
Virgilio e Dante si addentrano nella selva.

Canto III

I due poeti arrivano alla porta dell'inferno, dove una scritta invita ad abbandonare
ogni speranza a chi sta per entrare. Nel vestibolo stanno gli ignavi, tra cui papa
Celestino V, e gli angeli rimasti neutrali quando Lucifero si ribellò. Sulla riva
dell'Acheronte, Caronte, che traghetta le anime dei dannati, non vuole fare passare un
vivo, ma Virgilio gli intima di non andare oltre la volontà del cielo. Subito dopo si
avverte una scossa di terremoto e Dante sviene.

Canto IV

Dante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi di colpe. Virgilio lo
conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In
un prato verde all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea,
Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone. I poeti si allontanano dal Limbo
nell'oscurità.
Canto V

All' entrata del secondo cerchio Minosse assegna ai peccatori il luogo in cui
sconteranno la loro pena. Al suo interno gli spiriti dei lussuriosi sono trascinati da una
tempesta incessante. Paolo e Francesca, amanti infelici uccisi dal marito di lei,
raccontano a Dante la loro storia; questi si commuove e sviene nuovamente.

Canto VI

Il terzo cerchio, custodito dal cane tricipite Cerbero, è quello dei golosi. Essi stanno
sdraiati nel fango sotto un pioggia di neve, grandine e acqua sporca; uno di loro,
Ciacco, predice a Dante la vittoria dei Neri fiorentini sui Bianchi.

Canto VII

Il quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, il dio greco della ricchezza, è quello
degli avari e dei prodighi, condannati a spingere col petto pesanti macigni. Dante e
Virgilio giungono poi alla palude dello Stige, in cui sono immersi iracondi ed accidiosi. I
primi si percuotono e mordono a vicenda, i secondi giacciono sotto la superficie.
Canto VIII

Flegiàs traghetta i poeti attraverso lo Stige; Dante apostrofa violentemente l'odioso


fiorentino Filippo Argenti. I due poeti sbarcano di fronte alla città infernale di Dite,
ma i diavoli che la abitano sbarrano le porte impedendo loro di entrare.

Canto IX

Sulle torri delle città appaiono le Erinni, che chiamano Medusa affinché tramuti Dante
in pietra. Interviene però un messo celeste, che apre le porte di Dite e fa entrare i
poeti. All'interno delle mura, gli eretici giacciono in sepolcri infuocati posti in una
pianura sconfinata.
Canto X

Uno dei dannati, Farinata degli Uberti, riconosce Dante e lo chiama a sé; egli avverte il
poeta che il suo ritorno a Firenze sarà molto travagliato. Da un altro sepolcro
Cavalcante de' Cavalcanti chiede a Dante notizie del figlio Guido. Poi i due poeti
riprendono il cammino.

Canto XI

Davanti ai due poeti si apre un abisso puzzolente. Virgilio spiega a Dante la struttura
del basso inferno: esso è formato da tre cerchi, in cui si puniscono rispettivamente i
violenti, i fraudolenti e gli incontinenti. Questi ultimi sono coloro che stanno fuori
dalla città di Dite, data la minore gravità del loro peccato; i due viaggiatori si trovano
ora invece dove sono punite le altre due categorie.

Canto XII

Siamo nel primo girone del settimo cerchio, custodito dai Centauri. Qui i violenti
contro il prossimo giacciono nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Il centauro
Nesso mostra a Dante alcuni dei dannati, tra cui Alessandro Magno, Guido di Monfort,
Attila e Pirro.
Canto XIII

Nel secondo girone, custodito dalle Arpie, stanno i violenti contro se stessi, ovvero i
suicidi, tramutati in piante, e gli scialacquatori, inseguiti e morsi da cagne affamate.
Dante strappa un ramoscello da una pianta, che comincia a parlare: è Pier delle Vigne,
che prega Dante di riabilitare la sua memoria.
Canto XIV

Nel terzo girone, in un deserto infuocato, i violenti contro Dio nella persona, ovvero i
bestemmiatori, sono sdraiati a terra sotto una pioggia di fuoco; tra essi c'è il gigante
Capaneo. Dante e Virgilio arrivano alla sorgente del Flegetonte, e qui il secondo spiega
al primo l'origine dei fiumi infernali.
Canto XV

Sopraggiunge una schiera di violenti contro Dio nella natura, cioè di sodomiti. Tra di
loro c'è l'antico maestro di Dante, Brunetto Latini, che raccomanda a Dante la propria
opera letteraria, il "Tesoro", e gli preannuncia le sue future sofferenze.

