Bozza:Lavoro forzato nei campi di concentramento nazisti

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Prigionieri che trasportano il materiale per la costruzione del "campo russo" di Mauthausen.

Il lavoro forzato nei campi di concentramento nazisti fu l'elemento onnipresente, oltre che economicamente più importante, nei campi nazisti attivi sia in Germania che nell'Europa occupata tra il 1933 e il 1945 e rappresentò l'aspetto più duro e disumano del sistema legato al lavoro forzato.

Contesto storico

[modifica | modifica wikitesto]
Esercitazioni forzate a Oranienburg, 1933.

I prigionieri erano spesso impiegati nel lavoro forzato come misura penale svolgendo compiti non qualificati.[1] Durante i primi anni di attività del movimento nazista, la disoccupazione era elevata e il lavoro forzato nei campi di concentramento fu presentato come una forma di rieducazione e come un mezzo per punire i trasgressori. La propaganda nazista idolatrava il lavoro,[2] in contrasto con la visione del lavoro forzato usato come punizione.[3] I prigionieri dei primi campi aperti furono costretti a svolgere dei compiti economicamente inutili e al tempo stesso faticosi, come ad esempio i lavori agricoli nella brughiera di Esterwegen.[4] In altri casi i prigionieri dovettero lavorare alla costruzione e all'espansione dei campi stessi.[5] I governi statali tedeschi si lamentarono di dover sostenere i costi di manutenzione dei campi e in seguito le SS si fecero carico della manutenzione impiegando il lavoro forzato dei prigionieri.[6] A Dachau si svilupparono due flussi di lavoro, uno punitivo ma di minor valore economico e uno legato all'impiego nelle officine in cui i prigionieri svolgevano lavori di maggior valore economico e in condizioni molto migliori.[7]

Il piano quadriennale del 1936 portò alla carenza di manodopera dato che la forza lavoro fu dirottata sui progetti legati al riarmo tedesco.[1] Alla fine del 1937, fu raggiunta la piena occupazione al di fuori dei campi, mentre c'era ancora carenza di manodopera per i lavori di costruzione.[1][7] Nel 1937 e nel 1938 si verificò un aumento significativo dell'uso dei prigionieri nelle attività produttive.[5] Anche Heinrich Himmler sfruttò questa situazione di carenza di manodopera come motivo per espandere il sistema dei campi di concentramento nel periodo prebellico nonostante altri leader nazisti, come Hermann Göring, non fossero d'accordo con questa scelta.[1] Le imprese furono inizialmente supervisionate dallo Stato Maggiore Personale del Reichsführer-SS.[8] Nel 1938, i rastrellamenti di massa dei cosiddetti "asociali" portarono altri 10 000 prigionieri nei campi, il desiderio di escludere queste persone dalla società tedesca fu complementare all'obiettivo di sfruttarli come manodopera,[9][10][12] infatti questi rastrellamenti coincisero con la continua e crescente richiesta di manodopera da impiegare per ottenere i materiali da costruzione da usare nei progetti di architettura nazista.[11]

Il lavoro forzato fu quindi una componente fondamentale del sistema dei campi di concentramento e un aspetto basilare della vita quotidiana dei prigionieri.[1]

Impiego nell'edilizia

[modifica | modifica wikitesto]
Lavoro forzato nella fabbrica di mattoni di Sachsenhausen.

L'iniziativa di fondare delle aziende gestite dalle SS che si occupassero dell'approvvigionamento dei materiali da costruzione provenienti dai campi di concentramento ebbe origine nel 1937 in Turingia, per volontà dei funzionari regionali delle SS, in particolare del Ministro degli Interni Hellmuth Gommlich.[13][14]

