Piero Violante ( Bagheria, 1945), storico delle idee e giornalista. Già Direttore del Dipartimento "Gaetano Mosca" dell'Università di Palermo dove ha insegnato Storia delle dottrine politiche,Sociologia della cultura e Sociologia della musica; addetto culturale presso l'Istituto italiano di cultura di New York e di Wien; vicepresidente dell' Ente Autonomo Orchestra Sinfonica Siciliana; consigliere del Teatro Biondo Teatro Stabile di Palermo; consulente editoriale della Fondazione Teatro Massimo di Palermo e successivamente consigliere ; critico musicale del Giornale di Sicilia, e succesivamente de L'Ora, ha collaborato con Stampa Sera, L'Europeo, Il Sole-24Ore; vicedirettore del settimanale Cronache fondato insieme ad Angelo Arisco. E' critico musicale de "la Repubblica", e direttore della rivista di storia delle idee on line www.intrasformazione.com.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2019
. Ciò che propongo è un azzardo: l'intessitura di una trama che disegna l'accosta... more . Ciò che propongo è un azzardo: l'intessitura di una trama che disegna l'accostamento di due testi: l'uno letterario: Amerika di Kafka ; e l'altro memorialistico-scientifico: Esperienze scientifiche in America di Theodor Wiesengrund Adorno.. Un azzardo ancor più pericoloso perché nasce da un lapsus di Kafka-passato per anni inosservato - che non solo orienta il senso di Amerika, ma ha conseguenze sul lettore Adorno che, come Karl Rossmann, viene allontanato dalla casa paterna. Kafka lavora al romanzo nel 1912. In una lettera del novembre dello stesso anno scrive a Max Brod che tutto il romanzo è incerto ma che ha concluso il sesto capitolo. L' anno successivo, in aprile, scrive al suo editore Wolff proponendogli la pubblicazione del primo capitolo Il fochista: "non so se possa essere pubblicato a sé; veramente non si notano le 500 pagine successive e del tutto fallite, ma in ogni caso non è abbastanza conchiuso; è un frammento e tale rimarrà; questo avvenire conferisce al capitolo la massima conclusione". Il fochista è pubblicato nel maggio del 1913 ed ha come tavola fuori testo una "fotografia preistorica" Nel porto di New York (una incisione del 1838). Per Adorno quella fotografia starebbe al porto di New York come il romanzo in sé avrebbe a che fare con l'America. Come si sa, nel diario, Kafka si riferisce al romanzo americano con un altro titolo Der Verschollene (Lo sperduto) che Adorno preferisce: " Il romanzo ha luogo in un'America mossa, la medesima e tuttavia non la stessa di quella in cui dopo la lunga, triste traversata l'occhio dell'emigrante cerca riposo. Ma a ciò non si addiceva niente di meglio dello Sperduto, luogo vuoto di un nome non rinvenibile. Questo participio perfetto passivo ha perduto il suo verbo, così come è andata smarrita alla memoria della famiglia la persona che è emigrata lì, e che è morta e sepolta. L'espressione della parola sperduto, molto oltre il suo significato, è quella del romanzo stesso." L'anacronismo dell'illustrazione non voluta da Kafka diventava così un tassello della sua interpretazione. In questa predilezione per il titolo caduto nella pubblicazione postuma del '27 si consuma il mutamento prospettico di una lettura che è più attenta alla sorte drammatica di un soggetto che si perde anziché allo scenario in cui si perde e di cui mette in dubbio la corrispondenza ad un modello reale, mentre fa giustizia di una lettura ottimistica che vede in Rossmann un soggetto alfine ritrovato più che perduto.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 4, 2020
Wagner muore a Venezia, a Palazzo Vendramin, il 13 febbraio 1883, alle ore 15 e 30, per un attacc... more Wagner muore a Venezia, a Palazzo Vendramin, il 13 febbraio 1883, alle ore 15 e 30, per un attacco di cuore. Aveva poco più di settanta anni. Al diffondersi della luttuosa notizia, Palermo-in nome della permanenza di ben cinque mesi del Maestro e famiglia in città (5 novembre 1881-20 marzo 1882), della gestazione e scrittura del III atto del Parsifal e soprattutto delle relazioni che Wagner aveva intrecciato con la society palermitana-si scoprì wagneriana. E quel soggiorno si è trasformato in un'epopea di wagnerismo panormita. Il Maestro rimane conquistato dal clima: "qui c'è soltanto primavera ed estate". A differenza di Goethe, che non si curò dei monumenti cittadini proteso com'era verso la valle dei Templi, Wagner si entusiasmò per la Cattedrale dove riposa il suo Federico II, e soprattutto per i mosaici di Monreale. Da una lettera di Cosima apprendiamo il programma quotidiano: "la mattina si lavora, a mezzogiorno si passeggia, all'una si desina, alle tre si ripasseggia, alle cinque si lavora, alle sette si pranza e dopo si va al letto". Un programma ferreo che Wagner mantiene almeno sino a quando non finirà di scrivere il Parsifal e fino a quando non verrà del tutto irretito dall'ospitale e aristocratica mondanità cittadina. Wagner completò l'opera il 13 gennaio 1882. Se ne vanta il Grand Hôtel et des Palmes che esibisce lapide e busto bronzeo. Se ne vantano i palermitani che sul soggiorno, sui fatti, hanno ricamato e tramandato una vasta e controversa aneddotica. Wagner che nei momenti di ispirazione si faceva lanciare addosso da Cosima dei veli. Nella vulgata Cosima addirittura pare che strofinasse veli profumati sulla testa e sul corpo di Wagner. Wagner che si fa corteggiare dall'aristocrazia palermitana: i Tasca, che lo introducono, i Lanza, i Gangi, i Mazzarino, e ne rimedia la Villa Porrazzi dei Gangi, dopo aver declinato l'offerta della prestigiosa villa di Camastra dei Tasca. Wagner che, pur grato dell'ospitalità, si lamenta perché la villa è umida e Siegfried si è raffreddato. Wagner che cede alle insistenze dei suoi ospiti che si dichiarano ammiratori della sua "musica dell'avvenire" e infligge loro un'improvvisazione pianistica. All'entusiasmo sonnacchioso degli astanti, convinto che non abbiano capito niente, come loro dice, sadicamente ripete la performance e si toglie così ogni possibilità di richiesta futura. Wagner che dedica alla Gräfin D'Almerita Tasca il Tempo di Porrazzi, datato 20 marzo, e lascia in ricordo la bacchetta con la quale ha diretto il piccolo concerto di congedo. Di recente Sciarrino ne ha diretto a Palermo una sua chiaroveggente trascrizione. Ma tra i fatti ve n'è almeno un altro incontrovertibile e cioè il famoso ritratto che Renoir, inviato a Palermo, riesce a fare al Maestro, sollevato per aver completato il giorno prima il Parsifal. Una lettera di Renoir ci dice dell'incontro e della seduta di posa il giorno dopo. Un'ora dalle 12 alle 13: "Wagner è stato molto allegro, ma nervosissimo e rimpiangevo di non essere Ingres. Per farla breve, ho sfruttato bene il mio tempo, credo 35 minuti, non sono molti, ma se mi fossi fermato prima, il ritratto veniva bellissimo perché il mio modello alla fine perdeva un po' di allegria e diventava rigido. Ho seguito troppo i cambiamenti …. Alla fine Wagner ha chiesto di vedere ed ha detto: "Ah! Ah! Assomiglio ad un pastore protestante", il che è vero. Insomma ero molto felice di non avere fatto troppo fiasco: esiste un piccolo ricordo di quella testa stupenda." Così Renoir che del volto di Wagner ci vuole restituire ammaliato la fluidità dell'allegria. Alla notizia della morte del musicista i panormiti in un retorico sussulto formarono un comitato
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2016
Il libro La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli anni Settanta e Ottanta, a c... more Il libro La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli anni Settanta e Ottanta, a cura di Giuseppe Vacca, (Carrocci, 2015), si chiede perché il marxismo in Italia sia andato in crisi, si sia dissolto. I saggi, puntuali, mostrano la liquefazione marxista per un cambio di paradigma. Dal trenino dell'autonomia, nei primi anni Settanta, si passò al trenino dell'autenticità. Dalla linea Kant-Hegel-Marx-Bentam-Mill-Smart a cui si aggiunsero i vagoncini Habermas e Rawls (il paradigma americano), si passò alla linea Rousseau-Kierkegaard-Nietzsche-Heidegger-Adorno&Horkheimer-Foucault. Dal principio della coerenza, della coincidenza tra condotta e principio morale (il prof. Unrat dell'Angelo Azzurro) al principio della soddisfazione di sé che diviene plurale. Avanza questa secondo trenino via via che sminuisce la certezza nella vettorialità del tempo, che sminuisce la certezza del progresso. Lo aveva detto Rousseau, lo aveva indicato Diderot, lo riprende magistralmente Foucault. Nel Nipote di Rameau si afferma l'io debole che si adatta per trasformarsi. È di Marshall Berman il libro chiave dell'epoca del secondo trenino, The Politics of Authenticity, pubblicato già nel 1970.
Per valutare il milieu culturale in cui si forma Mosca, nel volume a lui dedicato, Ettore A. Albe... more Per valutare il milieu culturale in cui si forma Mosca, nel volume a lui dedicato, Ettore A. Albertoni adotta il giudizio di Giovanni Genti le, espresso nel famoso pamphlet II tramonto della cultura siciliana, scritto nel 1917, laddove il filosofo di Castelvetrano critica la cultura isolana riducendola al regionalismo e a un'assenza di contatti con il re sto dell'Europa, consegnandoci una metafora gravida di conseguenze: «l'isola e sempre stata sequestrata a causa del mare e della scarsezza dei commerci, da ogni relazione col resto del mondo»'. Gli anni di ap prendistato, i Lehrjahre, di Mosca sarebbero dominati da un'assenza: sequestrati anch'essi? Il saggio di Albertoni e del 1978, ma gia nell'importante primo se minario internazionale su Gaetano Mosca, svoltosi a Palermo nel no vembre del 1980, sul tema La dottrina della classe politica ed i suoi svi luppi internazionali, lo storico Massimo Ganci, nel corso di un inter vento dedicato a Mosca e ai suoi rapporti con Napoleone Colajanni, sottolineo come fosse piu che mai necessario sgombrare il campo dall'equivoco creato dal saggio di Gentile. Una tesi inesatta, cancellata, dice con orgoglio Ganci, dalla storiografia siciliana, dai Romeo, Giar rizzo, Renda, Brancato, Giuseppe Carlo Marino e naturalmente dallo stesso Ganci.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2020
"Giuseppe Basile mi ricevette a conclusione della sua movimentata giornata di lavoro. Er... more "Giuseppe Basile mi ricevette a conclusione della sua movimentata giornata di lavoro. Era sporco, sulle guance e sulle mani, perché allora il giornale si stampava col piombo. E per quanto macchiato fosse e molto stanco mi trattò con gentilezza, mi accolse in una grande stanza ormai deserta, dove stavano abbandonati tanti tavoli rettangolari. Tutto comunque sembrava annegare nella carta. Quanti anni aveva quell'uomo magro, dalle pupille sporgenti, dal colorito verdastro, dai dentoni prominenti? Cinquantacinque? Più o meno. Senza dubbio era un buon uomo, lo sarebbe sempre stato. "Si segga", disse e intanto arrotolava carta e la gettava a terra. E la carta che lui gettava finiva nel gran mare di carte che copriva il pavimento. Pensai che doveva essere bello arrotolare la carta, appallottolarla e gettarla nel mare di carte ed essere in una stanza che sembrava navigare sulla carta ."
