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Bianchi E - Israele e La Chiesa

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Cr St 10 (1989) 77-106

Israele e la chiesa*

.
Rabbi Yehudah Loew ben Bezallel di Praga (XVI sec.), il Maha-
ral, in una omelia per Shavu'ot commenta il brano del Talmud Babi-
lonese Berakot 3a, che discute sulla ripartizione della notte in tre ve-
glie e in cui R. Eliezer fissa tre criteri per distinguerle:
«Nella prima veglia raglia l'asino,
nella seconda abbaiano i cani,
nella terza la moglie parla con suo marito e il lattante beve dal seno di sua
madre»

Il Maharal così commenta: «come la notte è ripartita in tre parti


che non si assomigliano, così anche l'esilio (galut). Nella prima ve-
glia raglia l'asino e così anche nella prima parte dell'esilio: quando il
tempio fu distrutto, il governo (romano) asservì Israele con carichi
molto pesanti ... , sicché gli israeliti erano simili ad un asino gravato
dal carico .. . Nella seconda veglia abbaiano i cani. .. e questo è un se-
gno di morte. Così la seconda parte dell'esilio: Edom (Roma) aveva
decretato il massacro e la morte di Israele (persecuzioni cristiane nel
Medioevo) ... La terza veglia corrisponde alla terza parte dell'esi-
lio ... in cui la moglie parla con il marito ( ba'al-padrone), ma il pa-
drone-padroni ( ba' alim , i cristiani) dominano, odiano la moglie e la
espellono (espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492). Ma in que-
sta terza veglia avviene qualcosa di nuovo: Israele parla con le genti

• Si pubblica qui il testo dell'intervento letto a Bologna il 28 novembre 1987 presso


l'Istituto per le scienze religiose in occasione del seminario dal titolo: A vent'anni
dalla Nostra Aetate.
78 E. Bianchi

e il lattante beve al seno di sua madre ... Questi sono i segni che il
giorno è vicino, che la notte è alla sua fine». 1
Certamente il Maharal nel XVI secolo calcolava in modo diffe-
rente queste tre tappe e soprattutto si sbagliava pensando che il ten-
tativo di annientamento di Israele fosse un evento da ascrivere al
passato, ma forse noi possiamo dire di essere oggi in questa terza ve-
glia , in questa terza tappa dell'esilio. D 'altronde il Maharal conclu-
deva l'omelia con una speranza paradossale: «Quando il mondo sta
lontano dalla Torah ... allora la luce è vicina». 2
Certamente qualcosa è radicalmente cambiato nella compren-
sione, nel rapporto e nel confronto tra Chiesa e Israele, ma va subito
detto: «A quale prezzo?», e un prezzo pagato dagli ebrei! La shoah,
la catastrofe (non l'olocausto)! E bisogna anche dire che questo dia-
logo, seppur iniziato con la svolta storica della Nostra Aetate, si mo-
stra difficile, duro, ancora pieno di esitazioni da una parte, ma an-
che di ambiguità profonde e ricorrenti dall'altra. Forse non può es-
sere diversamente, perché alle spalle abbiamo almeno sedici secoli
di ripudio e di ostilità da parte cristiana ed ora, secondo l'espressio-
ne del Card. Etchegaray, «siamo appena usciti dall'età della pietra
nel dialogo cristiani-ebrei».3 Ma è pur vero che siamo giunti a un
momento delicatissimo perché si intravede all'orizzo'nte una difficile
congiuntura e già appaiono i segni di reazioni, da una parte e dall'al-
tra , di fronte ad itinerari rapidamente percorsi, ma non sempre ac-
compagnati da una chiarificazione biblica e da un adeguato fonda-
mento teologico.4 Sempre più si fa esigente e urgente oggi una medi-
tazione seria e una ricerca teologica approfondita da ambo le parti

1
Maharal, Derush 'al-ha-Torah , in Sifrey Maharal, (ed. ebr .) Gerusalemme 1960,
48s. Il Maharal, Rabbi Yebudah Loew ben BezalJel , è vissuto nel XVI secolo
(1520?-1609) in Boemia, è stato rabbino di diverse comunità - tra cui quella d~ Pra-
ga - e appare come il precursore del Hassidismo. Su di lui cf. A . Néher, Le J?UltS _d e
l'exil. La ttiéologie dialectique du Maharal de Prague, Paris 1966. Un'attuahzzaz10-
ne di questa omelia del Maharal è stata fatta da M. Cunz, Il dialogo ebraico-
cristiano ieri - oggi - domani , Verona 1987, 7-11.
2 Maharal, Derush ... , 49.
3 Discorso tenuto a Beer Sheva nel 1985. Citazione in M. Cunz, Il dialogo ... , 12.
4
Come presidente del Sidic (Service International de Documentation Judéo-Chré-
tienne) sono testimone del continuo crearsi di tensioni e minacce di rottura del di a-
logo da parte ebraica per espressioni ancora presenti nel magistero della chiesa cat-
tolica e di reazioni cattoliche nei confronti di alcuni equivoci, impazienze e facilo-
nerie da parte di addetti al dialogo cristiano-ebraico. Cf. V . Messori a colloquio
con il cardinale Joseph Ratzinger. Rapporto sulla fede, Roma 1985, 163; E . Wie-
sel, Ebreo e cardinale, «La Stampa», 14 dicembre 1987, 3.
Israele e la chiesa 79

(non da parte cristiana soltanto) sui temi che pongono la chiesa ac-
canto a Israele, evitando ogni lettura facile, semplicistica ed entusia-
sta che, da parte cristiana, rischia di giudaizzare negando la differen-
za irriducibile di Gesù il Messia o, al contrario, di essere debitrice di
un'ottica politica nei confronti dello Stato di Israele.
Devo dire a questo punto la grande difficoltà trovata nello sten-
dere il presente contributo, a differenza di altri tre miei contributi
paralleli tesi alla lettura della ricezione e della fecondità della Dei
Verbum , della Sacrosanctum Concilium e del Perfectae Caritatis. 5
Difficoltà nata dall'impressione che in questo mio tentativo rischia-
vo di fare una lettura per «gli addetti ai lavori», per quei pochi che
sono impegnati nel dialogo tra cristiani ed ebrei. Anche questo però
è un dato significativo e mostra quanto il nostro tema non abbia avu-
to adeguata ricezione tra i cristiani, per i quali non è certamente sta-
ta fatta una revisione rigorosa dell'atteggiamento secolare verso gli
ebrei a differenti livelli, da quello teologico a quello catechetico e
spirituale. L'itinerario che propongo è dunque questo:
1. La svolta storica costituita dalla Nostra Aetate, 4
2. Il cammmino percorso in questi vent'anni
3. Problemi, ambiguità e prospettive.

1. La svolta storica costituita dalla Nostra Aetate, 4

La Nostra Aetate ha segnato indubbiamente una svolta storica


perché è stata l'interruzione di una strada percorsa senza grandi con-
traddizioni almeno, e non a caso, a partire dalla svolta costantinia-
na, quando all'apologia adversus Judaeos del II e III secolo si sono
sostituiti l'ostilità e la persecuzione non solo da parte del Cesare cri-
stiano, ma anche da parte della chiesa nei suoi più autorevoli rap-
presentanti: i Padri. Ai Padri non è solo sfuggita l'essenzialità del
mistero della permanenza di Israele per comprendere la chiesa stes-
sa, ma è parsa una necessità riparatrice l'ostilità verso i giudei defini-
ti da allora «Sinagoga del diavolo», «covo di briganti», «lupanare»,

5
Per la Dei Verbum cf. E. Bianchi, La centralità della Parola di Dio , in Il Vaticano
II e la chiesa, a cura di G. Alberigo e J.P. Jossua, Brescia 1985, 159-187; per la Sa-
crosanctum Concilium: Id. , A dieci anni dal Concilio. Quello che resta quello che
scompare , Rocca 1 (1976) 47-50; per il Perfectae Caritatis: Id., Vent'anni dal Con-
cilio. Luci e ombre, in La vita consacrata a vent'anni dal Concilio, a cura di L. Guc-
cini, Bologna 1986, 47-68.
80 E. Bianchi

«deicidi». Queste e altre simili espressioni di Eusebio, del Crisosto-


mo _e _d el Niss~no, 6 resteranno purtroppo fino ai nostri giorni come
luoghi comuni quasi inestirpabili e, in dipendenza soprattutto dal
Crisostomo e da Agostino tutti i Padri anche quelli medioevali
'
sentiranno il bisogno di ripeterle '
e di glossarle. La legislazione cano-'
nica dal Niceno II (787) 7 in poi diventerà ostile agli ebrei e giungerà
con il Laterano IV (1215) a chiedere che questi si distinguano dai
cristiani nel modo di vestire .8 Paolo IV, con la bolla Cum nimis ab-
surdum (1555), ordina che gli ebrei portino un marchio giallo sui ve-
stiti e Pio V ne rinnoverà la disposizione. Così Clemente VII con la
bolla Caeca et obdurata, il Concilio di Basilea (1434) 9 e poi Eugenio
IV con la bolla Ad nostram audientiam (1442) dispongono il ghetto
10
... Sono secoli di umiliazioni e di persecuzioni, di espulsioni, di di-
struzioni delle sinagoghe, di accuse di assassinio rituale, di conver-
sioni e prediche forzate . Non è mio compito passare in rassegna l' e-
volversi dell'antisemitismo cristiano, ma per chi non lo conosce è as-
solutamente necessario ricordare questa sua crescita da Costantino
fino al nostro secolo: la chiesa ha assunto l'antigiudaismo mediterra-
neo , si è nutrita di antisemitismo cristiano, sul quale ha potuto inne-

6
L 'accusa di deicidio appare in modo esplicito con Eusebio di Cesarea, Vita Costan-
tini , ID, 17 [325] (cf. F. Lovsky, L'antisémitisme chrétien, Paris 1970, 133) ed è ri-
presa da Gregorio di Nissa , Oratio V: In Christi resurrectionem (PG 46,685) e
quindi generalmente dai Padri fino ·ad entrare nella liturgia greca dove si ritrova
nella IX Ode di Compieta del Grande Lunedì (cf. E . Mercenier, La Prière des
Eglises de Rite byzantin, Chevetogne 1948, II,2, 99). Giovanni Crisostomo torna
sovente sul tema dei giudei con una violentissima polemica: «La si può chiamare
(la Sinagoga) un bordello, un luogo di illegalità, un alloggio di spiriti malvagi , u~
baluardo del demonio , la perdizione delle anime, ripido pendio e baratro fatale d1
ogni sorta di rovina; ma in qualunque modo la si qualifichi non si arriverà ancora
(con tali formulazioni) a definirla come merita» (Adversus Judaeos VI: PG 48,
915). Cf. anche PG 48,847.848.850.852 (Adversus Judaeos I) e PG 55,110-113 (In
Ps VITI). Sull'antisemitismo dei Padri della chiesa si veda: M . Simon, Verus Israel.
Etude sur Jes relations entre Chrétiens e t Juifs dans l'Empire romain (135-425) , Pa-
ris 1948; J . Isaac, Genèse de l'Antisémitisme, Paris 1956; M. Simon-A. Benoit, Le
juda1sme et le christianisme antique, Paris 1968.
7
Canon VIII: «Quod Hebraeos non oporteat recipi , nisi forte ex sincero corde con-
versi fuerint» in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, curanti bus J. Alberigo -
J.A. Dossetti - P.P . Joannou - C. Leonardi - P . Prodi, consultante H. Jedin , Bolo-
gna 31972, 145-146.
8
Constitutio LXVIII: «Ut Iudaei discernantur a christianis in habitu» in Concilio-
rum Oecumenicorum Decreta .. . , 266.

