Klaus Gamber, La Riforma Della Liturgia Romana
Klaus Gamber, La Riforma Della Liturgia Romana
Klaus Gamber, La Riforma Della Liturgia Romana
Titolo originale:
Die Reform der Romischer Liturgie. Vorgeschichte und
Problematik. (1979 presso l'autore).
Opere principali:
Inoltre:
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prendevano in genere scarsa parte attiva al Culto uffi-
ciale. Relativamente pochi seguivano la Messa col Mes-
sale anche bilingue (lo Schott, nei Paesi di lingua tede-
sca), e perci tanto pi floride erano talune forme devo-
zionali non liturgiche. In questo quadro va intesa e va-
lutata l'azione di Pius Parsch. Egli apr a molti un nuo-
vo mondo: la preghiera e l'oblazione dei fedeli insieme
col celebrante.
Accade quasi sempre, purtroppo, che gli uomini pas-
sino da un estremo all'altro. Se prima la ritualit nel
Culto e nei Sacramenti privilegiava la parte riservata
ai sacerdoti e al clero rispetto a un'ampia passivit dei
fedeli, oggi, in concomitanza con la riduzione dell' ele-
mento cultuale e sacrale, si d eccessivo rilievo alla loro
partecipazione attiva. Di fatto, l'elemento cultuale im-
miserisce da noi sempre pi. Manca la solennit neces-
saria a ogni celebrazione liturgica. Sovente, regna in suo
luogo uno squallore piuttosto calvinistico.
Le forme liturgiche tradizionali, in vigore fino a poco
tempo fa, sono oggi non di rado oggetto di disprezzo. I
pastori d'anime le considerano antiquate e le mettono da
parte; non vogliono dare l'impressione di aver mancato
il treno. Eppure, la maggioranza dei cattolici resta attac-
cata alle forme antiche e trova in esse un sostegno alla
sua piet. I troppo solerti riformatori moderni hanno
prestato troppo scarsa attenzione a quanto, nella coscien-
za dei fedeli, coincidano la dottrina di fede cattolica e
certe forme di piet. Cambiare le forme tradizionali del
Culto significa per molti cambiare la Fede.
L'Autorit ecclesiastica non ha ritenuto di dover dare
ascolto alle voci che istantemente l'hanno pregata di non
abolire il Missale Romanum tradizionale e d'introdurre
la nuova Liturgia solo gradualmente e ad experimen-
tum . Oggi la situazione purtroppo tale che da parte
di molti Vescovi si tace dinanzi a ogni e qualsiasi espe-
7
rimento liturgico, mentre si punisce severamente la fe-
delt che un sacerdote, per ragioni oggettive o di co-
scienza, serba all'antica Liturgia.
Nessuno avr a ridire se l'Autorit ecclesiastica ade-
gua le forme liturgiche alle esigenze dei tempi nei limiti
in cui ci appare urgentemente necessario; tuttavia ci
va fatto con intelligenza e prudenza, in ogni caso senza
rottura con la Tradizione. Anche la Costituzione liturgi-
ca, all'art. 23, stabilisce che: Non siano introdotte in-
novazioni se non quando lo esiga una vera e accertata
utilit della Chiesa
Una radicale rottura con la Tradizione si compiu-
ta ai nostri giorni con l'introduzione del Novus Ordo
Missae e dei nuovi libri liturgici e, ancor pi, con la ta-
cita concessione, da parte dell'Autorit ecclesiastica, di
una eccessiva libert del Culto Divino,
senza che con tutto ci siano riscontrabili reali benefici
sul piano pastorale. Al contrario, assistiamo a una gran-
de decadenza della vita religiosa, sebbene anche altre
cause la spieghino. Possiamo dire fin d'ora che le spe-
ranze riposte nella riforma liturgica non si sono avve-
rate.
LE RADICI DELL'ATTUALE DESOLAZIONE LITURGICA.
CENNI DI STORIA DELLA LITURGIA.
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A differenza delle Liturgie Orientali, che andarono
arricchendosi fino al Medioevo per poi cristallizzarsi, la
Liturgia Romana rimasta pressoch immutata attra-
verso i secoli nella sua sobria e piuttosto austera forma
risalente ai primi tempi cristiani. Essa, in ogni caso, si
identifica col Rito pi antico. Nel corso dei secoli, mol-
ti Pontefici hanno contribuito alla sua configurazione:
. san Damasco papa (366-384), per esempio, e successiva-
mente soprattutto san Gregorio Magno (590-604). Utiliz-
zando i testi liturgici pi remoti nel tempo, papa Grego-
rio cre un nuovo Sacramentario dell'anno liturgico!
cre altres quel canto sacro che detto gregoriano
- bench, verosimilment, il pi antico repertorio gre-
goriano fino a noi pervenuto sia di un secolo posteriore
a Gregorio 2
La Liturgia damasiano-gregoriana quella che sta-
ta celebrata nella Chiesa Latina fino alla riforma litur-
gica dei nostri giorni. Non quindi esatto parlare, come
si fa, di abolizione del Messale di san Pio V . A diffe-
renza di quanto avvenuto oggi in misura spaventosa,
i cambiamenti apportati al Missale Romanum nel corso
di quasi 1400 anni non hanno toccato il rito della Mes-
sa: si bens trattato soltanto di arricchimenti, per l'ag-
giunta di Feste, di Propri di Messe e di singole preghie-
re. La Liturgia gregoriana, condizionata dalla situazione
di Roma, fu resa obbligatoria in vaste regioni dell'Occi-
dente nel corso degli sviluppi politici del sec. VIII, i qua-
li determinarono un pi stretto legame dei re franchi
col Romano Pontefice. Il Rito Gallicano venne abolito.
Soltanto in Spagna (dove dominavano gli Arabi), in al-
cuni territori dell'Italia settentrionale (Milano e Aqui-
leia) e nel ducato di Benevento, ancora per qualche tem-
po rimasero in vigore i Riti particolari di quei luoghi
- a Milano fino ad oggi.
Dall'accoglimento del1a Liturgia della citt di Roma
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nel territorio dei Franchi, si pose in continuazione il pro-
blema dell'adattamento di questo Rito forestiero al-
le condizioni di singole citt e villaggP. Una soluzione
definitiva non fu mai trovata, e questa una grande tra-
gedia e, insieme, una delle radici dell'attuale desolazio-
ne liturgica.
Una seconda e ancor pi importante radice da rav-
visare nello straniamento della Chisa d'Occidente dalle
d'Oriente. Esso risale ai secco VIII e IX e sfocia,
nel 1054 nella rottura ufficiale fra Roffia e Bisanzio. Ta-
le rottura, che non fu assolutamente originata da diffe-
renze dogmatiche, fu tanto pi deplorevole in quanto, a
cagione di essa, si inarid da noi una componente litur-
gica assai importante: la nozione paleocristiana del
Culto.
Secondo tale concezione, la Liturgia in prim9 luo-
go una azione sacra che viene compiuta al cospetto di
Dio. Ci significa, come scrive papa Gregorio M. in Dial.
IV 58.2, che nell'ora del Sacrificio, alla voce del sacer-
dote i Cieli si aprono, che a questo Mistero parteci-
pano anche i cori angelici }), che l'Alto e il basso si con-
giungono, il Cielo e la terra si uniscono, il visibile e 1'In-
visibile diventano una sola cosa.
Da una tale concezione cosmica della Liturgia, che
nella Chiesa Orientale non si mai eclissata, discende
l'esigenza che la celebrazione del Culto Divino sia rigo-
rosa e solenne ed escluda quel minimalismo che in Oc-'
cidente, dal Medioevo in poi, andato sempre. pi dif-
fondendosi per il fatto che, nella celebrazione del San-
to Sacrificio, ci si limitati sovente a quanto assolu-
tamente indispensabile _ovvero prescritto per la sua va-
lidit. Sovente si detta la Messa; di rado la si pro-
priamente celebrata.
Nella Chiesa Orientale, invece, la Liturgia stata sem-
pre la celebrazione di un Mistero nella quale la sacra
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rappresentazione e la realt si amalgamano in maniera
singolare 4 Con particolare riferimento ad essa va inteso
ci che il drammaturgo Hugo BalI, buon conoscitore del-
la Chiesa Greca, ebbe a dire della Messa: Per il cre-
dente non si d propriamente alcun teatro. La rappre-
sentazione che lo "prende" e lo domina ogni mattina,
la S. Messa ".
Questa importante componente del Culto Divino an-
d in gran parte perduta in Occidente con la separazio-
ne tra la Chiesa Orientale e la Occidentale. In un suo
libro a suo tempo molto letto, Dello spirito della Litur-
gia, fu Romano Guardini a porre di nuovo l'accento sul-
la Liturgia come rappresentazione . Nella prassi litur-
gica, ormai non si ritrova quasi pi nulla di questo con-
cetto. L'alito gelido della concretezza soverchia l'azione
sacra.
La terza radice della attuale desolazione liturgica va
ricercata nel tardo Medioevo, con la sua piet soggetti-
va. Ad occupare il posto centrale non fu pi la comune
partecipazione all'azione liturgica che lega Cielo e terra
e che ci trasmette la grazia divina, bens la personale
percezione di Dio e della Sua grazia nella preghiera.
La celebrazione della Liturgia divenne sempre pi un
compito esclusivo del clero. I fedeli restavano spettatori
muti che, pregando e guardando, seguivano le sacre ce-
rimonie. Per il popolo, anzi, vennero introdotte funzio-
ni extraliturgiche, nella lingua locale, che corrispondeva-
no alla devotio moderna , il nuovo ideale di piet. In
tal modo,per, .anche il divario tra il Culto ufficiale e la
piet popolare divenne sempre maggiore. Il cuore del
popolo batteva in solennit extraliturgiche fra cui, non
ultime, le numerose processioni (come quella del Cor-
pus Domini, che risale appunto a questo periodo) ed i
sempre pi popolari pellegrinaggi. '
Tanto pi meraviglia il fatto che nel tardo Medioevo
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si abbia a rilevare un primo movimento liturgico.
Esso risale agli inizi dell'Umanesimo: rientra probabil-
mente nel quadro della nuova coscienza che l'uomo pre-
se di se stesso. Ci si applic con solerzia a tradurre in
volgare i testi latini della Messa e le parti del coro; tra
queste, soprattutto gli inni. Cos troviamo, gi intorno
al 1400, in Turingia, quello che si chiama Missale vol-
gare : un Messale per il popolo in cui, oltre alle Lettu-
re, sono tradotte anche alcune preghiere e antifone del
Missale Romanum6 Altri libri consimili seguirono nel
t emp0 7.
Risale altres a quest'epoca una prima fioritura del
canto religioso. Furono composti nelle lingue volgari
nuovi canti adatti a venire alternati a quelli latini della
Messa o ad essere eseguiti dopo di essi. Cos, per esem-
pio a Natale, dopo la sequenza Grates nunc omnes
si cantava tre volte Gelobet seist du Jesu Christ (<< Lo-
dato sii tu, Ges Cristo ), oppure si intramezzavano stro-
fe natalizie ai singoli versetti del Gloria B Vennero inol-
tre composti molti canti per pellegrinaggi o altre devo-
zioni di carattere popolare.
Fu Lutero a cogliere l'importanza di queste tendenze
liturgiche, ed a farle coscientemente proprie, per ampliar-
le, infine, ancora di pi. Il canto di chiesa per tanto
poco una sua creazione quanto iI riconoscimento della
necessi t di fare almeno le Letture della Messa ai fedeli
nella loro madre lingua.
Accanto a vari aspetti positivi, anche qui si scorge
una radice dell'attuale desolazione liturgica. Il canto di
chiesa, spesso di dubbio valore dottrinale e artistico, so-
prattutto quello proveniente da ambienti pietisti, sem-
pre pi prevalso sul classico canto della Messa latina e,
in pratica, ha finito con l'eliminarlo del tutto. Oggi lo si
constata.
Al primo movimento liturgico tardomedievale, e
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agli sforzi di radicale rinnovamento intrapresi da Lute-
ro e dagli altri riformatori, seguirono per reazione le ri-
gorose disposizioni del Concilio di Trento riguardanti il
Culto Divino, in particolare il divieto dell'uso della lin-
gua volgare.
I Padri conciliari decretarono a Trento una nuova
edizione typica dei libri liturgici che, per quanto ri-
guarda il Missale Romanum, fu portata a termine nel
1570 da san Pio V. Un'apposifa autorit ecclesiastica, la
S. Congregazione dei Riti, vigil da allora in poi sull'os-
servanza rigorosa delle Rubriche .
Nulla di nuovo, quindi, fu introdotto dalla riforma
di san Pio V. Si intraprese soltanto una redazione uni-
forme del Messale dalla quale furono espunte, cbn l'oc-
casione, alcune innovazioni penetrate nel corso dei se-
coli. Si fu per tanto tollen;mti da lasciare in vigore, in-
tatti, i Riti particolari antichi di almeno duecento anni.
Vista nel suo insieme, questa riforma, ancorch ne-
cessaria a quel tempo, rappresentava la cristallizzazione
delle forme liturgiche sviluppatesi fino ad allora, e non
lasciava la possibilit di un loro ulteriore sviluppo or-
ganico. Perci era fatale che, prima o poi, si giungesse
a una radicale trasformazione. Subito dopo il Concilio
di Trento, tuttavia, in quell'et barocca che s'identifica
con l'ultima civilt unitaria dell'Occidente rimasto cat-
tolico, la vita ecclesiale conobbe una nuova stagione di
pieno rigoglio.