La Deutsche Erd- und Steinwerke GmbH (DEST) fu un'azienda di proprietà delle SS fondata il 29 aprile 1938 per lo sfruttamento del lavoro nei campi impiegato nella produzione dei materiali da costruzione.[5][15] Presto organizzata sotto l'egida del WVHA, la DEST ebbe quattro priorità principali: l'estrazione della pietra, la produzione di mattoni, la costruzione di strade (poi abbandonata) e l'acquisizione di altre imprese utili a soddisfare questi scopi. Sebbene tecnicamente fosse un'impresa privata, i suoi membri furono responsabili nei confronti della gerarchia delle SS, in quanto a loro volta ufficiali delle SS.[16] Nel corso della storia della DEST, il Piano comprensivo di costruzione per la capitale del Reich programmato dall'ufficio dell'architetto nazista Albert Speer rappresentò l'investimento e contemporaneamente il cliente maggiore della produzione della DEST. Prima della seconda guerra mondiale, le cave della DEST erano redditizie, mentre le fabbriche di mattoni versavano in perdita. All'inizio della guerra, quattro campi di concentramento producevano già o si preparavano a produrre materiali da costruzione,[17] produzione che continuò ad aumentare fino al 1942 quando le SS spostarono la produzione sulla fornitura di armi.[18]

Fabbriche di mattoni

[modifica | modifica wikitesto]

Le fabbriche di mattoni rappresentarono l'ingresso delle SS nell'industria delle costruzioni, giustificato dalla richiesta necessaria alla realizzazione dei Führerbauten, dato che l'industria privata era in grado di soddisfare solo il 18% dei 2 miliardi di mattoni richiesti annualmente.[19] I mattoni rappresentarono un importante materiale da costruzione proprio a causa delle restrizioni del piano quadriennale sull'uso del ferro. Il 1° luglio 1938, Himmler e Speer giunsero a un accordo in base al quale l'ufficio per la riedificazione prometteva di acquistare 120 milioni di mattoni all'anno per i successivi dieci anni e in cambio le SS avrebbero ricevuto un anticipo di 9,5 milioni di Reichsmark. In questo modo la DEST ottenne i finanziamenti necessari per investire nelle industrie dei campi di concentramento.[20][21]

Con la cerimonia del 6 luglio fu inaugurata quella che doveva essere la più grande fabbrica di mattoni esistente al mondo, a 2 chilometri di distanza dal campo di Sachsenhausen.[21] A metà del 1938 iniziò la costruzione di una fabbrica di mattoni a Buchenwald.[22] La consegna dei mattoni avrebbe dovuto iniziare in ottobre ma ciò non avvenne a causa dei problemi sorti con la fabbrica di Sachsenhausen e quindi l'ufficio per la riedificazione rinegoziò il contratto per pagare meno dei 9,5 milioni promessi.[20]

Nell'agosto del 1938, le SS acquistarono un cantiere ad Amburgo, che nel 1940 diventerà il sito del campo di concentramento di Neuengamme.[23][24] I mattoni di Neuengamme furono appaltati per essere utilizzati nei progetti di costruzione nazisti.[24] Ad eccezione del campo di Neuengamme, la produzione di mattoni nei campi non era di qualità sufficientemente elevata e per questo venivano utilizzati solo per le strutture.

L'industria dei mattoni delle SS non ebbe lo stesso successo o la stessa produttività economica delle cave di pietra.[25]

Cave di pietra

[modifica | modifica wikitesto]

Flossenbürg e Mauthausen furono fondati nel 1938, i loro siti furono scelti specificamente per la vicinanza alle cave di granito la cui pietra sarebbe stata utilizzata nei progetti di architettura monumentale nazista.[26][23] Tra i campi di concentramento dell'anteguerra, Flossenbürg fu il più redditizio e costante per la DEST: ad esempio, nel 1939 produsse 2.898 metri cubi di pietra, quasi tre quarti della produzione complessiva di quell'anno.[27] Il maggiore acquirente della cava di Flossenbürg fu l'ufficio per la riedificazione di Albert Speer.[28] All'interno del progetto di ricostruzione di Berlino, gli ordinativi maggiori e più significativi furono per il progetto della Sala dei Soldati (in tedesco Soldatenhalle) di Wilhelm Kreis. Quantità sempre crescenti di pietra furono utilizzate anche nella realizzazione delle strade, dal 15% nel 1939 si passò al 60% dell'anno successivo.[29]

