Maria Fenski was born on 14 August 1905, in Papenburg. At the age of seventeen, she was diagnosed... more Maria Fenski was born on 14 August 1905, in Papenburg. At the age of seventeen, she was diagnosed with “dementia” and hospitalized at the Provinzial-Heil-und Pflegeanstalt Osnabrück, where she remained until 16 January 1923. After a marriage, three children, some happy family years, and various commitments to different clinics, she was killed in Neuruppin State Institution in Brandenburg in 1942, as one of the people murdered in the Nazi Euthanasia Program. Her granddaughter, Hannah, produced a series of sixteen paintings dedicated to her grandmother’s story. There are almost no people in Hannah’s artwork, but empty, lonely, symbolic spaces able to create a bond between past and present. The lack of human figures, the use of cold colors and the blurred edges contribute to creating a suspended atmosphere that seems to be full of painful silences and negations. Hannah transferred onto the canvas an echo of the feelings the victims could have felt, living in conditions they could not u...
La memoria del programma di eutanasia nazista Aktion T4, che tra il 1940 e il 1945, tra le sue di... more La memoria del programma di eutanasia nazista Aktion T4, che tra il 1940 e il 1945, tra le sue diverse fasi, portò all’omicidio di circa 300.000 “vite indegne di essere vissute”, è forse ancora oggi la più problematica tra le memorie dei crimini nazisti e quella la cui elaborazione è più difficile, per la società tedesca. Basandomi sull’indagine che sto portando avanti per la mia ricerca dottorale, attraverso interviste a famiglie tedesche che hanno avuto un parente internato e ucciso in una delle cliniche del programma, ho osservato come a imbattersi in quello che esse stesse definiscono “segreto di famiglia” sia stata la generazione dei nipoti o pronipoti delle vittime, che hanno tentato di lottare contro i silenzi delle generazioni precedenti, le omissioni e talvolta anche contro la volontà di cancellare il ricordo dei parenti uccisi, per ricostruire la storia nascosta della propria famiglia. Se in alcuni casi infatti, non sono state conservate fotografie delle vittime o ne è stato cancellato il volto, in altri esse sono state addirittura ricordate con nomi diversi. La trasmissione della memoria dell’uccisione dei portatori di handicap fisici e mentali ha messo in moto dinamiche tali che rendono questo caso specifico molto diverso rispetto alla trasmissione di eredità traumatiche relative ad altri crimini nazisti. Le famiglie di queste vittime si definiscono infatti, al tempo stesso, parte di due gruppi opposti: se l’essere tedeschi li investe di quella colpa collettiva, “metafisica”, di cui parlava Karl Jaspers, l’aver avuto una vittima tra i propri famigliari gli permette di potersi schierare al fianco delle vittime del Nazismo e quasi li solleva dal peso della responsabilità tedesca. Nel mio articolo, riflettendo su questi temi, illustrerò parte dei dati raccolti fino ad ora cercando di analizzare come e con quali caratteristiche questa memoria famigliare è stata tramandata, alterata, cancellata e quello in cui il trauma ha agito nei passaggi generazionali: l’ "eredità silenziosa" che ogni generazione ha ricevuto dalla precedente, nella quale il "non detto" è stato uno strumento utile e necessario per elaborare il dolore.
What the Nazis called Aktion T4 was a euthanasia program, officially started on August
18th, 1939... more What the Nazis called Aktion T4 was a euthanasia program, officially started on August 18th, 1939. The registration operations for individuals with physical or mental handicaps were followed by forced sterilization and transfer to clinics organized to kill. In this article, I try to explain the mechanisms that allowed the memory of Aktion T4 to be preserved and passed from one generation to the next; memories of the “merciful death” of approximately 70,000 “lives unworthy of life,” that find themselves embedded in family records and family history. In the first section, I summarize the discussion that resulted from the theories of Charles Darwin and Francis Galton. Even if those theories do not in any way allude to the consequences that we have witnessed decades after their publication, they started a debate about the value of life and the legitimacy of human intervention in the selection of hereditary character traits, as well as the concept of race and the different methods and forms of theories and eugenics that were later adopted in Europe and in the United States. In the case of Germany, translated into Rassenhygiene, those concepts flowed into the Nazi project of purification of the German people. Through interviews with families who had a relative interned in one of the program's clinics spread across the Reich territory between 1939 and 1945, I investigate the evolution and passage of memories stored within the family sphere, paying attention to the generational steps and processes of trauma. These stories are born from a complicated process of reconstructing these memories via interviews. Their recollections were full of painful silences and negations, similar to the thought process which led the victims to live in a condition that they could not understand, and separated them from the world before they were each made to face a solitary death, far from any contact with their families. The trauma that I analyze concerns actions that had been carried out by previous generations; in the majority of cases, younger generations were not aware of the destiny of their murdered relatives and therefore tried to rebuild the stories of people who they never had the opportunity to meet. I examine the problematic relationship of those being interviewed with the end-of-life issue and also the sense of guilt which is generated by the awareness of crimes that were committed. Aktion T4 was not a crime committed outside the national borders, nor a crime that extended beyond the private sphere to the “others.” Instead, it existed within the most central and intimate place of Nazi culture: the family.