L'attuale avversione a ogni solennit nel Culto com-
prensibile solo se la si considera nel quadro di una op-
posizione al barocco. Se allora le chiese erano sovracca-
riche di stucchi e decorazioni, se gli altari erano sover-
chiati da strutture che arrivavano fino al soffitto, oggi si
propaganda funzionalit ed essenzialit nell'addobbo
della chiesa e dell'altare. Si tollera appena una croce!
Se allora si celebravano fastose Messe con musica or-
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chestrale davanti l Santissimo esposto, alla luce di in-
numerevoli ceri e con profusione di incenso, oggi, giu-
sta lo slogan Bando al trionfalismo! , il celebrante sta
davanti a un nudo altare di pietra (che spesso somiglia
a una lastra tombale) e da un microfono recita le pre-
ghiere e si rivolge ai fedeli.
Alla maggior parte degli uomini d'oggi le forme ba-
rocche non piacciono pi. Ci per non giustifica la to-
tale esclusione di quell'elemento essenziale della Litur-
gia che la solennit del Culto. Rendere onore a Dio
con Culto pubblico e solenne un dovere che l'uomo, in
quanto essere sociale, ha in ogni tempo. Perci trovia-
mo forme di culto solenni non solo nel cristianesimo,
ma anche nel giudaismo: la Liturgia del Tempio di Ge-
rusalemme, alla quale ancora assistevano gli Apostoli
(cf. Atti 2.46); e le troviamo altres presso le varie civil-
t del mondo antico,' e presso i primitivi .
Poich nell'et barocca il popolo non prendeva parte
attiva al Culto ufficiale, ma vi partecipava interiormen-
te, cominciarono a fiorire nuove forme di religiosit po-
polare, quali ad esempio la devozione delle Quarantore
e le funzioni del Mese Mariano. Esse giunsero a radicar-
si profondamente nel costume religioso 9.
Accanto al Culto ufficiale, che attraeva i fedeli per la
sua solennit e il suo fasto, queste nuove forme di pie-
t furono i pilastri portanti del cattolicesimo suscitato
dalla Controriforma. Ma non si pu sottacere una grave
pecca della prassi liturgica dell'et barocca. Al pari del-
l'omiletica del tempo, essa mancava di approfondimen-
to teologico e dogmatico. Misteri fondamentali della Fe-
de passavano in sott'ordine, mentre verit marginali era-
no collocate in primo piano lO
La piena fioritura della vita ecclesiale dell'et baroc-
ca fu investita, verso la fine del sec. XVIII, dal gelo del-
l'Illuminismo. Si era insoddisfatti della Liturgia tradi-
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zionale perch si reputava che troppo poco corrispon-
desse ai problemi concreti del tempo. Nei confronti del-
la religiosit popolare l'atteggiamento era di sprezzante
superiorit. Particolarmente grave si rivel l'attacco sfer-
rato contro la Liturgia tradizionale per il fatto che il po-
tere temporale si pose al servizio degli illuminati
(<< giuseppismo , nell'impero asburgico) e che larghi stra-
ti dell'episcopato si lasciarono contaminare da questa
temperie.
In non pochi luoghi, molte forme liturgiche tradizio-
nali vennero abolite con brutale prepotenza e contro la
volont del popolo. Per esempio, nella Renania, dove tan-
to si ama il canto, venne vietata la Messa solenne con co-
rali latini - corali che da secoli l'intera assemblea dei
fedeli era in grado di eseguire - per essere sostituita, in
molti casi con la forza, dalla cosiddetta Messa Grande
tedesca l l Purtroppo, le antiche forme non tornarono pi
in vita.
Al tempo dell'Illuminismo si volle poi utilizzare le
sacre funzioni come altrettante occasioni di formazione
morale del cittadino, onde il latino venne ripudiato. Per
l'infelice giogo che legava l'Altare al Trono, la Chiesa,
divenuta succube del potere temporaie, si ebbe dallo
Stato il compito di educare gli uomini ad essere fedeli
sudditi, per cui i parroci dovettero assumere sul pulpito
ruoli estranei al loro stretto ministero sacerdotale, quali
spiegare e inculcare le leggi dello Stto e le disposizioni
di polizia.
N di certo mancarono gli esperimenti liturgici, in
particolare nell'amministrazione dei Sacramentil2 Non
ebbero per lunga vita. Essi somigliano in modo sor-
prendente agli attuali: sono altrettanto fortemente orien-
tati verso l'uomo ed i problemi sociali.
Vitus Anton Vitor, uno dei riformatori illuministi,
pretendeva, ad esempio, che venissero eliminate tutte le
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preghiere che danno all'uomo la speranza che tutto gli
venga da Dio e che, di conseguenza, meno lo stimolano
all'attivit personale, nonch tutte le preghiere conte-
nenti espressioni semitiche, bibliche 13 Nei nuovi testi
elaborati secondo questo criterio si coglie lungo tutta la
linea un tono moralizzante.'
Possiamo pertanto affermare che nell'Illuminismo af-
fonda la pi tenace radice dell'attuale desolazione litur-
gica. Molte idee di quell'epoca hanno trovato piena at-
tuazione soltanto nel nostro tempo, in cui si assiste a
un nuovo illuminismo.
Una reazione al gelo illuministico rappresentata dal-
la restaurazione del sec. XIX, l'epoca delle correnti ro-
mantiche e neogotiche. Secondo i romantici il grande
esempio a cui rifarsi il Medioevo, con la sua spiritua-
lit. Si tent d'innestare questo elemento all'albero gra-
vemente danneggiato della Liturgia.
Sorsero allora la grande abbazia benedettina di So-
lesmes, in Francia, e quelle della Congregazione di Beu-
ron. In esse furono restaurati con amore l'antica Litur-
gia latina e il canto gregoriano. Affondano in questi nuo-
vi centri monastici le radici del movimento liturgico
degli anni Venti del nostro secolo. All'inizio, per la veri-
t, furono coinvolte in esso soltanto una piccola cerchia
d'intellettuali e una parte della giovent studiosa. Si
conserv il latino H
Ben diversi sono i tentativi liturgico-popolari di Pius
Parsch negli anni Trenta. Essi sono caratterizzati da una
eccessiva enfasi data alla parte attiva dei nelle
funzioni liturgiche, enfasi che va di pari passo con er-
ronee ricostruzioni storiche del rituale liturgico e della
configurazione dell'edificio-chiesa presso i primi cristia-
ni. Per opera sua il volgare cominci a entrare nella
S. Messa, anche se, in un primo tempo, ancora paralle-
lamente al latino del sacerdote celebrante.
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E' stata la concezione di Pius Parsch - di un Culto
Divino, cio, pastoralmente fecondo e vicino al popolo
- ad essersi imposta nella Costituzione sulla Liturgia,
e con essa sono penetrati anche alcuni errori del Parsch
- come per esempio l'esigenza di una celebrazione ver-
sus populum erroneamente giustificata sul piano stori-
co. Ma su questo punto torneremo diffusamente pi
avanti.
Era da attendersi che il clero attuale, e soprattutto
i sacerdoti giovani, che non sono stati educati al rigore
nella Liturgia, non si sarebbero fermati alla Liturgia
popolare di Pius Parsch, ma, partendo dal proprio pun-
to di vista (che sovente non conforme a quello catto-
lico tradizionale), avrebbero sviluppato nuove idee su
un Culto conforme ai tempi :, I padri della riforma li-
turgica non potevano immaginare che la pietra da loro
rimossa avrebbe fatto crollare tutte le consuete forme
del Culto, e perfino la nuova Liturgia da loro stessi
creata .
. Quanto ottimistiche risuonano ancora, per esempio,
le parole .della lettera pastorale dei Vescovi austriaci
dell'8 febbraio 1965 sull'introduzione della nuova Litur-
gia! Per molti dei nostri confratelli nel ministero sa-
cerdotale ci non sar certo facile, ma presto essi po-
tranno constatare che in questo modo nulla viene abo-
lito ma, anzi, ci viene nuovamente donato qualcosa. Per
raggiungere questa grande mta, ossia il rinnovamento
religioso delle nostre comunit parrocchiali, tutti i pa-
stori di anime avranno certamente a cuore di celebrare
sin dall'inizio la Liturgia nel modo pi bello possibile .
E poich oggi sono state abolite quasi tutte le forme
della piet extr:aliturgica e del costume ecclesiale, i dan-
ni da tutto ci derivati alle anime sono difficilmente cal-
colabili. Bisogner attendere per vedere quali conseguen-
ze tale distruzione potr maturare in venti o trent'anni
18
alla generazione attualmente in giovane et, che non si
sar pi nutrita della sostanza come la vecchia. Per
contro, i pochi aspetti positivi della riforma liturgica,
tra i quali va senza dubbio annoverata una pi attiva
partecipazione dei fedeli, non possono in alcun modo
compensare di tanto danno.
19
molti secoli e che i Francescani avevano gi introdotto
in gran parte dell'Occidente: un Messale, tuttavia, che
non era mai stati imposto universalmente. in modo
unilaterale)';. Le modifiche apportate da san Piu V al Mes-
sale della Curia si rivelano talmente modeste da poter
essere scorte s(,ltanto dallo specialista.
Un altro stratagemma del Rennings quello
di non distinguere chiaramente l'Ordo Missae dai Propri
delle Messe per i singoli giorni e le singole festivit. Eb-
bene, fino 'a Paolo VI, i Papi non hanno mai apportato
alcun cambiamento all'Orda Missae, mentre dal Conci-
lio di Trento in poi hanno cominciato a introdurre in
maggior misura, per nuove festivit, anche nuovi Pro-
pri. Da tali novit, per, la Messa Tridentina non
mai stata abrogata (esattamente come le aggiunte al Co-
dice Civile, per esempio, non abrogano questo come
tale).
Noi parliamo dunque, piuttosto, di Ritus Romanus,
e lo contrapponiamo al Ritus modernus. Come abbiamo
mostrato, il Rito Romano risale, in parte considerevole,
almeno al sec. IV. Il Canone della Messa, salvo piccole
modifiche effettuate sotto san Gregorio Magno (590-604),
-gi sotto Gelasio I (492-496) risultava nella forma che ha
conservato fino ai nostri giorni. L'unico punto su cui
tutti i papi, dal sec. V in hanno sempre insistito
stata l'estensione alla Chiesa Universale di questo Cano-
ne Romano, sempre ribadendo che esso risale all'Apo-
stolo Pietro. Nella composizione di altre parti dell'Orda
Missae, cos come nella scelta dei Propri delle Messe, es-
si hanno rispettato le usanze delle Chiese locali.
Fino a Gregorio Magno, non esisteva nemmeno un
Messale ufficiale contenente i Propri delle Messe per le
singole feste dell'anno. Il Liber Sacramentorum, compo-
sto da Gregorio Magno all'inizio del suo pontificato, era
destinato soltanto alle funzioni liturgiche delle Stazioni
20
romane, ossia alla Liturgia pontificale. Gregorio non in-
tese rendere obbligatorio questo Messale in tutto l'Oc-
cidente 16 Che esso abbia costituito pi tardi la base del
Messale curiale, quindi del Missale Romanum, dipende
da una serie di fattori che qui possiamo esimerci dal
considerare.
Nel Medioevo, quasi ogni Chiesa locale, o ,almeno qua-
si ogni diocesi, utilizzava un proprio Messale, quando
non aveva spontaneamente adottato il Messale della Cu-
ria. Nessun Papa interfer mai in tali decisioni. Differen-
ziate erano soprattutto le parti dell'Orda Missae che il
celebrante doveva recitare sottovoce, come le preghiere
iniziali ai piedi dell'altare, le preghiere dell'Offertorio
(dette anche Canone minore) e le preghiere prima del-
la Comunione, dunque le preghiere private del sacer-
dote. Le parti cantate della Messa, invece, erano nella
Chiesa Latina sostanzialmente uguali dappertutto. Solo
alcune, poche, Letture o orazioni differivano da luogo a
luogo.
Le cose erano a questo punto, quando fu indetto il
Concilio di Trento a difesa dal protestantesimo. Esso
decret la pubblicazione di un Messale perfezionato e
uniforme per tutti. Che cosa fece san Pio \. Egli pre-
se, come gi detto, il Messale della Curia in uso a Roma
e in molti altri luoghi, e lo perfezion, riducendo, fra
l'altro, il numero delle Feste dei Santi. Ma non impose
l'obbligo di questo Messale a tutta la Chiesa: rispett
bens tradizioni locali risalenti a soli duecento 'anni ad-
dietro. Tanto bastava per essere dispensati dall'obbligo
dell'adozione del Missale Romanum. Il fatto che la mag-
gioranza delle diocesi abbia ben presto adottato questo
Messale, dovuto ad altre cause. Da Roma non venne
esercitata alcuna pressione, e ci in un'epoca in cui, con-
trariamente a quanto avviene oggigiorno, non si parlava
n di pluralismo n di tolleranza.
21
Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e pro-
prio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII,
con !'introduzione della nuova Liturgia della Settimana
Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla not-
te di Pasqua sarebbe stato possibile anche senza grandi
modifiche. A lui segu Giovanni XXIII, ron il nuovo or-
dinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, co-
munque, il Canone della Messa rest intatto, non venne
minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, ve-
ro, furono aperte le porte a un ordinamento della Litur-
gia Romana radicalmente nuovo.
Noi l'abbiamo vissuto, e ora ci troviamo davanti alle
rovine, non gi della Messa Tridentina , bens dell'an-
tico Rito Romano che in un lungo periodo di tempo si
era sviluppato fino alla maturazione. Possiamo
ammettere che non fosse tutto perfetto, ma con appena
alcuni miglioramenti lo si sarebbe potuto facilmente adat-
tare al tempo nostro. Su ci torneremo ancora.