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2018
L'11 giugno 1967 la Sicilia andò alle urne per rinnovare l'Assemblea regionale. F... more L'11 giugno 1967 la Sicilia andò alle urne per rinnovare l'Assemblea regionale. Fu una campagna elettorale intensa aperta nel giorno del ventennale dell'Assemblea (ma ventunesimo dello Statuto). Scesero in campo subito i big della Dc. Mariano Rumor, segretario nazionale, aprì a Catania per sottolineare lo stallo dell'autonomia addebitandolo per intero alla classe politica locale ma sostenendo che non si poteva rinunciare all'autonomia giusto nel momento in cui lo Stato si regionalizzava (accadrà nel 70). A Palermo Aldo Moro, presidente del consiglio, partecipò alla celebrazione che includeva una mostra di Filippo Paladini (1544-1614), a Palazzo dei Normanni, illustrata da Cesare Brandi, e la distribuzione di medaglie d'oro ai membri della Consulta che aveva approvato lo Statuto. Ai componenti la commissione che avevano di fatto stilato lo Statuto non si pensò. In un comizio Moro polemizzò, ma senza nominarli contro i socialisti, rei di aver sospettato il Quirinale sull'affaire SIFAR. Pietro Nenni, durante la trattativa per la formazione del governo Moro, aveva sentito rumor di sciabolette e alla Camilluccia aveva accettato il compromesso democristiano. Ma al discorso di Palermo, Nenni reagì bruscamente costringendo Palazzo Chigi a rettificare asserendo che il riferimento mai esplicito riguardava i comunisti. Una campagna accesa che si concluse in un clima arroventato per via della guerra israeliana dei sette giorni che avvampò il Mediterraneo. Luigi Longo ne parlò al Politeama, allarmato, rivendicando l'autonomia come un valore di sinistra e il voto come uno strumento decentrato di pressione per la pace nel mondo. Nell'edizione di sabato-domenica 10-11 giugno sul giornale "L'Ora", nell'editoriale, il direttore Vittorio Nisticò fa un appello per votare a sinistra insistendo perché divenisse un segnale, oltre le elezioni regionali, della volontà di pace. In una pagina interna titolata "Domani alle urne", Mauro De Mauro annunzia, per dopo le elezioni, un inserto culturale "Incontri". L'iniziativa è presentata come esito di un luogo dibattitto che aveva riuniti a "L'Ora" per una giornata intera artisti, intellettuali, scrittori, professionisti, storici:. In una foto, che inquadra l'articolo, Rosario La Duca (1923-2008), al centro, occhiali scuri, è seduto tra Sciascia e D'Alessandro e viene citato come preside. Per eleganza il giornale non menziona che La Duca è anche candidato del Pci.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2019
. Ciò che propongo è un azzardo: l'intessitura di una trama che disegna l'accosta... more . Ciò che propongo è un azzardo: l'intessitura di una trama che disegna l'accostamento di due testi: l'uno letterario: Amerika di Kafka ; e l'altro memorialistico-scientifico: Esperienze scientifiche in America di Theodor Wiesengrund Adorno.. Un azzardo ancor più pericoloso perché nasce da un lapsus di Kafka-passato per anni inosservato - che non solo orienta il senso di Amerika, ma ha conseguenze sul lettore Adorno che, come Karl Rossmann, viene allontanato dalla casa paterna. Kafka lavora al romanzo nel 1912. In una lettera del novembre dello stesso anno scrive a Max Brod che tutto il romanzo è incerto ma che ha concluso il sesto capitolo. L' anno successivo, in aprile, scrive al suo editore Wolff proponendogli la pubblicazione del primo capitolo Il fochista: "non so se possa essere pubblicato a sé; veramente non si notano le 500 pagine successive e del tutto fallite, ma in ogni caso non è abbastanza conchiuso; è un frammento e tale rimarrà; questo avvenire conferisce al capitolo la massima conclusione". Il fochista è pubblicato nel maggio del 1913 ed ha come tavola fuori testo una "fotografia preistorica" Nel porto di New York (una incisione del 1838). Per Adorno quella fotografia starebbe al porto di New York come il romanzo in sé avrebbe a che fare con l'America. Come si sa, nel diario, Kafka si riferisce al romanzo americano con un altro titolo Der Verschollene (Lo sperduto) che Adorno preferisce: " Il romanzo ha luogo in un'America mossa, la medesima e tuttavia non la stessa di quella in cui dopo la lunga, triste traversata l'occhio dell'emigrante cerca riposo. Ma a ciò non si addiceva niente di meglio dello Sperduto, luogo vuoto di un nome non rinvenibile. Questo participio perfetto passivo ha perduto il suo verbo, così come è andata smarrita alla memoria della famiglia la persona che è emigrata lì, e che è morta e sepolta. L'espressione della parola sperduto, molto oltre il suo significato, è quella del romanzo stesso." L'anacronismo dell'illustrazione non voluta da Kafka diventava così un tassello della sua interpretazione. In questa predilezione per il titolo caduto nella pubblicazione postuma del '27 si consuma il mutamento prospettico di una lettura che è più attenta alla sorte drammatica di un soggetto che si perde anziché allo scenario in cui si perde e di cui mette in dubbio la corrispondenza ad un modello reale, mentre fa giustizia di una lettura ottimistica che vede in Rossmann un soggetto alfine ritrovato più che perduto.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 4, 2020
Wagner muore a Venezia, a Palazzo Vendramin, il 13 febbraio 1883, alle ore 15 e 30, per un attacc... more Wagner muore a Venezia, a Palazzo Vendramin, il 13 febbraio 1883, alle ore 15 e 30, per un attacco di cuore. Aveva poco più di settanta anni. Al diffondersi della luttuosa notizia, Palermo-in nome della permanenza di ben cinque mesi del Maestro e famiglia in città (5 novembre 1881-20 marzo 1882), della gestazione e scrittura del III atto del Parsifal e soprattutto delle relazioni che Wagner aveva intrecciato con la society palermitana-si scoprì wagneriana. E quel soggiorno si è trasformato in un'epopea di wagnerismo panormita. Il Maestro rimane conquistato dal clima: "qui c'è soltanto primavera ed estate". A differenza di Goethe, che non si curò dei monumenti cittadini proteso com'era verso la valle dei Templi, Wagner si entusiasmò per la Cattedrale dove riposa il suo Federico II, e soprattutto per i mosaici di Monreale. Da una lettera di Cosima apprendiamo il programma quotidiano: "la mattina si lavora, a mezzogiorno si passeggia, all'una si desina, alle tre si ripasseggia, alle cinque si lavora, alle sette si pranza e dopo si va al letto". Un programma ferreo che Wagner mantiene almeno sino a quando non finirà di scrivere il Parsifal e fino a quando non verrà del tutto irretito dall'ospitale e aristocratica mondanità cittadina. Wagner completò l'opera il 13 gennaio 1882. Se ne vanta il Grand Hôtel et des Palmes che esibisce lapide e busto bronzeo. Se ne vantano i palermitani che sul soggiorno, sui fatti, hanno ricamato e tramandato una vasta e controversa aneddotica. Wagner che nei momenti di ispirazione si faceva lanciare addosso da Cosima dei veli. Nella vulgata Cosima addirittura pare che strofinasse veli profumati sulla testa e sul corpo di Wagner. Wagner che si fa corteggiare dall'aristocrazia palermitana: i Tasca, che lo introducono, i Lanza, i Gangi, i Mazzarino, e ne rimedia la Villa Porrazzi dei Gangi, dopo aver declinato l'offerta della prestigiosa villa di Camastra dei Tasca. Wagner che, pur grato dell'ospitalità, si lamenta perché la villa è umida e Siegfried si è raffreddato. Wagner che cede alle insistenze dei suoi ospiti che si dichiarano ammiratori della sua "musica dell'avvenire" e infligge loro un'improvvisazione pianistica. All'entusiasmo sonnacchioso degli astanti, convinto che non abbiano capito niente, come loro dice, sadicamente ripete la performance e si toglie così ogni possibilità di richiesta futura. Wagner che dedica alla Gräfin D'Almerita Tasca il Tempo di Porrazzi, datato 20 marzo, e lascia in ricordo la bacchetta con la quale ha diretto il piccolo concerto di congedo. Di recente Sciarrino ne ha diretto a Palermo una sua chiaroveggente trascrizione. Ma tra i fatti ve n'è almeno un altro incontrovertibile e cioè il famoso ritratto che Renoir, inviato a Palermo, riesce a fare al Maestro, sollevato per aver completato il giorno prima il Parsifal. Una lettera di Renoir ci dice dell'incontro e della seduta di posa il giorno dopo. Un'ora dalle 12 alle 13: "Wagner è stato molto allegro, ma nervosissimo e rimpiangevo di non essere Ingres. Per farla breve, ho sfruttato bene il mio tempo, credo 35 minuti, non sono molti, ma se mi fossi fermato prima, il ritratto veniva bellissimo perché il mio modello alla fine perdeva un po' di allegria e diventava rigido. Ho seguito troppo i cambiamenti …. Alla fine Wagner ha chiesto di vedere ed ha detto: "Ah! Ah! Assomiglio ad un pastore protestante", il che è vero. Insomma ero molto felice di non avere fatto troppo fiasco: esiste un piccolo ricordo di quella testa stupenda." Così Renoir che del volto di Wagner ci vuole restituire ammaliato la fluidità dell'allegria. Alla notizia della morte del musicista i panormiti in un retorico sussulto formarono un comitato
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2016
Il libro La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli anni Settanta e Ottanta, a c... more Il libro La crisi del soggetto. Marxismo e filosofia in Italia negli anni Settanta e Ottanta, a cura di Giuseppe Vacca, (Carrocci, 2015), si chiede perché il marxismo in Italia sia andato in crisi, si sia dissolto. I saggi, puntuali, mostrano la liquefazione marxista per un cambio di paradigma. Dal trenino dell'autonomia, nei primi anni Settanta, si passò al trenino dell'autenticità. Dalla linea Kant-Hegel-Marx-Bentam-Mill-Smart a cui si aggiunsero i vagoncini Habermas e Rawls (il paradigma americano), si passò alla linea Rousseau-Kierkegaard-Nietzsche-Heidegger-Adorno&Horkheimer-Foucault. Dal principio della coerenza, della coincidenza tra condotta e principio morale (il prof. Unrat dell'Angelo Azzurro) al principio della soddisfazione di sé che diviene plurale. Avanza questa secondo trenino via via che sminuisce la certezza nella vettorialità del tempo, che sminuisce la certezza del progresso. Lo aveva detto Rousseau, lo aveva indicato Diderot, lo riprende magistralmente Foucault. Nel Nipote di Rameau si afferma l'io debole che si adatta per trasformarsi. È di Marshall Berman il libro chiave dell'epoca del secondo trenino, The Politics of Authenticity, pubblicato già nel 1970.
Per valutare il milieu culturale in cui si forma Mosca, nel volume a lui dedicato, Ettore A. Albe... more Per valutare il milieu culturale in cui si forma Mosca, nel volume a lui dedicato, Ettore A. Albertoni adotta il giudizio di Giovanni Genti le, espresso nel famoso pamphlet II tramonto della cultura siciliana, scritto nel 1917, laddove il filosofo di Castelvetrano critica la cultura isolana riducendola al regionalismo e a un'assenza di contatti con il re sto dell'Europa, consegnandoci una metafora gravida di conseguenze: «l'isola e sempre stata sequestrata a causa del mare e della scarsezza dei commerci, da ogni relazione col resto del mondo»'. Gli anni di ap prendistato, i Lehrjahre, di Mosca sarebbero dominati da un'assenza: sequestrati anch'essi? Il saggio di Albertoni e del 1978, ma gia nell'importante primo se minario internazionale su Gaetano Mosca, svoltosi a Palermo nel no vembre del 1980, sul tema La dottrina della classe politica ed i suoi svi luppi internazionali, lo storico Massimo Ganci, nel corso di un inter vento dedicato a Mosca e ai suoi rapporti con Napoleone Colajanni, sottolineo come fosse piu che mai necessario sgombrare il campo dall'equivoco creato dal saggio di Gentile. Una tesi inesatta, cancellata, dice con orgoglio Ganci, dalla storiografia siciliana, dai Romeo, Giar rizzo, Renda, Brancato, Giuseppe Carlo Marino e naturalmente dallo stesso Ganci.
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2020
"Giuseppe Basile mi ricevette a conclusione della sua movimentata giornata di lavoro. Er... more "Giuseppe Basile mi ricevette a conclusione della sua movimentata giornata di lavoro. Era sporco, sulle guance e sulle mani, perché allora il giornale si stampava col piombo. E per quanto macchiato fosse e molto stanco mi trattò con gentilezza, mi accolse in una grande stanza ormai deserta, dove stavano abbandonati tanti tavoli rettangolari. Tutto comunque sembrava annegare nella carta. Quanti anni aveva quell'uomo magro, dalle pupille sporgenti, dal colorito verdastro, dai dentoni prominenti? Cinquantacinque? Più o meno. Senza dubbio era un buon uomo, lo sarebbe sempre stato. "Si segga", disse e intanto arrotolava carta e la gettava a terra. E la carta che lui gettava finiva nel gran mare di carte che copriva il pavimento. Pensai che doveva essere bello arrotolare la carta, appallottolarla e gettarla nel mare di carte ed essere in una stanza che sembrava navigare sulla carta ."
InTrasformazione: rivista di storia delle idee, Jan 10, 2018
L'11 giugno 1967 la Sicilia andò alle urne per rinnovare l'Assemblea regionale. F... more L'11 giugno 1967 la Sicilia andò alle urne per rinnovare l'Assemblea regionale. Fu una campagna elettorale intensa aperta nel giorno del ventennale dell'Assemblea (ma ventunesimo dello Statuto). Scesero in campo subito i big della Dc. Mariano Rumor, segretario nazionale, aprì a Catania per sottolineare lo stallo dell'autonomia addebitandolo per intero alla classe politica locale ma sostenendo che non si poteva rinunciare all'autonomia giusto nel momento in cui lo Stato si regionalizzava (accadrà nel 70). A Palermo Aldo Moro, presidente del consiglio, partecipò alla celebrazione che includeva una mostra di Filippo Paladini (1544-1614), a Palazzo dei Normanni, illustrata da Cesare Brandi, e la distribuzione di medaglie d'oro ai membri della Consulta che aveva approvato lo Statuto. Ai componenti la commissione che avevano di fatto stilato lo Statuto non si pensò. In un comizio Moro polemizzò, ma senza nominarli contro i socialisti, rei di aver sospettato il Quirinale sull'affaire SIFAR. Pietro Nenni, durante la trattativa per la formazione del governo Moro, aveva sentito rumor di sciabolette e alla Camilluccia aveva accettato il compromesso democristiano. Ma al discorso di Palermo, Nenni reagì bruscamente costringendo Palazzo Chigi a rettificare asserendo che il riferimento mai esplicito riguardava i comunisti. Una campagna accesa che si concluse in un clima arroventato per via della guerra israeliana dei sette giorni che avvampò il Mediterraneo. Luigi Longo ne parlò al Politeama, allarmato, rivendicando l'autonomia come un valore di sinistra e il voto come uno strumento decentrato di pressione per la pace nel mondo. Nell'edizione di sabato-domenica 10-11 giugno sul giornale "L'Ora", nell'editoriale, il direttore Vittorio Nisticò fa un appello per votare a sinistra insistendo perché divenisse un segnale, oltre le elezioni regionali, della volontà di pace. In una pagina interna titolata "Domani alle urne", Mauro De Mauro annunzia, per dopo le elezioni, un inserto culturale "Incontri". L'iniziativa è presentata come esito di un luogo dibattitto che aveva riuniti a "L'Ora" per una giornata intera artisti, intellettuali, scrittori, professionisti, storici:. In una foto, che inquadra l'articolo, Rosario La Duca (1923-2008), al centro, occhiali scuri, è seduto tra Sciascia e D'Alessandro e viene citato come preside. Per eleganza il giornale non menziona che La Duca è anche candidato del Pci.
