Zine El-Abidine Ben Ali: differenze tra le versioni

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=== Fine del regime ===
=== Fine del regime ===
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[[File:Powel Ben Ali.jpg|thumb|Incontro con [[Colin Powell]] (a sinistra)]]
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L'inizio della fine del regime di Ben Ali porta il nome di [[Mohamed Bouazizi]], giovane che si era dato fuoco il [[17 dicembre]] [[2010]] a [[Sidi Bouzib]] poiché gli organi di polizia gli avevano sottratto la merce (verdura) che cercava disperatamente di vendere per sfamare i suoi bambini. Questo gesto estremo ha aiutato il popolo tunisino ad avere più coraggio nell'affrontare nelle piazze dell'intera nazione il regime.
Ben Ali si è trovato quasi sorpreso e spiazzato da quest'insurrezione popolare, in quanto sino a quel momento mai nessuno avrebbe potuto osare così tanto e in ogni caso avrebbe trovato una repressione violenta da parte delle forze di polizia. Questa volta l'impresa di eliminare dalla scena politica Ben Ali appariva possibile.
A partire dal dicembre 2010, una serie di [[sommosse popolari in Tunisia del 2010-2011|proteste popolari]] si è allargata in numerose città della [[Tunisia]]. I partecipanti sono scesi in rivolta per manifestare contro [[disoccupazione]], rincari alimentari, [[corruzione]] e cattive condizioni di vita. Le proteste, iniziate nel dicembre 2010, costituiscono la più drammatica ondata di disordini sociali e politici in tre decenni e hanno provocato decine di morti e feriti. Ben Ali si è trovato quasi sorpreso e spiazzato da quest'insurrezione popolare, in quanto sino a quel momento mai nessuno avrebbe potuto osare così tanto e in ogni caso avrebbe trovato una repressione violenta da parte delle forze di polizia. Questa volta l'impresa di eliminare dalla scena politica Ben Ali appariva possibile.
In uno scenario pieno di scontri continui (alla fine si conteranno più di 100 vittime tra civili e forze armate), il [[14 gennaio]] [[2011]] il presidente ha infine abbandonato il Paese, fuggendo a [[Jedda]] in [[Arabia Saudita]].
In uno scenario pieno di scontri continui (alla fine si conteranno più di 100 vittime tra civili e forze armate), il [[14 gennaio]] [[2011]] il presidente ha infine abbandonato il Paese, fuggendo a [[Jedda]] in [[Arabia Saudita]].

A partire dal 17 dicembre del [[2010]] e a gennaio del [[2011]],<ref>Hanene Zbiss,«Chornique d'une rivolte » , pag.16-18 ''[[REALITES]]'' , settimanale indipendente di Tunisi , N° 1308 20,26 Gennaio 2011</ref> una serie di manifestazioni di piazza hanno scosso varie città al centro-sud della Tunisia, formalmente motivate in una prima fase dall'impressionante suicidio del giovane [[Mohamed Bouazizi]], un giovane commerciante ambulante che si era dato fuoco davanti alla sede del governatorato di [[Sidi Bouzid (Tunisia)|Sidi Bouzid]] per protestare contro il sequestro della propria merce da parte delle autorità.

In un crescendo di manifestazioni (in cui era stato fatto non sporadico uso anche di [[Bomba Molotov|bombe Molotov]]), duramente affrontate dalla polizia con l'uso di armi e proiettili reali, vi furono 25 morti (solo 14 furono annunciati ufficialmente in un primo momento) durante il solo week-end dell'8 e 9 gennaio.
L'effetto della violenza usata nella repressione amplifica ulteriormente la protesta che si diffonde ad altre città e si estende a Tunisi.

Il 10 gennaio, avvocati, sindacalisti, studenti e disoccupati scendono in piazza a manifestare ormai in quasi ogni città. Spinto dell'aggravarsi della situazione il presidente Ben Ali, alle ore 16, pronuncia un discorso alla televisione nazionale TV7 durante il quale promette 300.000 posti di lavoro e l'elevazione del livello di vita. Tuttavia, non mostra alcuna compassione per le vittime degli scontri, anzi dichiara che le persone negli scontri con le forze dell'ordine sono incolpabili di atti di terrorismo.
I sindacati dichiarano sciopero generale e la rivolta continua nonostante la repressione sia sempre più dura.