22
Perfino ai loro inizi le forme del Culto cristiano non
avevano nulla di fondamentalmente nuovo. Come la Chie-
sa primitiva si distacc solo gradualmente dalla Sinago-
ga, cos anche le fonne della giovane comuni-
t cristiana si distinsero gradualmente dal rito ebraico.
Ci vale per la celebrazione dell'Eucaristia, che in chia-
ra relazione coi pasti rituali degli ebrei (per esempio del
Sabato o della Pasqua), sia per le pi antiche parti del-
l'Ufficio delle Ore Canoniche; che si basa su quello si-
nagogale.
Alla rottura con la Sinagoga si giunse a causa della
fede nella Risurrezione. Nelle questioni rituali, invece,
in pratica non esistevano differenze con gli ebrei. Cos,
dopo la Pentecoste, i neobattezzati ancora prendevano
parte alle funzioni del Tempio (cf. Atti 2.46), e san Paolo
rispett il voto dei quattro Nazirei e fece offrire il sacri-
ficio prescritto nel Tempio di Gerusalemme (cf. Atti
21.23-26).
La novit specifica del Culto cristiano, ossia il Me-
moriale del Signore mediante la ripetizione dell'Azione
da Lui compiuta nel Cenacolo, in origine si collegava
organicamente al rito giudaico della fractio panis. Ci
era tanto pi lecito in quanto Ges stesso, nella Cena
di addio, la sera prima della Sua Passione, si era atte-
nuto al rito degli ebrejl8.
Quanto detto per la Chiesa primitiva vale anche per
la giovane Chiesa. Nei primi tre-quattro secoli, invero,
non si usava ovunque un medesimo testo liturgico, ep-
pure il Culto cristiano si ovunque in mqdo ab-
bastanza uniforme. Una certa tensione si cre nel sec.
II, allorch in molti luoghi, soprattutto in
(Roma), fu cambiata la data della Pasqua ed essa non
venne pi fatta coincidere con la Pasqua ebraica. Si
giunse quasi a uno scisma con le Chiese dell'Asia Mino-
re. Il papa Aniceto e il vescovo Policarpo di Smirne, in-
23
fine, si accordarono pacificamente. Le due Chiese pote-
vano conservare ciascuna la propria usanza in quanto
entrambe potevano richiamarsi alla Tradizione l9
2) Se nel corso del tempo un rito si evolve, possi-
bile e lecito un suo sempre ulteriore sviluppo, a patto
per che esso rispetti la qualit in temporale di ogni rito
e si effettui organicamente.
Cos, la libert di culto concessa ai cristiani da Co-
stantino ebbe come conseguenza, fra l'altro, un arric-
chimento del Culto stesso. La Liturgia non fu pi cele-
brata in piccole chiese domestiche, ma in splendide ba-
siliche, e ovunque con l)1aggiore solennit; nacque in
questo nuovo contesto il canto corale della Chiesa.
Dalla vieppi complessa strutturazione del Culto Di-
vino si formarono i Riti particolari dell'Oriente e del-
l'Occidente. Si tratta di sviluppi ispirati dalla Fede e de-
terminati dal carisma nonch dal prestigio di alcune
grandi personalit, perlopi santi Vescovi. E sempre si
realizzarono organicamente, cio senza fratture con la
Tradizione e senza interventi dirigistici da parte del-
l'Autorit ecclesiastica. Questa si preoccup soltanto, nei
Concili ecumenici e provinciali, di eliminare e impedire
abusi dalle celebrazioni.
3) La Chiesa Universale ammette l'esistenza di pi
Riti autonomi. In Occidente, a parte il Romano, abbiamo
il Mozarabico e l'Ambrosiano (il Rito Gallicano da se-
coli estinto); in Oriente, fra altri, il Rito Bizantino, l'Ar-
meno, il Copto, il Siro-maronita.
Poich ciascuno di questi Riti ha -avuto uno sviluppo
indipendente, esso presenta caratteristiche sue proprie.
Singole parti di uno di essi non possono pertanto essere
mutuate da un altro Rito. Non si pu, ad esempio, usare
nella Liturgia Romana una Anafora (= Prece Eucaristi-
ca) orientale o parte di essa (cosa che invece accade og-
24
gid nel nuovo rito della Messa); oppure, al contrario,
usare il Canone Romano in una delle Liturgie Orientali.
I Papi hanno sempre rispettato i vari Riti dell'Orien-
te e dell'Occidente, ma solo in casi eccezionali hanno per-
messo il passaggio di un fedele da un Rito Orientale al
Romano o viceversa. Decisivo, secondo il Codice di Di-
ritto Canonico, sempre stato il Rito con cui si rice-
. vuto il Battesimo (cf. C.LC., can. 98, par. 1).
S'impone a questo punto il quesito se il Rito mo-
derno sia un Rito nuovo, oppure un ulteriore sviluppo
organico del Rito Romano tradizionale. La risposta risul-
ta dal punto seguente:
4) Ogni. rito costituisce una unit cresciuta organica-
mente. Modificazioni di alcune sue parti sostanziali signi-
ficano pertanto la distruzione rito.
E' quanto avvenne all'epoca della Riforma, quando
Martin Lutero elimin il Canone e colleg il racconto del-
la Istituzione direttamente alla Comunione. Non occorre
dimostrare che, cos facendo, egli distrusse la Messa Ro-
mana, pur conservando alcune forme esteriori e, agli ini-
zi, perfino la foggia dei paramenti sacri e il canto corale.
Ma in seguito, abolito l'antico Rito, nelle comunit evan-
geliche si passati a sempre nuove riforme nel campo
liturgico.
5) Il ritorno a forme pi primitive non comporta ne-
cessariamente un cambiamento del rito, ed perci, en-
tro certi limiti, ammissibile. .
Cos, non si ebbe frattura alcuna nel Rito Romano
tradizionale quando san Pio X reintrodusse il gre-
goriano restaurato nelle sue forme originarie, o quando
restitU la loro primitiva importanza alle Messe delle Do-
meniche per annum nei confronti delle feste minori
dei Santi. Nemmeno il ripristino, sotto Pio XII, dell'an-
tica Liturgia Romana della Notte di Pasqua comport un
25
cambiamento del Canone, e le pur notevoli innovazioni
delle rubriche, sotto Giovanni XXIII, furono tanto poco
una vera e propria modificazione del Rito quanto l'Ordo
Missae del 1965, rimasto in vigore solo per quattro anni
e pubblicato immediatamente dopo la Costituzione con-
ciliare sulla S. Liturgia e 1' Istruzione per la corretta
applicazione della stessa20
E veniamo ora al nostro quesito: ha il Papa il diritto
di mutare un Rito che risale alla Tradizione Apostolica
e che si formato nel corso dei secoli? La nostra indagi-
ne ha fin qui mostrato come in passato l'Autorit eccle-
siastica non abbia mai influito in misura cospicua sullo
sviluppo delle forme liturgiche. Essa ha solamente san-
cito il Rito formatosi nel solco della consuetudine e, 01-
tretutto, lo ha fatto relativamente tardi, in particolare do-
po la comparsa dei libri liturgici a stampa; in Occidente,
solo dopo il Concilio di Trento.
A ci fa riferimento, seguendo il Codice di Diritto Ca-
nonico (can. 1257), l'art. 22 della Costituzione conciliare
sulla S. Liturgia, che recita: Regolare la Sacra Litur-
gia compete unicamente all'Autorit della Chiesa, la qua-
le risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto,
nel Vescovo. (...) Di conseguenza, nessun altro, assoluta-
mente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiun-
gere, togliere o mutare alcunch in materia liturgica .
Il Concilio non ha meglio che cosa significhi
regolare la Sacra Liturgia (Sacrae Liturgiae modera-
tio). Ma, rifacendoci alle consuetudini eal costume eccle-
siastico, non possibile che esso abbia inteso, con que-
sta espressione, un cos radicale rifacimento del Rito del-
la Messa e di tutti i libri liturgici qual quello che ab-
biamo visto di recente. Dal contesto si deve invece desu-
mere che i :eadri conciliari vollero soprattutto impedire
che un sacerdote qualunque, di sua iniziativa , potesse
26
combinare personalmente i Riti (la qual cosa, com'
noto, oggi all'ordine del giorno).
I riformatori non possono neppure rifarsi all'art. 25
della medesima Costituzione, in cui si legge: ({ I libri li-
turgici siano riveduti (recognoscantur) quanto prima .
Come una revisione del Rito della Messa fosse concepita
originariamente in conformit con le decisioni del Conci-
lio, lo mostra l'Orda Missae del 1965 cui abbiamo accen-
nato pi sopra. Qui, nel decreto introduttivo, detto espli-
citamente che questo riordinamento (nova recensio) del-
l'Orda Missae ha avuto luogo in ottemperanza alle mu-
tationes di cui al cap. 5 della Istruzione per la corretta
applicazione della Costituzione conciliare sulla S. Litur-
gia. Ancora il 28 maggio 1966, ricevuta l'edizione del Mes-
sale dello Schott riveduta dopo il Concilio, l'allora Segre-
tario di Stato, il Card. Cicognani, inviava per incarico
del Papa all'Arciabate di Beuron una lettera di ringrazia-
mento nella quale si legge: Caratteristica e punto cen-
trale di questa revisione la sua perfetta aderenza alla
Costituzione conciliare sulla Liturgia 21. Nulla a quel tem-
po lasciava supporre che fosse da attendersi una comples-
sa riforma del Messale.
Erano per passati appena tre anni quando Paolo VI
sorprese il mondo cattolico con un nuovo Orda Missae
che porta la data del 3 aprile 1969. Mentre la revisione del
1965 aveva lasciato inalterato il Rito tradiziqnale, pur
avendo eliminato, a norma dell'art. 50 della Costituzione
sulla Liturgia, alCune tarde aggiunte all'Ordinario della
Messa, con l'Orda Missae del 1969 creatoun nuo-
vo Rito. L'Orda tradizionale, dunque, non stato riveduto
nel senso voluto dal Concilio: bens stato totalmente
abolito e, alcuni anni dopo, addirittura proscritto.
Ci si domanda: un cos radicale rifacimento ancora
nel quadro della Tradizione della Chiesa? Alla luce di
27
quanto abbiamo esposto, da escludere che ci si possa
richiamare alle disposizioni conciliari. Che alcune parti
dell'antico Messale siano passate nel nuovo non basta, co-
me abbiamo visto all'inizio, perch si possa parlare di
continuit del Rito Romano, bench si tenti ripetutamen-
te di dimostrarla, tale continuit.
Un diritto esclusivo del Papa di introdurre un nuovo
Rito anche senza una disposizIone conciliare nascerebbe,
cos si ragiona, dalla sua piena e suprema autorit
(piena et suprema potestas), di cui parla il Vaticano I,
in quelle materie quae ad disciplinam et regimen Eccle-
siae per totum orbem diffusae pertinent (Denz. 1831).
Ma nel termine disciplina non assolutamente com-
preso quel Rito della Messa che tutti i Papi hanno sem-
pre detto e.ribadito risalire alla Tradizione Apostolica 22
Tale coerenza del Magistero pontificio sufficiente da so-
la a escludere che quel Rito rientri nel concetto di di-
sciplina e governo della Chiesa. A ci si aggiunga che
nessun documento, neppure il Codice di Diritto Canoni-
co, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo
Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito tradi-
zionale. Nemmeno si parla in alcun luogo di un suo di-
ritto di modificare singole consuetudini liturgiche. Tanto
silenzio , nel nostro caso, di estrema importanza.
Alla pIena et suprema potestas del Papa sono chia-
ramente posti dei limiti. E' indiscutibile che egli, nelle
questioni dogmatiche, deve attenersi alla Tradizione del-
la Chiesa Universale, ossia a quod semper, quod ubi-
que, quod ab omnibus creditum est , come dice san Vin-
cenzo di Lerino. Pi di un autore esprime l'opinione che
non rientri nei poteri del Papa l'abolizione del Rito tradi-
zionale.
Il famoso teologo SWlrez (+ 1617), rifacendosi a pre-
cedenti autori, fra cui il Cajetano (+ 1534), sostiene che
28
un papa diventerebbe scismatico se non volesse mante-
nersi, come suo dovere, in unione e collegamento con
l'intero corpo del al Chiesa, al punto di tentare di scomu-
nicare l'intera Chiesa o di mutare i Riti confermati dalla
Tradizione Apostolica 23.
Chi voglia trascurare il parere del Smirez consideri al-
lora l'argomento seguente, che forse, in rapporto alla que-
stione della libera potest normativa del Papa riguardo
cui abbiamo gi accennato, che, fino 'a Paolo VI, nessun
Papa aveva intrapreso un cos totale cambiamento delle
forme liturgiche; anzi, nemmeno talune, minime, innova-
zioni nel Rito erano mai state accettate senza difficolt.
Quando, nel Rito della citt di Roma, san Gregorio
Magno (+ 604) spost la fractio Panis dalla fine del Ca-
none alla fase immediatamente precedente la Comunione,
secondo il modello della Liturgia Bizantina, tale innova-
zione venne aspramente criticata ed ebbe come conseguen-
za che il Papa, in una lettera al Vescovo di Siracusa, do-
vette giustificare questa e altre piccole innovazioni litur-
giche 24 In molti luoghi, le riforme di papa Gregorio non
vennero accolte da tutti prima del sec. VIII.
