“Vibrano intese segrete”.
Genesi ed estetica del suono nel Prometeo di Luigi Nono.
Il Prometeo rappresenta per Nono il raggiungimento di un’idea: l’opera in funzione dell’ascolto.
Arriva quasi al termine della carriera del compositore, segnando così il picco massimo di una
ricerca tanto profonda da non riuscire ancora ad ammettere sintesi, ma solo l’unione più o meno
organica e vitale di diverse parti che vanno a formare il corpo di un gigante. La sintesi arriverà dopo
Prometeo, con la maturità di un’esperienza tanto complessa che gli permetterà di lavorare in
formazioni più agili e progetti meno dispendiosi.
Prometeo è un’opera del 1984, la cui idea nasce però anni prima con Io, frammento da Prometeo
del 1981 e che si farà carico di portare con sé i vari campi della ricerca noniana. Quella di un nuovo
teatro musicale, che parte con Intolleranza 1960 e si sviluppa con Al gran sole carico d’amore e che
ha l’intento primario di cercare un maggiore coinvolgimento sinestetico attraverso il dislocamento
spaziale della scena. La ricerca sulla dimensione elettroacustica, che passa dalla fissità del nastro
magnetico suonato con lo strumento dal vivo alla continua capacità di dialogo rigenerante del live
electronic e del calcolatore 4i; la ricerca compositiva sulle prassi esecutive e i microintervalli. A
questo lavoro di carattere estetico si deve sommare però, come spesso avviene in Nono, una
necessità etica: portare in primo piano l’ascolto vuol dire sviluppare una modalità sovversiva
rispetto al sistema egemone di trasmissione acustica, estetica e culturale. Ecco allora che, se
Venezia diventa la similitudine primaria di un ascolto contrario alla monodirezionalità, il
coinvolgimento del giovane architetto Renzo Piano diventa essenziale per la progettazione di uno
spazio in grado di ricreare un multiverso sonoro. Nasce così l’idea dell’arca per il Prometeo,
struttura lignea che ospita nello scafo il pubblico, sui ballatoi posizionati alle pareti i gruppi
orchestrali e disposti all’interno e sotto il pavimento dozzine di diffusori. Un grosso strumento
musicale in grado di suonare, risuonare e di far convergere le sue funzioni, acustica, metaforica ed
etica, verso l’unico fine che è l’ascolto. All’interno del progetto Prometeo viene coinvolto anche
Massimo Cacciari, che già aveva lavorato con Nono, per la scelta di una selezione di testi tratti dalla
storia della filosofia. I musicisti scelti da Nono come solisti sono un gruppo di improvvisatori con
cui solitamente lavorava in quegli anni: Fabbriciani, Schiaffini, Scarponi e Scodanibbio; per la parte
elettronica ci sono Haller alle strumentazioni dello Studio di Friburgo e Vidolin al 4i.
Il Prometeo fu eseguito due volte: la prima a Venezia nel 1984 dove l’arca venne ospitata nella
chiesa sconsacrata di San Lorenzo; e una seconda volta in un padiglione dell’Ansaldo a Milano
l’anno successivo. Questo “carro di Tespi”, che avrebbe dovuto diffondere il progetto ambizioso di
un rinnovamento dell’esperienza acustica, estetica ed etica è stato stoccato per vent’anni nei
magazzini della Scala e trasferito poi ora in un magazzino del Comune di Mezzago.
1
§1. L’arca di Prometeo: un luogo pieno di silenzio.
Il Prometeo si presenta da subito come un caso unico. Per i costi, per i nomi coinvolti, per
l’importanza di un progetto che comporta la costruzione di uno spazio apposito, per l’utilizzo di
tutta la tecnologia a disposizione in quel momento1. Se tutto questo ha offuscato in parte il risultato
stesso dei lavori bisogna cercare di portare nuovamente allo scoperto la vera forza dell’opera che è
quella di mettere in mostra, sotto molteplici aspetti, il pensiero estetico e compositivo di Nono,
esemplificando le sue teorie sul suono, sul silenzio, sul rumore. Non solo: vengono messe in gioco
tutte le dinamiche che caratterizzano il lavoro sull’instabilità e la variabilità dei fenomeni sonori, il
legame essenziale con l’esperienza del vissuto, dell’incontro col mondo, della memoria acustica e
quello diretto con lo spazio inteso come luogo-ambiente.
La componente elettronica, quella architettonica e quella compositiva si integrano in modo così
organico attraverso l’idea e la prassi noniana del rapporto tra suono-silenzio-rumore che il
Prometeo diviene l’opera “manifesto” dell’estetica del compositore veneto. Del resto, come viene
spesso ripetuto2 - e non a torto - l’utilizzo dello spazio e delle possibilità elettroniche è inteso da
Nono in funzione di un’idea sonora che mette in scena il suono stesso. L’opera si presenta e viene
presentata come metafora percettiva del vissuto acustico, in particolare quello di Venezia come
multiverso, in grado di offrire agli spettatori una possibilità nuova di percezione basata
sull’intreccio di un piano acustico policentrico e multidirezionale. La costruzione stessa dell’arca, di
un luogo così particolare per eseguire l’opera, si inserisce in questo complesso discorso della messa
in scena del suono rendendone possibile la gestione all’interno di uno spazio esecutivo che sia allo
stesso modo evocativo dell’idea di viaggio. Inoltre l’utilizzo delle apparecchiature per il live
electronic permette di riempire quell’ambiente di vibrazioni, di suoni, di rumori e di immergere lo
spettatore in un multiverso fatto di silenziosa e pulviscolare confusione sonora. Il suono e lo spazio
sono i due cardini su cui si costruiscono l’opera e questo studio: le loro possibili relazioni,
avvicinamenti e condizionamenti. Per definire la propria idea di suono e di percezione dell’opera, il
compositore, si avvale spesso del paragone con la propria città natale.
Venezia è un sistema complesso che offre esattamente quell’ascolto pluridirezionale
di cui si diceva… I suoni delle campane si diffondono in varie direzioni: alcuni si
1
L’elettronica presente nel Prometeo è decisamente all’avanguardia per il 1984, composta dalle strumentazioni per il
live electronic dello Studio di Friburgo e il calcolatore 4i progettato da Di Giugno con il Centro di Sonologia
Computazionale di Padova.
2
Ad esempio in “Verso Prometeo. Conversazione tra Luigi Nono e Massimo Cacciari raccolta da Michele Bertaggia”,
si legge: “(…) mentre per me ritorna, decisiva, la relazione interdeterminante tra suoni e spazi: come il suono si
compone con altri suoni nello spazio; come quelli si ri-compongono in questo… Il che significa come il suono legge lo
spazio e come lo spazio scopre, svela il suono”. Luigi Nono, Scritti e colloqui, a cura di De Benedictis-Rizzardi,
Ricordi-Lim, Milano –Lucca 2001, pp. 339-340.
2
sommano, vengono trasportati dall’acqua, trasmessi dai canali… altri svaniscono
quasi completamente, altri si rapportano in vario modo ad altri segnali della laguna
e della città stessa. Venezia è un multiverso acustico assolutamente contrario al
sistema egemone di trasmissione e di ascolto del suono a cui siamo abituati da
secoli. Ma la vita quotidiana nella sua dimensione più “naturale”, conserva
possibilità contraddicenti la nostra percezione più consapevole, la quale ha scelto
soltanto alcune dimensioni fondamentali trascurando tutte le altre. Epperò ciò
significa anche che, mentre si va all’opera o al concerto idolatrando quelle uniche
condizioni e dimensioni di ascolto, nello stesso tempo naturalmente si continua
l’esperienza di quest’altro multiverso… Si tratta allora quasi di un’urgenza di
risveglio a questa maggiore ricchezza “naturale”.3
La ricchezza di questo multiverso sonoro, del paesaggio di Venezia, per la percezione acustica
nell’incontro con il mondo è ciò che Nono cerca di riproporre attraverso l’utilizzo di prassi
esecutive particolari sugli strumenti e sull’elettronica. Queste hanno il compito di portare alla luce
l’origine della dialettica suono-silenzio come movimento vibratorio confuso ed emotivamente
afferrato dal soggetto in relazione all’ambiente.
Prima di arrivare a definire cosa sia silenzio per il compositore si deve cercare di aprire il ventaglio
di possibilità che questa nozione legata all’elettronica 4 genera per Nono, sottolineando subito che
ciò che affascina di più Nono sono le piattaforme per il live electronic dello Studio di Friburgo che
permettono di lavorare sull’emissione acustica in tempo reale 5. Ogni evento sonoro (vocale o
strumentale) che fa la sua comparsa nella sala ha la possibilità di accadere contemporaneamente alla
sua elaborazione: si ascolta un passaggio per i fiati e contemporaneamente il suo stesso suono
elaborato rendendo la componente elettronica come un’estensione dello strumento acustico. La
tecnica del tempo reale infatti comincia con la microfonazione, essenziale per captare il segnale
sonoro meccanico e trasformarlo in impulso elettrico.
3
Restagno, Nono, a cura di, EDT, Torino 1987, p. 262.
Per quanto riguarda la parte elettronica, Nono si avvale di due strumenti: le piattaforme per il live electronic dello
Studio di Friburgo e il 4i, un calcolatore progettato da Di Giugno e il Centro di Sonologia Computazionale di Padova.
Entrambi questi, ma in particolar modo il primo, servono a dare la possibilità di animazione in tempo reale nello spazio
esecutivo dei suoni, permettendo diverse possibilità di interazione e gestione. Si vedano i saggi di Vidolin, “Il suono
mobile”, in Con Luigi Nono, Ricordi-Biennale, Venezia 1992, pp. 42-47; id., “Interazioni con il mezzo elettronico”, in
Nono, Verso Prometeo, a cura di Cacciari, Ricordi, Milano 1984, pp. 47-53; Haller, “La tecnica del live electronic allo
Studio sperimentale di Friburgo”, in Nono, Verso Prometeo, op. cit., pp. 39-46; id., “Nono in the studio – Nono in the
concert – Nono and the interpreters”, in Aa.vv., “Luigi Nono. Frangments and silence” Part II Contemporary Music
Review, Volume 18, Issue 2 1999, pp. 11-18; Cecchinato, “Il suono mobile. La mobilità interna ed esterna dei suoni”,
in Rizzardi, La nuova ricerca sull’opera di Luigi Nono, a cura di, Archivio Luigi Nono Studi I 1998, Olschki, Venezia
1999, pp. 135-153.
5
Per tempo reale o live electronic si intendono apparecchiature, hardware e software, sviluppate a partire dalla metà
degli anni settanta in diversi studi di musica elettronica che focalizzano la ricerca su sistemi di calcolo che siano
compresi nel periodo di campionamento del segnale. Cfr. M. Lupone, “Musica elettronica”, in Cingolani-Spagnolo,
Acustica musicale e architettonica, Città Studi, Milano 2008, p. 533.
4
3
Queste apparecchiature possono essere suddivise in tre categorie a seconda del tipo di lavoro svolto
sul suono6: a)la trasformazione del suono, che comprende apparecchi come il modulatore ad anello,
i traspositori, l’Harmonizer e il Vocoder; b)la selezione del suono, degli speciali banchi di filtraggio
di quinta, di terza, di seconda; c)la regolazione del suono: gate (amplificatore a tensione
controllata), Halaphone (regolatore spaziale del suono), apparecchi di ritardo come delay o
feedback. Cerchiamo di approfondire alcune di queste applicazioni all’interno del Prometeo e di
integrarle seguendo l’utilizzo fatto dal compositore con i fini più generali della sua estetica,
portando con sé in modo diretto un tema più ampio come quello del movimento del suono
all’interno dello spazio. Si deve prima di tutto ritornare sul microfono e la catena elettroacustica
dell’amplificazione attiva; questa comprende microfono-amplificatore-altoparlante e permette di
mutare quel rapporto tra dinamica e spazialità che per primo Stockhausen ha messo in luce: le
coppie forte-vicino e piano-lontano perdono i loro legami interni 7. Ovvero due note di uguale
ampiezza di pressione sonora sugli altoparlanti hanno un suono differente se suonate una forte e
lontano e l’altra piano e vicino. All’interprete quindi è richiesto un nuovo parametro da conoscere e
padroneggiare che è il controllo dello spazio che influenza il suono 8. Si apre così una questione
piuttosto rilevante per Nono e per la sua estetica, ovvero l’utilizzo e la pratica del microfono, il più
elementare degli strumenti elettronici, che il compositore vede al pari di un microscopio9: al pari di
questo, esso porta a galla tutta una serie suoni legati a prassi esecutive e interazioni con lo
strumento acustico che altrimenti sarebbero destinati all’inudibilità.
Si vuole proporre un primo esempio cercando così di entrare nello specifico discorso della ricerca di
una scala di omogeneità tra il rapporto spaziale che il suono ha con lo strumento, con il microfono e
con lo spazio gestito dal compositore. Cominciamo dalla voce che viene appositamente tolta dalla
sua funzione primariamente semiotica per essere in qualche misura rimessa su di un piano segnicosonoro 10.
6
Oltre agli sudi precedentemente citati ai quali si rimanda, si consiglia l’approfondimento attraverso Vidolin,
“Interpretazione musicale e signal processing”, http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinMit.pdf.
7
Ovviamente il legame che viene meno è quello esecutivo, quello percettivo in minima parte nella colorazione
differente che assumono le due note amplificate, ma non per l’impressione spaziale. Si veda Stockhausen, “Problemi
attuali (a proposito di Gesang der Jünglinge)”, in Pousseur, Musica elettronica, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 111-124.
8
Come sottolinea Lupone, “la risposta in tempo reale del sistema permette al musicista di sviluppare più velocemente
quelle capacità predittive necessarie per la composizione musicale e, al tempo stesso, gli permette di conseguire
l’interazione più opportuna per l’azione e l’esercitazione necessaria in opere che prevedono l’esecuzione dal vivo con il
computer”. Lupone, “Musica elettronica”, in Cingolani-Spagnolo, Acustica musicale e architettonica, op. cit., p. 534.
9
Cfr. Vidolin, “Il suono mobile”., op cit., p. 43 e Pennese, Post-Prae-Ludium per Donau de Luigi Nono: de la partition
à l’oeuvre réalisée, Thèse en Musique et Musicologie du XX siècle, Paris 1997-1998.
10
Anche se non in linea con il percorso che qui si vuole portare avanti si vedano i saggi sul rapporto voce-suono-canto
in Nono, in particolare: Richard, “Musica fuori dalle convezioni e notazione grafica tradizionale: limiti della
trasmissione della musica in Nono”, in Con Luigi Nono, op. cit., pp. 98-102; Borio, “Vocalità-Elettronica: un rapporto
chiave nel lavoro di Nono”, in Con Luigi Nono, op. cit., pp. 213-216; Vieira de Carvalho, “Towards dialectic listening:
quotation and montage in the work of Luigi Nono”, in Contemporary Music Review, vol. II, op. cit., pp. 37-80; Ivanka
Stoianova, “Testo-musica-senso. ‘Il canto sospeso’”, in Restagno, Nono, op.cit., pp. 126-142.
4
© Universal Music Publishing Ricordi, Milano
Come camminando per Venezia si sentono suoni/voci arrivare da più parti, confondendosi fra di
loro e con i rumori della laguna11, così questo passo della partitura, rende in modo chiaro l’idea di
cosa voglia dire far diventare il canto un suono e allo stesso tempo il microfono un’estensione dello
strumento voce. Come si può vedere innanzitutto l’andamento dinamico dei due solisti parte da p e
arriva a ppp prima di cominciare la parola “segrete”. All’interno di questa progressione troviamo un
picco mf . La cosa però su cui vorremmo porre l’attenzione è l’indicazione di relazione della voce
col microfono che Nono dà al coro: “Coro: tutti con mani e dita intrecciate davanti la bocca,
vicinissimo al microfono”. Quel reticolo delle mani è un primo metodo di intervenire sul suono, di
renderlo vivo, rumoroso e sporco e allo stesso modo di utilizzare un scala di continuità sonora tra lo
spazio di risonanza dello strumento, quello di captazione del condensatore del microfono e quello
della diffusione elettroacustica nell’arca. Porre le mani in quel modo comporta un primo filtraggio
delle frequenze ed un abbassamento della pressione acustica che arriva al microfono. Questo
offuscamento nell’emissione rende il suono mosso: attraverso la microfonazione si offre
all’ascoltatore la possibilità di sentire anche le leggere inflessioni che vengono evidenziate. La
11
A questo proposito, ovvero riguardo la specificità del soundscape lagunare vorremmo citare Nono che si riferisce a
…sofferte onde serene…: “Alla mia casa, alla Giudecca in Venezia, giungono continuamente suoni di campane varie,
variamente ribattute, variamente significanti, di giorno e di notte, attraverso la nebbia e con il sole. Sono segnali di vita
sulla laguna, sul mare. Inviti al lavoro, alla meditazione, avvertimenti. E la vita vi continua nella sofferta e serena
necessità dell’‘equilibrio del profondo interiore’, come dice Kafka”. Si cita da Nono, Scritti e colloqui, op. cit., Vol. I, p.