La formazione degli stati e la costruzione d'identità nazionali sono processi di esclusione, di r... more La formazione degli stati e la costruzione d'identità nazionali sono processi di esclusione, di rimozione violenta di variabili religiose, istituzionali, sociali. In Violenza e Identità Amartya Sen ha richiamato alla memoria storica europea i conflitti religiosi come processi violenti di costruzioni identitarie non inclusive. E mentre la Sicilia sembra al centro di uno scontro che fa del Mediterraneo non un ponte tra civiltà ma una trincea e una bara, in un denso, intricato, affascinante saggio La cacciata dei moriscos e la beatificazione di Juan de Ribera (Editrice Morcelliana,2014) Giovanna Fiume ricostruisce un caso esemplare e decisivo per l'identità nazionale spagnola e cioè la cacciata dalla Spagna dei moriscos, dei musulmani convertiti, voluta da Filippo III, quasi quattro secoli or sono dal 1609 al 1614 con il sostegno del patriarca di Valencia Juan de Ribera prima beato e poi santo. 300.000 espulsi che la saggistica e memorialistica coeva narrano come corpi estranei "ultimi resti musulmani ripiegati nell'Alhambra", mentre poche sono le voci che si levano a favore dell'inclusione.
Li chiamano luoghi comuni, stereotipi, idee ricevute e abitano, numerosissimi, i discorsi pubblic... more Li chiamano luoghi comuni, stereotipi, idee ricevute e abitano, numerosissimi, i discorsi pubblici e privati sulla mafia. Le idee ricevute si sedimentano come incrostazioni sul profilo della realtà, occultano o falsificano la storia, obbedendo, il più delle volte, a manifesti tic ideologici che per amore del consenso e dell'autocelebrazione preferiscono l'happy end. Fra gli stereotipi ideologici, il più diffuso è quello che ci racconta come la mafia sia stata estirpata dal fascismo grazie al prefetto Mori, che ebbe carta bianca da Mussolini dal '25 al '29 allorché fu rimosso. Si sa la durezza d'apparato e la determinazione con la quale Mori intervenne. Sicché nel '28 il Duce dichiarò che la missione era compiuta e la parola mafia bandita dai giornali. L'ordine era stato stabilito e i mafiosi o in galera o in esilio ad occuparsi magari di distillerie clandestine a New York passando da Marsiglia a Tunisi a Cuba. Una variante tutta mafiosa del Grand Tour degli anni ruggenti. L'essere oggetto di persecuzione legittimò i mafiosi a definirsi antifascisti con la confusione che ne derivò a guerra conclusa e a Repubblica imperante. Nella storiografia sulla mafia-almeno sino alla seconda metà degli anni Ottanta-l'idea ricevuta della sconfitta della mafia ha fatto sì che da Mori si passasse direttamente al '43, allo sbarco degli americani mettendo tra parentesi gli anni Trenta e non avvertendo come problema la mafia e il fascismo negli anni dopo Mori. Questa prospettiva è oggi mutata.
In un brillante saggio di qualche anno addietro Public Intellectuals (Harvard, 2001) Richard Pos... more In un brillante saggio di qualche anno addietro Public Intellectuals (Harvard, 2001) Richard Posner tenta di trovare una definizione la più corretta possibile di intellettuale pubblico distinguendolo dagli studiosi. Per diventare un intellettuale pubblico occorre occuparsi di questioni generali, ma scriverne in modo semplice e accessibile, avendo come destinatario il pubblico più vasto possibile. Ma non basta. L'intellettuale pubblico oltre a scrivere in modo semplice è più orientato a conseguire uno scopo di quanto non sia lo studioso. Dal che se ne deduce che è intellettuale pubblico il Kant autore della Pace perpetua, ma non l'autore della Critica della ragion pura. È un intellettuale pubblico il Marx del Manifesto ma non certo l'autore dei Grundrisse. E via elencando. Accessibilità dell'esposizione, generalità di destinatari, trattazione di questioni di interesse pubblico e dal marcato profilo o politico o ideologico: ecco i tratti per individuare un intellettuale pubblico. Chi sono dunque gli intellettuali pubblici? Secondo Posner, possono essere professori universitari a tempo pieno o solo part-time; ma anche giornalisti, scrittori, artisti, politici, pubblici funzionari, membri di associazioni culturali, semplici professionisti. I loro interventi hanno di mira il bene pubblico. Inclinano verso l'utopia allorché si propongono di additare alla società nuovi percorsi; o piuttosto verso la denuncia radicale quando in loro la disaffezione con lo stato delle cose è tale da superare il buon proposito di proporre delle riforme. Nel quadro che disegna Posner l'elemento decisivo dell'Intellettuale Pubblico è il suo essere tutto sommato un outsider, uno che esprime un'opinione fuori dal coro, è insomma un critico della società. Un Luftmensch come dicono i tedeschi o meglio, per dirla con Tucholsky, una Cassandra, per definizione inascoltata. In una tipologia dell'intellettuale pubblico compare in primo piano l'intellettuale che si autodivulga, offrendo versioni più semplificate, non accademiche del suo lavoro. Posner fa l'esempio del libretto di Amartya Sen Lo sviluppo come libertà, che è una piccola summa delle idee di Sen sullo sviluppo ad uso di un pubblico più vasto. In secondo luogo c'è l'intellettuale che fa proposte politiche di mutamenti socio-politici. In questo caso non abbiamo la traduzione in chiaro dei lavori accademici, ma la traduzione in politica dei risultati delle ricerche. È questo il genere che ha permesso la costruzione del binomio potere-sapere, (la sindrome Faust), che ha trasformato l'intellettuale in un legislatore, e che ha dato celebrità e ricchezza agli intellettuali. Ma è proprio questo genere che appare in crisi, non perché gli intellettuali non vogliano più essere legislatori, ma perché è in crisi il rapporto intellettuale-politica dal momento che la politica tende ad emanciparsi dai dati delle ricerche e si affida per governare ad altri paradigmi che lavorano molto di più sulle suggestioni e sui sogni.
Concetto Marchesi, nato a Catania nel 1878, sommo latinista, fin dalla più giovane età fu preda ... more Concetto Marchesi, nato a Catania nel 1878, sommo latinista, fin dalla più giovane età fu preda della passione politica. Già nel 1894 la polizia catanese lo schedava come anarchico. Dirigeva una rivista "Lucifero" nella quale si era lanciato contro il furore ideologico che condannava a morte gli anarchici parigini. Nel 1895 è iscritto al partito socialista spinto dall'odio destatogli dalla condizione di profondo sfruttamento dei contadini della piana di Catania e dalla lettura di Mazzini, Proudhon, del "Manifesto" di Marx, ma anche de "Il Capitale" seppure nel sunto di Lafargue. Nel 1902 Marchesi risulta indagato come socialista internazionalista. Nel 1908 è consigliere comunale a Pisa: socialista, eletto in una lista democratica. A Pisa si era trasferito come insegnante di latino e greco dopo aver ultimato i suoi studi a Firenze, iniziati a Catania. A Pisa in quel consiglio comunale il suo socialismo anarchico appare addomesticato da una buona dose di realismo e pragmatismo sulle cose (gli ospedali, la scuola). Nel 1921 lascia i socialisti con un severo giudizio sul "corpo malato" di quel partito, e si iscrive al neonato Pci schierandosi con Amedeo Bordiga. Da qui il giudizio di Amedola che riterrà Marchesi "settario e intransigente", per le sue origini-aggiungeva-socialiste. Togliatti-che subì lo scacco di vedere Marchesi insieme a Teresa Noce alzarsi e uscire dall'Assemblea costituente in occasione del voto sull'art.7 pur non credendo" giusta" l'affermazione secondo cui Marchesi non fosse un marxista, tuttavia riconosce che è un tema da approfondire, ma non certo nel corso della commemorazione che tenne alla Camera il 14 febbraio del 1957, a pochi giorni dalla scomparsa del compagno Marchesi.
Il pronipote di Gramsci, Antonio Jr., ha pubblicato un volume sulla famiglia della madre Julca S... more Il pronipote di Gramsci, Antonio Jr., ha pubblicato un volume sulla famiglia della madre Julca Schucht, moglie di Gramsci, basandosi su inediti documenti di famiglia.
Introduzione di Piero Violante Con un ricordo di Mirella Licata Un poeta, un contastorie, un uomo... more Introduzione di Piero Violante Con un ricordo di Mirella Licata Un poeta, un contastorie, un uomo di teatro, un giornalista, il cantore infaticabile della «Palermo nera», quella dei vicoli segreti, delle brutali spietatezze e dei codici rigidi e privati, in contrapposizione alla Palermo «bianca», per lui più fosca e indigeribile. Salvo Licata era osservatore attento della lingua e dei modelli di vita della casbah palermitana. Ironico e beffardo, le sue storie sono fulminanti, paradossali, ma riproducono fedelmente vizi e virtù del popolo della città. Cronache di un giornalista atipico, totalmente immerso nella realtà che raccontava, dai pupari ai cantanti di quartiere, dai ladri di borgata ai venditori di panelle, dagli scrittori del Gruppo '63 ai saltimbanchi. Salvo Licata fu cronista di originale talento, fatto per «andare in giro per il mondo» (come disse Vittorio Nisticò, il direttore di quegli anni del suo giornale, il glorioso «L'Ora»). Uomo di penna e di chitarra, l'altra sua più amata vita fu quella del teatro e di intellettuale aperto a tutte le esperienze «spettinate». Divideva in due la città più incomprensibile d'Italia: la «Palermo bianca», per lui più fosca e indigeribile dell'altra, la «Palermo nera», quella dei vicoli segreti, delle brutali spietatezze e dei codici rigidi e privati. Questa città, si sforzava nella spasmodica impresa di capirla, nelle cronache, nei «pezzi» torbidi e densi, che poi subito riversava nel teatro, nei racconti, nel cabaret, nelle canzoni, e nelle serate con gli amici della sua piccola corte di teatranti. Scriveva anche meravigliosamente bene, come apprenderà il lettore di questa raccolta di prose sparse, racconti e cronache. Con il cruccio inquietante che ogni rappresentazione delle «culture subalterne» nella cultura letteraria rischia sempre la frode o la violenza: «nessuno dei rappresentanti delle classi subalterne si sognerebbe mai di parlare di sé come rappresentante delle classi subalterne né di attribuirsi una sua cultura… Io quindi non sono né un intellettuale borghese né un sottoproletario della mia città. Nei confronti della mia intelligenza sono come nei confronti del mio corpo, col buio davanti e dietro». Un dilemma di etica e di intelletto che cercava di colmare inabissandosi nel linguaggio della «Palermo nera», completo nelle sue strutture, nel suo lessico ricchissimo, a farne emergere la coerenza e la letterarietà, a renderlo veramente comprensibile. Intuiva che, come il linguaggio è la casa dell'essere, è nella lingua che abita la Palermo nera: e vibra, tra gli ultimi rintracciabili rifugi, in questi delicati racconti: delicati per la loro fuggevole materia, la vita.
Michele Perriera Uno scrittore in redazione. Articoli, cronache, critiche, commenti di vita cultu... more Michele Perriera Uno scrittore in redazione. Articoli, cronache, critiche, commenti di vita culturale «L'Ora» 1961-1992 A cura di Gianfranco Perriera, Giuditta Perriera, Piero Violante Prefazione di Piero Violante Interviste, recensioni teatrali, riflessioni su scrittori, conversazioni immaginarie con autori del passato, considerazioni politiche, critiche fuori dal coro. A dieci anni dalla sua scomparsa un'antologia degli articoli che Michele Perriera scrisse per «L'Ora». Un omaggio alle tante anime di un protagonista del rinnovamento intellettuale della Palermo anni Cinquanta. Per più di un ventennio, dalla metà circa degli anni Cinquanta, la città di Palermo diventò a suo modo una «capitale» culturale; ebbe un'ondata durevole di rinnovamento intellettuale, non meno notevole, se non più notevole, della più celebrata «Palermo felicissima» del Liberty. Di quella stagione di rinascita sono testimonianza diretta libri quali, tra gli altri, Romanzo d'amore di Michele Perriera, Swinging Palermo di Piero Violante, Chissà come chiameremo questi anni di Giuliana Saladino, Storie e cronache della città sotterranea di Salvo Licata; oppure raccolte come quella (Accadeva in Sicilia, il titolo) del giornale «L'Ora» al tempo del suo leggendario direttore Nisticò. Questa antologia degli articoli che Michele Perriera scrisse, per «L'Ora» appunto di Nisticò, si affianca a quei volumi, mettendo in primo piano un protagonista, il più alacre osservatore e commentatore culturale di quell'altra Palermo di allora. Era uno scrittore prestato al giornalismo. Il direttore gli aveva affidato rubriche che sempre portavano nel titolo la parola «idee» (Palermo Idee, Sicilia Idee). E l'animava il desiderio di indicare l'esistenza in giro di altre idee, piuttosto che quelle della speculazione edilizia e della mafia, di asserire altre possibilità rispetto alla prepotenza della realtà. E questo faceva attraverso il «mostrare la laboriosità, il fervore degli intellettuali della città» (Piero Violante, nella Prefazione) che a quelle idee si prestavano: «il quadro che emerge da questi supplementi è un ritratto di famiglia puntuale, ironico, divertente, dissacratorio, polemico, in movimento». Anche se «qualunque pezzo è sempre un pezzo di critica sociale», Perriera non mancava mai nei
«Un mix di narrazione, d'invenzione, di memoria dell'occasione musicale: un protocollo del vissut... more «Un mix di narrazione, d'invenzione, di memoria dell'occasione musicale: un protocollo del vissuto individuale e sociale, una cronaca della Palermo musicale». «Sono pezzi dettati dall'occasione, che, come Sparafucile, ho colto a volo. I pezzi una volta composti in suite esibiscono-almeno per me-una insospettata coerenza» scrive Piero Violante, presentando questa raccolta che risuona di oggetti d'affezione da Mozart a Schoenberg, da Brahms a Kurt Weill, ad Adorno, ai cari estinti, ai musicisti siciliani: Ziino, Sollima, Mannino, Pennisi, Incardona. Emergono nella suite del libro «le predilezioni del critico, rafforzate da un tema fondamentale per la lettura del Novecento: la centralità di Vienna vista sì in continuità tra la Klassik e la Wiener Schule, così come insegnava Schoenberg, ma non più in opposizione né con la Parigi europeista di Cocteau e dei Sei né con la Berlino socialista di Brecht e Weill. Ho imparato frequentando per venti anni la redazione de "L'Ora" che anche un pezzo di cronaca musicale è un pezzo di critica sociale. Oggi, lo so, questa idea appare sempre più minoritaria e marginale. Il libro insiste sulla centralità dei nessi forma-società, sulla lettura sociologica delle interrelazioni e non sovrapposizioni tra le autonomie delle forme artistiche e di quelle sociali, sulla convinzione della centralità della musica nella formazione dell'identità civile e negli affetti. I papillons di Brahms-il segreto del titolo sta nella piccola storia che apre la raccolta-leggono la musica come "sintomo" sociale. Ogni singolo pezzo si propone il difficile compito di raccontare la musica, di inserirla nel canone culturale, in un mix di narrazione, d'invenzione, di memoria dell'occasione musicale: un protocollo del vissuto individuale e sociale».
