TIEMPOS MODERNOS, número 47, diciembre de 2023
ISSN: 1699-7778
Sección: MONOGRÁFICO
Recibido: 21-08-2023
Aceptado: 23-12-2023
Páginas: 338-356
Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII
secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione1
Forms and uses of memory in the 17th century Jesuit
corpus. Between education, spirituality, mission
Fernanda Alfieri
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna (Italia)
ORCID: https://orcid.org/0000-0002-4819-1243
fernanda.alfieri2@unibo.it
NOTA BIOGRAFICA
Fernanda Alfieri è ricercatrice in Storia moderna all'Università di Bologna, essendo stata attiva
dal 2006 presso l'Istituto Storico Italo-Germanico in Trento - Fondazione Bruno Kessler. I suoi
studi indagano la storia della sessualità e il rapporto fra scienza e religione e la storia delle
mentalità, con particolare attenzione al cattolicesimo nella lunga età moderna. Fra le sue
pubblicazioni, Nella camera degli sposi. Tomás Sánchez, il matrimonio, la sessualità (secoli
XVI-XVII), il Mulino, 2010; Il corpo negato. Tre discorsi sulla castità in età moderna, EDB,
2014, e Veronica e il diavolo. Storia di un esorcismo a Roma, Einaudi, 2021.
RESUMEN
Il saggio indaga usi e accezioni della memoria in una selezione di testi prodotti da membri
della Compagna di Gesù nel XVII secolo attivi nei territori della Monarchia spagnola. Nella
prima parte, si interroga sul significato di questa categoria nell'apparato di norme che regolano
la vita quotidiana e specialmente l'attività caratterizzante l'ordine, ovvero l'insegnamento. La
memoria è una facoltà intellettuale e al contempo pratica predisponente l'individuo all'azione
futura, e gioca un ruolo chiave tanto nella pedagogia quanto nella disciplina degli stessi
insegnanti. Missione e confessione, altri nuclei operativi dell'ordine, vengono prese in esame
nella seconda parte. I racconti dei Padri prodotti attraversando i territori della Penisola Iberica
documentano quei luoghi e quegli incontri, ma soprattutto la mentalità di chi li ha prodotti.
PALABRAS CLAVE
Memoria; Compagnia di Gesù; Missioni; Mentalità; Confessione.
ABSTRACT
The essay investigates uses and meanings of memory in a selection of texts produced by
members of the Society of Jesus in the 17th century active in the territories of the Spanish
Monarchy. In the first part, it examines the significance of this category in the apparatus of
norms regulating daily life and especially the activity characterising the order, namely
teaching. Memory is a practical and intellectual faculty predisposing the individual to future
action, and plays a key role in both pedagogy and in the discipline of teachers. Mission and
confession, other operational cores of the order, are examined in the second part. The
accounts of the Fathers produced while travelling through the territories of the Iberian
Peninsula document those places and encounters, but above all the mentality of those who
produced them.
1
Trabajo Financiado en el marco del Proyecto de Investigación con referencia PID2019-109489GBI00/AEI/10.13039/501100011033, Ministerio de Ciencia e Innovación.
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
Fernanda Alfieri
KEYWORDS
Memory; Society of Jesus; Missions; Mentality; Confession.
SUMARIO
1. MEMORIA ONNIPRESENTE. 2. UNA FACOLTÀ CHE SERVE ALL'AZIONE FUTURA. 3.
LA MEMORIA RISIGNIFICATA DELLE MISSIONI INTERNE. 4. MEMORIA SFUGGENTE:
ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. 5. FONTI A STAMPA. 6. BIBLIOGRAFIA.
1. MEMORIA ONNIPRESENTE, MEMORIA SFUGGENTE
A voler indagare gli usi e i significati della memoria in un ordine religioso risaputamente
ramificato ed esteso come la Compagnia di Gesù nella prima età moderna, pur circoscrivendo la
ricerca a un arco cronologico limitato e a un nucleo ristretto di fonti, ci si trova alle prese con un
elemento tanto sostanziale quanto al contempo sfuggente. Non si pretende ovviamente di
catturarlo qui nella sua totalità, nello spazio di poche pagine. Anche isolando il termine "memoria",
fra latino e lingue volgari, e omettendo di esplorarne i sinonimi, bisogna intanto fare i conti con il
peso del senso comune contemporaneo di cui è caricata la parola. Facoltà psichica individuale
tanto passibile di applicazione di tecniche di organizzazione e potenziamento, quanto soggetta a
logoramento e perdita? Patrimonio collettivo di una comunità che ne sostanzia l'identità, dunque
oggetto di selezione, conservazione, comunicazione e cancellazione (un'azione non esclude
l'altra, anzi, l'una chiede l'altra)? Repertorio di ricordi personali caratterizzati, nel loro stesso
prodursi, da deformazioni emotive, manipolazioni, censure, e dunque, per chi vuole farne materia
di studio storico, da trattare con particolare cautela? Nessuna di queste accezioni è pienamente
esaustiva del senso del termine, né può essere presa isolatamente2.
Se si proverà a muoversi con questo strumentario alla mano -che ci portiamo dentro quasi
fosse incarnato, più che coscientemente tematizzato- all'interno di una selezione di testi prodotti
dall'ordine di Ignazio di Loyola, e in ambiti tematici oggetto di un consolidato interesse
storiografico, si potrà sperimentare sulle prime un senso di familiarità. Anche nel lessico in uso
fra i membri della Compagnia -uomini che non solo appartengono alla élite culturale della prima
età moderna ma anche, come è stato ampiamente mostrato, detengono a lungo il monopolio
della sua formazione3- si potrà constatare che la memoria è una facoltà intellettiva (come
l’intelletto e la volontà), o, per usare una formula contemporanea, una funzione cognitiva (si vedrà
con qualche dettaglio tra poco). Anche per il corpo collettivo di religiosi votati all'obbedienza al
pontefice in materia di missione perinde ac cadaver, consacrati alla priorità dell'apostolato, la
messa per iscritto delle esperienze individuali passate è, sin dal loro ingresso, operazione
fondamentale per nutrire l'appartenenza a una comunità immaginata e, come è stato
efficacemente scritto, strutturalmente «testuale» (anche su questo si tornerà)4. La scrittura
* Ringrazio Mauro Brunello per l'aiuto nel reperimento delle fonti presso l'Archivum Romanum Societatis Iesu, i revisori
anonimi per le loro costruttive osservazioni e Jacopo Bertol per la lettura attenta della prima versione di questo testo.
2
Il termine è rinomatamente problematico e oggetto di un intenso dibattito storiografico, su cui si rimanda al saggio
introduttivo di questo fascicolo. Un'indagine complessiva sull'età moderna, seppur concentrata sull'area tedesca e i Paesi
Bassi, ma con un utile quadro concettuale, POLLMANN, Judith, Memory in Early Modern Europe: 1500-1800, Oxford,
Oxford University Press, 2017; una recente problematizzazione della categoria di memoria applicata alla prima età
moderna, con particolare attenzione alla gestione della conflittualità comunitaria, ALBERTONI, Marco, "Tra eterna
ignominia e damnatio memoriae: giustizia e monumenti d’infamia in età moderna", Storica, 81/3 (2021), pp. 67-118.
3
Anche su questo la storiografia è molto ricca e non è possibile evocarla esaustivamente. Per un quadro generale e
aggiornato, si veda la sezione introduttiva della selezione di fonti operata da CASALINI, Cristiano e PAVUR, Claude,
Jesuit Pedagogy: 1540-1616, Boston, Institute of Jesuit Sources-Boston College, 2016; anche JIMÉNEZ PABLO, Esther,
“Jesuitas y educación: origen y claves de su éxito (siglo XVI)”, Historia social, 103 (2022), pp. 153-166.
4
Sull’esame e il racconto di sé come passo fondamentale per l’ammissione all’ordine, TURRINI, Miriam, “La
vocazione esaminata. Narrazioni autobiografiche di novizi gesuiti a metà Seicento”, Archivio italiano per la storia della
pietà, 28 (2015), pp. 312–388; PROSPERI, Adriano, La vocazione. Storie di gesuiti tra Cinquecento e Seicento, Torino,
Einaudi, 2016. La formula citata nel testo di Brian Stock è efficacemente applicata alla Compagnia di Gesù da RUSSELL,
Camilla, Being a Jesuit in Renaissance Italy. Biographical Writing in the Early Modern Age, Cambridge, Harvard University
Press, 2022; DELFOSSE, Annick, "La correspondance jésuite: communication, union et mémoire. Les enjeux de la
Formula scribendi", Revue d'Histoire Ecclésiastique, 104/1 (2009), pp. 71-114. Per una panoramica generale del rapporto
fra mondo clericale, scrittura e memoria in età moderna, si veda l'Anejo XIII La memoria del mundo: clero, erudición y
cultura escrita en el mundo ibérico (siglos XVI-XVIII) di Cuadernos de Historia moderna (2014), e in particolare il saggio
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sistematica delle azioni compiute, la descrizione dei contesti in cui si è operato e della varietà
umana con cui si è interagito (segnatamente, che si è convertita, pacificata, salvata) a prescindere
dalle latitudini, dalle condizioni, dal tempo e dalle forze disponibili, e l'invio di tutto questo al centro
romano della curia, è infatti una pratica prescritta dal corpus di norme che regolano la vita
quotidiana dell'ordine, sin dalle sue origini, contribuendo a tenerlo insieme nella sua dispersione
planetaria in una lunga età moderna in cui le condizioni di comunicazione sono accidentate e
discontinue5.
