Putsch di Monaco: differenze tra le versioni
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Putsch di Monaco | |||
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1923: riunione del partito nazionalsocialista nella birreria luogo del fallito colpo di stato | |||
Data | 8-9 novembre 1923 | ||
Luogo | Monaco di Baviera | ||
Esito | Fallimento del Putsch e arresto dei leader nazisti | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
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Perdite | |||
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Voci di colpi di Stato presenti su Wikipedia | |||
Il Putsch di Monaco (noto anche come "Putsch della birreria", in tedesco: Bürgerbräu-Putsch) fu un tentativo fallito di colpo di Stato (Putsch è l'equivalente tedesco di questa locuzione) organizzato e attuato da Adolf Hitler tra l'8 novembre e il 9 novembre del 1923, assieme ad altri leader del Kampfbund, tra cui Erich Ludendorff.
Premesse
Il "Putsch di Monaco" non fu un'operazione studiata e organizzata, ma una vera e propria improvvisazione[1]: Hitler, scartati i due piani precedentemente ideati, ne improvvisò uno all'ultimo momento. L'occasione fu data dal comizio organizzato da Gustav von Kahr, investito di poteri dittatoriali in Baviera, presso la Bürgerbräukeller, una grande birreria di Monaco di proprietà della Löwenbräu, oggi non più esistente essendo stata demolita nel 1979 per lasciare spazio a un nuovo edificio.
Era l'occasione per mettere in crisi l'intero triumvirato che governava all'epoca il Land bavarese. Assieme a von Kahr, infatti, sarebbero stati presenti anche Otto von Lossow (comandante della Reichswehr in Baviera) e Hans von Seisser (capo della polizia di Stato)[2]. L'obiettivo di Hitler era di costringerli, all'occorrenza anche con la forza, a fare un colpo di Stato insieme con i nazisti[3].
Svolgimento
La sera dell'8 novembre 1923, nella grande birreria bavarese, Kahr stava già parlando da circa mezz'ora dinanzi a quasi tremila persone[4]. Hitler irruppe nella sala, assieme alle SA di Ernst Röhm, in maniera teatrale, sparando con la sua pistola un colpo in aria[5]. Kahr interruppe immediatamente il suo discorso e la folla prestò attenzione a quel personaggio che nel frattempo era andato verso il palco. Con enorme stupore degli astanti, Hitler comunicò che la "rivoluzione nazionale" era scoppiata e che la Reichswehr e la polizia bavarese stavano marciando sotto la bandiera della svastica[6]. Intanto le truppe d'assalto, le SA, avevano assediato la sala all'interno e all'esterno.
Tra lo sconcerto generale per la notizia appena data, Hitler invitò il triumvirato a seguirlo in una stanza vicina. In quella stanza cercò di costringerli ad accettare il suo programma[7]. Non ottenendo risposta (nonostante l'utilizzo delle minacce), corse di nuovo in sala dove, bluffando, annunciò la destituzione del ministero bavarese e la costituzione di un nuovo governo nazionale. A quel punto comparve Erich Ludendorff, che era stato precedentemente mandato a chiamare. Dopo aver saputo le intenzioni di Hitler di sostituirsi a lui nel condurre la campagna controrivoluzionaria, Ludendorff andò su tutte le furie, ma nonostante tutto lo appoggiò. Fu a quel punto che, influenzati dalla decisione di Ludendorff, i tre uomini accettarono di scendere a patti con Hitler. Tornati in sala esposero una breve relazione, nella quale giurarono fedeltà ai compagni e al nuovo regime. La folla, dopo un'iniziale smarrimento per quel repentino mutamento dei fatti, avendo appreso che i rappresentanti politici che essi sostenevano si erano uniti a Hitler, cambiò immediatamente atteggiamento e salutò esultante il nuovo governo. Hitler era raggiante: si illudeva che la vittoria fosse oramai in mano sua[3].
Questo eccesso di sicurezza gli fece commettere un errore che, alla fine, risultò essere fatale: dopo lo scioglimento della riunione, Hitler si allontanò momentaneamente dalla birreria, lasciandola sotto il controllo di Ludendorff[3]. Al suo ritorno, invece di trovare i suoi collaboratori alle prese con gli impegni dettati dal nuovo regime e dai loro nuovi incarichi politici, poté solo constatare che i tre uomini erano fuggiti. Il vecchio generale prussiano li aveva lasciati andare, contando sulla loro parola. Lasciati nuovamente liberi di agire, Kahr e i suoi collaboratori comunicarono alla polizia e al Reichswehr la loro estraneità ai fatti della Bürgerbräukeller e li esortarono a contrastare i putschisti.
