Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
STUDI E RICERCHE 12 In copertina: superficie del pianeta Marte, fotografia scattata dalla sonda Viking La serie «Castelli di Carta» si inserisce fra le iniziative culturali promosse dal «Centro per lo Studio e l’Edizione dei Testi», con il patrocinio della Associazione «Amici di Gabriele Mattera» e della «Fondazione Mediterraneo». Comitato scientifico di «Castelli di Carta»: Maria Teresa Giaveri Michel Jarrety Franco Marenco Ralph Pite Questo volume è stato realizzato con fondi MIUR-PRIN 2008 («Il futuro come intreccio») del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino, del Dipartimento di Lettere Lingue Arti dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ e del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, e con l’ulteriore contributo del Dipartimento Studi Linguistici e Letterari dell’Università degli Studi di Padova (Fondi ex 60% 2011) e del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino (Fondi ex 60% 2009 e Progetti di Ricerca d’Ateneo 2011 – Convenzione 2010-2012 Università degli Studi di Torino/ Compagnia di San Paolo: «Novellieri Italiani in Europa»). ISBN 978-88-469-2127-7 © 2013, MESOGEA by GEM s.r.l. Via Catania 62, 98124 Messina www.mesogea.it Tutti i diritti sono riservati all’Editore. È vietata la riproduzione anche parziale dell’opera. Il futuro come intreccio: Tempo e profezia nella tradizione letteraria modernae contemporanea / a cura di Cristina Consiglio. – Messina: Mesogea, 2013. (Studi e ricerche; 12) ISBN 978-88-469-2127-7 1. Letteratura – Temi [:] Previsioni. I. Consiglio, Cristina. 809.9337 CDD-22 SBN Pal0260801 CIP – Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” IL FUTURO COME INTRECCIO Tempo e profezia nella tradizione letteraria moderna e contemporanea a cura di Cristina Consiglio MESOGEA «TAKING A BOND OF FATE» MACBETH: TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA? Michele Stanco (Università di Napoli) But yet I’ll make assurance double sure, And take a bond of Fate1 William Shakespeare, Macbeth, IV.1.83-84 Agli inizi del Seicento, l’Inghilterra e l’Europa erano attraversate da una serie di tensioni culturali che avevano come oggetto sia la libertà morale dell’uomo, sia la sua capacità di determinare, con la sua azione individuale, il corso degli eventi (anziché subire un destino già scritto). Si trattava, in effetti, di questioni molto più antiche, che venivano tuttavia riprese secondo coordinate nuove all’interno della cultura umanistico-rinascimentale. Com’è noto, già verso la fine del Quattrocento, nella sua Oratio de hominis dignitate (1486), Pico della Mirandola aveva esaltato l’eccellenza dell’uomo, individuata nella sua possibilità di «plasmarsi» liberamente e, dunque, di creare da sé il proprio destino. Nella Oratio, ma più in generale nel complesso della sua opera filosofica, Pico si opponeva a un insieme di teorie astrologiche che, viceversa, immaginavano un uomo limitato nel suo raggio d’azione dall’influenza di superiori poteri celesti. Accanto alle teorie astrologiche, anche le nuove dottrine religiose, sia pure su un piano diverso, definivano, limitandoli, la libertà morale dell’uomo e il suo raggio d’azione: si pensi, ad esempio, al concetto di predestinazione.2 Né va dimenticato che, sul finire del Cinquecento, lo 1 2 «Tuttavia, per render la certezza doppiamente certa, / prenderò un pegno dal Fato». Su tali aspetti religiosi, cfr. la Introduction di Robert S. Miola alla edizione Norton 103 MICHELE STANCO stesso Giacomo VI di Scozia (e futuro Giacomo I d’Inghilterra e di Scozia), nella sua Daemonologie (1597), si occupava di magia e di streghe3 e, dunque, delle influenze demoniache sull’agire umano. Temi profetici, oracolari, astrologici caratterizzano il corpus shakespeariano nel suo complesso, con la presenza, in vari luoghi testuali e situazioni drammatiche, di oracoli, sogni premonitori, profezie, indizi naturali. Va da sé che ciascun singolo dramma non solo risenta di tali tensioni culturali, ma che, a sua volta, le riformuli secondo una sua prospettiva particolare, rappresentandole sia sul piano linguistico che sul piano narrativo, e, in particolare, ‘usandole’ per definire dall’interno coscienza, stati d’animo, tensioni morali, progetti