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Proverbi piemontèis/p

Da Wikisource.
Sapiensa antica dël pòpol piemontèis
Copertin-a

  1. Padron dël vapor = "Padrone del vapore". È riferito più che altro a chi esercita un potere in modo rigido o addirittura tirannico,. Viene dal linguaggio marinaresco, in cui la parola padrone identifica chi è abilitato al comando di mercantili di una certa stazza. Chi è padrone del vapore è investito di autorità e potere, a lui si deve rispetto e ci si sottomette.
  2. Paga Pantalon! = "Paga Pantalone!", dalle maschere della commedia dell'arte, significa: paga sempre il solito mentre gli altri fanno finta di niente!.
  3. Pagagnun = "paga-nessuno": cattivo pagatore, che non onora i debiti.
  4. Paghé con ël man-i dla ramassa = "Pagare con il manico della scopa", bastonate!
  5. Paghé e meuire a-i é sempre temp = "Pagare e morire c'è sempre tempo". Solitamente questo aforisma viene usato in modo bonario da un creditore, quando il debitore gli ricorda la sua obbligazione da soddisfare, prima o poi. Si tratta di una formula di cortesia pronunciata unicamente nei confronti dei buoni clienti, a cui segue una frase del tipo: "Non si preoccupi, lo farà con comodo". Il legame tra il morire e il pagare nasce probabilmente dalla loro comune sgradevolezza. E come tutte le cose sgradevoli l'uomo cerca di ritardarle il più possibile dal loro presente.
  6. Pais dël Bengodi = "Paese del Bengodi", una località immaginaria della fantasia popolare dove regnano l'allegria e l'abbondanza, in cui nessuno ha problemi o preoccupazioni economiche, e tutti possono mangiare e bere a volontà. Il luogo immaginario è simile al quello citato nella canzone " Il Paese della Cuccagna" scritta da Padre Ignazio Isler nel 1734.
  7. Pampalun-a = Babbeo, una persona impalata, dinoccolata ma anche un po' imbranata che si sofferma a guardare la luna, quasi che quest'ultima lo potesse ispirare nel prendere una decisione.
  8. Pan bianch e vin doss = "Pane bianco e vino dolce", una persona bonaria, talvolta sciocca ma che non crea problemi, anzi che evoca la festa casalinga, in cui era consuetudine servire pane bianco e vino dolce.
  9. Pan con j'euj, formagg sensa euj e vin ch'a sàuta a j'euj = Pane con gli occhi, ben lievitato, formaggio senza occhi, compatto, e vino che salti agli occhi, frizzante: tre ingredienti per una merenda appetitosa.
  10. Pan e gran a sta pòch an man, pan ed mistura anvece a dura = "Pane di grano resta poco in mano, pane di mistura invece dura".
  11. Pan e nos, mangé da spos; nos e pan, mangé da can = "Pane e noci, cibo da sposi; noci e pane cibo da cane".
  12. Pan e sudor a l'ha 'n gran' savor = "Pane e sudore ha un gran sapore".
  13. Panada = un buono a niente, una persona incapace. È molto probabile un parallelo con la popolare minestra molliccia e viscida della tradizione piemontese.
  14. Pansa pien-a, giòja men-a = "Pancia piena porta la gioia".
  15. Pansa veuida a veul quaicòs, pansa pien-a a veul arpòs = "Pancia vuota vuole qualcosa, pancia piena vuole riposo".
  16. Pare avar, fieul sgairon = "Padre avaro, figlio sprecone".
  17. Pare Pija a l'é sèmpe a ca, Pare Dà la l'é sèmpe vìa = "Padre Piglia è sempre a casa, Padre Dai è sempre via".
  18. Parent, amis e pieuva: tre dì e peui neuja = "Parenti, amici e pioggia: tre giorni e poi annoiano".
  19. Parla 'l fransèis ëd Biela = "Parla il francese di Biella", approssimativo.
  20. Parla mach quand al gal a fà l'euv = "Parla solo quando il gallo fa l'uovo": stai zitto, è meglio che non parli!
  21. Parla mach quand che le galin-e a pisso = "Parla solo quando pisciano le galline".
  22. Parla pà! = "non parlare!": perbacco, caspita oltre che al possibile significato letterale.
  23. Parland-ne da viv = "Parlandone da vivo", non da morto.
  24. Parlé come un lìber ëstampà = "Parlare come un libro stampato. Si presume che un libro contenga del sapere da trasmettere agli altri, pertanto chi sa tante cose e le espone in maniera chiara e convincente, talvolta viene paragonato alla carta stampata. L'espressione viene però usata anche in senso ironico nei confronti di chi fa sfoggio di erudizione e pedanteria.
  25. Parlé fòra dij dent = "parlare fuori dai denti"", parlare esplicitamente, apertamente.
  26. Parlé fransèis coma 'na vaca spagneula = "Parlare francese come una mucca spagnola": non saperlo affatto parlare!.
  27. Parlé onest a costa pòch e a val motobin = "parlare con onestà costa poco e vale molto".
  28. Parlé un tant al méter = "Parlare un tanto al metro". Chi lavora a cottimo e più metri realizza e più guadagna: parlare a vanvera.
  29. Parlene a bòce fërme = "Parlarne a bocce ferme". Proprio come avviene sui campi da gioco, quando i giocatori si sbilanciano nell'esito del tiro, così nella vita di tutti i giorni, l'invito è quello di aspettare ad esprimere un giudizio sino a quando non si ha la certezza di non poter essere smentiti.