°
1
9
«Decretum de ludaeis et neophytis» in Conciliorum Oecumenicorum Decreta ... ,
483-484.
Cf. E .A . Synan, The popes and the Jews in the Middle Ages , New York 1965.
I
Israele e la chiesa 81

starsi l'antisemitismo razziale il cui frutto è stato la shoah del nostro


secolo. 11 Non ci sono stati segni, per almeno sedici secoli , di muta-
mento di atteggiamento e quando sono avvenuti da parte della chie-
sa , questa è stata in realtà preceduta dall'emancipazione degli ebrei
sul piano del diritto pubblico verso la metà del secolo scorso.
Vale la pena di accennare almeno ad un tentativo (abortito) di
riconsiderazione degli ebrei in occasione del Vaticano I. Joseph e
Augustin Lémann, due fratelli ebrei convertiti al cattolicesimo e di-
ventati preti , chiesero ai Padri conciliari nel dicembre 1869 l'emana-
zione di un documento-appello agli ebrei. Raccolsero le firme di cin-
quecentodieci Padri (per la presentazione del tema dell'infallibilità
se ne raccolsero cinquecentodiciotto!) tra cui figuravano i Patriarchi
orientali e molti cardinali tra i quali Gioacchino Pecci, futuro Leone
XIII. Sebbene la postulatio contenesse l'invito alla conversione e re-
.stasse allo stadio del monologo e del proselitismo, in essa si ricorda-
va come gli ebrei «sono sempre amatissimi da Dio a causa dei Padri
(Romani 11.28) e perché da essi è Gesù secondo la carne (Romani
9.5)». 12 Ma su questo testo non avvenne neppure la discussione in
aula e il tentativo non ebbe risultati a causa della sospensione del
Concilio. 13
É legittimo pensare che se il Vaticano I avesse emanato una di-
chiarazione sugli ebrei l'attenzione dei cristiani verso gli ebrei si sa-
rebbe forse nutrita di un altro spirito (erano quelli i giorni dell'affare
Dreyfus, dei pogroms nell'est europeo, ma anche i giorni di Teodo-
ro Herzl) e avrebbe costituito un luogo su cui meditare nell'ora della
nascita in forma pseudo-scientifica dell'antisemitismo razziale. Fu
così che al momento della shoah mancavano per i cristiani riferimen-
ti recenti e determinanti. Un decreto del Sant'Uffizio del 25 marzo
1928 condannava l'antisemitismo, ma nello stesso tempo scioglieva
l'associazione «Amici Israel»14 e restavano solo le parole di Pio XI

u Sull'antisemitismo nell'era cristiana si veda: L. Poliakov, Histoire de l'antisémiti-


sme, ( 4 voll.) , Paris 1961-1977; F. Lovsky , Antisémitisme et Mystère d'Israel, Paris
1955; B . Blumenkranz, Juifs et Chrétiens dans le monde occidental (430-1096), Pa-
ris 1960; J . Isaac, L'enseignement du mepris. Verité historique et mythes theologi-
ques, Paris 1962; F. Lovsky, L'antisémitisme chrétien, Paris 1970.
12
Il testo della postulatio è riportato in T. Federici, Monologo e dialogo. Incontri e
non incontri con Israele, Roma 1965, 124-125.
13
Cf. Federici, Monologo ... , 117-132.
14
«Caritate permota, Apostolica sedes eundem populum judaicum contra iniustas ve-
xationes protexit, et quaemadmodum omnes invidias ac simultates inter populos
82 E. Bianchi

p~onuncia~e durante un'udienza concessa al pellegrinaggio della Ra-


dio Cattohca Belga il 6 settembre 1938 quando il Papa co1nmentava
così un passo del Canone romano: «l'antisemitismo non è compati-
bile con il pensiero e le realtà sublimi espresse in questo testo , è un
movimento antipatico, un movimento al quale noi, noi cristiani, non
possiamo avere alcuna parte ... l'antisemitismo è inammissibile ...
noi siamo spiritualmente semiti». 15 Ma queste parole non apparvero
su L 'Osservatore Romano , né su La Civiltà Cattolica e restarono
sconosciute ai cristiani sia tedeschi che italiani. Questo giudizio di
Pio XI non fu né ripreso né riproposto magisterialmente dal suo suc-
cessore perché, nell'aggravarsi della situazione internazionale a cau-
sa della guerra, mancò la parresia e la capacità di rendere testimo-
nianza di fronte allo sterminio degli ebrei. Forse non si sarebbe evi-
tata la shoah, anzi la si sarebbe accresciuta estendendola ai cristiani,
ma questo avrebbe significato la solidarietà della chiesa con Israele,
la rappresentazione del «Servo di Adonai» nel mondo in tutta la sua
verità ... 16
Ed eccoci dunque a constatare che è Giovanni, il Papa che gli
ebrei chiamano tov Johanan ha tzaddiq, «il buon Giovanni il giu-
sto», ad ispirare la svolta storica. Al vicariato apostolico di Istanbul,
durante la guerra, Mons. Roncalli era già venuto in aiuto di molte
vittime della persecuzione che colpiva gli ebrei 17 ma, appena eletto

reprobat, ita vel maxime damnat odium adversus populum olim a Deo electum ,
odium nempe illud quod vulgo antisemitismi nomine significari solet». Decretum
de Consociatione vulgo «Amici Israel» abolenda (AAS 20 [1928] 103s.).
15
R esoconto dell'udienza in La libre belgique, 14 settembre 1938, pressoché integral-
mente ristampato in La Documentation Catholique 39 (1938) coll. 1459-1460.
16
Per l'atteggiamento del Papato nei confronti del nazismo cf. G. Miccoli, Fra mito
della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato 1985, 278-332 (con abbon-
dante bibliografia a p . 279, nota 512) , e dello stesso, Aspetti e problemi del pontifi-
cato di Pio XII in Cristianesimo nella storia 9 (1988) 343-425.
17
Cf. U . Righi , Papa Giovanni sulle rive del Bosforo, Padova 1971 , 196-197. Per
questa azione a favore degli ebrei il Delegato apostolico di Istanbul Mons. Roncalli
ricevette in dono dal dr. Weitzmann e dalla Sig.ra Bauer, a nome degli ebrei di Pa-
lestina e altrove il 25 luglio 1943, un prezioso volume contenente le opere di Giu-
seppe Flavio. Un particolare ringraziamento per l'azione di Roncalli in Turchia
verso gli ebrei è venuto il 17 ..ottobre 1960 da parte di 130 delegati dell'United J e-
wish Appeal in udienza in Vaticano. Il ra bbino H . Friedman cosl si rivolse al Papa:
«In un'Europa quasi tutta silenziosa, lei ha protestato contro l'inumanità dell 'anti-
semitismo prodigandosi coi fatti a salvare vite umane». Fu in quell 'occasione che
Giovanni XXIII accolse i delegati dicendo: «Sono Giuseppe, vostro fratello». Gli
ebrei avevano un posto particolare nel cuore di G. Roncalli che dal 1927 ogni Gio-
vedì Santo celebrava la Messa pro Judaeis: questa è certamente una prova della ri-
Israele e fa chiesa 83

pontefice, per il Venerdl Santo 1959 dispose la soppressione dei ter-


mini perfidia e perfidi applicati ai giudei. 18 Dispose pure di togliere
un passaggio , che suonava in modo negativo verso gli ebrei, della
preghiera di consacrazione al Cuore di Gesù. 19 Non erano questi dei
gesti di irenismo , ma rispondevano ad una profonda determinazione
che gli impose di far ricominciare in San Pietro , il Venerdì Santo
1963, il canto della prece universale che l'officiante aveva fatto sen-
za tener conto delle modifiche da lui apportate. 20 Parallelamente fe-
ce togliere dal rituale del battesimo degli israeliti l'ingiunzione:
«Aborrite la perfidia ebraica e rigettatene la superstizione!». 21 Ma la
theologia caritatis di Giovanni si mostrò il sabato 17 marzo 1962 con
un gesto che il rabbino di Roma Toaff ricorda nelle sue memorie re-
centemente edite: « ... passando per il Lungotevere, aveva visto gli
ebrei che uscivano dal Tempio dopo la preghiera. Aveva fatto fer-
mare il corteo di macchine che lo accompagnava e aveva benedetto i
fratelli ebrei i quali, dopo un momento di comprensibile smarrimen-
to, lo avevano circondato applaudendolo entusiasticamente. Era in-
fatti la prima volta nella storia che un Papa benediceva gli ebrei, ed
era forse quello il primo vero gesto di riconciliazione». 21 Da parte
della chiesa cattolica erano i primi segni di un avvenuto mutamento
d~l secolare atteggiamento di inimicizia verso gli ebrei.

flessione di Roncalli sulla permanenza di Israele e questa riflessione lo porterà ai


gesti di amicizia e di carità durante il suo pontificato.
18
Cf. L. Capovilla , Giovanni XXIII e gli ebrei, in «Avvenire», 11 aprile 1986, 7. La
soppressione della parola «perfidis» e il ripristino della genuflessione all'Oremus
pro perfidis judaeis erano già stati chiesti a Pio XII da Jules Isaac nell'udienza del
16 ottobre 1949, ma non ci fu nessun esaudimento. 11 ripristino della genuflessione
avvenne con un decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 27 novembre 1955
modificando così le norme del Pontificale Romano. L'omissione della genuflessio-
ne era così spiegata. «Siccome questi (i giudei) hanno piegato le ginocchia davanti
a Cristo stravolgendo un santo uso e poiché l'hanno fatto per derisione ... noi, per
mostrare visibilmente che non dobbiamo fare ciò che essi hanno fatto per simula-
zione , evitiamo la genuflessione nell'orazione pro judaeis» (Arnalario di Metz, PL
105,1027).
19
Cf. P .E. Lapide , Roma e gli Ebrei, Milano 1967, 411 . La formula, soppressa nel
settembre 1959, suonava così: «E infine guarda con occhi misericordiosi i figli di
quel popolo che fu una volta tuo eletto; che su di essi scenda, ma ora come battesi-
mo di redenzione e di vita, il sangue che un tempo richiamavano sul loro capo».
L'ambiguità di questa preghiera è aggravata dalla cattiva traduzione trovata in più
di cento messali diversi in cui l'ultima frase è resa: «Da lungo tempo hanno chiama-
to su di essi il sangue del Redentore».
20 Lapide, Roma . .. , 411 .
21 Lapide, Roma ... , 411-412. L'autore testimonia diversi atteggiamenti caritatevoli di

Giovanni XXIII verso gli ebrei e li chiama «I quindici passi» (408-428).