dei personaggi. Nonostante gli elementi profetici siano disseminati ovunque nel corpus shakespeariano, allorché si parla di profezia è inevitabile che il pensiero corra immediatamente a Macbeth. Nella ‘tragedia scozzese’, la parabola del protagonista, tanto nella sua ascesa (atti I-III) quanto nella sua successiva caduta (atti IV-V), sembra essere anticipata dalle parole profetiche delle streghe e delle altre apparizioni. La volontà di Macbeth appare, ambivalentemente, sia vincolata dalle profezie, sia libera e capace di autodeterminarsi. Tutto quanto Macbeth progetta di realizzare nasce, senza dubbio, dalla suggestione esercitata su di lui dalle parole profetiche del primo e del quarto atto. Nondimeno, i suoi gesti mirano non solo ad assecondare le profezie (nel caso dell’uccisione di Duncan), ma anche a contrastarle (nel caso dell’uccisione di Banquo, e dello scontro con Macduff). In alcune scene lo spettatore ha la sensazione che la volontà del protagonista sia guidata dall’alto, che essa sia etero-diretta da poteri demoniaci: ad esempio, nella famosa scena in cui Macbeth viene quasi sospinto dal pugnale (II.1.33-49).4 In altri casi, al contrario, si ha la sensazione di una scelta della tragedia (Norton, New York 2004, pp. vii-xxi). Per il quadro generale relativo alla profezia, mi sono ispirato alla relazione di Franco Marenco, La profezia come funzione narrativa: dall’antichità al Rinascimento inglese, all’interno del Convegno Il futuro come intreccio, a cura di Marina Giaveri, tenutosi a Ischia (10 ottobre 2011), che ha preceduto la pubblicazione del presente volume. 3 James R. (James VI), Daemonologie, in forme of a Dialogue (1597). Cfr. l’Introduzione di Giovanna Silvani alla edizione anastatica dell’edizione stampata ad Edimburgo nel 1597 (Università degli Studi di Trento, Trento 1997, pp. VII-XXVII). 4 Anche tale scena, comunque, non è priva di ambivalenze, dal momento che il pugnale 104 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? libera, quanto umanamente tormentata: si pensi soprattutto ai monologhi che rivelano una coscienza lacerata e internamente scossa da movimenti di segno opposto. L’esito dell’azione, a sua volta, appare sia predeterminato dalla profezia delle streghe, sia − almeno in parte − costruito dal soggetto stesso. Se, infatti, è vero che tutto ciò che accade è, in qualche modo, ‘generato’ dai due principali nuclei profetici, e se è vero che Macbeth non riesce a contrastare le profezie a lui avverse (il futuro avvento al trono della discendenza di Banquo, e la sua sconfitta mortale per mano di Macduff), è pur vero che egli sembra concorrere alla realizzazione della profezia, a lui favorevole, relativa alla sua incoronazione. Nonostante Macbeth sogni di diventare re senza doversi «macchiare» la mano e, soprattutto, l’anima (immaginando, per un istante, che il «Chance» gli ponga la corona sul capo «[w]ithout [his] stir», senza cioè che egli muova un dito: I.3.134ss), in realtà, l’acquisizione del titolo regale avviene in seguito a un’accurata progettazione ed esecuzione del delitto. In sintesi, dunque, Macbeth appare sia moralmente influenzato dalle streghe, sia libero di agire autonomamente. Quanto accade, a sua volta, non solo va ad attualizzare un destino già verbalizzato e apparentemente immodificabile, ma è almeno in parte co-determinato dal concorso stesso dell’umano agire. In un certo senso è inevitabile che Duncan muoia (dal momento che la sua morte è implicitamente racchiusa nella profezia); in un altro senso, tuttavia, Duncan avrebbe anche potuto continuare a vivere e a regnare (qualora gli scrupoli morali di Macbeth avessero avuto la meglio sulla sua sete di potere). Come ci ha spiegato Rudolf Otto, l’esperienza del Sacro va oltre il principio di non-contraddizione;5 e come, a sua volta, ci suggerisce il nucleo profetico della tragedia antica, quanto accade è la messa in atto di un disegno che in apparenza sembrava fattualmente impossibile: ad sembra essere sia un’apparizione esterna, sia un «pugnale della mente». La stessa Lady Macbeth, almeno in un caso, più che agire autonomamente, invoca l’influenza esterna, sulle sue scelte, di «spiriti addetti a pensieri di morte» («Come you spirits / That tend on mortal thoughts, unsex me here »: 