Canto XVI

Dante è riconosciuto da tre fiorentini, che gli chiedono se sono vere le brutte notizie
su Firenze apprese da un dannato appena arrivato all'inferno, Guglielmo Borsiere;
Dante risponde con un'aspra invettiva contro la corruzione della propria città.
Proseguendo nel viaggio, i due poeti arrivano all'abisso in cui precipita il Flegetonte, e
vedono salire da esso un orribile mostro: Gerione, simbolo della frode.

Canto XVII

Gerione custodisce il terzo girone, quello dei violenti nell'arte, cioè usurai, seduttori e
adulatori. I primi siedono al limite del deserto, presso l'abisso, con al collo delle borse
recanti lo stemma della loro famiglia. Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione che
li porta al fondo dell'abisso.
Canto XVIII

Si giunge all'ottavo cerchio, "Malebolge": è un pozzo diviso in dieci bolge concentriche.


Nella prima ci sono i ruffiani, tra cui Giasone; nella seconda gli adulatori, tra cui
Alessio Interminelli e la cortigiana Taide.

Canto XIX

Nella terza bolgia i simoniaci sono conficcati a testa in giù nella pietra; lingue di fuoco
bruciano loro le piante dei piedi. Dante ne interroga uno, papa Niccolò III; questi
scambia il poeta per Bonifacio VIII, che dovrebbe prendere il suo posto nella buca
spingendolo più in basso, ed inveisce contro di lui. Dante pronuncia un discorso contro i
papi simoniaci.
Canto XX

Nella quarta bolgia gli indovini camminano piangendo con il viso ritorto all'indietro
dalla parte del dorso; tra essi Anfiarao e Tiresia.
Canto XXI

Nella quinta bolgia i diavoli Malebranche tormentano i barattieri immersi nella pece
bollente. Virgilio chiede di parlare con un diavolo; si fa avanti Malacoda, al quale
Virgilio spiega il motivo del viaggio di Dante. Malacoda gli fornisce una scorta di dieci
diavoli.
Canto XXII

Il barattiere Ciampolo di Navarra rivolge la parola a Dante; i diavoli tentano di


uncinarlo, ma egli fugge tuffandosi nella pece. Due diavoli, Alichino e Calcabrina, si
azzuffano rinfacciandosi la mancata preda e cadono nella pece. Dante e Virgilio
approfittano del trambusto per fuggire.

Canto XXIII

Con i diavoli alle calcagna, Virgilio prende Dante in braccio e si cala nella sesta bolgia,
dove gli ipocriti camminano sotto pesanti cappe di piombo dorato. Crocifisso a terra
c'è Caifa.
Canto XXIV

Nella settima bolgia i ladri sono continuamente assaliti da torme di serpenti; tra essi
Vanni Fucci, che con rabbia predice a Dante la sconfitta dei Bianchi e l'esilio futuro.

Canto XXV

Vanni Fucci rivolge a Dio un gesto osceno; immediatamente un serpente lo immobilizza


e sopraggiunge il centauro Caco. I due poeti assistono a numerose trasformazioni di
ladri in serpenti e di serpenti in ladri.

Canto XXVI

Dante pronuncia una nuova invettiva contro Firenze, poi lui e Virgilio passano
nell'ottava bolgia, dei consiglieri fraudolenti; essi vagano senza riposo avvolti da una
fiamma. In una fiamma biforcuta sono avvolti due dannati, Ulisse e Diomede; il primo
racconta la storia del suo ultimo viaggio e della sua morte.