  30. Paròle d'aso a van nen an cél = "Parole d'asino non vanno in cielo", chi cede alla maldicenza.
  31. Parpagnach = Tanghero, una persona dalla corporatura abbastanza importante e dai movimenti goffi e poco eleganti: riprende la voce parpagnaca che indica la pietra dello spessore del muro.
  32. Parpajoné j'euj = "Farfallare gli occhi", sbattere le palpebre.
  33. Passà 'l pericol, tuti a son coragios = "Passato il pericolo, tutti sono coraggiosi".
  34. Passé 'l pont ëd le Bënne = Passare il ponte dei capanni di frasche, morire. Un tempo veniva chiamato pont ëd le bënne il ponte che conduceva al cimitero di Torino: un tempo infatti in quella zona c'erano molti capanni di frasche all'interno di grandi orti.
  35. Passé la lira = "Passare la lira", Un tempo la lira era composta di venti soldi e l'espressione indicava chi, solitamente una donna., pur avendo superato i vent'anni, avanzava pretese tipiche dell'adolescenza.
  36. Passé për bardòt = "Passare per bardotto", comportarsi da "portoghese", proprio perché il bardotto é prodotto dell'accoppiamento tra asino e cavalla.che il conducente usava per sé non pagava lo stallaggio.
  37. Passé për via Cucaje = Passare per "via prendersele", il riferimento è al verbo cucheje = prenderle.al quale è dedicata una immaginaria strada in cui fioccano scapaccioni o bastonate a volontà.
  38. Passiensa mariesse na vòlta, ma doe a l'é pròpi da mat = Pazienza sposarsi una volta, ma due è proprio da matti!
  39. Patate e ris: mnestra dël Paradis = "Patate e riso: minestra del Paradiso".
  40. Paté j'òri = "pareggiare i denari": essere fuori di testa, fare mattane oltre che al possibile significato letterale [nel gioco di carte "scopa" o "scopetta" o "scopone"].
  41. Patelavache = "picchia-mucche": persona grossolana e zotica.
  42. Pecà 'd brajëtta = "Peccato di calzoncino". È palese il tipo di peccato che si sta compiendo: quello carnale, ovviamente, in cui si finisce irrimediabilmente per togliere calzoni e mutande.
  43. Pecà dla serventa = "Fare il peccato della serva". Avere un rapporto sessuale prima del matrimonio, un tempo, era considerato un peccato grave: Una donna rischiava di non trovare più marito, perdendo così la possibilità di avere una dote rispettabile. Gli uomini prima del matrimonio, tutt'al più, potevano frequentare i lupanari o soddisfare le proprie voglie con la servitù. Da qui questo modo di dire che sottintende il rapporto sessuale.
  44. Pel corta = "Pelle corta", "emette ventosità" non appena si china.
  45. Pela cordin = "Pela cordicelle". Nessuno mai si metterebbe a sfilacciare uno spago per poter risparmiare sul consumo. Chi lo fa è taccagno, pistino. Il nomignolo pare sia nato al mercato di Gassino e sia diventato il soprannome dato ai contadini di San Raffaele che erano soliti raccogliere tutte le cordicelle, anche quelle dei venditori provenienti da altre località, con le quali venivano legati i sacchi di iuta.
  46. Pende la saraca = "appendere l'acciuga": fare economia fino all'osso. Per non mangiare solo pane, si appende al soffitto con un filo una acciuga e gli si batte contro con un pezzo di pane, che prende qualche microscopico frammento di acciuga. Finché questa dura non se ne mette un'altra.
  47. Pensé a doman, a veul nen dì sagrinesse ancheuj = "Pensare al domani non vuole dire preoccuparsi oggi".
  48. Pensé a na còsa come 'l soldà al prèt = "Pensare a una cosa come il soldato alla paga"; pensare a tutt'altro; il prèt era l'indennità militare.
  49. Pepia = Donna noiosa, brontolona.
  50. Për amprende a travajé a-i é nen damanca d'andé a scvòla, a basta vorèj = "Per andare a lavorare non è necessario andare a scuola, basta volerlo".
  51. Për andé pes, ch'a vada parèj = "Per andare peggio, che vada così", non è l'ideale così, ma potrebbe andar peggio.
  52. Për anlevé 'n fieul a-i và na carà 'd strass, na carà 'd ciance e na carà 'd pan = "Per allevare un figlio occorrono un carro di stracci, un carro di parole, e un carro di pane".
  53. Për avèjne pro a venta vansene = "Per averne abbastanza bisogna avanzarne".
  54. Për carn d'aso, dent ëd mandrognin = "Per la carne d'asino ci vogliono i denti di un Mandrognino".
  55. Për chi a l'é strach, ògni let a l'é còmod = "Per chi è stanco, ogni letto è comodo"
  56. Per esse compatì a bzogna compatì = "Per essere compatiti bisogna compatire".
  57. Për fé 'n bon matrimòni, a-i và n'òm sord e na fomna bòrgna = "Per fare un buon matrimonio ci vuole un uomo sordo e una donna cieca".
  58. Për fé 'n caval a-i van tre còse: në stalon, na cavala e dla biava = "Per fare un cavallo ci vogliono tre cose: uno stallone, una cavalla e della biada".