1.5.38ss.). Riguardo al testo della tragedia si fa riferimento all’edizione “Arden”, ed. by Kenneth Muir, Routledge, London and New York (1951), 1984. Le traduzioni sono mie. 5 Rudolf Otto, Il sacro (1917), tr. it. SE, Milano 2009. Mi rifaccio qui a uno spunto suggerito da Nemi D’Agostino, Prefazione a W. Shakespeare, Macbeth, a cura di Nemi D’Agostino, Garzanti, Milano 1989, pp. XXXVII-XLVIII, p. XL. 105 MICHELE STANCO esempio, nel mito di Ercole la profezia, poi avveratasi, prevede che l’eroe muoia per mano di un morto.6 Nel Macbeth, dunque, sembra affermarsi una realtà a-logica, capace di racchiudere in sé i principi opposti della pre-determinazione e della contingenza, della libertà e della necessità. La tragedia, del resto − come ha osservato gran parte della critica −, è interamente pervasa dalla figura dell’antitesi: il bello è al contempo brutto; le battaglie sono vinte e perse; ciò che è non è.7 Naturalmente, per comprendere meglio uno scenario così complesso e ambivalente occorrerà entrare nel tessuto linguistico della tragedia per sondarlo in maniera più analitica. Macbeth è stata definita la più ‘greca’ delle tragedie shakespeariane. Come osserva Nemi D’Agostino, la tragedia «mette in scena […] quel rapporto imperscrutabile tra i due mondi che i greci avevano rappresentato attraverso la ‘doppia motivazione’ dei loro eroi»:8 da un lato, il mondo umano; dall’altro il sovrannaturale. Il mondo sovrannaturale è legato soprattutto alla presenza delle tre streghe (o sorelle del destino), dei loro «masters» (evocati nel IV atto), e dei rispettivi enunciati profetici. Come si è anticipato, la parola profetica, nella sua oscura tessitura verbale, mette in gioco sia il problema etico della libertà del soggetto rispetto all’azione (e, dunque, della sua responsabilità morale), sia il problema ontologico relativo al carattere ‘necessario’ oppure ‘contingente’ dell’azione stessa. L’ambivalenza della parola profetica nel Macbeth emerge, in tutta evidenza, attraverso il confronto tra due diversi gruppi di enunciati ‘profetici’, formulati rispettivamente nel I e nel IV atto della tragedia. Il primo gruppo è formulato dalle tre streghe, nel I atto della tragedia; il secondo, invece, viene messo in bocca ai «masters», vale a dire alle apparizioni evocate dalle streghe stesse (una Testa armata, un Bambino 6 Nel senechiano Hercules Oetaeus, che a sua volta, si ispira al mito e alla tragedia greca (Sofocle, Trachinie), si realizza la profezia apparentemente impossibile in base alla quale Ercole avrebbe potuto perdere la propria vita solo per mano di un morto (Ercole, difatti, muore indossando una tunica imbrattata del sangue del centauro da lui stesso ucciso con un dardo avvelenato). Cfr. D’Agostino, Prefazione a William Shakespeare, Macbeth, p. XXXIX. 7 Kenneth Muir, Shakespeare’s Tragic Sequence, Hutchinson, London 1972; Id., Introduction, in William Shakespeare, Macbeth, cit., pp. XIII-LXV. 8 D’Agostino, Prefazione a W. Shakespeare, Macbeth, p. XXXVII. 106 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? insanguinato, un Bambino incoronato), nel IV atto. Entrambi i gruppi profetici, come è stato osservato dalla critica,9 hanno una funzione ‘generativa’ nei confronti dell’azione: se il primo nucleo profetico genera, in qualche modo, la prima parte dell’azione e, in particolare, l’uccisione di Duncan e la successiva incoronazione di Macbeth (ma anche, ovviamente, l’assassinio di Banquo), il secondo nucleo genera gli ultimi due atti e, in particolare, la caduta di Macbeth ad opera di Macduff. In sintesi, se il primo gruppo di enunciati prefigura l’ascesa dell’eroe, il secondo ne lascia intravedere la caduta. Tuttavia, a dispetto della loro comune qualità ‘generativa’, i due nuclei profetici si rivelano profondamente diversi: 1) 1 Witch. All hail, Macbeth! hail to thee, Thane of Glamis! 2 Witch. All hail, Macbeth! hail to thee, Thane of Cawdor! 