Anche i campi di Natzweiler e Gross-Rosen furono istituiti nel 1940 vicino alle cave.[25] La cava di Natzweiler, seppur non redditizia, fu comunque acquistata perché Speer sperava di usare il granito rosso ricavato per costruire la nuova Cancelleria del Reich.[30] Nel 1941, la DEST istituì il campo di Oranienburg II, una struttura per la lavorazione della pietra vicino a Sachsenhausen, dove i prigionieri tagliavano la pietra per i progetti edilizi. Vennero istituiti dei programmi specifici per scalpellini a Flossenbürg, Gross-Rosen e Natzweiler, per consentire ai detenuti di imparare la lavorazione della pietra da esperti civili.[31] La pietra proveniente dalle cave del campo di concentramento fu utilizzata per la costruzione del campo stesso, della Reichsautobahn e di vari altri progetti militari delle SS,[32] ma in seguito fu destinata al monumentale progetto del Deutsches Stadion e del Reichsparteitagsgelände.[33]

Nelle cave i prigionieri lavorarono in condizioni particolarmente brutali, fu la causa principale delle numerose morti.[5]

Impiego nelle officine

[modifica | modifica wikitesto]

A partire dalla fine degli anni '30, nei campi di concentramento vennero aperte delle officine in cui i prigionieri furono costretti a produrre vari tipi di prodotti.[34] A Dachau i prigionieri producevano abbigliamento, scarpe e la carpenteria per il vicino centro di addestramento delle truppe SS; furono sotto il controllo indiretto dell'apparato finanziario delle SS guidato da Oswald Pohl e August Frank, fino a quando non furono trasferiti alla fine del 1935 sotto il controllo diretto del dipartimento di addestramento.[30] Tra le varie iniziative di quel periodo vi fu l'avvio di un panificio a Sachsenhausen per produrre 100 000 pagnotte al giorno per il campo e per le Waffen-SS.[35]

Nel maggio 1939, fu istituita la società Deutsche Ausrüstungswerke (DAW) per supervisionare le officine dei campi. Nel 1940-1941, la varietà di articoli prodotti fu ridotta, tanto che le officine si concentrarono sulla produzione e fornitura di mobili alle SS e ai tedeschi etnici reinsediati. Alla fine del 1941, l'azienda aveva stabilimenti a Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald e Auschwitz. Un'altra società, la Gesellschaft für Textil und Lederverwertung, gestiva le officine dei campi di concentramento che fornivano l'abbigliamento per le SS.[36]

Impiego nelle costruzioni

[modifica | modifica wikitesto]

Fin dai primi giorni, i prigionieri furono impiegati nella costruzione e nell'espansione delle infrastrutture dei campi per ridurre i costi.[1][5]

Progetti locali

[modifica | modifica wikitesto]
Prigionieri di Neuengamme al lavoro sul canale Dove-Elbe.

Il contratto tra la DEST e la città di Amburgo prevedeva anche l'utilizzo dei prigionieri di Neuengamme per lavorare alla manutenzione di argini e canali.[1]

L'idea di utilizzare i prigionieri dei campi di concentramento organizzati in brigate mobili di costruzione risale al 1941, quando l'idea fu proposta per la prima volta dallo WVHA per lo sviluppo dell'Europa orientale occupata dai nazisti.[37] Il bombardamento di Lubecca del 28-29 marzo 1942 segnò l'inizio dei bombardamenti delle città tedesche causando notevoli distruzioni.[11] L'impiego di manodopera forzata per riparare i danni fu avviato dai burocrati locali; la storica tedesca Karola Fings osserva che la richiesta "indica l'accettazione generale dei campi di concentramento".[38] Nel settembre 1942, Himmler raccomandò di utilizzare i prigionieri dei campi per la fabbricazione dei telai per porte e finestre, oltre che per la produzione di tegole in mattoni a Neuengamme. Allo stesso tempo, autorizzò la formazione delle brigate edilizie delle SS (in tedesco SS-Baubrigaden), cioè di gruppi di prigionieri impiegati nelle città danneggiate dai bombardamenti per lo sgombero delle macerie e la riparazione degli edifici.[39] I prigionieri impiegati in queste brigate vivevano e lavoravano fuori dai campi, sotto gli occhi della popolazione tedesca.[38]