  59. Për fé bin ij sò afé, a bzògna spende, nen ësgairé = "Per fare bene i propri affari bisogna spendere, non sciupare".
  60. Për fé guarì 'n cativ dent a venta buteje le radis al sol = "Per far guarire un dente cattivo bisogna mettergli le radici al sole".
  61. Për fé ij tajarin, s'it l'has nen l'euv, fatlo prësté da l'avzin = "Per fare le tagliatelle, se non hai l'uovo, fattelo imprestare dal vicino".
  62. Për fé na bon-a còpia a-i và 'n bon original = "Per fare una buona copia occorre un buon originale".
  63. Për fesse n'amis a basta 'n bicer ëd vin, për guernelo a basta nen un botal = "Per farsi un amico basta un bicchiere di vino, per conservarselo non basta una botte".
  64. Për gavé la sej tuta l'eva a l'é bon-a = "Per togliere la sete tutta l'acqua è buona".
  65. Për gnente gnanca ij can a bogio la coa = "Per niente neppure i cani muovono la coda": come dire che non si può contare sul fatto che qualcuno dia qualcosa senza volere niente in cambio).
  66. Për ij débit ëd cheur, ij sòld a basto nen = "Per i debiti di cuore, i soldi non bastano".
  67. Për ij rispet uman l'infern a l'é pien = "Per il rispetto umano l'inferno è pieno"
  68. Për l'Epifanìa, chi ch'a l'ha nen dijlo ch'a-j lo dija = "Per l'Epifanìa chi non l'ha detto lo dica". L'occasione per dichiararsi sotto le feste.
  69. Për la galin-a che për tre dì at fà nen d'euv, dovra la ramin-a = "Per la gallina che in tre giorni non fa un uovo, adopera la pentola".
  70. Për la stra dël peuj-peuj as riva a ca dël mai-mai = "Per la strada del 'poi-poi', si arriva a casa del mai-mai".
  71. Për le fomne ch'a-j pija le convulsion, un bon rimedi a l'é 'l baston = "Per le donne che vanno in convulsione, una buona medicina è il bastone".
  72. Për mangé fin-a lë stufor, tnive bon ël cont ëd Cavour = "Bisogna tenersi buono il Conte di Cavour persino per mangiare la stuffaruola" (Minestra di fagioli, patate e carne di maiale).
  73. Për meuire a onze a l'é mej meuire a rub = "Per morire a once è meglio morire a rubbi", cioè alla svelta.
  74. Për nen savèj né lese né scrive = "Per non saper né leggere né scrivere", per essere sicuro in ogni caso.
  75. Për San Maté 'l casador a sàuta 'n pé = "Per San Matteo il cacciatore salta in piedi" (21 settembre).
  76. Për San Simon pija 'l baston = (28 ottobre), la raccolta delle noci si faceva con un bastone.
  77. Për savèj la vrità a venta sente doi busiard = Per sapere la verità bisogna ascoltare cosa dicono due bugiardi.
  78. Për savèj vive mej, a venta savèj porté la cros për drit = "Per sapere vivere meglio, bisogna saper portare la croce nel modo giusto", senza lasciarsi abbattere.
  79. Për set o per dissèt = "Per sette o per diciassette". un atteggiamento approssimativo, alla carlona o un'azione che si fa in maniera generica, superficiale. Come chi prepara un pranzo senza sapere se gli invitati saranno sette oppure diciassette.
  80. Për tant che 'l feu a sia stërmà as vëd ël fum = Per quanto il fuoco sia nascosto, si vede dal fumo.
  81. Për tant che 'l feu a sia stërmà, ël fum a seurt = "Per quanto il fumo sia nascosto, il fumo esce".
  82. Për tiré anans a-i é bzogn d'euli 'd ghëmmo = "Per tirare avanti c'è bisogno d'olio di gomito".
  83. Për un frà a deuv nen patine 'l convent = "Per un frate non deve patirne tutto il convento".
  84. Për un soldà as tralassa nen ëd fé la guèra = "Per un soldato non si tralascia di fare la guerra", uno che se ne va non pregiudica l'impresa.
  85. Përchè la salada a sia bon-a a-i va 'n prudent a salela, n'avar për l'asil, un bondos ant l'euli e 'n mat a toirela = "Perché un'insalata venga bene, ci vuole un saggio a salarla, un avaro per l'aceto, un generoso per l'olio, e un matto per girarla".
  86. Perde na bon-a ocasion për sté ciuto = "Perdere una buona occasione per stare zitto", chi fa una figura barbina parlando. Ovviamente, le occasioni che si presentano occorre saperle cogliere, anche perché talvolta capitano una sola volta nella vita. Chi è maldestro deve però stare attento a quello che dice e come lo dice. Talvolta nella foga si finisce per pronunciare frasi inappropriate, perdendo di fatto una buona occasione per stare zitti.
  87. Përdoné a l'é da cristian, ma dësmentié a l'é da bestia = "Perdonare è da cristiano, ma dimenticare è da bestia".
  88. Përdse ant un cuciar d'eva = "Perdersi in un bicchier d'acqua".
  89. Pero, Pero, lassa le còse com a l'ero = "Piero, Piero, lascia le cose com'erano".
  90. Përzon ëd San Crispin = "Prigione di San Crispino". San Crispino, secondo la tradizione agiografica, era un giovane cristiano inviato da Roma nella Gallia Belgica come missionario. Qui diffondeva il Vangelo e per mantenersi esercitava la professione di ciabattino. Semplice dunque stabilire che la prigione in questione altro non sono che le scarpe, ovviamente strette come sono le celle d'una prigione di epoca romana.