Berlino è una città dalla storia complessa che a stento riesce a chiudere nei suoi musei, nei suo... more Berlino è una città dalla storia complessa che a stento riesce a chiudere nei suoi musei, nei suoi allestimenti, nelle tante esposizioni che nutrono la sua vita culturale. Una storia divisa per tradizione e che per deformazione storica porta con sé anche lo spazio prossimo alla linea di demarcazione del confine, lo spazio di non-detto che aleggia ancora per le vie della città, quasi una terra di nessuno fantasma che non costeggia più solo il muro, ma segue altre barriere contemporanee. È una città in cui memorie politicamente unificate lottano per emergere e mettere in ombra le memorie rivali, rivendicando la propria presenza e chiedendo di essere ascoltate. Quella che espone è una collezione creata velocemente, dopo la caduta del nazismo e poi dopo quella del muro: spazi riempiti con enormi mostri di cemento oggi ostaggio della gentrificazione, parchi costruiti sui cumuli di macerie nell’immediato dopoguerra e quartieri dalle identità fluide. Non c’è mai stato tempo sufficiente per accumulare e stratificare, tutto è nuovo e ricostruito, come un museo appena aperto che non può esporre nulla, perché ciò che dovrebbe mettere in mostra non esiste più: si può incontrare solo nella sua assenza, camminando tra vie che oggi hanno un nome diverso da ieri. Nata dalla distruzione e in perenne stato di tensione tra rinascita e macerie, Berlino è ostaggio dei tabù della storia: nel mio articolo rifletto sulle ragioni e i modi in cui la memoria della città si è frammentata e persa, su come i suoi fruitori siano in bilico tra il dovere delle celebrazioni del passato e la volontà di tenere in vita a ogni costo l’atmosfera post ’89. Forse non può esserci museo per la città che sarebbe dovuta diventare essa stessa l’altare del potere, la capitale del Reich millenario, oggi percorsa da una cicatrice di quasi 160 chilometri, non più povera e forse neanche così sexy.
La piccola Hempel. La testimonianza unica di una bambina scampata alla ferocia dell’eugenetica nazista., 2024
La sconvolgente testimonianza di Elvira Hempel, una bambina che il Terzo Reich considerò, insieme... more La sconvolgente testimonianza di Elvira Hempel, una bambina che il Terzo Reich considerò, insieme a tanti altri bambini e bambine come lei, una minaccia alla sopravvivenza del popolo “ariano”, ma che miracolosamente si salvò dal programma eugenetico nazista. 1938, Sassonia-Anhalt: Elvira Hempel ha solo sette anni quando viene diagnosticata come «mentalmente inferiore» solo perché suo padre, alcolizzato e senza lavoro fisso, era stato bollato come «asociale». Gli Hempel sono tedeschi, ma questo non basta, anzi: in base alla legge sulla salute ereditaria bisogna estirpare tutte le tare che minacciano la purezza razziale del popolo tedesco. È proprio il medico che la visita a chiedere il suo ricovero urgente presso il manicomio di Uchtspringe, in un reparto speciale per bambini dove ritrova la sorellina Lisa, che ha solo due anni. Ma quello che sembra un ospedale è, in realtà, un inferno. Medici e infermieri concedono una morte «misericordiosa» a quelle che considerano vite indegne di essere vissute: bambine e bambini che saranno tra le prime vittime della ferocia dell’eugenetica nazista. Il programma di “eutanasia” per le persone con disabilità fisiche o ritenute affette da malattie mentali – in cui, dal 1939 al 1945, si stima siano stati uccisi complessivamente più di trecentomila tra donne, uomini e bambini – è ancora oggi il meno conosciuto e ricordato tra i crimini nazisti. Quella di Elvira è quindi una testimonianza di enorme valore storico, tra le pochissime scritte da un testimone oculare e la prima a essere tradotta in lingua italiana. A raccontare è la sua voce limpida e immediata, capace di evocare un’infanzia difficile in una famiglia povera e marginalizzata, per poi piombare all’interno della macchina di sterminio nazista. Eppure, misteriosamente, quando viene trasferita a Brandenburg an der Havel, portata all’ingresso della camera a gas, Elvira è l’unica a essere risparmiata. La sorellina Lisa, invece, muore, ed è a lei che Elvira ha dedicato questo libro e la sua battaglia. Crescendo, dopo la guerra, Elvira intravede in questo miracolo il segno di una missione: combatterà per avere finalmente giustizia, chiedendo che lei e quelli come lei vengano riconosciuti vittime dell’Olocausto vere e proprie. La sua lotta, continuata fino alla morte, non può dirsi ancora del tutto conclusa.