Il 12 gennaio, il primo ministro, Mohamed Gannouchi annuncia la destituzione del ministro dell'interno, Rafiq Belhaj Kacem, e la sua sostituzione con Ahmed Friâa, nel tentativo di riavvicinarsi al popolo designando un colpevole. Ma la piazza non si convince e la capitale Tunisi diventa il teatro principale degli scontri e delle proteste mentre la repressione continua con l'uso di proiettili.
Viene chiesto l'intervento delle forze armate per sedare la rivolta ma il capo di stato maggiore dell'esercito, Rachid Ammar, si rifiuta di sparare sui manifestanti. Viene destituito ma l'esercito resta neutrale e interviene solo a protezione e difesa dei punti sensibili (banche, uffici pubblici ecc.)

Le proteste e gli scontri continuano ormai in tutto il paese e ci sono ancora vittime.<ref>http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2011/01/07/visualizza_new.html_1643131731.html Le stime dell'ANSA sui morti, indicati a 66 a tutto il 14 gennaio</ref>
Per la prima volta in 23 anni di potere Ben Alì pronuncia, il 13 gennaio un discorso in arabo tunisino, nel tentativo estremo di riavvicinarsi al popolo, usando questa volta un tono completamente diverso: "fehemtkom" vi ho capito; condanna l'uso delle armi nella repressione e promette di arrestare e punire i responsabili; dichiara di avere commesso degli errori perché mal consigliato e mal informato sullo stato reale del paese; promette libertà di stampa e di espressione, libertà della rete e democrazia; comunica inoltre la sua volontà d'indire entro sei mesi elezioni anticipate e il suo intendimento di non presentarsi alle elezioni presidenziali del 2014. Tuttavia, nonostante le promesse, ci sarà ancora spargimento di sangue la sera stessa ad opera delle squadre antisommossa; il giorno dopo ancora un morto e vari feriti a Thala e un morto a Tunisi.

Il 14 gennaio, dalle 9 del mattino, la gente comincia a radunarsi in Piazza Mohamed Alì; sono cittadini di ogni estrazione sociale e culturale e avanzano a migliaia verso il palazzo del ministero dell'interno che viene considerato il simbolo della repressione poliziesca. Sono 60 mila i manifestanti, sull'avenue Habib Bourguiba (la principale strada al centro di Tunisi) a gridare slogan contro il presidente che non è credibile.<ref> reportage fotografico, http://www.anssa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2011/01/14/visualizza_new.html_1640360327.html</ref> <ref>http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=31492</ref> <ref>http://uk.ibtimes.com/articles/101251/20110114/tunisian-president-dissolves-government-calls-for-elections.htm</ref>