482. In secondo luogo è interessante leggere anche le parole di Feneyrou che ha dedicato un approfondito lavoro di
ricerca sull’opera del maestro veneziano: “Venise encore dont la réalité acoustique suppose un systéme complexe de
mirages sonores (…). (L’acqua stagnante diviene ndr) force de vie où croupissent les nostalgies, les sentiments et les
utopies, mais aussì élément d’une conception qualitative du son, où se reflècte la notion de gibigiana, de miroir
miroirant résolument dynamique”. Si cita da Feneyrou, Introduction à la pensée de Luigi Nono, Thèse en Musique et
Musicologie du XX siècle, Paris, Vol. I, pp. 454-455.
5
mobilità del capo dei cantanti è un altro elemento su cui Nono insiste andando alla ricerca così di un
suono mobile, che si sposta e che ha nell’immediatezza della prassi, prima ancora del trattamento
elettronico, una tinta percettivo-emotiva solo in relazione al suo interagire con lo spazio12.
In questo rapporto con il suono, che ne smuove la linearità dell’emissione in modo assolutamente e
volutamente asistematico, si inserisce anche la ricerca di Scodanibbio13 su quello che viene definito
“suono mobile”, ovvero un suono dinamizzato nell’altezza e nell’intensità. Scodanibbio al
contrabbasso ruota il polso dal basso verso l’alto e viceversa durante la corsa dell’archetto,
smuovendo dall’interno la vibrazione della nota emessa in modo casuale14. Questi due elementi di
intervento manuale sulla voce e sulla prassi esecutiva di alcuni strumenti ad arco si legano all’idea
che Nono ha di suono e del legame con lo spazio. Questa si delinea da subito con delle tinte
personali, che intrecciano un lato paesaggistico-atmosferico nella sua volontà di ricreare
un’ambientazione e un lato emotivo-affettivo per l’ascoltatore che coglie percettivamente dei suoni
volutamente determinati a livello qualitativo. Il suono non è mai neutro né puro e non è mai
indifferente rispetto allo spazio che lo genera, sia quello che lo circonda nell’immediato e che gli
fornisce la prima cavità di risonanza (voce o strumento), sia quello dove viene diffuso.
Questo passo tratto dal Prologo è esempio della concezione di Nono del suono e dell’opera: il suono
è vivo, non è mai totalmente definito, c’è sempre al suo interno un nucleo vibratorio e caotico che
rende sfuggevole la piena percezione e lega questa maggiore espressività ad una dimensione
spaziale qualitativamente e affettivamente percepita15. Proprio sulla dialettica suono-rumore sarà
necessario concentrare il nostro sguardo per riuscire a cogliere pienamente l’intento estetico di
Nono, sia dal punto di vista generativo, compositivo, poetico, che soprattutto percettivo per il
soggetto posto di fronte all’ascolto dell’opera.
È necessario mettere immediatamente l’accento sul fatto che suono e silenzio sono in un rapporto di
dipendenza: per Nono dall’uno si genera l’altro sia ad un livello percettivo più generale che dal
punto di vista estetico-compositivo. La situazione di stasi acustica è quella che permette l’emersione
di un segnale con una determinata evidenza rispetto allo sfondo che cattura l’attenzione
12
Penso sia importante ricordare a testimonianza dell’importanza del microfono per Nono che, dopo il picco
tecnologico raggiunto da Prometeo, ha cominciato a eliminare gli elementi elettronici concentrandosi sui solisti e su
pochi mezzi. Si vedano a questo proposito La lontananza nostalgica utopica futura, A Pierre… dell’azzurro silenzio,
inqueitum, Post prae ludium per Donau n. 1, e in ultimo il Post prae ludium n. 3 baab-arr per solo ottavino e
microfono. Questo a confermare che il suo interesse tecnologico sempre rivolto al suono, alla sua percezione per il
soggetto ha una continuità estetica che si basa proprio sull’aspetto percettivo del momento performativo-sonoro.
13
Cfr. Cecchianto, “Il suono mobile. La mobilità interna ed esterna dei suoni”, in Rizzardi, La nuova ricerca sull’opera
di Luigi Nono, op. cit., pp. 135-153.
14
Cfr., Ibidem.
15
Sul tema della percezione spaziale del soggetto è interessante leggere Gernot Böhme, The Space of Bodily Presence
and Space as a Medium of Representation, http://www.ifs.tu-darmstadt.de/fileadmin/gradkoll/Publikationen/spacefolder/pdf/Boehme.pdf; id., Acoustic Atmospheres. A contribution to the study of ecological aesthetics,
http://interact.uoregon.edu/MedaLit/WFAE/journal/scape_1.pdf.
6
dell’ascoltatore come un segnale d’inizio di qualcosa16. Se volessimo vederla in modo un po’ banale
e immediatamente rivolto allo strato più superficiale della composizione diremmo che l’andamento
generale del Prometeo fatto di dinamiche che si avvicinano all’inudibile e di squarci sonori dati
dalle improvvise escursioni verso il forte rappresenta una scansione a intervalli che diviene
similitudine esecutiva del rapporto oppositivo di generazione sonora fra vuoto e pieno17.
Effettivamente un’affermazione del genere può non essere fuori luogo visto che sul piano
macrostrutturale l’opera sembra proprio avere un andamento singhiozzante alternando suono e
silenzio all’interno di un contesto spaziale da scoprire. Forse è proprio questo l’intento che la
scrittura fatta di vuoti e pieni crea attraverso l’osmosi con strumenti creati per la spazializzazione
come l’Halaphone: una mappatura acustica dello spazio18. Attraverso le strutture del darsi stesso del
materiale sonoro e della sua possibilità di gestione, il soggetto entra in contatto con il luogo, ne
scopre la profondità e i materiali e lo percepisce come chiuso. Basta poco però per rendersi conto
che la questione estetica del silenzio, del suono e del rumore per Nono comporta problemi di natura
compositiva e non solo di suggestione metaforico-immaginativa riportata nell’andamento dinamico.
Il suo interesse si rivolge sia all’aspetto microstrutturale che a quello macrostrutturale, senza andare
alla ricerca di una stretta e limitante corrispondenza19, ma si concentra sull’evoluzione dell’opera,
16
Su questo tema si veda l’interessante studio di Paolo Spinicci, Il palazzo di Atlante, Guerini e Associati, Milano 1997,
con particolare attenzione al Capitolo 2 “La cosa e lo spazio”, pp. 33-113; Giovanni Piana, Barlumi di filosofia della
musica, http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~piana/barlumi/barlumi_idx.htm, in particolare i capp. IV, V, VI, VII; Casati,
Considerazioni critiche sulla filosofia del suono di Husserl, http://users.unimi.it/~gpiana/dm3/dm3suorc.htm; Husserl,
La cosa e lo spazio, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, in particolare il cap. IV, seconda sezione, “La costituzione
dell’estensione spaziale e temporale di ciò che si manifesta”, pp. 75-100: id, Il libro dello spazio, a cura di V. Costa,
Guerini e Associati, Milano 1996, in particolare il cap. 2, “Lo spazio dell’intuizione e lo spazio della geometria”, pp.
73-104 e l’appendice “La costituzione sistematica dello spazio”, pp. 119-141.
17
Sul tema della continuità ed omogeneità è interessante avere una triplice lettura che metta in evidenza differenti
aspetti e problematiche. Per questo si consigliano per un approfondimento i saggi di Piana, Figurazione e movimento
nella problematica musicale del continuo, http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~piana/continuo/contidx.htm; Sparzani,
Relatività quante storie. Un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto, Bollati Boringhieri, Torino 2003;
Stockhausen, “Mixture e Mikrophonie I”, in Pousseur, La musica elettronica, op. cit., pp. 248-254.
18
La volontà di studiare lo spazio di risonanza dei suoni e dunque il loro transitorio d’attacco è un tema che percorre
l’opera di molti compositori del secondo Novecento, in particolare Stockhausen con l’espressa volontà di
corrispondenza tra microstruttura sonora e macrostruttura dell’opera.
19
Sul confronto fra Nono e Stockhausen ci sarebbe molto da dire visto che l’estetica dei due compositori è complessa e
differente. Ci limitiamo a citare solo due appunti per uno sviluppo d’analisi che sarebbe interessante approfondire. Il
primo arriva dalle parole di Nono che sottolineano quanto il suo intento, interesse e fine siano decisamente più orientati
verso il lato percettivo dell’analisi spettrale dei suoni piuttosto che autoreferenziale. “Stockhausen dice cose
interessanti. Io però vorrei aggiungere altro. Lui dice che l’ascoltatore ricettivo è come un transistor, e può essere. Però
con il live electronic l’ascoltatore è chiamato secondo me a svolgere un compito ancora più attivo. Il sistema live
electronic invia segnali acustici nella sala ma, questi suoni vagabondi, variati nella qualità, trasformati e composti,
devono essere anche collegati tra loro dall’ascoltatore, non semplicemente attraversarlo. La composizione non ti viene
data, calata da Sirio. Ma tu stesso vieni messo dentro le possibilità compositive, combinatorie spaziali in continuo
movimento, spesso artatamente confuso – almeno per me – per cui si innesca un processo che va molto più in là della
funzione di un transistor: è infatti chiamata in causa la tua capacità di confondere delle relazioni anche là dove non sono
state pensate dal compositore. È lo spazio che suona.” Si cita da Restagno, Nono, a cura di, op.cit., pp. 49-50;
Stockhausen invece relativamente alla Momentform: “En fait, dans certaines compositions contemporaines, cette
perspective rigide de l’écoute des durées de temps a cependant été relativisée; cela veut dire que, selon le contexte, des
durées de même ordre de grandeur sont perçues comme étant de longueur tout a fait différente et que l’auditeur ne peut
occuper, par conséquent, aucune position fixe par rapport aux modifications temporelles mais gagne, au corse du
7
sul dato sonoro che si evolve e che compie un cammino metamorfico nell’entrare in contatto con lo
spazio, nel modellarlo, nel farlo percepire e nel suo farsi condizionare. È vero dunque che
all’interno di un decorso percettivo spaziale l’alternanza di vuoti e pieni, fatti di variazioni di livelli
di densità sonora 20, costituisce una catena di continuità che permette di scoprire lo spazio, ma ciò su
cui da principio si vorrebbe concentrare l’attenzione è un elemento microstrutturale. Il passo
specifico compiuto da Nono nel processo di spazializzazione, che è anche l’elemento che rende
“ambientale” la percezione del suo stesso lavoro, è il fatto che il rapporto con lo spazio parte prima
della struttura generale della composizione e di quella architettonica del luogo, dalla spazialità
stessa degli strumenti, dal loro timbro e dalle possibilità offerte da essi21 . Rendere vivo uno spazio
smuovendo la monodirezionalità acustica significa orientare differentemente i suoni all’interno di
esso, farne percepire particolari aspetti, mettere in evidenza suoni inudibili attraverso la vibrazione
delle parti di spazio dove risuonano. Il suggerimento precedente di una lettura del rapporto
dialettico tra suono e silenzio basato sulla dinamica viene meno allora per la sua evidente
componente semplificatoria e con esso viene meno anche un utilizzo dell’elettronica
autoreferenziale corredata di un certo feticismo nei confronti della nuova liuteria digitale. Per
comprendere il nostro tema sarà necessario affrontarlo in modo pluridirezionale cercando di non
perdersi all’interno delle maglie ma tenendo ben presente la linea teorica noniana, l’utilizzo
applicativo dell’elettronica e della composizione nel rapporto tra suono-silenzio-rumore e la
componente affettiva e qualitativa della percezione per compositore e spettatore.
Il tema del silenzio è forse il primo elemento da districare per comprendere gli altri due e vorremmo
dire da subito che in Nono questo non è definibile in modo stabile, pur restando nostra convinzione
che sia riduttivo tanto identificarlo con un utilizzo marcato delle pause e della frammentazione
compositiva, quanto renderlo esclusivamente un fatto ideologico di ribaltamento sovversivo della
prassi comune d’ascolto. Il significato che assume il silenzio è sempre differentemente connotato
nelle interviste, passando attraverso il rumore uniforme di una via metropolitana iperaffollata di
automobili, gli echi che risuonano nelle cupole di San Marco deserta, l’inudibilità dei suoni della
déroulement de la composition, de nouvelles échelles de comparaison d’après lesquelles il s’oriente; une composition
relie ainsi entre elles plusieurs perspectives de durée, et l’on ne peut plus parler, comme on l’a fait jusqu’à présent, de
mouvements ou d’oeuvres rapides, modéré ou lents, de durée moyennes ou longues, mais de moments relativement
rapides ou brefs, relativement modéré et relativement lents ou longs, selon le contexte”.
Si consiglia dunque lo studio di Stockhausen, Momentform. Nouvelles corrélations entre durée d’exécution durée de
l’oeuvre et moment, Contrechamps N. 9, Editions L’age d’homme, Paris 1998, p. 107.
20
La densità sonora è il rapporto fra energia e volume
D
E
3
e si misura in p m . L’affermazione vale con una
V
certa continuità sia per quanto riguarda l’aspetto acustico e quindi legato alle dinamiche, sia per quello elettronico con
l’ausilio dei potenziometri e dei gate o addirittura dell’Halaphone che permette la circolazione nello spazio.
21
A questo proposito sarebbero molti gli studi da citare, noti ai più. Vorremmo nominarne uno in particolare Chion,
Guide des objects sonores, Institute national de l’audiovisuel, Buchet/Castel, Paris 1983.
8
Foresta Nera, fino ovviamente alle infinite riflessioni del multiverso acustico di Venezia. Il silenzio
continuamente ricontestualizzato dalle parole di Nono assume così sempre più un ruolo percettivocomunicativo: silenzio è lo stadio precedete il suono e silenzio è la mancanza d’informazione
definita nella caotica somma vibratoria del rumore. Questo non è banale perché da un lato evita la
componente naturalistica e d’immobilità, e dall’altro affida al silenzio una parentela con il rumore
nella mancanza di comunicatività definita e nella capacità espressiva22. Sicuramente banalizzando,
potremmo dire che se in 4’ 33’’ la ricerca del silenzio conduce all’ascolto della ricchezza dei suonirumori della natura, in Nono la ricerca del silenzio è ciò che permette di percepire la natura
rumorosa e viva di cui è fatto il suono23.