L’organizzazione dei saperi non può fare a meno di una teorizzazione del funzionamento della
memoria e della messa a punto di tecniche specifiche per il suo utilizzo, che trovano nell’opera di
Matteo Ricci –non a caso, nel quadro dell’esperienza missionaria– uno degli esempi più
magnificenti ed esemplificativi della funzione cardine attribuita alla memoria, laddove la
mnemotecnica è applicata a un’impresa intellettuale, etica e relazionale al contempo6.
La dimensione spirituale è a sua volta investita dell'uso della memoria. La spiritualità
dell'ordine è rinomatamente caratterizzata da un'attenzione per lo scavo interiore: gli Esercizi,
che ne costituiscono il nucleo e il paradigma, prevedono uno scrutinio preliminare del proprio
vissuto, partendo dal passato più remoto, alla ricerca dei peccati commessi e delle proprie
debolezze. La pastorale, infine, identifica nella confessione generale, che deve affondare nella
storia individuale più risalente, uno strumento cruciale non solo di manutenzione morale, ma
anche di rinascita, capace di provocare una metamorfosi equivalente a quella generata dalla
conversione, anche in coloro i quali vivono già nella vera fede7. La storiografia si è interrogata sui
risvolti spirituali, disciplinari e di governo di questa pratica, che l'ordine ha messo in atto verso i
suoi membri (come condizione imprescindibile di appartenenza al corpo religioso) e verso un
mondo di fedeli (come condizione imprescindibile di appartenenza alla comunità cristiana)
pensabile dalla prima età moderna non solo come universale, ma anche come globale
nell'orizzonte politico europeo in espansione 8. Anche gli aspetti antropologici della confessione
frequente e dettagliata sono stati messi a fuoco, sottolineandone i risvolti profondi: quasi un
processo diffuso e sistematico di "soggettivazione", per usare una categoria ricorrente nel lavoro
di Michel Foucault, e qui particolarmente opportuna, che contiene un'attenzione per le dinamiche
di plasmazione del senso del sé e al contempo per le implicazioni di controllo di cui queste sono
investite. Il "diventare sé" avverrebbe, infatti, anche attraverso l'introiezione di categorie universali
che la confessione avrebbe contribuito a diffondere capillarmente, specie dall'introduzione della
obbligatorietà della penitenza quaresimale voluta dal Concilio Lateranense IV nel 1215 e
rafforzata dal Tridentino9.
introduttivo di PALOMO, Federico, "Clero y cultura escrita en el mundo ibérico de la Edad Moderna", pp. 11-26. Resta
fondamentale sulla dimensione religiosa, benché centrato su cronologie ben più risalenti, ASSMANN, Jan, La memoria
culturale: scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi, 1997 (ed. orig. 1992).
5
Le forme e le tipologie relazionali prodotte da questa dimensione intrinsecamente comunicativa della vita dell’ordine
sono poste sotto osservazione dai saggi raccolti nel fascicolo curato da CHINCHILLA PAWLING, Perla (a cura di),
“Formas discursivas”, di Historia y grafía, 43 (2014), in particolare quelli a firma di Martín María Morales e Pierre-Antoine
Fabre. Sul nodo della scrittura, ulteriore bibliografia infra.
6
SPENCE Jonathan D., Il palazzo della memoria di Matteo Ricci, Milano, il Saggiatore, 1987 (ed. orig. 1976) rimane
riferimento, benché il focus non sia tanto il trattato La mnemotecnica occidentale di Ricci, ma il vissuto dell’autore e il
contesto. Vedi anche HOSNE, Ana Carolina, “Matteo Ricci's Occidental Method of Memory (Xiguo Jifa) (1596):
Untranslatable images of a Classical Art of Memory in Ming China”, Journal of Early Modern History, 22/3 (2018), pp. 137154. Sulle teorie in merito al funzionamento della memoria e ai suoi usi circolanti in una prima età moderna chiaramente
non osservabile se non in una prospettiva di lungo periodo, BOLZONI, Lina, La stanza della memoria. Modelli letterari e
iconografici nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995.
7
Sulla plurivalenza di questa nozione nell'orizzonte globale cattolico, rimando a PETROLINI, Chiara; LAVENIA,
Vincenzo e PAVONE, Sabina, Sacre metamorfosi. Racconti di conversione tra Roma e il mondo in età moderna, Roma,
Viella, 2022.
8
DITCHFIELD, Simon, "The 'making’ of Roman Catholicism as a 'World religion'", in Jan Stievermann e Randall
Zachmann (a cura di), Multiple Modernities? Confessional Cultures and the Many Legacies of the Reformation Age,
Tübingen, Mohr Siebeck, 2018, pp. 189-203; PALOMO, Federico, "Jesuit Interior Indias: Confession and Mapping of the
Soul", in Ines G. Županov (a cura di), The Oxford Handbook of the Jesuits, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp.
105-127; e i saggi di Stefania Pastore, James E. Kelly, Paul Shore, Emanuele Colombo, Rafael Gaune Corradi, Hélène
Vu Tahn, Festo Mkenda nella sezione «Global Mission» del citato volume.
9
Si veda SLUHOVSKY, Moshe, Becoming a New Self. Practices of Belief in Early Modern Catholicism, Chicago, The
University of Chicago Press, 2017. Sulla confessione la bibliografia è ampia e non è possibile darne qui conto
esaustivamente. Sull’intreccio tra confessione e missione, resta riferimento PROSPERI, Adriano, Tribunali della
coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996; per il contesto spagnolo, in relazione a
documentazione e storiografia, rimando rispettivamente a GONZÁLEZ POLVILLO, Antonio, Análisis y repertorio de los
tratados y manuales para la confesión en el mundo hispánico (ss. XV-XVIII), Huelva, Universidad de Huelva, 2010; e
ARCURI, Andrea, “El control de las conciencias. El sacramento de la confesión y los manuales de confesores y
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Fernanda Alfieri
Le pratiche di costruzione della propria storia istituzionale promosse dalla Compagnia di Gesù
sin dalla sua prima stagione sono state a loro volta oggetto di studio, facendo emergere fra l'altro
una dimensione multimediale che supera la consolidata tradizione cronachistica, coltivata dagli
ordini religiosi sin dall'età medievale10. Si pensi per esempio all'opera Imago primi saeculi
Societatis Iesu (1640) con cui l'ordine, per iniziativa della provincia Flandro-Belgica, celebrò i
primi cento anni della propria esistenza attraverso una loro narrazione cronologica e tematica, a
rappresentare un ciclo vitale e sociale di nascita, crescita, azione, messa alla prova e infine
riconoscimento. Qui, la storia dell'ordine non è solo raccontata chiamando a raccolta una serie di
fatti ed eventi cardine, ma anche celebrata in versi e impressa in emblemi, in modo da coinvolgere
l'intera psicologia del fruitore. Questo è sollecitato non solo a conoscere attraverso la
comunicazione verbale, ma anche a meditare e a commuoversi attraverso il coinvolgimento della
facoltà immaginativa grazie all'uso di raffigurazioni, una pratica cardine per la spiritualità
ignaziana (le immagini degli Esercizi sono mentali: basta evocarle per muovere a spavento,
pentimento, paura, speranza, affetti utili al lavoro di edificazione spirituale). Nella Imago primi
saeculi non importa solo scongiurare la perdita di memoria delle vicissitudini dell'ordine, ma
utilizzare questa memoria affinché edifichi chi la fruisce. La storia gesuitica diviene così un
exemplum accessibile attraverso i sensi, capace di toccare la storia di ognuno arrivando sino alle
corde profonde non solo e non tanto dell'intelletto, ma anche e soprattutto del sentire. In questo
processo di conoscenza e al contempo di commozione e redenzione, memoria e sentimento
agiscono insieme, "pungolando la coscienza a sprigionare la fede" ("memoria enim per officii
recordationem excitata, conscientiam stimulat vellicatque ad fidem liberandam")11.
2. UNA FACOLTA' CHE SERVE ALL'AZIONE FUTURA
La memoria non è dunque tanto un deposito, un contenitore di passato, ma una facultas,
termine nella cui radice risiede l'azione del facere: letteralmente, una facoltà è infatti qualcosa
che "consente di fare". Questa accezione di memoria emerge con evidenza nell'esempio sopra
citato dalla Imago primi saeculi, e nell'uso ricorrente del termine rintracciabile nel corpus
normativo che disciplina la vita di ogni membro dell'ordine, di cui si vedrà qualche caso fra le
molte occorrenze, partendo dalla soglia che si deve varcare per entrarvi. Le Costituzioni
prevedono che ogni candidato all'ingresso venga sottoposto a un Examen generale, rispondendo
a una serie di domande a lui rivolte, al fine non solo di sondarne la vocazione, ma anche di
inquadrarne carattere, doti spirituali e costituzione fisica, così da poterne definire il miglior
impiego. Se, interrogato, ritiene di essere dotato di memoria per "cogliere e trattenere ciò che
avrà imparato", potrà essere instradato verso la carriera più avanzata di professo; in caso
contrario verso quella di coadiutore, cui spetteranno mansioni di servizio12. E se, alla verifica, ne
sarà proprio mancante, questo costituirà impedimento. La carenza di memoria ostacola infatti
operazioni necessarie al servizio del prossimo e quindi non riconducibili qui soltanto alla sfera
intellettuale, ma ancora una volta anche a quella spirituale e morale, perché ciò che si deve
essere predisposti a ricevere ed immagazzinare ("ad percipiendum et fideliter [...] retinendum")
penitentes”, Chronica nova. Revista de historia moderna de la Universidad de Granada, 44 (2018), pp. 179-213. Ulteriori
riferimenti infra.