  91. Pes che andé 'd neuit! = "Peggio che andare di notte". Il riferimento è ai tempi in cui, data la mancanza di illuminazione per le strade, chi usciva di notte si esponeva a una quantità di effettivi pericoli. In senso metaforico l'esclamazione indica una situazione disastrosa che minaccia ulteriormente di degradare.
  92. Pessa da pé = "Pezza da piedi". Le pezze da piedi erano un tempo dei pezzi di tela fatti a rettangolo che si usavano per avvolgere piedi e caviglie con la funzione delle nostre attuali calze. Usate inizialmente da classi elevate, successivamente si estesero anche al popolo e ai soldati di truppa fino alla prima guerra mondiale. In senso figurato sono le persone di scarsa importanza, che valgono poco, ma viene usato anche per definire chi si mette al servizio di un potente, senza ritegno pur di acquisire un ruolo più importante.
  93. Pest al borich = "Peste all'asino". Questa imprecazione sta per "accidenti all'asino" e veniva pronunciata dal conduttore quando l'animale faceva le bizze e non seguiva la giusta strada. In senso metaforico, può essere utilizzato quando le cose non procedono per la direzione prestabilita.
  94. Pi 'l botal a l'é veuid e pì fòrt a canta = "Più la botte è forte e più forte canta".
  95. Pì a son cit pì a son ampëstà = Più sono piccoli e più sono delle pesti.
  96. Pi as ciaciara e men-o as ama = "Più si chiacchera e meno si ama".
  97. Pì brut che 'n fass ëd meliass mal gropà = "Più brutto che un fascio di granturco mal legato", una persona particolarmente brutta.
  98. Pì ch'it braje fòrt, pì ch'it l'has tòrt = "Più che gridi forte più hai torto".
  99. Pì cul che ànima = "Più culo che anima", persona che ha una fortuna sfacciata che, secondo il suo interlocutore, non merita in quanto se l'è ritrovata all'improvviso senza cercarla.
  100. Pì nen ciamé la resta = "Non chiedere più il resto", na persona infastidita, seccata e che ne ha abbastanza di una situazione, tanto da non richiedere il resto che finirebbe per essere un ulteriore disgusto.
  101. Pì nen podej fé "be" = "Non poter più fare 'beh'", non aver più la possibilità di cantare.
  102. Pì pòch as travaja, pì as ven pigher = "Meno si lavora, più si diventa pigri".
  103. Pi prest che 'n pressa = "Più presto che in fretta". Sbrigati!
  104. Pì sagrin che cavèj an testa = "Più dispiaceri che capelli in testa". Chi ha più fastidi che capelli è sicuramente messo parecchio male ed ha tante preoccupazioni che lo crucciano nel quotidiano.
  105. Pì sù che Vigio 'n cròta = "Più allegro che Luigino in cantina".
  106. Pì tirà che la còrda d'un violin = "Più tirato che la corda di un violino", la persona taccagna, parsimoniosa all'eccesso che tiene i cordoni della borsa ben tirati, ancor più di quelli delle corde del violino.
  107. Pì un a toira e pì a spussa = "Più uno rimescola e più puzza", il rimestare, frugare e approfondire certe situazioni può portare alla luce brutture tali da farci rivoltare lo stomaco. Quindi, "non conviene andare a fondo", o anche "lascia perdere, non approfondire", o ancora, " è una cosa sporca".
  108. Pì veuja 'd mòrde che 'd tiré 'n càuss = "Più voglia di mordere che ti tirare un calcio".
  109. Pianté 'd gate = litigare.
  110. Pianté 'd rabadan = "Piantare del baccano". Il termine rabadan risale al termine della Crociate. Nelle terre arabe i soldati cristiani entrarono in contatto con le usanze musulmane, a partire dal Ramadan, dal 3 febbraio al 4 marzo, periodo di penitenza e digiuno dall'alba al tramonto, anche se la notte i seguaci di Maometto si abbandonano a feste e schiamazzi.
  111. Pianté la gran-a dla mosca = "Piantare la grana della mosca" (falsai pretesti per non pagare il conto).
  112. Pianté la vigna = sfruttare a proprio vantaggio qualcuno.
  113. Pianté n'Orémos = Piantare un "Oremus". L'Oremus, che in latino sta per «preghiamo» è l'invito che nella Santa Messa e negli altri riti cattolici in latino il vescovo o il sacerdote rivolge ai fedeli ogni volta che sta per innalzare a Dio una preghiera a nome dei presenti. Dopo questa parola il sacerdote e i fedeli si raccolgono per una preghiera silenziosa individuale, quindi il sacerdote proclama l'orazione, al termine della quale tutti rispondono amen. In questa espressione tipicamente piemontese il fatto di "urlarlo" e non pronunciano semplicemente corrisponde a un rimprovero, una ramanzina.
  114. Pianté na beda! = Piantare una "beda". Beda è l'ultimo colpo dato dal giocatore di trottola alla moneta che vuole mandare avanti: più forte è il colpo e più sono le possibilità che la moneta si muova velocemente. In senso letterale significa, dunque, "sbattere fortemente contro qualcosa".