Generalplan Ost

[modifica | modifica wikitesto]

L'insieme dei piani nazisti per la colonizzazione dell'Europa orientale, più in generale noto come progetto Generalplan Ost, furono concepiti per essere completati con il lavoro dei campi di concentramento. Konrad Meyer-Hetling, ideatore del piano, stimò che la manodopera forzata avrebbe reso i progetti più economici del 20%, tenendo conto anche del cibo e del vestiario necessari per i prigionieri. La volontà di utilizzare i prigionieri dei campi per le costruzioni legate allo sviluppo del progetto richiese un aumento significativo della popolazione detenuta: il 27 settembre 1941 fu annunciata la creazione di Auschwitz II e di Majdanek per ospitare altri 50 000 prigionieri che inizialmente furono i prigionieri di guerra sovietici.[40]

Impiego nelle industrie belliche

[modifica | modifica wikitesto]
Fabbrica di aeromobili a Flossenbürg, fotografata dopo la liberazione.

Dopo lo scoppio della guerra nel settembre 1939, le SS furono esentate dalla necessità di convertire le industrie dei campi di concentramento per l'economia di guerra, questo perché le SS si aspettavano una rapida fine della guerra.[22] Nella seconda metà del 1941, le battute d'arresto militari sul fronte orientale portarono a dare maggiore priorità alla produzione bellica, posta sotto l'autorità di Speer appena nominato capo del Ministero degli Armamenti e della Produzione Bellica del Reich. All'inizio del 1942, a Fritz Sauckel fu affidato il compito di reclutare nuova manodopera per aumentare la produzione bellica.[41] Fino al febbraio 1942, le SS non erano concentrate sulla questione degli armamenti, ma presto si resero conto che avrebbero potuto perdere il controllo dei prigionieri in favore di altre agenzie naziste.

Nel 1942, l'incorporazione dell'IKL nel WVHA determinò un cambiamento sostanziale del sistema di gestione dei campi: Oswald Pohl ordinò di orientare di nuovo il lavoro dei prigionieri verso la produzione e di abbandonare i compiti che richiedevano molto tempo, come l'appello; inoltre estese l'orario di lavoro a undici ore al giorno in modo da raggiungere le 72 ore di lavoro settimanali. Contemporaneamente furono ridotte le razioni di cibo e per questo motivo il tasso di mortalità raggiunse il picco massimo, con 75.545 prigionieri morti tra luglio e novembre 1942.[42] Nel settembre 1942, dei 110 000 prigionieri presenti nei campi, solo il 5% era impiegato in mansioni di supporto all'industria degli armamenti e poco più dell'1% lavorava direttamente alla produzione degli armamenti.[43] Alla fine del 1944, i prigionieri dei campi di concentramento fornivano il 5% circa della manodopera necessaria per le fabbriche di armamenti tedesche, cioè 500 000 lavoratori: di questi, 140 000 furono impiegati nella costruzione di nuove fabbriche sotterranee, 130 000 furono impegnati dall'Organizzazione Todt e 230 000 in altre imprese private.[44]

Settore petrolchimico

[modifica | modifica wikitesto]
Impianto IG-Farben ad Auschwitz.