Alle ore 18,30, il [[Primo ministro]] [[Mohamed Ghannouchi]] dopo aver decretato lo stato di emrgenza, andò in onda sulla televisione di Stato, rivelando che il Presidente Ben Ali non aveva più alcun potere effettivo e assumendo la guida del paese con un direttorio formato da 6 persone. Dopo 18 ore il [[Consiglio costituzionale (Tunisia)|Consiglio costituzionale]], dichiarando decaduto Ben Ali, affidava la presidenza a [[Fouad Mebazaâ]], [[Camera dei Deputati (Tunisia)|Presidente della Camera]], quale Presidente supplente, secondo le previsioni della Costituzione tunisina. </br>
Nel pomeriggio dello stesso giorno, Ben Ali ha abbandonato il paese, arrivando in [[Arabia Saudita]]<ref name="BBC_BenAli_forcedout">{{cite news | first= | last= | pages= | language =| title=Tunisia: President Zine al-Abidine Ben Ali forced out | date=2011-01-14 | publisher=[[BBC]] | url=http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-12195025 |accessdate=2011-01-15 |archiveurl=http://www.webcitation.org/5vkC6mFEY |archivedate=2011-01-14 |deadurl=no }}</ref><ref>{{cite news |title=Tunisian leader flees amid protests, PM takes over |first=Elaine |last=Ganley |first2=Angela |last2=Charlton |first3=Jamey |last3=Keaten |first4=Hadeel |last4=Al-Shalchi |url=http://www.ajc.com/news/nation-world/tunisian-pm-assumes-power-802911.html |agency=[[Associated Press]] |newspaper=[[The Atlanta Journal-Constitution]] |issn=1539-7459 |date=January 14, 2011 |accessdate=2011-01-14}}</ref>, dopo essersi visto opporre un rifiuto di protezione da [[Malta]] e [[Francia]], e l'avvertenza da parte dell'Italia che non gli sarebbe stato permesso di atterrare.<ref>http://www.leparisien.fr/international/en-direct-ben-ali-a-quitte-la-tunisie-selon-ses-proches-14-01-2011-1226977.php Cronologia su ''Le Parisien''.</ref>

In attesa di elezioni generali da svolgersi nell'estate 2011 (e non entro due mesi come inizialmente previsto) è stato varato un governo di unità nazionale presieduto da [[Mohamed Ghannouchi]] e in cui sono stati chiamati a far parte anche esponenti dell'opposizione parlamentare ed extraparlamentare

Neutrale in una prima fase, l'[[Esercito tunisino|esercito]] ha comunque avuto un ruolo decisivo nella caduta del regime. Il generale [[Rachid Anmar]] capo di stato maggiore delle forze armate terrestri<ref>Christophe Lucet, '' Tunis gagnée par la révolte'', in ''Sud-Ouest'', le 12/01/2011, [http://www.sudouest.fr/2011/01/13/tunis-gagnee-par-la-revolte-288948-4688.phparticle en ligne]</ref> rifiutandosi di far sparare sui manifestanti, avrebbe consigliato a Ben Ali di dimettersi. Nonostante la destituzione di Rachid Anmar dal suo incarico, le truppe hanno continuato a fraternizzare con i manifestanti mentre gli scontri con la polizia, fedele al governo, restavano duri. Venerdì 14, mentre i manifestanti si ammassavano sull'[[Avenue Bourguiba]], una delegazione di ufficiali avrebbe raggiunto Ben Ali per comunicargli il rifiuto dell'arma di essere lo strumento della repressione. Nel frattempo anche la [[Relazioni bilaterali tra Stati Uniti d'America e Tunisia|diplomazia statunitense]] avrebbe fatto sapere a Ben Ali che doveva lasciare il potere.<ref>Natalie Nougayrède, ''Tunisie : le virage de la France, contrainte par les événements'', in ''Le Monde'', 17/01/2011,[http://www.lemonde.fr/afrique/article/2011/01/17/tunisie-le-virage-de-la-france-contrainte-par-les-evenements_1466501_3212.htmlarticle en ligne]</ref> Successivamente, dopo la dichiarazione di stato d'emergenza, l'esercito ha assunto il ruolo attivo di garante dell'ordine pubblico non solo proteggendo i punti sensibili ma intraprendendo una vera caccia alle milizie presidenziali.

Immediatamente prima della sua partenza, Ben Ali ha ordinato al capo della sicurezza presidenziale, generale Ali Sériati, di attuare la cosiddetta politica della terra bruciata; già la sera del 14 gennaio sono cominciati i primi attacchi armati.<ref>Ahmed Bennour, «intervista su euronews» , [http://it.euronews.net/2011/01/20/ahmed-bennour-ben-ali-preparo-una-cospirazione]</ref> Le milizie di Ben Ali molto ben armate, hanno cominciato la guerriglia contro l’esercito e le proprietà, private e pubbliche<ref>Hamma Hammami,«intervista su france24» http://www.france24.com/fr/20110116-tunisie-pillages-consultations-politiques-ben-ali-gouvernement-union-couvre-feu]</ref> nel tentativo di seminare panico e terrore nella popolazione e quindi preparare il terreno per un colpo controrivoluzionario che consentisse il ritorno del dittatore.