Canto XXVII

Dante incontra l'anima di Guido da Montefeltro, che un diavolo disputò con successo a
S. Francesco.
Canto XXVIII

Nella nona bolgia stanno i seminatori di discordia, mutilati dalla spada di un diavolo.
Tra essi ci sono Maometto e Bertrando del Bornio, che cammina tenendo in mano la
sua testa mozzata.
Canto XXIX
Dopo l'incontro con Geri del Bello, un parente di Dante, i due poeti passano nella
decima bolgia, quella dei falsari; tra essi gli alchimisti sopportano scabbia e lebbra.

Canto XXX

La rabbia colpisce invece i falsatori della persona, tra cui Gianni Schicchi e Mirra.
Seguono poi i falsari di moneta colpiti dall'idropisia: tra essi Mastro Adamo. Infine i
falsatori di parola, che sopportano la febbre: Dante scorge in mezzo a loro l'anima del
greco Sinone.
Canto XXXI

Custodi del nono cerchio sono i Giganti, incatenati ed immersi fino alla vita nel pozzo
infernale. Anteo però è slegato e può prendere in mano i viaggiatori e depositarli sul
fondo, costituito dal lago ghiacciato di Cocito.

Canto XXXII

Cocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio
fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il
capo rivolto in alto: tra essi Bocca degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un
dannato che rode la testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.

Canto XXXIII

Il dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino della Gherardesca, la sua
vittima l'arcivescovo Ruggeri. Dante e Virgilio passano poi nella zona detta Tolomea,
dove i traditori degli amici tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si
congelano sugli occhi: tra essi frate Alberigo e Branca Doria.

Canto XXXIV

L'ultima zona di Cocito è la Giudecca, dove i traditori dei benefattori sono


completamente immersi nel ghiaccio. Ora Dante e Virgilio sono di fronte a Lucifero,
infisso nel ghiaccio dalla vita in giù. Esso ha tre teste, e ciascuna delle tre sue bocche
dilania un peccatore: la prima Giuda, la seconda Bruto, la terza Cassio. I due poeti si
aggrappano al corpo di Lucifero e lo ridiscendono, passando nell'emisfero terrestre
meridionale. Attraverso uno stretto budello riescono a ritornare in superficie in
corrispondenza degli antipodi.

Purgatorio

Canto I

Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia di fronte al monte del Purgatorio.


All'improvviso giunge il custode dell'ingresso, Catone l'Uticense, che li apostrofa
credendoli due dannati. Saputa da Virgilio la verità ordina a Dante di cingersi i fianchi
di un giunco e lavarsi gli occhi offuscati dalla vista dell'Inferno.

Canto II

Mentre sorge l'alba giunge una navicella guidata da un angelo; da essa scendono le
anime destinate al Purgatorio. Tra di esse c'è quella di Casella, un amico di Dante.

Canto III

Ai piedi del monte i due poeti trovano la schiera degli scomunicati, che devono
rimanere in attesa per un periodo lungo trenta volte quello della loro scomunica; tra
essi c'è Manfredi, che racconta come morì a Benevento.

Canto IV

Virgilio spiega a Dante, stupito di vedere il Sole a sinistra invece che a destra, la
posizione geografica del Purgatorio, agli antipodi rispetto a Gerusalemme. I due
incontrano poi coloro che si pentirono solo in punto di morte, i quali devono stare
nell'Antipurgatorio un tempo pari a quello della loro vita. Tra essi c'è il fiorentino
Belacqua.

Canto V

Continuando a salire, Dante e Virgilio incontrano i negligenti morti violentemente.


Questi notano che il corpo di Dante proietta l'ombra, e quindi è vivo; lo pregano perciò
di dire loro se riconosce qualcuno per il quale fare pregare i vivi. Pur non conoscendone
nessuno, Dante promette di esaudire i loro desideri; si fanno avanti Jacopo del
Cassero, Buonconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei.

Canto VI

Virgilio nota in disparte l'anima di Sordello, poeta mantovano come lui, e lo abbraccia.
A quella vista Dante amaramente ricorda come gli Italiani siano invece in continua
lotta fra loro, con i Fiorentini in prima fila.