22 E . Toaff, Perfidi giudei-fratelli maggiori, Milano 1987, 219-220 (corsivo nostro).
84 E . Bianchi

In ambito cristiano, all'indomani della shoah, si erano registrati


alcuni tentativi per instaurare un rapporto positivo con gli ebrei: il
15 agosto 1947 una conferenza ebraico-cristiana aveva redatto «I
dieci punti di Seelisberg>> che furono poi inoltrati a tutte le chiese
dall'International Council of Christians and Jews; il Consiglio Ecu-
menico delle Chiese, nell'assemblea costitutiva tenuta ad Amster-
dam nel 1948, aveva emanato un documento sull 'atteggiamento cri-
stiano nei confronti degli ebrei; nel 1950 un gruppo di teologi prote-
stanti e cattolici tedeschi aveva elaborato le tesi di Bad Schwalbach
riflettendo in modo ancora impacciato ma corretto sul mistero di
23
Israele. Tutti questi tentativi, provocati dallo shock dell'eccidio di
milioni di ebrei, risalgono al primo dopo-guerra, ma non ebbero
prosecuzione negli anni '50.
Percepito il nuovo atteggiamento del Papa che aveva ormai an-
nunciato la celebrazione di un Concilio, la Conferenza di Apel-
doorn, cui partecipava anche Jules Isaac, fece un appello al Papa e
inviò Io stesso Jules Isaac a Roma nel giugno 1960 per domandare di
correggere nell'insegnamento cristiano le formule suscettibili di an-
tisemitismo e di togliere l'accusa di deicidio. 24
Il 18 settembre 1960 Giovanni affida al Card. Bea l'incarico di
preparare le bozze di una dichiarazione sui rapporti tra chiesa e po-
polo ebraico e così un progetto di sette pagine fu elaborato dal Se-
gretariato per l'Urutà dei Cristiani nel 1961.
Nel dicembre 1962, pochi mesi prima della morte, Giovanni ap-
provò, come testimoniò il Card. Bea il 19 novembre 1963 durante la
2a sessione, il decreto De judaeis redatto dal Segretariato per l'Uni-
tà, ma il testo fu ritirato (da chi?) a causa delle proteste provenienti
dai Padri conciliari delle chiese in territorio arabo. 25

23
I testi di questi documenti sono contenuti nella raccolta curata da L. Sestieri-G .
Cereti, Le chiese cristiane e l'ebraismo (1947-1982), Casale Monferrato 1983, 1-3,
4-8, 13-16.
24
J. Isaac consegnò a Giovanni XXIII un memorandum in diciotto punti in cui chie-
deva rispettosamente di mutare «l'insegnamento del disprezzo» e gli domandò se
gli era consentito un briciolo di speranza ricevendo dal Papa la risposta: «Voi avete
diritto a ben più che alla speranza1» (cf. L. Capovilla, Giovanni XXIII e gli Ebrei ,
«Avvenire», 11 aprile 1986, 7). Subito dopo il Papa consegnò il dossier al Card.
Bea con il mandato di studiarlo in vista di una chiarificazione come atto di dovero-
sa giustizia e come contributo alla condanna dell'antisemitismo.
25
SulJ'iter del decreto cf. G.M. -M.Cottier, L'historique de la D éclaration, in Les re-
lations de l'Église avec les religions non chrétiennes, Paris 1966, 37-78; R . Lauren-
tin , L'Église et les Juifs à Vatican II, Tournai 1967, 11-40.
Israele e la chiesa 85

Non è questo il luogo per seguire il tormentato iter della Dichia-


razione costantemente cambiata nei contenuti e nella possibile col-
locazione tra i documenti conciliari, sottratta al Segretariato per l'U-
nità e sostituita nel 1964 con un altro testo redatto da quelli che
Mons. Heenan, denunciando la frode , chiamò «periti imperiti»,26 e
minacciata costantemente di essere soppressa. Si pervenne tuttavia
faticosamente alla sua approvazione il 15 ottobre e alla sua promul-
gazione il 28 ottobre 1965 con 2221 placet e 88 non placet.21
Il testo finale portava tuttavia i segni del travaglio e dell'opposi-
zione accanita da parte dei Padri delle chiese orientali e del Coetus
internationalis patrum guidato da Mons. Carli: 28 basti qui ricordare
che rispetto al textus prior il documento finale non tiene il suo posto
nel decreto sull'ecumenismo, ma è inscritto nella dichiarazione sulle
religioni non cristiane. Non ha avuto dunque un'adeguata colloca-
zione, né un complemento di altri elementi essenziali nella Lumen
gentium , nella Dei Verbum e nella Gaudium et spes. Già questo mo-
stra l'insufficiente riflessione teologica sul mistero di Israele (e di
conseguenza, si potrebbe dire, un'incertezza della chiesa a definire
se stessa nella sua più profonda natura) , ma va soprattutto rilevata
la caduta di alcune espressioni derivanti da una theologia caritatis:
«Con cuore pieno di gratitudine la chiesa sposa di Cristo riconosce ...
La chiesa ama questo popolo ... chi disprezza o perseguita questo
popolo arreca dolore alla chiesa». Tutte queste parole sono venute a
mancare e così pure l'importante precisazione: «Mai il popolo giu-
daico sia presentato come colpevole di deicidio» mentre l'altra: «il
Concilio condanna e deplora gli odi e le persecuzioni contro gli
ebrei» è stata amputata del verbo «condannare». 29
D 'altronde l'opposizione alla Dichiarazione è·continuata massic-
cia, anche se minoritaria, fino al termine del Concilio e tra i Padri
solo pochi, oltre al Card. Bea e al Segretariato per l'Unità, avevano
un'adeguata coscienza teologica del tema.

26
Laurentin , L'Église ... , 23.
n Cottier, L'historique ... , 78.286.
28
Tra i Padri conciliari Mons. Carli, vescovo di Segni, fu difensore fino alla fine della
tesi del deicidio e contrario al decreto preparato dal Segretariato. Si vedano i suoi
interventi apparsi su Palestra del Clero 44 (1965) 185-203 e 463-476.
29
Cf. la sinossi dei quattro successivi testi della Dichiarazione in Les R.elations .. . ,
287-305.
86 E. Bianchi

Importante risulta l'intervento del Card. Lercaro, 30 1na soprat-


tutto lucido e penetrante quello di Mons. Elchinger che, nell'inter-
vento del 29 settembre 1964, chiedeva che gli ebrei venissero colti
nella Dichiarazione non come un antecedente necessario al cristia-
nesimo ma come «testimoni viventi oggi della tradizione biblica»,
che si affermasse che «il Secondo Testamento non abolisce il Pri-
mo», che la chiesa domandasse perdono agli ebrei per gli errori, le
persecuzioni e le violenze perpetrate, che si rigettasse totalmente
l'accusa di deicidio , che non ci fosse neanche l'apparenza di un ap-
pello alla conversione e che, a causa del vincolo parti.colare che uni-
sce chiesa a sinagoga, la Dichiarazione fosse staccata da quella sulle
altre religioni per costituire una Dichiarazione a parte. 31
Dunque i limiti della NA sono ben evidenti e tuttavia va ricono-
sciuto che quel testo ha rappresentato «la svolta della storia» che
non permette più di «continuare sulla stessa strada» come ha ricono-
sciuto anche un laico come N. Bobbio al convegno della Fondazione
ebraica "C. De Levy" svolto a Torino nell'aprile 196432 e come am-
mette l'inzio stesso del documento «Orientamenti e suggerimenti
per l'applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, 4»
del Segretariato (1974) .33 L'affermazione del vincolo peculiare che
lega la chiesa al popolo ebraico, la posizione particolare di Israele
anche dopo Cristo sempre amato da Dio, non maledetto né rigetta-
to, la promozione della reciproca conoscenza e stima, la deplorazio-
ne dell'antisemitismo sono acquisizioni definitive anche s~, co~~
scriveva il Card. Bea, la NA non è «un documento perfetto 1n tutti 1
sensi ... e che sia perciò da difendere ad ogni costo in tutto e per tut-
to». 34
L 'unico elemento gravemente mancante, che occorre ancora
una volta denunciare, che non trovò accoglienza in Concilio, né ne-
gli anni seguenti fino ad oggi, è la richiesta di perdono da parte della
chiesa agli ebrei. La domanda di Mons. Elchinger: «Perché n?n pos-
siamo attingere dall'evangelo quella larghezza di cuore che c1 renda

30 G . Lercaro, Per la forza dello Spirito. Discorsi conciliari, Bologna 1984, 1~3~10?.
31 Il testo dell'intervento di Mons. Elchinger, vescovo di Strasburgo, è repenb1le m
Laurentin, L'Église ... , 114-1 19. .
32 In: Una svolta nei rapporti fra la chiesa cattolica e gli ebrei?, a cura della Fondazio-
ne ebraica «C. De Levy», Toririo 1964, 9.
33 Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 197.
34 A . Bea, La chiesa e il popolo ebraico, Brescia 1966, 11 .
Israele e la chiesa 87

capaci di chiedere perdono in nome di cosi tanti cristiani, per cosl


tante e grandi ingiustizie?»35 non ha ancora ricevuto risposta . Lo
stesso Card. Bea, ricordando le parole di Paolo VI con le quali il Pa-
pa chiedeva perdono ai cristiani non cattolici per tutta la colpa che
può essere imputata alla chiesa cattolica nelle dolorose divisioni tra
cristiani , suggerl di confessare la colpa e chiedere perdono anche nei
confronti degli ebrei. 36 Anche il Card. R. Etchegaray durante il Si-
nodo sulla riconciliazione del 1983 fece un intervento di alta qualità
teologica e richiese di domandare perdono.37 Recentemente Gio-
vanni Paolo II il 13 agosto 1985 a Yaoundé ha chiesto perdono ai
fratelli africani che tanto hanno sofferto a causa di molti uomini che
appartenevano a nazioni cristiane,38 ma stranamente questa confes-
sione della colpa davanti a Dio e agli ebrei e la richiesta di perdono
non è ancora avvenuta. Questa evasione resta gravissima perché sen-
za un'assunzione chiara e penitente della responsabilità della chiesa
nei confronti delle persecuzioni antiebraiche compiute dai popoli
cristiani e senza una richiesta di perdono a Dio e a quelli che sono
stati saziati con il disprezzo e l'ostilità, non solo è minacciata ogni ri-
conciliazione ma, a livello rivelativo, questo significa non arrivare
né ad una comprensione della autentica e necessaria conversione, né
alla comprensione della propria definizione e della propria storia nel
mondo.
Il Card. Bea nella conferenza stampa tenuta il giorno della pro-
mulgazione della NA disse: «La dichiarazione sulle religioni non cri-
stiane è in realtà un inizio importante e promettente, ma niente più
che l'inizio di un lungo ed esigente cammino verso l'ardua meta di
un'umanità i cui membri si sentano veramente figli dello stesso Pa-
dre che è nei cieli e agiscano come tali».39
Da allora si è camminato su questa strada e si sono fatti notevoli
progressi . Sono sorti a livello nazionale e regionale gruppi di dialo-
go, segretariati, commissioni, amicizie ebraico-cristiane, riviste, e si

