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Guido Dorso e la rivoluzione meridionale

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GUIDO DORSO E LA RIVOLUZIONE MERIDIONALE

di
Gerardo Pescatore

Antifascista, politologo di rilievo nazionale e meridionalista convinto, Guido Dorso


nacque ad Avellino il 30 maggio 1892 da Francesco, direttore delle poste della città, e
da Elisa Gallo, maestra elementare. Appassionato di filosofia politica, manifestò presto
un orientamento radicale, democratico e anticattolico.
Dopo gli studi liceali al “Colletta” e conseguita la laurea nel maggio del 1915 in giuri-
sprudenza all’Università di Napoli con una tesi dal titolo “La politica ecclesiastica di
Pasquale Stanislao Mancini”, la sua prima azione politicamente rilevante furono gli
otto articoli pubblicati tra il gennaio ed il maggio 1915 sul Popolo d'Italia, diretto da
Benito Mussolini, in cui espresse con grande forza polemica e con un linguaggio tal-
volta roboante la sua adesione all’interventismo in quanto la guerra sarebbe stato un
fatto democratico e rivoluzionario travolgendo i vecchi equilibri politico-sociali, su cui
si reggeva il sistema giolittiano che trovava le sue basi nell’arretratezza delle regioni
meridionali, nella corruzione e nel trasformismo delle loro classi dirigenti. Invece la
posizione di neutralità avrebbe vanificato soprattutto nel Mezzogiorno ogni speranza
di progresso e di rinnovamento democratico.
Dopo la guerra, cui partecipò come ufficiale, presto congedato per problemi cardiaci,
nell'agosto 1919 pubblicò con Augusto Guerriero, il settimanale Irpinia democratica,

Il settimanale di Torino La Rivoluzione Liberale e il direttore Piero Gobetti


che ebbe vita breve (uscirono solo quattro numeri), finché non fondò e diresse Il Cor-
riere dell'Irpinia, settimanale avellinese edito da Armando e Riccardo Pergola, nel gen-
naio 1923. Sulle pagine del periodico il pensatore avellinese presentò il suo programma
politico contestando duramente il Fascismo e suscitando l’interesse di Piero Gobetti,
che nel giugno del 1923 lo invitò a collaborare con suoi articoli alla sua rivista “La
Rivoluzione Liberale”, che esprimeva o propugnava, con un respiro nazionale, uno
stesso orientamento liberal-democratico. Sul giornale di Gobetti, una delle riviste più
prestigiose del Novecento, apparvero diciotto articoli di Dorso, frutto di intelligenti e
penetranti riflessioni, con cui il foglio avellinese si inserì nell’ampio dibattito sulla si-
tuazione politica italiana e, più in particolare, sulla riforma del Mezzogiorno, guada-
gnando un numero sempre maggiore di lettori e un ampio consenso. I saggi furono
raccolti in volume, uscito nell'estate 1925 per la casa editrice di Piero Gobetti in Torino,
col titolo “La Rivoluzione Meridionale. Saggio storico-politico sulla lotta politica in
Italia”, recante impresso in copertina il motto in greco di derivazione alfieriana: TI
MOI SYN DOULOISIN? (“che ho a che fare con gli schiavi?”).
Nel libro (pubblicato dalla casa editrice Mephite in ristampa anastatica nel 2003 a cura
del prof. Francesco Saverio Festa dell’Università di Salerno) confluirono le medita-
zioni e gli studi degli ultimi anni sul Meridione, dalla unificazione alla crisi dell'età
liberale, introdotte dal celebre “Appello ai Meridionali”. In esso Dorso denunciò le
drammatiche condizioni del Meridione, causate dalla borghesia rurale, allora classe
dirigente, che con l’unità d’Italia, sorta da un compromesso istituzionale tra le classi
conservatrici del Nord e del Sud, che aveva consolidato la “conquista regia”, pur di
conservare i suoi privilegi feudali, aveva rinunciato a ogni possibilità di controllo sullo
Stato.
Per quanto riguardava la crisi del regime liberale e la nascita del fascismo dovuta al
crollo dello Stato accentratore, lo studioso meridionalista ne additava la causa nei par-

Guido Dorso e la I edizione de La rivoluzione meridionale stampato da Gobetti a Torino