Maria è una donna diffidente verso convenzioni e istituzioni, tesa verso i
rapporti definiti aut... more Maria è una donna diffidente verso convenzioni e istituzioni, tesa verso i
rapporti definiti autentici, ma che non rinuncia a coltivare la sua idea di
amore, per lei unico e sincero. Scontrandosi con una realtà fatta di eventi
tragici e rapporti umani velati di ipocrisia, la giovane protagonista si rifugia
sempre più in un ideale in cui vuole avere fede. Un ideale che rientra per
nell’immaginario in cui la donna è figura umile, docile e sottomessa. L’unica
via di fuga che le è concessa è quella che si trova nei sogni. Erika Silvestri,
scrittrice e storica, ha curato la prefazione del volume, conducendo un lavoro di ricerca su Pia Rimini: fino all’anno scorso, infatti, si presumeva che l’autrice triestina fosse morta sul treno diretto ad Auschwitz. L’autrice arrivò invece al campo di concentramento, e la ricerca della dott.ssa Silvestri si sta attualmente concentrando su ciò che potrebbe esserle accaduto da quel momento in poi. La prefazione contiene un documento inedito.
Piero Terracina wurde mit 14 Jahren von Rom nach Auschwitz deportiert, wo man seine gesamte Famil... more Piero Terracina wurde mit 14 Jahren von Rom nach Auschwitz deportiert, wo man seine gesamte Familie ermordete. Erst 1992 begann er, seine Geschichte zu erzählen, ist seither jedoch unermüdlich als Zeitzeuge unterwegs und in Italien längst eine Institution. Dieses Buch, das seine Geschichte und Reaktionen auf seine Tätigkeit mit interdisziplinären Texten zur Problematik der Shoah verknüpft, soll ihn einem deutschen Publikum bekannter werden lassen.
Mit Beiträgen von Ralph Buchenhorst / Rav Dr. Riccardo Di Segni / Matthias Kaufmann / Werner Nell / Andrea Pomplun / Erika Silvestri / Piero Terracina / Giuseppe Veltri / Walter Veltroni. Fotografien von Georg Pöhlein,
Quando ha conosciuto Piero Terracina, ebreo romano sopravvissuto ad Auschwitz, Erika aveva solo q... more Quando ha conosciuto Piero Terracina, ebreo romano sopravvissuto ad Auschwitz, Erika aveva solo quattordici anni. Ma nel volto di quel vecchio signore ha saputo vedere qualcosa di importante. Qualcosa che non poteva andare perduto. Giorno dopo giorno il loro legame si è fatto più forte. Prima con le lettere, poi con le domande occhi negli occhi. Le speranze di Erika, il suo desiderio di capire si sono intrecciati ai ricordi di Piero e alla memoria dell'Olocausto, dando vita a un'amicizia che va oltre il tempo e le generazioni.
"Cioccolata contro dolore. Marmellata contro ricordi. È un metodo che funziona, lo uso anch'io quando sono triste, con i bottoni. Apro la scatola e li spargo tutti sul pavimento. Li metto in fila per forma, per colore, ogni volta mi stupisco di quanto sono diversi. Ti ricordi quando te l'ho raccontato? Dallo sguardo ho capito che sapevi di cosa parlavo. "Bottoni. Ma guarda il destino! Anche a me piacciono tanto. Ora che ci penso non te l'ho mai detto, ma ho diretto un'azienda di bottoni per anni." In questo libro, l'amicizia tra un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina, e una ragazza.
Maria Fenski was born on 14 August 1905, in Papenburg. At the age of seventeen, she was diagnosed... more Maria Fenski was born on 14 August 1905, in Papenburg. At the age of seventeen, she was diagnosed with “dementia” and hospitalized at the Provinzial-Heil-und Pflegeanstalt Osnabrück, where she remained until 16 January 1923. After a marriage, three children, some happy family years, and various commitments to different clinics, she was killed in Neuruppin State Institution in Brandenburg in 1942, as one of the people murdered in the Nazi Euthanasia Program. Her granddaughter, Hannah, produced a series of sixteen paintings dedicated to her grandmother’s story. There are almost no people in Hannah’s artwork, but empty, lonely, symbolic spaces able to create a bond between past and present. The lack of human figures, the use of cold colors and the blurred edges contribute to creating a suspended atmosphere that seems to be full of painful silences and negations. Hannah transferred onto the canvas an echo of the feelings the victims could have felt, living in conditions they could not u...
La memoria del programma di eutanasia nazista Aktion T4, che tra il 1940 e il 1945, tra le sue di... more La memoria del programma di eutanasia nazista Aktion T4, che tra il 1940 e il 1945, tra le sue diverse fasi, portò all’omicidio di circa 300.000 “vite indegne di essere vissute”, è forse ancora oggi la più problematica tra le memorie dei crimini nazisti e quella la cui elaborazione è più difficile, per la società tedesca. Basandomi sull’indagine che sto portando avanti per la mia ricerca dottorale, attraverso interviste a famiglie tedesche che hanno avuto un parente internato e ucciso in una delle cliniche del programma, ho osservato come a imbattersi in quello che esse stesse definiscono “segreto di famiglia” sia stata la generazione dei nipoti o pronipoti delle vittime, che hanno tentato di lottare contro i silenzi delle generazioni precedenti, le omissioni e talvolta anche contro la volontà di cancellare il ricordo dei parenti uccisi, per ricostruire la storia nascosta della propria famiglia. Se in alcuni casi infatti, non sono state conservate fotografie delle vittime o ne è stato cancellato il volto, in altri esse sono state addirittura ricordate con nomi diversi. La trasmissione della memoria dell’uccisione dei portatori di handicap fisici e mentali ha messo in moto dinamiche tali che rendono questo caso specifico molto diverso rispetto alla trasmissione di eredità traumatiche relative ad altri crimini nazisti. Le famiglie di queste vittime si definiscono infatti, al tempo stesso, parte di due gruppi opposti: se l’essere tedeschi li investe di quella colpa collettiva, “metafisica”, di cui parlava Karl Jaspers, l’aver avuto una vittima tra i propri famigliari gli permette di potersi schierare al fianco delle vittime del Nazismo e quasi li solleva dal peso della responsabilità tedesca. Nel mio articolo, riflettendo su questi temi, illustrerò parte dei dati raccolti fino ad ora cercando di analizzare come e con quali caratteristiche questa memoria famigliare è stata tramandata, alterata, cancellata e quello in cui il trauma ha agito nei passaggi generazionali: l’ "eredità silenziosa" che ogni generazione ha ricevuto dalla precedente, nella quale il "non detto" è stato uno strumento utile e necessario per elaborare il dolore.