35
Laurentin , L 'Église ... , 117.
36
A . Bea, Discorso al Capitolo generale della Congregazione di N.S. di Sion (15 gen-
naio 1964), 54 (complessivamente 51-62).
37
Interve nto del 4 ottobre 1983. Citazione in J .-M. Garrigues, L'unique Israel de
Dieu , Limoges 1987, 238-240.
38
«L•Osservatore Romano», 15 agosto 1985, 4.
39
J. M . Oesterreicher, «Kommentierende Einleitung» (introduzione e commentario
alla dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane), Frei-
burg-Basel-Wien, (LThK, Supp., 2) , 475.
88 E. Bianchi

sono mol.tiplic~ti i. colloqui bilaterali ... Certamente è apparso più in-


tenso e ~iva~e il dialogo ebraico-cristiano rispetto allo stesso dialogo
ecu~enic.o interconfessionale che, soprattutto a partire dalla fine
degh anni '70, mostra un rallentamento e una grave caduta di inte-
resse perlomeno nell'area delle antiche cristianità. Soprattutto il SI-
DIC e le «Amicizie ebraico-cristiane» hanno trovato una grande ri-
sposta e un'estesa collaborazione da parte ebraica e la loro presenza
nsulta molto efficace a livello ecclesiale. Numerosissimi sono stati i
docu~enti delle chiese cristiane, soprattutto europee occidentali e
amencane, ma si deve mettere in evidenza che tale processo di cre-
scita del dialogo non si è verificato nelle chiese dell'est-Europa dove
tuttavia è ancora forte una presenza ebraica né, per motivi politici,
nelle chiese ortodosse e, più comprensibilmente, nelle chiese del
Terzo mondo. Non è possibile fare neppure una rassegna di questi
documenti, ma i più significativi e autorevoli sono stati raccolti, in-
sieme ad alcune prese di posizione autorevoli, ma necessariamente
personali da parte di rappresentanti dell'ebraismo, in diverse anto-
logie. 40
2. Il cammino percorso in questi vent'anni
a) Orientamenti e suggerimenti
per l'applicazione della Dichiarazione conciliare
Nostra Aetate, 4 (1 dicembre 1974) 41

40
Oltre alla già citata raccolta a cura di L. Sestieri-G. Cereti, Le chiese cristiane e l'e-
braismo (1947-1982) , Casale Monferrato 1983, vanno ricordati i volumi: H . Croner
(ed.), Stepping Stones to Further Jewish-Christian Relations. An Unabrid~ed Col-
lection of Christian Documents, London-New York 1977; Id., More Steppmg Sto-
nes to Jewish-Christian Relations. An Unabridged Collection of Christian Docu-
ments 1975-1983, New York 1985; M .-T. Hoch-B. Dupuy (edd.), Les Églises de-
vant le Judrusme. Documents officiels 1948-1978, Paris 1980; K. Richter (ed .), Die
katholische Kirche und das Judentum . Dokumente von 1945-1982, Freiburg-Basel-
Wien 1982. Fra i documenti meritano particolare attenzione il «Progetto di rappor-
to sulle relazioni fra ebrei e cristiani» elaborato dal Concilio pastorale della chiesa
cattolica olandese (5-8 aprile 1970) (Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 131-140) e gli
«Orientamenti pastorali circa l'atteggiamento dei cristiani nei confronti dell 'ebrai-
smo» (1973) del Comitato episcopale francese per le relazioni con l'ebraismo (Se-
stieri-Cereti , Le chiese ... , 179-186). I due documenti , meno teologici e più parene-
tici, della Conferenza episcopale degli Stati Uniti: «Direttorio per le relazioni
ebraico-cristiane» del marzo 1967 (Sestieri-Cereti, Le chiese .. . , 119-124) e «Mes-
saggio pastorale sulle relazioni ebraico-cristiane» del 20 novembre 1975 (Sestieri
Cere ti, Le chiese ... , 232-238), arrivano anche ad accennare al particolare legame
esistente tra popolo ebraico e terra d'Israele .
41
Testo in: Sestieri-Cereti; Le chiese ... , 196-205.
Israele e la chiesa 89

Le nonne di applicazione della NA o meglio gli Orientamenti e


suggerimenti si attendevano già nel 1969, invece la vacanza fu lunga,
più per ragioni diplomatiche che per l'iter di elaborazione. Infatti gli
Orientamenti erano quasi pronti quando, per una non autorizzata e
prematura pubblicazione sul «New York Times», 11 dicembre 1969,
di un documento di lavoro voluto dal Segretariato che destò molte
reazioni, si decise di soprassedere. In questo testo, pubblicato pre-
l maturamente, si trovavano queste espressioni degne di nota: «La fe-
f deltà all'alleanza era collegata con il dono di una terra, che nel cuore
degli ebrei ha continuato ad esistere come l'oggetto di un anelito che
i cristiani dovrebbero cercare di capire ... rispettando il significato
religioso di questo legame tra il popolo e la terra. L'esistenza dello
Stato di Israele non dovrebbe essere disgiunta da questa prospetti-
va , il che non implica di per sé alcun giudizio su avvenimenti storici
o su decisioni di ordine puramente politico». 42 Soprattutto per que-
sta difficoltà e per il riemergere di atteggiamenti negatori della NA
anche da parte di alcuni episcopati di chiese nei paesi arabi, gli
Orientamenti furono pubblicati solo nel 1975, il 3 gennaio (in data 1
dicembre 1974) e senza accenni riguardo al legame tra popolo ebrai-
co e terra di Israele, contraddicendo quindi al passaggio in cui affer-
mano la necessità di accogliere nel dialogo la realtà di Israele secon-
do la comprensione che l'Ebraismo ha di se stesso. 43
Negli Orientamenti appare finalmente l'esplicita condanna di
ogni forma di antisemitismo44 e, ribaditi i legami spirituali tra Israele
e la chiesa, si esortano i cristiani affinché «cerchino di capire meglio
le componenti fondamentali della tradizione religiosa ebraica e ap-
prendano le caratteristiche essenziali con le quali gli ebrei stessi si de-
finiscono alla luce della loro attuale realtà religiosa». 45 È vero che
questo invito è elementare condizione per ogni dialogo, tuttavia

42
Il testo del documento di lavoro è stato pubblicato dall'Institute of Jewish Affairs,
in collegamento con il World Jewish Congress: Christian Attitudes on Jews and Ju-
daism , A Periodica! Survey 10 (1970) 8.
43
Un confronto fra le due stesure degli Orientamenti e una valutazione è stata com-
piuta da R. Fabris, La prudenza degli «Orientamenti» e dei «Suggerimenti» vatica-
ni sugli ebrei, Il Regno-Attualità, 15-3-1975, 130-140.
44
« .. .i legami spirituali e le relazioni storiche che ricollegano la chiesa all'ebraismo
condannano , come avversi allo spirito stesso del cristianesimo, tutte le forme dian-
tisemitismo e di discriminazione .. . » (Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 197; corsivo no-
stro).
45
Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 197 (corsivo nostro).
90 E. Bianchi

esso rappresenta una grande novità per i cristiani abituati a rappre-


sentarsi solitamente gli ebrei in una visione dedotta soprattutto dal
Nuovo Testamento. Vi è poi l'invito a superare la fase del mono-
logo in vista di un vero dialogo guidato dai principi del rispetto
dell'altro e della libertà religiosa e si auspica la possibilità di
«incontri comuni, davanti a Dio, in preghiera e in meditazione
silenziosa». 46
Riguardo alla liturgia, che è stata a lungo un potente veicolo di
antisemitismo, gli Orientamenti affermano la necessità di riscoprire
i rapporti tra i due riti che in buona parte sono di dipendenza e di de-
rivazione e, soprattutto per quel che concerne la lettura dell'Antico
Testamento, si invitano i cristiani a comprendere tutto ciò che in es-
so «<:°nserva u? valore proprio e perpetuo, perché questo valore
non e stato obhterato dall'ulteriore interpretazione del Nuovo Te-
47
stamento». Certamente si ribadisce che i cristiani leggono l'Antico
Testamento alla luce delle promesse che credono realizzate nella
prima venuta di Cristo, ma si invita anche a non dimenticare che essi
restano a?c~ra nell'attesa del perfetto compimento che si realizzerà
solo con Il ntomo glorioso di Cristo alla fine dei tempi. Quanto al-
l'insegnamento, gli Orientamenti offrono gli elementi essenziali_p~r
capovo!gere l'insegnamento del disprezzo ribadendo il caratter.e 1sp1-
rato dei due Testamenti, mai in opposizione nel loro messaggio su!-
I'amore di Dio e del prossimo, e ricordando che la storia ~~ll'e?rai-
smo non si è conclusa con la distruzione del Tempio, ma s1 e svilup-
pata in una tradizione religiosa ricca di valori religiosi .48 Di partico~
lare importanza la conclusione che invita a guardare al probl~ma dei
rapporti tra ebrei e cristiani come problema riguardante la chie~a co-
me tale anche da parte di quelle chiese nelle cui regioni '!o'! es~tono
comunità ebraiche. La chiesa, scrutando se stessa, coghe il m• stero
d'Israele. 49 Certamente il valore della permanenza di Israele neces-
sitava di essere colto più profondamente, non semplicemente _co~.e
«una tradizione religiosa la cui portata, pur assumendo_.. • ~n sig!1tfi-
cato profondamente diverso dopo il Cristo, resta tu.tta~1a. ncca di va-
lori religiosi», ma come permanenza del1a Parol~ ~1 ~10 •~ un popo-
lo e nella comunità dell'Alleanza e del1e bened1z1on1 mai revocate

46 Ivi, 198.
47
Ivi , 199.
48 Cf. Ivi, 200-201.
49 Cf. Ivi , 202.
Israele e la chiesa 91

da Dio, non foss'altro in obbedienza alla lettura del Nuovo Testa-


mento , tuttavia un altro passo era compiuto. 50
b) I Sussidi del 1985
A vent'anni dalla NA, dopo un lungo e paziente lavoro di stesu-
ra, il 24 giugno 1985 viene pubblicato il terzo documento della Santa
Sede: «Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e dell'e-
braismo nella catechesi della Chiesa cattolica»,51 un documento che,
al di là del risultato finale delle singole proposizioni , criticate da re-
sponsabili ebrei e da molti cristiani che si sono dichiarati delusi per
una certa povertà più che una concisione,52 consente ormai di intra-
vedere con certezza una tradizione dottrinale sulla relazione Chiesa-
Israele, tradizione che mostra il carattere dell'irreversibilità. Gio-
vanni Paolo II, se ha mostrato segni capaci di rallentare e rendere
più problematico il dialogo ecumenico interconfessionale, ha mo-
strato invece una decisione precisa nel far avanzare il dialogo cristia-
no-ebraico. « . . .la NA resta sempre per noi, per la Chiesa cattolica,
per l'episcopato ... e per il Papa, un insegnamento che si deve segui-
re, un insegnamento che si deve accettare non solo perché autorevo-
le, ma come un'espressione di fede, come una ispirazione dello Spiri-
to santo, come una parola della Sapienza divina».53 Sono parole forti
per un documento conciliare che non hanno avuto equivalenti da
parte dell'attuale Papa per altri testi conciliari. Qual è il movimento
che si intravede nei Sussidi rispetto alla NA e agli Orientamenti?