10
BETRÁN, José Luis (a cura di), La Compañía de Jesús y su proyección mediática en el mundo hispánico durante
la Edad Moderna, Madrid, Sílex, 2010; e qui Id., "El bonete y la pluma: la producción impresa de los autores jesuitas
españoles durante los siglos XVI y XVII", pp. 57-69 (pp. 23-75); SHORE, Paul, "The Historiography of the Society of
Jesus", in Ines G. Županov (a cura di), The Oxford Handbook of the Jesuits, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp.
759-782; Id., "The Voices of Memoria: Diaria, Historiae, and Annuaria as Records of Experience in the Pre-suppression
Society", in Cristiano Casalini, Emanuele Colombo, Seth Meehan (a cura di), Engaging Sources: The Tradition and Future
of Collecting History in the Society of Jesus (Proceedings of the Symposium held at Boston College, June 11–13, 2019),
Institute of Jesuit Sources Chestnut Hill, MA, 2021, pp. 1-16. Si veda anche CHINCHILLA PAWLING, Perla; MENDIOLA,
Alfonso e MORALES, Martín María (a cura di), Del ars historica a la Monumenta historica: la historia restaurada, Ciudad
de México, Universidad Iberoamericana-Pontificia Universidad Javeriana, 2014.
11
Imago primi saeculi Societatis Iesu, a provincia Flandro-Belgica repraesentata, Antverpiae: ex officina plantiniana
Balthasaris Moreti, 1640, p. 97. Sull'opera O'MALLEY, John W. (a cura di), Art, Controversy, and the Jesuits: The Imago
primi saeculi (1640), Philadelphia, St. Joseph's University Press, 2015. Sull'intreccio fra storia e spiritualità, ALCÁNTARA,
Bojorge e DANTE, Alberto, "Espiritualidad, identidad y memoria histórica: un acercamiento desde el caso franciscano y
jesuita", Cuestiones Teológicas, 47/108 (2020), pp. 40-63.
12
Nell'Institutum Societatis Iesu, volumen secundum, Examen et Constitutiones, Decreta Congregationum
generalium, Formulae Congregationum, Florentiae: ex typographia a SS. Conceptione, 1893, si veda l'Examen generale,
c. 5. n. 3, p. 17.
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
Fernanda Alfieri
per poi essere utilizzato nella pratica sono i "praecepta" della dottrina13. La memoria è
principalmente ciò attraverso cui si trattiene qualcosa che serve: per i membri dell'ordine, anche
le Costituzioni stesse, che per questo devono essere brevi14; per gli scolari, le lezioni, che per
questo vanno imparate a memoria con ripetizione quotidiana, più volte al giorno, esercizio che
potenzia la memoria stessa15 oltre a "fecondare l'ingegno" come null'altro16. È un aspetto di
metodo e disciplina, questo, che torna con insistenza nel corpus normativo, sia nelle sezioni che
organizzano la missione educativa, sia in quelle che descrivono le mansioni attese dalle varie
cariche dell'ordine. Chiunque abbia qualcosa da amministrare, che sia una provincia o un
collegio, deve munirsi di un quadernetto, piccolo a sufficienza da poter essere agevolmente
tenuto in un pugno ("liber pugillaris") e portato con sé nel quotidiano: dentro vi vanno riversate,
così come si fa con la memoria, tutte le cose utili all'azione, da quello che ordina di eseguire il
superiore a quello che manca in cantina ed è da procurare, affinché "non cadano dalla memoria,
e tutto vada in fumo"17. La memoria non solo conserva dunque la traccia delle cose fatte, ma
anche, e soprattutto, predispone quelle da fare. Ha qui una funzionalità non necessariamente
introspettiva e retrospettiva, ma soprattutto pro-attiva: serve a ordinare nozioni e conoscenze per
compiere azioni future, più che per guardare il passato.
Se ci spostiamo ancora sulla dimensione spirituale, l'azione del ripercorrere con la mente la
propria vita non è mai fine a se stessa, o alla memoria stessa: se si attiva la memoria nel
recuperare i ricordi di azioni e pensieri passati, è per portare alla luce e in parola la propria
macchia, confessando ciò che si è agito male o omesso di fare. La memoria negativa di sé (non
si confessano, infatti, atti buoni) che serve a rinascere a nuova vita dopo il perdono ottenuto in
confessione è una parte fondamentale della pastorale promossa dalla Chiesa cattolica nella lunga
età moderna, di cui la Compagnia è stata promotrice18. Il luogo fisico in cui questo processo
culmina è il confessionale19, dove il penitente porta la confessione generale; ma la storiografia ha
mostrato come lo spazio e il tempo della metamorfosi spirituale procurata dal sacramento della
penitenza fosse ben più esteso, arrivando attraverso la missione ad abbracciare città e
campagne, e ambendo ad uscire dagli spazi europei e raggiungere le più remote e ardue
«Indias»20. Come è stato osservato proprio a proposito dell'apostolato missionario nei territori
della monarchia spagnola, al di qua e al di là dell'Oceano spinta dal motore universalizzante della
plenitudo gentium e nutrita da un'intensa circolazione di narrazioni che tesero a uniformare le
esperienze del qui e dell'altrove, la missione gesuitica vide una valorizzazione crescente
dell'esperienza del pentimento nelle popolazioni visitate21. Il presupposto perché ciò avvenisse l'insorgere di un sentimento capace di portare alla confessione, e provocare così una
trasformazione spirituale dalla portata esistenziale e ultraterrena, perché ritenuta foriera di vita
13
Ibid., Constitutiones, cap. 2, n. 7, p. 29; cap. 3, n. 13, p. 31.
Ibid., Constitutiones, Proemium in declarationes et annotationes Constitutionum, p. 24.
15
Ibid., Constitutiones, cap. 6, n. 8, p. 65.
16
Vedi le Regulae professoris rhetoricae, nn. 3 e 20, p. 210 e 213 in Institutum Societatis Iesu, volumen tertium,
Regulae, Ratio studiorum, Ordinationes, Instructiones, Industriae, Exercitia, Directorium, Florentiae: ex typographia a SS.
Conceptione, 1893; in Ibid., vedi anche Regulae scholasticorum Societatis, n. 10, p. 24; Regulae socii provincialis, n. 10,
p. 90; Regulae magistri novitiorum, nn. 73 e 76, p. 129; Regulae communes professoribus classium inferiorum, n. 19, p.
205.
17
Ibid., Regulae procuratoris collegii et domus probationis, n. 23, p. 117. Vedi anche Regulae socii provincialis, n. 10,
p. 90; Regulae ministri, n. 7, p. 135.
18
Essendo una semplice funzione, non è soggetta di per sé a problematizzazione nelle disamine degli atti umani e
delle loro componenti che riempiono decine e decine di trattati di teologia morale, come significativamente in AZOR, Ju an,
Institutionum moralium pars prima, Lugduni: apud Iohannem Pillehotte, 1602, testo fondativo della teologia morale
gesuitica, a lungo utilizzato per l'insegnamento. La prima parte è quella in cui l'autore compie una classificazione degli
atti umani. Sulla psicologia gesuitica, mi permetto di rimandare ad ALFIERI, Fernanda, "Tracking Jesuit Psychology: from
Ubiquitous Discourse on the Soul to Institutionalized Discipline", in Ines G. Županov (a cura di), The Oxford Handbook of
the Jesuits, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp. 783-810.
19
Come è noto, l'identificazione del confessionale come luogo deputato alla pratica della penitenza sacramentale non
fu immediata, e anche in Spagna si dibatté della sua opportunità d'uso e della struttura più idonea. Dalla congregazione
della Provincia toletana del 1579 arriva infatti al padre generale dei gesuiti a Roma, allora Everardo Mercuriano, la
richiesta che l'ordine adotti confessionali conformi a quanto avrebbe prescritto il pontefice su supplica di Filippo II, ovvero
aperti solo su un lato, visti gli "incommoda" e i "pericula". Archivum Romanum Societatis Iesu (d’ora in avanti ARSI),
Congregationes Generales et Provinciales. 41, ff. 203r-205v. Cfr. DE BOER, Wietse, The Conquest of the Soul:
Confession, Discipline, and Public Order in Counter Reformation Milan, Leiden-Boston, Brill, 2001, p. 96.
20
Si vedano da ultimo IMBRUGLIA, Girolamo; FABRE, Pierre-Antoine e MONGINI, Guido (a cura di), Cinque secoli
di Litterae indipetae. Il desiderio delle missioni nella Compagnia di Gesù, Roma, Institutum Historicum Societatis Iesu,
2022.
21
Per una comparazione tra spazio iberico e spazio europeo, BROGGIO, Paolo, Evangelizzare il mondo. Le missioni
della Compagnia di Gesù tra Europa e America: secoli XVI-XVII (prefazione di Francesca Cantù), Roma, Carocci, 2004,
e infra.
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eterna- era una presa d'atto, preparata da una sequenza di azioni promosse dai missionari, della
propria vita passata. E in questo processo doveva necessariamente entrare in azione la memoria,
vedremo come.