== Note ==
== Note ==

Versione delle 20:16, 30 gen 2011

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Zine El-Abidine Ben Ali

Presidente della Tunisia
Durata mandato7 novembre 1987 –
14 gennaio 2011
PredecessoreHabib Bourguiba
SuccessoreFouad Mebazaâ (supplente)

Primo Ministro della Tunisia
Durata mandato2 ottobre 1987 –
7 novembre 1987
PredecessoreRachid Sfar
SuccessoreHédi Baccouche

Dati generali
Suffisso onorificoزين العابدين بن علي
Partito politicoPartito socialista desturiano, Raggruppamento Costituzionale Democratico e indipendente

Zine El-Abidine Ben Ali, in arabo زين العابدين بن علي? (Hammam-Sousse, 3 settembre 1936), è un militare e politico tunisino. È stato il secondo presidente della Repubblica di Tunisia dal 7 novembre 1987, succedendo a Habib Bourguiba. Il suo mandato, protrattosi per più tornate, si è concluso dopo 23 anni, il 14 gennaio 2011, quando un crescendo di proteste popolari, iniziate nel 2010, lo ha indotto a fuggire all'estero.

Biografia

Infanzia

Ben Ali è nato a Hammam-Sousse il 3 settembre 1936. Mentre era studente alla Sousse Secondary School si unì alla resistenza contro il dominio coloniale francese svolgendo funzioni di collegamento con il partito regionale Neo-Destour: per questo fu temporaneamente espulso dalla scuola e imprigionato [1].

Al termine della scuola secondaria, Ben Ali si guadagnò i gradi nella Special Inter-service School a Saint-Cyr, in Francia, nella Scuola di Artiglieria a Châlons-sur-Marne, in Francia, nella Senior Intelligence School in Maryland, e nella School for Anti-Aircraft Field Artillery in Texas. La sua carriera militare professionale iniziò nel 1964 come ufficiale dello stato maggiore tunisino, ed in questo periodo fondò il Dipartimento della Sicurezza militare e ne diresse le operazioni per 10 anni. Brevemente servì come addetto militare in Marocco e in Spagna prima di essere nominato direttore generale della Sicurezza nazionale nel 1977 [2]. Nel 1980 fu nominato Ambasciatore a Varsavia, in Polonia, dove rimase quattro anni. Fu poi ministro degli Interni ad interim, prima di essere nominato ministro dell'Interno nel 28 aprile 1986 e poi Primo Ministro dal presidente Habib Bourguiba, nell'ottobre 1987 [3].

Elezioni a Presidente

Ben Ali divenne Presidente della Tunisia il 7 novembre 1987, dopo aver spinto i medici di Bourguiba a dichiarare che il presidente fosse inabile ed incapace di adempiere i doveri della presidenza. [4][5] In conformità con l'articolo 57 della Costituzione tunisina, la transizione pacifica si svolse mentre lo Stato era sull'orlo del collasso economico (un'inflazione al 10%, un debito estero che raggiungeva il 46% del PIL) e a rischio di un attacco militare da parte dell'Algeria, cui si aggiungeva una campagna di bombardamenti legata al tentativo di rovesciare il governo, per i quali 76 membri del radicale "Movimento di Tendenza Islamico" furono condannati nel 1987 [6].

In quello che passò alla storia come il "colpo di Stato medico", fu agevolato da alcuni servizi segreti tra cui il SISMI su indicazione di Bettino Craxi[7].