Una biografia, di Palermo, e una autobiografia, un libro di formazione, un album di ritratti, un ... more Una biografia, di Palermo, e una autobiografia, un libro di formazione, un album di ritratti, un modo diverso di pensare la storia della città dagli anni Sessanta in poi. Tutto questo e molto altro è Swinging Palermo. Ascesa e caduta della «Grande Palermo». Questa biografia culturale della città segue le idee e le persone, e i momenti cruciali della vita delle istituzioni che ne derivavano, dalla fine dei Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso. Ma una storia non vuol essere, perché Piero Violante si pone come narratore di ciò che ha vissuto da protagonista e di ciò che lo ha colpito da testimone diretto; si pone come spettatore tipico e quindi racconta insieme la formazione e la maturazione sentimentale e culturale che poté avere l'intellettuale della sua età, nato nell'immediato dopoguerra. Più o meno tutto quello che di memorabile accadeva tra il Teatro Massimo e le cantine dell'avanguardia, tra le università e gli incontri in libreria, tra gli scavi archeologici e le mostre d'arte, tra le riviste di semiotica e il quotidiano «L'Ora», tra le Settimane di Nuova Musica e i concerti degli Amici della Musica, tra i tè pomeridiani dell'aristocrazia e i circoli della contestazione studentesca, tra Leonardo Sciascia e la Scuola di Palermo. Con una attenzione affettuosa per quel gruppo di persone che l'autore denomina «classe dirigente d'opposizione», ossia i grandi eccentrici maestri del sapere critico e dell'impegno ironico, i quali trovano in questo libro una forte memoria finora mancata. Eppure, questo libro si può anche assumere come una storia, forse la prima, dell'opinione pubblica del dopoguerra, dal momento che quella cultura critica, d'avanguardia, ironica, pienamente cosmopolita nelle forti radici locali, fu a Palermo l'unica opinione consapevole e intelligente. E in quanto storia, certi tratti di essa colpiscono nella loro eccentricità, si offrono a riflessioni più ampie. Per esempio, il modo singolare in cui gli intellettuali abbiano «acciuffato il contemporaneo» nella cultura, appoggiandosi a un'aria antimoderna da Ancien régime; o come la città potesse nello stesso tempo essere fervida capitale di nuove arti, mentre attorno procedeva la sistematica distruzione della sua unica bellezza storica; o come, soprattutto, mentre era attraversata dai più formidabili cambiamenti, evoluzioni e convulsioni, potesse abbandonarsi all'ideologia nostalgica della passività, all'idea della «storia immobile», al cliché fatalistico dell'irresponsabilità civile.
Il racconto appassionato di un'utopia, quella di David Josef Bach e della sua politica musicale: ... more Il racconto appassionato di un'utopia, quella di David Josef Bach e della sua politica musicale: fare della classe operaia l'erede attivo della cultura e della musica «borghese» e protagonista della modernità. «Richard Strauss ha una volta osservato che dirigendo il primo tempo della Terza di Mahler finiva con l'immaginare "interminabili schiere di lavoratori in marcia verso il Prater per celebrarvi il Primo Maggio"». È un'idea largamente condivisa che la Grande Vienna sia stata uno dei cruciali laboratori del Novecento. Questo studio, ambizioso, completo e complesso, della Vienna tra fine Ottocento e avvento nazista, che mette assieme la storia, la storia della musica e la musicologia, la storia della cultura e quella sociale, lo riafferma. Ma lo riconsidera, guardandolo dalla prospettiva di un'esperienza particolare. Si tratta del grandioso tentativo, da parte della socialdemocrazia e dei teorici dell'austromarxismo di fare del proletariato l'erede della tradizione musicale viennese e, attraverso questo, erede della cultura classica tedesca. Un'utopia intellettuale germinante intorno all'organizzazione dei cosiddetti «Concerti sinfonici dei lavoratori viennesi», voluta da David J. Bach-ebreo viennese, allievo di Mach, musicista di formazione, amico di Schoenberg, sostenitore di Anton Webern, responsabile culturale del partito socialdemocratico, figura ancora poco esplorata della Grande Vienna-e il cui obiettivo era quello «di creare con e per il proletariato una tradizione del moderno che avesse Mahler come perno e Webern come suo interprete». Insomma di fare della classe operaia l'erede attivo della cultura e della musica «borghese» e protagonista della modernità. Secondo Piero Violante quest'esperimento ha subito una censura e una cesura. La cesura è consistita nel fatto che la sua violenta interruzione ha creato una coupure nella storia dell'interpretazione e della ricerca del canone musicale a datare dall'avvento dell'austrofascismo. Da quel momento i «concerti sinfonici dei lavoratori viennesi» sono stati rimossi. Una censura operata-poi-dall'agire di due fattori diversi ma in effetti convergenti. Da un lato «la melassa della nostalgia del mondo di ieri e del mito asburgico». Dall'altro l'egemonia del comunismo staliniano che ha derubricato a «imborghesimento dei lavoratori», insieme al progetto socioculturale in cui si inscriveva, quell'intera storia. Una storia che questa ricchissima ricerca restituisce e ricompone raccontando la Vienna di quei giorni, nelle vicende di intellettuali dalla tipologia irripetibile, nell'evolversi di organizzazioni di masse umane, nell'interconnettersi di idee.
"Come si può essere siciliani ? " si chiedeva Leonardo Sciascia un delizioso commento alle Lettr... more "Come si può essere siciliani ? " si chiedeva Leonardo Sciascia un delizioso commento alle Lettres Persane di Montesquieu. Partendo dall'analisi sciasciana Violante legge l'insularismo come la metafora di una intellettualità che oscilla dal premoderno al postmoderno e che si rifiuta alla modernità. Ancora una volta oggi, come alla fine dell'Ottocento, si può invocare un fallimento politico: allora dell'unità nazionale ora dell'autonomia siciliana. Ma la chiave del fallimento politico non basta più. Per narrare la Sicilia (in)felix: la sua cultura politica, il suo eccesso di identità; per narrare un'isola che non è isola si appoggia alla grande letteratura siciliana da Verga aTomasi a Consolo costruendo un unicum nel panorama degli specialisti del pensiero politico.
LA RAPPRESENTANZA è il riflesso della disorganicità sociale e governa lo spazio del consenso conq... more LA RAPPRESENTANZA è il riflesso della disorganicità sociale e governa lo spazio del consenso conquistato.La mappa di questoluogo corrisponde allora alla descrizione del consenso che vi si forma. La trasformazione dello spazio gotico dell'Ancien Regime nello spazio a griglie dello stato rappresentativo avviene attraverso tre dibattti assembleari tra il luglio e il settembre 1789. Sono questi dibattiti, al cui centro si colloca l'abate Sieyes, a definire la macchina della rapprsetanza e lo spazio del consenso politico " borghese": la sua angustia come le sue regole.
Con America di Kafka sottobraccio, Theodor W. Adorno sbarcò a New York il 23 febbraio 1938, e, co... more Con America di Kafka sottobraccio, Theodor W. Adorno sbarcò a New York il 23 febbraio 1938, e, come Karl Rossmann, protagonista del romanzo, vide la Statua della Libertà innalzare una spada. Un brivido gli passò per la schiena. Al porto lo attendeva il sociologo viennese Paul Lazarsfeld, direttore del Princeton Project (sull'uso della musica alla radio), che lo aveva ingaggiato. Preso dalla lettura di America, Adorno scambiò la sede, a Newark, del Princeton Project, per il teatro naturale dell'Oklahoma e si immedesimò in Karl Rossmann sino a condividerne la sorte: Karl si era offerto come attore ma venne ingaggiato dal teatro come operaio. Adorno si attendeva che al Princeton Project gli chiedessero delle «intuizioni centrali» su musica e società; gli chiesero invece delle «informazioni utili». Indignato, all'ombra della spada che Kafka gli aveva fatto vedere e della sventura che quella spada minacciava, si recò in California per scrivere con Horkheimer Dialettica dell'Illuminismo. L'intuizione centrale che Lazarsfeld non gli chiese argomentava la musica come fattore di crisi e non di ricomposizione sociale. I saggi che Piero Violante mette in sequenza in questo libro-quasi un omaggio a Adorno a cinquant'anni dalla morte-insistono su quella intuizione secondo cui la musica austrotedesca, a partire da Schubert, è profezia e protocollo del malaise del moderno; evidenziano la complessa e ambigua dimensione sociale e politica della musica in due «ferite»: la Grande Guerra e Auschwitz; s'interrogano sul protonazismo che Wagner anticipò nei suoi scritti per sostenere una nazionalizzazione delle masse all'insegna dell'antisemitismo; si soffermano sull'esemplare resistenza alla musica-crisi di Richard Strauss e di Erich Korngold: l'ultimo enfant prodige del mondo di ieri che con maestria caramellò il morbide fin de siècle. 2021 La nuova diagonale n. 128 240 pagine
Relazione del Consiglio straordinario di Stato convocato dal prodittatore Mordinii, 2011
Piero Violante : Professor Renda, il 17 marzo si celebra il 150° dell'Unità d'Italia. Sembra dal ... more Piero Violante : Professor Renda, il 17 marzo si celebra il 150° dell'Unità d'Italia. Sembra dal dibattito e dal discorso pubblico di questi mesi, e al di là delle posizioni dei partiti politici, che ci si trovi dinanzi ad un'altra occasione sprecata per indagare la formazione dell'identità nazionale, ma anche per indagare il ruolo, per quanto riguarda il dibattito siciliano, che ha avuto la Sicilia in questo processo verso l'Unità nazionale. Francesco Renda: Dunque, l'Unità italiana è stata unità di tutto il popolo, non soltanto una unità monarchico-piemontese. Naturalmente il rischio che così fosse, nel '59, era diventato reale, perché con la guerra di indipendenza l'Austria restituisce al Piemonte la Lombardia e il Piemonte dà alla Francia Nizza e Savoia. Dopo di che l'Austria cessa ogni potere in Italia e quindi tutto il Nord chiede di far parte del Regno della Sardegna in quanto Regno d'Italia. Sennonché questa Italia così fatta, che sembra ormai avvenuta perché poi parte del progetto di Cavour, non è gradita assolutamente dai democratici: da Mazzini, da Garibaldi, da Crispi; da coloro i quali volevano che ci fosse una unità italiana e che ci fosse una unità non soltanto realizzata solo dagli eserciti regi, ma anche dai movimenti popolari. L'idea di Mazzini è che per realizzare questo obiettivo bisogna puntare sulla Sicilia. Se si muove la Sicilia si fa l'Italia. Se non si muove la Sicilia, l'Italia resterà quella del Centro-Nord. In questo senso c'è tutta una trattativa con Garibaldi. Alla fine si conclude nel senso che in Sicilia inizia la rivoluzione che poi viene sostenuta dalla spedizione garibaldina. La spedizione garibaldina ha un valore significativo perché la partecipazione siciliana è una partecipazione popolare, siciliana, ma contemporaneamente nazionale. I mille garibaldini sono quasi tutti ragazzi del nord. Ragazzi, studenti, professionisti ecc. che scendono in Sicilia perché dalla Sicilia si deve rifare l'Italia. E difatti così avviene perché il Regno delle due Sicilie non è in grado di resistere, in quanto completamente isolato. Però arrivato a Napoli, Garibaldi viene fermato dal re Vittorio Emanuele, il quale lo destituisce da ogni potere. E quindi invece della rivoluzione popolare, della rivoluzione democratica, avviene la così detta occupazione piemontese. In questo frangente, la Sicilia partecipa all'unità italiana con un intendimento federalista perché fu federalista nel quarantotto. Nel sessanta non si può essere federalisti, in quanto lo Stato è unico. E quindi invece della federazione degli stati si chiede la federazione delle autonomie. Di solito si è considerato tutto questo come se fosse stata una richiesta siciliana. In realtà era una richiesta nazionale. La divisione di tutto il territorio nazionale in grandi divisioni territoriali dotati di parlamento, di governo e di potere autonomi, tra cui c'è la Sicilia e anche la Sardegna.