Fra i molti risvolti delle imprese missionarie di cui i territori della monarchia spagnola sono stati
teatro e oggetto, vorrei soffermarmi su quest'ultimo, sul crinale tra l'individuale e il collettivo (alcuni
peccati coinvolgono la sfera relazionale, come vedremo), quale emerge dalle relazioni stilate dai
membri della Compagnia di Gesù nella seconda metà del Seicento, sotto i generalati di Goschwin
Nickel (1652-1664), Giovanni Paolo Oliva (1664-1681), Charles de Noyelle (1682-1686) e Tirso
González de Santalla (1687-1705). Si tratta di fasi di governo non assimilabili l'una all'altra, né
quanto alla gestione interna dell'ordine, né sul piano delle relazioni con il potere politico,
sottoposte nell'arco di mezzo secolo a drammatiche oscillazioni22. L'ambito geografico è quello
calcato dalle missioni interne, che attraversarono la terra cognita -almeno presupposta tale- della
penisola iberica, e che sono state oggetto di importante attenzione quanto alla storia della
pastorale post-tridentina e il ruolo degli ordini religiosi non solo nella evangelizzazione e
acculturazione morale e religiosa, ma anche nella gestione della conflittualità23. Mi interrogherò
in particolare sull'uso e sui significati della memoria nelle azioni dei missionari rivolte alle comunità
visitate e nella stessa pratica di redazione dei racconti di missione provenienti dalle province
Toletana, Aragonese e Castigliana della Compagnia di Gesù, di cui si conserva documentazione
presso l'Archivio della Curia generalizia a Roma. In che modo entra in azione la memoria nella
produzione di questo corpus? Quanto queste narrazioni servirono per ricordare? Quanto invece
per consolidare un senso di appartenenza a un ordine chiamato all'apostolato universale, e che
poteva guardare a quegli specifici luoghi idealizzandoli come "Indie" a prescindere dalle loro
peculiarità (da osservare e ricordare)?
Oltre che alle relazioni di missione e alle lettere dei padri in esse coinvolti al generale, farò
riferimento alla manualistica a stampa, la cui base esperienziale fa sì che la memoria individuale
del missionario-autore si trasformi nella produzione di una casistica a vocazione ambiziosamente
universale, che intende contribuire alla plasmazione di comportamenti e memorie altrui. Come è
stato rilevato, nel corso del Seicento prende forma sempre più definita la figura del missionario
carismatico, capace di compiere l'impresa -non alla portata di tutti- di muovere i cuori più ostinati
alla redenzione. Ne sono rappresentativi i gesuiti Jerónimo López (1589-1658), Juan Gabriel
Guillén (1627-1675) e Tirso González de Santalla (1624-1705), che torneranno nelle prossime
pagine, insieme ad altri soggetti meno noti. Della loro relazione di "filiazione" -il primo costituì
modello fondamentale per i secondi- è stato scritto, e vi rimando anche per dettagli sulle loro
22
Sulle relazioni fra Compagnia di Gesù e casa regnante, rimando a LOZANO NAVARRO, Julián, La Compañía de
Jesús y el poder en la España de los Austrias, Madrid, Cátedra, 2005, e per i generalati qui considerati in particolare le
pp. 287-385. Si vedano anche i saggi della sezione “Los jesuitas, religión, política y educación (siglos XVI - XVIII), in José
Martínez Millán, Henar Pizarro Llorente e Esther Jiménez Pablo (a cura di), Los jesuitas. Religión, política y educación
(siglos XVI-XVIII), Madrid, Universidad Pontificia Comillas, 2012, vol. 1. Da ultimo, PIZARRO LLORENTE, Henar, “Los
jesuitas y la Corte (1540- 1767)”, in Henar Pizarro Llorente et al. (a cura di), Jesuitas. Impacto cultural en la Monarquía
hispana (1540-1767). Vol. 2. Misiones, Arte, Manresa, Universidad Pontificia Comillas-Sal Terrae-Mensajero, 2022, pp.
135-162.
23
Sulla Compagnia di Gesù, sono stati pionieristici i lavori di TELLECHEA IDÍGORAS, José Ignacio, "El Real Colegio
de la Compañía en Salamanca y las misiones populares (1654-1766)", Salmanticensis, 22/2 (1975), pp. 297-334; Id.,
"Misiones populares en el siglo XVII: Los jesuitas de la provincia de Castilla", Salmanticensis, 43/3 (1993), pp. 421-438;
sempre sull'ordine ignaziano, BURRIEZA SÁNCHEZ, Javier, "Ciudades, misiones y misioneros jesuitas en la España del
siglo XVIII", Investigaciones históricas: Época moderna y contemporánea, 18 (1998), pp. 75-108; sulle missioni interne
nella Spagna di età moderna, RICO CALLADO, Francisco, "Espectáculo y religión en la España del Barroco: las misiones
interiores", Chronica nova: Revista de historia moderna de la Universidad de Granada, 29 (2002), pp. 315-339; Id., "Las
misiones interiores en la España Postridentina", Hispania sacra, 55/111 (2003), pp. 109-130; Id., Misiones populares en
España entre el barroco y la Ilustración, Valencia, Institució Alfons el Magnànim, Diputación de Valencia, 2006; CORTIZO,
Camilo, "Les missions populaires dans le royaume de Galice (1550-1700)", in Pierre-Antoine Fabre e Bernard Vincent (a
cura di), Missions religieuses modernes: notre lieu est le monde, Roma, École Française de Rome, 2007, pp. 316-340; e
nel medesimo volume COPETE, Marie-Lucie e VINCENT, Bernard, "Missions en Bétique. Pour une typologie des
missions intérieures", pp. 262-285. Come il volume mette in luce, le memorie missionarie sviluppano una trama discorsiva
che, nell’afflato universale che anima l’impresa, trascende la dimensione locale specifica. Ogni singola traccia andrebbe
inoltre inquadrata all’interno di un’esplorazione delle “trasversalità mondiali contemporanee”, FABRE, Pierre-Antoine,
“«Entrar con el otro y salir con sigo»: nouvelles recherches sur les missions d’évangélisation modernes”, Archives de
sciences sociales des religions, 168 (2014). L’indagine può estendersi a una pluralità di contesti la cui ampiezza
potenziale trascende ovviamente i limiti concessi dallo spazio di questo contributo. Su questo, e quanto alla gestione della
conflittualità quale emerge dalle relazioni delle missioni interne gesuitiche, ancora BROGGIO, Evangelizzare il mondo,
op. cit., pp. 197-244; in particolare sul governo della conflittualità, Id. Governare l'odio: pace e giustizia criminale nell'Italia
moderna (secoli XVI-XVII), Viella, Roma, 2021, con un'apertura alla casuistica morale europea.
MONOGRÁFICO
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
Fernanda Alfieri
biografie24. Ciò che conviene segnalare qui è che, in vario modo, in quanto missionari, confessori
e autori, essi agirono come "provocatori" e al contempo produttori di memorie (per sé, per
l'ordine). Infatti, nell'interagire con soggetti e comunità visitate, stimolarono al ricordo di peccati
individuali e dissidi relazionali, promuovendo pentimento e pacificazione. Per lavare il peccato e
sciogliere il conflitto, dovettero portarli alla luce. Nel cancellarli, ne lasciarono traccia.
3. LA MEMORIA RISIGNIFICATA DELLE MISSIONI INTERNE
A López, il primo dei padri ignaziani sopra citati, è attribuita la messa a punto di un metodo (o
cerimonia? rituale? non semplice trovare la giusta definizione) da applicarsi durante le missioni,
volto a suscitare negli astanti il sentimento della contrizione. Acto de contrición è, per l'appunto,
la sua denominazione. Come informa una istruzione in italiano conservata nel fondo della
Provincia Toletana presso l'Archivio della Curia generalizia dell'ordine, "si fa [...] in molti luoghi di
Spagna", anche se lo si trova diffuso in una "historia generale della Compagnia"25 missionaria
che attraverso le esperienze dei suoi uomini ha conosciuto geografie ben più estese, dalle Indie
di Francesco Saverio (1556-1602) narrate da Orazio Torsellini, alle Puglie di Vincenzo Carafa
(1585-1649) narrate da Daniello Bartoli26. Non tornerò con dettaglio sulle caratteristiche di questa
pratica, alla quale la storiografia ha già dedicato attenzione e che -come viene descritta nel
documento sopra citato, e qui richiamata in estrema sintesi- consiste in una combinazione
orchestrata di prediche e processioni con una disposizione precisa dei soggetti partecipanti, dalle
autorità del paese in apertura, ai missionari a seguito, poi al popolo in chiusura. Nel quadro di
una cultura della visibilità delle gerarchie, che richiede l'organizzazione dei gruppi qui accennata,
i missionari pronunciano invocazioni, sermoni e formule con l'intento di suscitare una varietà di
emozioni (spavento, mortificazione, proposito di non peccare più) che pongono l'individuo che le
sperimenta in uno stato d'animo tra l'orrore per il proprio passato miserabile e il desiderio di un
futuro auspicabilmente vissuto nella redenzione. È l'effetto sperato dei "novissimi", ovvero delle
cose ultime cui l'essere umano va incontro al termine della vita (la morte, il giudizio particolare, il
paradiso o l’inferno) "et altri ricordi importanti" declamati ad alta voce, dove "ricordo" non è tanto
come lo intenderemmo nel senso comune odierno, ovvero reminiscenza. Ricordo qui è
ammonizione, raccomandazione morale, evocazione di contenuti che, scuotendo il cuore,
riconducono al tema della peccaminosità umana e della finitezza della vita terrena, esortando a
preferire quella ultraterrena. Non c'è nulla di personale da ricordare, ma -ognuno, indistintamente,
a prescindere dal proprio vissuto personale- deve essere messo di fronte a una serie di principi
comuni a ogni cristiano: "ricordisi il cristiano delle parole tremende di Gesù [...] la via del cielo è
stretta", "vita breve, morte certa, l'ora incerta", un esempio27.