3 Witch. All hail, Macbeth, that shalt be King hereafter (I.3.48-50);10 2) 1 App. Macbeth! Macbeth! Macbeth! beware Macduff; Beware the Thane of Fife. […] 2 App. Be bloody, bold, and resolute: laugh to scorn The power of man; for none of woman born Shall harm Macbeth. […] 3 App. Be lion-mettled, proud, and take no care Who chafes, who frets, or where conspirers are: Macbeth shall never vanquish’d be, until Great Birnan wood to high Dunsinane hill Shall come against him (IV.1.71-94).11 9 10 Cfr. ancora D’Agostino, Prefazione e Note, cit. «Prima Strega: Salute, Macbeth! Salute a te, Barone di Glamis! / Seconda strega: Salute, Macbeth! Salute a te, Barone di Cawdor! / Terza strega: Salute, Macbeth! Salute a te che un giorno sarai re!» 11 «Prima apparizione: Macbeth, Macbeth, Macbeth! Fa’ attenzione a Macduff! / Fa’ attenzione al barone di Fife.» […]. «Seconda apparizione: Sii sanguinario, sii audace, sii deciso! / Beffati del potere umano, / perché nessun nato di donna potrà fare del male a Macbeth» […]. «Terza apparizione: Sii cuor di leone, sii orgoglioso! Non curarti / di chi morde il freno, di chi smania, né dei nascondigli dei cospiratori! / Macbeth non sarà mai vinto fino a quando / il grande Bosco di Birnan / non muoverà contro di lui / fino all’alto Colle di Dunsinane». 107 MICHELE STANCO La differenza tra i due nuclei profetici che reggono l’azione si manifesta, in prima istanza, sul piano linguistico-retorico. Il primo gruppo di profezie (I atto) appare essenzialmente incentrato su formule di saluto augurale che, al tempo stesso, svolgono una funzione predittiva: Macbeth viene, cioè, salutato con titoli onorifici di volta in volta crescenti i quali sembrano s-velare/anticipare le successive tappe della sua futura ascesa. Gli enunciati del secondo gruppo profetico (IV atto), invece, cominciano con formule di tipo esortativo, più che di tipo predittivo in senso stretto («beware Macduff», «Be bloody, bold, and resolute», «Be lion-mettled, proud», ecc.). Tale statuto viene messo in luce dallo stesso Macbeth, allorché egli definisce come «good caution» (ovvero, «buon avvertimento»: IV.1.74) le parole pronunciate dalla Prima Apparizione (la Testa armata). Non mancano, invero, le profezie vere e proprie («none of woman born / Shall harm Macbeth», «Macbeth shall never vanquish’d be, until / Great Birnan wood to high Dunsinane hill / Shall come against him», […]). Queste, tuttavia, si distinguono dalle profezie del primo gruppo per il loro carattere oscuro-enigmatico (in opposizione alla apparente trasparenza linguistica dei saluti delle streghe), nonché per il fatto che, essendo legate alle suddette formule esortative, sembrano implicare una forma d’interazione tra il corso degli eventi futuri e la condotta morale dell’eroe. Questi, in altri termini, non sembra più essere il passivo recettore di eventi postulato dalla prima profezia («[…] shalt be King hereafter»), ma, al contrario, appare come un agente dotato di una sua propria individualità e capacità di scelta morale. Ciò, almeno, in prima istanza. A un esame più attento, tuttavia, il discorso si rivela ancor più complesso. Difatti, entrambi i nuclei profetici del I e del IV atto nascondono tra le pieghe del discorso significati ulteriori. Essi non solo risultano disomogenei tra di loro, ma presentano anche una serie di discordanze interne sulle quali occorrerà indagare più a fondo. Le profezie che compongono il primo gruppo, nonostante condividano una analoga formula retorica (quella del saluto onorifico-augurale), si rivelano linguisticamente e ontologicamente asimmetriche. Asimmetria dovuta, in primis, al loro diverso rapporto con l’azione. A prima vista, i tre saluti delle streghe sembrano profetizzare a Macbeth una triplice ascesa: Glamis, Cawdor, infine King. La tecnica retorica è affine a quella che, nelle ballate, di stanza in stanza, suggerisce successivi gradi di svi108 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? luppo narrativo e che è generalmente nota come «incremental repetition». Nel caso specifico, l’uso di tale tecnica può però risultare ingannevole. Difatti, nonostante siano accostati tra loro da strategie retoriche di ripetizione, i tre titoli attribuiti a Macbeth, a un esame più ravvicinato, non appaiono ‘fattualmente’ omologhi. Il primo titolo, quello di Barone («thane») di Glamis, è già posseduto dal protagonista. Come osserva, a tale proposito, lo stesso Banquo: My noble partner You greet with present grace, and great prediction Of noble having and of royal hope That he seems rapt withal (I.3.53-56).12 Banquo, cioè, opportunamente distingue tra i tre