50
Cf. P . De Benedetti, Sull'applicazione della Dichiarazione conciliare «Nostra Ae-
tate», Bibbia e Oriente 18 (1976) 69-74.
51
Pubblicato su «L'Osservatore Romano», 24-25 giugno 1985, 6-7. A p. 7 è riportato
anche il testo della conferenza stampa di presentazione del documento tenuta da
Mons. J . Mejia il giorno stesso della sua pubblicazione.
52
Una valutazione equilibrata e intelligente dei sussidi mi pare quella di Renzo Fa-
bris, Luci ed ombre dei Sussidi vaticani a vent'anni dalla dichiarazione conciliare
sugli ebrei, in Human.itas 10 (1985) 738-752. Valutazioni di ordine soprattutto teo-
logico sono: E .J . Fisher, L'évolution d'une tradition: de «Nostra Aetate» aux «No-
tes», in Istina 2 (1986) 163-180; M. Remaud, Catholiques et Juifs: un nouveau re-
gard , Paris 1985. Una rassegna dei commenti apparsi e delle reazioni suscitate è
stata fatta da P. De Benedetti, «Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei e
dell'ebraismo», in Studi Fatti Ricerche 31 (1985) 12-15.
53
Discorso ai rappresentanti deU' American Jewish Committee del 15 febbraio 1985
(corsivo nostro) . Testo originale inglese su «L'Osservatore Romano», 16 febbraio
1985 . Queste parole sono la ripresa di espressioni già pronunciate da Giovanni
Paolo II in un breve discorso improvvisato davanti ai rappresentanti della comunità
ebraica del Venezuela a Caracas il 27 gennaio 1985 e riportate poi, in italiano, su
«L' Osservatore Romano» del 29 gennaio 1985.
92 E . Bianchi

Innanzitutto esso si mostra non solo con una funzione applicativa,


ma ~n_che con la c~pacità di sviluppare la riflessione dottrinale sugli
ebrei 1~novando rispetto ai documenti precedenti, anche se appare
q~a _e la nel te~to la preoccupazione della salvaguardia dell'identità
cns tzana n~I dialogo con gli ebrei. 54 Si intravede qui la costante
preoccupazio~e di questo pontificato sull'identità confessionale
(non a caso Gi~vanni Paolo II è citato più volte) , ma si deve pur am-
n:ie~tere che nei vent'anni di dialogo abbozzato si sono registrate cri-
si di appart~ne~za, perdita di identità, reazioni proselitizzanti ed an-
che conversioni da parte di impegnati nel dialogo. Questi esiti non
rappresentano certo il modo di riparare al proselitismo forzato del
~assat_o e la via di una schizofrenia nell'appartenenza non giova né ai
s~n~oh, né alla Chiesa, né a Israele, fatta salva la via particolare, le-
gittima e sostanzialmente profetica, dei giudeo-cristiani. 55
Comunque , i punti di novità dei Sussidi per noi sono essenzial-
mente questi. Innanzitutto è ripresa una formula pronunciata dal
Papa a Magonza il 17 novembre 1980 in cui gli ebrei appaiono «il po-
polo ebraico dell'antica alleanza che non è mai stata revocata»
56
(I,4), quindi, in riferimento a un discorso del Papa del 6 marzo
1982, si attesta che cristianesimo ed ebraismo «sono legati a livello
stesso della loro identità» (I,2); 57 infine si parla di «realtà permanen-
te del popolo ebraico»(I,3), dell'Ebraismo come «realtà sempre vi-
va, in stretto rapporto con la Chiesa» (I,3) e quindi dell'«indispensa-
bile presenza degli Ebrei e dell'Ebraismo nella catechesi e nella pre-
dicazione» (I,2).

54
Questa preoccupazione appare particolarmente insistente nel discorso di Giovanni
Paolo II del 6 marzo 1982 ai Delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con
l'ebrajsmo (una catechesi oggettiva sugli ebrei e sull'ebraismo, in Sestieri-Cereti,
Le chiese .. . , 338-339). Si veda anche l'articolo di P. Grech , Educare una nuova ge-
nerazione, «L'Osservatore Romano», 24-25 giugno 1985, 7.
55
Sul fenomeno complesso e diversificato costitujto dai giudeo-crist~ani (Ope~a di
San Giacomo, Yehudim Meshichiyim, cioè Giudei Messianici e altn gruppi) s1 ve-
da il contributo di F. Rossi De Gasperis in corso di pubblicazione su questa rivista e
l'articolo dello stesso autore, Israele o la radice santa della nostra fede, Rassegna
di Teologia 1 (1980) 1-15 (prima parte) e 2 (1980) 116-129 (seconda parte). Ma qui
con questa espressione intendo anche quegli ebrei che aderiscono a Gesù il Messia:
mi pare che per questi sia legittimo e doveroso cercare di vivere la fede cristiana
mantenendo la propria appartenenza a Israele e vivendola come figli d ' Israele.
56
Il discorso del Papa a Magonza, pubblicato in tedesco su «L'Osservatore Roma-
no», 17-18 novembre 1980, è contenuto in italiano in Sestieri-Cereti, Le chiese ... ,
331-334 (citazione a p. 333).
57
Sestieri-Cere ti , Le chiese ... , 337-340 ( citazione a p . 338).
Israele e la chiesa 93

Nella sezione II dei Sussidi, «Rapporti tra Antico e Nuovo Te-


stamento», si fa una riflessione nuova sull'interpretazione tipologica
(11,3-8), di cui si sottolineano i pregi, ma non si nascondono i limiti,
invitando a evitare ogni passaggio tra Antico e Nuovo Testamento
che sia esclusivamente considerato una rottura (cf. Il,4). È questo
uno dei punti capitali dell'accostamento da parte dei cristiani al Pri-
mo Testamento che certamente neccessita di essere molto approfon-
dito e che non si presenta di facile e sbrigativa soluzione, come pur-
troppo appare sovente negli incontri e nei dialoghi tra le due parti.
Audace e pure nuova rispetto a tutto il magistero precedente, appa-
re la definizione di popolo di Dio come comprendente sia Israele che
la chiesa. In due passaggi si parla «di popolo di Dio dell'antica e del-
la nuova Alleanza» (11,10) e «di persona del Messia sulla quale il po-
polo di Dio è diviso» (11,10). 58 Non è facile, nonostante alcuni tenta-
tivi, conciliare questa affermazione con NA 4,6 (citata nei Sussidi
IV ,2) dove si dice che «la chiesa è il nuovo popolo di Dio», ma certa-
mente viene aperta cosl una nuova prospettiva teologica su cui mai
la tradizione della chiesa si era impegnata.
Proprio in questa unicità del popolo di Dio vista di fronte alla ve-
nuta o ritorno del Messia si fa accenno, anche se timidamente, alla
tensione escatologica verso il «non ancora» che pone al centro della
fede la speranza (II,9-10) . La presenza di Israele dovrebbe costante-
mente ricordare alla chiesa che la salvezza non è ancora venuta.
Israele è il pungolo escatologico per la chiesa e questa non a caso ha
tralasciato e smesso la tensione escatologica quanto più si allontana-
va dal riferimento al mistero della permanenza di Israele.
Nelle sezioni III e IV intitolate «Radici ebraiche del cristianesi-
mo» e «Gli Ebrei nel Nuovo Testamento», si cerca di dare un abboz-

58
Il Card. C .M . Martini in un intervento di alta qualità teologica a Vallombrosa nel
1984 aveva detto : «Il fatto che la Chiesa si sia sempre considerata Verus Israel, non
dovrebbe essere inteso come uno svuotamento dell'antico Israele: se noi cristiani
crediamo di essere in continuità e in comunione con i Patriarchi, i Profeti , le tribù
d'Israele , con gli esuli di Babilonia e con i martiri Maccabei, è necessario che que-
sta comunione si realizzi in tutti i modi possibili anche nei riguardi degli ebrei che a
Yabneh hanno codificato la Mishnah, a Babilonia il Talmud, a Toledo e a Magonza
hanno composto le Selichot, furono perseguitati dai Crociati e processati per infan-
ticidio rituale ... C'è un obiettivo finale: il giorno in cui saremo un unico popolo che
Dio ... benedirà» (C.M. Martini, Un regard sur le Juda:isme , in Sens 12 (1984) 465 .
Si vedano anche i «Sussidi per l'Ecumenismo» della diocesi di Roma che al para-
grafo 137 parlano di «tutto il popolo di Dio, dell'antica e della nuova Alleanza»
(Verso l'unità dei cristiani, Il Regno-Documenti, 1-5-1983, 280).
94 E. Bianchi

zo di interpretazione di Gesù di Paolo della chiesa nascente e degli


ebrei nel Nuovo Testamento' che non' sia offensivo e che esca dal-
l'in~~gnam~nto del disprezzo:' è la parte del documento giudicata più
pos1t1va dai commentatori,59 ma a me sembra che sia qualche volta
troppo sbrigativa e superficiale. Doveroso mettere in luce l'ebraicità
di Gesù e il suo ambiente che non è solo l'Antico Testamento, ma
l'Antico Testamento vissuto e compreso nel suo tempo, ma conclu-
dere ~he «~e_sù è più vicino ai farisei di quanto non lo sia ad altri
~ruppi e?r?1c1 a lui contemporanei» (III ,8), senza tener conto del-
I Apocahtt1ca o degli Esseni mi sembra perlomeno non adeguato ri-
spe~to alle conoscenze di cui noi oggi usufruiamo. Così i termini «fa-
nse1» e «giudei» è vero che trovano nel Nuovo Testamento riferi-
menti ostili che hanno come contesto storico i conflitti tra chiesa na-
s~e~te_e c?munità ebraica e che alcune polemiche riflettono le con-
d121on1 dei rapporti tra ebrei e cristiani cronologicamente posteriori
a Gesù, ma accanto a questi termini occorre pure mettere «la Leg-
ge», «l'indurimento», «la privazione del Regno», «l'inciampo», «la
caduta», e riportare tutti questi termini, con un'ermeneutica rigoro-
sa, al loro significato nei contesti del Nuovo Testamento discernen-
do tutto quello che vi può essere stato immesso da una certa tradi-
zione seppur autorevole, ma pur sempre minore e da confrontarsi
con le grandi linee del messaggio gesuano .60
I Sussidi non sono di natura dottrinale, ma rischiano di essere
occasione di confusione e di innesto di tensioni continue ogni volta
che si cita nella chiesa lo «sta scritto» del Nuovo Testamento. Non è
un caso che costantemente vengano mosse proteste da parte ebraica
e da parte dei cristiani impegnati nel dialogo a discorsi pubblici o
omelie di rappresentanti delle chiese alcune volte effettivamente an-
cora debitori di un antisemitismo radicato nell'omiletica, ma alcune
volte semplicemente lettura dello «sta scritto».
Nella sezione IV del documento va rilevata la considerazione
che il mancato riconoscimento di Gesù da parte degli ebrei del suo