L'impianto Buna-Werke a Monowitz ( anche noto come Auschwitz III) fu costruito nel febbraio 1940 per produrre gomma sintetica, in accordo con la IG Farben.[45] Le SS investirono almeno 610 milioni di Reichsmark nel sito, ma non entrò mai in produzione e nel 1942 le SS spostarono la produzione dalla gomma al metanolo (utilizzato per produrre il carburante per aerei e anche esplosivi). Monowitz e gli altri siti della IG Farben nell'Alta Slesia, Heydebreck e Blechhammer, rappresentarono una percentuale significativa per la produzione di carburante nel 1944, dopo il bombardamento degli stabilimenti IG Farben di Leuna e, secondo lo Strategic Bombing Survey degli Stati Uniti, salvarono lo sforzo bellico tedesco. Almeno 30 000 prigionieri morirono a Monowitz.[46]

Settore aeronautico

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Mittelwerk.
Interno della fabbrica sotterranea Mittelwerk.

All'inizio del 1941, la Ernst Heinkel Flugzeugwerke stava costruendo un impianto nella sua fabbrica di Oranienburg sfruttando i prigionieri di Sachsenhausen nella produzione dei bombardieri Heinkel He 177. Il velivolo però rappresentò un fallimento tecnico.[47]

Lavoro forzato e genocidio

[modifica | modifica wikitesto]
La "scala della morte" a Mauthausen.

I prigionieri dei campi di concentramento lavorarono in condizioni più dure rispetto agli Ostarbeiter e agli altri lavoratori forzati stranieri.[48] Alla fine della guerra, il lavoro nei campi di concentramento rappresentò il 3% della forza lavoro complessiva in Germania, rimanendo un elemento quantitativamente marginale dell'economia nazista.[49]

Sebbene i precedenti storici dei campi di concentramento abbiano descritto il lavoro forzato come parte del processo di sterminio nazista (sterminio tramite il lavoro), questa tesi è stata messa in discussione dalla storiografia più recente:[50] secondo gli storici Marc Buggeln e Jens-Christian Wagner, la frase implica un intento premeditato di sterminare i prigionieri che non esisteva.[51][52]

Buggeln scrive:

«Nel complesso, si potrebbe dire che lo "sterminio tramite il lavoro" fu praticato in tutto il sistema dei campi di concentramento, in particolare nella seconda metà del 1942. Tuttavia, i tassi di mortalità particolarmente elevati dell'anno 1942 possono essere attribuiti solo in misura limitata a piani deliberati ideati dalle SS per uccidere alcuni detenuti o gruppi di prigionieri.[53]»

Sostiene inoltre che il sistema dei campi di concentramento fu genocida solo nei confronti dei prigionieri ebrei e rom, poiché il numero di prigionieri di altre nazionalità era troppo esiguo rispetto alla popolazione totale.[54]

Ruolo delle aziende private

[modifica | modifica wikitesto]
Telford Taylor apre il processo contro gli imputati del processo IG Farben.

Il coinvolgimento delle aziende private nei campi di concentramento aumentò con due progetti pilota avviati all'inizio del 1941: alcune centinaia di prigionieri di Auschwitz furono affittati alla IG Farben e 300 prigionieri di Mauthausen alla Steyr-Daimler-Puch. Entrambe le aziende utilizzarono la manodopera dei prigionieri per compensare la carenza interna e inizialmente impiegarono i prigionieri solo in lavori non qualificati e di costruzione. Come parte dell'accordo, le SS mantennero il controllo sui prigionieri, ottenendo al contempo dei benefici materiali: la IG Farben forniva i materiali per la costruzione di Auschwitz, mentre la Steyr-Daimler-Puch offriva armi più economiche alle Waffen-SS. Le aziende si lamentarono del fatto che il lungo spostamento dei prigionieri al lavoro e i maltrattamenti arbitrari da parte delle SS riducevano la loro produttività. L'impiego di prigionieri da parte delle aziende private fu marginale fino alla fine del 1941.[55]