Pondera gli aggettivi il giovane Lukács nel commiatarsi dal maestro :(il più) importante, (il più... more Pondera gli aggettivi il giovane Lukács nel commiatarsi dal maestro :(il più) importante, (il più) interessante esponente della crisi di tutta la filosofia moderna: Geistvoll , pieno-di-spirito (brilliant traducono in inglese). Geistvoll, aggiunge Lukács, nel senso comune della parola: i suoi detti potrebbero sostenere il confronto con i più grandi maestri del Witz: arte tutta ebraica di condensare in una battuta un universo. Ma Geistvoll anche in un senso più profondo. Simmel-dice Lukács-è pieno di uno spirito filosofico nel senso più puro ed autentico: intuizione fulminea, espressione frappant, con una capacità di saper vedere "il più piccolo e inessenziale fenomeno della vita quotidiana sub specie philosophiae, sì che esso diviene trasparente e nella sua trasparenza si fa visibile una relazione formale eterna nel senso filosofico". Simmel disvela lo Zeitgeist nel quotidiano, nella periferia del quotidiano: ma questa sua sensibilità rabdomantica si scontra con una sua difficoltà, una incapacità di giungere a conclusioni definitive. Simmel-dice Lukács-non ha un centro per questo è un filosofo della crisi, o della transizione, un grande filosofo dell'impressionismo : e lo è non perché trasferisce a livello concettuale la Weltanschauung impressionista ma perché mette in forma filosofica quella sensibilità irrequieta, cangiante-potremmo aggiungere-per il mondo (Weltgefühl) dalla quale nascono le grandi opere impressioniste di Monet, Rodin, Rilke e Strauss (Richard).
Opere, concerti, podiostar, grandi registi , grandi interpreti e grandi polemiche a partire dal ... more Opere, concerti, podiostar, grandi registi , grandi interpreti e grandi polemiche a partire dal 1997: anno della riapertura del Masimo , dopo ventitre anni di esilio al Politeama e dell'apertura della redazione palermitana de " la Repubblica". Mi arruolarono come critico musicale ed editorialista dopo i venti anni che avevo tarscorso a "L'Ora".
Cronache musicali e postille con l'idea guida appresa a "L'Ora" che un pezzo di critica musicale sia un pezzo di critica sociale; che il canone musicale delineato dalla programmazione delle istituzioni musicali sia un parametro non solo del gusto ma in generale dell'identità civile di una città.
Ho preferito ordinare le cronache non in ordine cronologico ma alfabetico per fissarne il carattere di repertorio della musica eseguita a Palermo tra fine Novecento e i primi due decenni del XXI secolo. E Palermo come le altre città italiane conferma la tendenza generale alla contrazione del canone e la diffidenza verso la musica forte ( come afferma Quirino Principe) e contemporanea, alimentata nel suo caso dal pregiudizio estetico che essa non comunica. Eppure Palermo, come soprattutto la Milano di Abbado, ha cercato negli anni Sessanta di fondare una tradizione del Moderno. Quel progetto che ha animato i miei esordi è ormai accantonato.
Palermo, Facoltà di Lettere, 17 novembre 2011, con Marco Meriggi, Franco Lo Piparo
Correva l'an... more Palermo, Facoltà di Lettere, 17 novembre 2011, con Marco Meriggi, Franco Lo Piparo
Correva l'anno 1882. Dalla stazione centrale d'Europa, da Parigi, Ernest Renan comunicava che cosa è una nazione :"una grande solidarietà che presuppone un passato e che si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso". Dalla periferia dell'Europa, dalla Palermo della "Sicilia sequestrata", Gaetano Mosca, giovanotto di belle speranze, nello stesso anno, nella sua tesi di laurea Sui fattori della Nazionalità, scrive che la "comunanza della vita e delle sconfitte sviluppa il sentimento della solidarietà e della fratellanza"; parla di "affetti,ricordi,speranze comuni",dice che in questo modo "uno spirito comune viene a formarsi e con essa una nuova nazione si afferma." La sintonia di Mosca con Renan fa intendere la maturità di una riflessione sull'unificazione o meglio sul modo di costruire un discorso sull'unificazione, mettendo in risalto le memorie condivise e cancellando o rimuovendo quelle non condivise. Vi deve essere un equilibrio tra memoria e oblio: se l'equilibrio salta riemerge la parcellizzazione politica, sociale e discorsiva che l'unificazione ha ingessato.
Sul libro di Salvatore Lupo (Donzelli 2013) con Michele Figurelli, Alfio Mastropaolo Istituto Gra... more Sul libro di Salvatore Lupo (Donzelli 2013) con Michele Figurelli, Alfio Mastropaolo Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 6 giugno 2013 1.La storia repubblicana è recitata dai suoi attori in una continuità del passato, ammalata, dominata dalla coazione a ripetere. Lupo in questo suo libro denso e spesso perentorio nel sottolineare le analogie dello spirito del '93 con il 2013 parla della coazione a ripetere dei suoi attori. Come se nulla davvero fosse successo. Punto e a capo. Personaggi e interpreti: partiti, antipartiti camuffati da movimenti, iperpartiti. Già dentro il fascismo la diade movimento-iperpartito e dentro la repubblica, la prima, sin dall'inizio, con la polemica antipartitica accademicamente accreditata ma che misura la spaventosa differenza culturale tra Maranini e Duverger.
Feltrinelli, Palermo, 24 novembre2014, con Dario Oliveri e Enzo Restagno Sul limitare del suo pre... more Feltrinelli, Palermo, 24 novembre2014, con Dario Oliveri e Enzo Restagno Sul limitare del suo prezioso saggio Schönberg e Stravinsky (Il Saggiatore, 2014) Enzo Restagno pone due principi che sono insieme letterari e interpretativi. Il primo riguarda la costruzione delle biografie, di ogni biografia, a partire dai luoghi, dagli spazi e dagli incontri, dalle relazioni che così scavalcano la cronologia come asse portante del racconto biografico. Relazioni e incontri si spalmano nel tempo rinviano al passato o anche il futuro della narrazione. È un continuo andirivieni della memoria sia del passato che del futuro, è la prima epifania-mi pare-della reversibilità del tempo come chiave insieme delle biografie e delle opere dei due musicisti. La strategia letteraria diviene così elemento di una riflessione che fa della soggettività una variabile dipendente e insieme indipendente di spazi e relazioni. Il soggetto che pur esprime la sua volontà, d'altronde ferrea nei due soggetti Schönberg e Stravinsky che Restagno racconta, è immerso nella trama spazio-tempo che ne modifica ne altera o ne confermano il profilo. Il soggetto relegato dietro le cose, un mosaico di cose?
Nel libro “L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile” (Donzelli, 2011),... more Nel libro “L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile” (Donzelli, 2011), scritto in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, Salvatore Lupo si era impegnato in un’opera di destrutturazione della coerenza ingessata del racconto nazionale “per fare riemergere però l’Unità – come osservammo - non come un esito inevitabile, ma come una risultante, spesso incerta e precaria, di forze sociali, politiche e di retoriche, in un quadro complessivo che vede il meridione, pur nelle sue differenziazioni interne, parte attiva e affatto passiva. Una Unità infine che fu un progresso economico, sociale, istituzionale per tutto il Paese, incluso il Mezzogiorno”. Con verve polemica Lupo si lanciò contro i luoghi comuni che la rappresentazione pacificatoria rinsaldava. Ad esempio: il carattere reazionario del regime borbonico; la cosiddetta deindustrializzazione meridionale post-unitaria e il suo mancato take-off nell’ambito di un “dualismo” che, inventato da Nitti e Fortunato, non nega l’esistenza di un soggetto unitario. In quel libro Lupo già indicava nel racconto del mancato decollo del Mezzogiorno e del dualismo entro il quale lo si costringeva, lo stereotipo per eccellenza. E’ l’obiettivo del nuovo libro “La Questione”, edito da Donzelli (pp.203, euro 19,00).
Il libro di Achille Occhetto La gioiosa macchina da guerra (Riuniti 2013) più che una memoria è u... more Il libro di Achille Occhetto La gioiosa macchina da guerra (Riuniti 2013) più che una memoria è una riflessione sulla memoria. La seconda parte, almeno più pronunciatamente nella parte iniziale, è un commento a memorie già scritte come a soppesarne la verità almeno individuale. Per correggere i vizi rettilinei della memoria, le sue inevitabili falsificazioni che rendono coerente ciò che nella vita spesso coerente non è di per sé, Occhetto ricorre a due immagini, a due metafore sul tempo che sono, credo, l'asse portante del suo modo di ricordare e di scrivere. La prima: "Ci sono anni o fatti che si collocano come al centro di un gorgo nel quale attraggono tutti gli eventi che li precedono o li seguono. Quel tipo di eventi determina in tal modo una sorta di contemporaneità rispetto a se stessi, coinvolgendo l'insieme di un'epoca spirituale dentro un unico spazio temporale, indipendentemente dal fatto che siano accaduti prima o dopo."(p.169) La seconda: "Non c'è un unico treno del tempo che porta in un'unica direzione a velocità costante, ogni tanto s'incrocia un altro treno, che viene dalla parte opposta, dal passato e per un tratto quel passato c'è accanto, al nostro fianco nel nostro presente." (p.298)
Feltrinelli, Palermo ,14 settembre 2016 Si accatastano polverosi nelle Capitanerie di porto. Son... more Feltrinelli, Palermo ,14 settembre 2016 Si accatastano polverosi nelle Capitanerie di porto. Sono spesso malconci, al limite della leggibilità. Sono registri. 61 centimetri per 43. Aperti, sviluppano 86 centimetri. Recano la dizione: Matricola della Gente di Mare di Prima Categoria. Per secoli la Capitaneria di porto di Palermo e quelle di altri porti siciliani vi hanno annotato la vita marinara di migliaia di navi e di marinai. "Tutto il mare vita per vita" scrive Mario Genco sul limitare di questo suo bellissimo studio Gente di mare.1. Dal Mediterraneo all'Oceano, edito da Torri del Vento (pp.175, euro 14). Primo dei tre volumi-già scritti "con attenzione, pazienza e amore"-che ricostruiscono una storia possibile della gloriosa e rimossa marineria siciliana dalla fine del XVIII secolo sino alla prima metà del XX secolo. L'11 maggio 1789 difatti sorse a Palermo il Regio Seminario Nautico progettato e fondato da monsignor Giuseppe Gioeni e Valguarnera dei duchi d'Angiò e Giovanni Fileti, Pilota maggiore della Reale Marina la cui famiglia nel tempo darà alla città gente di mare ma insieme geografi, teorici dell'arte nautica, ingegneri navali, direttori di macchine e ben sei direttori dell'Istituto nautico palermitano. Gente di mare affianca l'altro memorando saggio di Genco I Pirandello del mare (XLedizioni e Istituto Gramsci siciliano, 2011). Storia di una famiglia di armatori, colonna portante della marineria commerciale siciliana. È la famiglia di Luigi Pirandello! Cinque generazioni di naviganti e commercianti del mare: una dinastia sterminata che si intrama con altre dinastie di marinai i Rallo, i Vella, gli Onorato, i Fileti, i Lo Vico, i Cricchio. E queste famiglie-osserva Genco-furono il cuore vitale dinamico di Palermo insieme agli Ingham-Whitaker, ai Florio, ai Pojero, ai Bordonaro, ai Di Pace, ai Lo Vico. Con Gente di mare Genco consolida le basi di una storia sinora inedita non solo della marineria siciliana ma della stessa modernità in Sicilia che la Marina incarna.
Iniziamo questo ciclo di conversazioni sulla Costituzione italiana in ricorrenza si del sessantes... more Iniziamo questo ciclo di conversazioni sulla Costituzione italiana in ricorrenza si del sessantesimo dalla sua promulgazione, ma soprattutto, dopo un referendum che ha bocciato le proposte di riforma costituzionale dell'attuale governo, e in un periodo in cui le sue striscianti tentazioni autoritarie-che includono la proposta del presidenzialismo-lo portano a decidere-al di là delle sporadiche dichiarazioni sulla necessità che le regole del gioco si cambiano insieme-a far da solo, anzi come si sente ripetere con orgoglio, ad andare avanti. È questo autistico andare avanti che ci preoccupa.