La memoria è qui uno strumento fondamentale, in quanto consente l'assimilazione delle
formule sia al missionario che le pronuncia28 (ma può essere anche un laico da lui istruito, nella
coreografia della processione) sia all'uditore che le riceve (anche quello incolto), e che, anche
senza averle comprese fino in fondo, può evocarle nel tempo che verrà, continuamente
ammonendo se stesso. Nel quadro di una cultura dell'oralità -che nel caso delle popolazioni
visitate può spesso dirsi primaria29- le formule dovranno essere brevi, ed essere dette "con
24
Su Tirso González de Santalla, anche COLOMBO, Emanuele, "Un jesuita ‘desobediente’. Tirso González de
Santalla (1624-1705)", in José Martínez Millán, Henar Pizarro Llorente y Esther Jiménez Pablos (a cura di), Los jesuitas:
religión, política y educación, Madrid, Universidad de Comillas, 2012, vol. 2, pp. 961-994.
25
ARSI, Provincia Toletana, 42, Pratica dell'atto di contrizione che si fa dalli Padri della Compagnia di Giesù in molti
luoghi di Spagna, ff. 139r-146v.
26
Ibid., p. 139r. Dell'opera di Torsellini (1545-1599), pubblicata a Roma nel 1596, si è consultata l'edizione
TORSELLINUS, Horatius, De vita B. Francisci Xauerii ... libri sex. Horatii Tursellini ... ab eodem aucti et recogniti, in hac
vltima editione, Lugduni: Sumptibus Petri Rigaud, 1607. Su autore e opere, SOMMERVOGEL, Carlos, Bibliothèque de la
Compagnie de Jésus, tom. 9, Bruxelles-Paris, Oscar Schepens-Alphonse Picard, 1890-1900, tom. 8, coll. 138-157; su
BARTOLI, Daniello, Della vita del P. Vincenzo Carafa settimo generale della Compagnia di Giesù, in Roma e in Bologna:
Heredi del Dozza, 1652, cfr. ancora BROGGIO, Evangelizzare il mondo, op. cit., p. 304.
27
ARSI, Provincia Toletana, 42, Pratica dell'atto di contrizione che si fa dalli Padri della Compagnia di Giesù in molti
luoghi di Spagna, ff. 143r-146v.
28
Sui principi della retorica nella predicazione, MAJORANA, Bernadette, "Lingua e stile nella predicazione dei gesuiti
missionari in Italia (XVI-XVIII secolo)", Mélanges de la Casa de Velázquez, 45/1 (2015). Sulla predicazione gesuitica,
HERRERO SALGADO, Félix, La oratoria sagrada en los siglos XVI y XVII, Vol. 3. La predicación en la Compañ¡a de
Jesús, Madrid, Fundación Universitaria Española, 2001.
29
ONG, Walter J., Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Bologna, il Mulino, 1986 (ed. orig. 1892).
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
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qualche consonanza, o metro facile"30. Mentre il senso dell'udito viene colpito da parole come
fossero frecce (saetas è il modo con cui possono chiamarsi le giaculatorie) che ricordano ai cuori
i principi ultimi del vivere cristiano, rimanendo impresse nella memoria grazie al loro suono e
ritmo, quello della vista sarà colpito dal bagliore delle torce nel buio della sera. La cerimonia infatti
va iniziata al crepuscolo, quando il venir meno della luce consente di rappresentare
metaforicamente la tenebra del peccato che tutto avvolge; perché vi partecipino anche i lavoranti,
che durante il giorno troverebbero maggiori scuse per mancare; e perché la notte è il tempo (in
una lunga età moderna in cui il buio non si può materialmente arginare) in cui si è indifesi, esposti
a tutto. Questo rende la persona più porosa al messaggio edificante, ma anche più fragile ed
esposta alla tentazione. Ricorre infatti nella documentazione la preoccupazione che le
processioni notturne possano trasformarsi in occasioni di disordine morale. La soluzione è
impedire che le donne partecipino, come si faceva in special modo nelle città di media e grande
dimensione. Accadeva a Salamanca, Valladolid, Segovia, Santiago. Lo si ricordava, attingendo
alla memoria di esperienze passate e suggerendo l'adozione di questa soluzione in futuro, nel
commentare il Trattato circa l'atto di contrizione proposto alle autorità dell'ordine dall'Italia nel
1692, dove si intendeva introdurne la pratica sistematicamente31.
L'atto può essere conclusivo di più giorni (a volte settimane) di predicazione quotidiana da
parte dei missionari, che la regola voleva andassero due a due (salvo separarsi per necessità) e
di confessioni mietute, poi contabilizzate in cifre per essere inviate nelle relazioni a Roma32. Per
arrivare a quel risultato erano necessarie precise condizioni. La presenza dei missionari
introduceva nei luoghi visitati una sospensione del tempo ordinario e una sua nuova
organizzazione, finalizzata a un'inversione delle traiettorie di vita di ogni anima dalla dannazione
alla salvezza eterna. Nei racconti, il missionario si annuncia all'arrivo personalmente o con
l'ausilio di un campanello suonato da un bambino (torneremo sul ruolo dell'infanzia), aprendo così
il tempo straordinario del perdono, grazie alla licenza ottenuta dal vescovo o dal pontefice di
concedere il giubileo per la remissione di peccati gravi, con la sola confessione generale. Si può
trattare di città o di villaggi di campagna, ma è quest'ultimo, nel Seicento, il luogo eletto per la
trasformazione dell'umanità, su cui il giudizio dei missionari è conteso tra la deprecazione
dell'ignoranza quasi selvaggia e l'esaltazione della purezza che ne rende più semplice la
redenzione di quanto non lo sia per gli abitanti delle città, più sofisticati ma induriti dalla varietà e
assiduità degli incontri, e maggiormente esposti al vizio. A lungo l'esperienza missionaria della
Compagnia di Gesù è stata guidata da un immaginario comune che ha teso ad attribuire al
destinatario dell'apostolato, che fosse l'indio del nuovo mondo o il rusticus delle campagne
europee, caratteristiche di primitiva ignoranza, quanto più primitiva e quanto più motivante ad
essere colmata33. Nel corso del XVII secolo l'analogia fra le villane terre di missione europea e
quelle selvagge delle Indie sarebbe andata scemando (come è stato scritto, alla cattolicissima
Monarchia spagnola non si sarebbe potuta del resto attribuire una popolazione suddita così
totalmente priva di rudimenti cristiani). Tuttavia la metafora può tornare, quasi incorporata
nell'automatismo del linguaggio, se negli anni Sessanta del Seicento Juan Gabriel Guillén ancora
scriveva che a "venire a queste Indie, dove il viaggio è più certo e più facile, si trovano non meno
pretiosi tesori di conversioni di anime"34 (partiti da Toledo, lui e il suo compagno erano arrivati a
30
ARSI, Provincia Toletana, 42, Pratica dell'atto di contrizione che si fa dalli Padri della Compagnia di Giesù in molti
luoghi di Spagna, f. 139v.
31
ARSI, Provincia Veneta, 106 II, f. 406r. Lettera di Francesco Tinelli, che invia da Modena, 8 luglio 1692, il suo
Trattato circa l'atto di contritione nel 1692. Alle ff. 407r-408v e 409r-411v il commento in risposta (rispettivamente in
versione spagnola e italiana) non è firmato né datato (attribuito ad Ambrosio Ortiz in BROGGIO, Evangelizzare il mondo,
op. cit., p. 324 n). Non vi sono notizie sulla pubblicazione del trattato, né risulta fra i testi catalogati nel fondo Opera
Nostrorum in ARSI. Su Ortiz (1655-1718) rettore a Guadalajara, procuratore del Collegio imperiale di Madrid e autore, fra
l'altro, di un catechismo contenente una sezione sull'atto di contrizione, SOMMERVOGEL, Bibliothèque, op. cit., tom. 5,
coll. 1961-1962. In area iberica la missione gesuitica manterrà una forte connotazione emotiva e teatrale fino XVIII secolo
inoltrato, mentre in area italiana si registrerà allora un cambio di sensibilità, come è stato oss ervato. Vedi RICO CALLADO,
Misiones, op. cit., pp. 77-81.
32
A titolo di esempio, in ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Relación de las missiones que se han hecho en un año en
la Provincia de Aragón contando de 18 de setiembre 1658 hasta 18 del mismo de 1659, ff. 54r-61v: nella conta delle
anime raggiunte, divise per località, numero di abitanti, numero di confessioni e comunioni, su 18 missioni risulta un totale
di 67.664 anime.
33
Sull'immaginario dell'alterità, PROSPERI, Adriano, "Il missionario", in Rosario Villari (a cura di), L'uomo barocco,
Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 180-218; Id., "«Otras Indias». Missionari della Controriforma tra contadini e selvaggi", in
Scienze, credenze occulte, livelli di cultura. Convegno internazionale di studi (Firenze, 26-30 giugno 1980), Firenze, Leo
S. Olschki editore, 1982, pp. 205-234.
34
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
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Mérida visitando 24 villaggi, e concedendo il giubileo a 44.000 anime dell'Estremadura). All'inizio
del XIX secolo, sarebbe stato l'immaginario delle campagne italiane a fornire il metro di paragone
per giudicare quanto osservato oltre Oceano: gli schiavi delle piantagioni di proprietà dei gesuiti
nel Maryland non stavano peggio dei contadini delle campagne intorno a Bergamo. Lo osservava
Giovanni Antonio Grassi (1775-1849), futuro provinciale di America, che da quelle terre di
Lombardia proveniva35.
Cosa poteva accadere nella sospensione del tempo prodotta dall'arrivo dei missionari? O
meglio, che memoria si può produrre di questo "tempo fuori dal tempo"? Va certo tenuto presente
che vi è un principio di uniformità del racconto che agisce continuativamente, dettato dalle
condizioni intrinseche di produzione del discorso 36. I creatori di queste narrazioni sono al
contempo gli attori e i "plasmatori" delle situazioni che loro stessi poi narreranno, per rendere
conto del proprio operato. Nell'azione sono condotti da uno spirito che si vuole teso verso
l'apostolato universale, e guidato dall'obbedienza a un comune sistema valoriale ed epistemico37.