titoli conferiti dalle streghe a Macbeth: mentre il titolo di Glamis non è propriamente profetico, dal momento che si riferisce a una «present grace» (un onore già dato), gli altri due sono, invece, definiti segni di una «great prediction».13 Più precisamente, in realtà, il secondo titolo, quello di Cawdor, è profetico dal punto di vista di Macbeth e di Banquo, ma non lo è dal punto di vista di Duncan, né degli spettatori. Il re Duncan, infatti, nella scena precedente aveva già palesato la sua decisione di mettere a morte il traditore Cawdor e di conferire il titolo di quest’ultimo a Macbeth. Tale decisione, tuttavia, è ancora ignota sia a Macbeth che a Banquo. La successiva acquisizione del titolo di Cawdor (I.3.103-06) avviene, dunque, senza alcuno sforzo o cimento ulteriore da parte di Macbeth il quale verrà premiato col nuovo baronaggio in virtù di una serie di meriti pregressi 12 «Il mio nobile compagno / lo salutate con un titolo che già possiede, e con la profezia / di un maggiore grado di nobiltà e di regali speranze, / così che egli sembra esserne rapito». 13 L’appellativo di Glamis, dunque, non è profetico in senso stretto, ma rivela soltanto l’onniscienza delle streghe, vale a dire la loro capacità di vedere dei fatti già accaduti senza che nessuno li abbia loro rivelati. Di fatto, la correttezza con la quale le streghe identificano in Macbeth il Barone di Glamis serve solo ad attribuire peso e veridicità alle profezie successive. Difatti, dopo un breve momento di incertezza, nel quale Macbeth e Banquo si chiedono se quanto hanno visto non sia il frutto di un’allucinazione, essi palesano reciprocamente una piena convinzione nel potere profetico delle streghe: «Macb. Your children shall be kings. Ban. You shall be King. / Macb. And Thane of Cawdor too; went it not so? / Ban. To th’ selfsame tune, and words» («Macb. I tuoi figli saranno re. Ban. Tu sarai re. / Macb. Certo, e anche barone di Cawdor, non hanno detto così? / Ban. Proprio così: parole e musica»: I.3.85-87) 109 MICHELE STANCO (il valore e la fedeltà da lui mostrati nel difendere la Scozia contro i ribelli: I.2.16ss.). L’avverarsi di tale «great prediction» e la facilità con la quale essa si realizza convincono poi Macbeth non solo del carattere veridico-profetico delle parole delle streghe, ma anche della possibilità che il resto della profezia si avveri, a sua volta, senza che egli muova neppure un dito: Mac. [Aside] If Chance will have me King, why Chance my crown me, Without my stir (I.3.143-44).14 Del resto, la logica della profezia, almeno nella sua concezione più radicale, vorrebbe che gli eventi, in quanto già scritti, si realizzassero da sé, a prescindere dallo sforzo e dalla responsabilità morale del soggetto. Macbeth, tuttavia, sin dal principio sa che non sarà proprio così. Se, da un lato, egli vorrebbe che il «Chance» (la Fortuna) gli ponesse la corona sul capo «[w]ithout [his] stir» («senza il [suo] concorso»), dall’altro oscuramente intuisce che le cose andranno in maniera diversa; le parole delle streghe evocano in lui paurose fantasie e immagini di sangue: why do I yield to that suggestion Whose horrid image doth unfix my hair, And make my seated heart knock at my ribs Against the use of nature? Present fears Are less than horrible imaginings. My thought, whose murder yet is but fantastical, Shakes so my single state of man That function is smothered in surmise, And nothing is but what is not. (1.3.134-41).15 Le scene successive mostreranno che le paure di Macbeth non sono infondate. Egli diventerà re, realizzando in tal modo la profezia delle 14 15 «Se la Fortuna mi vuole re, allora la Fortuna può incoronarmi / senza sforzo da parte mia». «Perché cedo a quella suggestione / la cui orrida immagine mi fa rizzare i capelli / e battere il cuore contro le costole / in modo così innaturale? Le paure del momento / sono meno di orribili fantasie. / Il mio pensiero, all’interno del quale l’assassinio è ancora solo una mera fantasia, / scuote a tal punto la mia umana fragilità / che ogni altra attività è soffocata dai fantasmi mentali, / e nulla è, se non ciò che non è». 