Aristotele La Poetica
Aristotele La Poetica
Aristotele La Poetica
Le opere d’arte differiscono l’una dall’altra per tre aspetti cioè in (1)
imitazione o in materiali diversi, (2) in oggetto diverso e (3) in maniera diversa. 3
Riguardo ai materiali diversi, come primo aspetto, alcuni imitano molte cose
rappresentandole con i colori e con le figure, mentre altri per mezzo della voce. Per
le seconde, le arti producono l’imitazione nel ritmo, nel discorso e nell’armonia
presi separamente o mescolati assieme. Per esempio, dell’armonia e del ritmo (da
soli) si avvalgono le musiche strumentali; del ritmo, l’arte dei danzatori; del ritmo e
1
ARISTOTELE, Poetica, a cura di Domenico Pesce, Bompiani, Milano 2021.
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Nella Poetica, l’arte (τέχνη: téchne) usata nell’accezione moderna, per indicare gli oggetti
artistici: la pittura, la scultura, la musica e le arti sceniche; ma occore ricordare che, per Aristotele,
il termine ha un’estensione più vasta, che indica ogni fare dell’uomo collegato alla pro-duzione.
Nell’ultimo senso, la poesia è un’arte in quanto implica un processo razionale di produzione e di
applicazione pratica. Cfr. D. PESCE, Parole chiave, in ARISTOTELE, Poetica, p. 197.
3
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 1-3, p. 53-59.
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del discorso, l’epopea; tutti dei tre, la tragedia, la commedia e il ditirambo 4 e l’arte
dei nomi; del discorso (da solo), l’arte cosiddetta oggi, quella priva di un nome o la
prosa, a differenza di quello poetico formato di discorso e di ritmo.
Per Aristotele, sono le due cause naturali che hanno dato origine all’arte
poetica: 1) l’istinto d’imitazione, connaturato negli uomini da bambini, attraverso il
quale si procacciano i primi insegnamenti e 2) tutti si rallegrano delle cose imitate. 6
Aristotele lo prova nei fatti di esperienza umana. Le cose che vediamo con disgusto
le guardiamo con piacere nelle immagini quanto più siano rese con esattezza. Oltre
a tale fatto, l’apprendere riesce piacevolissimo non soltanto ai filosofi ma anche agli
uomini in generale, per quanto poco ne possano fare. Come l’imitare conforme a
natura, cosi pure nell’armonia e nel ritmo, la poesia ha origine da istinto naturale a
4
D. PESCE, Parole chiave, in ARISTOTELE, Poetica, 198: «Si tratta di un canto corale non tragico in
onore di Dionisio, dal quale avrebbe avuto origine la tragedia greca».
5
D. PESCE, Parole chiave, in ARISTOTELE, Poetica, 199: «Imitazione (μίμησις: mimesis), dal punto
di vista poetico, per Aristotele, si tratta della creazione artistica, che è una ri-creazione del reale
secondo le leggi della possibilità e della verosimiglianza [...] Già Platone aveva sostenuto che l’arte
è imitazione, dando però a questo termine connotati negativi».
6
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 4, 1448b5-10, 59.
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poco a poco partendo da improvvisazioni.7 Per questo essa diverge a seconda dei
caratteri propri di ciascuno: i più seri autori imitano le azioni nobili componendo
inni ed encomi, come nella tragedia dell’Iliade e dell’Odissea e gli altri, più
modesti, le azioni della gente spregevole, da principio invettive, per esempio nella
comedia del Magrite, una delle opere di Omero8. Tuttavia, quando comparvero la
commedia e la tragedia, ciascuno si spingeva per sua natura verso l’una o l’altra
poesia: gli uni divennero commediografi anziché autori di giambi e gli altri
tragediografi anziché autori di poemi epici.
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molto breve, perché la commedia, dal suo inizio di improvvisazione, non era presa
sul serio.
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D. PESCE, Parole chiave, in ARISTOTELE, Poetica, 197: «Aristotele usa questo termine, derivato
dal linguaggio medico e magico-religioso (letteralmente significa “purificazione” o “purgazione”)
per indicare il sollievo, il piacere estetico, che si prova nell’asistere ad una rappresentazione
teatrale; Aristotele parla in modo specifico di catarsi delle e dalle passioni (pietà e terrore)».
13
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 6, 1449a30-1450a14, 68-69.
14
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 6, 1450a-1450b20, 70-71.
4
3) L’importanza del racconto ed il compito della poesia
15
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 7, 1450b26-1450b231, 73.
16
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 7, 1451a5, 73.