Canto VII

Sordello porta i due poeti in una valletta fiorita, dove i principi negligenti attendono di
entrare nel Purgatorio.
Canto VIII

Al calar della sera le anime si dedicano alla preghiera. Dante riconosce l'amico giudice
Nino Visconti, che si lamenta di essere stato dimenticato dalla moglie. Si avvicina
Corrado Malaspina, della cui famiglia Dante tesse l'elogio.

Canto IX

Dante si addormenta e sogna di volare in groppa ad un'aquila fino alla sfera del fuoco,
dove entrambi bruciano. Al risveglio Virgilio lo conduce alla porta del Purgatorio, dove
un angelo incide con la spada sulla sua fronte sette P (simboleggianti i sette peccati
capitali da cui Dante dovrà purificarsi durante il viaggio).

Canto X

Varcata la porta, i due poeti salgono su un cornicione del monte la cui parete sul lato
interno è colma di bassorilievi in marmo bianco riproducenti esempi di umiltà. Qui i
superbi camminano curvi sotto il peso di enormi macigni, studiando gli esempi dei
bassorilievi.

Canto XXI

Il poeta Stazio spiega a Dante e Virgilio che il terremoto avviene ogni volta che
un'anima ormai purificata si sente pronta per salire al cielo; questo è quanto accade
ora a lui, dopo un'espiazione pluricentenaria.

Canto XXII

I tre poeti arrivano all'uscita, dove l'Angelo della Giustizia cancella la quinta P. Stazio
racconta del suo peccato (la prodigalità eccessiva) e della sua conversione al
Cristianesimo provocata dalla lettura di Virgilio. Chiede poi notizie degli altri grandi
poeti pagani. Si giunge alla sesta cornice, dove voci gridano esempi di temperanza ai
golosi.
Canto XXIII

I golosi soffrono fame e sete sotto alberi carichi di frutti e presso chiare sorgenti,
cantando preghiere. Tra essi Forese Donati, amico di Dante.

Canto XXIV

Forese indica a Dante l'anima di Bonagiunta da Lucca, col quale il poeta intavola una
discussione sul "dolce stil novo". Bonagiunta mostra di aver capito che la sua poesia,
oltre a quella di Jacopo da Lentini e di Guittone d'Arezzo, non può rientrare in quel
genere non essendo ispirata dal vero amore. Forese predice la morte violenta del
fratello Corso. In lontananza si scorge un albero da frutta verso il quale tendono le
braccia numerose anime; una voce grida esempi di golosità punita, ricordando che
quell'albero discende da quello del bene e del male. L'Angelo dell'Astinenza cancella la
sesta P dalla fronte di Dante.
Canto XXV

Stazio spiega come si genera l'uomo e come si formano le ombre dopo la morte
corporea. Nella settima cornice i lussuriosi avvolti da fiamme cantano, ascoltano
esempi di castità e si danno baci fraterni.

Canto XXVI

Dante trova tra i lussuriosi Guido Guinizelli, per il quale mostra grande ammirazione;
ma questi si schermisce, dicendo che assieme a lui c'è un poeta ben più grande,
Arnaldo Daniello, che canta piangendo i propri eccessi di un tempo.

Canto XXVII

Un angelo invita i poeti ad attraversare un parete di fiamme; Virgilio vince la paura di


Dante dicendogli che oltre quelle fiamme troverà Beatrice. davanti alla scala per il
paradiso Terrestre, l'Angelo della Castità cancella l'ultima P dalla fronte di Dante.
Cala la notte, e Dante sogna Lia che raccoglie dei fiori. All' alba Virgilio dichiara
Dante guarito dai suoi mali.
Canto XXVIII

Nell'Eden i poeti incontrano Matelda che raccoglie fiori; essa spiega come nell'Eden vi
siano acqua e vento; la prima viene da una sorgente divina e forma il Lete, che cancella
le colpe, e l'Eunoè, che predispone al bene; il secondo è originato dal movimento del
Primo Mobile.
Canto XXIX

I quattro risalgono le sponde del Lete. Viene verso di loro una meravigliosa
processione: nella scia di sette candelabri dorati avanzano ventiquattro vegliardi,
seguiti da quattro strani animali; tra essi un grifone tira il carro trionfale, affiancato
a destra da tre donne e a sinistra da quattro. Infine seguono due vecchi, quattro
personaggi di aspetto dimesso, e un vecchio che cammina dormendo.