110 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? streghe, ma la sua incoronazione non avverrà senza spargimento di sangue e senza colpa da parte sua. In tutta questa prima parte della tragedia sembrerebbe di poter leggere un con-corso effettivo di Macbeth alla sua incoronazione. Difatti, non solo la volontà di Macbeth appare, almeno in parte, libera nelle sue umane esitazioni e nella sua fragile ambizione (ancorché originariamente influenzata dalle parole profetiche), ma essa sembra, se non determinare in maniera esclusiva, almeno co-determinare l’esito dell’azione. Cosa sarebbe accaduto se Macbeth, dopo vari tentennamenti, non avesse alla fine pugnalato Duncan? o se Lady Macbeth non avesse spinto la sua incerta volontà in tale direzione? In altri termini, la morte di Duncan e la successiva incoronazione di Macbeth sono eventi esclusivamente pre-determinati da un volere soprannaturale, oppure scaturiscono (anche) dalla volontà umana e dal con-corso della sua azione? Il secondo gruppo di profezie sembra confermare tale scenario di incertezza e di sospensione: da un lato, negli atti IV e V la volontà di Macbeth appare libera di agire in maniera autonoma, ma solo in parte (va in questo senso il suo proposito di «take a bond of Fate»: vale a dire, di andare, con la propria azione, oltre il Fato);16 dall’altro, il corso degli eventi, all’inizio, sembra seguire una direzione aperta (il coraggio e la fermezza di Macbeth sembrano, cioè, poter svolgere un ruolo determinante) che va, però, progressivamente chiudendosi, dal momento che, alla fine, la fermezza dell’eroe nulla può rispetto a una caduta che si rivelerà essere, ironicamente, già segnata. Il gruppo profetico che apre il IV atto, s’è visto, è linguisticamente caratterizzato dalla presenza di formule esortative in apparenza simili: tutte sono, infatti, segnate dalla presenza di un modo imperativo («beware Macduff», «Be bloody, bold, and resolute», «Be lion-mettled, proud, and take no care / Who chafes […]», ecc). Tuttavia, a dispetto delle apparenze, tali formule non sono omologhe tra loro. Anzi, mentre la prima esortazione, «beware Macduff!» (IV.1.70), va a segnalare un pericolo, generando una conseguente reazione di paura in Macbeth, le esortazioni successive tendono al contrario a tranquillizzarlo, incitandolo 16 Insomma, contraddittoriamente (ma si è visto come il Sacro superi il concetto di non-contraddizione), Macbeth, pur riconoscendo l’esistenza del Fato, e sentendosene condizionato, al tempo stesso, si ripromette di agire oltre le determinazioni del Fato. 111 MICHELE STANCO a un comportamento temerario («Be bloody, bold, and resolute», «Be lion-mettled, proud […]»: IV.1.79, IV.1.89), giustificato dalle successive previsioni d’invincibilità − sia pure avanzate con qualche riserva. Macbeth appare rassicurato sia dalla profezia che lo vuole invulnerabile per mano di qualsiasi uomo nato da donna, sia dalla profezia che lo vuole al sicuro finché la foresta di Birnan non muoverà verso la collina di Dunsinane. Come mostrerà poi il prosieguo dell’azione, entrambe le condizioni si realizzeranno, anche se nell’ordine inverso: sarà cioè prima la foresta di Birnan (vale a dire, i soldati inglesi unitamente ai ribelli scozzesi, mimeticamente coperti dai rami della foresta) ad avanzare verso Dunsinane (V.4.3ss.); sarà poi un uomo non nato da donna (vale a dire, Macduff, strappato prematuramente dal grembo materno) a insidiare e a prendere la vita di Macbeth (V.6.51-61). Così, le due condizioni apparentemente impossibili saranno realizzate, e il carattere rassicurante delle rispettive profezie si rivelerà essere beffardo.17 Ciò viene messo in luce dallo stesso Macbeth, il quale, alla fine, si renderà conto di essere stato ingannato dalle streghe e dalle apparizioni da loro evocate: be these juggling fiends no more believed That palter with us in a double sense, That keep the word of promise to our ear And break it to our hope (V.7.59-61).18 La catastrofe del dramma, nei doppi sensi su cui è costruita, e nel suo progressivo disvelamento, appare, dunque, ironica.19 E, tuttavia, il protagonista non appare in nessun modo come un mero burattino, nelle mani del Destino, incapace di muovere da solo i propri fili. Sin dall’inizio, prima ancora di scoprire la natura ingannevole delle profezie, dopo qualche tentennamento, egli decide di 17 Macbeth, e con lui lo spettatore, alla fine realizza che l’unica esortazione / profezia non ingannevole era la prima: quella, cioè, che tendeva a metterlo in guardia da Macduff. 