  115. Pianté na cagnara = "fare una cagnara", fare baccano, confusione.
  116. Pianté na cernaja = Come nella gran confusione che c'era nella battaglia della Cernaia del 1855.
  117. Pianté un ciò = "Piantare un chiodo". Un tempo si usava abitualmente affiggere nella "bolletta" il nome dei falliti e di chi aveva contratto debiti pubblici. Ancor oggi alcuni esercenti tengono infilati o appesi a un chiodo scontrini e ricevute che riportano i crediti da riscuotere. Dunque, in senso figurato l'espressione sta per "contrarre un debito e non onorarlo per lungo tempo, o "contrarre un debito che si dubita non verrà mai saldato".
  118. Piantla-lì = "Piantala lì". È l'espressione usata quando si chiede a qualcuno di farla finita, soprattutto ad un bambino capriccioso che continua a piagnucolare. Sta dunque per "smettila" attraverso una curiosa metafora che tira in ballo ancora una volta la vita di campagna e nello specifico chi sta piantando un albero, come a dire: "mettilo lì e non se ne parli più".
  119. Piasì da na part e ij dné da l'àutra = "Piaceri da una parte e i denari dall'altra". Il piacere è una cosa e il lavoro un'altra.
  120. Piata come un doi sòld = "Piatta come un due soldi". La moneta da due soldi era sottile rispetto a quella da cinque o da dieci, proprio come una donna con poco seno a cui si rifà questo detto nato in un periodo in cui anche una sola lira aveva un certo valore.
  121. Piàtola = Zecca. Proprio come le zecche che si attaccano alla pelle degli animali per succhiare il sangue, cosi in senso metaforico ecco definite le persone attaccaticce, rompiscatole, difficilmente scaricabili.
  122. Picinin pissà 'nt le braje, soa mamin-a a l'ha lavaje, l'ha lavaje volenté, picinin (a l'ha) tornà a pissé = "Piccolino ha fatto la pipì nei pantaloni,.la sua mammina li ha lavati, li ha lavati volentieri, piccolino li ha di nuovo bagnati".
  123. Picio 'd nata = (insulto)
  124. Piemontèis fàuss e cortèis, italian fàuss e vilan = "Piemontesi falsi e cortesi, italiani falsi e villani", questo il proverbio completo, falsità sì, ma con garbo?
  125. Pien come un babi = "Pieno come un rospo". Il rospo inarca la schiena e si gonfia d'aria per apparire più grande e minaccioso. La sua pancia sembra quella di chi è sazio: da qui questa espressione riferita a chi ha mangiato tanto.
  126. Pien ëd lassmesté = Pieno di "lasciamistare"- Alla forma imperativa del "lasciami stare" si aggiunge l'immagine di una persona secondo cui queste "lamentazioni" sono viste come cose concrete, reali e cui spettano pertanto l'onere di tanti fastidi e afflizione del mondo. Il risultato ci pone di fronte un povero disgraziato dolorante, mogio, malinconico che non chiede altro che di essere lasciato in santa pace.
  127. Pien ëd supa = "Pieno di zuppa". persona superba, in pratica con la pancia piena. È evidente il riferimento alla condizione di tranquillità che un tempo rappresentava il fatto di aver sconfitto la fame.
  128. Pieuve a verse = Piovere a dirotto.
  129. Pieuve pere da mulin = "piovere macine da mulino": piovere abbondantemente.
  130. Pija 'n cichèt d'arsenich = "Prenditi un bicchierino di arsenico"!
  131. Pijé 'd gandole = "Prendere delle vertigini". Di solito chi è colto da vertigine rischia di percepire le cose in maniera annebbiata in quanto essa rappresenta una distorsione della percezione sensoriale dell'individuo. Questa distorsione influisce sul movimento della persona dandogli un'errata percezione dello stesso, caratterizzato da perdita di equilibrio. In senso metaforico significa: prendere un abbaglio.
  132. Pijé 'd salameuja për dëstissé la sèj = "Prendere della salamoia per spegnere la sete". La salamoia nel linguaggio comune viene definita per designare una soluzione di cloruro di sodio in acqua ad una concentrazione superiore a quella dell'acqua di mare. Dunque molto, molto salata. Utilizzarla per spegnere la sete è un controsenso, quindi significa comportarsi in modo insensato.
  133. Pijé 'l cul a doe man = "Prendere il sedere a due mani". Chi per necessità si mette a correre precipitosamente, probabilmente perché deve sfuggire a una situazione o a qualcuno. Il fatto di prendersi il sedere tra le mani dà l'idea di maggior propulsione, quasi le mani potessero aiutare gli arti inferiori a muoversi più velocemente.
  134. Pijé 'l plot = "Prendere il cappello". Di solito quando si prende il cappello è per andarsene. È quindi questo il significato del detto: andar via, fare fagotto.
  135. Pijé 'n pachèt da na part e portelo da l'àutra = "Prendere un pacchetto da una parte e portarlo dall'altra", spettegolare.
  136. Pijé an castagna = prendere con le mani nel sacco, cogliere sul fatto.
  137. Pijé con le mòle = "Prendere con le molle". L'origine di questo detto è antica e risale a quando in Piemonte operavano i boia. Il capo del Comune lo remunerava e lo faceva gettando dall'alto alcune monete con le mani chiuse. Ma non era il boia a raccattarle, bensì l'usciere del patibolo che le raccoglieva con le molle del fuoco e le passava al carnefice. Di qui il detto riferito a una persona o una situazione nei confronti delle quali tenere un atteggiamento prudente e di cautela.