Questo santo Pontefice, d'altronde, non intendeva af-
fatto introdurre fuori di Roma il Messale da lui redatto:
il Liber Sacramento rum Romanae Ecclesiae 25 Esso, inol-
tre, era destinato alla Liturgia pontificale delle Stazioni,
non alla Liturgia nelle parrocchie (chiese titolari). E' no-
ta la sua affermazione di principio: In una Fide niI of-
ficit Sanctae Ecclesiae consuetudo diversa 26, ossia: Pur-
ch resti garantita l'unit della Fede, la variet delle con-
suetudini rituali (consuetudo) non costituisce alcun peri-
colo per la S. Chiesa .
Che il Liber di san Gregorio sia divenuto pi tardi la
base del Missale Romanum si spiega con la sua progres-
siva introduzione anche fuori di Roma. Per reverenza, per
29
venerazione verso la Sede di Pietro, si volle adottare il
Rito della citt di Roma sebbene nessun Papa, nemmeno
dopo Gregorio, avesse insistito sulla estensione di questo
Sacramentario alla Chiesa intera. Vale la pena di ram-
mentare, a tale proposito, che san Bonifacio, il quale era
solito seguire scrupolosamente le disposizioni dei Papi, e
fare capo a Roma anche per piccole cose, non adott il
Messale della citt di Roma, ma conserv quello in uso
nel suo monastero d'origine, nel Nord
Tale Messale era completamente diverso, nelle Orazioni
e nei Prefazi, dal Romano; aveva in comune con questo
soltanto il Canone e, perdipi, in una redazione risalente
a un'epoca anteriore a papa' Gregorio 21
Di certo non compito della Sede Apostolica introdur-
re mutamenti nella Liturgia. Il dovere primario del Som-
mo Pontefice in quanto Supremo Vescovo (Episcopo, os-
sia ispettore), quello di vigilare sulla Tradizione, sia nel
campo dogmatico che in quello morale e liturgico.
Nei pieni poteri della Sede Apostolica rientrano inve-
ce, dal Concilio di Trento in poi, la revisione dei libri li-
turgici, ossia la verifica delle edizioni a stampa, e !'intro-
duzione di piccole modifiche: per esempio, l'introduzione
di nuove Feste. Cos, per disposizione del Concilio di
Trento, san Pio V sottopose a revisione il Messale della
Curia Romana, gi in uso a Roma e in molte parti della
Chiesa d'Occidente, pubblicandolo nel 1570 come Missale
Romanum. Come dimostrato pi sopra, non si pu assolu-
tamente parlare di un Messale nuovo a proposito di que-
sto Messale detto di san Pio V .
Va inoltre tenuto presente che non solo nella Chiesa La-
tina, ma nemmeno in Oriente un Patriarca o Metropolita
ha mai intrapreso e imposto d'autorit una sua riforma
liturgica. Nel corso dei secoli, in Oriente come in Occiden-
te, ha avuto bens luogo un'organica evoluzione delle for-
30
me liturgiche. Allorch il Patriarca Nikon di Mosca (sec.
XVII) introdusse nella pratica liturgica alcuni mutamenti
non proprio sostanziali, concernenti, ad esempio, il modo
di trascrivere il nome Ges (Isus, e non pi lisus) o il nu- .
mero delle dita con cui farsi il segno della Croce (tre, non
pi due), ecc., provoc uno scisma. Circa dodici milioni
di fedeli, che poi sarebbero stati chiamati' vecchi cre-
denti , si divisero (Raskolniki) dalla Chiesa ufficiale rus-
sa28
Occorre altres aggiungere che, rispetto ad un organi-
co sviluppo a lungo termine, non vi sarebbe stato nulla a
ridire se per esempio il Papa, in seguito ai decreti del
Vaticano II, avesse consentito a 9.ualche novit ad libi-
tum o l'avesse permessa ad experimentum senza che
ci comportasse un mutamento del Rito.
Il mutamento del Rito non avvenuto soltanto attra-
verso l'Ordo Missae del 1969, ma anche attraverso una
riforma di vasta portata del calendario liturgico. L'aggiun-
ta o l'eliminazione della festa di un Santo, di certo non
avrebbe di per s modificato il Rito. Lo hanno invece mo-
dificato la quantit e qualit delle innovazioni introdot-
te nell'ambito complessivo della riforma liturgica, per cui
ben poco rimasto com'era prima.
Poich non esiste un documento che parli espressa-
mente di un diritto della Sede Apostolica ,di modificare
o addirittura abolire il Rito tradizionale, e pokh, oltre-
tutto, dimostrabile che nessun Predecessore di Paolo VI
ha mai attuato considerevoli modifiche nella Liturgia Ro-
mana, dovrebbe essere pi che dubbio se un cambiamento
del Rito rientri nei poteri e nelle competenze della Sede
Apo:,tolica. Ad essa spetta bens, senza dubbio il diritto
di sanzionare i libri liturgici e di vigilare su di essi, come
pure, in generale, sugli usi liturgicj29.
31
La riforma dell'Ordo Missae. Le disposizioni del Concilio
potevano essere attuate anche senza cambiare il rito
della Messa?
32
reso obbligatorio sotto Paolo VI, e soprattutto le modi-
fiche che risultano apportate alla sostanza del rito della
Messa. In quale misura, anche in questo come nel caso
di Lutero, abbiano influito convinzipni di ordine 'dogma-
tico, non stato ancora sufficientemente appurato 35 In
un suo studio, G. May evidenzia, fra l'altro, la avvenuta
riduzione dell'elemento latreutico , la soppressione di
formule trinitarie e 1' indebolimento della posizione del
sacerdote 36. La tragedia sta nel fatto che gran parte de-
gli elaboratori dei nuovi libri liturgici, soprattutto Vesco-
vi e sacerdoti provenienti da esperienze con movimenti
giovanili, erano certamente in buona fede e non hanno
scorto minimamente, o non hanno scorto subito, gli aspet-
ti negativi delle riforme. Pi che altro, essi hanno visto
accolti nella nuova Litur:gia i loro desideri e le loro atte-
se di vecchia data 37 E' certo, comunque, che ispiratrice
delle riforme fu la nuova teologia (liberale). Ci par-
ticolarmente palese nel libro dei canti tedesco, il Gotte-
slob 3s Non si pu tuttavia sostenere, come a volte succe-
de, che la Messa secondo il Novus Ordo sia di per s in-
valida, ma il numero delle messe realmente invalide po-
trebbe essere notevolmente aumentato dal tempo dell'in-
troduzione delle riforme. N -le pressanti implorazioni di
benemeriti Cardinali che avevano espresso riserve di or-
dine dogmatico sul Novus Ordo della Messa39 , n le acco-
rate suppliche di fedeli da tutto il mondo, riuscirono a
far desistere Paolo VI dall'introdurre in modo gen.erale
il n'uovo Messale. Ci mostra egli fosse personl-
mente impegnato in tutte queste riforme. Nemmeno il pe-
ricolo di un nuovo scisma, come nel caso Lefebvre, pot
indurlo a, come minimo, tollerare l'antico Rito Romano
accanto al nuovo - cosa che, nell'attuale di plu-
ralismo nella Chiesa, si poteva ragionevolmente suppor-
re fosse ovvia.
Ma veniamo all'altro quesito che ci siamo posti all'ini-
33
zio. Le riforme attuate dopo il Concilio erano forse neces-
sarie nella loro globalit, e che cosa se ne ricavato per
il bene delle anime? E soprattutto: erano quelle richie-
ste dai Padri conciliari? E' una fondamentale preoccupa-
zione della Chiesa - e il Concilio la espresse (Cost. Sa-
crosanctum Consilium, 48) - che i fedeli non assistano
come estranei o muti spettatori a questo Mistero di Fede
[il Mistero Eucaristico], ma che comprendendolo bene
per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all'azione
sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano
istruiti nella parola di Dio; si imtrano alla mensa del Cor-
po del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo l'Ostia
immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma
insieme con lui, imparino ad offrire se stessi)} 40.
La celebrazione della S. Messa forse divenuta pi
attraente per i fedeli, dopo il Concilio? La Liturgia rin-
novata ha forse contribuito ad accrescere la fede consa-
pevole e la piet? Probabilmente no. Gi il breve tempo
trascorso dall'introduzione del Novus Orda Missae del
1969 ha reso evidente che le nostre chiese sono sempre.
pi disertate e che il numero dei sacerdoti e religiosi di-
minuisce a un ritmo spaventoso. Una tale situazione ha
certamente una serie di cause. Non solo la riforma litur-
gica non ha saputo almeno arrestare l'andamento negati-
vo, ma prohabilmente ha non poco contribuito a incre-
mentarlo.
Qui di seguito si dimostrer che la strutturazione del-
l'Orda Missae del 1969 andata molto al di l dello 'spi-
rito e del dettato conciliari nonch delle esigenze di una
pastorale adatta ai tempi. Si vedr, inoltre, che le istan-
ze del Concilio in campo liturgico potevano essere at-
tuate senza sostanziali modifiche nel rito tradizionale
della Messa.
Che inizialmente non si pensasse affatto a una rifor-
ma radicale dell'Orda Missae si desume dalla pubblica-
34
zione del gi menzionato Ordo del 1965. Come detto nel-
!'introduzione, in esso si tiene conto delle istanze espres-
se nella Costituzione conciliare sulla S. Liturgia41 , e il vec-
chio Rito non viene toccato, se si eccettuano alcune lievi
modifiche e abbreviazioni, come l'eliminazione del Salmo
42 all'inizio e quella dell'ultimo Vangelo.
Vero che, nella Instructio ad exequendam Constitu-
tionem de Sancta Liturgia del 26-9-1964 si accennava a
una futura librorum liturgico rum instauratio (I, 3).
Il teologo non prevenuto, conoscendo il tradizionale mo-
do di procedere di Roma, avr pensato che si sarebbe
trattato di una misurata revisione, soprattutto di un ar-
ricchimento, dei libri liturgici esistenti, ma non mai di
una totale modificazione del rito della Messa. Altrimenti,
il decreto promulgante l'Ordo Missae del 1965 avrebbe
mai stabilito che questo venisse assunto nelle nuove edi-
zioni del M.issale Romanum (in novis Missalis Romani edi-
tionibus assumeretur)? Non si fanno certo ,stampare nuo-
vi Messali se li si prevede validi per quattro anni soltan-
to! L'Ordo Missae del 1965 era dunque, con ogni proba-
bilit, gi destinato ai ,Messali rinnovati nel senso della
Instructio.
Nell'art. 50 della Costituzione sulla S.' Liturgia si dice
che nella revisione del Rito devono essere soppressi que-
gli elementi che col passare dei secoli furono duplicati
o meno utilmente aggiunti . La prescrizione purtroppo
formulata in termini genrici. La maggioranza dei Padri
conciliari avr pensato, probabilmente, al doppio Confi-
teor (allJinizio della Messa e prima della distribuzione del-
la Comunione), alcune preghiere private del celebrante,
e all'ultimo Vangelo.
Nello stesso articolo altres detto: Alcuni elementi
invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti,
secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembre-
r opportuna o necessaria . Si sar pensato innanzi tutto
35
alla Preghiera dei Fedeli prima dell'Offertorio, e ad una
pi ricca scelta di Prefazi. Ma di ci parleremo pi avanti.
Non vi sarebbe stato nulla a ridire su tali modifiche
perch con esse il Rito tradizionale non sarebbe stato di-
strutto, ma piuttostQ vitalizzato e, come avvenuto nei
secoli passati, ancora e di nuovo si sarebbe sviluppato
organicamente. Ma esaminiamo ora nei dettagli quali in-
novazioni hanno comportato l'Ordo Missae del 1969 (os-
sia solo quattro anni dopo la revisione del 1965!) e la sua
edizi'one tedesca del 197642
Una vasta creazione ex novo costituiscono, proprio al-
!'inizio della celebrazione, i ritus initiales . Essi
stono in un saluto all'assemblea - che pu essere
ampliato da una presentazione della Messa del giorno -
e nella confessione generale peccati , a cui seguono
il Kyrie e il Gloria, oppure testi corrispondenti o canti.
I riti iniziali, che particolarmente nell'edizione tedesca
del Messale, sono accompagnati da numerosi suggerimen-
ti (il cui accoglimento reso facoltativo dal potest
che puntualmente li precede), aprono tutte le porte al-
l'arbitrio del celebrante. Quanti discorsi devono ricorren-
temente sorbire i fedeli sin dall'inizio della Messa! Non
diversamente, del resto, da quanto accade in alcune co-
munit protestanti...
Prima, se un parroco voleva spiegare ai fedeli la Mes-
sa del. giorno - cosa che era ed auspicabile - poteva
farlo prima di iniziare la celebrazione vera e propria, sen-
za spezzare la Messa con una seconda predica . La fran-
tumazione oggi resa particolarmente evidente nella Mes-
sa solenne in latino, dove all'Introito cantato segue so-
vente un prolungato indirizzo di saluto con spiegazione
introduttiva, seguito, a sua volta, dalla confessione ge-
nerale dei peccati . .
Stimolare intensamente i fedeli a pentirsi e confessa-
re le colpe commesse: questa l'importante funzione del
36
Confiteor. Ma sar lecito domandarsi se sia stato un be-
ne riservargli un luogo fisso all'interno della Messa, o se
esso non abbia finito per diventare col tempo una mera
formula. Per nessun motivo l'importanza della confessio-
ne sacramentale deve risultare attenuata.