All'interno di questo contesto i racconti delle esperienze dei propri confratelli circolano, fornendo
un calco autoritativo sia pratico, indicando quali priorità d'azione adottare, sia narrativo, al quale
conformarsi nella restituzione scritta di quanto agito. Il rituale dell'Acto de contrición costituisce a
sua volta un canovaccio uniformante. Sotteso a tutto questo, vi è un senso del tempo specifico
nel quale deve collocarsi l'azione umana: è il tempo della historia salutis, che si sottrae alle
contingenze del quotidiano; o meglio, inserisce le contingenze del quotidiano in un orizzonte di
senso che assegna ad eventi ed azioni significati assoluti in relazione al destino di salvezza cui
ogni essere umano dovrebbe tendere. Ciò che accade è rilevante nella misura in cui allontana o
avvicina dalla visione beatifica di Dio38. Tornando dunque alla domanda posta qualche riga sopra
-e cosa poteva venire registrato- in quella sospensione del tempo prodotta dall'arrivo dei
missionari?
Se indirizzati verso zone rurali, come spesso capitava, i due giungevano di preferenza in
periodi dell'anno in cui la popolazione locale non era coinvolta nel lavoro dei campi,
particolarmente intenso nella stagione estiva. I mesi invernali e primaverili, e talvolta la Pasqua,
erano quindi quelli più attivi. Il lavoro come principale ordinatore del tempo terreno attraversa le
narrazioni: i missionari ne conoscono la necessità vincolante, ma lo trasformano in espediente di
eroismo, per loro e per le anime che accorrono ai sermoni stanche per le fatiche compiute e per
le ore di cammino che hanno affrontato per raggiungerli dai campi. Nel 1667 a Oropesa in
Estremadura, era inverno, ma "venendo tutti gli huomini molto ammollati dalla campagna [...]
assisterono alla dottrina, et alla predica"39. Mesi dopo, in quella medesima missione, a Palomas
le donne erano arrivate dalle campagne con i figli in braccio, nonostante fosse tempo di mietitura,
e ascoltati i sermoni dei missionari se ne erano tornate cantando. C'erano poi i lavoranti che
volevano disciplinarsi, ma i padri li avevano dissuasi, raccomandando di farlo in autunno per non
ammalarsi proprio ora, che era stagione di mietitura40. Le fiere, i mercati, il carnevale -gli eventi
comunitari che scandivano il tempo comunitario dei villaggi- così come le condizioni climatiche
proprie di ogni stagione, quelle ordinarie come quelle straordinarie, erano a loro volta risignificati
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 49v (ff. 27r-52v; copia in Provincia Toletana, 42, ff. 147r-165v). Il volume
contiene la traduzione italiana di sette missioni di Guillén, svolte tra 1665 e 1671, quelle del 1667 con Miguel de la Fuente.
Di lui risulta l'anno della professione del quarto voto, 1671, a Madrid. Per questa informazione (per de la Fuente e altri
soggetti) mi sono rifatta agli elenchi degli "Ad gradum admissi 1541-1773 juxta formulas votorum in ARSI asservatas",
inventario in consultazione presso ARSI.
35
ARSI, Historia Societatis, 1061, Diarium P. Iohannis Grassi, 31 dicembre 1811, ff. n. nn. Su Grassi, vedi
PIZZORUSSO,
Giovanni,
sub
voce,
in
Dizionario
Biografico
degli
Italiani,
vol.
58,
2002,
(https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-antonio-grassi_%28Dizionario-Biografico%29/).
36
A mia conoscenza manca uno sguardo complessivo sulle relazioni di missione nel lungo periodo, che misuri
variazioni nelle strategie pastorali, nello stile, e nei temi di rilievo focalizzandosi specificamente sui momenti di crisi, come
quelli che occorsero nei generalati in cui si produssero molte delle relazioni qui considerate, su cui vedi LOZANO
NAVARRO, Julián, "Entre Francia y los Habsburgo. El gobierno de la Compañía de Jesús y las relaciones internacionales
(1670-1694)", Libros de la corte, 24 (2022), pp. 260-287.
37
Rimando agli studi citati in nota 23, oltre al volume CASTELNAU-L'ESTOILE, Charlotte de et al. (a cura di), Missions
d'évangélisation et circulation des savoirs : XVIe-XVIIIe siècle, Madrid, Casa de Velázquez, 2011.
38
Sul regime di storicità cristiano rimando da ultimo ad HARTOG, François, Chronos: l'Occident aux prises avec le
temps, Paris, Gallimard, 2020; sull'ordine del tempo che sottende alla scrittura della storia da parte dei missionaristoriografi operanti nel Nuovo mondo, GRUZINSKI, Serge, La machine à remonter le temps. Quand l'Europe s'est mise
à écrire l'histoire du monde, Paris, Fayard, 2017.
39
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 28r.
40
Ibid., f. 48v.
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Forme e usi della memoria nel corpus gesuitico del XVII secolo. Fra istruzione, spiritualità, missione
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nell'economia della salvezza come espedienti da superare. La loro difficoltà, al pari della loro
riuscita, aveva alla base un motore soprannaturale, nella versione nemica del demoniaco o
provvidenziale del miracoloso41. Ecco perché a Trujillo la partecipazione alla preghiera era stata
scarsa "valendosi il demonio, per il suo intento, della ritirata di gran parte degli ecclesiastici, e
nobili dell'occupationi del Consiglio, delli mercati, del passaggio de' soldati, delli mali tempi
ch'erano piovosi, ventosi e freddi"42. Vent'anni prima, l'impossibilità di attraversare il fiume Besòs
aveva impedito ai padri Pedro Escardò e José Viñas partiti da Barcellona di raggiungere
Badalona: "e penso che non sia stato senza qualche mistero", scriveva il primo ripensando agli
eventi e assegnando loro un senso provvidenziale43. L'impedimento ambientale aveva infatti
costretto i padri a deviare verso San Andreu, dove "erano 14 anni che non avevano goduto di
questo giubileo, che perciò havevano tanta premura di guadagnarlo, che si cavavano di letto due,
o tre hore avanti giorno per confessarsi"44.
Il tempo dell'assenza di confessione può essere tanto lungo da divenire incalcolabile, ma il più
delle volte si quantifica e si riporta con tentata precisione, insieme alle sue cause. La si spiega
con la mancanza di assistenza spirituale, non fosse per il passaggio dei padri, l'ultimo dei quali
viene magari evocato per l'occasione, come accade nella provincia di Álava, nei Paesi baschi.
Qui, nel 1694 si registra che da oltre vent'anni non si vede un missionario, da quando il gesuita
Pedro Vives aveva visitato quelle terre45. Ma la maggior parte delle volte il tempo senza
confessione è dovuto al rifiuto di sottoporvisi, per leggerezza, vergogna o paura, omettendo il
peccato grave o evitando in toto il confessionale, come nel caso sopra citato, e in quello della
donna che sempre nei paraggi di Badalona da diciott’anni esatti si portava il peso di un
infanticidio46, o di quella basca che per lo stesso tempo aveva taciuto "la torpe afición de un
perro", costretta al mutismo da una vergogna insuperabile47. Il testo che derivò dalla quasi
quarantennale esperienza missionaria di Jerónimo López, ma redatto dal provinciale aragonese
Cristóbal de Vega (1595-1672), conferma essere questa l'evenienza più ricorrente -la vergogna
che paralizza- e stila una dozzina di casi esemplificativi, di cui sono protagoniste donne. Nei
Casos raros de la confessión, pubblicati nel 1656, ristampati più volte fino al 1812 e tradotti in
catalano, francese, olandese, tedesco e italiano48, il gesuita valenciano ricapitola i suoi ricordi di
missionario nella penisola iberica, ma le figure femminili che evoca ad esempio terrificante ed al
contempo edificante vengono da ben più lontano, nello spazio e nel tempo. La storia della donna
india del Perù battezzata come Catalina confluisce dalle lettere annue della «Provincia peruana»
nelle Disquisitiones magicae di Martin Delrio, e poi nei Casos raros di López e Vega. La ragazza
aveva condotto una vita disonesta fino alla fine, non solo rifiutando di confessarlo ma anche perfida astuzia diabolica di cui le donne sono vittima preferenziale- burlandosi del confessore.
Dopo la morte seguita a una lunga agonia, il cui travaglio infesta oggetti e persone nella casa che
ne è teatro, il suo spirito dannato dal mancato pentimento non cessa di tormentare il villaggio che
l'aveva vista frequentare le più turpi compagnie49. Poi c'è la "donzella noble" incontrata dal
confratello Juan Ramírez (1521-1586), che aveva predicato nelle grandi città del Regno nella
41
Sul ruolo del miracolo nei racconti prodotti dalla Compagnia, LAVENIA, Vincenzo, "Miracoli e memoria. I gesuiti a
Loreto nelle storie della Compagnia (sec. XVI-XVII)", L'Immagine riiflessa. Testi, Società, Culture, 22/1-2 (2013), pp. 331348.
42
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 32r.
43
ARSI, Provincia Aragonia, 27, Missione fatta nel vescovato di Barcellona dalli PP. Pietro Escardò e Giuseppe Vigna
della Compagnia di Gesù dalli 12 di gennaro, sino alli 17 di febraro 1647, f. 21r. Pedro Escardò professò il quarto voto nel
1635; José Viñas nel 1650. Nessuna notizia di entrambi in SOMMERVOGEL, Bibliothèque, op. cit. Nel volume contenente
la relazione della missione (ff. 20r-25v), non ho reperito una versione spagnola.