17
ARISTOTELE, Poetica, 7, 1451a11-15, 75. D. PESCE, Parole chiave, in ARISTOTELE, Poetica, 199:
«La fortuna sspettai tratta dell’insieme di avvenimenti casuali che determinano risultati buoni,
indipendentemente dalla bontà o dalla malvagità dei personaggi».
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tragedia, infatti, dovrebbe imitare la vita umana, in cui molte cose e molte azioni
che accadono a una persona non possono ridursi a un’unica azione. Un buon
esempio di racconto è quello di Omero, che non ha incluso tutti gli episodi di
Odisseo per formare una storia coerente. Una parte del racconto può essere aggiunta
o omessa, purché non renda la storia supreflua o perda la sua unità18.
Che compito del poeta è di dire non le cose accadute (la storia) ma quelle che
potrebbero accadere e le possibili secondo verosimiglianza e necessità [...] E
perciò la poesia è cosa più nobile e più filosofica della storia, perché la poesia
tratta piuttosto dell’universale, mentre la storia del particolare. L’universale poi è
questo: quali specie di cose a quale specie di persona capiti di dire o di fare
secondo verosimiglianza o necessità, al che mira la poesia pur ponendo nomi
propri, mente invece è particolare che cosa Alcibiade fece o che cosa patì19.
Nella tragedia, tra tutti i racconti e le azioni, gli episodici sono i peggiori
proprio perché nella cronologia da un episodico all’altro non c’è né verosimiglianza
né necessità. Pertanto i cattivi poeti tendono a costringere la successione dei fatti
solo per il piacere degli spettatori. Al contrario, il buon poeta crea in una tragedia
un’imitazione di casi di terrore e pietosi lasciando che i fatti si presentino
sorprendentemente e fortuitamente davanti agli spettatori. Che l’uomo non conosca
la causa del suo destino e non possa mai intuirla è una consapevolezza che la buona
tragedia porta con sé.
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trova improvvisamente in una brutta situazione, o viceversa. Mentre il
riconoscimento è il rivolgimento dall’ignoranza alla conoscenza, e quindi o
all’amicizia o all’inmicizia, di persone destinate alla fortuna o alla sfortuna. Il
riconosimento più bello poi è quello che si compie assieme alla peripezia, quando
un protagonista trova l’amore e la felicità grazie alla conoscenza della fortuna, ma
sperimenta l’odio e la sofferenza a causa della conoscenza di verità indesiderate. Tra
le due parti della tragedia ce n’è una terza, il fatto orrendo: un’azione che reca
rovina o dolore, come le morte sulla scena, le sofferenze, le ferite e cose simili.
Anche le tre parti della tragedia hanno lo scopo di incoraggiare lo spettatore a
rendersi conto che la vita non ha uno schema fisso e sequenziale. Esistono piuttosto
fattori interni ed esterni di cui non siamo immediatamente consapevoli e che spesso
comprendiamo a posteriori.
Dopo aver affermato che un racconto bello è quello complesso che evoca
terrore e pietà, Aristotele sottolinea che ci sono tre cattivi racconti da evitare: 1) il
racconto che mostra uomini dabbene che passano dalla fortuna alla sfortuna desta
ripugnanza, 2) il racconto che mostra uomini malvagi che passano dalla sfortuna
alla fortuna perché non evocano la simpatia umana, 3) il racconto che mostra
uomini malvagi che passano dalla fortuna alla sfortuna perché anch’esso non desta
l’empatia del terrore e della pietà. Perché la pietà si riferisce sempre all’innocente,
mentre il terrore al nostro simile. Il caso in questione non sarà né pietoso né
terribile. Secondo Aristotele, un racconto ben fatto mostra un passaggio dalla
fortuna alla sfortuna, non a causa di motivi malvagi, ma piuttosto a causa di un
21
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 12, 1452b15-25, 84-85.
7
qualche errore (ἁμαρτία: hamartía) di uno piuttosto migliore che peggiore
dell’ordinario22.
22
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 13, 1453a1-18, 87.
23
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 14, 1453b-1454a15, 89-93.
24
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 15, 1453b16-1454b19, 93-97.