18 «Che nessuno mai presti più fede a questi demoni impostori, / che ci ingannano col doppio senso, / e che soffiano parole di promesse al le nostre orecchie, / per poi deludere le nostre speranze» (corsivi miei). 19 Ninian Mellamphy, The Ironic Catastrophe in “Macbeth”, «Ariel: A Review of International English Literature», XI, 4 (1980). 112 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? agire contro Macduff, nonostante le profezie sembrino rassicurarlo riguardo alla invulnerabilità della propria persona e alla saldezza della propria corona: Then live, Macduff: what need I fear of thee? But yet I’ll make assurance double sure, And take a bond of Fate. Thou shalt not live; That I may tell pale-hearted fear it lies, And sleep in spite of thunder (IV.1.81-85).20 L’idea stessa di «take a bond of Fate» − vale a dire di «prendere una garanzia dal Destino (o di prendere un pegno dal Fato)» − suggerisce che Macbeth non si sente del tutto rassicurato dalle profezie, che sin dall’inizio non prende pienamente sul serio la propria supposta invulnerabilità, e che, in ogni caso, conta di poter agire indipendentemente dai dettami delle apparizioni, cercando ulteriori garanzie. «Prendere un pegno dal Fato» è, cioè, una ulteriore antitesi, più nascosta e dunque più sottile delle altre alle quali si è già accennato: prendere un pegno dal Fato significa sia prestar fede al Fato sia non credervi; sia esserne condizionati sia ritenersene liberi.21 Non solo. Sia pure in maniera inconsapevole (dal momento che le profezie sembrano essergli favorevoli), Macbeth, in questa seconda fase dell’azione, lotta contro l’avverarsi della parola profetica (Macbeth lotta, cioè, contro la sua caduta già verbalizzata anche se parzialmente celata dall’uso di un doppio senso). E continua a combattere disperatamente fino all’ultimo, anche allorché comprende il senso autentico della profezia e, dunque, l’ineluttabilità della sua caduta («I will not yield / To kiss the ground before young Malcolm’s feet»: V.6.66-67).22 Non solo. L’azione di Macbeth non si limita a girare intorno alla profezia (vuoi per assecondarla, vuoi per contrastarla), ma se ne rende 20 «Allora vivi, Macduff! Che bisogno ho io di temerti? / Tuttavia, per render la certezza doppiamente certa, / prenderò un pegno dal Fato. Tu non vivrai! / Così, potrò smentire la vile paura, / e riuscire a dormire anche se tuona» (corsivi miei). 21 Si confronti anche il precedente, non meno ambiguo: «come, fate into the list, / And champion me to th’ utterance!», con il quale Macbeth, da un lato dice, «scendi, destino, in lizza per me e sii il mio campione ad oltranza»; dall’altro, «scendi in lizza, destino e sfidami ad oltranza» (III.1.70-71). 22 «Non cederò, né bacerò il terreno / Sotto i piedi del giovane Malcolm». 113 MICHELE STANCO anche pienamente indipendente. Allorché egli progetta di uccidere, oltre allo stesso Macduff, anche la moglie e i figli di questo, la sua azione si mostra come un gesto sanguinario e del tutto gratuito: un gesto, cioè, che va ben oltre le ragioni di potere e di sicurezza personale. Come nella tragedia senechiana Hercules furens,23 nel Macbeth il sangue genera altro sangue, ad libitum: blood will have blood (III.4.121) Più che essere vittima delle profezie, la volontà di Macbeth diventa, alla fine, vittima di una coazione a ripetere, di una sete gratuita di sangue, non funzionale ai suoi disegni di potere, ma prigioniera soltanto dei fantasmi della mente. Di qui lo statuto ambivalente della profezia: la parola profetica sembra condizionare ma non legare i destini dei personaggi, influenzarne le volontà ma non imprigionarle. Anche se ciò che accade appare come già pre-determinato e verbalizzato, l’individuo non sembra essere esautorato nella sua volontà, nella libertà della sua azione, e − dunque − nella sua responsabilità morale. Anzi, ciò che colpisce, e che costituisce la cifra tragica della vicenda drammatica, è il senso ossessivo della colpa, quale traspare soprattutto nei monologhi e negli a parte. Dunque, il centro emotivo della tragedia non sta tanto nelle parole profetiche delle streghe, né nella caduta