E' noto dalla storia della Liturgia che nel Rito Roma-
no, sin verso la fine del primo millennio, vigeva soltanto
una preparazione silenziosa del celebrante. Entrato in
chiesa, egli restava ai piedi dell'altare profondamente in-
chinato fino al Gloria Patri del Canto d'ingresso. La pre-
ghiera ai piedi dell'altare, introdotta gradualmente pi
tardi e tramandata in varie redazioni, non avveniva in
forma dialogata tra il sacerdote e i fedeli. Tale diven-
tata soltanto negli anni Venti, nella Messa comunita-
ria .
La confessione generale dei peccati , invece, era no-
ta come confessio publica gi nell'Alto Medioevo, ma
non si faceva all'inizio della Messa bens dopo l'omelia;
solo da alcuni decenni andata gradualmente scomparen-
do, da noi. Le pi antiche formule che si sono conser-
vate risalgono al sec. IX 43 Insieme al Padre nostro e alle
domande del Battesimo, sono tra i pi antichi monumen-
ti liturgici in antico alto-tedesco.
Quanto alla Liturgia della Parola (Liturgia Verbi)44
del Novus Orda, nulla da eccepire sulla possibilit di una
Lezione tratta dall'Antico Testamento e, ancor meno, sul-
la lettura in volgare delle pericopi, come prevede l'art. 36
par. 2 della Costituzione sulla Liturgia.
L'uso della lingua volgare nelle Letture non era estra-
neo, originariamente, alla Liturgia Romana. Nel sec. IX,
gli apostoli degli Slavi, i santi Cirillo e Metodio, nel corso
della loro attivit missionaria in Moravia poterono uti-
lizzare la loro traduzione in slavo dell'Evangeliario lati-
n0 45 A Roma, d'altra parte, fino a un'epoca avanzata del
Medio Evo, le Letture in latino venivano, almeno in cer-
37
ti giorni, ripetute in greco per i fedeli di lingua greca48
Tutte le riserve sono invece da fare per quanto con-
cerne il nuovo ordinamento delle Letture. In adempimen-
to all'art. 35 della Costituzione sulla Liturgia, senza dub-
bio sarebbe stato giusto creare nuove pericopi per le do-
meniche e una Lettura continua (lectio continua) per i
giorni feriali. Questo sarebbe stato un arricchimento del-
l'antico Messale 41 Per quale motivo stato invece abolito
completamente l'ordinamento delle antiche pericopi? Su
questo punto ritorneremo.
Che il celebrante, mentre il lettore fa le Letture, sieda
nel suo stallo era pure un antico uso che, nel Rito Roma-
no, rimasto pi tardi solo nella Messa pontificale. A
questo riguardo, dunque, nulla dire sul nuovo Rito,
e nemmeno riguardo alla Preghiera dei Fedeli che, per
l'art. 53 della Costo sulla Liturgia, ha luogo alla fine della
Liturgia della Parola. Tale Preghiera si trova a questo
punto in tutti i Riti, e anticamente faceva parte anche
della Liturgia Romana. Il solitario Oremus prima del-
l'Offertorio, nel Rito tradizionale della Messa, ancora ne
testimonia4&.
Dal Medio Evo fino ai tempi moderni si supplito con
la Preghiera generale. Essa veniva recitata dal sacerdote
in lingua volgare, dal pulpito dopo l'omelia, insieme alla
Confessio publica 49, bench questa non fosse certo la
soluzione ideale.
A differenza di quanto avviene tuttora nei Riti Orien-
tali, e avveniva nei Riti Ambrosiano e pur-
troppo nel nuovo Messale il testo delle intenzioni da espri-
mere nella Preghiera dei Fedeli non stato fissato. Le for-
mulazioni di quei Riti potevano ben essere prese a esem-
pio. Nella libera formulazione delle intenzioni, di fatto si
assiste oggi,. da noi, ai peggiori abusi. Anche i formulari
offerti in raccolte apposite sono scarsamente utilizzabili.
Nuova, e in contraddizione con la tradizione liturgica,
38
la recitazione della Preghiera non all'altare, ma dagli
stalli. Per una Preghiera pi lunga, per es. per le Ora-
tiones sollemnes del Venerd Santo, un tempo il cele-
brante si portava davanti all'altare s1 in modo da recitare
rivolto a oriente la Preghiera insieme ai fedeli.
Della celebrazione versus populum , nel Novus Ordo
non (ancora) prescritta come obbligatoria, ma auspicata
dalla Instructio generalis s2 , diremo dettagliatamente pi
avanti.
La parte successiva della Messa intitolata, nel nuovo
Messale, Liturgia Eucaristica . Che in questa denomi-
nazione manchi ogni, anche minimo, riferimento alla Mes-
sa come Sacrificio, un fatto che qui ci limitiamo a men-
zionare soltanto, stiamo trattando soprattutto del
rituale della Messa.
La prima parte della Liturgia Eucaristica viene deno-
minata Preparazione delle Offerte . Mentre nella re-
dazione latina delle nuove preghiere ancora compare la
parola offerimus , la traduzione tedesca attenua quel-
1' offerimus fino ad un Noi, portiamo questo pane/
questo calice davanti al tuo cospetto .
Dal punto di vista della storia della Liturgia non vi
sarebbe nulla da obiettare a nuove preghiere. offertoriali.
Ancora fino al Medio Evo, il Rito Romano non conosceva
infatti, accanto alla preghiera super oblata (la Secre-
ta), formule di tal genere. I testi gradualmente introdotti
pi tardi, chiamati anche Canon minor , non avevano
dappertutto n un identico dettato n un identico ordine
di successione, e venivano recitati dal segre-
tamente . I nuovi testi, comunque, sono poco soddisfa-
centi.
La seconda parte detta Preghiera Eucaristica
(Prex Eucharistica). La antica denominazione romana era
Prex Oblationis (Preghiera dell'Offerta), talvolta an-
che solo Prex o Oblatio . E' in questa parte della
39
nuova Messa che si trovano le pi cospicue innovaziom
rispetto al Rito tradizionale. La meno fondamentale la
dovizia dei Prefazi, poich i Sacramentari dell'Alto Medio-
evo, come ancor oggi il Messale Ambrosiano, similmente
hanno Prefazi propri per quasi ogni Messa.
Una completa rottura con la Tradizione
tata invece dai tre nuovi Canoni. Essi sono stati creati
ex novo sulla scorta di Anafore orientali o gallicane e co-
stituiscono, quanto meno stilisticamente, altrettanti cor-
pi estranei al Rito Romano. Alcuni teologi, perdipi, ma-
nifestano perplessit di fronte a tal une formulazionpa.
Nelle Chiese Orientali, la compagine dei Riti della Con-
sacrazione (l'Anafora, o Prece dell'Oblazione Sacrificale)
diversa da quella del Mentre qui la
prima parte, ossia la preghiera eucaristica (= di ringra-
ziamento) propriamente detta, il Prefazio, variabile, le
preghiere che precedono e seguono il racconto della Isti-
tuzione hanno sempre !'identico testo, onde il nome com-
plessivo di Prex canonica (Prece fissata) ovvero, pi
tardi, Canon Missae Nelle Chiese Orientali, invece,
ogni Anafora fissa, non presenta parti variabili, ma non
vi una sola Anafora. Il Rito Bizantino, per esempio, ne
ha due: quella di san Giovanni Crisostomo e quella di san
Basilio M.; altri Riti hanno anche pi di due formulari.
Non prevista dal Concilio, e pastoralmente inutile, fu
la modifica, ordinata da Paolo VI, del testo del racconto
della Istituzione, testo usato nel Canone Romano da pi
di 1500 anni. Problematica - anzi, motivo di scandalo,
innanzitutto la traduzione di pro multis con per tut-
ti : traduzione che suona omaggio a certa teologia mo-
derna molto liberale, e che non giustificata da alcun
testo liturgico Sul piano del rituale, poi, colpi-
sce il fatto che siano state immotivatamente spostate le
parole mysterium Fidei (I Tim ..9.), inserite sin dal
sec. VI nella consacrazione del per utilizzarle in
40
una esclamazione del celebrante dopo la Consacrazione.
L'esclamazione Mfsterium Fidei certamente una no-
vit. L'acclamazione del popolo Annunciamo la tua mor-
te ... si trova soltanto in alcune Anafore copte57 ; non
compare negli altri Riti orientali e in nessuna delle altre
Preci occidentali; al Canone Romano non si adatta nem-
meno stilisticamente. Essa rappresepta, inoltre, una bru-
sca variazione all'interno delle preghiere rivolte a Dio
Padre.
La terza parte della celebrazione eucaristica det-
ta della Comunione . Nel Novus ardo, il Pater non vie-
ne pi recitato dal celebrante dopo la consueta introdu-
zione (ma senza il preventivo Oremus), bens dal popolo
soltanto. Ci di per s corrisponderebbe a una consuetu-
dine dei Riti orientali 58 , senonch, nel Novus ardo Missae,
non si tratta di una recezione da questi, bens dalla Mes-
sa comunitaria degli anni Venti. Sulla nuova forma il
giudizio diviso: vi sono argomenti pro, e argomenti con-
tra. Si tratta comunque di una notevole modifica che col-
pisce soprattutto nella Messa cantata.
E' stata altres modificata la preghiera successiva (Li-
bera nos),' non solo perch ne stata tolta la menzione
della Madre di Dio e di alcuni santi Apostoli, ma perch
le stata data una conclusione nuova59 Essa, inoltre,
seguita dalla dossologia Perch Tuo il Regno ... , con
la novit che il popolo ad innalzarla. Effettivamente, i
Riti orientali presentano anche la dossologia a questo
punto, ma nella formula pi ampia, trinitaria; per il
celebrante a concludere con essa la preghiera dominica
recitata dai fedeli o cantata dal coro. Nel nuovo ardo Mis-
sae, in realt, la dossologia risulta chiaramente recepita
dal rito protestante, per il testo e per il fatto che il po-
polo a pronunciarla.
Anche il rito e le preghiere della Comunione hanno do-
vuto subire modificazioni profonde. Il problema della
41
comunione nella mano non sar qui trattato perch non
previsto dall'Orda Missae latino del 1969.
La preghiera privata di preparazione del celebrante
- preghiera inserita nella Messa Romana in epoca rela-
tivamente tarda (sec. XI) - nel nuovo Rito viene pronun-
ciata ad alta voce. Ora la seguono il saluto di benedizio-
ne Pax Domini (prima veniva subito dopo il Libera
nos) , il bacio di pace e la traclio dell'Ostia Santa (prima
era alla fine del Libera nos).
Durante la tractio Panis, il nuovo Rito prevede l'Agnus
Dei. Se il coro deve eseguirlo polifonicamente, il nuovo
Rito gli riserva un tempo troppo breve. Infatti, immedia-
tamente dopo la tractio, dovrebbe essere pronunciato ad
alta voce l'invito alla Comuniorte. A differenza che nel
Rito tradizionale, tale invito posto prima della comu-
nione del celebrante. Tutto ci non pare costituire una
soluzione felice e, rispetto alla antica Messa, non nem-
meno pastoralmente pi efficace.
Sar lecito domandarsi che cosa mai si sia voluto ot-
tenere con tante e tali modifiche, a volte anche piccole.
Si sono forse volute soddisfare le istanze di alcuni litur-
gisti, e ci a scapito di un Rito pi che millenario? Oppu-
re si voluto consapevolmente distruggere'l'ordinamento
tradizionale? Come mai si voluto porre accenti che
risultano in contrasto con la Fede dalla quale cresciuto
l'antico Rito?
A ogni buon conto, dal punto di vista pastorale (e pa-
storale era stata la cura e la sollecitudine dei Padri con-
ciliari), la maggior parte delle riforme non era, come ab-
biamo visto, necessaria. Per rendere, ad esempio, pasto-
ralmente pi fruttuosa la distribuzione della Comunione,
sarebbe stato sufficiente concedere nuove formule ad
libitum in volgare, in luogo delle latine Ecce Agnus
Dei e Domine, non sum dignus . E la teintroduzione
del bacio di pace , in una forma adatta alla sensibilit
42
dei singoli popoli, non avrebbe presentato difficolt nel
Rito tradizionale.
Uno sconvolgimento non necessario dell'antica Litur-
gia rappresentano pure le seguenti modificazioni: l'omis-
sione del Dominus vobiscum prima della Colletta, dell'Of-
fertorio e del Postcommunio; la riduzione della formula
conclusiva Per Dominum nostrum ... nella breve Per
Cristo nostro Signore ; lo spostamento dell'lte. Missa
est a dopo la benedizione finale 60 .
43
giorni feriali); la reintroduzione della Preghiera dei Fe-
deli prima dell'Offertorio; l'aggiunta, al canto della schola,
di inni religiosi eseguiti dai fedeW tutto ci sarebbe sta-
to sufficiente perch i fedeli prendessero. una :parte pi
attiva al Culto Divino.
Di uso esclusiyo della lingua volgare - la qual cosa,
in un'epoca quale la presente, di turismo di massa e di
emigrazione/immigrazione di lavoratori stranieri, una
manifestazione di vero e proprio provincialismo - non
parla affatto l'art. 36 della Costituzione sulla Liturgia.
Nemmeno dell'abolizione del canto gregoriano possibile
trovare traccia in .questo documento conciliare.
Non ci si accontentati, purtroppo, di attuare alcune
ragionevoli e necessarie riforme; non si tenuto conto
dell'art. 23 della Costituzione sulla Liturgia, che dice fra
l'altro: Non si introduca:r;to innovazioni se non quando
lo richieda una vera e accertata utilit della Chiesa . Si
voluto di pi: si voluto essere aperti alla nuova, assai
discutibile teologia e al mondo odierno.