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Prima si è definito il anagnorisis, ora Aristotele lo divide in sei specie25. 1)
La prima è il riconoscimento per mezzo dei segni, come ad esempio Odisseo fu
riconosciuto dalla sua cicatrice in un modo dalla nutrice e in un altro dai porcari. 2)
La seconda specie è costituita dai riconoscimenti fabbricati apposta dal poeta e
perciò non artistici. Ad esempio nell’Ifigenia Oreste si fece riconoscere, perché
mentre la sorella viene riconosciuta per mezzo della lettera, dice lui stesso quello
che vuole non già il racconto ma il poeta. 3) La terza è quella che avviene ad opera
della memoria, quando ci si rende conto nel vedere qualcosa, come Odisseo che,
ascoltando il citarista e ricordandosi, piange, donde venne riconosciuto. 4) La quarta
è il riconoscimento derivante dal ragionamento, come nelle Coefore, dove Elettra
argomenta che è giunto uno a lei simile, ma a lei simile non c’è nessuno se non
Oreste, e dunque è questi che è giunto. 5) La quinta è un riconosimento combinato
con un paralogismo da parte del pubblico come quello dell’Odisseo falso
messagero, che egli infatti sapeva tendere l’arco e nessun altro, e mostrando la sua
capacità dichiara se stesso. 6) La sesta migliore di tutti è un riconoscimento che
scaturisce dalla stessa azione, perché la sorpresa sopravviene per mezzo di fatti
verosimili, come nell’Edipo di Sofocle.
Dopo aver esplorato le due parti più importanti della tragedia, Aristotele
passa ad analizzare le sei regole che devono essere seguite nella preparazione dei
racconti26. 1) Il poeta deve comporre i racconti e rappresentarli compiutamente con
il linguaggio, ponendoseli quanto più è possibile davanti agli occhi. 2) Il poeta deve
anche, quanto più possibile, rappresentare compiutamente con i gesti e con
coinvolgimento di passione, in modo da persuadere gli spettatori a farsi coinvolgere
emotivamente nella tragedia. 3) Il poeta deve esporre i racconti dapprima in
generale e solo dopo stenderli introducendo gli episodi. 4) In ogni tragedia, il nodo
(desis), costituito dalla sezione che va dall’inizio dei fatti fino alla sezione in cui la
vicenda muta dalla fortuna alla sfortuna, e lo scioglimento (lusis), che va dal
principio di questo mutamento alla fine. 5) Il poeta deve essere in grado di far
emergere tutte le parti importanti di una delle quattro specie da lui scelte, ovvero: la
25
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 16, 1454b20-1455a20, 97-101.
26
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 17-18, 1455a21-14563a30, 101-107.
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tragedia complessa, composta da peripeteia e anagnorisis; quella dell’orrore, come
i vari Aiace e Issione; quella di carattere, come le Ftiotidi e il Péleo; quella dello
spettacolo, come le Forcidi e il Prometeo. 6) Il poeta dovrebbe scrivere di eventi
focalizzati e non di una composizione epica, in quanto non è necessario narrare gli
interi racconti, ma piuttosto selezionare ed elaborare alcuni racconti di una tragedia.
7) Anche il coro poi occore considerarlo come uno degli attori e le canzoni corali
devono essere parte integrante della storia.
Aristotele rivolge poi la sua attenzione al pensiero, che in realtà affronta in modo
più rigoroso ne La retorica, e all’elocuzione27. In sostanza, il pensiero è qualsiasi
effetto prodotto dal discorso, che comprende: il confutare, il procurare emozioni (la
pietà, il terrore, l’ira e così via), l’amplificazione e la diminuzione. Quindi nella
tragedia le azioni devono essere trattate allo stesso modo del discorso. L’unica
differenza è che le azioni devono manifestare gli effetti del pensiero senza ricorrere
a discorsi messi in bocca ai personaggi, mentre nel discorso sono procurate da chi
discorre e si generano ad opera del discorso.
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Il verbo è una voce composta significativa con tempo, di cui nessuna parte è
significa di per sé. 7) La flessione è propria del nome e del verbo e significa a volte
«di questo», «a questo» e così via. 8) Il discorso è una voce composta significativa,
di cui alcune parti di per sé considerate di significare qualche cosa.
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6) L’epopea in approfondimento
Dopo aver parlato della tragedia in sé, Aristotele rivolge la sua attenzione
all’approfondimento dell’epopea, rispetto alla tragedia30. Mentre la mimesi della
tragedia è contenuta negli atti drammatici, quella dell’epopea nella composizione
narrativa. Ma le due cose presentano alcune analogie. 1) Sia la tragedia che l’epopea
si distinguono dalla storia per il fatto di concentrarsi maggiormente sull’unità e sulla
coerenza di una particolare storia piuttosto che su un evento in un particolare
periodo di tempo o su particolari personaggi. 2) L’epopea deve contenere anche
parti della tragedia, escludendo lo spettacolo e il canto, deve essere semplice o
complessa e deve rivelare peripeteia e anagnorisis.
30
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 23-24, 1459a16-1460b5, 123-131.