  138. Pijé j'avèrtole = intraducibile, scappare, fuggire.
  139. Pijé l'ancioa = Essere l'ultimo.
  140. Pijé la doja dl'euli = "Prendere la brocca dell'olio". Quando si vuole ammorbidire qualcosa, soprattutto se è secca si usa l'olio. Così, in senso metaforico, prendere la brocca dell'olio significa prepararsi ad oliare gli ingranaggi, agendo ovviamente con la massima circospezione.
  141. Pijé la levr con ël chèr = "Prendere la lepre con il carro", la pretesa di una persona pigra.
  142. Pijé la man = prendere la mano, abituarsi.
  143. Pijé la sbroëtta = Prendere la rincorsa. L'espressione significa arretrare di poco per darsi lo slancio e superare di fatto gli ostacoli: concentrarsi per conquistare con tutte le energie una posizione, un lavoro, un traguardo ambito.
  144. Pijé la sumia = "Prendere la scimmia". Le movenze di un ubriaco sono goffe, incontrollate, proprio come la gente s'immagina siano quelle delle scimmie, tanto che l'espressione sumia è diventata anche sinonimo di sbronza.
  145. Pijé le gambe an spala = "Prendere la gambe in spalla". Chi deve affrontare un lungo cammino e pertanto deve avviarsi procedendo di buon passo. Oppure deve fuggire precipitosamente.
  146. Pijé mesdì për na passà = "Prendere mezzogiorno per un trapasso", Le campane a mezzogiorno suonavano per indicare a chi lavorava nei campi che era giunta l'ora del pasto: chi le scambiava con quelle suonate a morto ovviamente non si affrettava e finiva per tardare a pranzo. La locuzione viene usata normalmente in tono scherzoso, soprattutto dalle massaie nei confronti dei loro uomini quando tardano nel rientrare a mezzogiorno.
  147. Pijé n'ansucrà = "Prendere un 'inzuccherata", il contagio venereo. Il collegamento allo zucchero dovrebbe avere una doppia valenza: il fatto che la malattia sia stata contratta in un momento piacevole, zuccheroso, ma anche il fatto di restare imprigionato in brutto guaio quasi come chi è finito a mollo in una soluzione zuccherina, molto densa e difficile da ripulire.
  148. Pijé na camisada = "Prendere una camiciata". Quando si suda tanto, vuoi per troppo caldo o per il lavoro, la camicia finisce per inzupparsi di sudore. Di qui questa espressione che sta per "fare una sudata".
  149. Pijé na pioca = colpo del dito scalzo del piede contro un sasso.
  150. Pijé na piomba = Ubriacarsi, avere così la testa più pesante del piombo.
  151. Pijé në sbaruv = "Prendere uno spavento", quando qualcuno si spaventa per un accadimento imprevisto, capitato all'improvviso tra capo e collo, ma che di solito non ha conseguenze catastrofiche come si potrebbe ipotizzare.
  152. Pijé San Pé për un Alman = "Prendere San Pietro per un tedesco". Difficile poter confondere San Pietro, uno degli apostoli di Gesù e originario della Galilea con un antico tedesco. In senso figurato significa, dunque, prendere una svista.
  153. Pijé un bàilo = prendere una cantonata.
  154. Pijé un cichèt = "Prendere un bicchierino". Quando faceva molto freddo e i posti per scaldarsi erano pochi, la gente passava in osteria e prendeva il solito bicchierino di liquore, quasi sempre grappa: l'impatto con l'alcol dava una scossa per riprendere il cammino o il lavoro all'addiaccio. Una scossa di tutt'altro genere la riceve, invece, chi subisce una bella sgridata. In senso figurato il significato è proprio quello di "prendere un rimprovero".
  155. Pijé un lembo = "Prendere una culata", cadere rovinosamente.
  156. Pijess-la con ël temp, pissé contra vent, rusé con ël padron, a son tre ròbe da cojon = "Prendersela con il tempo, far pipì contro vento e litigare con il padrone, sono tre cose da coglione".
  157. Pijesse 'd mal ëd pansa = "Prendersi dei mal di pancia", accollarsi dei problemi.
  158. Pijesse 'd mal ëd pansa = "Prendersi del mal di pancia". Il mal di pancia è soltanto un malanno virtuale che esprime un impegno poco gradito che si è dovuto assumere per dovere e non sicuramente per piacere. D'altro canto i dolori addominali sono difficili da far passare proprio come una situazione gravosa, difficile da sopportare.
  159. Pijésse (ciapésse) un passaròt = "prendersi un passero": buscarsi un raffreddore.
  160. Pijesse l'arvangia = "Prendersi la rivincita". Arvangia riprende il francese revanche che indica anche quel programma, movimento e più in generale atteggiamento nazionalistico ispirato all'idea di rivincita, inteso cioè al recupero, eventualmente con una nuova guerra, del territorio e del prestigio perduti in seguito alla sconfitta in una guerra precedente. Il termine assunse particolare valore in Francia dopo la sconfitta del 1870, a opera dei tedeschi, e la perdita di Alsazia e Lorena.
  161. Pijessla càuda = "Prendersela calda". Càud in piemontese sta anche per entusiasta, desideroso di fare qualcosa, pertanto questa espressione sta per "impegnarsi, affannarsi".