titi politici, per lo più incapaci di superare il trasformismo. Di conseguenza se l'Italia
voleva crescere come Paese civile e democratico, occorreva la nascita nel Sud di una
nuova classe dirigente di severo rigore morale, capace di realizzare la rivoluzione me-
ridionale.
Egli chiamava “rivoluzione” ogni azione politica di quelle forze, che si opponevano al
compromesso, volta alla modificazione strutturale dell’intera società partendo proprio
dal rinnovamento della classe politica.
Ma il sodalizio con Gobetti si infranse nel novembre 1925, allorché le leggi liberticide
o eccezionali (abolizione della libertà di stampa, scioglimento dei partiti e dei sinda-
cati) imposero la chiusura della rivista torinese, che avrebbe consentito all’intellettuale
avellinese di affermarsi come il maggior polemista e innovatore del meridionalismo.
Anche Dorso, che il fiduciario del partito fascista, Carfì, aveva già fatto aggredire per-
ché colpevole di non aver pubblicato un comunicato dell’Ufficio stampa della federa-
zione fascista irpina, fu costretto ad abbandonare il “Corriere” e a ritirarsi dalla vita
pubblica, dedicandosi alla professione di avvocato civilista (in cui trovò anche molti
ostacoli) ed ai problemi di salute e a coltivare i suoi hobby: la musica sinfonica e la
radiotecnica (costruì una radio dalla quale ascoltò, durante la guerra, le trasmissioni
clandestine del Colonnello Stevens di Radio Londra), sempre attento all'evolversi della
situazione economica e politica e senza mai tralasciare gli studi politici. Si ritrovava a
discutere di politica con gli amici liberali (Maccanico, Cannaviello, Perugini, Pesca-
tori) nelle sale del Caffè Roma, dove lo conobbe il giovane Carlo Muscetta, che lo fece
scoprire al grande pubblico attraverso un lungo ed intenso ritratto, nel quale coniò la
felice definizione di “Machiavelli in provincia” e di cui si riporta l’incipit: “Allora in
quel caffè non c’era che Guido Dorso col suo eterno sigaro; un sigaro toscano fumato

Il Caffè Roma (da A.Massaro-R. Ercolino Memorie di Piazza Libertà)


tuttavia con britannico orgoglio, e come al di sopra del fumo delle teste altrui. E qual-
cosa di britannico mi parve in verità d’immaginare in lui. Fierezza e distinzione spi-
ravano dalla sua figura Il gusto alacre dell’intelligenza lampeggiava nel suo sguardo
specchiante, limpidissimo e spesso maliziosamente interrogatore. La stessa prove-
nienza della fronte e la calvizie erano lievi difetti che donavano al suo volto”.1 Ma,
sebbene conducesse una vita molto ritirata e appartata nella sua casa di corso Umberto,
rimase nel registro dei sovversivi della Prefettura di Avellino.
Sulla scia dei temi e delle intuizioni, già contenute ne La Rivoluzione meridionale, mise
mano ad un'ampia biografia di Mussolini per la quale preparò un vasto materiale, ma
ne approntò tra il 1941 e il 1942 solo i primi capitoli, arrivando fino alla marcia su
Roma.
Col crollo del regime fascista nel 1943, Dorso tornò all’attivismo politico e all’attività
giornalistica, dopo quasi un ventennio di isolamento in Avellino, ritornando a scrivere
sui temi che costituivano il nerbo della sua riflessione: la questione meridionale, sca-
turita dalla “conquista regia con l’annessione del Mezzogiorno nel 1860, e l’occasione
storica da non perdere per la sua soluzione. Nell’ottobre del 1943, ad appena un mese
dal bombardamento di Avellino, pubblicò “Irpinia Libera”, organo del comitato irpino
del F.N.L., il primo foglio stampato in Irpinia dopo la caduta del fascismo.
Il 13 novembre 1943, al suo terzo numero, “Irpinia Libera” recò uno degli articoli più
famosi di Dorso “Ruit hora”, in cui apparve l’espressione dei “cento uomini di acciaio”.
Bisognava prima abbattere le strutture su cui si era poggiato il fascismo, tra cui la mo-
narchia e l’apparato burocratico, che l’avevano sostenuto. Era perciò necessaria una

Irpinia Libera del 13 novembre 1943

1
C. MUSCETTA in “Belfagor” del 15 settembre 1947, a. II, N.5, p.575.
nuova classe politica antitrasformista nel Mezzogiorno, un’élite anche poco numerosa,
ma “intelligente e audace”, capace di spezzare le incrostazioni clientelari del passato e
il dominio dei notabili e delle consorterie del Nord e del Sud d'Italia e poi ricostruire,
“cento uomini d’acciaio, col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare
per una grande idea”, che arrivassero ad una pacifica e democratica liberazione del Sud attra-
verso il rinnovamento, senza compromessi, delle istituzioni e dei partiti e il superamento del-
’istituto monarchico e guidassero, in autonomia, il riscatto del Mezzogiorno.
Era un’occasione storica unica e irripetibile da non perdere perché Ruit hora, il tempo
scorre via. Si trattava, in coerenza del suo pensiero, dei concetti di fondo della giova-
nile “Rivoluzione meridionale”, riproposti con maggiore vigore.
A qualcuno, come a Muscetta, la soluzione dei 100 uomini d’acciaio apparve astratta,
ma solo un’azione decisa e forte avrebbe potuto cambiare una realtà gravemente com-
promessa quale quella del Mezzogiorno.
Il Partito d'azione, che in quegli anni si costituì anche ad Avellino grazie a giovani
intellettuali come Alfredo Maccanico, Giulio Ruggiero, Vincenzo Galasso, Enrico Te-
desco, era quello che poteva operare il rinnovamento politico nazionale sostituendo lo
Stato burocratico-accentratore in crisi.
L’articolo, che divenne il manifesto delle forze antifasciste avellinesi, fece scalpore e
provocò nel pomeriggio dello stesso giorno l’irruzione nella sua casa prima di un
gruppo di 15 soldati regi del I Raggruppamento motorizzato (fedeli alla monarchia),
poi di alcuni ufficiali con minacce a Dorso per aver rivolto offese al re.

