Guido Dorso e la rivoluzione meridionale
Guido Dorso e la rivoluzione meridionale
Guido Dorso e la rivoluzione meridionale
di
Gerardo Pescatore
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C. MUSCETTA in “Belfagor” del 15 settembre 1947, a. II, N.5, p.575.
nuova classe politica antitrasformista nel Mezzogiorno, un’élite anche poco numerosa,
ma “intelligente e audace”, capace di spezzare le incrostazioni clientelari del passato e
il dominio dei notabili e delle consorterie del Nord e del Sud d'Italia e poi ricostruire,
“cento uomini d’acciaio, col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare
per una grande idea”, che arrivassero ad una pacifica e democratica liberazione del Sud attra-
verso il rinnovamento, senza compromessi, delle istituzioni e dei partiti e il superamento del-
’istituto monarchico e guidassero, in autonomia, il riscatto del Mezzogiorno.
Era un’occasione storica unica e irripetibile da non perdere perché Ruit hora, il tempo
scorre via. Si trattava, in coerenza del suo pensiero, dei concetti di fondo della giova-
nile “Rivoluzione meridionale”, riproposti con maggiore vigore.
A qualcuno, come a Muscetta, la soluzione dei 100 uomini d’acciaio apparve astratta,
ma solo un’azione decisa e forte avrebbe potuto cambiare una realtà gravemente com-
promessa quale quella del Mezzogiorno.
Il Partito d'azione, che in quegli anni si costituì anche ad Avellino grazie a giovani
intellettuali come Alfredo Maccanico, Giulio Ruggiero, Vincenzo Galasso, Enrico Te-
desco, era quello che poteva operare il rinnovamento politico nazionale sostituendo lo
Stato burocratico-accentratore in crisi.
L’articolo, che divenne il manifesto delle forze antifasciste avellinesi, fece scalpore e
provocò nel pomeriggio dello stesso giorno l’irruzione nella sua casa prima di un
gruppo di 15 soldati regi del I Raggruppamento motorizzato (fedeli alla monarchia),
poi di alcuni ufficiali con minacce a Dorso per aver rivolto offese al re.
Sui temi del meridionalismo con una lettera aperta pubblicata nel primo numero di
Rinascita, la rivista del Pci, del giugno’44 col titolo Per il risanamento politico del
Mezzogiorno, lanciò un appello a Togliatti, che con la svolta di Salerno partecipò al II
governo Badoglio, ad opporsi al trasformismo, la vera piaga della vita politica meri-
dionale, una delle cause della sua arretratezza, e a condurre l’Italia verso una lotta po-
litica moderna come confronto di idee e di proposte coerenti.
Ma sia per il suo carattere, sia per ragioni famigliari Dorso viveva piuttosto isolato, pur
partecipando a iniziative politiche e culturali, come il convegno di studi sui problemi
del Mezzogiorno di Bari, il congresso centromeridionale azionista che si svolse a Co-
senza nell'agosto del 1944, dove tenne la Relazione sulla questione meridionale. Ri-
pubblicò anche La Rivoluzione meridionale con una nuova introduzione e con i giudizi
in appendice di Gramsci e Sturzo. Si fecero più aspre le divergenze interne, sino ad
allora momentaneamente sopite grazie al comune obiettivo della resistenza antifasci-
sta, e il partito al Congresso Nazionale di Roma nel febbraio 1946 (in rappresentanza
della sezione irpina fu scelto Alfredo Maccanico) si spaccò tra l’anima liberalsocialista
di Emilio Lussu, che vinse, e quella liberaldemocratica di Ugo La Malfa, cui aderirono
Dorso e Muscetta.
Particolare strumento della sua battaglia fu il quotidiano napoletano “L'Azione” dive-
nuto l’organo del partito d’Azione, che diresse dal luglio al dicembre 1945; dalle sue
colonne alimentò la polemica meridionalistica e democratica, tentando di aggregare
forze intorno al suo progetto. Gli articoli comparsi sul giornale, nei quali il politologo
sosteneva che la questione meridionale era la questione italiana per eccellenza e che
bisognava cogliere l’opportunità fornita dalla storia di far nascere la nazione, comple-
tando il Risorgimento, furono raccolti e pubblicati con il titolo “L’Occasione storica”.
Nel periodo in cui diresse “L'Azione” fu membro dell'esecutivo del Partito d'Azione,
dal quale si dimise nel dicembre del 1945 allorché problemi economici imposero la
chiusura del giornale. In realtà Dorso aveva constatato il venir meno dell'impegno me-
ridionalistico nel Partito d'Azione: il che significava una sua sconfitta in quanto anche
il partito, che stava costruendo, avrebbe ancora mantenuto il Mezzogiorno nella sua
condizione di arretratezza culturale di tipo coloniale.
Estraniatosi dal suo partito, anche se continuò ad essere pubblicamente considerato un
esponente della direzione politica, tornò alla sua professione e ai suoi studi.
Per le elezioni del 2 giugno 1946, rifiutò una candidatura come indipendente nella lista
comunista offertagli da Togliatti e, spinto dai suoi amici superstiti del meridionalismo
azionista, Manlio Rossi Doria, Michele Cifarelli, Vincenzo Calace, ecc., nonostante la
salute malferma, capeggiò da indipendente nelle circoscrizioni di Bari-Foggia e di Po-
tenza-Matera una lista di Alleanza repubblicana, che aveva per contrassegno il gallo,
nel tentativo di costruire concretamente il movimento autonomistico meridionale sot-
tratto ad ogni condizionamento dei partiti, che era il suo vero disegno politico. Ma la
lista non ottenne il quorum necessario per consentirgli l'ingresso alla Camera (manca-