Fino alla fine del 1942, le compagnie SS pagavano 30 pfennig per prigioniero al giorno, mentre i privati pagavano tre o quattro Reichsmark. Questo prezzo comprendeva il vestiario e il vitto sia dei prigionieri che delle guardie SS ma le compagnie dovevano occuparsi anche dell'alloggio e delle cure mediche, pertanto avevano un effetto significativo sulle condizioni di vita nei campi. I prigionieri non ricevevano nulla di questo denaro[56] che veniva versato nelle casse dello Stato.[senza fonte] Il costo della diaria incoraggiava i datori di lavoro a spingere per estendere il più possibile l'orario della giornata lavorativa, aumentando così il tasso di mortalità.[56] I dipendenti delle aziende private erano incaricati di monitorare le prestazioni lavorative dei prigionieri e di dire ai kapo quali prigionieri picchiare, a volte le punizioni fisiche venivano inflitte sul posto mentre in altri casi venivano rimandate al rientro dei prigionieri al sottocampo. La maggior parte dei dipendenti non si oppose a questo ruolo.[57]

Le aziende private che utilizzavano la manodopera dei prigionieri prendevano sempre l'iniziativa e non erano costrette dalle SS: i sottocampi venivano istituiti quando le aziende presentavano una richiesta al WVHA; se il loro scopo era considerato sufficientemente prioritario, gli ispettori del WVHA esaminavano il sito per verificarne la sistemazione e la sicurezza, in seguito arrivava un trasporto di prigionieri e le guardie dal campo principale. Con il progredire della guerra, l'assegnazione del lavoro dei prigionieri fu supervisionata sempre più dal Ministero degli Armamenti piuttosto che dal WVHA, e dall'ottobre 1944 le richieste di lavoro dei prigionieri furono presentate direttamente al Ministero.[58]

Sebbene sia lo Stato che le imprese private abbiano tratto profitto dal lavoro nei campi di concentramento, gli storici discutono su chi abbia tratto i maggiori vantaggi: l'impiego dei prigionieri dei campi di concentramento per la produzione era economicamente più favorevole rispetto al lavoro edile, che poteva essere redditizio se i prigionieri esausti venivano prontamente sostituiti con altri nuovi. I datori di lavoro avevano un incentivo economico nell'accelerare il processo di sostituzione.[59] La documentazione completa sulla redditività e sulla contabilità del lavoro nei campi di concentramento è disponibile solo per pochi progetti. L'Universale Hoch und Tiefbau AG, l'appaltatore assunto dallo Stato tedesco per lavorare al tunnel di Loibl che collega l'Austria alla Slovenia, impiegò 800 prigionieri del sottocampo Loibl di Mauthausen. L'azienda calcolò che, sebbene i prigionieri fossero il 40% meno produttivi dei lavoratori tedeschi liberi, i prigionieri costavano meno, anche tenendo conto del costo delle guardie SS e della sostituzione dei prigionieri troppo deboli per lavorare. Per recuperare questi profitti, lo Stato ridusse il prezzo contrattuale del 3,515%.[60]

Tre dei processi tenuti a Norimberga riguardarono i crimini commessi dalle aziende (processo Flick, processo IG Farben e processo Krupp), tra cui l'uso del lavoro forzato dei prigionieri nei campi di concentramento. Nei processi Flick e IG Farben, i giudici accettarono le argomentazioni degli imputati sulla necessità dell'uso del lavoro forzato.[61][62] I leader delle imprese negarono la responsabilità dell'uso del lavoro forzato e spesso sostennero, in modo errato, di essere stati costretti a impiegare la manodopera per volere dei nazisti, mentre in realtà cercavano questi prigionieri per aumentare i loro profitti e sopravvivere alla guerra.[63] Le imprese furono riluttanti a risarcire le richieste dei sopravvissuti.[64]

Analogia con la schiavitù

[modifica | modifica wikitesto]

Gli storici non sono d'accordo sul tema che il lavoro forzato nei campi di concentramento fosse una forma di schiavitù, analogia peraltro proposta dai sopravvissuti.[65] I prigionieri dei campi di concentramento non venivano venduti come oggetti, ma solo affittati, in maniera simile ad alcune forme di schiavitù moderna.[66] Un'altra differenza importante è che la maggior parte dei proprietari di schiavi diede valore alla loro vita, mentre le SS considerarono i loro prigionieri sacrificabili; l'omicidio sistematico continuò nonostante la carenza di manodopera.[67][68] Per questo motivo, Benjamin Ferencz descrisse i prigionieri dei campi di concentramento come "meno che schiavi".[67]