Nel 1999 Fulvio Martini, ex capo del servizio segreto militare italiano ha dichiarato ad una commissione parlamentare che "Nel 1985-1987 abbiamo organizzato una sorta di golpe in Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali, come capo di Stato, in sostituzione di Burghiba ". Bourguiba, anche se era un simbolo della resistenza anticoloniale è stato ritenuto non in grado di governare il suo paese e la sua reazione all' integralismo islamico venne ritenuta "un po' troppo energica" da Martini. Agendo sotto le direttive di Bettino Craxi, primo ministro italiano, e Giulio Andreotti, ministro degli Esteri, Martini afferma di aver mediato l'accordo che ha portano alla transizione pacifica del potere nelle mani di Zine El-Abidene Ben Ali. [8]

Dittatura

File:Zine El-Abidine.jpg
Cartellone elettorale

Il nuovo leader proseguì la politica filo-occidentale del predecessore e sotto il suo governo la ricchezza del paese crebbe costantemente, insieme a quella del presidente, della sua famiglia e dei suoi amici[senza fonte]. Il suo partito, il Raggruppamento Costituzionale Democratico (RCD), erede del Partito Socialista Destouriano, dominò la scena politica nazionale: nel 1999 in occasione delle prime elezioni presidenziali con due candidati, il partito ottenne il 99,66% dei suffragi. Nel 2002 impose una riforma costituzionale che abolì ogni limite di durata alla carica presidenziale, permettendo la sua rielezione nel 2004 con il 94,5% dei consensi.

Nei suoi 24 anni di governo, Ben Alì si preoccupò di soffocare ogni opposizione al suo regime, aumentando il controllo sui media e sui partiti politici rivali e soprattutto rifiutando qualsiasi riforma politica in senso democratico. Molte sparizioni, omicidi e casi di tortura sono stati segnalati dalle organizzazioni per i diritti umani[senza fonte].

Fine del regime

Lo stesso argomento in dettaglio: Sommosse popolari in Tunisia del 2010-2011.
Incontro con Colin Powell (a sinistra)

A partire dal dicembre 2010, una serie di proteste popolari si è allargata in numerose città della Tunisia. I partecipanti sono scesi in rivolta per manifestare contro disoccupazione, rincari alimentari, corruzione e cattive condizioni di vita. Le proteste, iniziate nel dicembre 2010, costituiscono la più drammatica ondata di disordini sociali e politici in tre decenni e hanno provocato decine di morti e feriti. Ben Ali si è trovato quasi sorpreso e spiazzato da quest'insurrezione popolare, in quanto sino a quel momento mai nessuno avrebbe potuto osare così tanto e in ogni caso avrebbe trovato una repressione violenta da parte delle forze di polizia. Questa volta l'impresa di eliminare dalla scena politica Ben Ali appariva possibile. In uno scenario pieno di scontri continui (alla fine si conteranno più di 100 vittime tra civili e forze armate), il 14 gennaio 2011 il presidente ha infine abbandonato il Paese, fuggendo a Jedda in Arabia Saudita.

A partire dal 17 dicembre del 2010 e a gennaio del 2011,[9] una serie di manifestazioni di piazza hanno scosso varie città al centro-sud della Tunisia, formalmente motivate in una prima fase dall'impressionante suicidio del giovane Mohamed Bouazizi, un giovane commerciante ambulante che si era dato fuoco davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid per protestare contro il sequestro della propria merce da parte delle autorità.

In un crescendo di manifestazioni (in cui era stato fatto non sporadico uso anche di bombe Molotov), duramente affrontate dalla polizia con l'uso di armi e proiettili reali, vi furono 25 morti (solo 14 furono annunciati ufficialmente in un primo momento) durante il solo week-end dell'8 e 9 gennaio. L'effetto della violenza usata nella repressione amplifica ulteriormente la protesta che si diffonde ad altre città e si estende a Tunisi.

Il 10 gennaio, avvocati, sindacalisti, studenti e disoccupati scendono in piazza a manifestare ormai in quasi ogni città. Spinto dell'aggravarsi della situazione il presidente Ben Ali, alle ore 16, pronuncia un discorso alla televisione nazionale TV7 durante il quale promette 300.000 posti di lavoro e l'elevazione del livello di vita. Tuttavia, non mostra alcuna compassione per le vittime degli scontri, anzi dichiara che le persone negli scontri con le forze dell'ordine sono incolpabili di atti di terrorismo. I sindacati dichiarano sciopero generale e la rivolta continua nonostante la repressione sia sempre più dura.