  162. Pijla gòba, pijla balanca, ma nen ëd Vigon nì 'd Vilafranca = "Prendila gobba, prendila sbilenca, ma non di Vigone o di Villafranca", la moglie.
  163. Pijom-se quaicòsa da bèive al torèt = "prendiamo qualcosa da bere al torèt" (fontana d'acqua torinese).
  164. Pijte varda! = "Prendersi guarda!", qui pijé viene usato con il significato di adottare più che di prendere. In sintonia è anche Pijesse varda con il significato di "stare attento".
  165. Pilole 'd cassin-a e decòt ëd cantin-a = "Pillole di cascina e decotto di cantina", il vino migliore medicina?
  166. Pioré come na vis potà = "Piangere come una vite potata", "piangere a dirotto, sofferenti per un dolore fisico o per un cruccio. L'espressione mette in relazione il dolore dell'uomo e quello delle piante. E lo fa riferendosi alla potatura primaverile delle viti dalle quali fuoriesce una goccia di linfa. Pare quasi che la vite pianga per il dolore del taglio.
  167. Pipa balorda = "Faccia balorda",sia l'uomo furbo e scaltro, sia in modo gergale la faccia.
  168. Pissa pì curt! = "Piscia più corto!". "non esagerare" o "non darti troppe arie" colui che la sta dicendo davvero grossa. Il detto nasce dalla tradizione popolare e dalle gare che si facevano in gioventù a chi pisciava più lontano. Detto di un uomo che urina all'aperto in piedi facendo uno zampillo molto lungo...).
  169. Pissé come na grondan-a = "Pisciare come una grondaia", quando si va in bagno dopo parecchie ore di astinenza o se si è bevuto più del solito. Si finisce per mingere in maniera abbondante tanto da far assomigliare la funzione corporea ad una grondaia durante un'abbondante piovuta.
  170. Pissé sensa tiré 'n pet a l'é come soné 'l violin sensa l'archet = urinare senza scoreggiare è come suonare un violino senza l'archetto. In certe cose una cosa l'implica l'altra, anche sgradevoli)
  171. Pissòira = Bimbetta. Un tempo non esistevano i pannolini e la pipì finiva nelle fasce con cui erano stretti i neonati. È probabilmente per questo motivo che le bimbe sono diventate pissòire e i maschietti pissoiron. In termine un po' spregiativo viene utilizzato anche per indicare la donna che non gode di troppa stima.
  172. Pistapàuta = "Pesta-fango". Così gli Alpini definivano i soldati di fanteria, impegnati a combattere in pianura in mezzo al fango, con i loro anfibi quindi sempre sporchi.
  173. Pisté l'aqua 'nt ël morté = "Pestare l'acqua nel mortaio", fare una cosa assolutamente inconcludente; perdere tempo in iniziative assurde, soprattutto ammonire qualcuno inutilmente.
  174. Pitòch = "Pitocco". Si rifà al verbo pitoché = mendicare.che a sua volta riprende il verbo pitocar che indica il movimento ripetitivo del becco dei polli nel raccogliere briciole, vermi, rimasugli di frumento: la figura di taccagni, mendicanti, pezzenti.
  175. Pitor da ansëgne = "Pittore da insegne". Un tempo chi si occupava di dipingere le insegne era considerato un pittore scarso, di poco valore.
  176. Pitòst ch'a vansa ch'as s-ciòpa la pansa = Piuttosto che avanzare qualcosa nel piatto è disposto a farsi scoppiare la pancia.
  177. Pitòst che travajé la tèra për mòl, statne a ca a fé 'l fòl = "Piuttosto che lavorare la terra molle, resta a casa a non far nulla". Lavorare nel fango è una fatica inutile.
  178. Pitòst cher deje la marastra ai vòstri fieuj, feve frà = "Piuttosto che dare una matrigna ai vostri figli, fatevi frati".
  179. Plà com un gënoi = "pelato come un ginocchio": senza un capello in testa.
  180. Plé na pules për vend-ne la pél = "pelare una pulce per venderne la pelle": approfittare di ogni inezia per averne un vantaggio, essere "pidocchioso" all'inverosimile).
  181. Plé na pùles për vende la pel = "Pelare una pulce per vendere la pelle", una avarizia estrema, proprio perché è impensabile poter pensare di scuoiare una pulce per trarne profitto.
  182. Pòch ma bon e 'n piat pien = "Poco, ma buono, e un piatto pieno".
  183. Podèj balé an sla raminà = "Poter ballare sulle acque dello stagno". La ramina è quel leggero strato di materia verdastra che si forma negli stagni. Si tratta di materia piuttosto compatta e che da l'idea di poterci camminare quasi sopra. Anche se così non è. Chi ambisce a tanto deve possedere un'agilità fuori dal comune.
  184. Podèj ciapé le mosche con ël nas tacà a la muraja sensa sgnacheslo = "Poter prendere le mosche con il naso attaccato al muro senza schiacciarselo".
  185. Podèjne pì = Non poterne più., quando si è sfiniti, anche moralmente.o non si hanno più forze per continuare. In pratica si è svuotati di ogni energia.
  186. Polenta e làit bujì, quatr sàut e a l'é digerì = "Polenta e latte bollito: quattro salti ed è digerito".
  187. Polid come 'l baston dël gioch = "Pulito come il bastone del pollaio". L'asta sulla quale le galline trascorrono la notte è perennemente sporca di escrementi. proprio come la sporcizia che si deposita addosso a talune persone che poco apprezzano i benefici di acqua e sapone.