A coloro che hanno elaborato il nuovo Rito della Messa
non lecito pertanto appellarsi al Concilio, nonostante
ci facciano costantemente. Le disposizioni della Costitu-
zione conciliare si tengono sulle generali e consentono
molteplici soluzioni. E' certo comunque che l'Ordo Mis-
sae del 1969 non avrebbe ottenuto l'approvazione della
maggior parte dei Padri al tempo del Concili062
44
nuovo Codice delle rubriche del 25 luglio 1960 (ormai
di nuovo superato), fino alla riforma, per continue pic-
cole dell'Orda Missae del 3 aprile 1969 -
si sono dimostrate inutili e dannose alla spirituale.
Per quanto riguarda l'Orda Missae del 1969, il Vati-
cano II, nell'art. 50 della Costituzione sulla S. Lit1,lrgia,
aveva certo prescritto, come abbiamo visto, una revisione
dell'Orda vigente: aveva indicato i principi che dovevano
informarla, senza entrare nel merito di singoli problemi.
Nemmeno le aveva fissato un termine: aveva solo detto
che i lavori dovevano incominciare al pi presto (quam
primum - art. 25). "-
Dopo appena cinque anni dalla Costituzione concilia-
re, era gi pronto un Novus Orda Missae 63 e veniva sotto-
posto all'approvazione di Paolo VI. Come noto, la pro-
mulgazione avvenne dopo alcune modifiche e assunse la
stessa identica forma autoritaria con cui la Congregazio-
ne dei Riti aveva introdotto, fin dal Concilio di Trento,
piccole modifiche nel Rito Roman064 Da allora, sono an-
date aumentando nella Chiesa le resistenze al nuovo Rito.
Persino alcuni Cardinali hanno espresso la loro opposi-
zione al Novus Orda; ma interessante notare che, non
solo i conservatori , anche i progressisti ne sono
insoddisfatti: alcuni dei loro desiderata sono stati disat-
tesi e la riforma rappresenta nell'insieme un compro-
messo poco felice. Per questi motivi i progressisti non
si attengono al nuovo Rito, n vi si atterranno' di certo
in futuro, nonostante tutte le ammonizioni da Roma;
seguiteranno a sperimentare, incrementando la confu-
sione liturgica. I conservatori, d'altra parte, non vedono
per quale motivo siano state introdotte tante innova-
zioni: vedono che esse distruggono un'antica tradizione
senza sostituirvi nulla di nuovo n, tanto meno, nulla
di migliore. La maggior parte di costoro osserver le
45
nuove rubriche per avere, al massimo, la coscienza
tranquilla.
Del resto, sono stati proprio molti dei sacerdoti pi
anziani a contribuire a che il Novus Orda Missae potesse
essere introdotto tanto rapidamente e senza incontrare
considerevoli difficolt. Agli occhi del clero pi giovane,
non volevano passare per dei retrogradi, chiusi alle mo-
derne esigenze. Adottando la lingua volgare, poi" la nuo-
va Liturgia venuta incontro ai desideri di molti in cu-
ra d'anime che gi avevano impostato funzioni sacre tali
per cui, ad esempio, il sacerdote all'altare celebrava la
Messa in latino e, contemporaneamente, un secondo sa-
cerdote o un lettore recitava in volgare le preghiere del-
la Messa o faceva eseguire canti Questi sacerdoti
hanno dimostrato, se non altro, di avere imparato a pre-
stare incondizionata ubbidienza alle disposizioni della
Autorit ecclesiastica, anche senza comprendere il senso
delle innovazioni. Non potevano immaginare quali for-
ze fossero in azione nella riforma liturgica.
Le forze in azione nella Curia Romana risultano in-
comprensibili anche a coloro che sono un poco pi' ad-
dentro in queste cose. Forse l'avvenire le sveler. Intan-
to, l'indagine scientifica nella storia liturgica consente
d'identificare le fonti del Novus Orda Missae. A differen-
za di quanto si ritiene e si sente ripetere, esse non risal-
gono alla tradizione paleocristiana, e neppure a quella
che la Chiesa d'Occidente ha in comune con l'Orientale:
sono bens moderne.
Colpisce pertanto, a prima vista, la somiglianza col
rito dei vecchi cattolici tedeschi. Si pensi, per esem-
pio alla brevit del rito penitenziale all'inizio della Mes-
sa, alla forma della Preghiera dei Fedeli; si aggiunga
l'uso pressocch esclusivo del volgare. Almeno tanto im-
portante quanto !'influsso della celebrazione del rito vec-
chio-cattolico l'eredit del movimento giovanile tede-
46
sco e della Messa comunitaria che in esso allignava.
Deriva da questa soprattutto la trasformazione di pre-
ghiere private del celebrante in formule pronunciate ad
alta voce, come la preghiera iniziale (che prima i ministri
recitavano ai piedi dell'altare assieme al celebrante men-
tre il coro cantava l'Introito); le risposte Deo gratias
e Laus tibi Christe alle Letture (che prima venivano
date da uno solo dei ministri); l'arate fratres rivolto ad
alta voce a tutto il popolo, con la risposta Suscipiat Do-
minus {che era data dai ministri al celebrante e, cantan-
dosi l'affertorio, era anch'essa pronunciabile soltanto da
costoro);la solenne conclusione del Canone, da Per Ipsum
in poi; la Preghiera della Pace prima della Comunione
(che era una preghiera privata del celebrante).
Dalla Messa comunitaria deriva inoltre l'uso,
estraneo sia al Rito Romano solenne sia, in genere, agli
altri Riti occidentali, del Pater recitato dal celebrante
assieme ai fedeli. Dal culto 'protestante viene la novit
che ora il popolo a esclamare Tuo il Regno, ecc. .
Ma protestante , sopra tutto, lo spostamento dell'accen-
to sulla Messa come sacro convito (<< celebrazione euca-
ristica ) mentre fatto passare in sottordine il suo ca-
rattere di Sacrificio.
Il termine Sacrificio volutamente evitato nella
Institutio generalis Missalis Romani; ricorre di sfuggita
nell'art. 2 (sacrificium eucharisticum). La Costituzione
conciliare sulla S. Liturgia, invece, sempre e a chiare
lettere parlava di Sacrificium Missae artt. 49 e 55);
qui si parla solo di eucaristia art t. 282 e 285) oppu-
re di celebratio eucharistica (artt. 5 e 284), il cui per-
fetto equivalente tedesco Eucharistifeier.
Dalla teologia protestante della Cena deriva altres
la definizione della Messa contenuta nella prima reda-
zione del Novus ardo Missae. La S. Messa vi intesa
come Cena del Signore , sacra sinassi, l'incontro del
47
popolo di Dio per celebrare il Memoriale del Signore
sotto la presidenza del sacerdote 85. Che una tale defi-
nizione si trovi in un documento che porta la firma di
Paolo VI, e che fu necessario correggere66 , dimostra chia-
ramente quanta e quale sia, nel nostro tempo, la con-
fusione nella Chiesa.
Occorre inoltre considerare che dal Novus OrdoMis-
sae sono state acquisite molte novit non collaudate, co-
me i ritus initiales . Ci contrario alla secolare tra-
diione della Curia Romana. Esse sono state subito im-
poste senza che si fossero prima dimostrate valide. In
tal modo, per mezzo del Novus Ordo e del Missale Ro-
manum, viene impedita un'autentica e duratura rifor-
ma del Culto Divino nel senso voluto dal Vaticano II.
La Chiesa oggi ha bisogno, non gi di un Novus Or-
do Missae, bens di un'ardente vita spirituale con cui
la crisi della Fede, crisi che a sua volta riflet-
te una crisi di autorit. Di questa, Roma stessa ha la sua
parte di responsabilit.
La vita non esclude ordine e autorit. Al 'contrario:
non c' vita, e specialmente vita spirituale, se non c'
ordine. C' vita in un ordine, come il Rito Romano tra-
dizionale, che superficialmente sembrerebbe sorpassato.
Posto che fosse da ravvivare, non vi era affatto bisogno
di promulgare un Novus Ordo. Si pensi soltanto a come
era fiorente in molti luoghi la vita spirituale e liturgi-
ca anche in un tempo di Passione della Chiesa quale il
regime nazista. E oggi? La Liturgia sar anche nuova ',
saranno anche fatti nuovi tentativI di essere accet-
ti agli uomini, ma le chiese sono sempre pi disertate.
Non si dimentichi che soltanto una Chiesa forte nella
Fede e spiritualmente feconda in grado di creare qual-
cosa di realmente nuovo e duraturo. Tutto il resto un
alcunch di artefatto che sovente non ha riguardi per le
48
reali esigenze di una pastorale moderna e cattolica, ri-
velandosi spaventosamente insensibile verso i credenti.
49
di occasiona li modificazioni poetiche che il testo bi-
blico pu subire nella Liturgia 71. Decisive sovente era-
no le parole con cui un brano cominciava e quelle con
cui finiva, poich l'incipit e la conclusione di una peri-
cope hanno grande importanza. Inam,missibile dovrebbe
pertanto essere giudicata la chiusa Allora si aprirono
loro gli occhi ed essi si accorsero 'di essere nudi, co-
me oggi si pu udire in una delle Letture dlla prima
domenica di Quaresima (Anno A), soprattutto se si con-
sideri che, subito dopo, il popolo deve dire Rendiamo
grazie a Dio .
Un tempo, nella scelta dei brani del Vangelo si ave-
va cura di badare che in essi r.lon mancasse mai il nes-
so con la celebrazione del Mistero Eucaristico - come
Pius Parsch sottolinea continuamente nel suo Anno del-
la Salvezza. Nell'introduzione egli scrive: Nel Vange-
lo il Cristo si manifesta e ci parla. Ravvisiamo nel Van-
gelo non tanto un insegnamento, quanto una epifania
(manifestazione) del Cristo. Cos il Vangelo perlopi in-
dica l'Azione puincipale della celebrazione del Miste-
ro 72,
Il nuovo Lezionario, invece, serve - coerentemente
con lo spirito che informa il culto protestante - in pri-
mo luogo all'ammaestramento e alla edificazione del-
l'assemblea, Il Novus Orda, evidentemente, stato pre-
parato da esegeti, non da liturgisti. Gli esegeti non han-
no per pensato al fatto che la maggior parte dei fedeli
non in grado di comprendere tanti brani veterotesta-
mentari perch non ha praticamente alcuna conoscenza
della storia della salvezza precedente la venuta del Cri-
sto, e che pertanto il Pentateuco o il Libro dei Re a loro
dice ben poco. Per lo stesso motivo il popolo non affer-
ta, lascia scorrer via anche la maggior parte delle nuo-
ve Letture tratte dall'Antico Testamento 73
Gli studiosi della Liturgia conoscono (o si suppone
50
che dovrebbero conoscere) i vari Lezionari che sono o
sono stati in uso nella Chiesa Orientale e in quella Oc-
cidentale. Dovrebbero sapere in base a quali leggi si scel-
gono le pericopi. Stupisce assai che abbiano trascurato
quasi del tutto gli antichi Lezionari, alcuni dei quali ri-
salgono ai secco IV e V. Quale dovizia di ispirazione vi
avrebbero trovato! Ma pare piuttosto che consapevol-
mente abbiano voluto rinnegare la tradizione.
Al sec. V risale la parte pi antica del Grande Lezio-
nario della Chiesa di Gerusalemme, tramandatoci da
manoscritti georgiani 74 Tutti i segni di un'alta antichit
reca una lista copta di VangeW 5 ; purtroppo non stata
ancora studiata tutta una serie di altri antichi Leziona-
ri provenienti dall'Egitto 76 Del pi antico ordinamento
siriaco di pericopi ha trattato il Baumstark 77 Quanto
all'Occidente, sono da ricordare - tra le testimonianze
pi antiche - la lista dei Vangeli di Aquileia 78 , e l'anti-
co Lezionario campano tramandatoci nel famoso Codice
Fuldense (lista di Epistole) e in molti Evangelari anglo-
sassoni (lista dei Vangeli) 79; infine, una lista di Episto-
le che nella sua forma originaria risale a san Pier Cri-
sologo (+ 450)80. Alquanto pi recenti sono i Lezionari
tramandatici delle antiche Chiese Ambrosiana, Gallicana
e Mozarabica81
Quanto alla Chiesa Romana, molto probabilmente
gi san Girolamo (+ 419/420) appront un libro di Epi-
stole, il Liber Comitis, documentato per la prima volta
nel 471. Esso potrebbe essersi tramandato, in forma ap-
pena modificata, nella gi ricordata lista delle' Epistole
di Wiirzburg 82 , e costituisce il fondamento delle peI:ico-
pi non evangeliche del Missale Romanum insieme con la
antica lista romana dei Vangeli (Capitulare Evangelio-
rum)83, che per era pi ricca di quanto sarebbe risul-
ta ta nel Messale posteriore 84
Come nelle altre riforme liturgiche postconciliari, an-
51
che nella preparazione dei nuovi Lezionari stata inter-
rotta un'antichissima tradizione (in parte di 1500 an-
ni), senza sostituirla con nulla di migliore. Anche dal
punto di vista pastorale, sarebbe stato pi prudente con-
servare l'antico ordinamento del Missale Romanum e,
nel quadro di una riforma, consentire una scelta di altre
Letture ad libitum.
Questa sarebbe stata una vera ri-forma, ossia un ve-
ro ritorno alla forma originaria, e non sarebbe andata
distrutta una ricchezza accumulata nei secoli. Cos in-
vece si abbandonata la tradizione della Chiesa sia Oc-
cidentale che Orientale, e si imbbccata la pericolosa via
dello sperimentalismo precludendo la possibilit di ri-
tornare in un qualunque momento, senza difficolt, al
passato.