Un altro contrattempo giunse dai distaccamenti delle truppe d'assalto, le quali avrebbero dovuto colpire la città in alcuni dei suoi punti vitali. Solo Ernst Röhm, a capo di uno dei distaccamenti, era riuscito a introdursi in uno di questi punti nevralgici, il quartier generale del Ministero della Guerra, senza poterlo, però, conquistare del tutto. Hitler, dopo aver scoperto il doppio gioco di Kahr, rimase fermo nella sua intenzione di non cedere, pur rendendosi conto delle scarse possibilità di successo[8]. Era oramai venuta meno quella base che, come più volte aveva asserito, era indispensabile per il successo di ogni rivoluzione politica, ovvero l'appoggio di istituzioni come la Reichswehr, la polizia, e il gruppo politico al potere[9].
A quel punto, Ludendorff propose un piano che avrebbe potuto portare, secondo lui, al successo senza spargimenti di sangue: Hitler e Ludendorff, seguiti dai loro sostenitori, avrebbero marciato sul centro della città al fine di impadronirsene[10]. La Reichswehr e la polizia, composti fondamentalmente da ex-combattenti, non avrebbero mai osato aprire il fuoco su di un generale che li aveva guidati durante la guerra, anzi avrebbero preferito unirsi a lui e combattere ai suoi ordini. Hitler era alquanto scettico, ma la situazione era oramai così disperata che decise di accettare la proposta[11].
Epilogo
La mattina del 9 novembre, anniversario della proclamazione della Repubblica di Weimar, Adolf Hitler ed Erich Ludendorff marciarono alla testa di una colonna di circa tremila uomini[12]. Poco dopo mezzogiorno il corteo si avvicinò al suo obiettivo: il Ministero della guerra, dove Ernst Röhm era ancora asserragliato insieme con i suoi uomini. Il corteo fu bloccato da un distaccamento di un centinaio di poliziotti armati di fucili. Uno degli uomini di Hitler intimò loro di abbassare le armi, poiché era lì presente il generale Ludendorff[13]. La richiesta non sortì l'effetto sperato: fu aperto il fuoco e i nazisti contarono quattordici morti e alcuni feriti[14]. Il generale fu arrestato sul posto e il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori fu messo fuori legge[15].
Note
- ^ Michael Sayers e Albert E. Kahnn,, The Plot Against the Peace, Dial Press, 1945
- ^ Ian Kershaw, Hitler: A Biography, New York, W. W. Norton & Company, 2008, pagg. 125-126, ISBN 0-393-06757-2
- ^ a b c Ian Kershaw, op. cit., pag. 129
- ^ Harold J. Gordon Jr., Hitler and the Beer Hall Putsch, p. 282
- ^ Non è però certo che Hitler fosse l'autore del colpo di pistola, che potrebbe essere stato sparato da un membro del suo seguito
- ^ Joachim Fest, Hitler. Jeunesse et conquête du pouvoir, Paris, Gallimard, 1973, p. 218
- ^ Harold J. Gordon Jr., Hitler and the Beer Hall Putsch, p. 286
- ^ John Dornberg, Der Hitlerputsch. 9 November 1923, Langen Müller, 1998, pag. 111
- ^ William Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich, New York, Simon & Schuster, 1960, pagg. 73-74, ISBN 978-0-671-62420-0
- ^ Harold J. Gordon, Hitler and the Beer Hall Putsch, Princeton, Princeton University Press, 1972, pag. 461, ISBN 978-0-691-05189-5
- ^ Hubert Renfro Knickerbocker, Is Tomorrow Hitler's? 200 Questions on the Battle of Mankind, Reynal & Hitchcock, 1941, pag. 12
- ^ Piers Brendon, The Dark Valley: A Panorama of the 1930s, pag. 36, ISBN 0-375-40881-9
- ^ Beer Hall Putsch
- ^ Dan Moorhouse, ed. The Munich Putsch, schoolshistory.org.uk, ultimo accesso 31 maggio 2008
- ^ Adolf Hitler (1924), Der Hitler-Prozeß vor dem Volksgericht in München, Munich: Knorr & Hirth. OCLC 638670803.
Bibliografia
- John Dornberg, Der Hitlerputsch. 9 November 1923, Langen Müller, 1998.
- Harold J. Gordon, Hitler and the Beer Hall Putsch, Princeton, Princeton University Press, 1972, 666 p. (ISBN 978-0-691-05189-5)
- Georg Franz-Willing, Putsch und Verbotszeit der Hitlerbewegung, November 1923 - Februar 1925, Preußisch Oldendorf: Schütz, 1977
- Dornberg, John. (1982), Munich 1923, The Story of Hitler's First Grab for Power, New York: Harper & Row.
- Giorgio Galli, Il "Mein Kampf" di Adolf Hitler - Le radici della barbarie nazista, Milano, Caos Edizioni, 2002. ISBN 88-7953-113-1
Voci correlate
Altri progetti
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