59
Fabris, Luci ed ombre ... , 746-747; Remaud , Catholiques et Juifs .. . , 30-32; Fischer,
L 'évolution ... , 175-176.
60
Questa operazione non è semplice, ma è assolutamente necessaria: essa deve pog-
giare su una rigorosa ermeneutica biblica e comunque deve misurarsi sulla ricezio-
ne neJJa grande tradizione della chiesa. Un tentativo classico resta: G. Baum, Les
Juifs et l'Évangile, Paris 1965; cf. anche Antijudaìsmus im Neuen Testament?,
Munchen 1967. Meno accettabile sul piano ermeneutico: L. Schottroff, Antigiudai-
smo nel N .T ., Concilium 5 (1984) 97-111.
Israele e la chiesa 95

tempo è un fatto non solo storico, ma con una portata teologica, un


fatto che va riconnesso alla verità elementare che la fede è un dono
libero di Dio e che la coscienza degli altri non va giudicata (IV,1-2).
Da questo deriva che la morte di Gesù appare innanzitutto come pro-
blema teologico e non giuridico, come evento di cui sono colpevoli
tutti gli uomini e, più di tutti, i cristiani peccatori. La rottura storica
tra cristiani ed ebraismo è in ultima analisi un mistero che occorre ri-
conoscere senza perdere di vista il legame essenziale e permanente
tra chiesa e Israele. Infine, nella sezione VI, c'è finalmente il ricono-
scimento «che la fede e la vita religiosa del popolo ebraico cosl come
sono professate e vissute ancora oggi possono aiutare a comprende-
re meglio alcuni aspetti della vita della chiesa» (VI,1) 61 e si invitano i
cristiani a comprendere la diaspora degli ebrei in modo positivo
avendo permesso «ad Israele di portare in tutto il mondo la testimo-
nianza, spesso eroica, della sua fedeltà all'unico Dio ... , conservando
sempre nel cuore delle sue speranze il ricordo della terra dei padri»
(VI,l)
Appare qui per la prima volta il problema della riunificazion~
degli ebrei nella terra di Israele e l'invito ai cristiani di «comprende-
re questo vincolo religioso tra terra e popolo che affonda le sue radi-
ci nella tradizione biblica, pur non dovendo far propria un'interpre-
tazione religiosa di tale relazione» (VI,l). Ed è così che i Sussidi am-
moniscono a vedere «l'esistenza dello Stato di Israele e le sue scelte
politiche in un'ottica che non è di per sé religiosa, ma che si richiama
ai principi comuni del diritto internazionale» (VI ,1)62 .
Quest'ultimo passaggio appare certamente povero e rapido, ma
il tema è complesso e delicato e si sa che il Vaticano su questo è so-
prattutto , se non esclusivamente, mosso da ragioni politiche e diplo-
matiche . Le critiche da parte degli ebrei su questo punto sono state
durissime, sopratutto da parte dell'International Jewish Commitee
on Interreligious Consultations che ha dichiarato: «L'Israele di oggi

61
Vi è qui un riferimento preciso a parole pronunciate da Giovanni Paolo II il 6 mar-
zo 1982 nel discorso ai Delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con l'e-
braismo: Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 339.
62
Sul problema dello Stato d'Israele si erano espressi con maggiore decisione sia il
Comitato episcopale francese per le relazioni con l'ebraismo (Pasqua 1973): «.. .la
coscienza universale non può rifiutare al popolo ebraico .. . il diritto e i mezzi per
un'esistenza politica propria tra le nazioni» (Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 184), sia
Giovanni Paolo II nella lettera apostolica «Redemptionis Anno» del 20 aprile 1984
( «L'Osservatore Romano», 20 aprile 1984, 4).
96 E. Bianchi

è svuotato di ogni possibile significato religioso per i cristiani». 63 II


Jewish Committee on Interreligious Consultations deplorava che
«dall'affermazione del perdurare dell'elezione de l popolo ebraico
non sia stata desunta la perdurante validità della promessa della
Terra agli ebrei», 64 ma il rabbino H. Siegman , direttore esecutivo
dell' American Jewish Congress, facendo notare che neppure tra gli
ebrei vi è consonanza per quanto riguarda il significato dello stato
Israele (se cioè lo Stato di Israele rappresenti un evento religioso) ha
dife~o la posizione dei Sussidi giudicandola corretta.65
E una realtà spesso dimenticata dagli impegnati nel dialogo cri-
stiano-ebraico il fatto che non tutti gli ebrei della diaspora e non tut-
ti gli ebrei residenti nello stesso territorio di Israele accettano l'esi-
stenza deJlo Stato quale risultante religiosa e quindi quale evento
escatologico. È vero che la maggioranza degli ebrei pone sempre la
richiesta del riconoscimento formale dello Stato di Israele come de-
dotto dalle premesse teologiche del dialogo ebraico-cristiano, ma il
problema è più complesso di quanto si creda. _Capire il legame tra
terra e popolo nella fede di Israele è assolutamente neccessario per
chi fa il dialogo , ma altra cosa è riconoscere e giudicare lo Stato at-
tuale di Israele in una prospettiva religiosa. Con questo non voglio
dire che ci siano solo due possibilità per noi cristiani: o riconoscere
lo Stato di Israele o , insieme ad altre correnti religiose ebraiche, at-
tenerci su un piano del tutto laico, quello del diritto internazionale.
Infatti resta aperta la via dell'interpretazione dei segni dei tempi , tra
cui il ritorno di Israele nella terra, la sua indipendenza, il suo essere
Stato, ma questo richiede non un biblicismo o una lettura fondamen -
talistica da parte di noi cristiani, ma una rigorosa e umile operazione
profetica che non si improvvisa, anche se deve farsi strada per com-
prendere la storia verso il suo telos. Non dobbiamo noi cristiani de-
sumere dalla nostra lettura del1'Antico Testamento, interpretando
magari noi la shoah di Gerusalemme a Babilonia, che mai più l'I-
sraele biblico si realizzerà in uno Stato, che Gerusalemme ormai è

63
Conferenza stampa del 24 giugno 1985. Il testo è citato nel recente a rticolo di ~ -
Ne udecker, Chiesa cattolica e popolo e braico, in Vaticano Il: bilancio e prospetti-
ve venticinque anni dopo (1962-1987), II A ssisi 1987, 1320 (complessiva me nte
1300-1334) . .
64
Comunicato stampa del 24 giugno 1985: cf. Christian Life in Israel 17 (1985) 4 ( ci-
tazione in Neudecker, Chiesa cattolica .. . , in Vaticano II ... , 1320).
65
Rome a nd Je rusalem: the religious meaning, in «The Je rusalem Post», 2 sette mbre
1985, 8.
Israele e la chiesa 97

Sodoma,66 ma neanche facilmente asserire che nello Stato di Israele


si compiano oggi le promesse fatte ai padri giustificandone a livello
di fede la legittimità e l'operato.
Certo , quando noi cattolici leggiamo i Sussidi ci stupiamo della
veemenza delle reazioni negative degli ebrei e gli ebrei si stupiscono
che noi non sappiamo prevedere le loro reazioni, ma il dialogo non
ancora di fede, ma solo di carità, è agli inizi, è una realtà nuova e
unica e risente di un abisso storico che ci ha separati per due millen-
ni contrassegnati da odio e ostilità. Ma dalla NA ai Sussidi è innega-
bile il graduale e meditato progresso di una nuova tradizione dottri-
nale sulle relazioni Chiesa-Israele.
e) La visita del Papa alla sinagoga di Roma
Se oltre ai documenti hanno importanza i gesti, non si può trala-
sciare di parlare, anche se brevemente, dalla visita del Papa alla si-
nagoga di Roma avvenuta il 13 aprile 1986. Alcuni ebrei di stretta
osservanza arrivarono a chiedersi se la presenza di cristiani nella si-
nagoga non compromettesse in qualche modo il monoteismo ebrai-
co, ma nonostante alcune reazioni negative, anche da parte dei cri-
stiani tradizionalisti, l'incontro avvenne e resta certamente positiva
«la generosa ospitalità» all'interno della sinagoga, la preghiera silen-
ziosa in comune, la proclamazione solenne della fede nella venuta
del Messia con il canto Ani' ma'amin: «Credo con fede piena nella
venuta del Messia e per quanto possa tardare l'attenderò fino a
quando non giunga!» . I discorsi scambiati non erano simmetrici: il
rabbino e il presidente della comunità ebraica di Roma dedicarono
attenzione alla shoah e al riconoscimento dello Stato di Israele colle-
gato con i tempi messianici, mentre il Papa ripeteva gli insegnamenti
centrali della NA dichiarando la fede di Israele «intrinseca alla reli-
gione cristiana» e gli ebrei «fratelli prediletti e, in un certo modo, i
nostri fratelli maggiori», ribadendo la rimozione di una colpa atavica
e collettiva per la morte di Gesù e negando ancora una volta che essi
siano maledetti o reprobi , ma anzi carissimi a Dio che li ha eletti con
una vocazione irrevocabile.67 Ma il gesto conta certamente più delle