44
ARSI, Provincia Aragonia, 27, Missione fatta nel vescovato di Barcellona dalli PP. Pietro Escardò e Giuseppe Vigna
della Compagnia di Gesù dalli 12 di gennaro, sino alli 17 di febraro 1647, f. 22r.
45
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Misión de la provincia de Álaba, 6 marzo 1694, f. 77r (ff. 77r-82v). I missionari
erano José de La Rezza (sic, non identificato) e José de Angulo (professo di quarto voto nel 1683). Pedro Vives aveva
professato il quarto voto nel 1664.
46
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Missione fatta nel vescovato di Barcellona dalli PP. Pietro Escardò e Giuseppe
Vigna della Compagnia di Gesù dalli 12 di gennaro, sino alli 17 di febraro 1647, f. 24r.
47
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Misión de la provincia de Álaba, 6 marzo 1694, f. 79r.
48
Ho potuto consultare l'edizione Casos raros de la confessión con reglas, y modo facil para hacer una buena
confessión general o particular y unas aduertencias para tener perfecta contrición y para disponerse bien en el articulo
de la muerte, por el p. Christoval de Vega ... Undezima impresión, Barcelona: en la Imprenta de Joseph Giralt [s. d.].
49
Ibid., cap. 5, pp. 9-17, cita l'edizione lionese del 1606, ma ho potuto consultare l'ed. DELRIO, Martinus,
Disquisitionum magicarum ... tomus primus, Moguntiae: apud Iohannem Albinum, 1603, L. 2, q. 25, sec. 5, pp. 225-226,
a proposito di spettri.
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seconda metà del Cinquecento. Educata alla devozione sin da bambina, soleva confessarsi
sempre con gran scorrere di lacrime, dando così da pensare al suo confessore che fosse sincera.
Non fosse che il confratello che accompagnava Ramírez aveva visto un giorno "una mano peluda,
y negra con uñas como de oso" stringerla alla gola mentre si confessava, impedendole di dire
tutto. Morì così, continuando a nascondere il peccato peggiore (una tresca amorosa con un
giovane anni prima), e il suo spirito tormentato sarebbe comparso a Ramírez, avvolto in fiamme
e catene50. Era questo, forse, "el ejemplo de la mano peluda" che alla fine Seicento nella provincia
di Álava avrebbe terrorizzato anche la donna basca che non comprendeva il castigliano? Un'altra
donna glielo aveva raccontato traducendolo, avendolo ascoltato dal missionario, che a sua volta
avrebbe riportato il fatto nella sua relazione51. Di esperienza in esperienza, passando dalla
scrittura all'oralità e poi di nuovo alla scrittura, la memoria della "mano peluda" che il confratello
di Ramírez ritiene di aver visto un secolo prima (sognato? inventato? visto "con gli occhi del
cuore"52? poco importa qui, perché ciò che conta è la plausibilità del discorso di esperienza, più
che la sua concretezza fattuale) continua ad atterrire la penisola iberica, superando le barriere
linguistiche e portando così anche la "donna basca" a ripensare alla sua vita. La memoria agisce
come dispositivo di ordine e registrazione dei "fatti" notati dai missionari, ma anche nel generare
tali "fatti" all'interno di un quadro valoriale che tende a mantenersi tale, a prescindere da tempi e
luoghi.
Non è un caso, quindi, che nella casistica dei Casos raros e delle relazioni di missione
l'omissione della confessione del peccato turpe per vergogna sia femminile, essendo la
verecundia ritenuta la cifra comportamentale delle donne, eredi del peccato di Eva, ed essendo
l'onore femminile così centrato sulla buona fama in relazione alla condotta sessuale da indurre a
scegliere il silenzio (e la dannazione eterna), piuttosto che la perdita di fama in vita53. Ed è quindi
soprattutto femminile la casistica di quella che potremmo definire una «somatizzazione del
silenzio»: il passato che non viene liberato dalla parola si annida nel corpo, e vi ristagna
ammalandolo come fanno gli umori cattivi, come era successo alla donna che aveva ucciso più
volte e alla quale il parroco aveva negato l'assoluzione. Nei paraggi di Cordova, la si poteva
vedere vagare annerita dalla melancolia, tanto che "hormai era divenuta simile allo stesso manto,
che portava"54. Il corpo conserva dunque una sua memoria del peccato, la cui presenza (è un
passato che non passa) viene riproposta anche quando la volontà lo ricaccia ostinatamente
nell'oblio. Per questo arrivavano al confessionale "temblando como azogados por su mala
conciencia" coloro che avevano omesso di accusarsi "los dos, los tres, los cinco y más años" 55.
Ed è sul corpo che compare anche il segno che si sono finalmente sciolti nel pentimenti i grumi
della storia cattiva, portata dentro troppo a lungo. I racconti di missione sono pieni di pianti
spettacolari, lacrime che sgorgano dagli occhi di uno per travolgere tutti gli altri, e interi villaggi.
Questa volta sono soprattutto gli uomini ad esibirle56, perché sono loro i protagonisti principali
delle miriadi di racconti di pacificazione che popolano le relazioni missionarie e in cui il pianto
della riconciliazione assume una dimensione corale57. I missionari qui arrivano laddove le autorità
avevano fallito, come accade nella provincia di Badajoz, dove a Don Benito "alcune fattioni molto
antiche sopra l'elettione degli offitii del governo" da sette anni dividevano la comunità. Inutili le
50
Ibid., cap. 6, f. 19. Di Juan Ramírez si conserva in ARSI, Opera Nostrorum, 65, pp. 247r-267r un trattato di istruzione
alla predicazione. Nella rassegna finale degli argomenti da toccare, si insiste sulla necessità del pentimento e della
confessione frequente.
51
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Misión de la provincia de Álaba, f. 79v.
52
Sull'uso delle immagini nella spiritualità della prima età moderna, e la psicologia sottesa, NICCOLI, Ottavia, Vedere
con gli occhi del cuore. Alle origini del potere delle immagini, Roma-Bari, Laterza, 2011.
53
Si veda CANDAU CHACÓN, María Luisa (a cura di), Las mujeres y el honor en la Europa Moderna, Huelva,
Universidad de Huelva, 2014; il numero speciale dedicato a "Histoire de la vergogne" di Rives nord-méditerranéennes,
31 (2008).
54
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione del P. Gio. Gabriel Guillera (sic) mandata al M.R.P.N.G. il P. Gio. Paolo
Oliva da Madrid a 27 d'agosto 1668, f. 54v (ff. 53r-70r).
55
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Misión de la provincia de Álaba, f. 78r.
56
Per una storia culturale del pianto, NAGY, Piroska e BOUREAU, Alain, Le don des larmes au Moyen âge: un
instrument spirituel en quête d'institution (V e-XIIIe siècle), Paris, Albin Michel, 2004. Sul significato delle lacrime,
VINCENT-BUFFAULT, Anne, Histoire des larmes, XVIIIe-XIXe siècles, Marseille, Rivages, 1986; nelle missioni
gesuitiche, SZARAZ, Orsolya, “Tears and Weeping on Jesuit Missions in Seventeenth-Century Italy”, Archivum Historicum
Societatis Iesu, 85/1 (2017), pp. 7-48.
57
Sulle pacificazioni, ancora BROGGIO, Evangelizzare il mondo, op. cit., pp. 201-206; BROGGIO, Paolo e PAOLI,
Maria Pia (a cura di), Stringere la pace: teorie e pratiche della conciliazione nell'Europa moderna (secoli XV-XVIII), Roma,
Viella, 2011; NICCOLI, Ottavia, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari, Laterza, 2007.
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"molte, e grosse spese in litigare in Madrid, Granada e Placenza"58. Dopo essersi a lungo
ammazzati gli uni con gli altri, complice l'atto di contrizione, i membri delle fazioni si abbracciano,
con un pianto manifesto in piazza, che assume una dimensione cosmica: la "allegrezza
universale" è subito bagnata dalla pioggia, perché "le loro inimicizie erano quelle che sterilivano
la terra"59. Tutto parla, anche il cielo, di una metamorfosi, che parte dall'interiorità dell'individuo
investendo la comunità, e divenendo visibile. Lo dicono le lacrime dei pentiti, tanto abbondanti da
bagnare il mantello del missionario60; e lo dicono i "laghi di sangue" lasciati dai colpi dei
disciplinatori a Villafranca de los Barros61, a Garrovillas de Alconétar62, a "Terra de Rivera", dove
"il gusto delle paci fatte proruppe in desiderio di fare una caccia di tori". I missionari non avrebbero
voluto che si spargesse sangue di animali proprio dove gli uomini penitenti avevano sparso il
proprio. Ma la "allegrezza" del popolo non si contiene, e la carne degli animali uccisi finisce
imbandita e servita ai poveri dai "capi del popolo"63.
Per dirimere i conflitti, i missionari devono sollecitarne la memoria nella comunità, far sì che
gli individui ne prendano atto in coscienza, per pentirsene. E dell'esistenza di quelle faide devono
lasciare memoria scritta nelle loro relazioni una volta che si riparano, perché si sappia la
metamorfosi compiuta dalla contrizione, capace di trasformare spietate faide in abbracci e pianti.