Visto che la spazialità percorre tutta l’opera di Nono, potremmo azzardare una similitudine di
questo tipo per cercare di spiegare meglio il rapporto tra suono-silenzio-rumore. Immaginiamo una
sfera attraversata nel cerchio massimo da un sottilissima membrana, estremamente elastica, in grado
di vibrare e mutare la sua forma e con essa le volumetrie delle semisfere che unisce. Potremmo
ipotizzare le due semisfere come una completamente vuota e l’altra completamente piena di
vibrazioni ed il suono come quella sottilissima membrana che determina spostamenti impercettibili
fra vuoto e pieno, fra vuoto acustico e rumore bianco. L’intero della sfera è il silenzio in cui si
mantiene l’omeostasi. Il suono nasce da un movimento all’interno dell’immobilità del silenzio. Il
silenzio è la situazione di stasi impossibile da raggiungere sulla membrana che contempla una
mancanza totale d’informazione e quindi il perfetto equilibrio e separazione tra vuoto e rumore. Il
silenzio si pone proprio come uno di questi momenti, una situazione complessa e ricercata che ha
bisogno di essere gestita e ascoltata per essere resa comunicativa. Il silenzio è il vuoto dove non c’è
nulla e che può ospitare un suono, rendendo concava la membrana che separa le semisfere; oppure
può essere un pieno fittissimo che ad un certo punto dirada la sua maglia lasciando emergere
qualcosa, rendendo convessa la stessa membrana vista da una diversa angolazione. Il suono dunque
diviene una piccola sporgenza di un silenzio originario, un soffio che si fa udibile fra vuoto e
22
Da un punti di vista puramente estetico il modo che Nono ha di pensare il silenzio è decisamente significativo anche
per l’indirizzo percettivo che intende dare all’opera. La connotazione silenziosa/rumorosa dell’emissione degli
strumenti musicali, che verrà analizzata in seguito, contribuisce primariamente a non condurre un semplice ribaltamento
dell’attenzione del soggetto (se prima la pausa era un elemento puntiforme fra due suoni tenuti, ora due lunghe
situazioni di stasi accerchiano l’emissione di un suono puntiforme), ma allo stesso tempo a incrinare la percezione di
una scansione ritmica. La mancanza di definizione confonde sia la mappatura generale dello spazio di esecuzione, sia
quella del riconoscimento timbrico degli strumenti. Con questo si vuole dire che l’utilizzo di dinamiche vicine
all’inudibile o i transitori d’attacco prolungati per una intera frase musicale non influiscono solo sulla struttura generale
o macro dell’opera ma primariamente incidono su quella sonora, disorientando così nell’ascolto più generale.
23
“Penso che il mio pezzo migliore, o almeno quello che preferisco, sia 4’33”, il pezzo silenzioso. È formato da tre
movimenti, e in nessuno di essi vi sono suoni. Ho voluto liberare il mio lavoro dalle mie simpatie e antipatie, perché
ritengo che la musica dovrebbe essere liberata dai sentimenti e dalle idee del compositore. Ho sentito e sperato di aver
condotto altre persone a sentire che i suoni dell’ambiente in cui vivono costituiscono una musica che è più interessante
della musica che potrebbero ascoltare in una sala da concerto”, da Porzio, Metafisica del silenzio. John Cage, l’oriente e
la nuova musica, Auditorium, Milano 1995, p. 112.
9
rumore. Tutto il resto della sfera che rappresenta il silenzio permane in una sorta di immobilità che
sfoga nella tensione della membrana i due opposti che la compongono.
Sperando nell’efficacia di questo tentativo di rendere con una metafora spaziale ciò che riteniamo
essere la statuto estetico che assume il silenzio in Nono, ora sembra opportuno approfondire
maggiormente alcuni dettagli del Prometeo.
Silenzio e rumore non sono contrapposti, il secondo può essere letto come parte del primo che nella
tensione con il vuoto fa emergere il suono. Cerchiamo di esemplificare questo discorso con alcuni
passaggi dell’opera per i differenti strumenti.
© Universal Music Publishing Ricordi, Milano
Prendiamo questo passo dal Prologo. Ci troviamo nelle prime battute e già si possono individuare
dei modi espressivi legati alla prassi esecutiva sullo strumento che riportano verso quella dialettica
giocata sull’indefinitezza che lascia l’evidenza decisiva al ruolo ambientale e comunicativo
silenzio-rumore. Concentriamo l’attenzione sui fiati per notare i suggerimento di Nono agli
strumentisti. Ricordiamo che al flauto basso c’è Fabbriciani, al clarinetto contrabbasso Scarponi e
alla tuba Schiaffini24 .
Si può innanzitutto vedere come l’emissione sia guidata verso una componente casuale di rumore
che viene soffiata insieme al suono e ne confonde l’attacco. Tipico del riconoscimento timbrico
degli strumenti a fiato è quello di avere nella prima fase del transitorio d’attacco un proporsi caotico
24
Dal momento in cui Nono comincia a lavorare con il live electronic si circonda di strumentisti improvvisatori, proprio
perché la strumentazione rende necessario il fatto che lo strumentista prenda coscienza di ciò che accade e di tutti i
possibili che potrebbero accadere attraverso le decisioni del compositore all’elettronica e dall’interazione con lo
strumentista. Non solo, l’utilizzo del live electronic è per Nono in questi anni un cantiere in continua via di sviluppo su
cui lavorare sempre con gli stessi musicisti e affinare il rapporto. A prima vista infatti può risultare anomalo che per La
lontananza nostalgica utopica futura Nono torni dopo vent’anni ad utilizzare il nastro magnetico. La collaborazione con
Gidon Kremer è stata quella volta soltanto, quindi non poteva svilupparsi un rapporto d’interazione, per questo Nono
vuole allora registrare l’evento di questo incontro con la stabilità del nastro nel quale lascia anche i rumori che hanno
accompagnato l’esecuzione.
10
delle frequenze e quindi una sorta di soffio d’aria, che viene qui ripreso da Nono e portato alle
estreme conseguenze come se il suono sul silenzio caotico delle vibrazioni non riuscisse mai a
predominare pienamente. Si può cogliere nella notazione per la tuba la riproposta grafica della
modalità di emissione: triangolo vuoto, prevalenza del rumore d’aria; triangolo-nota, mescolanza di
suono ad altezza determinata e rumore d’aria; nota, suono che chiude la lunga transizione del fa.
Interessante oltre questo è notare come Nono voglia dare un’idea di instabilità e movimento del
suono nei fiati tramite le indicazioni “aria intonata” e per il flauto di Fabbriciani “frullato d’aria
intonata”. A questa instabilità emissiva e sovrapposizione di differenti dinamiche ad incastro, si va
sommando una componente percussiva che affascina Nono: i vetri.
© Universal Music Publishing Ricordi, Milano
Anche questo passo, sempre dal Prologo, risulta essere interessante per lo studio del rapporto che
Nono intraprende nel trattare il limite comunicativo che è dato dal suono vibrante rispetto al
silenzio. Sempre restando sui fiati, che sono gli strumenti su cui Nono forse lavora di più e in modo
differenziato, troviamo delle indicazioni significative:
Flauto basso: “eolien con suono ombra”. Quando Nono indica eolien in partitura sta a significare un
insieme di parziali sovracuti riproposti con una determinata velocità di successione. La successione
delle vibrazioni che percorrono lo strumento creano all’emissione suoni acuti; dopo un certo
periodo di emissione si scindono creando dei battimenti25 e una riconoscibile e percepibile
25
Il battimento è un fenomeno di interferenza relativo a due suoni armonici di uguale ampiezza e frequenza poco
differente f2 f1 f . L’onda risultante dall’interferenza sarà un’onda ancora armonica che oscilla con frequenza
( f1 f 2 )
. Il battimento è una variazione dell’ampiezza regolare nel tempo. Se f1 96 Hz e f 2 100 Hz , l’onda
2
risultante avrà una frequenza di 98Hz , e la sua ampiezza varierà sinusoidalmente nel tempo con una frequenza di
2Hz . Il battimento è percepito come una sensazione sonora che aumenta fino ad un valore massimo, per poi diminuire
fino a dissolversi.
11
complessità e mobilità. Importante per l’effetto acustico ricercato è anche l’espressione “suoni
ombra” che viene posta generalmente in corrispondenza di bicordi di armonici, indicando la
presenza intermittente della fondamentale dei bicordi stessi, segnata con un rombo sotto le note.
Questo suono appare e scompare come un’ombra.
Clarinetto contrabbasso: “suoni armonici akutissimi, mikromobili molta ancia sopra i denti incisivi
inferiori - andando verso la punta del bocchino - strumento tutto chiuso”. Anche questa indicazione
assume particolare rilievo per due motivi. Il primo è l’interesse di Nono per i microintervalli che
riescono a dare delle variazioni dello spettro e delle sensazioni di movimento del suono che
affascinarono molto la generazione di compositori a lui contemporanei. Inoltre l’andamento, come
raffigura la notazione stessa, di queste serie di suoni crea uno specifico strato acustico
estremamente labile e alto nello spazio sonoro. Suoni che contribuiscono alla creazione di una
atmosfera acustica fatta di presenze indefinite, intrecciate al silenzio, molto spesso inudibili se non
trattate.
Tuba: “suoni tibetani”. Questi sono indicati a Schiaffini perché sono particolari emissioni dalla tuba
ottenute cantando o facendo dei vocalizzi all’interno dello strumento. La larghezza del bocchino di
tuba e trombone permette una buona riuscita dell’effetto.
Tornando sul tema dell’emissione si veda anche il dosaggio parziale nell’emissione di suono/fiato e
come la discontinuità dei suoni ombra giochi un ruolo centrale per Fabbriciani e Scarponi (flauto e
clarinetto). La scia puntinata del bicordo indica che questo deve apparire e scomparire in modo
discontinuo e aperiodico, caotico, come indica la voluta irregolarità della successione dei punti.
Il paesaggio sonoro e il colore legato all’indefinitezza vibratoria e quindi ad una relazione non
canonica e immediatamente comunicativa tra la spazialità26 dello strumento e la gestione delle
vibrazioni in esso porta verso un rapporto tra il suono e il silenzio che può cominciare a dare alcune
indicazioni alla nostra analisi anche a livello filosofico. Prima di tutto il fatto che un suono viene
modellato dallo spazio in cui è generato e lo rende percepibile e caratterizzato timbricamente.
L’interazione con lo spazio è il fondamento della riconoscibilità e identificazione dell’origine di un
suono; elemento questo che in Nono viene manipolato: le lunghe transizioni e dinamiche
impercepibili fanno saltare la chiarezza del timbro. Secondo elemento è la componente vibratoria
che può e deve sfuggire alla completa modellazione spaziale che la renderebbe pietrificata,
ripetibile e univocamente comunicativa, andando a lavorare spesso sui fenomeni d’interferenza
acustica 27. A Nono interessa dell’opera e della sua realizzazione che possa e debba mutare di volta
26
Coinvolgendo ovviamente anche la riconoscibilità dello strumento e valendo sia per gli strumenti che per l’arca e gli
ambienti come vedremo meglio in seguito.
27
Sul tema del silenzio e del rumore, della complessità del primo e dell’espressività del secondo si vedano Piana,
Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano 1991, in particolare il cap. 1 “Materia” e il cap. 3 “Spazio”; Serra,
Musica corpo espressione, Quodlibet, Macerata 2008, in particolare cap. 1. “Lo spazio della risonanza” e cap. 3 “Il
12
in volta sotto la guida del compositore: che si basi sulla possibilità reale d’interazione. Ad un primo
livello con gli strumentisti, per questo si circonda di improvvisatori, ai quali richiede particolari
pratiche irripetibili identiche. Ad un secondo livello nell’interazione elettronica-architettonica: la
possibilità di localizzare i segnali, di muoverli e di spostare i suoni permette di scoprire lo spazio in
maniera di volta in volta differente perché nulla di tutto ciò viene scritto. Questa istantaneità nella
composizione e la gestione improvvisativa legata all’acustica e al live electronic ci informano
nuovamente riguardo all’idea di suono in Nono, facendo emergere il fatto che questa sia fortemente
legata alla dimensione percettiva naturale, paesaggistica, atmosferica e memorativa rispecchiando la
realtà della percezione acustica.
Per la parte che interessa la mobilità sonora negli strumenti ad arco, abbiamo accennato la prassi
esecutiva creata da Scodanibbio che porta il nome di “arco mobile”, ovvero il fatto di continuare
durante l’esecuzione di una determinata figura musicale a ruotare il polso dall’alto verso il basso e
viceversa. Questo provoca una variazione dell’emissione sonora, un continuo movimento e
modificazione timbrica inudibile ad orecchio nudo ma che emerge con molta significatività nel
nostro discorso. Proviamo a contestualizzare anche questa pratica all’interno del discorso sul
silenzio in Nono attraverso due aspetti: il primo è quello del gesto-partitura, mentre il secondo è
quello della microfonazione. Cominciamo con il gesto, fondamentale per segnare il rapporto che
Nono instaura con il silenzio e con l’opera in generale: questo è segno visivo di un accadimento
acustico impercettibile ma che porta attenzione verso l’ascolto28. L’immagine che segue è presa da
un brano dove ancora non compariva l’elettronica: Polifonica-Monodia-Ritmica. Questo pezzo del
1951 è scritto da Nono, per flauto, clarinetto, clarinetto basso, sassofono alto, corno, pianoforte, e
percussioni.
rumore come fatto espressivo”; si veda inoltre Lanza, Riflessioni di un compositore sul rumore,
http://users.unimi.it/~gpiana/dm12/lanza/lanza_riflessioni_sul_rumore.pdf.
28
Il gesto è anche qualche cosa che nella notazione risulta essere poco riscontrabile, segno da un lato di una necessità di
Nono di portare avanti più che altro l’aspetto performativo e, legato a questo, il fatto di intendere l’opera come quelle
infinite variazioni percettive e percorsi acustico-emotivi differenti durante l’ascolto.
13
Ci troviamo nelle primissime battute del brano e oltre a notare da subito le dinamiche, ppp, notiamo
anche la volontà, fin dagli anni cinquanta, di un suono labile, sottile, umbratile. Ecco allora che le
indicazioni sopra i due clarinetti di “suono d’eco” e le pause di croma, connotano già da quei tempi
l’opera di Nono come incentrata sulle presenze latenti e sui silenzi. Il tema però cui si accennava del
gesto-silenzio è maggiormente riscontrabile seguendo la partitura per le percussioni. La cosa più
interessante è che, oltre alle dinamiche e alle pause, i quattro piatti di grandezza differente vengano
percossi da bacchette di piuma. Percuotere con una dinamica ppp e una bacchetta di piuma un piatto
(non microforato) equivale a non far uscire nulla, o perlomeno un fenomeno vibratorio inudibile. In
questo senso il gesto è ciò che connota il silenzio e lo orienta: durante i silenzi di Nono qualcosa
succede, vi sono vibrazioni ed echi inudibili che si mostrano in questo caso, ai primordi dell’opera
attraverso un gesto, che può stimolare un ascolto più attento oppure aprire attraverso una sinestesia
ottico/acustica ad un precipitato emotivo29. Questo gesto sonoro segna, come abbiamo già detto, un
punto importante che si ritroverà all’interno di tutta la carriera di Nono, ovvero il giocare su di
situazioni percettive a cavallo fra l’udibile e l’inudibile, fra la percezione e l’immaginazione segno
che il silenzio non è mai univoco e uguale per ciascuno degli ascoltatori, ma è sempre colorato e
connotato affettivamente.
29
Cfr. Pennese, Post-prae ludium, op. cit.
14
Il gesto dunque come ombra del suono e immagine del silenzio. Se in Polifonica-Monodia-Ritmica
la realizzazione del tentativo di colorare il silenzio rimane esclusivamente legata al gesto, con il
progresso della tecnologia, l’analisi dello spettro, ma soprattutto la microfonazione, è possibile far
emergere e portare alla luce le vibrazioni minime30. Il microfono dunque e tutto il sistema del live
electronic permettono a Nono di continuare la sperimentazione sui silenzi che aveva iniziato circa
trent’anni prima, ed il cui intento è quello appunto di concentrare l’ascolto sui suoni che rimangono
ombre ed echi ma che sono allo stesso tempo presenze soggettivamente assimilate, attraverso i sensi
o attraverso suggestioni, dagli ascoltatori31 . Come suggerisce Matteo Pennese32, riprendendo le
parole di Alvise Vidolin, emerge la funzione del microfono come uno zoom, un microscopio o lente
d’ingrandimento, che riesce a portare alla luce un suono con maggiore completezza di armonici
superiori. La strumentazione elettronica, così come l’utilizzo di uno spazio specifico per il
Prometeo, appaiono sotto la luce della sperimentazione continua di un compositore che ha nella
propria prassi la volontà stessa di non precludere alcuna via possibile. Ecco allora la vitalità
dell’opera e le sue continue possibilità di rinnovarsi e rigenerarsi che troviamo risiedere anche nel
fatto che gli ascoltatori, così come gli esecutori, non sono chiamati a sentire solo le note “scritte”
ma tutto ciò che vi succede dentro e attorno. Sono chiamati a lasciarsi attraversare dalle sensazioni
acustiche costruendo loro stessi dei percorsi acustico-compositivi-affettivi giocati sulla sottile linea
di divisione fra i suoni-silenzi percepiti, i gesti sonori, e suoni o silenzi immaginati.