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7) La critica letteraria e la superiorità della tragedia sull’epopea
Prima di entrare nelle ultime due sessioni, Aristotele riformula brevemente il dovere
del poeta:
E infatti, poiché il poeta è imitatore alla stessa maniera del pittore o di qualunque
altro facitore di immagini, è necessario che, essendo tre di numero le possibilità,
sempre ne imiti una, e cioè o le cose quali furono o sono, o quali si dice o sembra
che siano, o quali dovrebbero essere. Queste cose poi il poeta le comunica con
l’elocuzione in cui trovano posto le parole peregrine, le metafore e molte altre
alterazioni del linguaggio, cose tutte che concediamo ai poeti31.
Questo compito non è ovviamente facile per ogni poeta proprio perché la
correttezza non è la stessa per la poetica e per la politica e per qualche altra arte.
È questa differenza che i critici della poetica non hanno osservato con
sufficiente attenzione. Aristotele risponde quindi alle due accuse contro la
poetica dimostrando che la scorrettezza non risiede nella poesia in sé, ma nel
soggetto che l’ha creata (il poeta)32.
31
ARISTOTELE, Poetica, 25, 1460b6-1, 130, 133.
32
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 25, 1460b14-1461b25, 133-139.
13
Nella ventiseiesima sessione, Aristotele tenta di rispondere alla domanda
su quale forma sia superiore, la tragedia o l’epopea 33. L’argomento a favore
della superiorità dell’epopea si basa sul principio che la forma d’arte superiore
dovrebbe essere meno volgare e riservata agli spettatori migliori. La tragedia,
invece, produce spettacoli melodrammatici per le masse con gesti esagerati.
Aristotele risponde a questa argomentazione affermando che la volgarità e il
melodramma non sono propriamente rivolti all’arte poetica, bensì alla propria
recitazione, agli attori che eseguono male i movimenti. Del resto, senza gesti e
movimenti, anche la tragedia può produrre effetti solo attraverso la lettura
semplice.
8) La conclusione
Per Aristotele, la tragedia in quanto una più superiore poetica d’imitazione serve
ad evocare emozioni di pietà e terrore ed a produrre la catarsi (purificazione e
liberazione) di queste emozioni. Tra le parti essenziali della tragedia (mito o
racconto, carratteri, pensiero, elocuzione, canto e spettacolo), il primo è la parte
più importante. Un bel racconto deve consistere in un personaggio “eroe” che
passa dalla fortuna alla sfortuna. La sfortuna deve essere l’effetto di qualche
errore, e non di un malvagio. Un racconto tragico deve sempre comportare una
sorta di azione tragica, che può essere compiuta o non compiuta, e questa
azione può essere affrontata con piena conoscenza o meno. Infine, Aristotele
33
Cf. ARISTOTELE, Poetica, 26, 1461b26-1462b15, 141-143.
14
discute del pensiero e dell’elocuzione, per poi passare all’epopea. Sebbene
l’epopea sia simile alla tragedia sotto molte parti, egli sostiene che la tragedia è
superiore all’epopea.
34
Cfr. G. REALE, Storia della filosofia greca e romana 4: Aristotele e il primo peripato, Bompiani,
Milano 2004, p. 274-276; N. ABBAGNANO, Storia della filosofia I, UTET, Torino 1982, p. 177-179.
35
ARISTOTELE, Politica, VIII, 1341b20-39, 1342a10-15, traduzione di Roberto Radice e Tristano
Gargiulo, Mondadori, Milano 2015, p. 217, 219: «A proposito delle armonie e dei ritmi, e in vista
del fine pedagogico, occore vedere in primo luogo se si deve far uso di tutti, oppure se si deve
operare una scelta; e poi, in secondo luogo, se dovremo seguire la stessa classificazione usata da
quelli che lavorano seriamente sull’educazione, oppure un’altra di natura ancora diversa [...] Da
parte nostra, però, sosteniamo che si debba praticare la musica non in vista di un solo vantaggio,
bensì di molteplici: ad esempio, con finalità pedagogiche, e per la purificazione e, in terzo luogo,
per lo stile di vita, il riposo e il rilassamento dalle tensioni [...] Le stesse esperienze
necessariamente condivide chi è sensibile alla pietà, o alla paura, o in generale alle altre passioni,
ma anche ogni altro uomo, nella misura in cui individualmente si lascia andare a ciascuna di esse: e
in tutti avviene una qualche purificazione e un piacevole sollievo. Anche le melodie purificatrici
infondono una gioia innocente negli uomini».
36
Cfr. G. REALE, Storia della filosofia greca e romana 4, 274-275.
15
osservazioni di tragedie selezionate e pedagogicamente valide, che si
manifestano nelle tragedie di Omero.
37
Cfr. AGAMBEN, L’uomo senza contenuto, Quodlibet, Macerata 2013, p. 12-13.
38
Cfr. G. REALE, Storia della filosofia greca e romana 4, 276.
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