Il 12 gennaio, il primo ministro, Mohamed Gannouchi annuncia la destituzione del ministro dell'interno, Rafiq Belhaj Kacem, e la sua sostituzione con Ahmed Friâa, nel tentativo di riavvicinarsi al popolo designando un colpevole. Ma la piazza non si convince e la capitale Tunisi diventa il teatro principale degli scontri e delle proteste mentre la repressione continua con l'uso di proiettili. Viene chiesto l'intervento delle forze armate per sedare la rivolta ma il capo di stato maggiore dell'esercito, Rachid Ammar, si rifiuta di sparare sui manifestanti. Viene destituito ma l'esercito resta neutrale e interviene solo a protezione e difesa dei punti sensibili (banche, uffici pubblici ecc.)

Le proteste e gli scontri continuano ormai in tutto il paese e ci sono ancora vittime.[10] Per la prima volta in 23 anni di potere Ben Alì pronuncia, il 13 gennaio un discorso in arabo tunisino, nel tentativo estremo di riavvicinarsi al popolo, usando questa volta un tono completamente diverso: "fehemtkom" vi ho capito; condanna l'uso delle armi nella repressione e promette di arrestare e punire i responsabili; dichiara di avere commesso degli errori perché mal consigliato e mal informato sullo stato reale del paese; promette libertà di stampa e di espressione, libertà della rete e democrazia; comunica inoltre la sua volontà d'indire entro sei mesi elezioni anticipate e il suo intendimento di non presentarsi alle elezioni presidenziali del 2014. Tuttavia, nonostante le promesse, ci sarà ancora spargimento di sangue la sera stessa ad opera delle squadre antisommossa; il giorno dopo ancora un morto e vari feriti a Thala e un morto a Tunisi.

Il 14 gennaio, dalle 9 del mattino, la gente comincia a radunarsi in Piazza Mohamed Alì; sono cittadini di ogni estrazione sociale e culturale e avanzano a migliaia verso il palazzo del ministero dell'interno che viene considerato il simbolo della repressione poliziesca. Sono 60 mila i manifestanti, sull'avenue Habib Bourguiba (la principale strada al centro di Tunisi) a gridare slogan contro il presidente che non è credibile.[11] [12] [13]

Alle ore 18,30, il Primo ministro Mohamed Ghannouchi dopo aver decretato lo stato di emrgenza, andò in onda sulla televisione di Stato, rivelando che il Presidente Ben Ali non aveva più alcun potere effettivo e assumendo la guida del paese con un direttorio formato da 6 persone. Dopo 18 ore il Consiglio costituzionale, dichiarando decaduto Ben Ali, affidava la presidenza a Fouad Mebazaâ, Presidente della Camera, quale Presidente supplente, secondo le previsioni della Costituzione tunisina.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, Ben Ali ha abbandonato il paese, arrivando in Arabia Saudita[14][15], dopo essersi visto opporre un rifiuto di protezione da Malta e Francia, e l'avvertenza da parte dell'Italia che non gli sarebbe stato permesso di atterrare.[16]

In attesa di elezioni generali da svolgersi nell'estate 2011 (e non entro due mesi come inizialmente previsto) è stato varato un governo di unità nazionale presieduto da Mohamed Ghannouchi e in cui sono stati chiamati a far parte anche esponenti dell'opposizione parlamentare ed extraparlamentare

Neutrale in una prima fase, l'esercito ha comunque avuto un ruolo decisivo nella caduta del regime. Il generale Rachid Anmar capo di stato maggiore delle forze armate terrestri[17] rifiutandosi di far sparare sui manifestanti, avrebbe consigliato a Ben Ali di dimettersi. Nonostante la destituzione di Rachid Anmar dal suo incarico, le truppe hanno continuato a fraternizzare con i manifestanti mentre gli scontri con la polizia, fedele al governo, restavano duri. Venerdì 14, mentre i manifestanti si ammassavano sull'Avenue Bourguiba, una delegazione di ufficiali avrebbe raggiunto Ben Ali per comunicargli il rifiuto dell'arma di essere lo strumento della repressione. Nel frattempo anche la diplomazia statunitense avrebbe fatto sapere a Ben Ali che doveva lasciare il potere.[18] Successivamente, dopo la dichiarazione di stato d'emergenza, l'esercito ha assunto il ruolo attivo di garante dell'ordine pubblico non solo proteggendo i punti sensibili ma intraprendendo una vera caccia alle milizie presidenziali.