Canto XXX

I 24 vegliardi cantano mentre la processione si arresta davanti a Dante e ai suoi


compagni. Appare Beatrice, che racconta ai presenti la storia del traviamento di
Dante; questi si volta verso Virgilio, ma la sua guida è scomparsa.

Canto XXXI

Beatrice rimprovera Dante e poi gli ingiunge di guardarla; folgorato da tanta bellezza
il poeta sviene. Matelda lo fa rinvenire immergendolo nel Lete e lo riporta al cospetto
di Beatrice.

Canto XXXII

La processione torna indietro fino all'albero di Adamo ed Eva, a cui il Grifone lega il
timone del carro. Dante si addormenta al suono di un dolce canto. Matelda lo risveglia
e gli mostra la processione che sta tornando in cielo. Beatrice siede sotto l'albero in
compagnia delle sette donne che portano i sette candelabri. Improvvisamente
un'aquila piomba addosso al carro, la terra si fende sotto di esso e un drago emerge
dall'abisso squarciandone il fondo. Sul carro spuntano sette teste, una prostituta e un
gigante che la frusta, scioglie il carro e lo porta via.

Canto XXXIII
I presenti si incamminano, e Beatrice profetizza la venuta di un messo divino che
ucciderà la prostituta e il gigante; invita Dante a riferire agli uomini ciò che ha visto.
Dante e Stazio bevono l'acqua dall' Eunoè e si sentono pronti per salire al Paradiso.

Paradiso

Canto I

Dante vede Beatrice fissare il Sole; egli fa altrettanto, ma poi comincia a fissare gli
occhi di Beatrice, che diventano sempre più scintillanti, mentre le sue orecchie
sentono l'armonia delle sfere celesti. Dante e Beatrice stanno ascendendo attraverso
la sfera del fuoco verso il Paradiso, come di necessità fanno tutti i corpi purificati.

Canto II

Arrivati in prossimità della Luna, Dante chiede a Beatrice di spiegargli la presenza


delle macchie lunari.
Canto III

Le anime del cielo della Luna, mosso dagli angeli, appaiono evanescenti. Tra esse
Piccarda Donati, sorella di Forese, che spiega che qui stanno i beati che vennero meno
ai loro voti. Ella fu rapita a forza dal convento, e sorte analoga fu anche quella
dell'imperatrice Costanza.
Canto IV

Dante si chiede: a) Perché aver subito violenza può diminuire la beatitudine futura,
come fosse una colpa? b) E' vero ciò che dice Platone, che le anime tornano alle stelle?
Beatrice spiega che in realtà tutti i beati stanno nell'Empireo, ma si mostrano a Dante
nei diversi cieli perché egli possa distinguere tra i vari gradi di beatitudine, e che gli
spiriti di questo cielo non resistettero completamente alla violenza.

Canto V

Beatrice mostra a Dante la santità del voto, poi salgono al cielo di Mercurio, mosso
dagli Arcangeli, dove gli spiriti attivi stanno avvolti dalla luce; uno di essi si rivolge al
poeta.
Canto VI

Lo spirito è quello di Giustiniano, che comincia a narrare la storia dell'aquila romana


fino al suo regno, affermando che essa vendicò Cristo con la distruzione di
Gerusalemme compiuta da Tito. Spiega poi che in quel cielo stanno gli spiriti che in vita
ricercarono la gloria; tra essi Romeo di Villanova.

Canto VII
Riguardo all'affermazione di Giustiniano sulla vendetta di Cristo, Beatrice spiega che
la morte del Figlio di Dio fu giusta per quanto riguardava la natura umana di Cristo, ma
blasfema riguardo quella divina. Dio scelse il sacrificio del figlio per redimere l'uomo
come mezzo implicante sia la misericordia che la giustizia.