What the Nazis called Aktion T4 was a euthanasia program, officially started on August
18th, 1939... more What the Nazis called Aktion T4 was a euthanasia program, officially started on August 18th, 1939. The registration operations for individuals with physical or mental handicaps were followed by forced sterilization and transfer to clinics organized to kill. In this article, I try to explain the mechanisms that allowed the memory of Aktion T4 to be preserved and passed from one generation to the next; memories of the “merciful death” of approximately 70,000 “lives unworthy of life,” that find themselves embedded in family records and family history. In the first section, I summarize the discussion that resulted from the theories of Charles Darwin and Francis Galton. Even if those theories do not in any way allude to the consequences that we have witnessed decades after their publication, they started a debate about the value of life and the legitimacy of human intervention in the selection of hereditary character traits, as well as the concept of race and the different methods and forms of theories and eugenics that were later adopted in Europe and in the United States. In the case of Germany, translated into Rassenhygiene, those concepts flowed into the Nazi project of purification of the German people. Through interviews with families who had a relative interned in one of the program's clinics spread across the Reich territory between 1939 and 1945, I investigate the evolution and passage of memories stored within the family sphere, paying attention to the generational steps and processes of trauma. These stories are born from a complicated process of reconstructing these memories via interviews. Their recollections were full of painful silences and negations, similar to the thought process which led the victims to live in a condition that they could not understand, and separated them from the world before they were each made to face a solitary death, far from any contact with their families. The trauma that I analyze concerns actions that had been carried out by previous generations; in the majority of cases, younger generations were not aware of the destiny of their murdered relatives and therefore tried to rebuild the stories of people who they never had the opportunity to meet. I examine the problematic relationship of those being interviewed with the end-of-life issue and also the sense of guilt which is generated by the awareness of crimes that were committed. Aktion T4 was not a crime committed outside the national borders, nor a crime that extended beyond the private sphere to the “others.” Instead, it existed within the most central and intimate place of Nazi culture: the family.
Berlino è una città dalla storia complessa che a stento riesce a chiudere nei suoi musei, nei suo... more Berlino è una città dalla storia complessa che a stento riesce a chiudere nei suoi musei, nei suoi allestimenti, nelle tante esposizioni che nutrono la sua vita culturale. Una storia divisa per tradizione e che per deformazione storica porta con sé anche lo spazio prossimo alla linea di demarcazione del confine, lo spazio di non-detto che aleggia ancora per le vie della città, quasi una terra di nessuno fantasma che non costeggia più solo il muro, ma segue altre barriere contemporanee. È una città in cui memorie politicamente unificate lottano per emergere e mettere in ombra le memorie rivali, rivendicando la propria presenza e chiedendo di essere ascoltate. Quella che espone è una collezione creata velocemente, dopo la caduta del nazismo e poi dopo quella del muro: spazi riempiti con enormi mostri di cemento oggi ostaggio della gentrificazione, parchi costruiti sui cumuli di macerie nell’immediato dopoguerra e quartieri dalle identità fluide. Non c’è mai stato tempo sufficiente per accumulare e stratificare, tutto è nuovo e ricostruito, come un museo appena aperto che non può esporre nulla, perché ciò che dovrebbe mettere in mostra non esiste più: si può incontrare solo nella sua assenza, camminando tra vie che oggi hanno un nome diverso da ieri. Nata dalla distruzione e in perenne stato di tensione tra rinascita e macerie, Berlino è ostaggio dei tabù della storia: nel mio articolo rifletto sulle ragioni e i modi in cui la memoria della città si è frammentata e persa, su come i suoi fruitori siano in bilico tra il dovere delle celebrazioni del passato e la volontà di tenere in vita a ogni costo l’atmosfera post ’89. Forse non può esserci museo per la città che sarebbe dovuta diventare essa stessa l’altare del potere, la capitale del Reich millenario, oggi percorsa da una cicatrice di quasi 160 chilometri, non più povera e forse neanche così sexy.