Immediatamente prima della sua partenza, Ben Ali ha ordinato al capo della sicurezza presidenziale, generale Ali Sériati, di attuare la cosiddetta politica della terra bruciata; già la sera del 14 gennaio sono cominciati i primi attacchi armati.[19] Le milizie di Ben Ali molto ben armate, hanno cominciato la guerriglia contro l’esercito e le proprietà, private e pubbliche[20] nel tentativo di seminare panico e terrore nella popolazione e quindi preparare il terreno per un colpo controrivoluzionario che consentisse il ritorno del dittatore.

Note

  1. ^ Biography, in Tunisia Online. URL consultato l'11 November 2010.
  2. ^ Ben Ali’s Biography: Zine El Abidine Ben Ali, President of the Tunisian Republic, Changement.tn
  3. ^ Zine el-Abidine Ben Ali Biography Biography.com
  4. ^ Tunisian Constitution United Nations, 2009.
  5. ^ Bourguiba Described in Tunis New York Times, November 9th, 1987
  6. ^ Tunisian Constitution United Nations, 2009
  7. ^ Sul ruolo del SISMI, allora guidato da Fulvio Martini, nel "colpo di Stato medico" del 1987, si veda, tra l'altro, Carlo Chianura, "L'Italia dietro il golpe in Tunisia". L'ammiraglio Martini: Craxi e Andreotti ordinarono al Sismi di agire. "La Repubblica" 10-10-1999, su repubblica.it. URL consultato il 22-12-2009., La Repubblica, 11 ottobre 1999, e Pierre Lethier, Argent secret: l'espion de l'affaire Elf parle, Paris, Albin Michel, 2001, p. 66 (ISBN 2-226-12186-2).
  8. ^ http://www.repubblica.it/online/fatti/afri/tuni/tuni.html
  9. ^ Hanene Zbiss,«Chornique d'une rivolte » , pag.16-18 REALITES , settimanale indipendente di Tunisi , N° 1308 20,26 Gennaio 2011
  10. ^ http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2011/01/07/visualizza_new.html_1643131731.html Le stime dell'ANSA sui morti, indicati a 66 a tutto il 14 gennaio
  11. ^ reportage fotografico, http://www.anssa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2011/01/14/visualizza_new.html_1640360327.html
  12. ^ http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=31492
  13. ^ http://uk.ibtimes.com/articles/101251/20110114/tunisian-president-dissolves-government-calls-for-elections.htm
  14. ^ Tunisia: President Zine al-Abidine Ben Ali forced out, BBC, 14 gennaio 2011. URL consultato il 15 gennaio 2011.
  15. ^ Elaine Ganley, Tunisian leader flees amid protests, PM takes over, January 14, 2011. URL consultato il 14 gennaio 2011.
  16. ^ http://www.leparisien.fr/international/en-direct-ben-ali-a-quitte-la-tunisie-selon-ses-proches-14-01-2011-1226977.php Cronologia su Le Parisien.
  17. ^ Christophe Lucet, Tunis gagnée par la révolte, in Sud-Ouest, le 12/01/2011, en ligne
  18. ^ Natalie Nougayrède, Tunisie : le virage de la France, contrainte par les événements, in Le Monde, 17/01/2011,en ligne
  19. ^ Ahmed Bennour, «intervista su euronews» , [1]
  20. ^ Hamma Hammami,«intervista su france24» http://www.france24.com/fr/20110116-tunisie-pillages-consultations-politiques-ben-ali-gouvernement-union-couvre-feu]

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