66
CL la presa di posizione di G . Dossetti, Per la vita della città, Bologna 1987, 14. Mi
sembra invece di poter condividere la lettura di Remaud, Catholiques ... , 37-39.
67
Cf. i discorsi del rabbino E . Toaff e di Giovanni Paolo II con la cronaca dell'incon-
tro su «L'Osservatore Romano», 14 aprile 1986. Inoltre: Toaff, Perfidi giudei ... ,
98 E. Bianchi

parole e attraverso quel gesto molti cristiani cui non è giunto il mes-
saggio della NA e dei documenti successivi sono stati cosl toccati
dalle convinzioni conciliari.
Gli effetti di questo evento non si possono ancora valutare in tut-
ta la loro portata, ma certamente tra di essi va inscritto l'incontro di
Assisi di preghiera per la pace con le altre religioni e un' attenzionie
più diffusa nel popolo cristiano nei confronti dell'ebraismo . Occorre
ripetere che siamo solo agli inizi di un dialogo e siamo ben lontani
dal percepirne gli esiti anche prossimi.
3 . Problemi, ambiguità e prospettive
L'itinerario fin qui percorso è stato rapido , ha prestato attenzio-
ne solo al cammino fatto dalla chiesa cattolica e non dalle altre chie-
se, e ai documenti e fatti ufficiali tralasciando di leggere ciò che ac-
caduto, ciò che è mutato nella catechesi e nel vissuto quotidiano dei
cristiani, ma occorreva scegliere per abbozzare un bilancio a venti-
due anni dalla NA. Non mi era possibile, in una relazione limitata
nello spazio, fare altrimenti, ma a conclusione vorrei porre in evi-
denza alcuni nodi che a me paiono essenziali e rilevanti per il cam-
mino futuro. A questi occorre rispondere con una ricerca e con un
atteggiamento che sappia capovolgere l' adversus judaeos. Non di-
mentico certo i numerosi contributi biblici, teologici e spirituali ap-
69 70
parsi in questi vent'anni, dai lavori di Lovsky, 68 Judant, Rema ud,
Garrigues , 71 Refoulé, 72 Dreyfus, 73 Strolz, 74 e altri fino alle teologie
cristiane dell'ebraismo di Mussner75 e Thoma, 76 ma proprio in base a
queste elaborazioni è possibile concentrare l'attenzione su alcune
grandi questioni-domande poste dal dialogo ebraico-cristiano.

233-245.
68 F. Lovsky, La déchirure de J'absence. Essai sur Jes rapports de l'église d~ Christ ~t
du peuple d'lsrael , Paris 1971. Id., Le Royaume divisé: Juifs et chrét1ens, Pans
1987.
69 D. Judant, JaJons pour une théologie chrétienne d 'Israel , Paris 1975.
70 M . Remaud, Chrétiens devant Israel serviteur de Dieu, Paris 1983.
71 J .-M. Garrigues, L'unique Israel de Dieu, Limoges 1987.
n F . Refoulé, « . . . et ainsi tout Israel sera sauvé» Romains 11.25-32, Paris 1984.
73 F. Dreyfus, Le passé et le présent d'lsrael (Rm 9.1-5; 11 .1-24) , in L. De Lorenzi

(ed .) , Die lsraelfrage nach Rom 9-11 , Roma 1977, 131-151. .


74 W . Strolz (a cura di), Jildische Hoffnungskraft und Christlicher Glaube , Fre1bourg

i . Br. 1974.
75 F . Mussner, Il popolo della promessa, Roma 1982.
76 C . Thoma, Teologia cristiana dell'ebraismo, Casale Monferrato 1983.
Israele e la chiesa 99

Premetto però una constatazione preliminare. Il dialogo finora


avviato tra ebrei e cristiani ha come prima caratteristica una dissime-
tria: i due partners non abbordano il dialogo con le stesse prospetti-
ve, né con gli stessi òbiettivi. Il cristiano che cerca di conoscere l'e-
braismo vede naturalmente nell'ebreo un testimone delle proprie
origini. Conoscendo non solo l'Israele depositario della Scrittura,
ma anche l'Israele di oggi con la ricchezza della sua tradizione spiri-
tuale , il cristiano comprende sempre meglio il Nuovo Testamento,
la propria liturgia e dunque se stesso. L'ebreo da parte sua non ha
un bisogno radicale del cristiano per sapere chi lui sia. Questa dis-
simmetria si ritrova in modo particolare nei confronti della persona
di Gesù: colui che i cristiani considerano come Signore e Messia non
può essere percepito nella stessa maniera dagli uni e dagli altri. In
Gesù sta la differenza irriducibile, è lui che crea la distanza irriduci-
bile.77 Per questo il dialogo con gli ebrei non può essere concepito
sul modello del dialogo ecumenico interconfessionale cristiano come
molti degli impegnati nel dialogo vorrebbero. Nel dialogo ecumeni-
co i cristiani cercano di ricostruire un'unità distrutta, ma questo non
può applicarsi tra cristiani e ebrei nonostante si parli di protoscisma,
perché questo è stato proprio provocato dal fatto che alcuni hanno
riconosciuto Gesù come Messia e Figlio di Dio. Dev'essere quindi
escluso ogni tentativo di giungere ad un'unità della fede attraverso il
principio «una confessione di fede in differenti formulazioni», prin-
cipio questo che invece resta validissimo e fecondo , ancorché non
assunto, tra chiese cristiane. Questo non significa fermarci solo al
dialogo della carità , ma ricerca teologica di una migliore compren-
sione gli uni degli altri e gli uni per gli altri in attesa però del tempo
che solo Dio conosce in cui saremo un solo popolo in una sola con-
fessione di fede. È possibile arrichirsi e integrarsi reciprocamente,
ma senza venir meno a ciò che ebrei e cristiani hanno di essenziale e
di irrinunciabile. Si è registrato per ora un dialogo assembleare, nel-
la formulazione di di D .L .E. Eck,78 soprattutto attraverso l'Interna-
tional Council of Christians and Jews con sede a Heppenheim, ma
non c'è a ncora, almeno ora, un «dialogo istituzionale formale», per-

n Su questo punto «Gesù e gli ebrei» si veda la rassegna delle posizioni attuali in A.
R o lla , La teologia cristiana dell'ebraismo. Il dibattito attuale, Asprenas 3 (1986)
235-262 (soprattutto 238-243).
78 Articolo apparso sulla rivista del CEC «Current Dialogue» 11 (1986) citato da
Cunz, Il dialogo .. . , 23.
100 E. Bianchi

eh~ glf ebrei esprimono un no categorico a ogni dialogo teologico,


qumd~ non c'è per ora come corrispettivo alla teologia cristiana del-
l'_e~~aismo una teologia ebraica del cristianesimo (ma è possibile che
et sia, nonostante gli sforzi di Flusser e l'augurio di Petuchowski?), 79
e anche perché non esiste in ambito ebraico né un 'unità di posizioni
teologiche, né un magistero, né un'autorità istituzionale che possa
essere deputata a questo dialogo. Si è invece esteso il dialogo spiri-
tuale tra quelli che sono impegnati nei rapporti Israele-Chiesa, ma
s~ qu~sto dico soltanto che tale dialogo dovrebbe anche nutrirsi di
silenzio per essere autentico e rispettoso, soprattutto tra due part-
ners che sono entrambi chiamati a custodire i loro silenzi ... 80
Ma anche a proposito di questo dialogo fecondo si registrano
grandi ambiguità. Molti sono i tentativi da parte di gruppi e comuni-
tà che cercano di integrare alla loro vita, alla loro preghiera e alla lo-
ro liturgia alcuni elementi dell'ebraismo: ad esempio la celebrazione
dell'apertura del Sabato o del Seder Pasquale. Questi due momenti,
forse i più intensi della spiritualità ebraica, sono spesso tradotti in
ambienti cristiani dove· però si hanno poche conoscenze dell'ebrai-
smo stesso. Possono essere espressioni di uno sforzo per prendere
sul serio l'ebraismo come radice del cristianesimo nella spiritualità
concreta, ma sovente c'è troppo entusiasmo in queste cose, troppa
faciloneria che d'altronde lasciano perplessi gli ebrei stessi. Appro-
priarsi di riti e contenuti altrui per cristianizzarli senza sottoporsi al
processo doloroso della teshuvah e al lavoro faticoso di incontrare
davvero gli ebrei e la loro tradizione non è serio né rispettoso. Non
basta dire «abbiamo le radici nell'ebraismo» o «amiamo gli ebrei»
per celebrare riti ebraici in ambienti cristiani. Bisogna invece ascol-
tare l'ebraismo e non dare sfogo alla persistente e storica voracità
cattolica di tutto inglobare! L'asimmetria del dialogo attuale è più
che evidente, anche se di questa si tiene poco conto, ma diventa an-
cora più chiara qualora si tenga presente che nelI'ebraismo la teolo-
gia occupa un posto secondario e che il proprio dell 'esperienza reli-
giosa ebraica è identificato con la Torah orale e con l'halakah, il

19 1.1. Petuchowsky, in J . Osterreicher, Die Wiederentdeckung des Judentu_m durch


die Kirche, Freising 1971 , 17. Si veda comunque il recentissimo articolo da_ S. Bef!-
Chorin , Nel cristianesimo vi è un intervento di Dio? Un tentativo di teologia ebrai-
ca del cristianesimo, in Concilium 2 (1988) 90-103.
80 Sul tema del dialogo si vedano le interessanti e acute annotazioni di Cunz, Il dialo-
go ... , 22-31 , che riprende il già ricordato articolo di D.L. Eck.
Israele e la chiesa 101

comportamento, che pure è teologia iconico-narrativa ancora molto


estranea al popolo cristiano. Ma nonostante l'asimmetria·, il dialogo
teologico è inevitabile e ne è un segno che in alcune università ebrai-
che sono state istituite cattedre per lo studio ebraico-cristiano e che
in seminari rabbinici vengono impartite lezioni di Nuovo Testamen-
to e di Letteratura cristiana antica. Comunque si tenga conto che
non per tutti gli ebrei è viva l'attesa del Messia e dei tempi escatolo-
gici e che non tutti, ma pochissimi sottoscriverebbero le affermazio-
ni di Maimonide che in Mishne Torah parlava di Cristo e di Mao-
metto come «il nazareno e quell'ismaelita che prepararono la strada
al Re Messia iniziando i popoli al timore di Dio» (Hilkot Melachim
XI, 4) . Altrettanto si può dire per le affermazioni di Franz Rosenz-
weig che scriveva: «Alla morte dell'ebreo non gli sarà chiesto altro
che questa domanda: Hai sperato nella redenzione? Tutte le altre
questioni sono per voi, o cristiani, ma da ora, insieme, prepariamoci
nella fedeltà a comparire davanti al giudice celeste!»;81 o per quelle
parallele di W. Herbeg che dice: «attraverso Cristo l'alleanza di Dio
con Israele è aperta a tutta l'umanità: compito della chiesa è aprire
l'alleanza di Dio con Israele alle nazioni del mondo».82 Lo stesso rin-
venimento dell'Israele con cui dialogare e al quale dare significato
per tener vivo il legame che ci unisce non è facile e non può essere ri-
solto con «tutto l'Israele secondo la carne», per usare un'espressione
paolina (cf. Rm 9.6-8). Ma, fatta questa precisazione, ecco alcune
questioni essenziali per noi cristiani che abbisognano di un appro-
fondimento rigoroso e meditato: io le enuncio e le lascio in forma in-
terrogativa, ma mi sembra essenziale presentarle.