La piccola Hempel. La testimonianza unica di una bambina scampata alla ferocia dell’eugenetica nazista., 2024
La sconvolgente testimonianza di Elvira Hempel, una bambina che il Terzo Reich considerò, insieme... more La sconvolgente testimonianza di Elvira Hempel, una bambina che il Terzo Reich considerò, insieme a tanti altri bambini e bambine come lei, una minaccia alla sopravvivenza del popolo “ariano”, ma che miracolosamente si salvò dal programma eugenetico nazista. 1938, Sassonia-Anhalt: Elvira Hempel ha solo sette anni quando viene diagnosticata come «mentalmente inferiore» solo perché suo padre, alcolizzato e senza lavoro fisso, era stato bollato come «asociale». Gli Hempel sono tedeschi, ma questo non basta, anzi: in base alla legge sulla salute ereditaria bisogna estirpare tutte le tare che minacciano la purezza razziale del popolo tedesco. È proprio il medico che la visita a chiedere il suo ricovero urgente presso il manicomio di Uchtspringe, in un reparto speciale per bambini dove ritrova la sorellina Lisa, che ha solo due anni. Ma quello che sembra un ospedale è, in realtà, un inferno. Medici e infermieri concedono una morte «misericordiosa» a quelle che considerano vite indegne di essere vissute: bambine e bambini che saranno tra le prime vittime della ferocia dell’eugenetica nazista. Il programma di “eutanasia” per le persone con disabilità fisiche o ritenute affette da malattie mentali – in cui, dal 1939 al 1945, si stima siano stati uccisi complessivamente più di trecentomila tra donne, uomini e bambini – è ancora oggi il meno conosciuto e ricordato tra i crimini nazisti. Quella di Elvira è quindi una testimonianza di enorme valore storico, tra le pochissime scritte da un testimone oculare e la prima a essere tradotta in lingua italiana. A raccontare è la sua voce limpida e immediata, capace di evocare un’infanzia difficile in una famiglia povera e marginalizzata, per poi piombare all’interno della macchina di sterminio nazista. Eppure, misteriosamente, quando viene trasferita a Brandenburg an der Havel, portata all’ingresso della camera a gas, Elvira è l’unica a essere risparmiata. La sorellina Lisa, invece, muore, ed è a lei che Elvira ha dedicato questo libro e la sua battaglia. Crescendo, dopo la guerra, Elvira intravede in questo miracolo il segno di una missione: combatterà per avere finalmente giustizia, chiedendo che lei e quelli come lei vengano riconosciuti vittime dell’Olocausto vere e proprie. La sua lotta, continuata fino alla morte, non può dirsi ancora del tutto conclusa.
Maria è una donna diffidente verso convenzioni e istituzioni, tesa verso i
rapporti definiti aut... more Maria è una donna diffidente verso convenzioni e istituzioni, tesa verso i
rapporti definiti autentici, ma che non rinuncia a coltivare la sua idea di
amore, per lei unico e sincero. Scontrandosi con una realtà fatta di eventi
tragici e rapporti umani velati di ipocrisia, la giovane protagonista si rifugia
sempre più in un ideale in cui vuole avere fede. Un ideale che rientra per
nell’immaginario in cui la donna è figura umile, docile e sottomessa. L’unica
via di fuga che le è concessa è quella che si trova nei sogni. Erika Silvestri,
scrittrice e storica, ha curato la prefazione del volume, conducendo un lavoro di ricerca su Pia Rimini: fino all’anno scorso, infatti, si presumeva che l’autrice triestina fosse morta sul treno diretto ad Auschwitz. L’autrice arrivò invece al campo di concentramento, e la ricerca della dott.ssa Silvestri si sta attualmente concentrando su ciò che potrebbe esserle accaduto da quel momento in poi. La prefazione contiene un documento inedito.
Piero Terracina wurde mit 14 Jahren von Rom nach Auschwitz deportiert, wo man seine gesamte Famil... more Piero Terracina wurde mit 14 Jahren von Rom nach Auschwitz deportiert, wo man seine gesamte Familie ermordete. Erst 1992 begann er, seine Geschichte zu erzählen, ist seither jedoch unermüdlich als Zeitzeuge unterwegs und in Italien längst eine Institution. Dieses Buch, das seine Geschichte und Reaktionen auf seine Tätigkeit mit interdisziplinären Texten zur Problematik der Shoah verknüpft, soll ihn einem deutschen Publikum bekannter werden lassen.
Mit Beiträgen von Ralph Buchenhorst / Rav Dr. Riccardo Di Segni / Matthias Kaufmann / Werner Nell / Andrea Pomplun / Erika Silvestri / Piero Terracina / Giuseppe Veltri / Walter Veltroni. Fotografien von Georg Pöhlein,
Quando ha conosciuto Piero Terracina, ebreo romano sopravvissuto ad Auschwitz, Erika aveva solo q... more Quando ha conosciuto Piero Terracina, ebreo romano sopravvissuto ad Auschwitz, Erika aveva solo quattordici anni. Ma nel volto di quel vecchio signore ha saputo vedere qualcosa di importante. Qualcosa che non poteva andare perduto. Giorno dopo giorno il loro legame si è fatto più forte. Prima con le lettere, poi con le domande occhi negli occhi. Le speranze di Erika, il suo desiderio di capire si sono intrecciati ai ricordi di Piero e alla memoria dell'Olocausto, dando vita a un'amicizia che va oltre il tempo e le generazioni.