  188. Polid come në specc = "Pulito come uno specchio". Oltre al significato palese che contraddistingue persona linda e ben vestita, proprio come uno specchio appena lucidato, può essere anche riferito a chi è finito in bolletta ed è rimasto dunque senza soldi.
  189. Pompa, Ghindo! = Dai, dai! Forza!
  190. Ponta àut s'it veule ambroché giust = "Punta alto se vuoi riuscire".
  191. Pontajé la ca = "Puntellare la casa", un tempo: la nascita di un figlio maschio.
  192. Pontù come na bòcia = "Appuntito come una boccia", ironia.
  193. Pòpol religios, rè fortunà = "Popolo religioso, re fortunato".
  194. Pòr Cristo = Povero Cristo. L'espressione si usa per indicare una persona che suscita compassione, pietà o simili, come Cristo mentre saliva al Calvario. Usato anche per chi versa in cattiva situazione economica. Spesso spregiativo.
  195. Pòrta-mantel ëd mie speranse = "Attaccapanni delle mie speranze", la persona più cara che si ha, tanto cara da essere considerato il portamantello delle proprie speranze. Insomma, un tesoro, un amore, l'unico rifugio.
  196. Porté 'd pan che 'd carn a-i na j'é = "Portate della carne che di carne ce n'è", un tipo corpulento.
  197. Porté 'l Bambin = Fare i regali di Natale.
  198. Porté 'l pompon = "Portare il pom pom". Nell'Ottocento sinonimo di eleganza era il pompon portato sul cappello delle signore. Per esibirlo adeguatamente le donne usavano un incedere rigido con il collo dritto, che suggeriva sensazioni di superiorità. Ancor oggi, in senso metaforico chi porta il pompon è il primo della classe, il più bravo, un leader.
  199. Porté la candèila = "Portare la candela". Un tempo, quando non c'era la corrente elettrica, di notte ci si illuminava con candele e torce. I grandi signori, per i loro amoreggiamenti furtivi e notturni si facevano tenere il lume dal servo più fidato durante le loro uscite, per evitare di inciampare lungo i viottoli e nel valicare muri di cinta. Ogni signorotto aveva il proprio servo a fargli luce, cioè a reggere una candela, mentre aspettava e diventava il terzo incomodo fra i due innamorati. In senso figurato l'espressione indica chi favorisce l'azione di qualcuno soltanto con la propria presenza, mentre riferito a un incontro amoroso può anche voler dire "essere di disturbo".
  200. Porté le braje = "Portare i calzoni": i calzoni venivano indossati soltanto dai maschi, considerati capi-famiglia ed erano il simbolo dell'autorità. Dunque in senso figurato significa comandare, essere la persona che detiene il potere, soprattutto nell'ambito della famiglia. Viene utilizzato anche per indicare una donna piuttosto autoritaria e che domina in famiglia.
  201. Porté le busche = "portare le pagliuzze": preparare la futura casa per il matrimonio, andare verso il matrimonio. Ovvia derivazione dall'azione degli uccelli che preparano il nido.
  202. Porté via ij tòch = "Portare via i pezzi". A volte possono di più le parole che i coltelli affilati: dunque avere una lingua tagliente può portarci via dei pezzi: se non di carne, di memoria e di buoni sentimenti.
  203. Posé 'l sach = "Posare il sacco", partorire.
  204. Possa via! = "Spingiti via!", quando un animale sì avvicina troppo a noi e vogliamo intimargli di allontanarsi.
  205. Possacafè = "Spingi-caffè". È l'equivalente italiano di amazzacaffè, dunque il digestivo o il liquore che si ordina a tavola a conclusione del pasto.
  206. Povrom travajà: it ses nà ant ël fen, e 't meuireras an sla paja = "Pover uomo: sei nato sul fieno e morirai sulla paglia".
  207. Prediché ai givo / a le muraje, al vent, al desert = predicare al vento, sprecare le proprie parole.
  208. Prediché an tute le manere = insistere, dire e ripetere un insegnamento.
  209. Pregoma Sant'Andreja: a l'ha gavane le fòrse, ch'an gava 'dcò l'idèja = "Preghiamo Sant'Andrea, ci ha tolto le forze, ci tolga anche l'idea"!
  210. Prest a let e prest fòra dal let a fan l'òm san e përfèt! = "Presto a letto e presto fuori dal letto fanno l'uomo sano e perfetto".
  211. Presté la pansa = "Prestare la pancia", lo scroccone sempre pronto a mangiare a sbafo ogni qualvolta si organizza un banchetto, senza contribuire all'allestimento.
  212. Prima 'd mariesse, a venta vardesse bin ant lë specc e motobin ant la borsa = "Prima di sposarsi bisogna guardarsi bene allo specchio e molto bene nella borsa".
  213. Principëssa dla seren-a = "Principessa della guazza notturna". Chi fa la vita, trascorre gran parte delle ore della notte per strada, esposta alla guazza notturna, vestita con abiti vistosi: di qui l'espressione che fa della prostituta una regina della notte e dell'umido che riservano le prima ore del mattino.
  214. Promèt sèmper bin, dà sèmper ëd bon-e paròle e peui sìa lòn ch'a veul = "Prometti sempre bene, dà sempre buone parole e poi sia quel che sia".
  215. Prudensa a decide, energìa a fé = "Prudenza a decidere, energia a fare".