Perch meravigliarsi, dunque, se parroci progressi-
sti tralignano e, in luogo delle letture bibliche della
Messa, fanno leggere brani di Marx o di Mao, o addirit-
tura brani di giornale? Distruggere tutta un'antica com-
pagine relativamente facile; cosa ardua crearne una
nuova.
52
Quello che Klauser chiamava desiderio diventato
una norma applicata su vasta scala. Si crede' di avere
rinnovato una usanza risalente ai primi tempi cristiani:
come vedremo, invece dimostrabile che nella Chiesa
Orientale e nella Occidentale non si mai. celebrato
versus populum , ma ci si vlti a oriente nella Pre-
ghiera 85
. Che il celebrante debba rivolgere il viso al popolo fu
sostenuto per la prima volta da Martin Luter0 86 A quan-
to risulta, per, egli non avrebbe mai personalmente se-
guito questa regola, peraltro adottata soltanto da alcune
sette protestanti, specie riformate87 Solo ai nostri gior-
ni la celebrazione versus populum divenuta pressoc-
ch generale nella Chiesa Romana; le Chiese Orientali
e la maggior parte delle comunit evangeliche si atten-
gono alla prassi tradizionale.
Nella Chiesa Orientale, la celebrazione versus popu-
lum non mai stata in uso, tant' che vi manca sin la
designazione equivalente. La parte anteriore dell'altare
oggetto della massima reverenza. Vi pu stare soltanto
il sacerdote celebrante e, discosto da lui, il diacono. Al
di l della iconstasi, nel santuario, solo il celebrante
pu passare dalla parte anteriore dell'altare. Nella con-
celebrazione - la quale, come noto, ha una lunga tra-
dizione nella Chiesa d'Oriente - il primo sacerdote
colui che volge le spalle alla navata centrale, come nelle
altre occasioni, mentre i concelebranti si collocano alla
sua sinistra e alla sua destra, lungo i lati dell'altare con-
tigui al suo; mai devono disporsi lungo il lato' posterio-
re (orientale) dell'altare.'
L'usanza 'di celebrare verso il popolo invalsa da noi
negli anni Venti, nell'mbito dei movimenti giovanili, al-
lorch si prese a celebrare l'Eucaristia per gruppi par-
ticolari e ristretti. Anche il movimento liturgico , so-
prattutto con Pius Parsch, contribu a diffondere questa
53
usanza. Come abbiamo detto, si credeva di rinnovare una
tradizione dei primi cristiani. Si era visto che in alcune
antiche basiliche romane, l'altare era orientato versus
populum . A quanto sembra, per, non si era osservato
che in queste tali basiliche, a differenza che nelle altre
chiese8R , non gi l'abside, ma l'ingresso sit'uato a
oriente.
Nella Chiesa primitiva e durante il Medioevo, fu nor-
ma rivolgersi a oriente durante la preghiera. Dice santo
Agostino: ({ Quando ci alziamo in" piedi per la Preghiera,
ci volgiamo a oriente, da dove s'innalza il cielo, non co-
me se ivi soltanto fosse Dio) e abbandonato le
altre parti del mondo (... ), ma perch lo spirito si innal-
zi a una natura superiore, ossia a Dio 89.
Queste parole del Padre africano mostrano che i cri-
stiani, dopo l'omelia, si alzavano per la Preghiera suc-
cessiva e si volgevano a oriente. A quest'atto allude sem-
pre Agostino concludendo le sue omelie con la formula
fissa conversi ad Dominum (rivolti al Signore)90.
Il Dolger, nel suo fondamentale Sol Salutis, ritiene
che anche la risposta del popolo Habemt}s ad Domi-
num , all'invito del celebrante Sursum corda , im-
plichi l'essere rivolti a oriente, tanto pi che alcune Li-
turgie orientali esigono che ci effettivamente sia, dopo
l'invito del diacon0 91
Ci vale per la Liturgia Copta di Basilio, dove all'ini-
zio dell'Anafora si dice: Venite, uomini, state in adora-
zione e guardate a oriente , e per la Liturgia Egiziana di
Marco, dove un analogo invito - ({ Guardate a oriente
- viene dato nel corso della Preghiera Eucaristica, os-
sia prima del Sanctus.
Nella breve esposizione del rituale liturgico contenuta
nel 1. II delle Costituzioni Apostoliche (fine del sec. IV),
prescritto di alzarsi in piedi per la Preghiera e di vol-
gersi a oriente 92 Nel 1. VIII viene riportato un equi va-
54
lente invito del diacono: State in piedi rivolti al Si-
gnore 93. Nella Chiesa primitiva, pertanto, volgersi al
Signore e guardare a oriente erano la stessa cosa94
L'usanza di pregare rivolti al punto in cui sorge il
sole antichissima, come il DOlger ha dimostrato e co-
mune a ebrei e gentili. I cristiani l'adottarono di buona
ora. Gi nel 197, la preghiera verso oriente per Ter-
tulliano una cosa normale. Nel suo Apologeticum (cap.
XVI), egli riferisce che i cristiani pregano nella dire-
zione in cui sorge il sole 95. Nel sole sorgente si ravvi-
sava un simbolo del Signore che asceso al Cielo e che
dal Cielo ritorner. Affinch i raggi del sole sorgente po-
tessero penetrare all'interno della chiesa durante la Mes-
sa, nei secco IV e V, a Roma e altrove, !'ingresso fu po-
sto a oriente. Durante la preghiera le porte dovevano
essere lasciate aperte e la preghiera doveva avvenire ne-
cessariamente in direzione delle porte96 . Come gi accen-
nato, in questi casi il celebrante stava dietro l'altare, in
modo da potere, al momento del Sacrificio, volgere lo
sguardo a oriente. A differenza per di quanto si potreb-
be supporre, la sua non era una celebrazione versus
populum perch anche i fedeli durante la Prece si vol-
gevano a oriente. Durante la celebrazione dell'Eucari-
stia, nemmeno nelle basiliche menzionate il sacerdote e
il popolo stavano di faccia. I fedeli - gli uomini sepa-
rati dalle donne - prendevano posto nelle navate late-
rali, e di regola tra le colonne venivano appese delle cor-
tine 97 La navata centrale serviva per l'ingresso solenne
del celebrante e degli assistenti, mentre una parte di es-
sa era riservata al coro.
Ma anche "nell'ipotesi che nelle pi antiche basiliche
romane i fedeli non si volgessero verso !'ingresso, cio
a oriente, ma rimanessero vlti verso l'altare, celebran-
te e fedeli non sarebbero stati a faccia a faccia. Duran-
te la Prece Eucaristica, infatti, l'altare veniva occultato
55
da cortine. Queste, come testimonia san Giovanni Cri-
sostomo, venivano riaperte soltanto per la successiva
litania recitata dal diacon0 98 I fedeli, perci, nelle basi-
liche in cui !'ingresso e non l'abside era situato a orien-
te, se non guardavano l'altare, nemmeno voltavano ad
esso le spalle: cosa inammissibile, data la santit del-
l'altare stesso. Poich erano nelle navate laterali, ave-
vano l'altare rispettivamente alla loro destra o alla loro
sinistra, e formavano un semicerchio gperto a oriente
col celebrante e gli assistenti all'incrocio del transetto
con l'asse longitudinale della
Nelle chiese con l'abside a: tutto dipendeva
da come si disponevano i fedeli. Se formavano un am-
pio semicerchio davanti all'altare situato nella parte ab-
sidale della chiesa o presbiterio, anche in questo caso
il semicerchio era aperto a oriente; il celebrante non era
pi all'incrocio dei bracci, bens nel punto focale, pi
lontano dai fedeli.
Nel Medioevo, invece, quasi ovunque i fedeli prendo-
no posto nella navata centrale, mentre le navate ,laterali
.
56
Analogo pensiero esprime san Giovanni Damasceno
(De Fide orthod. IV, 12): Nella sua ascensione al cielo,
Egli si lev verso oriente. Cos Lo adorarono gli Apostoli,
e ritorner come essi Lo videro andare verso il cielo.
Dice infatti il Signore: "Come il lampo parte da oriente
e illumina fino a occidente, tale sar anche la venuta del
Figlio dell'uomo". Poich l'aspettiamo, adoriamo rivolti
a oriente. Degli Apostoli, questa una tradizione non
scritta 101.
Come osserva il Nussbaum, ormai l'uomo moderno
pi non sente il significato della preghiera a oriente102 ;
per lui il sole sorgente non ha pi la forza simbolica che
aveva per l'uomo antico. Questo vero, .ma ben altra
cosa che, durante la Preghiera: tanto il celebrante quan-
to il popolo guardino a Dio nella medesima direzione!
Che tutti i fedeli, secondo la parola di sant'Agostino ci-
tata pi sopra, debbano essere conversi ad Dominum ,
un prin,cipio di valore permanente, ancor oggi e sem-
pre pregno .di significato. Si tratta di guardare verso
il luogo del Signore , come dice il Kunstmann 103
Veniamo ora all'aspetto socio logico della celebrazio-
ne versus populum . Nel suo La Liturgia come Dffer-
ta 104 , il sociologo W. Siebel afferma che la posizione del
celebrante ' versus populum pu essere considerata
simbolica del nuovo spirito che anima la Liturgia .
Pi avanti egli sostiene: La vecchia consuetudine evi-
denziava nel sacerdote la guida e il rappresentan,te del-
la comunit che, in luogo e a nome della comunit stes-
sa, parlava a Dio come Mos sul Sinai. La comunit sem-
brava mandare un'ambasciata (preghiera, adorazione, sa-
crificio); il sacerdote il latore della stessa; Dio,
colui che la riceveva .
Nel nuovo Rito, prosegue il Siebel, il sacerdote non
figura tanto come il rappresentante della comunit,
57
quanto come un attore che, al centro della Messa, recita
il ruolo del Cristo - non diversamente da quanto avvie-
ne a Oberammergau o in altre sacre rappresentazioni
del Mistero pasquale . E conclude: Ma se col nuovo
Rito il sacerdote si trasforma in un attore che deve im-
personare il Cristo sulla scena, allora occorre dire che
talvolta, in questa teatrale riproduzione della Cena, la
identificazimie del sacerdote col Cristo risulta insoppor-
tabile .
La disponibilit con cui la stragrande maggioranza
dei sacerdoti ha accettato la .celebrazione versus po-
pulum viene motivata dal Siebel in questi termini:
La crescente solitudine e insicurezza del sacerdote lo
inducevano naturalmente a ricercare nuovi sostegni com-
portamentali. Tra questi, il sostegno emotivo, fornito al
sacerdote dalla comunit che egli ha davanti a s nella
celebrazione. Qui per nasce subito un nuovo condizio-
namento: la dell'attore dal pubblico .
In Manifestazioni adolescenziali nella Chiesa cattoli-
ca 105 , K.G. Rey scrive: Mentre prima il sacerdote'- co-
me anonimo intermediario, come primo nella comunit,
rivolto a Dio e non al popolo, in rappresentanza di tutti
e insieme con tutti, con le preghiere prescritte - offri-
va il Santo Sacrificio, oggi egli ci sta davanti come uo-
mo, con le sue caratteristiche personali, il suo personale
stile di vita e col viso rivolto a noi. Per molti sacerdoti
ci comporta, a ogni Messa, un calarsi in una situazione
che esige che essi facciano violenza al loro raccoglimen-
to e alla loro modestia. Ma non mancano - tutt'altro!
- i preti che sanno volgere la situazione a loro favore:
in alcuni casi, con una certa raffinatezza; in altri, con
nessuna. Il loro modo di muoversi e di gestire, il loro
atteggiarsi, tutto il loro comportamento, si traducono in
un suggestivo attirare l'attenzione sulla propria persona.
Alcuni non sanno esimersi dal fare continui commenti
58
ed esortazioni, nonch dal rivolgere al momento del con-
gedo saluti e discorsetti personali (:..) Dall'effetto che
ha la loro suggestione, traggono la misura del loro pote-
re, quindi la norma della loro sicurezza >l.
Quanto alla citata opinione del Klauser secondo cui,
mediante la celebrazione versus populum verrebbe
dato maggiore risalto al concetto di "mensa eucaristi-
ca comunitaria" , osserva il Siebepo6: E' difficile che
il fatto che l'assemblea dei fedeli sia disposta attorno
alla mensa eucaristica determini un rafforzamento della
coscienza comunitaria: soltanto il sacerdote in piedi
accostato alla mensa; gli altri partecipanti alla Cena stan-
no seduti pi o meno lontno, nella parte della chiesa
riservata agli spettatori >l. E aggiunge: Normalmente
la JIlensa lontana, ed posta su un piano pi alto ri-
spetto a quello della navata. Basta questo perch lo stret-
to contatto che era nel Cenacolo non sia attuabile. Il sa-
cerdote che, rivolto verso il popolo, recita la sua parte,
difficilmente evita di dare !'impressione di impersonare
qualcuno che servizievolmente ha qualcosa da offrire.
Per attenuare tale impressione, in alcuni luoghi l'altare
st.ato posto al centro della chiesa e i fedeli si dispon-
gono attorno ad esso. In questi casi ben visibile non
solo il sacerdote: sono visibili anche i fedeli che una per-
sona ha di fronte e di lato. Con lo spostamento dell'al-
tare al centro dell'assemblea, in pratica si annulla la di-
stanza che correva tra centro sacrale e comunit dei fe-
deli; ma quel timore reverenziale che la Presenza di Dio
nella Sua Casa ispirava, diventa uno scialbo sentimento
che solo vagamente si contrappone alla quotidianit .