La componente emotiva nella percezione dello spazio, attraverso il suono con determinate
caratteristiche qualitative, guadagna terreno rispetto alla sua posizione di qualità terziaria per
divenire coessenziale nell’approcciarsi in modo primario al mondo e all’opera33 . L’interesse di
Nono nei confronti della dimensione spaziale legata al suono, non si rivela soltanto a partire dalle
30
Parlando con Restagno dei vari esperimenti fatti a Friburgo, Nono racconta un fatto curioso avvenuto con Fabbriciani.
“Tra i vari esperimenti abbiamo provato una volta con l’analizzatore computerizzato sonoscop quanti livelli di piano
riusciva a produrre con il flauto basso. Abbiamo calcolato con la massima precisione e siamo arrivati a dieci p. Quando
siamo arrivati al limite del silenzio abbiamo sentito attraverso il microfono uno stranissimo pulsare, come di un tamburo
lontanissimo eppure molto vivo. Ci siamo chiesti cosa poteva essere, abbiamo controllato se c’erano risonanze prodotte
da timpani o grancasse che erano nello studio. Improvvisamente abbiamo scoperto che il microfono davanti al quale
Fabbriciani suonava pianissimo, nel suo soffio captava anche il battito del cuore.” Restagno, Nono, op. cit., p. 48.
31
L’elemento vibratorio che origina il suono diventa anche un modo di trattare a posteriori i suoni e rendere l’insieme
dell’opera differentemente percepito dagli spettatori al centro dell’arca coinvolti in modo sinestetico in diversi momenti
con diverse modalità. Prendiamo l’esecuzione di una nota grave fatta da tuba o contrabbasso ad una dinamica di pppppp
che produce vibrazione, se questa viene filtrata e dislocata in uno specifico monitor l’effetto sarà assolutamente
nascosto per alcuni che trovano lo strumentista alle spalle, solo visivo per chi vede lo strumentista ma non sente
l’emissione e corporeo per chi si trova nella prossimità del monitor. L’importanza del microfono quindi, nell’opera di
Nono, va oltre la sua immediata funzione di trasformazione del segnale acustico e la possibilità di amplificazione.
32
Pennese, Post-Prae-Ludium, op. cit., p. 8; non solo il microfono, spesso Nono parla con grande entusiasmo anche del
Sonoscopio che gli permette di vedere l’evoluzione del timbro di un luogo o uno strumento.
33
Su questa relazione si vedano saggi molto differenti che denotano da un lato un’interazione con lo spazio e una
percezione di esso data dalla presenza corporea letta in modo emotivo ed in modo puramente sensoriale-percettivoevolutivo. Böhme, Acoustic Atmospheres, op. cit.; Feld-Basso, Senses of places, University of Washington Press 1998;
Poincarè, “La relatività dello spazio”, in id., Scienza e metodo, Einaudi, Torino 1997, pp. 79-99; Mach, “Lo spazio
fisiologico contrapposto allo spazio metrico”, in id., Conoscenza ed errore, Einaudi, Torino, 1982.
15
reali possibilità offerte dai sistemi costruiti appositamente per la gestione del segnale e
dislocamento dei diffusori, ma trova il suo punto di massima fertilità nel ripensamento dell’utilizzo
stesso della liuteria elettronica. Da questo ripensamento emerge il passo ulteriore verso la nozione
di atmosfera acustica come possibilità di griglia concettuale-filosofica per leggere l’estetica
noniana. Questo modo di avvicinare il mondo, il suo suono, che esclude la piena tematizzabilità e
oggettività del dato percepito, corrisponde alla volontà noniana di presentare al pubblico l’opera. Il
connotare ogni suono come proveniente dal silenzio-rumore, la gestualità e la dislocazione degli
strumentisti, portano a riflettere sulla componente spaziale in modo sia compositivo nel rapporto
suono timbro ma anche in qualche modo sinestetico e contestuale.
In particolare, per chiudere questa prima parte sul rapporto microstrutturale suono-spazio e passare
alla gestione macrostrutturale dello spazio attraverso il suono poniamo un ultimo sguardo sul
riverbero e i riverberatori34. Questo è, in termini molto generali, il transitorio d’estinzione di un
luogo, ovvero il tempo che impiega un suono a estinguersi in un luogo chiuso 35.
Ovviamente le possibilità elettroniche rendono possibile la gestione dei riverberi dei suoni, la
possibilità di prolungarli, di mantenerli in presenza nello spazio, di accentuarli. L’utilizzo dei
riverberi e riverberatori ha come prima e diretta applicazione quella di simulare una profondità
spaziale36. In una nota del suo interessantissimo articolo37 , Manuel Cecchinato ricorda che Nono
spesso utilizzava dei “tempi di riverbero molto lunghi spostando l’effetto di risonanza sul suono
emesso da un altoparlante in direzione di un altro, come se si trattasse di una fascia di colore in
movimento”. Come si può notare anche qui l’immediata interazione che Nono ha con lo spazio è
quella di utilizzarlo non in modo definito ma di smuoverlo dall’interno, esattamente come abbiamo
cercato di vedere precedentemente nel rapporto che instaura con la prassi esecutiva degli strumenti
che emettono suoni dinamizzati nell’altezze e nell’intensità in modo asistematico.
34
Vorremmo chiudere cercando di traghettare la questione del suono e del riverbero come illusione spaziale verso la
questione più diretta dell’interazione tra compositizone-elettronica-architettonica, interrogando due utilizzi che
potremmo definire creativi del riverbero.
35
“Nell’acustica architettonica è universalmente in uso descrivere la riverberazione in termini di tempo di
riverberazione
TR anziché di costante di smorzamento. Per convenzione, il tempo di riverberazione è il tempo
necessario a che l’energia sonora o la densità di energia decada di un milione di volte dal suo valore a regime; in termini
di livello, 60dB ”. Due delle formule che regolano il decadimento sono quella di Sabine
di Eyring
T60 0,161
T60 0,161
V
s; e quella
S
V
s. Dove V è il volume, S la superficie e è il coefficiente di assorbimento
S ln(1 )
medio di Sabine. Spagnolo, “Il suono negli spazio chiusi”, in Cingolani-Spagnolo, Acustica musicale e architettonica,
Città Studi, Milano 2008, pp. 611-657.
36
Penso si possa affermare che questo, se esiste, è il modo canonico di utilizzo di quella tecnologia applicata
all’espressione musicale.
37
Cecchinato, “Il suono mobile”, op. cit., p. 138.
16
L’altro punto interessante che riguarda il riverbero ci permette di fare un ulteriore passo avanti
nell’avvicinamento del suono al suo rapporto con lo spazio. Il delay è uno strumento elettronico che
riproduce il suono dopo un certo ritardo, anch’esso ha una funzione più scontata che è quella del
suo utilizzo per la creazione di strutture a canone eseguite da un solo strumento. Nono invece
applica al suono il riverbero prima che questo entri nella memoria del delay. Questo fa si che la
percezione al momento della riproduzione non sia quella di uno spazio riverberante unico, sia per il
suono acustico che per quello del delay, cosa che accadrebbe se il riverbero fosse applicato dopo il
ritardo, ma l’impressione è che ogni ritorno provenga da uno spazio differente. Come dice Pennese
“il delay è da considerarsi come lo strumento privilegiato attraverso il quale Nono solletica la
memoria nella sua natura di facoltà non riproduttiva ma evolutiva permettendo nuove elaborazioni
dell’informazione acquisita”38.
§2. Architettura ed elettronica per sentire lo spazio.
Il riverbero e il delay, sui quali si è terminato il paragrafo precedente, sono componenti
caratteristiche degli strumenti musicali e del loro trattamento elettronico: a voler vedere la stretta
relazione che li lega si rifà nuovamente alla nozione di spazio e alla sua relazione con il dato
sonoro. Se il primo corrisponde all’impronta acustica di uno spazio nel suo insieme, il secondo ci
permette di spostare il nostro discorso dagli spazi di risonanza limitatati, come gli strumenti
musicali, alla possibilità di dare, attraverso la dislocazione dei ritardi, una mappatura acusticopercettiva (virtuale o reale) data dalle distanze fra il soggetto in ascolto e lo spazio dove si svolge
l’opera.
Questo discorso richiama nuovamente il tema dell’interazione diretta suono-spazio, il loro essere
strettamente collegati e il loro intrecciarsi nella costituzione di un decorso percettivo del soggetto
che diventa identificatorio e di riconoscimento 39. Riportato allo spazio d’esecuzione questo carattere
permette di tracciare una linea che collega direttamente la volontà del compositore di caratterizzare
il suono del luogo e l’impressione acustica di quel determinato posto, esattamente come per la scelta
organologica. Richiamandoci alla nozione di timbro dobbiamo cercare di vedere, nel suo
intrecciarsi con la possibilità elettronica, architettonica e percettiva, come si sviluppa nel discorso
estetico noniano, sottolineando come nel Novecento musicale lo spazio passa da metafora
38
Pennese, Post-prea ludium per Donau, op. cit., p. 30.
Si consiglia, come approfondimento della discussione in questa seconda parte dell’articolo la lettura di Piana,
Barlumi di filosofia della musica, http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~piana/barlumi/barlumi_idx.htm, in particolare il cap.
IV “Intorno ai rapporti tra la musica e lo spazio”, con attenzione particolare al discorso relativo alla possibilità e
mobilità dei suoni, nonché di Cingolani-Spagnolo, Acustica musicale e architettonica, op. cit., in particolare: Barbieri,
“Acustica architettonica nella storia”, pp. 587-610; Spagnolo, “Il suono negli spazi chiusi”, pp. 611-660; Cingolani,
“Gli strumenti musicali, lo spazio architettonico e l’ascolto”, pp. 763-783.
39
17
linguistica di cui si serve la musica a un parametro-relazione di tipo strutturale attraverso cui
comporre40.
La componente architettonica e quella elettronica giocano infatti un ruolo particolarissimo nella
tessitura del paesaggio sonoro che percorre l’arcipelago: ne intrecciano l’atmosfera filamentosa e
fluida giocando sulla stimolazione di legami percettivi fatti di rimandi, ricordi, echi e
nascondimenti. La relazione noniana con il fascino della composizione per lo spazio in realtà non è
dettata da stimoli avanguardistici verso la nuova liuteria elettronica, ma al contrario si sviluppa
attraverso un percorso di ricerca genealogico che ha nella scuola veneziana e nelle composizioni per
cori battenti dei Gabrieli il suo riferimento più diretto 41. Questo segna da un lato la volontà di
mantenere una continuità con il passato e la tradizione per una rilettura delle possibilità attuali,
dall’altro però segna anche la volontà di concentrare l’intento compositivo sulla stimolazione negli
ascoltatori di percorsi percettivi.
Appare così naturale l’anomala scelta dello spazio esecutivo del Prometeo: i continui echi che si
ribattono sulle pareti dell’arca, sugli alti soffitti di San Lorenzo o dell’Ansaldo, insieme all’utilizzo
di strumenti come Halaphone, Infernal machine e Publison, permettono al suono di rimanere in
presenza, a volte trasformato elettronicamente, a volte timbricamente mutato grazie alla semplice
dislocazione. Il paesaggio sonoro diviene così sempre più un luogo dove il riconoscimento sfugge
costantemente per lasciare l’ingenuità sempre nuova e rinnovata delle prime impressioni.
Analizzando in modo più approfondito il lavoro di Nono sull’elettronica legata alla traslazione
spaziale e a quella temporale, si deve cominciare dallo specificare meglio la funzione di alcuni
macchinari42 . Tutti e tre questi sono provenienti dallo Studio di Friburgo; in particolare l’Halaphone
40
Si vedano a questo proposito due saggi all’interno di Pozzi, La musica e il suo spazio, a cura di, Unicopli, Milano
1987: Melchiorre, “Lo spazio come forma e materia della musica”, pp. 88-95; Manzoni, “Lo spazio come materiale
della musica”, pp. 81-87. Inoltre da prendere sicuramente in considerazione sono anche i saggi di Xenakis, Musica
architettura, Spirali, Milano 2003; id., Musiques formelles, Richard-Masse, Paris 1963; Capanna, Iannis Xenakis:
architetto della luce e dei suoni, http://www.emis.de/journals/NNJ/Capanna-it.html e Stockhausen-Kohl,
“Elctroacoustic performance practice”, in Perspectives of New Music, Vol. 34, N. 1, Winter 1996. Mentre per una più
generale e primaria introduzione limitata ai primi mezzi elettroacustici di diffusione si veda Gentilucci, Introduzione
alla musica elettronica, Feltrinelli, Milano 1975.
41
Si vedano a questo proposito le numerose interviste rilasciate dal compositore riguardo il modo di comporre dei
Gabrieli per la chiesa di San Marco, prima fra tutte quella di Restagno, “Un’autobiografia dell’autore raccontata da
Enzo Restagno”, in Restagno, Nono, a cura di, EDT, Torino 1987, pp. 3-73; Zurletti, “Le opere corali”, Ivi, pp. 116126; inoltre l’intervista di Franco Miraccio, “‘Ascoltare le pietre bianche’. I suoni della politica e degli oggetti muti”, in
Nono, Scritti e colloqui, Vol. II, op. cit., p. 290: “Per me tutto ciò crea la necessità di una percezione attenta, multipla,
perché multiplo è il percorso dei materiali nello spazio, uno spazio particolare però, non uno spazio x. Uno spazio, cioè,
dove il suono gira mediante il metodo dell’Halaphone (uso dello spazio attraverso dieci altoparlanti), salta, dal centro al
basso, dal basso all’alto, da destra a sinistra, e quindi non un suono messo al centro e basta. Ti faccio l’esempio della
chiesa di San Marco dove c’è un ascolto molto articolato e dove sono nati i cori spezzati dei Gabrieli e ogni suono
veniva raccolto sotto la cupola centrale”.
42
Per questo sono necessari gli studi di Vidolin, Interpretazione musicale e signal processing,
http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinMit.pdf; id., Musica informatica e teoria musicale,
http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/cap1.pdf; id., Suonare lo spazio elettroacustico,
http://www.dei.unipd.it/~musica/Dispense/VidolinSuonare.pdf; Sargenti, Tempo, Spazio, Suono in La lontananza
nostalgica utopica futura per violino e nastro di Luigi Nono, http://users.unimi.it/~gpiana/dm12/sargenti-
18
è un regolatore spaziale che permette, attraverso una serie di gates, la rotazione circolare del suono
negli altoparlanti scegliendo la velocità e la direzione. Publison è un traspositore che permette di
spostare il segnale naturale captato dal microfono in una forchetta di un’ottava verso l’alto e due
verso il basso. Mentre l’Infernal machine è un multiprocessore che ha funzione di traspositore e
riverberatore43. La relazione che si costituisce nella composizione del Prometeo fra il suono e lo
spazio è una relazione che ha alle spalle una tradizione compositiva, che si sviluppa attraverso
l’utilizzo sia dello spazio acustico d’esecuzione che delle tecnologie elettroniche e che ha come
finalità la stimolazione percettiva.
Si ritorna in questo modo nuovamente alla centralità dell’idea di suono-silenzio-rumore nella loro
relazione ambientale con lo spazio di risonanza costituendosi in stretta continuità con l’idea di
relazione contesto-ambientale, movimento e animazione, come elementi essenziali dell’opera.
Quell’aspetto del silenzio come una mancanza di definizione nell’informazione portata dal suono,
diviene in questo modo un tratto legante, un colore di fondo, che tiene insieme la dispersione
spaziale dei suoni e la continua rottura della forma, che si annoda e si dirama in modo spezzettato
portando con sé i ricordi e gli echi delle figurazioni precedenti. Procedendo per gradi si deve
cercare di approfondire il modo di intrecciarsi che gli elementi architettonici ed elettronici hanno
nei confronti della composizione ai fini percettivi.