a) Un unico popolo di Dio

La NA affermav~ che la chiesa è il nuovo popolo di Dio, ma i


Sussidi, come abbiamo accennato, in due passaggi parlano di un uni-
co popolo di Dio formato da chiesa e Israele seppur separati. È que-
sta un'acquisizione importante ed essenziale soprattutto se si tiene
conto che la chiesa ha sempre parlato di rigetto, di ripudio e di male-
dizione dell'Israele dqpo Cristo fino a definirsi lei l'Israele di Dio o il

81
Citato in J .-M . Garrigues, L'unique Israel..., 238-239.
82
W . Herberg, Un ebreo guarda Gesù, in Studi fatti Ricerche 31 (1985) 4 (complessi-
vamente pp. 3-5).
102 E. Bianchi

Verus lsrael. Ma quì nasce il problema del rinvenimento di questo


Israele che è unico popolo di Dio con la chiesa. Per noi cristiani non
è possibile porci questo problema senza tener conto del Nuovo Te-
stamento e soprattutto di Rom 9-11. 83 L'Israele intravisto da Paolo,
cui appartengono «l'adozione , la gloria, le alleanze, la legge, il cul-
to , le promesse, i patriarchi» (Rm 9.4-5), l'Israele «che ha inciampa-
to» ma non per sempre (cf. Rm 11.11), l'Israele indurito m~ che sarà
salvato e che resta amato da Dio (cf. Rm 11.25-26), chi è? E l'Israele
storico, il popolo come tale, l'Israele empirico? Le discussioni su
questo discernimento sono molte ma in Rm 9-11 l'Israele intravisto
con queste qualità da Paolo non è 'l'Israele empirico, non è la disce~-
denza secondo la carne come appare in Rm 9.6: «Non tutti i discen-
denti di Israele sono Israele!». L'Israele che resta popolo di Dio in
senso forte è l'Israele dei hassidim , è il resto fedele dei cercatori del
Signore e della giustizia (si confronti Rm 9.31; 11.7 con Is 51.1
LXX) • E questo Israele che ha inciampato non è confuso nella mas-
sa del popolo e della stirpe secondo la carne, ma è l'insieme di colo-
ro che cercano, pur nella caduta, di compiere la volontà di Dio.
Israele non è la somma dei suoi membri non è un risultato additivo,
ma è un'entità spirituale. Il problema per ' noi è il rinvenimento oggi
di questo Israele con cui sentirci unico popolo di Dio! Quale criterio
per questo rinvenimento: l'Israele religioso? L'Israele che attende
ancora il Messia? Questo è un problema e siamo ancora lontani dal
poterlo dire risolto!
b) Due vie di salvezza?
Nel dialogo teologico si fa sempre più necessaria una chiarifica-
zione sulla via di salvezza. I Sussidi ricordano che «chiesa ed ebrai-
smo non possono essere presentati come due vie parallele di salvez-
za» (1 ,7) e che quindi non è possibile affermare che c'è una via che è
Cristo e l'altra che è la Legge. È indubbio che questa affermazione
dei Sussidi appare semplificata e massimalistica e per questo è stata
oggetto di forti reazioni, ma per la chiesa è possibile affermare che

83 Su questo testo paolino si veda la bibliografia che si trova in RefouJé, « ... et ainsi
tout lsrael... » 227-287. Inoltre: R . Fabris, Il mistero della salvezza d 'Israele secon-
do i capp. IX-XI della lettera ai Romani, in Bollettino di Informazione del Centr?
Universitario ed Ecumenico San Martino di Perugia 14 (1973) 5-32; J.N . AJett:J,
L'argumentation paulinienne en Rm 9, in Biblica 1 (1987) 41-55.
Israele e la chiesa 103

c'è una salvezza esplicita fuori da Cristo? È chiaro che l'espressione


dei Sussidi non significa affermare che non ci sia salvezza per gli
ebrei come per gli altri uomini extra ecclesiam, come ha indicato
Mons. Mejia nella presentazione del documento,84 ma vuole indicare
l'unicità della salvezza in Cristo che noi cristiani confessiamo in base
al Nuovo Testamento. È questo un probema capitale nel dialogo,
ma la riflessione della chiesa per ora è inadeguata ad una nuova
comprensione. Il Card. Martini, in una conferenza tenuta a Vallom-
brosa nel 1984, diceva: «Forse oggi non è chiaro come la missione di
Israele e quella della .chiesa possano arricchirsi e integrarsi a vicen-
da .. . C'è tuttavia un obiettivo finale : il giorno in cui saremo un unico
popolo che Dio .. . benedirà», 85 ma neanche questa ricca affermazio-
ne postula due vie convergenti di salvezza. Dio non ha mai cessato
di amare il suo popolo (Rm 11.1), ma il Nuovo Testamento afferma
che solo in Cristo, implicitamente almeno, sia prima di lui che dopo
di lui, i giusti sono salvati. Come innestare in Cristo questa «via di
salvezza» di Israele che costituisce con noi «un servizio comune allo
stesso progetto di Alleanza e questo servizio comune costituisce un
ministero sacerdotale, una missione che può unirci senza confonder-
ci fino a quando verrà il Messia che noi invochiamo»?86 Anche que-
sta è una questione che attende risposta!
e) La questione della missione della chiesa verso Israele
La N A non toccava direttamente il tema della missione della
chiesa nei confronti di Israele e si accontentava di concludere il pa-
ragrafo 4 dicendo che «il dovere della chiesa, nella sua predicazione,
é di annunciare la croce di Cristo come il segno dell'amore universa-
le di Dio e come la fonte di ogni grazia» (4,8) .
Gli Orientamenti affermavano che la chiesa, per la sua stessa na-
tura, deve annunciare Gesù Cristo al mondo, ma si preoccupavano
di chiedere che i cristiani rendessero questa testimonianza senza che
appaia una violenza per gli ebrei e nel più rigoroso rispetto della li-
bertà religiosa. 87 I Sussidi del 1985 riprendono questi documenti

84
J . Mejia, Viva coscienza del patrimonio comune a tutti i livelli, «L'Osservatore Ro-
mano», 24-25 giugno 1985, 7.
as Martini, Un regard ... , 465.
86
Ivi , 465 .
~ Cf. Sestieri-Cereti, Le chiese .. . , 198.
104 E. Bianchi

passati e in realtà non vanno oltre sul tema della missione della chie-
sa nei confronti di Israele, ma proprio per questo noi crediamo che
anche qui occorra fare un passo avanti.
Secondo Rm 11.11 Israele risulta indurito, ha inciampato ed è
caduto, ma provvisoriamente e parz ialmente, in vista del pléroma,
della partecipazione, in vista della integrazione, della pr6slempsis
(Rm 11.15). In questo tempo provvisorio, in cui Israele e chiesa re-
stano separati, c'è un compito missionario della chiesa verso gli
ebrei? Non è facile rispondere a questa domanda perché il termine
missione è troppo ambiguo e troppo carico di pesi provenienti dal
vissuto della missione cristiana soprattutto verso gli ebrei. Tommaso
Federici, allora consultore della Commissione Vaticana per i rap-
porti con l'ebraismo, in un discorso acutissimo e che conserva tutta
la sua attualità in occasione della sesta riunione del Comitato di col-
legamento fra la chiesa cattolica e l'ebraismo mondiale tenutasi a
Venezia nel marzo 1977, occupandosi della missione e della testimo-
nianza cristiana, rifiutava ogni forma di proselitismo indebito, ma in
verità non rispondeva a questa domanda .88 Io credo che proprio a
partire dal Nuovo Testamento, in questo tempo di gelosia, di emula-
zione (cf. Rm 10.19 e 11.11-12), categorie queste purtroppo non me-
ditate anche nei recenti tentativi di teologie cristiane dell'ebrai-
smo,89 la chiesa non ha una missione verso Israele come la possiede
per mandato di Gesù nei confronti delle genti: la chiesa può solo en-
trare nel gioco dell'emulazione stando di fronte a Israele. Nella chie-
sa nascente c'era un proton da rispettare nella missione che riguar-
dava Israele, ma avvenuta la caduta non è più possibile rispettare la
logica del mandato neotestamentario. Il problema non è più per la
chiesa una missione nei confronti di Israele, ma come eccitare la lo-
ro gelosia in vista del pléroma. E in che cosa consiste l'emulazione?
Sta soprattutto nell'atteggiamento spirituale, esemplato in Paolo, di
chi desidera essere anathema a favore di Israele (Rm 9.2-3) e che ha
nel cuore desiderio e preghiera per la loro salvezza (Rm 10.1).
Questo non è solo l'atteggiamento della chiesa che viene a sosti-
tuire la missione, ma è molto antecedente ad ogni rapporto con
Israele. La conversione di Israele dagli idoli è avvenuta a livello di

88 T. Federici, Étude sur la mission et le témoignage de l'Église, in Sidic 3 (1979) 18-


28; in italiano: Sestieri-Cereti, Le chiese ... , 249-269.
89 Cf. le già citate opere di F. Mussner e di C. Thoma.
Israele e la chiesa 105

confessione di fede e la conversione al Signore Gesù (2Cor 3.16,


unico luogo del Nuovo Testamento in cui si parla di conversione del-
l'Israele indurito) , appartiene al mistero teologico e non morale del-
la caduta di Israele di fronte a Cristo. La missione della chiesa è
dunque solo emulazione, eccitazione della gelosia, preghiera e non
azione, pur sempre rispettosa e amorosa, per la conversione? Io cre-
do di sl, ma anche questa è una domanda che attende risposta.

Certamente molte altre questioni possono essere aggiunte a que-


ste tre , soprattutto quella dei giudeo-cristiani, ma io credo che le al-
tre siano minori e meno urgenti in questo momento del dialogo.
Concludo allora con un racconto che mi sembra importante per il
dialogo tra ebrei e cristiani. È un apologo del Baal Shem Tov sul
dialogo: «Due fratelli stanno camminando e Piotr dice: "Ivan ti
amo" . Ivan gli risponde: "Se tu mi ami dimmi cosa mi fa soffrire!".
Domanda Piotr: "Come faccio a sapere ciò che ti fa soffrire?" E
Ivan gli rispose: "E come puoi amarmi se non sai cosa mi fa soffri-
re?"». 90 Il dialogo esige compassione -sympathéia, quel sentimento e
quella solidarietà cui noi cristiani abbiamo mancato nei confronti dei
fratelli israeliti dalla nascita della chiesa fino ad ora.

Enzo Bianchi
Comunità di Bose
13050 Magnano (VC)

90 Citato dal rabbino M. Waxman in una conferenza tenuta in occasione della dodice-
sima riunione del Comitato di collegamento fra la chiesa cattolica e l'lntemational
Jewish Committee for Interreligious Consultations (Roma 28-30 ottobre 1985):
Réflexions sur le dialogue à venir, in lstina 2 (1986) 148-162 (citazione a p. 149).

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