Da un punto di vista sociologico, celebrando versus
populum il sacerdote si trasforma in un attore, con tut-
ta la sua dipendenza dal pubblico che ne consegue, o in
un venditore che ha un'offerta speciale da proporre alla
59
clientela. Se egli non sa quello che fa , c' caso che si
trasformi addirittura in un istrione o in un imbonitore.
Altra cosa l'annuncio del Vangelo. Esso presuppone
un rapporto frontale tra sacerdote e popolo. Anche nel-
le antiche basiliche il cui ingresso a oriente, durante
la Liturgia della Parola i fedeli erano rivolti all'abside
(a occidente). Nell'annunciare la Parola di Dio, inoltre,
effettivamente il sacerdote si presenta ai fedeli con una
offerta. Come ovvio che durante l'omelia il sacerdote
stia rivolto al popolo, co's anche il lettore durante la Le-
zione dovrebbe stare rivolto verso i fedeli. Probabilmen-
te per reverenza verso la Parola di Dio, prima questo
non avveniva sempre e dappertutto.
Completamente diversa , a sua volta, la Consacra-
zione. A questo punto la Liturgia non pi una propo-
sta o una offerta , ma una azione sacra tale per cui il
Cielo e la terra si uniscono e il Signore scende su di noi
con la Sua grazia. Lo sguardo dei fedeli, in preghiera as-
sieme al celebrante, dev'essere perci rivolto al Signo-
re. Solo alla distribuzione della Comunione - la Cena
Eucaristica propriamente detta - il sacerdote e i comu-
picandi vengono a trovarsi di nuovo faccia a faccia.
Sono proprio le diverse posizioni del celebrante rispet-
to all'altare a rivestire, durante la S. Messa, una non
lieve importanza simbolica e sociologica. Come orante
e come sacrificatore, egli ha, insieme coi fedeli, il viso
rivolto a Dio, mentre come annunciatore della Parola
di Dio e come distributore dell'Eucaristia lo ha rivolto
al popolo. Questo era il principio che vigeva nella Chie-
sa - in Oriente come in Occidente, nella Chiesa 'primiti-
va come in epoca barocca. Solo ai nostri giorni nella
Chiesa Romana esso stato mutato, per motivi di ordi-
ne soprattutto teologico, ma sulla base di una interpre-
tazione antiquaria che, nonch falsa, dimostrabilmen-
te errata.
60
Un tentativo di soluzione
61
dovrebbe venire gradualmente abbandonata perch non
difendibile n sul piano storico-liturgico, n su quello
dottrinale e nemmeno sociologico.
Quanto al Ritus Romanus, occorre vedere come si
possa realizzarne l'arricchimento nel senso voluto dal
Vaticano II mediante l'aggiunta di Prefazi propri, attin-
gibili dal tesoro dei Sacramentari romani pi antichi, e
mediante un nuovo ordinamento delle pericopi da affian-
care a quello esistente. Tali nuove aggiunte dovrebbero
comunque essere temporaneamente ad libitum , os-
sia lasciate alla facolt di scelta del sacerdote celebran-
te. Per dare un ancor maggiore: risalto alle domeniche e
alle feste maggiori, le feste minori dei Santi potrebbero
essere celebrate soltanto come Memoria . Anche nel
Rito Romano le Lezioni potrebbero venir fatte general-
mente nella lingua volgare.
Non ha alcun senso sottoporre ad experimentum
il Rito Romano tradizionale, quasi alla stregua delle re-
centi innovazioni, che a questo titolo sono invece da con-
siderare per la maggior parte. Purtroppo, proprio que-
sto avvenuto e, come gi detto pi volte, a causa di
ci si sta perdendo un elemento vitale della Liturgia, os-
sia la continuit delle forme liturgiche. Se invece si la-
scia inalterato l'antico Rito, e si seguita a celebrarlo (an-
che parallelamente al nuovo) come csa viva, e non come
un pezzo da museo, allora sar conservato alla Chiesa
universale presso i singoli popoli un altro elemento vi-
tale per il futuro: la sua unit nel Culto.
E proprio grazie al latino, che gi nel Medioevo val-
se a unificare i popoli europei, l'antico Rito Romano -
il quale , pi di quanto non si creda, ben altrimenti
moderno - potrebbe contribuire a riavvicinare gli
uomini d'oggi abolendo quelle barriere linguistiche che
oggi li dividono (anche nella S. Messa!). Nella frenesia
delle riforme liturgiche, a questo non si pensato. Ma
62
nelle regioni a popolazione mista, come in Alto Adige,
per esempio, il latino nella Liturgia sarebbe una bene-
dizione.
Con la rigorosa distinzione del Rito Romano dalla
nuova Liturgia in volgare, ma con l'offerta ai fedeli di
entrambe queste forme, si risolverebbero molti degli at-
tuali problemi che assillano la Chiesa. Soprattutto si
ridurrebbe il pericolo di uno scisma se venissel'o accol-
te le giustificate richieste, da parte di innumerevoli cat-
tolici (quasi la met degli osservanti), di una celebra-
zione tradizionale della Liturgia, senza peraltro trascu-
rare il desiderio altrui di un Culto Divino conforme ai
tempi .
Tutto ci ha precedenti. Lo studioso ortodosso Levi-
tin-Krasnov riferisce su analoghi tentativi di riforma nel-
la Chiesa Russa, negli anni immediatamente successivi
alla rivoluzione d'ottobre. Si cominci a celebrare la
Messa non pi nel santuario, ma in mezzo alla chiesa;
si tradusse la Liturgia in russo moderno e la si dilat
con l'aggiunta di preghiere tratte da altri Riti; affinch
il popolo potesse udirle, il celebrante recit ad voce
anche le preghiere private; alla corale tradizionale si so-
stitu il canto dei fedeli, ecc. 107 Ma poi questa crisi litur-
gica venne superata e si torn all'antico ordinamento.
Nonostante (o non forse: a causa?) questa antiquata
Liturgia, che, com' noto, costituisce la pressocch uni-
ca forma' di propaganda rimasta alla Chiesa, la Fede
in Russia viva, e vissuta, forse pi che non in Occi-
dente.
Al tempo dell'Illuminismo, allorch si tent d'intro-
durre nella Chiesa innovazioni affini a quelle che stiamo
vivendo oggi, il Vescovo Michael Sailer di Ratisbona
(+ 1832) ammoniva: Se porgi la mapo destra alla vi-
rile fedelt a cose antiche e buone, e la sinistra alla in-
troduzione di cose nuove e migliori, serba per il tuo
63
cuore soltanto per l'unica ed eterna Verit, che sempre
si rinnova nell'antico e nel nuovo non rinnega la sua
antica magnificeza (. ..) Chi vuole riformare il Culto Di
vino, incominci col preparare sacerdoti illuminati, timo-
rati di Dio . E proseguiva: Si direbbe che qualche pro-
pugnatore di una rapida introduzione della lingua tede-
sca (nella Liturgia) non abbia ancora preso piena co-
scienza del problema, altrimenti la sua ragione gli avreb-
be probabilmente intimato: "Non t'aspettare troppo dal-
la favella tedesca. Con tutti i loro nuovi libri di canto
ed i loro esperimenti liturgici, le chiese protestanti si
svuotano sempre di pi. La stessa cosa potrebbe acca-
dere anche alle nostre." Temo che rischiamo di allonta-
nare i nostI1i abituali frequentatori, senza guadagnar
molto dai nuovi che abbiamo attirati" 100.
Si obietta, naturalmente, che la soluzione da noi pro-
posta, dei due Riti paralleli, turberebbe l'unit ecclesia-
le nelle singole parrocchie. A ci si risponde che, nella
Chiesa Universale, soprattutto in Oriente, da sempre esi-
st9no svariati Riti che Roma riconosce. Non si vede che
cosa ci sarebbe di tanto grave se anche nella Chiesa La
tina convivessero, l'una accanto all'altra, due forme li-
turgiche, almeno per un certo tempo. E volesse il Cielo
che ve ne fossero due soltanto! Come not6, ,infatti, og-
gi i Riti non si contano, perch non si contano i pre-
ti che danno al Culto Divino una impostazione del tutto
personale. Non dunque possibile, attualmente, parlare
di unit nel Rito!
Oggi siamo davanti alle macerie di una Tradizione
quasi bimillenaria. Si teme che, date le innumerevoli ri-
forme, la distruzione sia ormai di proporzioni tali da ren-
dere ormai difficile la ricostruzione. Quasi non si osa pi
nemmeno domandarsi se, bench difficile, essa sia anco-
ra almeno possibile. Eppure, non bisogna abbandonare
la speranza.
64
NOTE
1931) 42.
6 Cfr. K. Gamber, Missale volgare. Ein deutsches WolksmeB-
buch aus dem Mittelalter, in: Musik und Kirche 14 (1942) 121 sego
7 Cfr. Th. Bogler, Flurheym. Deutsches MeBhuch von 1529
65
il tumulto cresceva sempre pi, l'Elettore invi due compagnie
di fanteria, cannoni e due squadroni di ussari. Trenta caporioni
furono condannati alla reclusione e alcuni di essi non rividero
pi il loro paese .
12 Cfr. tra l'altro Vitus Anton Winter, Katholisches Ritual
(2Frankfurt 1830).
13 Cfr. A. Vierbach, Die liturgischen Anschauungen des Vitus
66
23 Suarez, Tract. de Charitate, Disput. 12, l: Et hoc se-
67
lui (presso Schrems, 4 seg.). Secondo la Formula Missae l'Ele-
vazione ha luogo sub cantu Benedictus .
33 Di questo tratta esaurientemente il lavoro di Th. Schrems,
68
der deutschen Lit. bis zum Ausgang des Mittelalters. Band I
{Mlinchen 1918) 310 seg.; H. Eggers, Die althochdeutschen Beich
ten, in: Beitrage zur Geschichte der deutscheri Sprache und Li
teratur 77 (1955) 89123; 80 (1959) 372-403; 81 (1960) 78122.
44 Liturgia Verbi la traduzione letterale dell'espressio
ne tedesca Wortgottesdienst (servizio divino della parola); cfr.
J. A. Jungmann, Wortgottesdienst (Regensburg 1965). La si pu
definire come poco felice; sarebbe meglio dire Lehrgottesdienst
(servizio divino dell'istruzione). pna volta si parlava di Liturgia
catechumenorum . La denominazione antico-africana era Col-
lecta ; cfr. K. Gamber, Collecta, Eine alte Bezeichnung ftir den
Wortgottesdienst, in: Romische Quartalschrift 62 (1967) 76-83.
45 Cfr. K. Gamber, Missa Romensis. Beitrage zur frtihen ro-
n.35).
54 Cfr. Gamber, Missa Romensis 56-88.
55 Riguardo alla spiegazione di pro multis molto chiara-
69
non vollero cfr. il testo in L. Rudloff, Das Zeugnis der Vater
(Rcgensburg 1937) n. 255, p. 180.
56 Le parole mancano ancora in un Sacramentario irlandese
70
66 Il nuovo testo suona cos: In missa seu Cena dominica
1932) 16.
73 Cfr. Th. Kurrus, Kritisches zum neuen Schriftlesungsplan,
71
CLLA Nr. 245. Circa un'antica lista di Epistole bavarese cfr. K.
Gamber, Reste einer gallikanischen Epistelliste, in: Rev. bnd.
88 (1978) 111-122.
79 Cfr. Gamber, Die kampanische Lektionsordnunug, in: Sa-
.
cris erudiri 13 (1962) 326-352; CLLA Nr. 401 e 41)5/406.
80 Cfr. K. GamQer, Eine altravennatische Epistelliste, in: Li-
turgisches Jahrbuch 8 (1958) 73-96; CLLA Nr. 242, cfr. anche Nr. 240.
81 Cfr. G. Kunze, Die gottesdienstliche Schriftlesung Teil I,
tici nella scelta dei brani delle letture i diversi Evangeliari che
mostrano i testi di Pericopi intieramente trascritti. Uno dei pi
antichi l'Evangeli aria di M,iistair, cfr. K. Gamber - S. Rehle,
Das Evangeliar von Miistair, in: Zeitschrift fiir Schweizerische
Kirchengeschichte 67 (1973) 258-269.
Cfr. lo studio di K. Gamber, Conversi ad Dominum. Die
Hinwendung von Priester und Volk nach Osten bei der MeBfeier
im 4. und 5. Jh., in: R6mische Quartalschrift 67 (1972) 49-64 bzw.
Liturgie und (= Studia patristica et liturgica 6, Re-
gensburg 1976) 7-27.
86 Egli scrive nel suo volumetto Deutsche Messe und Ord-
72
Martin Bucer a Strasburgo fece installare tavoli per la cena,
sicch, il celebrante rivolga la faccia verso il popolo .
88 Fuori di Roma si conoscono solo poche chiese con ingres-
Judentum und Gnosis (Rom 1959) 15-35: Das Kreuz und das Ge-
bet nach Osteno Qui si segnala il fatto che l'Oriente come dire-
zione della preghiera spesso veniva indicato con una croce. Una
tale croce sulla parete stata trovata in una camera di una ca-
sa di Ercolano; cfr. Conte Corti, Untergang und Auferstehung von
Pompeji und Herculaneum (Miinchen 1951), ill.ne 29 dopo p. 96.
95 Cfr. DOlger. Sol salutis 103.
73
di faccia agli altri, un'autentica sciocchezza. Questa l'ultima
cosa a cui gli antichi abbiano pensato .
100 Analoghe osservazioni in R. Schwarz, Vom Bau der Kir-
74
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