"Cioccolata contro dolore. Marmellata contro ricordi. È un metodo che funziona, lo uso anch'io quando sono triste, con i bottoni. Apro la scatola e li spargo tutti sul pavimento. Li metto in fila per forma, per colore, ogni volta mi stupisco di quanto sono diversi. Ti ricordi quando te l'ho raccontato? Dallo sguardo ho capito che sapevi di cosa parlavo. "Bottoni. Ma guarda il destino! Anche a me piacciono tanto. Ora che ci penso non te l'ho mai detto, ma ho diretto un'azienda di bottoni per anni." In questo libro, l'amicizia tra un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina, e una ragazza.
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Basandomi sull’indagine che sto portando avanti per la mia ricerca dottorale, attraverso interviste a famiglie tedesche che hanno avuto un parente internato e ucciso in una delle cliniche del programma, ho osservato come a imbattersi in quello che esse stesse definiscono “segreto di famiglia” sia stata la generazione dei nipoti o pronipoti delle vittime, che hanno tentato di lottare contro i silenzi delle generazioni precedenti, le omissioni e talvolta anche contro la volontà di cancellare il ricordo dei parenti uccisi, per ricostruire la storia nascosta della propria famiglia.
Se in alcuni casi infatti, non sono state conservate fotografie delle vittime o ne è stato cancellato il volto, in altri esse sono state addirittura ricordate con nomi diversi.
La trasmissione della memoria dell’uccisione dei portatori di handicap fisici e mentali ha messo in moto dinamiche tali che rendono questo caso specifico molto diverso rispetto alla trasmissione di eredità traumatiche relative ad altri crimini nazisti. Le famiglie di queste vittime si definiscono infatti, al tempo stesso, parte di due gruppi opposti: se l’essere tedeschi li investe di quella colpa collettiva, “metafisica”, di cui parlava Karl Jaspers, l’aver avuto una vittima tra i propri famigliari gli permette di potersi schierare al fianco delle vittime del Nazismo e quasi li solleva dal peso della responsabilità tedesca.
Nel mio articolo, riflettendo su questi temi, illustrerò parte dei dati raccolti fino ad ora cercando di analizzare come e con quali caratteristiche questa memoria famigliare è stata tramandata, alterata, cancellata e quello in cui il trauma ha agito nei passaggi generazionali: l’ "eredità silenziosa" che ogni generazione ha ricevuto dalla precedente, nella quale il "non detto" è stato uno strumento utile e necessario per elaborare il dolore.
18th, 1939. The registration operations for individuals with physical or mental handicaps
were followed by forced sterilization and transfer to clinics organized to kill. In this
article, I try to explain the mechanisms that allowed the memory of Aktion T4 to be
preserved and passed from one generation to the next; memories of the “merciful death”
of approximately 70,000 “lives unworthy of life,” that find themselves embedded in
family records and family history. In the first section, I summarize the discussion that
resulted from the theories of Charles Darwin and Francis Galton. Even if those theories
do not in any way allude to the consequences that we have witnessed decades after their
publication, they started a debate about the value of life and the legitimacy of human
intervention in the selection of hereditary character traits, as well as the concept of race
and the different methods and forms of theories and eugenics that were later adopted in
Europe and in the United States. In the case of Germany, translated into Rassenhygiene,
those concepts flowed into the Nazi project of purification of the German people.
Through interviews with families who had a relative interned in one of the program's
clinics spread across the Reich territory between 1939 and 1945, I investigate the
evolution and passage of memories stored within the family sphere, paying attention to
the generational steps and processes of trauma. These stories are born from a complicated
process of reconstructing these memories via interviews. Their recollections were full of
painful silences and negations, similar to the thought process which led the victims to
live in a condition that they could not understand, and separated them from the world
before they were each made to face a solitary death, far from any contact with their
families. The trauma that I analyze concerns actions that had been carried out by previous
generations; in the majority of cases, younger generations were not aware of the destiny
of their murdered relatives and therefore tried to rebuild the stories of people who they
never had the opportunity to meet. I examine the problematic relationship of those being
interviewed with the end-of-life issue and also the sense of guilt which is generated by the
awareness of crimes that were committed. Aktion T4 was not a crime committed outside
the national borders, nor a crime that extended beyond the private sphere to the “others.”
Instead, it existed within the most central and intimate place of Nazi culture: the family.
Una storia divisa per tradizione e che per deformazione storica porta con sé anche lo spazio prossimo alla linea di demarcazione del confine, lo spazio di non-detto che aleggia ancora per le vie della città, quasi una terra di nessuno fantasma che non costeggia più solo il muro, ma segue altre barriere contemporanee.
È una città in cui memorie politicamente unificate lottano per emergere e mettere in ombra le memorie rivali, rivendicando la propria presenza e chiedendo di essere ascoltate.