Il Prometeo ha bisogno di un luogo, un posto che sia tutt’uno col suono, che non lo rappresenti ma
che crei una simbiosi che sia forma e contenuto stesso dell’opera. Un luogo dove il suono possa
essere contenuto e che permetta di sviluppare, o quantomeno di presentare, tutte le condizioni
perché si sviluppi un nuovo ascolto che assuma i caratteri di una globalità sinestetica che vorremmo
in qualche modo definire “atmosferica” o “paesaggistica” 44. Intendendo con questo termine che il
soggetto che si rapporta all’opera percependo lo spazio attorno a sé come uno spazio affettivo e
vissuto. Uno spazio dove la sensazione visiva 45-acustica nella sua globale tensione emotiva arriva
contemporaneamente a quella che è la scoperta percettiva e compositiva dell’opera stessa. Viene
così in luce un modo di affrontare il rapporto tra musica e architettura che legga questa relazione
nono/sargenti.pdf; Pennese, Post-Prae-Ludium per Donau de Luigi Nono: de la partition à l’oeuvre réalisée, Thèse en
Musique et Musicologie du XX siècle, Paris 1997-1998; Aa.vv., Luigi Nono, Festival d’Automne à Paris, Contrechamps
1987, in particolare Haller, "De la transformation des sons", pp. 155-163.
43
Aggiungiamo che Nono utilizzava inizialmente il Publison come traspositore e l’Infernal come riverberatore
indicandola in partitura con “Hall”, poi utilizzò solo l’Infernal nelle due funzioni. Fonte: corrispondenza telematica con
Alvise Vidolin.
44
Sul tema delle atmosfere letto in modo più teoretico rispetto ai saggi di Böhme precedentemente citati si consigliano i
saggi di Griffero, Corpi e atmosfere, il punto di vista delle cose,
http://www.sensibilia.it/Archivio/Griffero.%20Corpi%20e%20atmosfere%202005.pdf; Apologia del terziario: estetica
e ontologia delle atmosfere, http://www.sensibilia.it/Archivio/Griffero.%20Apologia%20del%20terziario%202005.pdf;
Buona la prima. Per un’estetica atmosferica della prima impressione,
http://www.lettere.unimi.it/~sf/dodeca/griffero/griffero.pdf; Tonino Griffero – Antonio Somaini, a cura di, “Rivista di
estetica”, Atmosfere, n. 33 (3/2006), anno XLVI.
45
Nella prima versione vi era anche un impianto luci curato da Emilio Vedova.
19
non più attraverso un avvicinamento formale, ma che ne scopra i veri nessi morfologici e dinamici
che chiamano in causa la percezione.
In questo modo ci si rende conto del distacco effettivo che gli avvicinamenti morfologicometaforici tra queste due arti hanno nei confronti del Prometeo. La scansione dello spazio e la sua
esplorazione sono presenti in molti dei lavori musicali del Novecento: si pensi al Philips Pavillion
del 1958 di Varèse, Xenakis e Le Corbusier centrato sul rapporto tra musica e architettura oppure si
pensi alla ricerca della spazialità in Stockhausen attraverso opere come Mixture, in Fluxus di Teresa
Rampazzi o gli studi di Chowning46. Il Prometeo di Nono però ha una caratteristica aggiuntiva su
cui vorremmo concentrare l’intento dell’articolo e che connota l’estetica e il pensiero musicale del
compositore. L’esplorazione dello spazio per Nono non è mai quella di uno spazio cartesiano dove
la purezza del movimento sonoro dislocato mappa acusticamente i luoghi della sala ma è sempre
uno spazio vissuto personalmente sia dal compositore che interagisce con esso attraverso
l’elettronica in tempo reale, che dal soggetto che a seconda del proprio posizionamento nella sala
percepirà differentemente l’opera 47.
La gestione del suono e lo spazio in cui muoverlo non diventano semplicemente parametri
compositivi aggiunti, ma costituiscono una nuova unità che mette in discussione sia il piano
drammaturgico di svolgimento dell’opera sia il piano percettivo che coinvolge l’ascoltatore. Visto
che la nozione di atmosfera, di cui già si è fatto cenno, può essere definita come uno stato emotivo
indotto da fattori ambientali, nel rapporto con la composizione e utilizzo dello spazio e del suono di
Nono occorre fare una riflessione. Bisogna rivedere il rapporto tra lo spazio, il suono e la
percezione nel Prometeo alla luce di un avvicinamento affettivo da parte dello spettatore e
qualitativo da parte del compositore nel trattare il suono che sviluppano la percezione dello spazio
circostante a partire dalla specifica posizione nella sala e dal vissuto emotivo soggettivo. Si deve
allora sottolineare da un lato come questa nozione appaia perfettamente il linea con il pensiero
noniano, dall’altro mostrare come il Prometeo sia la più chiara e feconda esemplificazione
46
Su questo tema, oltre ai precedentemente citati saggi di Piana, Xenakis, Capanna, Stockhausen, si vedano anche
Rampazzi, Selected writings, edited by Paolo Zavagna, http://ejourfup.unifi.it/index.php/mt/article/viewFile/2441/2276;
Serra, Musica corpo espressione, op. cit., in particolare il cap. IV, “Il corpo sonoro”; Vizzardelli, Filosofia della
musica, Laterza, Roma 2008, in particolare il cap. IV, “Musica e atmosfere”; Chowning, “Simulazione di sorgenti
sonore in movimento”, in La musica elettronica, op. cit., pp. 207-215.
47
L’interazione in tempo reale da parte del compositore e il lavoro così concentrato sul suono stesso aprono anche a
livello filosofico una duplice questione relativa all’intreccio di musica e spazio Da un lato vi è una problematica più
formale ben esposta da Vizzardelli, Filosofia della musica, op. cit. dove prende in esame l’avvicinamento hegeliano di
musica e architettura e quello atmosferico creando uno scarto di pensiero fra l’immobile di una struttura concettuale e la
continua possibilità rigenerativa di un approccio di questo tipo. Si veda anche in questo caso il libro di Carlo Serra,
Musica corpo espressione, op. cit.; David Toop, Haunted Weather. Music, silence and memory, Serpent’s Tail, London
2004; Leo Beranek, Music, Acoustic and Architecture, John Wiley, New York 1962.
20
attraverso l’esperienza artistica della nozione filosofica e la capacità stessa di questo concetto di
fungere da passepartout per l’indagine estetica su alcune forme d’arte novecentesche 48.
Il rapporto che si crea tra lo spazio e la gestione di esso nel Prometeo mette in luce l’emergere di
differenti aspetti: il dato meccanico-acustico, quello fenomeonologico-orientativo e quello esteticoatmosferico-emotivo. Quest’opera infatti, nonostante la difficile fruibilità di alcune sue parti, la
lunghezza generale della composizione e la perdita parziale di fascino al momento dell’ascolto
stereofonico, è quella che meglio esemplifica il piano concettuale del pensiero noniano e delle
nozioni di silenzio, di suono e di spazio attraverso la sua stessa realizzazione performativa.
Il Prometeo viene eseguito per la prima volta nel 1984 nella chiesa sconsacrata di San Lorenzo a
Venezia e una seconda volta l’anno successivo, per la sua versione definitiva, in un padiglione
dell’Ansaldo a Milano. Due luoghi anomali per un’esecuzione musicale, ma che segnano da subito
l’elemento centrale a cui Nono è interessato nella realizzazione e composizione dell’opera: il fatto
cioè che sia differentemente gestita e percepita ogni volta, rispetto ad ogni luogo e all’approccio
stesso del compositore49.
Cominciamo dicendo che l’interesse di Nono per il rapporto di musica e spazio si ripropone in tutta
la sua carriera artistica50: lo spazio, e il suo utilizzo, permette al suono di emergere come una
possibilità fra le tante che timbricamente potrebbero emergere. Un’idea quindi essenzialmente
generativa del rapporto tra la musica e il luogo spaziale-architettonico di svolgimento che ha al
centro l’idea di suono e di silenzio che il compositore coltiva all’interno della carriera artistica e
che si è cercato di presentare nel precedente paragrafo51.
48
Vizzardelli sul rapporto tra il Prometeo e la nozione di atmosfera giunge a differenti conclusioni, cfr. Vizzardelli,
Filosofia della musica, op. cit., pp. 174-176.
49
Interessante ad esempio è un ricordo di Alvise Vidolin, curatore di tutta la parte elettronica delle opere di Nono negli
ultimi anni, che racconta come l’orecchio stesso del compositore, che negli anni aveva perso sensibilità immediata alle
alte frequenze, facesse sì che richiedesse di volta in volta dei feedback acuti sempre più marcati, che andavano a
modificare sostanzialmente l’opera rispetto ad altre esecuzioni.
50
Si veda Cresta, L’ascolto del pensiero, Rugginenti, Milano 2002, pp. 28-29; Cacciari, curatore dei testi del Prometeo,
commenta così lo svolgimento dell’opera e la scelta del titolo: “Noi abbiamo definito il Prometeo dopo averci
lungamente pensato, con il termine tragedia nel suo significato non etimologico ma in quanto dran e dunque evento
decisivo; dell’ascolto, perché appunto si cercava l’effetto di una totale purificazione da ogni elemento scenico,
rappresentativo, narrativo e dunque l’evento tragico si concentrava nello spazio dell’ascolto, direi proprio nello spazio
dell’udito, e allora coniammo questo termine, poiché certamente non è definibile in nessun modo con i termini che
erano stati usati per Intolleranza 1960 e per Al gran sole, né ritengo per altre esperienze di teatro musicale
contemporaneo. Non è teatro! abbiamo sottolineato il termine tragedia proprio perché in ultima analisi è il termine che
più si avvicina a quell’istante che è l’istante di quella rivelazione. In questo caso proprio l’istante che dovrebbe colpire è
quello dell’ascolto, determinato dall’ascolto di questo con-possibile, di questo suono che non vale in quanto solo suono
– esperienze che sono state fatte – ma di suono che è pieno, che echeggia di tutta una serie di suoni che pure non svolge,
non sviluppa, non traduce in una qualche successione”.
51
Da sottolineare che spesso delle parole di Nono vengono prese, soprattutto nei discorsi filosofici, le suggestioni
poetico filosofiche, assolutamente asistematiche e personali, che il compositore cita durante le interviste, scartando le
informazioni sulle possibilità di realizzare l’idea di suono e di silenzio. Elementi questi ultimi scartati spesso anche
dalle indagini musicologiche perché fondati su sensazioni percettive. Si apre così uno spazio in cui è giusto che
un’indagine estetica prenda vita attraverso una lettura dei suggerimenti noniani e li tematizzi in un discorso percettivo
più strutturato alla luce dell’opera noniana e del soggetto in ascolto.
21
Nel testo curato da Cacciari dal titolo Verso Prometeo52, troviamo un breve e interessante intervento
di Renzo Piano che racconta dal suo punto di vista la richiesta fattagli da Nono e le decisioni prese
per giungere alla progettazione definitiva. La prima richiesta è quella di progettare un vero e proprio
spazio musicale, togliendo così la possibilità di catalogare l’opera all’interno di un’esperienza,
anche sperimentale, di teatro musicale 53.
La musica che Nono compone anche prima del Prometeo è, come già si è avuto modo di dire, densa
di tematiche che interrogano il ruolo dello spazio nella composizione, sia analizzando i movimenti
dei suoni di generazione meccanica sia di quelli prodotti elettronicamente e le loro possibilità di
essere mossi all’interno dello spazio al fine di creare effetti timbrico-acustici differenti 54.
Prima di passare al discorso più strettamente architettonico e alle parole di Renzo Piano55,
vorremmo ricordare alcune cose da tenere presenti quando si parla della composizione di Nono per
lo spazio, che ne completano la comprensione. Innanzitutto, come abbiamo potuto vedere per gli
strumenti musicali, che l’idea guida noniana è sempre un’idea di spazio-suono-movimento.
Secondo, che Nono è sempre perfettamente cosciente delle possibilità acustiche di un luogo e della
fisica del suono che si sviluppa in quelle determinate condizioni. Terzo, che il compositore è
perfettamente cosciente del divario che esiste tra la determinazione acustica e la tematizzazione
soggettiva del dato sonoro56 . L’ambiente sonoro intrecciato di vibrazioni che il soggetto non è in
grado di tematizzare acusticamente in modo analitico, attraverso la percezione distratta,
contribuisce a tracciare il timbro del luogo e la possibilità stessa del soggetto di percepirlo con una
caratterizzazione affettiva. Ciò che, quantomeno in questi iniziali spunti, si vorrebbe far risaltare è il
fatto che agendo in questo modo sullo spazio acustico, gli autori dell’opera compiono una ben
precisa scelta che mette in gioco più situazioni. Per prima cosa il medesimo peso che viene dato alla
composizione scritta e all’interazione con lo spazio di esecuzione, sia per il compositore che per gli
spettatori 57; secondo lo stimolo verso una componente anche compositiva atmosferico-ambientale,
52
Cacciari (a cura di), Verso Prometeo, Ricordi, Milano 1986.
In questo, ovvero nella progettazione finalizzata ad uno spazio specifico d’esecuzione, il Prometeo somiglia al
progetto del Padiglione Philips di Le Corbusier, Varèse e Xenakis.
54
All’interno di una conferenza fra le più famose tenute da Nono dal titolo “L’errore come necessità”, il compositore
spiega la relazione a cui è interessato nella possibilità di interagire con lo spazio: “Lo spazio. La sala da concerto
classica è uno spazio orribile. Per ogni sala c’è un lavoro specifico da fare, così come un tempo si scriveva per questo o
quel luogo, per questa o quella circostanza. La musica che sto cercando è scritta con lo spazio: essa non è mai uguale in
qualsiasi spazio, ma lavora con lui”. Si cita da Nono, Scritti e colloqui, Vol. I, op. cit., p. 522.
55
Consultare anche Piano, Dialoghi di cantiere, Laterza, Roma 1986 e id., Giornale di bordo, Passigli, Firenze 1997.
56
Questo come abbiamo già potuto osservare orienta le scelte compositive e la sua stessa concezione estetica basata sul
concetto di silenzio come mancanza d’informazione. Inoltre proprio questa stessa considerazione e utilizzo del silenzio
avvalora l’ipotesi dell’intento primariamente comunicativo ed etico dell’ascolto. La ricerca è quella di un gesto
sovversivo che permetta di risvegliare attraverso la relazione instabile e percettiva del suono con lo spazio il senso
dell’udito.
57
Tre Isole, 4-5-6, dell’opera vengono segnate nella partitura manoscritta come altezze che andranno stabilite realmente
una volta analizzate le caratteristiche acustiche della sala.
53
22
che si sviluppa attraverso determinate scelte sul suono e sull’indefinitezza timbrica, e che richiama
una percezione affettivamente aperta verso le infinite possibilità che l’ambiente offre.
Nono e Cacciari pensano allo “spazio musicale” per Prometeo come ad una sorta di
arcipelago. Si tratta di un termine poetico, certo, evocativo, ma anche di un riferimento
piuttosto preciso. Quando ci si trova su di un’isola interna ad un arcipelago, comunque
si volga lo sguardo non è possibile abbracciare il sistema nella sua interezza,
istantaneamente: il campo visivo umano è troppo limitato per permetterlo. Non si può
vedere sempre tutto ciò che ci circonda. È però possibile sentire la presenza di ciò che
sta alle nostre spalle. Sull’isola ad esempio il vento, che soffia dalla parte opposta a
quella verso cui stiamo guardando, increspa lo specchio d’acqua che ci sta di fronte.
Vediamo sempre e solo una parte del tutto, ma possiamo percepire il tutto cogliendo coi
58
nostri sensi gli effetti delle cause a noi invisibili .
La metafora e la descrizione che Renzo Piano dà del Prometeo sembrano essere state scritte per
introdurre una tematica che veda l’opera con uno sguardo filosofico e percettivo. Infatti proprio
quella sensazione di cui parla come di luogo inafferrabile ma sentito, ci mette nella condizione di
portare avanti la nostra ricerca, ovviamente non fermandoci alla suggestione, ma cercando di dare
delle basi teoretiche più solide a questa59.