finale dell’eroe, né nella scena del delitto, quanto negli scrupoli di una coscienza già macchiata ancor prima che il delitto venga commesso (la colpa, cioè, è già nel pensiero che partorisce l’assassinio regale). Come osserva il protagonista stesso in un famoso soliloquio (il secondo), è impossibile «trattenere nella rete» («trammel up») le conseguenze della colpa, dal momento che «le lezioni di sangue» ritornano ad «appestare» colui che le ha impartite. Con un’immagine ‘amletica’, Macbeth evoca il calice di veleno che va ad avvelenare le labbra di colui che l’ha infettato: dalla colpa, insomma, non si tornerà indietro mai più: 23 Riguardo alle influenze sul Macbeth del senechiano Hercules furens, cfr. Robert S. Miola, Introduction, cit. 114 MACBETH : TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA ? If it were done when ‘tis done, then ‘twere well It were done quickly. If the assassination Could trammel up the consequence, and catch With his surcease success − that but this blow Might be the be-all and the end-all! − here, But here, upon this bank and shoal of time, We’d jump the life to come. But in these cases We still have judgement here − that we but teach Bloody instructions, which, being taught, return To plague the inventor. (I.7.1-10)24 Se non c’è alcun dubbio che Macbeth sia una tragedia metafisica, della parola predittiva che si attualizza indipendentemente dalla volontà (e, dunque, dalla responsabilità morale) del soggetto, essa è, però, anche − e forse soprattutto − una tragedia della coscienza colpevole25, degli incubi ad occhi aperti, della mano «macchiata» in maniera indelebile, dell’anima costretta a vedere dentro di sé i segni di quel «gesto senza nome» che essa vorrebbe vanamente consegnare all’oblìo della notte. 24 «Se tutto finisse una volta fatto, sarebbe bene / farlo subito. Se l’assassinio potesse / intramagliare le conseguenze e avere / successo con la sua fine −/ che questo solo colpo fosse tutto / e la fine di tutto! − qui, soltanto / qui, su questa riva e secca del tempo, / Salteremmo l’eterno. Ma in questi casi / − è qui che si è dannati − non facciamo altro / che insegnare lezioni di sangue che, venendo assimilate, tornano indietro / ad appestare colui che le ha insegnate». 25 Su questi temi, cfr. John S. Wilks, The Idea of Conscience in Renaissance Tragedy, Routledge, London and New York 1990 (l’analisi di Macbeth è alle pp. 125-43). 115 INDICE LA PROSA DEI GIORNI Luciana Pirè, L’AVVENIRE DI DANIEL DEFOE A CREDITO. THE COMPLETE ENGLISH GENTLEMAN p. 7 Elisa Fortunato, DOVE DUOLE IL TEMPO. NOTE SULLO STILE DI THOMAS CARLYLE p. 33 Gabriella Pelloni, VISIONE E PARODIA NELLO ZARATHUSTRA DI NIETZSCHE p. 47 Lorella Bosco, PROFETA E RINNEGATO: MOSÈ E ŠABBETAY ŞEVI NELLA LETTERATURA EBRAICO-TEDESCA DEL FIN DE SIÈCLE p. 65 Rosalba De Giosa, IL VOCABOLARIO DEL FUTURO. I SAGGI DI GEORGE ORWELL p. 99 LE PAROLE DELLA SCENA Marco De Santis, L’ANNUNCIO DEL MALE. RICHARD III DI WILLIAM SHAKESPEARE p. 93 Michele Stanco, «TAKING A BOND OF FATE» MACBETH: TRAGEDIA DELLA PROFEZIA O TRAGEDIA DELLA COLPA? p. 103 Tiziana Ingravallo, EPICA HART MILMAN E PROFEZIA IN THE FALL OF JERUSALEM DI HENRY p. 117 Merio Scattola, ‘PASSATO FUTURO’. L’ORDINE DEL TEMPO NELLA DRAMMATURGIA DI HUGO VON HOFMANNSTHAL p. 125 Claudia Gualtieri, QUALE FELICITÀ MIGRANTE PER L’OGGI? SUGGERIMENTI DAL MONDO p. 143 INDICE IL TEMPO NARRATO Stefania Rutigliano, STILE E LIBERTÀ: LA CRITICA DEL TEMPO IN DIE SCHLAFWANDLER DI HERMANN BROCH p. 159 Laura Chiara Spinelli, NECESSITÀ DEL FATO, GIOCO DEL CASO DEL TEMPO NELLA NARRATIVA DI THOMAS HARDY E CONTINUITÀ p. 175 Cristina Consiglio, TEMPO E DESTINO. NOTE SU LORD JIM DI JOSEPH CONRAD p. 189 Massimiliano Urso, UNO SGUARDO SUL FUTURO GIÀ COMPIUTO: IL LINGUAGGIO DEL TEMPO IN THE JOLLY CORNER DI HENRY JAMES p. 199 Chiara Conterno, HOMO FABER: UNA «SUPER-CONSTELLATION» PREMONIZIONI E CATENE SIMBOLICHE Giulia A. Disanto, PROFEZIA DEL RICORDO: I SEGRETI KAGRAN DI INGEBORG BACHMANN DELLA DI PRESAGI, p. 215 PRINCIPESSA Lidia De Michelis, ENTANGLED FUTURITIES: UTOPIA COSMOPOLITA POSTCOLONIALE NELLA LONDRA DI BRIAN CHIKWAVA DI p. 231 E INCUBO Annalisa Oboe, DISCORSI SUL TEMPO E SULL’AMORE: UNA PARENTESI TURO NELLA NARRATIVA INGLESE DI FINE NOVECENTO p. 247 SUL FUp. 265