Quella che espone è una collezione creata velocemente, dopo la caduta del nazismo e poi dopo quella del muro: spazi riempiti con enormi mostri di cemento oggi ostaggio della gentrificazione, parchi costruiti sui cumuli di macerie nell’immediato dopoguerra e quartieri dalle identità fluide. Non c’è mai stato tempo sufficiente per accumulare e stratificare, tutto è nuovo e ricostruito, come un museo appena aperto che non può esporre nulla, perché ciò che dovrebbe mettere in mostra non esiste più: si può incontrare solo nella sua assenza, camminando tra vie che oggi hanno un nome diverso da ieri.
Nata dalla distruzione e in perenne stato di tensione tra rinascita e macerie, Berlino è ostaggio dei tabù della storia: nel mio articolo rifletto sulle ragioni e i modi in cui la memoria della città si è frammentata e persa, su come i suoi fruitori siano in bilico tra il dovere delle celebrazioni del passato e la volontà di tenere in vita a ogni costo l’atmosfera post ’89.
Forse non può esserci museo per la città che sarebbe dovuta diventare essa stessa l’altare del potere, la capitale del Reich millenario, oggi percorsa da una cicatrice di quasi 160 chilometri, non più povera e forse neanche così sexy.
Books by Erika Silvestri
Tradotto e curato da Erika Silvestri.
rapporti definiti autentici, ma che non rinuncia a coltivare la sua idea di
amore, per lei unico e sincero. Scontrandosi con una realtà fatta di eventi
tragici e rapporti umani velati di ipocrisia, la giovane protagonista si rifugia
sempre più in un ideale in cui vuole avere fede. Un ideale che rientra per
nell’immaginario in cui la donna è figura umile, docile e sottomessa. L’unica
via di fuga che le è concessa è quella che si trova nei sogni. Erika Silvestri,
scrittrice e storica, ha curato la prefazione del volume, conducendo un lavoro di ricerca su Pia Rimini: fino all’anno scorso, infatti, si presumeva che l’autrice triestina fosse morta sul treno diretto ad Auschwitz. L’autrice arrivò invece al campo di concentramento, e la ricerca della dott.ssa Silvestri si sta attualmente concentrando su ciò che potrebbe esserle accaduto da quel momento in poi. La prefazione contiene un documento inedito.
Mit Beiträgen von Ralph Buchenhorst / Rav Dr. Riccardo Di Segni / Matthias Kaufmann / Werner Nell / Andrea Pomplun / Erika Silvestri / Piero Terracina / Giuseppe Veltri / Walter Veltroni.
Fotografien von Georg Pöhlein,
"Cioccolata contro dolore. Marmellata contro ricordi. È un metodo che funziona, lo uso anch'io quando sono triste, con i bottoni. Apro la scatola e li spargo tutti sul pavimento. Li metto in fila per forma, per colore, ogni volta mi stupisco di quanto sono diversi. Ti ricordi quando te l'ho raccontato? Dallo sguardo ho capito che sapevi di cosa parlavo. "Bottoni. Ma guarda il destino! Anche a me piacciono tanto. Ora che ci penso non te l'ho mai detto, ma ho diretto un'azienda di bottoni per anni." In questo libro, l'amicizia tra un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina, e una ragazza.
Basandomi sull’indagine che sto portando avanti per la mia ricerca dottorale, attraverso interviste a famiglie tedesche che hanno avuto un parente internato e ucciso in una delle cliniche del programma, ho osservato come a imbattersi in quello che esse stesse definiscono “segreto di famiglia” sia stata la generazione dei nipoti o pronipoti delle vittime, che hanno tentato di lottare contro i silenzi delle generazioni precedenti, le omissioni e talvolta anche contro la volontà di cancellare il ricordo dei parenti uccisi, per ricostruire la storia nascosta della propria famiglia.
Se in alcuni casi infatti, non sono state conservate fotografie delle vittime o ne è stato cancellato il volto, in altri esse sono state addirittura ricordate con nomi diversi.
La trasmissione della memoria dell’uccisione dei portatori di handicap fisici e mentali ha messo in moto dinamiche tali che rendono questo caso specifico molto diverso rispetto alla trasmissione di eredità traumatiche relative ad altri crimini nazisti. Le famiglie di queste vittime si definiscono infatti, al tempo stesso, parte di due gruppi opposti: se l’essere tedeschi li investe di quella colpa collettiva, “metafisica”, di cui parlava Karl Jaspers, l’aver avuto una vittima tra i propri famigliari gli permette di potersi schierare al fianco delle vittime del Nazismo e quasi li solleva dal peso della responsabilità tedesca.
Nel mio articolo, riflettendo su questi temi, illustrerò parte dei dati raccolti fino ad ora cercando di analizzare come e con quali caratteristiche questa memoria famigliare è stata tramandata, alterata, cancellata e quello in cui il trauma ha agito nei passaggi generazionali: l’ "eredità silenziosa" che ogni generazione ha ricevuto dalla precedente, nella quale il "non detto" è stato uno strumento utile e necessario per elaborare il dolore.