Torniamo sul discorso del rapporto generativo fra musica e architettura. Per questo ci aiuteremo
tenendo come base lo studio di Silvia Vizzardelli che, introducendo l’argomento, dice:
C’è un modo diverso di intendere il rapporto musica-architettura, un dialogo dinamico
non più di reciproca evocazione a distanza ma di effettiva compresenza, una sinergia che
pone al centro l’ascolto e lo spazio come dimensioni dell’abitudine, del quotidiano che
tuttavia hanno bisogno di essere focalizzate, meritano nuova attenzione perché proprio la
consuetudine relega nell’indifferenza. Le nozioni di spazio sensibile, spazio intensivo e
atmosfera sembrano funzionare come personificazioni concettuali di questo dialogo 60.
Le parole dell’estetologa sono piuttosto chiare anche se noi vorremmo cercare di fare un passo
indietro in relazione a queste e all’utilizzo noniano dell’architettura e delle forme spaziali che
58
Piano, “Prometeo: uno spazio per la musica”, in Cacciari, Verso Prometeo, op. cit., p. 56.
Vorremmo portare un primo esempio di questo genere di percezione in relazione all’opera. Si prenda una nota grave
della tuba di Schiaffini. Se questa nota viene filtrata selezionando ancora una volta le basse frequenza e dislocata in un
preciso diffusore all’interno della sala l’effetto percettivo sarà decisamente differente per gli spettatori: per alcuni non
accadrà nulla, altri vedranno Schiaffini suonare ma non udiranno nulla, altri invece posizionati nei pressi del diffusore
percepiranno quelle basse frequenze come una vibrazione della propria poltrona.
60
Vizzardelli, Filosofia della musica, op. cit., p. 172.
59
23
entrano in gioco nel discorso compositivo. Sottolineiamo in primo luogo un dato banale a livello
fenomenologico ma che assume una grande importanza come forma base del rapporto spazio-suono
a livello fisico: i suoni si esplicano in uno spazio e l’oscillazione o moto ondoso che trasporta
l’informazione acustica occupa tutto lo spazio che può e trovandosi in uno spazio confinato assume
su di sé i caratteri del luogo che anima61. Questo vuol dire che a livello fisico-fenomenologico si ha
una perdita di omogeneità nell’ambiente rispetto alla stasi precedente e, grazie alle informazioni che
l’onda sonora trasporta, il soggetto riesce a percepire la direzione di provenienza del suono, la
forma e la materialità dell’oggetto che emette il suono e riesce a dare una prima mappatura acustica
dello spazio circostante. Le nozioni citate da Vizzardelli a chiusura del periodo funzionano come
personificazioni concettuali del dialogo musica-architettura perché, ammettendo che l’ascolto di un
suono o di una musica è anche ascolto spaziale, in accezione atmosferica, non intendiamo più solo
dire che tramite la provenienza e l’intensità percepisco i parametri di estensione dello spazio
circostante, ma più che altro che quel suono affettivamente percepito dal soggetto è una presenza
spaziale con propri connotati62. Non tanto quindi il dato forse scontato che qualsiasi suono si esplica
in uno spazio, ma il fatto che quel suono crei una propria dimensione spaziale qualitativamente
differente da altre e che orienta in modo primario la sua ricezione soggettiva. Ciò che
filosoficamente è emerso fino ad ora dal discorso sull’estetica di Nono è un dialogo che coinvolge
in primo luogo il modo di percepire e apprendere del soggetto o dei soggetti in ascolto. La
possibilità di spazializzare il suono che investe la musica, a partire da Varèse, pone evidentemente
l’accento sulla caratterizzazione percettiva del messaggio sonoro affidando all’ascoltatore la
possibilità di comprendere lo spazio e il suono attraverso il lavoro di modellazione che il
compositore decide di fare. L’aggiunta di una quarta dimensione permessa dalla proiezione dei
suoni comporta allora lo svilupparsi di percorsi possibili e di una forma possibile da dare a quello
spazio attraverso la disposizione di fasci di proiezione, di suoni in movimento 63. Il gioco del suono
nello spazio ha assunto nella ricerca compositiva diverse forme: si possono ascoltare le
61
La sorgente sonora di emissione posta al centro di uno spazio vibra, poniamo il caso più semplice dell’oscillatore
armonico che vibra ad una sola frequenza (fondamentale tra l’altro per l’elettronica). La vibrazione del corpo solido,
semplificando, eccita le molecole d’aria circostanti che oscillano attorno alla loro posizione con la stessa frequenza a
cui vibra il corpo. La conoscenza delle basi di acustica e dei fenomeni oscillatori sembra essenziale per affrontare
l’argomento o per apprendere le sfumature comuni ai dati percettivi e le lontananze. Si rimanda quindi a CingolaniSpagnolo, Acustica musicale e architettonica, Città Studi, Milano 2008.
62
Si noti anche qui una prima assonanza nel modo di trattare le funzioni spaziali legate ai riverberatori e al delay viste
precedentemente; inoltre si vedano come linee guida di questo confronto i testi di Vizzardelli, Filosofia della musica,
op. cit.; Piana, Barlumi di filosofia della musica, op. cit.; Serra, Musica corpo espressione, op. cit.; Zuckerkandl, Suond
and Symbol. Music and the External World, translated from the german by Willard R. Trask, Princeton University
Press, NewYork 1956.
63
Orcalli, Fenomenologia della musica sperimentale, Sonus, Potenza 1993; Id., “Gruppi algebrici e invarianti percettivi
nella teoria musicale contemporanea” in Sudi sul Novecento musicale. In memoria di Ugo Duse, Edizioni Forum, Udine
2000; Sparzani, Relatività quante storie. Un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto, Bollati Boringhieri,
Torino 2003.
24
composizioni di Varèse che mostrano la necessità di creare dei piani mobili affidati, con la stessa
continuità estetica che abbiamo rintracciato in Nono, alla dimensione acustica e a quella
elettronica 64, oppure i precedentemente citati studi di Teresa Rampazzi con il C.S.C. di Padova o di
Chowning per la spazializzazione multicanale 65. Si apre così un problema filosofico che coinvolge
direttamente la nozione di spazio e la sua percezione mostrando come la possibilità acustica di
modellarlo, percorrerlo e smuoverlo all’interno attraverso una scansione alternata di vuoti e pieni
lascia emergere una nozione di spazio e apprendimento che prende le distanze sia dallo spazio della
geometria che da una concezione kantiana della dimensione spaziale come categoria a priori. Lo
spazio che emerge attraverso l’esperienza e il suo apprendimento si costituisce attraverso la
possibilità di smuovere nella sua vuotezza degli oggetti al fine di liberarlo o di riempirlo seguendo
parametri percettivi66. Vorremmo far notare come la nozione di spazio di cui si sta cercando di
parlare, sia a livello fenomenologico, sia fisico, sia atmosferico, è uno spazio che non ha a che fare
con il sostrato comune a tutto ciò che noi percepiamo, ma uno spazio dell’esperienza percettiva che
si relaziona al movimento dell’oggetto che lo anima e ne smuove la stabilità interna combinandosi
con esso.
Torniamo all’opera e al dialogo suono-spazio e musica-architettura. Modellando la struttura
dell’arca Renzo Piano non ha a che fare con la materia, ma come si cerca di mostrare, direttamente
con la dimensione dello spazio.
64
Varèse, Il suono organizzato. Scritti sulla musica, Ricordi-LIM, Milano 1985.
Si rimanda nuovamente a Chowning, “Simulazione di sorgenti sonore in movimento”, in La musica elettronica, op.
cit. pp. 207-215, Rampazzi, Selected writings, edited by Paolo Zavagna,
http://ejourfup.unifi.it/index.php/mt/article/viewFile/2441/2276 e Zattra, Da Teresa Ramazzi al Centro di Sonologia
Computazionale (C.S.C.): la stagione della musica elettronica a Padova, Tesi di Laurea discussa nel 2000 presso
l’Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, dipartimento di Storia delle arti visive e della musica. Relatore
Prof: Sergio Durante. http://www.teresarampazzi.org/SCRITTI/testiTR/scritti_su/LZlaurea.pdf.
66
Su questo tema si vedano gli studi di Husserl, Il libro dello spazio, op. cit. e Id., La cosa e lo spazio, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2009; Poincarè, “La relatività dello spazio”, in id., Scienza e metodo, Einaudi, Torino 1997, pp. 79-99
e Id., La scienza e l’ipotesi, Bompiani, Milano 2003 e Mach, “Lo spazio fisiologico contrapposto allo spazio metrico”,
in id., Conoscenza ed errore, Einaudi, Torino, 1982; Piana, Elementi di una dottrina dell’esperienza,
http://filosofia.dipafilo.unimi.it/~piana/elementi/e_idx.htm e Spinicci, “La cosa e lo spazio”, in Id., Il palazzo di
Atlante, op. cit., pp. 33-101.
65
25
Si prenda la figura come esempio che mostra dall’alto la partizione dello spazio architettonico
d’esecuzione di Venezia. In essa si può osservare una visuale dall’alto, non tanto della struttura
lignea, quanto piuttosto dell’organizzazione spaziale della prima esecuzione nella chiesa di San
Lorenzo. Come si può vedere la pianta della chiesa, contenitore ospitante dell’arca, è praticamente
quadrata (36 per 38 metri) e i materiali che la compongono sono pietre, anzi nel mezzo si nota
l’altare della scuola del Palladio. Questo comporta immediatamente delle considerazioni che
vedono ancora una volta in gioco il rapporto musica-architettura. La prima è che diventa difficile
portare avanti un discorso metaforico di convergenza delle due arti che si basi sull’astrazione delle
forme stabili, considerando che il processo percettivo dello spazio attraverso il suono parte proprio
dalla loro comunicazione. La seconda, legata a questa, è una considerazione di carattere fisico,
ovvero che il suono avrà dei riverberi piuttosto lunghi e delle riflessioni marcate; verrà a crearsi
inoltre, vista l’altezza della struttura (24 metri), quella che Nono chiamava una “differenziazione di
strati sonori”: ovvero il suono acquisisce spazialità “assorbendo” i caratteri delle pareti all’interno
delle quali si muove, ma non solo. L’utilizzo stesso dei feedback e delle riflessioni fisicomeccaniche permette al suono di creare strati che il compositore tratta come se fossero della fasce di
colore che passano sopra la testa del pubblico67, come già suggerito con Cecchinato in precedenza.
Gli spettatori, di cui non si è ancora parlato, sono situati nel mezzo dello scafo, come si può vedere
da questa immagine e, dalle parole di Piano, nessuno riesce mai ad abbracciare la totalità degli
avvenimenti visivi e acustici. Posizionati rivolti verso parti diverse si trovano al centro sulla linea
67
Il colore reale, inizialmente contemplato, come tiene a sottolineare Cacciari, non avrebbe dovuto portare verso la
funzione primaria legata alla vista e all’occhio sensibile, ma essere un approfondimento dell’ascolto: dovevano essere
esclusi i giochi evocativi con i colori e coordinarsi al suono in modo da non mostrare all’occhio ciò che la percezione ha
già assunto con le orecchie.
26
d’orizzonte dell’arcipelago, dove sui ballatoi, nel progetto originale, si sarebbero dovuti muovere
anche i musicisti. Infatti questo elemento di movimento reale nello spazio non è da sottovalutare per
Nono 68. Le poltrone presenti possono in parte ruotare per aiutare la percezione degli spettatori anche
se la componente elettronica che può far apparire lontano o vicino il suono degli ensemble, di cui si
ha a tratti percezione visiva, contribuisce continuamente a mettere in scacco i dati sinestetici.
Come si può notare dall’immagine presente sopra, la struttura lignea è sospesa da terra, le pareti alte
quattordici metri reggono tre gallerie circolari nelle quali sono disposti: cinque cantanti, sette solisti
strumentali e quattro gruppi orchestrali, ognuno composto da dodici o quattordici musicisti; vicino
all’altare vi è la presenza di un grande numero di apparecchiature per il live electronic e il
calcolatore 4i. Sparsi attorno al pubblico e fuori dalla struttura dozzine di microfoni e altoparlanti.
Si noterà inoltre come nelle sezioni verticali dell’arca siano presenti delle curvature che si possono
meglio visualizzare con queste immagini.
68
Vidolin, “Il suono mobile”, op. cit., p. 43: “L’articolazione spaziale viene messa in atto su più livelli: in maniera
statica e dinamica, sfruttando il movimento fisico o la simulazione elettronica, provocandola con la scrittura musicale o
affidandola al controllo gestuale dell’interprete al live electronics”.
27
Le parti ricurve sono alle spalle dei musicisti anche per un effetto di monitor nei confronti dello
strumentista: le riflessioni del suono vengono convogliate in modo più uniforme e con una migliore
resa acustica per chi suona in quel punto rispetto ad una parete lignea dritta estremamente riflessiva.
Il legno è il materiale protagonista per vari motivi: primo perché il progetto di Piano, basato sulle
suggestioni dell’arcipelago, parte immaginandosi un viaggio nello scafo di una nave che sia però
allo stesso tempo la pancia di un liuto o di un violino che risuona e in cui lo spettatore come i
musicisti sono immersi69. Secondo, più importante, la scelta del legno è una questione che ci
permette di riaprire ancora una volta il dialogo musica-architettura. Il legno è un materiale elastico
che ha una risposta acustica variabile inoltre, i pannelli che costituiscono le pareti del liuto sono
scambiabili o eliminabili. Il fatto che le pareti siano intercambiabili con della tela, elemento
ovviamente molto più assorbente rispetto al legno, oppure che vengano lasciate aperture vuote,
consente di adattare la struttura lignea al luogo che la deve contenere, ricercando il tempo di
riverberazione ottimale (che, nel caso del Prometeo, doveva essere di circa quattro secondi). Questo
esempio mostra ancora una volta la volontà di sviluppare un dialogo fra musica e architettura dove
non viene mai data stabilità ma una continua ricerca di piani, suoni e timbri differenti. Un dialogo
dove entrambi gli elementi si intrecciano ogni volta nuovamente, rimodellandosi, sia per il
compositore che si trova a eseguire un’opera differente, sia per gli spettatori che assistono ad
un’esecuzione unica70 . Qui l’ascolto e il rapporto con lo spazio non è qualsiasi, è uno spazio
69
In epoche precedenti l’acustica e risonanza della sala si pensava che fosse dovuta all’erronea analogia con la cassa
armonica degli strumenti; oggi è dimostrato che l’analogia è valida a patto che le lunghezze d’onda in gioco siano
maggiori o comparabili con le dimensioni della cassa, cfr. Barbieri, “Acustica architettonica nella storia”, CingolaniSpagnolo, Acustica musicale e architettonica, op. cit., p. 590.
70
Occorre forse aprire ancora una breve parentesi, al fine delimitare da un altro versante il rapporto di spazio e suono e
cercare così dall’immobilità di una situazione che fino ad ora abbiamo considerato statica il passaggio all’attivazione
del dinamismo e alla reazione percettiva al movimento. Vorremmo in poche parole dare due spunti che esulano un po’
dal progetto di lavoro sul Prometeo ma che sembrano essenziali per la comprensione andando alle spalle del rapporto
più orientato fra musica e architetture, e quindi una composizione per un determinato luogo, e che leggono i rapporti fra
il suono e lo spazio. Il suono ha un rapporto particolare con lo spazio, ovvero l’emersione di un suono non comporta il
fatto che questo permanga fisso e immobile, come un quadro appeso ad una parete, ma l’andamento diffusivo copre
quanto più spazio può e il suo sviluppo è un’evoluzione in un arco di tempo in cui viene poi dissolto. Rimandiamo
28
confinato e questo tratto ha una forte incidenza in un discorso che sia acustico, organologico e
percettivo. Infatti proprio le proprietà diffusive e spaziali71 del suono permettono un processo di
riconoscimento che vede nella spazialità del suono un riflesso della spazialità del corpo vibrante che
lo ha generato. Così nella vibrazione dei due Mi che limitano la gamma tonale della cordiera di una
chitarra, le onde bidimensionali che le percorrono indicheranno la voluminosità e la gravità delle
due vibrazioni generate. Stiamo vicini alla tematica del legame con lo spazio attraverso l’analisi più
attenta alla focalizzazione del dato sonoro e leggiamo le parole di Serra:
L’esperienza del suono non è immediata come il quadro connesso alla visione. Il piano
dell’evidenza, appena sfiorato, non basta più, ed un reticolo di strutture logiche si
presentano attorno al rumore, che riporta immediatamente ad un nucleo di concetti, ad
uno sbocciare di sensi possibili: scavalcando il livello informativo, l’ascolto del suono ha
messo in moto una drammatizzazione dello spazio, che ha portato alla valorizzazione
immaginativa di un ambiente 72.