La redazione de L'Azione con Ferruccio Parri

Sui temi del meridionalismo con una lettera aperta pubblicata nel primo numero di
Rinascita, la rivista del Pci, del giugno’44 col titolo Per il risanamento politico del
Mezzogiorno, lanciò un appello a Togliatti, che con la svolta di Salerno partecipò al II
governo Badoglio, ad opporsi al trasformismo, la vera piaga della vita politica meri-
dionale, una delle cause della sua arretratezza, e a condurre l’Italia verso una lotta po-
litica moderna come confronto di idee e di proposte coerenti.
Ma sia per il suo carattere, sia per ragioni famigliari Dorso viveva piuttosto isolato, pur
partecipando a iniziative politiche e culturali, come il convegno di studi sui problemi
del Mezzogiorno di Bari, il congresso centromeridionale azionista che si svolse a Co-
senza nell'agosto del 1944, dove tenne la Relazione sulla questione meridionale. Ri-
pubblicò anche La Rivoluzione meridionale con una nuova introduzione e con i giudizi
in appendice di Gramsci e Sturzo. Si fecero più aspre le divergenze interne, sino ad
allora momentaneamente sopite grazie al comune obiettivo della resistenza antifasci-
sta, e il partito al Congresso Nazionale di Roma nel febbraio 1946 (in rappresentanza
della sezione irpina fu scelto Alfredo Maccanico) si spaccò tra l’anima liberalsocialista
di Emilio Lussu, che vinse, e quella liberaldemocratica di Ugo La Malfa, cui aderirono
Dorso e Muscetta.
Particolare strumento della sua battaglia fu il quotidiano napoletano “L'Azione” dive-
nuto l’organo del partito d’Azione, che diresse dal luglio al dicembre 1945; dalle sue
colonne alimentò la polemica meridionalistica e democratica, tentando di aggregare
forze intorno al suo progetto. Gli articoli comparsi sul giornale, nei quali il politologo
sosteneva che la questione meridionale era la questione italiana per eccellenza e che
bisognava cogliere l’opportunità fornita dalla storia di far nascere la nazione, comple-
tando il Risorgimento, furono raccolti e pubblicati con il titolo “L’Occasione storica”.
Nel periodo in cui diresse “L'Azione” fu membro dell'esecutivo del Partito d'Azione,
dal quale si dimise nel dicembre del 1945 allorché problemi economici imposero la
chiusura del giornale. In realtà Dorso aveva constatato il venir meno dell'impegno me-
ridionalistico nel Partito d'Azione: il che significava una sua sconfitta in quanto anche
il partito, che stava costruendo, avrebbe ancora mantenuto il Mezzogiorno nella sua
condizione di arretratezza culturale di tipo coloniale.
Estraniatosi dal suo partito, anche se continuò ad essere pubblicamente considerato un
esponente della direzione politica, tornò alla sua professione e ai suoi studi.
Per le elezioni del 2 giugno 1946, rifiutò una candidatura come indipendente nella lista
comunista offertagli da Togliatti e, spinto dai suoi amici superstiti del meridionalismo
azionista, Manlio Rossi Doria, Michele Cifarelli, Vincenzo Calace, ecc., nonostante la
salute malferma, capeggiò da indipendente nelle circoscrizioni di Bari-Foggia e di Po-
tenza-Matera una lista di Alleanza repubblicana, che aveva per contrassegno il gallo,
nel tentativo di costruire concretamente il movimento autonomistico meridionale sot-
tratto ad ogni condizionamento dei partiti, che era il suo vero disegno politico. Ma la
lista non ottenne il quorum necessario per consentirgli l'ingresso alla Camera (manca-

Il gallo, simbolo dell’Alleanza Repubblicana Italiana


rono solo 50.000 voti), sebbene Dorso in Puglia avesse raccolto 5.783 voti. Aveva ot-
tenuto un buon successo, ma il Mezzogiorno s'era lasciato sfuggire ancora una volta
quell’”occasione storica” che era a portata di mano. La sconfitta politica del progetto
dorsiano accelerò la fine del Partito d'azione, in quanto la “borghesia umanistica”, a
cui aveva fatto riferimento, si disperse entrando in partiti di massa o nella gestione del
potere pubblico.
Accettò l’offerta della direzione de “La Nazione” di Firenze, ma fu costretto a rinun-
ciarvi a causa del peggiorare delle sue condizioni di salute. Il 5 gennaio 1947, all’età
di 56 anni, morì per uno scompenso cardiaco ad Avellino, la città natale cui fu legato
per tutta la vita.
Un'ampia raccolta degli scritti è stata curata per i tipi di Einaudi da Carlo Muscetta in quattro volumi
(Torino 1949-50): Mussolini alla conquista del potere; Dittatura classe politica e classe dirigente.
Saggi editi e inediti; L'occasione storica.
La rivoluzione meridionale Torino, Piero Gobetti editore, 1925; ristampa a cura di F.S. Festa, Atri-
palda, Mephite, 2003.

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