Canto VIII

Dante e Beatrice salgono al cielo di Venere, mosso dai Principati. Qui stanno gli spiriti
amanti del bene, tra cui Carlo Martello.

Canto IX

Carlo Martello predice a Dante mali futuri per gli Angioini; poi la poetessa Cunizza da
Romano profetizza la rovina delle città venete che si ribellano all'Impero. Il trovatore
Folchetto di Marsiglia indica a Dante l'anima di Raab, e poi si lancia in un'invettiva
contro il clero.
Canto X

Si sale al cielo del Sole, mosso dalle Potestà; qui gli spiriti sapienti sfolgorano disposti
in tre corone concentriche; tra essi Tommaso d'Aquino.

Canto XI

San Tommaso elogia San Francesco riassumendone la vita e lamenta la decadenza


dell'ordine domenicano a cui egli apparteneva.

Canto XII

Interviene il francescano San Bonaventura, che elogia San Domenico riassumendone la


vita e deplora la decadenza del suo ordine che male interpreta la propria regola.

Canto XIII

San Tommaso scioglie un dubbio di Dante riguardante la sapienza di Salomone.

Canto XIV

Beatrice chiede ai presenti di risolvere un nuovo dubbio di Dante riguardante lo stato


dei corpi dopo la risurrezione; risponde Salomone, dicendo che allora i corpi saranno
più perfetti e più splendenti, e i sensi si adegueranno a tale condizione. Dante e
Beatrice salgono al cielo di Marte, mosso dalle Virtù, dove gli spiriti militanti formano
una croce luminosa nel cui mezzo splende Cristo.

Canto XV
I beati tacciono per far parlare Dante; dal gruppo esce l'anima del suo antenato
Cacciaguida, che accenna alla sua vita passata e loda i costumi dell'antica Firenze.

Canto XVI

Dante rivolge a Cacciaguida numerose domande sulla sua famiglia e sulle condizioni
della città all'epoca in cui egli era vivo.

Canto XVII

Dante interroga Cacciaguida sul proprio futuro, e questi gli predice l'esilio e il
successivo rifugio presso il magnanimo Cangrande della Scala; incita poi Dante a
raccontare ciò che ha appreso nel suo viaggio, anche se potrà riuscire sgradito a
qualcuno.
Canto XVIII

Cacciaguida mostra otto grandi spiriti, poi Dante e Beatrice salgono al cielo di Giove,
mosso dalle Dominazioni, in cui gli spiriti giusti volteggiano nell'aere formando le
parole di una sentenza biblica e l'immagine di un'aquila. Dante riflette sulla giustizia
terrena e pronuncia un'invettiva contro la curia di Roma che mercanteggia la fede.

Canto XIX

L'aquila perla dell'imperscrutabilità del pensiero e delle intenzioni divine, affermando


che nel giorno del Giudizio molti che non conobbero la fede saranno posti più vicino al
Creatore di molti che nominalmente si professano Cristiani.

Canto XX

L'aquila indica a Dante i beati che compongono il suo occhio.

Canto XXI

Dante e Beatrice salgono al cielo di Saturno, mosso dai Troni, qui gli spiriti
contemplanti vanno e vengono per una scala dorata diretta verso l'alto. Essi non
cantano come dovrebbero per non annichilire Dante con la completa bellezza del
Paradiso: lo spiega Pier Damiani, che poi passa a deplorare il lusso dei prelati.

Canto XXII

San Benedetto racconta la sua vita e la storia dell'ordine benedettino, biasimandone


l'attuale decadenza. Dante e Beatrice salgono la scala, che porta al cielo delle stelle
fisse, mosso dai Cherubini. Dante arriva nella costellazione dei Gemelli, sotto la quale
è nato; sotto di sé vede piccolissimi tutti i cieli e i pianeti.

Canto XXIII
Nel mezzo del cielo sfavilla un sole da cui emerge la figura di Cristo; Dante non può
sopportarne la vista e torna a guardare i beati, mentre Beatrice risplende di bellezza;
tra essi vede Maria su cui cala l'arcangelo Gabriele. La Vergine ascende con loro
nell'Empireo.
Canto XXIV

Beatrice invita i beati a dare a Dante un po' della loro saggezza; San Pietro interroga
il poeta sulla fede, e questi risponde con sicurezza e proprietà su tutti gli argomenti.
San Pietro gli impartisce la benedizione.