Senza entrare nelle maglie delle operazioni di acustica cerchiamo di vedere come queste parole di
Serra che parla di una drammatizzazione dello spazio e una valorizzazione immaginativa
dell’ambiente siano in qualche misura ritrovabili anche su di un piano fisico.
Si consideri un parallelepipedo73 delimitato da superfici piane omogenee e perfettamente riflettenti,
all’interno di esso una sorgente che emette suono, ci ritroviamo così nel caso della comparsa di un
oggetto (sonoro) in uno spazio74. Quando cominciano a comparire vibrazioni, che possono arrivare
da uno strumento acustico, o da un altoparlante, dopo un determinato periodo di tempo in cui hanno
generato un certo numero di onde, queste creano nell’ambiente un campo acustico, una situazione di
equilibrio. Negli spazi chiusi il campo acustico è dato dal campo diretto, le onde irradiate dalla
sorgente e dal campo riverberato, le onde riflesse dalle superfici che delimitano l’ambiente; questa
somma porta a formare una densità di energia sonora che ad un certo punto si stabilizza. A partire
da questo si ricava il transitorio proprio d’attacco e di estinzione di un ambiente confinato ed in
questo senso allora può risultare più chiaro quando Nono dice che “lo spazio detta leggi e bisogni”
nuovamente ad alcuni testi essenziali per la comprensione dei rapporti fra suono e spazialità, come gli studi di Piana, di
Husserl e Zuckerdandl, volendo afferrare il discorso non tanto su di un piano fondativo ma estremamente legato alla
pratica d’ascolto del Prometeo.
71
Si vedano due sollecitazioni, la formula di propagazione d’onda
2 p
1 2 p
con le derivate parziali a segno
c2 t 2
dell’uscita dalla bidimensionalità e Mach che riflette sulla relazione fra voluminosità e tonalità.
72
Serra, Musica corpo espressione, op. cit., p. 18.
73
In realtà la forma dell’arca progettata da Renzo Piano rende più complesso il tutto a livello acustico, ma non essendo
quello il fine dello studio può essere sufficiente fermarsi all’idea sottesa.
74
Pensiamo anche che la chiesa di San Lorenzo a Venezia è un contenitore vuoto, del XVII secolo, alta 24 metri e con
una base praticamente quadrata di 36 per 38 metri.
29
oppure che bisogna utilizzare lo spazio non come luogo ma come strumento musicale: sta
affrontando con la sensibilità di un compositore un tema che in acustica ha una letteratura alle
spalle, ovvero il timbro di un luogo75. Leo Beranek, un fisico acustico, nel suo testo Acoustic, Music
and Architecture 76 studia i cosiddetti “descrittori acustici”, ovvero tutta quella serie di parametri su
cui basarsi al fine di rendere il timbro delle sale caratterizzato da precisi attributi.
Si cerchi di analizzare in breve cos’è il timbro. Una definizione di questo comunemente accettata è
che sia la qualità specifica percepita di un suono che ci permette di distinguere due suoni che hanno
la stessa altezza e la stessa intensità. Ci permette di distinguere in sostanza due strumenti che
eseguono la stessa nota. Possiamo dire ciò anche di un luogo che accoglie suoni e che li fa
risuonare. Come per gli strumenti allora avremo anche nel nostro caso una duplice risposta sui
fattori che determinano il timbro di un ambiente: la prima è di carattere statico, il timbro è dovuto
alla composizione spettrale del suono che emette uno strumento eseguendo una nota fondamentale;
la seconda di carattere dinamico. Quest’ultima connotazione del timbro è ancora più interessante ai
nostri fini, e prende in esame la parte relativa alla sua costituzione in relazione all’evolversi nel
tempo. Un suono è qualche cosa di mobile e vivente che segue una parabola temporale scandita da
tre fasi: 1)attacco, 2)fase di regime, 3)decadimento. Durante queste il contenuto spettrale varia nel
tempo; quindi in un luogo chiuso, una volta emesso il suono questo non è più sotto il controllo
dell’esecutore, quindi possiamo dire che il timbro è l’evoluzione del contenuto spettrale nel tempo.
La tematica, come si può notare, è sottile e di confine: il legame che si instaura fra l’ascolto di un
determinato brano musicale da parte di un soggetto e il luogo in cui viene eseguito non può essere
dimostrato scientificamente in toto. Per questo i parametri di Beranek nascono sì da misurazioni ma
soprattutto dal parere di esperti e musicisti che basavano il giudizio sul loro ascolto e su sensazioni
qualitative.
Il motivo d’interesse verso questo tema è duplice, il primo legato agli intenti che Nono ha nella
composizione, a partire dagli anni ottanta in modo marcato, di una riabilitazione del senso dell’udito
e dell’ascolto. L’altro motivo è per aggiungere un tassello a quel rapporto isomorfologico che
congiunge materialità e spazialità di un suono con la cassa risonante che lo fa vibrare.
Si vuole così compiere un passo ulteriore di comunanza tra la nozione di atmosfera e la relazione
che s’instaura all’interno del Prometeo, ovvero il fatto che la presenza della relazione isomorfica e
coogenerante tra suono e spazio esiste prima ancora delle possibilità elettroniche e che si basa su di
75
Come per gli strumenti musicali, luoghi di risonanza cavi e confinati, ogni spazio ha un tempo d’attacco, un periodo
di tempo in cui l’andamento casuale delle oscillazioni va stabilizzandosi e comincia a presentare, dopo le iniziali
irregolarità dei modi di oscillazione stabili, dei suoni ben caratterizzati. Ciò che vorremmo in sostanza affrontare ora,
per chiudere queste riflessioni sul rapporto tra lo spazio e l’oggetto sonoro in esso propagantesi, è una tematica piuttosto
complessa che tratteremo senza entrare nel merito matematico della questione ma cercando di far emergere quell’anello
inscindibile che esiste fra suono e spazio e in che modo questo influenza l’ascolto.
76
Beranek, Acoustic, Music and Architecture, J. Wiley and Sons, New York 1962.
30
un approccio non oggettivo ma su parametri percettivi qualitativi intersoggettivi che si sviluppano a
cavallo tra le condizioni al contorno, i suoni e le attribuzioni soggettive.
Nell’emergere del dialogo tra lo spazio e il suono si crea un intreccio fondante che caratterizza il
timbro del luogo stesso. Questo da un lato porta a considerare, attraverso gli studi di Beranek,
l’intersoggettività dei parametri e attributi qualitativi di questa interazione, dall’altro la capacità
continuamente rigenerativa di questa unione77. Questo lavoro con lo spazio viene letto da Nono
come un mezzo attraverso cui raggiungere il proprio fine: attraverso un rinnovato stimolo
percettivo, ritrovare l’uomo e la possibilità artistica di lavorare e stimolare. Lavorare con lo spazio e
con l’elettronica, in sostanza con il multitimbrismo e con le sensazioni legate al suono trattato in
modo ambientale-emotivo e relazionato allo spazio Nono realizza l’atto sovversivo ricercato.
È il manicheismo dell’ideologia… è la vicenda del teatro d’opera italiano o all’italiana
che produsse una totale neutralizzazione dello spazio… mentre per me ritorna, decisiva, la
relazione indeterminante tra suoni e spazi: come il suono si compone con altri suoni nello
spazio; come quelli si ri-compongono in questo… il che significa come il suono legge lo
spazio e come lo spazio svela il suono78.
§3. Memorie, microintervalli e luoghi instabili.
Laurent Feneyrou che ha dedicato un lungo lavoro per la tesi di dottorato all’opera e alle tematiche
di Luigi Nono intitola il paragrafo a conclusione del capitolo sulla ricerca dello spazio per il
Prometeo “Acqua alta”. Inizia così: “Venise encore dont la réalité acoustique suppose un systéme
complexe de mirages sonores”79 ; non a caso il musicologo francese utilizza il termine “miraggi
sonori”, proprio perché evince anch’egli dalle parole di Nono come da un lato vi sia una ricerca
acustica, ma dall’altro permanga una forte componente soggettiva e immaginativa che lega in modo
indissolubile l’ascolto e il suono al luogo e all’esperienza. Una realtà acustica che smuove uno
spazio dove si genera una simultaneità di suoni e le provenienze divengono concetti relativi. È
l’elemento dell’acqua, che a Venezia domina, a guidare l’ascolto: acqua stagnante, ferma e sporca
che, come fa notare ancora Feneyrou, tarkosvkianamente, diventa “force de vie où croupissent les
nostalgies, les sentiments et les utopies, mais aussì élément d’une conception qualitative du son, où
se reflècte la notion de gibigiana, de miroir miroirant résolument dynamique”80. L’acqua stagnante
77
Come esposto anche se con esiti differenti da Vizzardelli, Filosofia della musica, op. cit., 152-176.
Restagno, Nono, op. Cit. P. 254.
79
Feneyrou, Introduction à la pensée de Luigi Nono, Thèse en Musique et Musicologie du XX siècle, Paris, Vol. I, p.
454.
80
Ibidem.
78
31
rimane ferma insieme a sentimenti, nostalgie e utopie ma su di essa prende vita un discorso sul
suono, sul movimento e sulla sua percezione che riprende la gibigiana, cioè una luce riflessa.
Questo fa dire a Feneyrou che la natura di Venezia ha indubbiamente orientato l’opera di Luigi
Nono e chiude il paragrafo citando una conferenza tenuta da Nono, ai tempi inedita, in cui il
compositore descrive il sentire i suoni veneziani a partire dal luogo. La realtà acustica veneziana,
passa nelle vie e nell’acqua, creando dei sottilissimi e raffinatissimi effetti di eco: spazi sonori
mobili, nessuna fissità, “il problema della realtà/irrealtà: è un problema di Venezia. L’acqua non ha
la funzione di uno specchio riflettente, ma è elemento di continuità” 81. L’acqua è quell’elemento
che riesce a dare continuità ai suoni ma non solo, è ciò che, riprendendo la nozione di atmosfera
come sentimento spazializzato e intersoggettivo, potremmo dire costituisca il colore legante che
crea l’effetto di continuità atmosferica del luogo. Anzi potremmo dire che le suggestioni
atmosferiche e legate al paesaggio prendono vita nella stessa composizione collegando un vero e
proprio arcipelago che mette in contatto le isole attraverso il silenzio. Questo diviene elemento di
coesione, come si è cercato di mostrare nel primo paragrafo, con la stessa dinamica che accade a
livello acustico nel paesaggio sonoro lagunare. La ricerca di Nono sul suono mobile sfocia in una
importante conseguenza estetica che è quella dell’instabilità: ritorna così con forza in conclusione
di tutto il discorso sul suono, sulla la relazione con lo spazio e sul rapporto suono-silenzio
l’interesse compositivo per i microintervalli. Le impercettibili evoluzioni e metamorfosi del
cambiamento sonoro sono proprio ciò che stimola Nono e che fa entrare nelle composizioni, non
attraverso una puntuale notazione prescrittiva82, ma attraverso la pratica e interazione elettronicospaziale. L’interesse di Nono per l’evoluzione del suono si lega da un lato al tema dello spazio, nel
senso che quello stesso suono emesso in differenti punti dello spazio assume coloriture differenti.
Dall’altro alla possibilità elettronica, nel senso che macchinari come il Publison, o l’Infernal
machine, che possono essere utilizzati come traspositori precisi, permettono di scoprire le molte
sfumature di colore che un suono può avere 83.
81
Ivi, p. 455.
Se non in alcuni e rari casi come A Carlo Scarpa architetto. Si veda a questo proposito l’interessante saggio di Huber,
“Nuclei and dispersal in Luigi Nono’s A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili, per orchestra a
microintervalli”, in “Contemporary music review”, Fragments and silence, vol. II, op. cit. pp. 19-35.
83
Giustamente allora Pennese riprende il discorso del compositore a proposito di Incontri del 1955 e l’utilizzo del
metodo seriale per sottolineare come, in realtà, l’interesse di Nono per la serie fosse già un modo di superarla,
appoggiandosi all’Allintervallreihe che fonde e supera sia il diatonismo che il cromatismo. Questa caratteristica come
nota sempre Pennese è presente anche nella scala enigmatica di Verdi che tanto affascinerà l’ultimo Nono e che è
caratterizzata dall’indefinitezza cromatico-diatonica e porta ovviamente verso l’indefinitezza armonica.
“Vorrei ora tornare alla tua musica, agli Incontri, in particolar modo, che seguono i Canti per 13 e sono nuovamente
un’opera strumentale.
In questa musica uso il totale cromatico, cioè tutti gli intervalli.
Sarebbe dunque una “Allenintervallenreihe” come nella “Suite lirica” di Berg?
Si, ma non si trattava di una serie, bensì di un procedimento, di una catalogo di intervalli che negli Incontri vengono
continuamente stravolti mediante un procedimento che già allora chiamavo positivo e negativo. Il positivo era la durata
82
32
La voce, l’opera corale, l’attenzione verso gli intervalli, tutto viene racchiuso all’interno di una
delle più grandi fonti d’ispirazione di Nono che è il canto ebraico84. Come suggerisce Pennese, vi è
l’ascolto concreto e diretto della pratica di canto sinagogale, ovvero l’ascolto di una musica molto
diversa da quella occidentale; nella cantillazione ebraica, una volta impostato melodicamente un
versetto, si ripete con leggere differenze quella stessa frase. Il lavoro si svolge sull’uso delle labbra
e dei denti nel variare a livello microintervallare e microtonale la melodia. Questo elemento di
mutevolezza continua indefinibile irripetibile, affascina molto Nono per l’utilizzo della voce, ma
più che altro per una vitalità interna al suono e alla sua gestione e metamorfosi emissiva che gioca
sulla dialettica continua di silenzi e suoni, vuoti e pieni, che danno alla medesima forma ombre e
riflessioni diverse85. La complessità della pratica musicale ebraica prende così corpo nella continua
mutevolezza timbrica. Il testo dato all’uomo è stato poi accentato attraverso i te’ amin dai Masoreti:
questi non riguardano assolutamente le singole parole ma i rapporti tra le parole; la monotonia di
questo canto risiede nel fatto che l’identica melodia, data dagli accenti, che compone un versetto si
ripete leggermente modificata più volte 86. Questo elemento rientra nella composizione di Nono
come stimolo di ricerca, ma anche come vero e proprio metodo di lavoro musicale e compositivo.
Come chiarisce nella conferenza alla Chartreuse di Villeneuve-lès-Avignon87: “L’intervallo è
relazione. Le cose vengono a essere relazionate tra quattro, cinque o x relazioni di possibilità”. È
dunque la possibilità di relazioni sempre nuove tra i suoni, tra i punti stabili che costituisce
l’interesse di Nono a livello compositivo. In questa dimensione compositiva che si costituisce di
volta in volta durante l’esecuzione stessa, giocano un ruolo fondamentale una serie di elementi tra
cui ovviamente lo spazio88. La componente percettiva del compositore stesso entra in gioco
nell’opera di volta in volta e la modifica in base a stimoli che potremmo definire percettivo-emotivi.
Infatti il processo compositivo, dopo una prima fase che si presenta come una bozza, si concentra
sull’interprete e il suo modo di approcciare lo strumento assumendo un ruolo centrale. Come ben
e il negativo la pausa uguale a quella durata. Veniva a crearsi un gioco di spostamento dei valori dei suoni per cui gli
attacchi e la fine dei suoni mandavano all’aria ogni possibile meccanicità seriale.” Pennese, Post-Prae-Ludium, op. cit.,
p. 4.
84
Anche lo studio sulle opere corali svolto con Maderna porterà a Il canto sospeso, La terra e la compagna, Sarà dolce
tacere, Cori di Didone, che mostrano limpidamente come sia viva l’influenza e lo studio sulla polifonia e d’altro lato
come lo stile compositivo di Nono si formi all’insegna di due caratteristiche: gli stimoli extramusicali e la
monodia/polifonia. Infatti la composizione del maestro veneziano, nelle strutture più complesse o nel lavoro sul singolo
strumento, si concentra quasi sempre prevalentemente sullo studio intervallare.