18th, 1939. The registration operations for individuals with physical or mental handicaps
were followed by forced sterilization and transfer to clinics organized to kill. In this
article, I try to explain the mechanisms that allowed the memory of Aktion T4 to be
preserved and passed from one generation to the next; memories of the “merciful death”
of approximately 70,000 “lives unworthy of life,” that find themselves embedded in
family records and family history. In the first section, I summarize the discussion that
resulted from the theories of Charles Darwin and Francis Galton. Even if those theories
do not in any way allude to the consequences that we have witnessed decades after their
publication, they started a debate about the value of life and the legitimacy of human
intervention in the selection of hereditary character traits, as well as the concept of race
and the different methods and forms of theories and eugenics that were later adopted in
Europe and in the United States. In the case of Germany, translated into Rassenhygiene,
those concepts flowed into the Nazi project of purification of the German people.
Through interviews with families who had a relative interned in one of the program's
clinics spread across the Reich territory between 1939 and 1945, I investigate the
evolution and passage of memories stored within the family sphere, paying attention to
the generational steps and processes of trauma. These stories are born from a complicated
process of reconstructing these memories via interviews. Their recollections were full of
painful silences and negations, similar to the thought process which led the victims to
live in a condition that they could not understand, and separated them from the world
before they were each made to face a solitary death, far from any contact with their
families. The trauma that I analyze concerns actions that had been carried out by previous
generations; in the majority of cases, younger generations were not aware of the destiny
of their murdered relatives and therefore tried to rebuild the stories of people who they
never had the opportunity to meet. I examine the problematic relationship of those being
interviewed with the end-of-life issue and also the sense of guilt which is generated by the
awareness of crimes that were committed. Aktion T4 was not a crime committed outside
the national borders, nor a crime that extended beyond the private sphere to the “others.”
Instead, it existed within the most central and intimate place of Nazi culture: the family.
Una storia divisa per tradizione e che per deformazione storica porta con sé anche lo spazio prossimo alla linea di demarcazione del confine, lo spazio di non-detto che aleggia ancora per le vie della città, quasi una terra di nessuno fantasma che non costeggia più solo il muro, ma segue altre barriere contemporanee.
È una città in cui memorie politicamente unificate lottano per emergere e mettere in ombra le memorie rivali, rivendicando la propria presenza e chiedendo di essere ascoltate.
Quella che espone è una collezione creata velocemente, dopo la caduta del nazismo e poi dopo quella del muro: spazi riempiti con enormi mostri di cemento oggi ostaggio della gentrificazione, parchi costruiti sui cumuli di macerie nell’immediato dopoguerra e quartieri dalle identità fluide. Non c’è mai stato tempo sufficiente per accumulare e stratificare, tutto è nuovo e ricostruito, come un museo appena aperto che non può esporre nulla, perché ciò che dovrebbe mettere in mostra non esiste più: si può incontrare solo nella sua assenza, camminando tra vie che oggi hanno un nome diverso da ieri.
Nata dalla distruzione e in perenne stato di tensione tra rinascita e macerie, Berlino è ostaggio dei tabù della storia: nel mio articolo rifletto sulle ragioni e i modi in cui la memoria della città si è frammentata e persa, su come i suoi fruitori siano in bilico tra il dovere delle celebrazioni del passato e la volontà di tenere in vita a ogni costo l’atmosfera post ’89.
Forse non può esserci museo per la città che sarebbe dovuta diventare essa stessa l’altare del potere, la capitale del Reich millenario, oggi percorsa da una cicatrice di quasi 160 chilometri, non più povera e forse neanche così sexy.
Tradotto e curato da Erika Silvestri.
rapporti definiti autentici, ma che non rinuncia a coltivare la sua idea di
amore, per lei unico e sincero. Scontrandosi con una realtà fatta di eventi
tragici e rapporti umani velati di ipocrisia, la giovane protagonista si rifugia
sempre più in un ideale in cui vuole avere fede. Un ideale che rientra per
nell’immaginario in cui la donna è figura umile, docile e sottomessa. L’unica
via di fuga che le è concessa è quella che si trova nei sogni. Erika Silvestri,
scrittrice e storica, ha curato la prefazione del volume, conducendo un lavoro di ricerca su Pia Rimini: fino all’anno scorso, infatti, si presumeva che l’autrice triestina fosse morta sul treno diretto ad Auschwitz. L’autrice arrivò invece al campo di concentramento, e la ricerca della dott.ssa Silvestri si sta attualmente concentrando su ciò che potrebbe esserle accaduto da quel momento in poi. La prefazione contiene un documento inedito.
Mit Beiträgen von Ralph Buchenhorst / Rav Dr. Riccardo Di Segni / Matthias Kaufmann / Werner Nell / Andrea Pomplun / Erika Silvestri / Piero Terracina / Giuseppe Veltri / Walter Veltroni.
Fotografien von Georg Pöhlein,
"Cioccolata contro dolore. Marmellata contro ricordi. È un metodo che funziona, lo uso anch'io quando sono triste, con i bottoni. Apro la scatola e li spargo tutti sul pavimento. Li metto in fila per forma, per colore, ogni volta mi stupisco di quanto sono diversi. Ti ricordi quando te l'ho raccontato? Dallo sguardo ho capito che sapevi di cosa parlavo. "Bottoni. Ma guarda il destino! Anche a me piacciono tanto. Ora che ci penso non te l'ho mai detto, ma ho diretto un'azienda di bottoni per anni." In questo libro, l'amicizia tra un sopravvissuto di Auschwitz, Piero Terracina, e una ragazza.