Canto XXV

San Jacopo di Galizia interroga Dante sulla Speranza, e il poeta si mostra sicuro anche
su questo secondo argomento. Arriva anche San Giovanni, che dichiara essere falsa la
leggenda che il suo corpo si trovi già in Paradiso.

Canto XXVI

San Giovanni interroga Dante sulla Carità, e anche stavolta il poeta si mostra
preparato. I beati intonano una lode al Signore, mentre Dante si avvicina ad Adamo e
gli pone alcune domande sulla sua esistenza.

Canto XXVII

San Pietro pronuncia un'invettiva contro i papa corrotti, in particolare Giovanni XXII
e Clemente V; poi i beati tornano all'Empireo, mentre Dante e Beatrice salgono al
Primo Mobile, mosso dai Serafini. Beatrice spiega a Dante il movimento del creato e
biasima l'umanità corrotta.
Canto XXVIII

Negli occhi di Beatrice si riflette un punto di luce (Dio) attorniato da nove cerchi
infuocati (gli ordini angelici); tra essi i più vicini a Dio sono più veloci e virtuosi.
Beatrice descrive la gerarchia dei cori degli angeli.

Canto XXIX

Dio creò gli angeli per manifestare la sua bontà; quelli che si ribellarono con Lucifero
caddero sulla Terra mentre quelli rimasti fedeli divennero incapaci di compiere
peccato; il loro numero è infinito e bruciano di amore divino con diversa intensità, a
seconda di come hanno ricevuto la luce divina. Beatrice poi deplora i cattivi
predicatori.
Canto XXX

Dante e Beatrice arrivano nell'Empireo, dove un fiume di luce scorre tra rive fiorite
prendendo forma di cerchio; da esso escono faville di luce che si trasformano in beati
ed angeli, che si dispongono in una rosa circolare di mille gradini. Beatrice guida Dante
al centro della rosa.
Canto XXXI
Beatrice torna al suo posto nella rosa, e al suo posto di fianco a Dante appare San
Bernardo, che gli indica Maria circondata da angeli e beati a cui infonde letizia.

Canto XXXII

San Bernardo indica a Dante Eva, Rachele, Beatrice, Sara, Rebecca, Giuditta e Ruth,
che stanno ai piedi di Maria; alla sua sinistra coloro che credettero in Cristo venturo,
alla destra quelli che credettero in Cristo venuto; di fronte a Maria numerosi santi e
l'Arcangelo Gabriele. Infine attorno a Maria si vedono anche Adamo, San Pietro e San
Giovanni, Mosè, Sant'Anna e Santa Lucia.

Canto XXXIII

San Bernardo elogia Maria e le chiede di intercedere affinché Dante possa godere
della visione di Dio. Maria acconsente e leva in alto lo sguardo; allora Bernardo invita
Dante a guardare il Creatore e la Trinità, in forma di triplice cerchio; il secondo
cerchio sembra racchiudere un'effigie umana e Dante si sforza di comprendere
quell'affascinante mistero (l'Incarnazione), ma la sua debole mente non può farcela da
sola; solo il sopraggiungere di un'intuizione diretta ed istantanea infusagli dalla Grazia
divina gli fa intravedere per un attimo la verità.

Riepilogando in numeri…

Cantiche -> 3 ( Inferno, Purgatorio & Paradiso )

Canti -> 100 ( 1 prologo e 33 canti per cantica )

Terzine -> 4.745 ( endecasillabi in terza rima )

Versi -> 14.233 ( righe totali dell’ opera )

Caratteri -> 538.015 ( totale dei caratteri dell’opera )

Nascita di Dante Alighieri -> 1265

Termine delle prime due cantiche -> 1316

Morte Di Dante Alighieri -> 1321

Prima Pubblicazione Completa -> 1322

Prima Apparizione Del Termine “ Divina “ -> 1555

Potrebbero piacerti anche