A proposito del libro di Francesco M. Cataluccio, Vado a vedere se di là è meglio. Quasi un brevi... more A proposito del libro di Francesco M. Cataluccio, Vado a vedere se di là è meglio. Quasi un breviario mitteleuropeo, Sellerio 2010 . Palermo, La Kalesa, 8 luglio 2010
A proposito del volume di Giorgio Longo, Liberté. Sguardi francesi sull'Unità italiana 1859-1861 ... more A proposito del volume di Giorgio Longo, Liberté. Sguardi francesi sull'Unità italiana 1859-1861 (Kalòs, Palermo 2011) Storia Patria, Palermo, 6 dicembre 2011 "La bellissima metropoli dell'isola presentava uno spettacolo tale da lacerare il cuore. Un intero quartiere vicino al Palazzo Reale … era ridotto ad un ammasso di rovine ancora fumanti. Famiglie intere era bruciate vive nelle case e le atrocità commesse da alcuni appartenenti alle truppe regie nella loro ritirata dai Conventi delle Benedettine e dell'Annunziata erano spaventose. In via Toledo e nelle altre strade vicine, conventi, chiese e palazzi della nobiltà erano stati demoliti dalla caduta delle bombe di cui millecento sparate dalle fortezze e duecento dalle navi da guerra": così annota l'ammiraglio Mundy, che comandava le navi inglesi nel porto nei giorni in cui i garibaldini espugnarono Palermo. Sotto le macerie furono trovati seicento morti civili cui vanno aggiunti i combattenti. Gustave Le Gray, il grande fotografo francese arrivato a Palermo al seguito di Dumas padre, ci restituisce l'immagine che le parole dell'inglese Mundy descrivono. Ospite insieme a Dumas del palazzo reale dove risiedette Garibaldi, Le Gray ci offre la visione dell'Albergheria come fondale di sfacelo e desolazione del dopo bombardamento della statua a Filippo V: il color seppia è rischiarato da primo sole mentre come osserva con finezza Giorgio Longo, nel libro che oggi discutiamo, in primo piano v'è un lampione spezzato colpito forse da un tiro d'artiglieria. L'altra foto sulla quale Longo richiama la sua attenzione è ancora ripresa da un balcone del Palazzo Reale e ritrae la facciata del palazzo arcivescovile "e rivela uno spiazzo ancor privo di palme, sconsolatamente spoglio di ogni ornamento in cui spiccano ad intervalli regolari dei lampioni simili a forche che sottolineano l'atmosfera spettrale della posa". (p.46) Ma le parole di Mundy suonano letteralmente come una didascalia alle due foto di Le Gray: Via Toledo e Le macerie di palazzo La Grua-Talamanca sventrato dalle bombe. "Sono immagini precise, nette, che mettono a nudo senza pudore queste ferite. L'inquadratura di questa celebre foto non lascia scampo all'osservatore, il piazzale antistante è inondato dal sole, l'obiettivo di Le Gray fissa con cruda precisione le rovine e sembra quasi entrarvi dentro; l'immagine che rimbalza subito in molti giornali con la didascalia Le Palais Carini dopo i bombardamenti, offre ai lettori dell'epoca lo spettacolo dei bombardamenti compiuto dai cannoni borbonici sulla città." Un altro celebre fotografo Eugène Sevaistre fotografa le stesse rovine, insieme a Le Grey, Sevaistre è il protagonista di questo libro che racconta come nel maggio-giugno 60 nella stampa francese, la spedizione dei Mille sia diventato il primo grande fotoreportage di una guerra. È vero le foto venivano convertite in incisioni e i confronti tra foto e incisioni che il libro di Longo ci consente in alcuni casi, sono abbastanza indicative della manipolazione che i giornali facevano della foto risucchiando il realismo in un misticismo patriottico individuale o di massa. I settimanali-Longo si sofferma soprattutto su: "L'Illustration" (18 mila copie), "L'Univers" (13 mila), "Le Monde Illustré" (33 mila) che inseguono la guerra spettacolo: scenari, masse in movimento, condottieri. Inseguono soprattutto Garibaldi rendendolo un mito a cavallo come Napoleone, un nuovo spirito del mondo a cavallo. Ma questi stessi giornali sono pronti, una volta sbarcati i Mille in Calabria, a farsi attrarre da altri conflitti come quelli in Siria o dalla più esotica e lontana guerra dell'oppio. Anche se in questa deviazione molto concorrerà l'ondivaga politica di Napoleon le Petit disponibile a promuovere il mutamento purché per una causa non rivoluzionaria. Nel giugno 1860 a Napoleone sembra essere sfuggita la situazione di mano. A lui che proponeva una confederazione con a capo il papa, a suo insaputa un popolo in armi indicava la via dell'unità. Nel giugno 1860 l'attenzione è tutta per la Sicilia e per l'Italia grazie soprattutto a Dumas che in verità si era già imbarcato per un grande viaggio culturale in un elegante yacht di nome Emma. Vi
Un lungo incantesimo. Incantesimo di "una vita fin troppo operativa anche se dai risultati abbast... more Un lungo incantesimo. Incantesimo di "una vita fin troppo operativa anche se dai risultati abbastanza scarsi. Per quanto mi riguarda, quel che ho fatto ho fatto: qualcosa di buono, nulla di cattivo. Molto di inutile." Così si dice Simona Mafai, dirigente comunista (è stato senatore della repubblica, consigliere comunale a Palermo del Pci), a Giovanna Fiume, nel corso di una lunga intervista-racconto in forma di libro e il cui titolo è appunto Un lungo incantesimo (Gelka,1999). Ed è stridente il contrasto tra l'incantesimo vissuto e il molto di inutile che si dice di aver fatto. Ma è in questo stridio tra le due parole, come di freni sulle rotaie, che sta la chiave, il segreto di una vita fin troppo operativa e che la Mafai rievoca con partecipazione, incantamento, vis polemica, ma soprattutto con vigile senso della concretezza, della dimensione delle cose, con un tono veloce attento e sempre antiretorico.
Il libro di Bianca Stancanelli su don Giuseppe Puglisi, inizia con una ballata, una Moritat, in ... more Il libro di Bianca Stancanelli su don Giuseppe Puglisi, inizia con una ballata, una Moritat, in cui l'autrice dice chi è il personaggio protagonista della sua narrazione; come fu ucciso; perchè fu ucciso e come il suo assassino si pentì. Bianca-cantastorie riassume in sette quadri l'attimo finale della storia del parroco di Brancaccio: la storia di un uomo che ha avuto coraggio. Do' peso a questa pagina iniziale tutta concentrata sull'assassinio, alla sua scrittura declamata, perché chiarisce subito l'approccio, il carattere di questa narrazione-reportage. Ed è un approccio laico ed epico, nel modo in cui sono epici i fatti dei cantastorie. Un fatto illustrato come un gesto sociale dal quale trarre una lezione morale. Qui sta la differenza con il bel libro che Francesco Deliziosi ha dedicato alla vita di don Pino, a padre 3P
La rivolta d'Ungheria accade nel '56 quando era stata ultimata la bonifica del rione Villarosa. ... more La rivolta d'Ungheria accade nel '56 quando era stata ultimata la bonifica del rione Villarosa. L'area ricavata dalla distruzione del palazzo omonimo fu occupata da due enormi palazzoni che divennero sede delle due importanti banche siciliane. Tra di loro uno spazio delimitato a nord dal grattacielo INA, l'Empire palermitano, con tanto di antenna e luce rossa come avviso agli aviatori. Aspettavamo King Kong ma nell'affabulazione palermitana l'evento non è registrato. In mezzo un grade spazio vuoto. Che farne? Si optò per un enorme parcheggio all'aperto in cui ogni spazio auto era contrassegnato da un parchimetro al centro. Di notte il parcheggio acquisiva un aspetto lugubre: sembrava un cimitero di guerra e immaginavo di coronare le croci-parchimetri con gli elmetti. Come chiamarlo? Butera ci dice-in un capitoletto molto ironico del libro-che ci venne incontro la storia. Fu chiamato piazzale Ungheria, a furor di popolo? si chiede sarcastico l'autore. Forse consapevole e lusingato di essere emigrato nella Mitteleuropa il piazzale, la sera iniziò a coprirsi di una fitta nebbiolina blu. Me la ricordo benissimo. Anche se non potrei proprio giurarci. Palermo s'innamorò della rivolta che non era proprio antisocialista, come si accorse anche Montanelli. Ma i suoi lettori pronti a seguirlo su tutto, anche nel considerare pieds noirs i siciliani, questa volta non gli credettero. Budapest si sta liberando dal giogo sovietico-si dicevano-e issa la bandiera occidentale della libertà. Le cose, come si sa, andarono diversamente e Radio Budapest chiuse urlando: "Europa, moriamo per voi!" Lo ricorda Kundera dopo l'altra capitolazione, quella di Praga. Butera annota che in quei giorni al Biondo per gli "Amici della musica" il celebre violinista Szeryng, ospite abituale delle stagioni old fashion del Commendatore Gibilaro, patron dell'Associazione, fu accolto da quella che per obbligo oggi si chiama standing ovation. Viva l'Ungheria libera. ll violinista ricambiò generoso con alcuni bis. In prima fila l'ex direttore del Banco Capuano. Ma se la borghesia aveva fatto la sua parte, l'altra Palermo quella popolare che includeva buona fetta della middleclass aveva celebrato la rivolta ospitando allo stadio la squadra di Budapest, l'Honved, capitanata da Puskas. Il Palermo giocò con quei magnifici, perse, ma segnò almeno un goal, mentre tutti ci spellavamo le mani. Avevo 11 anni e mio padre mi spiegava la geometria perfetta del gioco danubiano tutto rasoterra come illustrava dai microfoni della Rai un palermitano doc Carosio. Inventore di un lessico della radiocronaca tramandata a base di "quasi goal", "la palla ha fatto la barba al palo", ecc.
Lo stregone, la prima vita di Indro Montanelli di Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Einaudi 2006) è... more Lo stregone, la prima vita di Indro Montanelli di Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Einaudi 2006) è un libro che parla di una declinazione dell'identità italiana, esemplata sulla biografia di un suo artefice principale insieme e secondo solo a Leo Longanesi inventore di "Omnibus" negli anni trenta è "il Borghese" negli anni cinquanta, acclarato maestro di vita, mestiere e lingua arguta del nostro e morto anzitempo nel '57. Grazie alla sua lunga e attiva vita Montanelli è rimasto il testimone più indomabile della visione di un italiano anti-antifascista, argutamente qualunquista, aspirante ad una destra elitaria come è ovvio che sia fieramente anticomunista, non nostalgica non pecione di ascendenza tutto sommato, specialmente nella polemica antiparlamentare, di Gaetano Mosca-almeno del primo Mosca. È ancora un libro che parla della funzione del giornalismo come strumento per la formazione di un'immagine del carattere nazionale. Montanelli più ancora di Longanesi è il giornalista in questo senso più influente forse dall'Unità-insidiato in questo primato soltanto adesso da Eugenio Scalfari-per la sua presenza e non tanto nel Borghese di Longanesi ma soprattutto al Corriere della sera sino al '68-quando se ne andò-una seconda volta-perché Ottone ne faceva un giornale credo che credesse bolscevico; e poi al Giornale Nuovo-la sua vera creatura dalla quale per ironia o astuzia della storia fu sfrattato dall'homunculus da lui stesso generato-anche se non riconosciuto anzi avversato perché non rispondente alla sue intenzioni-ma accanitamente costruito in lunghi anni di polemica sui fondamenti della Repubblica .E infine alla Voce-e Montanelli aveva 85 anni-che dichiarando nel titolo il suo omaggio a Prezzolini chiudeva il cerchio di un modo di raccontare e di inventarsi il carattere italiano, in una posizione di stallo senza speranza. Non condivise Montanelli l'apotismo prezzoliniano perché conservava un guizzo, una verve polemica quasi un riflesso condizionato che gli imponeva di parlare, scrivere e soprattutto di stigmatizzare. Ricordo le interviste televisive di fine settimana a Elkann dinnanzi alla sua Olivetti 22: magrissimo, dinoccolato le grandi mani che tagliavano lo spazio, i maglioni dolce vita, e il suo tono apodittico tagliente. Elkann con tono pacato gli faceva da umile spalla suggerendo un nome, un avvenimento della settimana e lui giù a rispondere come se dettasse un articolo. Preciso, arguto, aggressivo, con un vocabolario ricco molto letterario primi novecento: chi se non Montanelli poteva usare con tranquillità l'aggettivo stortignaccolo sapendo benissimo che ormai la maggioranza dei suoi ascoltatori o lettori quel vocabolo certamente sconoscevano. Dunque formazione di una immagine dell'identità nazionale e giornalismo sono i due oggetti che abitano la vita di Montanelli e sui quali brevemente vorrei soffermarmi. Dicendo subito il mio apprezzamento per gli autori del libro. Se Gerbi continua con costanza e forse con una punta di masochismo la ricostruzione delle maschere della malafede della comedie italienne (ricordo il libro di Gerbi su Piovene la cui biografia
Il cuore del disincanto batte in accelerando da pagina 68 a pagina 80 di Romanzo Civile che la S... more Il cuore del disincanto batte in accelerando da pagina 68 a pagina 80 di Romanzo Civile che la Saladino scrive nel 1983 (ma esce postumo per Sellerio nel 2000). Il titolo si rifà ad una illustre tradizione europea inaugurata dal Wilhelm Meister di Goethe, il romanzo di formazione in cui si costruisce l'uomo faber, l'uomo dell'uso pubblico della ragione per uscire dalla minorità. Romanzo civile dovrebbe costruire il mondo, ma scritto nell'83-quando Giuliana da anni aveva lasciato il L'Ora e insieme a Marcello ripara operosamente tra le mura di via Maqueda e gli spazi agresti sotto Alcamo, a Tufanio, dove si aggirava una jeep americana vanto di Marcello-è in effetti la cronaca di una disfatta. Così com'era stata l'insuperabile Terra di rapina, pubblicato, da Einaudi, nel '77. Da pagina 68 a pagina 80, Giuliana azzera le sue speranze: "la caduta degli dei", così era sta chiamata la riforma agraria, diviene soltanto caduta e i contadini scappano valigie in mano sul treno del sole o la freccia del sud destinazione Torino, Milano e oltre: la Germania dove si ghettizzavano per accumulare, facevano i crumiri, e per rabbia invece di gettare per terra le cicche accese delle sigarette sucate sino a bruciarsi i polpastrelli, per non offendere la pulizia tedesca, le gettavano direttamente dentro le buche delle lettere incendiandole; oppure, negli sporadici ritorni a casa, per rabbia distruggevano le vetture ferroviarie. Poi arrancando valigia in mano verso casa qualche buontempone li apostrofava:" Pipppinu, cchi fa', stai partennu?" Il disincanto di Giuliana è colmo di furore trattenuto, il fuoco delle sue sigarette divampava come una immaginario falò dentro cui gettare le speranze e le incomprensioni del glorioso partito Ad Agrigento con Marcello Cimino-che lasciò promettenti studi di storia delle idee politiche e scelse di divenire invece segretario della federazione-battevano il territorio e alle domande elementari casa, acqua, pane, salute, libertà della donna, rispondevano alzando il tiro: la bomba atomica, il patto atlantico, la Corea. Perché sulla casa, l'acqua, il pane, la salute, la libertà delle donne potevano mobilitarsi, spronare ma non erano, come dire, nella loro disponibilità immediatamente politica, perché non erano forze di governo, ma classe dirigente non riconosciuta dell'opposizione. È un concetto chiave-questo-per capire Giuliana, Marcello, i comunisti e, sino ad una certa data, i socialisti siciliani.