  1. ^ a b c d e f g Fings, p. 220
  2. ^ (EN) Time Inc, LIFE, Time Inc, 2 maggio 1938. URL consultato il 13 agosto 2024.
  3. ^ redazione, Cos'è il lavoro forzato, le moderne forme di schiavitù e la tratta di esseri umani, su SI Cert, 4 maggio 2021. URL consultato il 16 agosto 2024.
  4. ^ Wagner, p. 130
  5. ^ a b c d e Orth, p. 185
  6. ^ Buggeln, pp. 12–13
  7. ^ a b Buggeln, p. 13
  8. ^ Longerich, p. 260
  9. ^ Wachsmann, pp. 24–25
  10. ^ Orth, pp. 185–186
  11. ^ a b c Fings, p. 221
  12. ^ Ulrich Greifelt, capo dell'ufficio di Himmler per il Piano quadriennale, dichiarò: "Given the strains on the labour market, National Socialist work discipline dictated the forcible seizure and employment of all persons unwilling to adapt to the working life of the nation, i.e. work-shy and asocial individuals who are just vegetating . . . Well over 10,000 asocials are currently undergoing re-education in the concentration camps, which are admirably suited to the purpose."[11]
  13. ^ Jaskot, p. 21
  14. ^ Allen, p. 58
  15. ^ Jaskot, p. 22
  16. ^ Jaskot, pp. 22-23
  17. ^ Jaskot, pp. 24-25
  18. ^ Jaskot, p. 26
  19. ^ Jaskot, pp. 22, 28
  20. ^ a b Jaskot, p. 24
  21. ^ a b Buggeln, pp. 13–14
  22. ^ a b Jaskot, p. 25
  23. ^ a b Buggeln, p. 14
  24. ^ a b Fings, p. 219
  25. ^ a b Jaskot, p. 28
  26. ^ Jaskot, pp. 1, 28
  27. ^ Jaskot, p. 41
  28. ^ Jaskot, p. 1
  29. ^ Jaskot, pp. 108-109
  30. ^ a b Allen, p. 60
  31. ^ Jaskot, pp. 28, 41, 75
  32. ^ Jaskot, p. 75
  33. ^ Jaskot, pp. 41, 69, 75
  34. ^ Wachsmann, p. 212
  35. ^ Allen, p. 62
  36. ^ Longerich, pp. 482–483
  37. ^ Fings, p. 223
  38. ^ a b Fings, p. 217
  39. ^ Fings, pp. 222-223
  40. ^ Tooze, p. 473
  41. ^ Buggeln, p. 15
  42. ^ Buggeln, pp. 18-19
  43. ^ Buggeln, pp. 17-18
  44. ^ Tooze, p. 532
  45. ^ Tooze, p. 443
  46. ^ Tooze, pp. 445-446
  47. ^ Tooze, p. 448
  48. ^ (EN) Challenging WWII Taboos, su whatson-kiev.com. URL consultato il 26 novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2012).
  49. ^ Buggeln, p. 125
  50. ^ Wagner, p. 127
  51. ^ Buggeln, pp. 333, 359
  52. ^ Buggeln, p. 63
  53. ^ Buggeln, pp. 19-20
  54. ^ Buggeln, p. 64
  55. ^ Orth, p. 188
  56. ^ a b Wagner, p. 136
  57. ^ Buggeln, p. 245
  58. ^ Wagner, pp. 136-137
  59. ^ Tooze, p. 534
  60. ^ Tooze, pp. 534, 536
  61. ^ Wiesen, p. 68
  62. ^ Priemel, pp. 181-182
  63. ^ Wiesen, p. 16
  64. ^ Wiesen, pp. 1, 3
  65. ^ Buggeln, pp. 102–103
  66. ^ Buggeln, p. 128
  67. ^ a b Allen, p. 222
  68. ^ Wagner, p. 138
  • (EN) Michael Thad Allen, The Business of Genocide: The SS, Slave Labor, and the Concentration Camps, University of North Carolina Press, 2002, ISBN 978-0-8078-2677-5.
  • Marc Buggeln, Were Concentration Camp Prisoners Slaves?: The Possibilities and Limits of Comparative History and Global Historical Perspectives, in International Review of Social History, vol. 53, n. 1, 2008, pp. 101–129, DOI:10.1017/S0020859007003355.