85
Cfr., Pennese, Post-Prae-Ludium, p. 18.
86
Si veda a questo proposito il libro di Fubini, La musica nella tradizione ebraica, Einaudi, Torino 1994.
87
Nono, Scritti e colloqui, Vol. I, op. cit., p. 540.
88
Primo fra tutti però forse è l’elemento dell’errore: questo viene visto da Nono nella famosa conferenza come
necessità, ovvero come quel qualche cosa che anima, rende vitale, crea un movimento nell’ascolto. Infatti tutti i caratteri
d’indefinitezza, oltre alla scala enigmatica, che vengono considerati “errori” nella composizione tradizionale fanno della
musica di Nono una caratteristica estetica. Sia dal punto di vista di una scrittura che diviene energetica, che lascia molto
spazio alla libertà dell’interprete e alla propria prassi esecutiva sullo strumento, sia dal punto di vista della mancanza di
altezze definite, sia da quello più ampio della struttura stessa che si muove tra questi suoni in modo analogico. Cfr. Ivi,
p. 522-523.
33
sottolinea Pennese89, il rapporto instaurato con la materia sonora da Nono è qualche cosa di
alchemico che si interessa principalmente alla natura di un dato fenomeno sonoro, e che ne
amplifica con l’elettronica le componenti evolutive. L’interprete deve scoprire le evoluzioni della
materia di cui la qualità essenziale è il fatto di essere sempre viva e in moto nello spazio:
Un processo di astrazione che scomponga un oggetto musicale nei suoi fattori costituenti
e ne fissi univocamente un certo comportamento, significherebbe per Nono la perdita del
possibile del fenomeno acustico, delle sue cangianze interne, della sua continua
evoluzione e modulazione (…).
Lo stesso compositore afferma: «Comprendo la necessità di una organizzazione di quella
che chiamerei non composizione ma ars combinatoria come Leibniz o Schoenberg
l’hanno pensata, o come la si trova nel Talmud: ci sono sempre, a partire da un “tema”,
sei o sette interpretazioni possibili»90.
Seguendo queste parole allora potremmo condividere la definizione che Pennese dà del metodo
compositivo di Nono come “controllo dissipativo”, ovvero un controllo del disordine attraverso la
pratica e una scrittura musicale “energetica”. Questo per dire che anche la composizione stessa di
Nono concepisce l’ordine come interno al materiale e attraverso una selezione organizzativa riesce
a far confluire il disordine nello sviluppo concreto di un possibile, locale, concentrato e temporaneo.
Per Nono è l’attualità assoluta il momento in cui si realizza l’opera musicale nel continuo vitale che
anima i suoni fuggendo l’astrazione.
Gli infiniti possibili si realizzano nei fenomeni di deriva strutturale, nella mobilità,
nell’evoluzione, che è in sé antistrutturale: «non c’è quasi nulla di ripetitivo nel live
electronic così come io lo concepisco; si esperimentano sempre delle cose nuove, si
ascolta in un altro modo, si cerca sempre di precisare, di trasformare (…) (quando non ci
sarò più) altri musicisti faranno altre musiche! Si cerca comunque di fissare graficamente
le cose, ma più volte ho detto che non ho interesse verso il concetto della scrittura!
(…)»91.
L’ars combinatoria dunque riesce, attraverso un controllo dissipativo, a ordinare il caos energetico
dell’espressione della materia, a rendere concreto uno dei possibili modi di realizzazione di quella
materia musicale. Allo stesso modo lo spazio e l’elettronica contribuiscono a questo sentire da parte
89
Cfr. Pennese, Post-Prae-Ludium, p. 22.
Ivi, pp. 22-23.
91
Ivi, pp. 23-24.
90
34
del compositore il legame con il suono. Lo spazio diventa il luogo dove si svolge la combinatoria
dalle infinite possibilità dello sviluppo di una materia musicale, così come i microfoni illuminano lo
spettro sonoro portando alla luce le possibili strade da percorrere92.
L’analogia che fa della composizione un procedimento vivo e in divenire, che la crea e trasforma
attraverso la sovrapposizione e ricomposizione di suoni che percorrono lo spazio, ci permette di
riprendere la simultaneità, la stessa mobilità e gli eco sottilissimi che corrono sulle acque
costituendo, come diceva Nono, la “magia” di Venezia e indicando una via ambientale-atrmosferica
che guida il rapporto del compositore con lo spazio93.
È interessante allora vedere come la citazione di Tarkovskij94 fatta da Feneyrou risulti essere
calzante sia per l’amore del compositore nei confronti del regista, sia per il legame che nei film del
regista russo permane sempre con i luoghi. Anzi proprio in Stalker95, presenta il luogo della Zona
con una interessante caratteristica: il fatto che in questo spazio-luogo i percorsi cambino a seconda
della presenza umana. Cambia il paesaggio, l’atmosfera, il modo di rapportarsi ad esso dei
viaggiatori. L’unico modo per procedere è quello del caos, il tiro totalmente casuale dei bulloni che
decide la direzione, procedendo per vie sempre traverse. La cosa più interessante è il concetto di
spazio sentito, differente per ciascuno dei partecipanti al viaggio nella Zona così come lo spazio
sentito dallo spettatore nel progetto di questo nuovo modo di ascolto, emotivo e soggettivo perché
qualitativamente differente e individualizzato nel relazionarsi all’ambiente96.
92
“Le procedure compositive si concretano attraverso operazioni d’impronta analogica, che regolano le risultanze
imprevedibili di una materia sottoposta a microscopia che ne permette l’evidenziazione di oscillazioni anche minime;
attraverso attivazioni di memorie che permettono l’aggregazione di spazi, e che sono spesso cronaca di errori; (…)
Rottura della discorsività logica, dunque, proceduralità operativa regolata da segnali di natura analogica, di carattere
ambiguo e di numero non finito, frammentazione che impone una ricostruzione di un senso tra i possibili.” Ivi, pp. 3738.
93
“Une eau où se dévoile l’acuité des spectres puor une tessiture qui manifeste musicalment l’idée que la musique est
pensée et que la pensée ne peut être que stridente: Como una hola de fuerza y luz." Feneyrou, Introduction à la pensée
de Luigi Nono, op. cit., p. 455.
94
Vedere a questo proposito il saggio di Alessio Scarlatto, La Zona del sacro. L’estetica cinematografica di Andrej
Tarkovskij, http://www.unipa.it/~estetica/download/Scarlato.pdf
95
Cfr. Fabbri, Zappa e l’elettroacustica,
http://www.francofabbri.net/files/Testi_per_Studenti/Zappa_elettroacustica.pdf, dove si dice che fosse uno dei film
preferiti di Nono.
96
Si apre una possibile vicinanza con la Momentform di Stockhausen e si consiglia nuovamente la lettura di
Stockhausen, Momentform. Nouvelles corrélations entre durée d’exécution durée de l’oeuvre et moment, Contrchamps
N. 9, Editions L’age d’homme, Paris 1998. I presupposti che motivano la scelta di Stockhausen di intraprendere questa
concezione dell’opera come insieme di esperienze soggettive dell’opera stessa sono ovviamente totalmente diversi da
quelli di Nono. Così come diverse sono le forme di realizzazione, la similitudine però permane nel rapporto soggettivo
che ogni spettatore ha con l’opera in questione e possiamo dire nell’intento del compositore di rendere l’approccio alla
propria opera come qualche cosa di personale. Innanzitutto bisogna sottolineare che per Stockhausen la necessità di
approdare a questo modo di comporre è legato al tempo. Questo è un parametro che negli scritti del compositore di
Colonia sembra ossessionarlo tanto è presente; oltre a questo ovviamente permane quella ricerca attraverso l’acustica e
l’elettronica del calcolo e della corrispondenza estrema nel rapporto di interiorità del suono ed esteriorità
dell’architettura musicale in cui è inserito. Senza entrare nello specifico del saggio in cui Stockhausen spiega il perché
di questa scelta, è interessante notare che nasca dopo l’esecuzione di Kontakte e dopo i commenti degli ascoltatori sulla
durata del pezzo. Il problema nasce da un lato dall’aspetto soggettivo dell’ascoltatore, dall’altro dalla capacità
dell’opera stessa di essere coesa per tutto il suo svolgimento, non solo alle orecchie del compositore, ma soprattutto a
35
Il discorso di Nono e il suo fine riguardante la resa individuale della percezione dell’opera non si
concentra mai sulla componente prescrittiva e compositiva. Nono vede come preponderante non
tanto il ruolo della partitura quanto quello del momento esecutivo 97. Questo non toglie allo stesso
tempo che la funzione direttiva nel momento esecutivo debba essere finalizzata ad uno scopo
preciso, quindi attentamente gestita da parte dell’esecutore-compositore. La mancanza delle
partiture di alcune opere, oppure il fatto che contemplino sempre dei fattori che esulano
dall’indicazione grafica, dimostra appunto la sua volontà di intendere la musica come prassi
esecutiva e musica ascoltata. Come dice Matteo Pennese ne “Il segno di Nono”:
Il segno nella scrittura di Nono è di natura marginale, nel senso del suo situarsi su di un
margine, e dunque luogo non puntuale, anzi propriamente non luogo, che non si chiude
ma che al contrario schiude.
In altre parole il segno di Nono non ha natura conservativa, ma è documentazione
dell’energia. Ciò che viene interpretato come incompletezza della partitura è – a mio
avviso – un rapporto aperto fra scrittura e notazione che rinvia ad un completamento
tramite pratiche di natura orale. È pertanto segno sovversivo perché tale apertura
rappresenta per la tradizione musicale occidentale un difetto, un’aporia ingiustificabile
che priva la scrittura di quelle funzioni d’arresto che concedono lo statuto dell’opera
quale gesto originale98.
Nel caso del Prometeo, ma anche di altre opere, i fattori che complicano la possibilità di scrittura
sono diversi e si intrecciano tra loro: primo i musicisti selezionati per eseguire l’opera e le loro
particolari capacità tecniche; secondo lo spazio d’esecuzione; terzo l’importante funzione che
ricoprono le componenti elettroniche dell’opera.
Per concludere riprendendo le fila del discorso vorremmo dire che l’unione di spazio ed elettronica
su cui ci siamo molto soffermati viene da Nono vissuta proprio nella direzione di una molteplicità di
ascolti per gli stessi partecipanti all’evento sonoro. Le possibilità di utilizzare uno spazio differente
e le applicazioni elettroniche che permettono di sfruttarlo al meglio concedono sia l’opportunità di
tornare a comporre opere che legano in modo inscindibile la loro materia sonora alla componente
spaziale di risonanza e alla possibilità multitimbrica di quest’ultimo, sia la possibilità di rendere
quelle degli ascoltatori. Come detto precedentemente a lui preoccupa la durata dell’opera e il fatto che questa non debba
essere per forza uguale per tutti gli spettatori. L’idea nasce da qui e dalla volontà di comporre istituendo nella forma
stessa dell’opera la possibilità di decidere da parte dello spettatore quale sia la sua giusta durata oppure dove fare un
intervallo dalla concentrazione dell’ascolto. La volontà di sviluppare una forma di ascolto concentrato proprio perché
critico e individuale, basato su propri criteri di gusto sull’opera.
97
Infatti spesso nelle interviste dichiara che di non essere molto interessato al futuro delle sue opere cui una partitura
non garantisce l’univocità interpretativa.
98
Pennese, Il segno di Nono, http://www.matteopennese.com/info/info_assets/Il_segno_di_Nono.pdf.
36
quella stessa opera differente rispetto agli ascoltatori. Per Nono la cosa forse più importante è che
nella gestione della navigazione all’interno dell’arcipelago il timoniere si trasformi in uno Stalker,
non più una figura autoritaria che impone l’unidirezionalità del rapportarsi all’opera ma una guida
che, esattamente come nel film, entra in relazione con un luogo che conosce per cercare di non
perdersi nelle infinite possibilità che questo può offrire. Come nel film poi vi è la componente
esperienziale di chi conosce il luogo e quella casuale nel cercare di procedere in un viaggio che ha
una meta ma che non può essere raggiunta direttamente.
Rientra allora la suggestione atmosferica dello spazio sentito emotivamente come estensione di sé.
Uno spazio che viene conosciuto attraverso una sua mappatura sonora, ma che viene appreso
“ingenuamente” e immediatamente attraverso la percezione qualitativa e emotiva che il luogo
imprime nel singolo soggetto, relativamente alla porzione di arcipelago che vede e a quella di cui ne
percepisce la presenza. Come si diceva precedentemente in questo percorso realtà e irrealtà si
confondono esattamente come per la realtà acustica di Venezia.
We hear, not just through the ears, as a conscious activity, but trough the whole body, in a
mixture of fully conscious activity, peripherally conscious and unconscious awareness.
Hearing more like feeling: a multiplicity of impressions at the edge of perception. We
hear space all the time, not just its echoes and foreground signals, but also its subliminal
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undertow, the presence of atmosphere .
Come giustamente dice Toop, all’interno di un libro molto interessante in cui si interroga su queste
tematiche con uno sguardo ampio e stimolante: la percezione dello spazio è continua e la percezione
acustica non avviene esclusivamente attraverso l’udito. Questo è molto importante per il discorso
che si vuole portare avanti sul punto di vista privilegiato che il Prometeo offre per interrogare la
percezione e il fatto che l’analisi di un’opera come questa richieda un approccio estetico
atmosferico-ambientale.
Non ascoltiamo solo con le orecchie ma con l’intero corpo e l’opera di Nono concentrandosi sugli
aspetti spaziali e sulle possibilità di lavorare sul suono che il live electronic concede, lavora proprio
su questo. Ma vi è un passo da compiere oltre quello percettivo dato dalla dislocazione: questo è il
dato immaginativo che suscita nello spettatore l’opera e che ciascuno sente in modo differente a
partire da una comune sensazione spaziale.
Audio atmospheres are mysterious; not just because much of their content may be
invisible and implict; not just because their cumulative effects come from elusive and
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Toop, Haunted weather. Music, silence and memory, Serpent’s tail, London 2004, p. 47.
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under-researched phenomena such as pressure changes, infrasound, ultrasonics and other
barely perceived sonic signals, aligned with subtle transitions in the acoustics
environment; but because they are thick with imaginings, memories, utopias,
foreboding100 .
Come nota ancora in modo puntuale Toop, le atmosfere sonore sono casi strani di percezione
corporea. Vorremmo così dire che la nozione di atmosfera acustica può essere letta nelle righe del
Prometeo di Nono attraverso il rapporto generativo di musica e architettura, quello immaginativo
sonoro personale del vivere l’ambiente da parte del compositore e quello della volontà di rendere
l’opera individualmente connotata nell’approccio, ma soprattutto attraverso quello che forse è il
tratto più importante che connota l’approccio atmosferico: la funzione del silenzio nell’opera
attraverso l’indefinitezza timbrica e spaziale.
Il caso del Prometeo manifesta a ben vedere un rapporto con lo spazio come spazio drammatizzato
ponendosi come un’opera che riabilita un approccio all’ascolto che si basa sulla percezione di un
luogo affettivamente sentito. È vero ciò che dice Vizzardelli allora in relazione al fatto che CacciariNono-Piano insistono sull’abitabilità dello spazio che vogliono costruire. Ma il termine abitabilità
viene qui inteso come il fatto che lo spazio architettonico non deve essere una semplice scatolacontenitore, né riflettere metaforicamente le sonorità a lui interne, né corrispondere
morfologicamente alle possibilità elastiche e metamorfiche dei suoni. Il concetto di abitabilità
potremmo dire che viene inteso aristotelicamente come un attributo “sostanziale” che si riferisce
all’essenza stessa dell’oggetto senza possibilità di gradazione qualitativa e trasforma quello spazio
vissuto e percepito in un luogo101.
100
Ivi, p. 54.
Cfr. Piana, “Riflessioni sul luogo”, in La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione,
http://www.filosofia.unimi.it/piana/luogo/luogoidx.htm.
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