Era il 68. Occupavamo la facoltà di lettere ed era l'ora dei dottorini. Saremo cacciati via dal m... more Era il 68. Occupavamo la facoltà di lettere ed era l'ora dei dottorini. Saremo cacciati via dal movimento in ottobre. Brutto mese, si sa, per i kerenskiani. Un giorno apparve un giovane alto, energico simpatico. Veniva da Milano ed era un katanga. Sfrontato diretto soprattutto con le ragazze che nutrivano sospetti sulla sua pulizia personale, dormiva in casa dei compagni dove tirava sino all'alba affabulando e giocando. Si chiamava Sergio Restelli. I compagni erano generosi ma anche sospettosi come allora si usava. Poi una mattina Restelli se ne andò. E non ne sapemmo più nulla. Passano gli anni. Siamo nell'85. C'è Martelli a Villa Igea, vicesegretario nazionale, Craxi è presidente del Consiglio. Ci vado anche perché volevo parlare se non con lui almeno con qualcuno dei suoi collaboratori per dirgli del settimanale Cronache che Angelo Arisco ed io insieme a Giuseppe Barbaccia, sponsor Filippo Fiorino facevamo da quasi tre anni e che stava chiudendo. Aspettavo e al bar mi si avvicinò un signore ben vestito molto english dalle scarpe in su. Mi guarda e mi dice: "e allora?" "E allora? " rispondo. "Ma come non mi conosci " fa lui. "Mi dispiace" rispondo. "Sono Restelli. Ti ricordi?" La mia risposta mi fa ridere ancora oggi per il lapsus evidente che trattiene : "ma cosa ti è successo?" "Niente"-fa lui impassibile-"a Milano ho incontrato Martelli ed eccomi qua". Lo guardai ammirato. Era questa la rivoluzione martelliana? Un giovane katanga che diviene un perfetto gentleman?
Sala gialla, Palazzo dei Normanni, 28 novembre 2013 Come ha scritto Reinhart Koselleck:" La perma... more Sala gialla, Palazzo dei Normanni, 28 novembre 2013 Come ha scritto Reinhart Koselleck:" La permanenza di una parola nel tempo non è sintomo sufficiente dell'identità e del significato di questa parola". È questo un principio metodologico fondamentale per intendere i rapporti tra concetti, parole della politica e struttura sociale. Se si ripercorre la storia della Sicilia e delle sue istituzioni ci si imbatte nel concetto di autonomia la cui permanenza nel tempo non è sintomo dell'invarianza del suo significato. Di fatti si parla di autonomia regionale ricollegandola, sfondando i secoli, agli anni gloriosi dei normanni e di Ruggero II. In nome di questa permanenza si è scritto le récit idéologique di una lunga storia occultandone le fratture. Fratture irrimediabili che pongono seri problemi interpretativi a quelle narrazioni che, con lo scopo di leggere la storia come unitariamente rivolta alla realizzazione dell'autonomia, si ostinano a darne lo stesso significato nel tempo. Ma i concetti o le parole della politica subiscono il tempo, si trasformano persistendo. È il caso dell'autonomia regionale in Sicilia. Quando l'assemblea regionale siciliana si riunì per la prima volta il 25 maggio del '47 (lo statuto era stato approvato il 15 maggio del '46) qui a Palazzo dei Normanni, si è creato una sorta di corto circuito che ha gravato su tutta la storia e la lettura che si è fatta e si fa dell'autonomia. Dinanzi a quella seduta ci dobbiamo chiedere se essa coronava la millenaria storia sicilianista che parte da Ruggero II, oppure celebrava una storia breve iniziata, nel 1860 con la relazione presentata dal Consiglio straordinario di Stato convocato in Sicilia con decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860, del proditattore Mordini al quale tanto teneva Renda sino a sottolinearne il valor premonitore durante le celebrazioni del 150 anniversario dell'Unità d'Italia o ancora nel 1896 con il Memorandum socialista sull'autonomia richiamato negli anni Cinquanta da Panzieri allora segretario regionale del Psi e presente nel progetto di Mineo, quando finalmente l'autonomismo si arricchì del vocabolario dei diritti sociali e della partecipazione popolare? È una domanda fondamentale per capire che cosa sia lo statuto della regione siciliana: se si tratta cioè dell'ultima tappa dell'evoluzione della millenaria sicilitudine o un passo avanti nel percorso di emancipazione sociale del popolo siciliano.
Per me, ma per tutti noi il '43, lo sbarco degli alleati è' una foto. Quella di Robert Capa con i... more Per me, ma per tutti noi il '43, lo sbarco degli alleati è' una foto. Quella di Robert Capa con il soldato americano che sebbene accosciato ha la stessa altezza del pecoraio che munito di una lunga pertica che fuoriesce dall'inquadratura indica la direzione all'americano. È una fotografia emblema, forse costruita, ma che mette didascalicamente a confronto il volto arcaico della Sicilia, e la modernità che si presenta come spesso è accaduto in Europa, da Napoleone in poi, con la guerra. Berretto di lana contro elmetto, scarpe di lana e pelle contro gli stivali. Il corpo del contadino come un olivo storto, le gambe segnata dall'arco dell'asino, la mano nodosa che stringe appena la pertica, il camicione di cotone grezzo opaco a righe o forse a quadri, pantaloni e gilè di rude velluto a coste larghe, la barba ingrigita, i sopraccigli folti e contratti mentre gli occhi puntano su un orizzonte forse invalicato. Segue attento l'indicazione il bravo ragazzo americano dalle mani lunghe che sembrano ben curate, al polso un braccialetto, la camicia sembra stirata da poco e i polsini sono abbottonati. Sullo sfondo terra bruciata marezzata, cespugli, e più in la un filare d'alberi che si va ingrossando in, un quasi bosco polveroso. Già l'erba secca, secchissima, in primo piano, di quella calda estate, emana polvere. Tutta la foto emana caldo e polvere.
Già nel '46 David Rousset pubblicò a Parigi il volume sui Lager nazisti intitolato L'univers con... more Già nel '46 David Rousset pubblicò a Parigi il volume sui Lager nazisti intitolato L'univers concentrationnaire ; nello stesso anno Eugen Kogon intitolava Der SS-Staat la sua ricerca sui campi di concentramento. Se Kogon identificava nella forma-lager, la forma-stato del nazismo, e precisamente delle SS; Rousset ne sottolineava in qualche modo la separatezza. Ma non è così.
Quando nell'autunno del '79 Salvo Cangelosi s'imbatte nella figura massiccia e solenne di Ubaldo ... more Quando nell'autunno del '79 Salvo Cangelosi s'imbatte nella figura massiccia e solenne di Ubaldo Mirabelli, il Professore è al suo apogeo. È da due anni sovrintendente del Massimo. Lunedì 18 luglio 1977 alle ore 21, 45, la voce del Sindaco Carmelo Scoma lo strappò-così raccontò ai giornalisti qualche giorno dopo-dallo studio delle sue amate grotte bizantine. Ma in città Mirabelli era ben noto da decenni, sin dagli anni Cinquanta. E lo era perché affascinante professore di storia dell'arte. Al Liceo Vittorio Emanuele con gioco sapiente di diapositive faceva dialogare l'antico con il moderno abituando ad una relativizzazione dello sguardo. Perché dotto critico musicale. I lettori del "Giornale di Sicilia" seguirono per cinque anni dal 1957 al 1961 le sue cronache musicali scritte con una prosa alta colta intessuta di riferimenti crossover tra arte, letteratura, filosofia, scienza. Molte delle sue cronache-poi raccolte in un volume Momenti del Teatro musicale (1977)-sono caratterizzate da continui sconfinamenti sorretti dall'idea giusta che la musica è un elemento portante del sistema culturale che Mirabelli voleva, per formazione, unitario e senza compartimenti stagni. Probabilmente sta in questa sua erranza inquieta, curiosa, moderna la sua cifra di intellettuale.
F.Griessener, A.Vignazia , 150 Jahre Italien, 2014
Es war im Jahr 1882, als Ernest Renan vom ‚Zentralbahnhof' Europas, Paris, kundtat was eine Natio... more Es war im Jahr 1882, als Ernest Renan vom ‚Zentralbahnhof' Europas, Paris, kundtat was eine Nation bedeutet: "Une Nation est donc une grande solidarité, constituée par le sentiment des sacrifices qu'on a faits et de ceux qu'on est disposé à faire encore ; elle suppose un passé; elle se résume portant dans le présent par un fait tangible ; le consentement, le désir clairement exprimé de continuer la vie commune" (Renan 1921, 70). Aus der Peripherie Europas, von Palermo des ‚beschlagnahmten Siziliens', schreibt im selben Jahr Gaetano Mosca, ein vielversprechender junger Mann, in seiner Doktorarbeit Sui fattori della Nazionalità, dass gemeinsame Erfah-rungen zur Entwicklung eines Gefühls von Solidarität und Brüderlichkeit führen: "comunanza della vita e delle sconfitte sviluppa il sentimento della solidarietà e della fratellanza" (Mosca 1986, 110). Er spricht davon, dass " uno spirito comune viene a formarsi e con essa una nuova nazione si afferma." (Mosca 1986, 102; vgl. Violante 2003, 275-288) Die Übereinstimmung zwischen Mosca und Renan zeigt die Reife einer Reflexion über die Einigung oder vielmehr die Art und Weise, wie ein Diskurs über die Eini-gung, der die gemeinsamen Erinnerungen hervorhebt und die trennenden verdrängt, geschaffen wird. Es muss ein Gleichgewicht zwischen Erinnerung und Vergessen geben: Wenn das Gleichgewicht zerbricht, tritt die politische, soziale und diskursive Zersplitterung zutage, die unter dem ‚Gips' der Einigung verborgen ist. Wenn Massi-mo D'Azeglio schreibt, dass nach der staatlichen Einigung nun die Italiener gemacht werden müssen, meint er damit auch, dass eine Erzählung geschaffen werden muss, in der sich die Italiener wiedererkennen und mit der sie sich identifizieren. Dies ist notwendig, um nach dem Verstummen der Waffen, die gegen die externen Feinde eingesetzt wurden, die erste Frage jedes Unabhängigkeitskrieges zu beantworten: "Wer hat die Macht?" und um-nachdem die Waffen durch Gesetze gegen die in-ternen Feinde ersetzt wurden-die zweite, komplexere und tiefgreifendere Frage zu Eine Nation ist daher eine große Solidarität basierend auf dem Gefühl der dargebrachten Opfer und derjenigen, die man bereit ist, aufzubringen. Sie setzt einen Vergangenheit voraus; sie wird in der Gegenwart durch ein greifbares Faktum zusammengefasst: den Konsens und den deutlich ausgedrückten Wunsch, das gemeinsame Leben fortzusetzen.
M.Moussanet ( a cura di), Duemila.Verso una società aperta, 2000
"Si può dimostrare come l'idea del dominio universale romano, dell'imperium, della monarchia-come... more "Si può dimostrare come l'idea del dominio universale romano, dell'imperium, della monarchia-come si disse più tardi-, si sia trasferito a imperatori e a papi, e da questi a singoli stati come la Spagna e la Francia." Così in un saggio sull'essenza e la trasformazione dello stato moderno, Otto Hintze, che, un po' ' oltre, definisce imperialista la politica di quelle potenze accusate di tendere alla monarchia universale e cioè, in ordine cronologico: la Spagna, la Francia, l'Inghilterra. La Spagna di Carlo V, la Francia di Napoleone; l'Inghilterra che già a partire dal XVII secolo mira al dominio generale sul mare e sul commercio. Per Hintze si passa dall'avidità dinastica di potere, forma dell'antico imperialismo del Medi terraneo, all'imperialismo continentale europeo di Napoleone, all'imperialismo oceanico dell'Inghilterra. Lo Stato sovrano dell'epoca moderna-osserva ancora il grande storico "prussiano"-è prima di tutto Stato di potenza, nel contesto del sistema europeo che deve puntare al Gleichgewicht. Dal punto di vista concettuale lo stato di potenza è una delle quattro astrazioni che "arricchendosi ed allargandosi a vicenda rappresentano il tipo ideale di stato moderno." Le altre essendo:" lo stato commerciale relativamente chiuso a forma sociale ed economica borghese-capitalistica; lo stato di diritto e costituzionale liberale con la tendenza alla libertà personale dell'individuo; lo Stato nazionale, che riassume e intensifica tutte queste tendenze con l'orientamento alla democrazia." Di universale, nella storia dello stato moderno, Hintze vede l'idea-forza del dominio che marcia con l'esercito di Napoleone: il primo a coniugare, potremmo dire, la logica di potenza con la difesa "imposta" dei diritti del cittadino inscritti nel tricolore nazional rivoluzionario; e con la flotta inglese alla conquista di piloni sui quali poggiare il tetto del commercio universale. Questa suggestiva e unilaterale idea sullo sviluppo dello stato moderno nasce dalla convinzione che la sovranità sia sovranità dei prìncipi e nient'affatto del popolo; che il motore della storia sia la guerra tra i popoli e che la pressione esterna abbia influito più dei conflitti sociali sull'assetto sociale interno.