  • (EN) Marc Buggeln, Slave Labor in Nazi Concentration Camps, Oxford University Press, 2014, ISBN 978-0-19-870797-4.
  • Marc Buggeln, Forced Labour in Nazi Concentration Camps, in Christian Giuseppe De Vito, Alex Lichtenstein (a cura di), Global Convict Labour, BRILL, 2015, pp. 333–360, DOI:10.1163/9789004285026_014, ISBN 978-90-04-28501-9.
  • (EN) Karola Fings, Slaves for the 'Home Front': War Society and Concentration Camps, in German Wartime Society 1939-1945: Politicization, Disintegration, and the Struggle for Survival, Germany and the Second World War, IX/I, Clarendon Press, 2008 [2004], pp. 207–286, ISBN 978-0-19-160860-5.
  • Paul B. Jaskot, The Architecture of Oppression: The SS, Forced Labor and the Nazi Monumental Building Economy, Routledge, 2002, ISBN 978-1-134-59461-0.
  • (EN) Peter Longerich, Heinrich Himmler: A Life, Oxford University Press, 2011, ISBN 978-0-19-161989-2.
  • Karin Orth, The Genesis and Structure of the National Socialist Concentration Camps, in Geoffrey P. Megargee (a cura di), Early Camps, Youth Camps, and Concentration Camps and Subcamps under the SS-Business Administration Main Office (WVHA), Encyclopedia of Camps and Ghettos, 1933–1945, vol. 1, Indiana University Press, 2009, pp. 183–196, ISBN 978-0-253-35328-3.
  • (EN) Kim C. Priemel, Tales of Totalitarianism. Conflicting Narratives in the Industrialist Cases at Nuremberg, in Kim C. Priemel, Alexa Stiller (a cura di), Reassessing the Nuremberg Military Tribunals: Transitional Justice, Trial Narratives, and Historiography, Berghahn Books, 2012, pp. 161–193, ISBN 978-0-85745-532-1.
  • (EN) Adam Tooze, The Wages of Destruction: The Making and Breaking of the Nazi Economy, Allen Lane, 2006, ISBN 978-0-7139-9566-4.
  • Nikolaus Wachsmann, The dynamics of destruction: The development of the concentration camps, 1933–1945, in Nikolaus Wachsmann, Jane Caplan (a cura di), Concentration Camps in Nazi Germany: The New Histories, Routledge, 2009, pp. 17–43, ISBN 978-1-135-26322-5.
  • Nikolaus Wachsmann, KL: A History of the Nazi Concentration Camps, Farrar, Straus and Giroux, 2015, ISBN 978-0-374-11825-9.
  • Jens-Christian Wagner, Work and extermination in the concentration camps, in Nikolaus Wachsmann, Jane Caplan (a cura di), Concentration Camps in Nazi Germany: The New Histories, Routledge, 2009, pp. 127–148, ISBN 978-1-135-26322-5.
  • (EN) S. Jonathan Wiesen, West German Industry and the Challenge of the Nazi Past: 1945–1955, University of North Carolina Press, 2004 [2001], ISBN 978-0-8078-5543-0.

Approfondimenti

[modifica | modifica wikitesto]
  • (DE) Hermann Kaienburg (a cura di), Konzentrationslager und deutsche Wirtschaft 1939–1945, Springer-Verlag, 2013 [1996], ISBN 978-3-322-97342-9.
  • Daniel Uziel, Arming the Luftwaffe: The German Aviation Industry in World War II, McFarland, 2011, ISBN 978-0-7864-8879-7.

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]