G. Barbaccia, S. Muscolino ,C. Scordato ( a cura di), Percorsi dell'Humanum, 2015
Negli anni Venti, ha detto Schönberg, a causa del cattivo tempo, la rivoluzione tedesca ha avuto ... more Negli anni Venti, ha detto Schönberg, a causa del cattivo tempo, la rivoluzione tedesca ha avuto luogo nella musica viennese, all’inizio del secolo, al tempo della rivoluzione atonale, che aboliva la gerarchia tra i suoni, stabiliva l’eguaglianza di diritto tra tutti i suoni. Era questo il senso della rivoluzione atonale che anticipava una rivoluzione reale ma poi avvenuta.
Mi piace riprendere quest’asserzione di Schönberg (almeno secondo H.K. Metzger, anche se generalmente è attribuita a Kurt Tucholsky) perché segnala in un maestro del modernismo l’autocomprensione della modernità come rivoluzione ed insieme la percezione dell’incompiutezza del progetto moderno. In questo raro documento d’identificazione del modernismo con la rivoluzione sociale si segnala subito lo scacco, il ritardo della realtà, come a sottolineare l’insufficienza del vapore utopico per far partire il treno rivoluzionario.
F.Nicastro, M.Figurelli ( a cura di), Era L'Ora, 2013
Nel '54 il giovane Nisticò, nel prendere il timone de L'Ora, sa che, o intuisce che, l'autonomi... more Nel '54 il giovane Nisticò, nel prendere il timone de L'Ora, sa che, o intuisce che, l'autonomia impugnata e svuotata dal centro, dallo Stato, è uno strumento per ridefinire come diritti, come processualità democratica, una identità che deve essere sempre più costituzionale e meno di sangue. E' questa la linea dell'autonomismo democratico che ha radici nel socialismo siciliano ottocentesco e che viene sviluppata da Raniero Panzieri, segretario del Psi in Sicilia nei primi anni Cinquanta. E' la linea di Li Causi,la linea del Pci, in ragione del fatto che i due grandi partiti operai italiani sono forti elementi di nazionalizzazione delle masse meridionali e degli intellettuali meridionali. Se è vero che l'industria culturale italiana nel secondo dopoguerra è sempre più radicata al Nord, è anche vero che i partiti della sinistra hanno cercato in qualche modo di riequilibrare il gap, di legare il sud al nord. La presenza del Pci dietro il L'Ora va letta come saldatura nazionale. Funzione che non va sottovalutata, perché fa de L'Ora soprattutto de L'Ora di Nisticò, per la capacità sua e della sua redazione, u n giornale nazionale instaurando un feedback centro-periferia inusualmente virtuoso. In questo senso affermare che il L'Ora è stato per lungo tempo l'unica testata democratica del meridione d'Italia indica il successo politico e culturale di una operazione editoriale economicamente fragile.
A.Calabrò ( a cura di), Il canto della fabbrica, 2018
L'idea del progresso, come potenza, come accelerazione improvvisa nel tempo attraverso fratture ... more L'idea del progresso, come potenza, come accelerazione improvvisa nel tempo attraverso fratture collettive (rivoluzioni, guerre nazionali), come conflitto e non solo come un continuo regolare dispiegarsi nel tempo della libertà individuale, si struttura con la tumultuosa crescita della rivoluzione industriale. Al centro emerge la fabbrica, il nuovo spazio della produzione delle merci che dà forma e identità ad un nuovo e antagonista soggetto sociale. Negli stessi anni, il teatro musicale non esibisce più i chiusi salons aristocratici, ma liberi esterni affollati da masse in conflitto: Druidi contro Romani nella Norma, protestanti contro realisti aristocratici nei Puritani e negli Ugonotti, Ebrei contro cristiani nell'Ebree di Meyerbeer (1835) e naturalmente nel Nabucco di Verdi (1842). Queste masse che recitano negli spazi aperti ma dipinti dei fondali di un teatro anticipano e rispecchiano il gesto sociale della rivolta nelle strade; ambiscono ad affollare la strada in una continuità stupefacente tra quinte e strada che diviene scena urbana del teatro politico della liberazione. James H. Billington in pagine acutissime ha descritto questo rinvio incrociato tra scena e politica sottolineando la funzione dell'opera come scenario della nazionalizzazione delle masse. Un esempio eclatante rimane La muette di Portici (1828) di Daniel Auber per il suo ruolo catalizzatore dei disordini politici sia nella rivoluzione belga del 1830, sia in altri paesi, soprattutto in Germania, a Francoforte dal ' 31 al '48. Nel '48, nelle giornate di marzo del 1848, la rivolta viennese coinvolge il musicista tedesco, emigrato a Vienna, Albert Lortzing (1801-1851)1 che "in diretta" scrive un'opera ambientandola direttamente in uan fabbrica.
P.Misuraca ( a cura di), Luigi Rognoni intellettuale europeo, 2010
In questa epoca ambigua (1945-1969). Luigi Rognoni, considerazioni politiche, è dedicato all... more In questa epoca ambigua (1945-1969). Luigi Rognoni, considerazioni politiche, è dedicato alle battaglie politiche di Rognoni tra il 1945 e il 1969, così come emergono dalle carte conservate in archivio. Contro il colonialismo francese, contro la rifascistizzazione italiana, contro la bomba atomica, contro la guerra americana in Viet Nam. Liceale antifascista, resistente, comunista bordighista. Il ’68 lo coinvolse e Rognoni ne difese gli studenti chiedendosi se fossero una nuova classe data per scontata l’integrazione di quella operaia. Su questo terreno voleva coinvolgere in una bella lettera Adorno, ma Adorno tace forse presago della contestazione in casa che di lì a poco subirà.
La politica si risolve nella filosofia: marxismo, fenomenologia, esistenzialismo, francofortismo, sono variabili politiche e filosofiche.
Salvo Licata, Storie e cronache della città sotterranea, Sellerio, 2013
O mon pays! pays tant regretté L'exilé te salute après trois ans d'absence! Sur tes bords, autref... more O mon pays! pays tant regretté L'exilé te salute après trois ans d'absence! Sur tes bords, autrefois, j'ai reçu la naissance Je m'acquitte aujourd'hui …Voici la liberté! Et toi, Palerme,ô beauté qu'on outrage, Et toujours chère à mes yeux enchantés!... Lève ton front courbé sous l'esclavage, Et redeviens la reine des cités!
G.Ingarao ( a cura di), Il memoriale italiano di Auschwitz, 2010
Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz Forse ci voleva la tracotanza dei miei venti anni per tr... more Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz Forse ci voleva la tracotanza dei miei venti anni per trascinare Luigi Nono, a Palermo per l'ultima settimana di nuova musica, al teatro dei Cantieri navali dove avevo pasticciato su un nastro il Tristan-Akkord con The Stars and Stripes Forever come colonna sonora di uno spettacolo di Gabriello Montemagno " Non sputate sulla minestra". Ricordo con rossore la sua disponibilità, la sua gentilezza. Così come era stato disponibile con gli studenti del Liceo Meli che occupavano la scuola, discorrendo insieme a Franco Evangelisti, sulla musica, sul senso della musica, sul senso sociale della musica. Era il dicembre del 1968. Al centro di una foto che allora pubblicò il "L'Ora", Nono in eskimo, la mano sulla bocca, meditabondo, mentre guarda Evangelisti che nella foto è all'angolo destro in basso, di spalle , la mano destra piegata e la sua nuca dai capelli radi, da chierico. Quella foto, che ho conservato, mi restituisce l'immagine di un'epoca di una "durezza rugosa", per usare una definizione che della musica di Nono diede Mario Bortolotto in un fondamentale saggio del 1969. A Palermo nel 1968 fu eseguito per la prima volta Contrappunto dialettico alla mente per nastro magnetico con testi di Balestrini, Sanchez, il manifesto delle "Enraged Women". Nel programma di sala Nono così lo presentava : " Materiali di partenza miei: voci e rumori del mercato del pesce e della verdura di Rialto in Venezia. Nella elaborazione e composizione elettronica il naturalismo si è trasformato anche semanticamente in voci e rumori di popolo sia di fronte all'assassinio di Malcom X (I episodio) sia all'aggressione imperialista del Vietnam (IV episodio)". Contrappunto era stato commissionato dalla Rai, per il premio Italia, ma non venne presentato al premio perché il IV episodio offendeva gli Usa. E Nono così concludeva la sua presentazione: " Come Il canto sospeso dedicato " a tutti loro", i condannati a morte della resistenza europea, come La fabbrica illuminata dedicata " agli operai della Italsider di Genova", come A floresta è jovem e cheja de vida dedicata al "Fnl del Vietnam", anche la dedica di questa mia recente composizione testimonia il rapporto tra scelta ideale e i vari commissionari del mio operare" Commissionari : è in questa parola che si annida il senso della missione artistica di Luigi Nono. E' una parola difatti che dice schematicamente del mandato imperativo che lega un artista ad una classe, al cui servizio si pone. "Per me personalmente far musica è intervenire nella vita contemporanea, nella lotta contemporanea di classe…" Lo scandalo Nono negli anni Cinquanta e poi negli anni Sessanta, sta tutto qui: e le sue prese di posizione finivano con il far abbreviare le opere in letture ideologiche. La naiveté delle dichiarazioni di parteggiare per gli oppressi, per le donne, i negri, il Vietnam gettava un'ombra semplificatrice su un lavoro complesso stratificato tramato da erudite allusioni. Basta leggere la lunga e bella intervista che Nono ha rilasciato ad Enzo Restagno 1 per rimanere ammaliati da una esistenza giocata con ingenuità sugli aspri crinali del linguaggio. Il rapporto con Maderna, le letture dei grandi trattati di composizione, lo studio delle tecniche compositive dei fiamminghi. L'incontro decisivo con quel mago che fu Hermann Scherchen: grande direttore, dal passato weimariano di agit-prop comunista, apostolo della musica moderna, con la passione per la musica elettronica: inventò un altoparlante girevole, "una specie di prisma che ruotando in vario modo proiettava i suoni"; l'innamoramento per la grande cultura " costruttivista" russa,per la cultura della repubblica di Weimar. E per la Grande Vienna di Schoenberg. Dall'esperienza russa e da quella weimariana Nono ha tratto il modello dell'engagement che è nel linguaggio e non fuori dal linguaggio così come appunto praticava Hanns Eisler. L'iperintellettualismo
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Cronache musicali e postille con l'idea guida appresa a "L'Ora" che un pezzo di critica musicale sia un pezzo di critica sociale; che il canone musicale delineato dalla programmazione delle istituzioni musicali sia un parametro non solo del gusto ma in generale dell'identità civile di una città.
Ho preferito ordinare le cronache non in ordine cronologico ma alfabetico per fissarne il carattere di repertorio della musica eseguita a Palermo tra fine Novecento e i primi due decenni del XXI secolo. E Palermo come le altre città italiane conferma la tendenza generale alla contrazione del canone e la diffidenza verso la musica forte ( come afferma Quirino Principe) e contemporanea, alimentata nel suo caso dal pregiudizio estetico che essa non comunica. Eppure Palermo, come soprattutto la Milano di Abbado, ha cercato negli anni Sessanta di fondare una tradizione del Moderno. Quel progetto che ha animato i miei esordi è ormai accantonato.
Correva l'anno 1882. Dalla stazione centrale d'Europa, da Parigi, Ernest Renan comunicava che cosa è una nazione :"una grande solidarietà che presuppone un passato e che si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso". Dalla periferia dell'Europa, dalla Palermo della "Sicilia sequestrata", Gaetano Mosca, giovanotto di belle speranze, nello stesso anno, nella sua tesi di laurea Sui fattori della Nazionalità, scrive che la "comunanza della vita e delle sconfitte sviluppa il sentimento della solidarietà e della fratellanza"; parla di "affetti,ricordi,speranze comuni",dice che in questo modo "uno spirito comune viene a formarsi e con essa una nuova nazione si afferma." La sintonia di Mosca con Renan fa intendere la maturità di una riflessione sull'unificazione o meglio sul modo di costruire un discorso sull'unificazione, mettendo in risalto le memorie condivise e cancellando o rimuovendo quelle non condivise. Vi deve essere un equilibrio tra memoria e oblio: se l'equilibrio salta riemerge la parcellizzazione politica, sociale e discorsiva che l'unificazione ha ingessato.
Palermo, La Kalesa, 8 luglio 2010
Mi piace riprendere quest’asserzione di Schönberg (almeno secondo H.K. Metzger, anche se generalmente è attribuita a Kurt Tucholsky) perché segnala in un maestro del modernismo l’autocomprensione della modernità come rivoluzione ed insieme la percezione dell’incompiutezza del progetto moderno. In questo raro documento d’identificazione del modernismo con la rivoluzione sociale si segnala subito lo scacco, il ritardo della realtà, come a sottolineare l’insufficienza del vapore utopico per far partire il treno rivoluzionario.
La politica si risolve nella filosofia: marxismo, fenomenologia, esistenzialismo, francofortismo, sono variabili politiche e filosofiche.