E in quella straordinaria conversione dei sentimenti nel loro contrario, nel ribaltamento delle
regole consuete dell'ordine sociale (a torto segue solitamente vendetta, ma qui invece arriva il
perdono), anche i ruoli di genere si possono sovvertire. Come accade a Costantina nel 1668,
dove otto anni di fazioni "che havevano scandalizzato gran parte d'Estremadura, e mezza
Andaluzia", si risolvono quando durante la messa le donne di un gruppo si gettano ai piedi di un
uomo della parte avversaria, inducendo anche gli uomini della loro a fare lo stesso, per non
essere da meno64. Anche i soldati di stanza a Mérida decidono di sciogliere il loro indurimento e
di confessarsi, spinti dall'esempio delle monache della città, "vergognandosi quasi di essere
avanzati nella generosità di spirito, da donne"65.
Nell'instaurazione del nuovo ordine operata dai missionari, le donne giocano dunque un ruolo
cruciale, in negativo e in positivo. Possono infatti essere ostili come quelle di Coria, nella provincia
di Cáceres, convinte che l'arrivo dei padri fosse segno dell'imminente venuta dell'Anticristo (ecco
di nuovo attivo il regime di storicità apocalittico che si evocava poc'anzi)66, o come quelle di
Medellín, che andavano per il villaggio esortando le altre a non recarsi a sentire le prediche di
Guillén: "Non andate a sentirlo, che vi farà tornare a casa pazze, come faceva il P. Gondino [Juan
Gondino 1569-1629], ricordandosi, dopo quarant'anni, della rara efficacia, con cui quell'huomo
apostolico l'haveva intimorite, predicando della giustizia di Dio".67 La memoria emotiva del
passaggio del confratello era ancora viva dopo quasi mezzo secolo -sottinteso, mezzo secolo di
abbandono, non fosse per il passaggio provvidenziale dei padri- e le donne ne erano custodi.
58
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 129v (ff. 118r138r).
59
Ibid., f. 130v.
60
Ibid., f. 134v.
61
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 43r.
62
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 125v.
63
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 45v.
64
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione del P. Gio. Gabriel Guillera (sic) mandata al M.R.P.N.G. il P. Gio. Paolo
Oliva da Madrid a 27 d'agosto 1668, f. 67r.
65
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 48r.
66
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 119v.
67
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 129r. Sul
missionario e sulla sua pluridecennale attività di predicazione fra le campagne della penisola e la Corte (in undici anni,
ascoltò 17.000 confessioni), vedi NIEREMBERG, Juan Eusebio, Vidas exemplares y venerable memorias de algunos
claros varones de la Compañía de Jesús, tomus quartus, en Madrid: por Alonso de Paredes,1647, pp. 280-296; sull'opera
BETRÁN, José Luis, "La ilustre Compañía? Memoria y hagiografía a través de las vidas jesuitas de los padres Juan
Eusebio Nieremberg y Alonso de Andrade (1643–1667)", Hispania. Revista española de historia, 72/248 (2014), pp. 715748.
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Quella "pazzia" era l'animo sconvolto dall'essere toccate nell'intimo della loro individualità, in una
cultura -che avrebbero trovato rientrando "a casa"- che le voleva invece funzionali alle esigenze
della famiglia? Non a caso, la coeva letteratura religiosa per l'edificazione delle spose insisteva
molto sulla necessità di temperare gli eccessi di devozione, trasformando lo slancio della pietas
e il proprio carisma spirituale in sopportazione del peso del carico familiare, e in capacità di
contenimento dei conflitti e degli eccessi altrui (marito in primis)68. Ma molto più spesso le donne
sono narrate come un prezioso tramite per la riuscita della missione, tanto che loro comportamenti
altrimenti sanzionati vengono scusati, in quanto funzionali. Così, la donna di Siviglia, che si veste
da uomo per partecipare alle devozioni interdette al suo sesso e convince la sua amica a fare lo
stesso, viene paternamente dissuasa a rimanere negli abiti che le sono consoni 69; e quella che,
a Fuente de Cantos, si finge incinta per avere una immaginetta di Ignazio che si credeva
proteggesse le partorienti, viene perdonata quando la si scopre partorire davvero, e con un esito
felice che fa pensare al miracolo70. In molte zone visitate dai padri, come scrivono, le donne
reclamano quelle medagliette. E l'effetto benefico che si reputa avere sui loro corpi apre ai
missionari le porte della fiducia della comunità, per la quale quei corpi generano nuove vite. Le
medagliette distribuite per proteggere il parto non solo favoriscono la credibilità dei padri -perfetti
estranei che si materializzano in paesaggi spesso deserti di presenze umane, in un'epoca di
difficoltosa mobilità- ma anche lasciano memoria materiale del loro passaggio. Ad Alcántara se
ne cedono i conii al fonditore del luogo affinché continuino ad essere prodotte, anche una volta
che saranno partiti, e un quadro di Ignazio e uno di Francesco Saverio arriveranno da Madrid di
lì a due mesi71. Al passaggio dei padri, le terre della monarchia si disseminano di oggetti e
immagini, il paesaggio si sacralizza, così come l'organizzazione comunitaria, che grazie alla
fondazione stabile di congregazioni rinnoverà la memoria di quelle presenze transitorie nei
decenni a venire. Quando torneranno altri missionari, non avranno che rinfocolare un ricordo,
come a Brozas, dove nel 1666 tutti "conservano fresca, e tenera memoria del p. Rodrigo Dezza
[Deza]" e della sua congregazione di sacerdoti e secolari fondata trent'anni prima, che ancora ha
più di 500 membri72. L’azione di ogni singolo missionario, così, si innesta su un tempo che
trascende la singola traiettoria della sua esistenza 73.
4. MEMORIA SFUGGENTE. ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Si potrebbero evidenziare molti altri elementi ricorrenti in queste narrazioni, alla ricerca degli
usi della memoria, sperando forse di intravvedervi, nel fondo, dei "fatti". Ma cosa possono dirci
della "realtà" visitata? Possono queste essere considerate memorie -filtrate e deformate- di quei
luoghi?74 Si ha certo, leggendole, un sentimento di realtà, veicolata dalla resa emotiva, quasi
pittorica, delle situazioni narrate da questi autori capaci di creare un "romanzesco di Dio"75:
sembra quasi di "vedere" il conflitto sanguinoso delle faide sciogliersi nello spettacolo delle
68
Vedi MORANT DEUSA, Isabel, Discursos de la vida buena: matrimonio, mujer y sexualidad en la literatura
humanista, Madrid, Cátedra, 2002.
69
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione delle missioni di Spagna del 1669 descritta dal P. Gio. Gabriel Guillen al
R. P. Nostro Generale il P. Gio. Paolo Oliva, f. 80v (ff. 71-96v).
70
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 163v.
71
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 122r.
72
Ibid., ff. 122r e 124v. Rodrigo Deza (1589-1660), predicatore, qualificatore del Sant'Uffizio e confessore della infanta
Margherita di Savoia, vedi SOMMERVOGEL, Bibliothèque, op. cit., tom. 3, coll. 34-35.
73
La dinamica descritta da Gullermo Wilde, da ultimo in Jesuit’s Mission Past and the Idea of Return, in Ines G.
Županov (a cura di), The Oxford Handbook of the Jesuits, Oxford, Oxford University Press, 2018, pp. 1001-1035.
74
Sulla produzione di saperi relativi ai territori delle missioni, altro è il caso esaminato in WILDE, Gullermo e TAKEDA,
Katsuhisa, “Tecnologías de la memoria: Mapas y padrones en la configuración del territorio guaraní de las misiones”,
Hispanic American Historical Review, 101/4 (2021), pp. 597-627. Sulla dispersione locale degli archivi gesuitici in
relazione alle realtà territoriali in cui l'ordine è radicato, e sulla loro significatività in relazione alla storia di quei luoghi,
SALOMONI, David, "The Forgotten Jesuits: The Historical Memory of the Society Between Minor Archives and New
Research Trends", in Cristiano Casalini, Emanuele Colombo, Seth Meehan (a cura di), Engaging Sources: The Tradition
and Future of Collecting History in the Society of Jesus (Proceedings of the Symposium held at Boston College, June 11–
13, 2019) Seth 2021, Institute of Jesuit Sources Chestnut Hill, MA, 2021, pp. 1-11.
75
Così in relazione ai racconti di missione e in particolare alle sezioni orientali della Storia della Compagnia di Gesù
(1650-1673) di Daniello Bartoli, ASOR ROSA, Alberto, "La narrativa italiana del Seicento", in Letteratura italiana. Vol. 3,
tom. 2. Le forme del testo: La prosa (dir. Alberto Asor Rosa), Torino, Einaudi, 1984, pp. 751-752.
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lacrime, di "sentire" la pioggia e il vento che sferzano terre di cui si accenna all'asprezza, perché
chi legge sappia la fatica di chi le ha solcate; e ancora, quasi di "ascoltare" il cantinbanco
declamare dall'altro lato della piazza, per poi silenziarsi sconfitto dall'abilità del predicatore. E si
può anche credere che le donne abbiano lasciato le porte di casa aperte nell'andare a sentire il
sermone nel villaggio dell'Estremadura, pur sapendo che i molti soldati accampati ne avrebbero
approfittato per entrare e rubare, e concentrarsi su un dato difficile da non reputare oggettivo: la
presenza ingombrante dell'esercito in una terra di confine nel conflitto che coinvolse Spagna e
Portogallo negli anni Sessanta del Seicento, e la minaccia costante che costituivano per le
popolazioni locali, specie per le donne. Si potrebbero infine ricavare informazioni utili per una
storia ambientale, dall'intensità straordinaria di certe precipitazioni atmosferiche all’altrettanto
straordinaria siccità.
Ma non si può trarre molto, da queste carte, della individualità di quei soldati che rubano, né
di quelle donne che li temono, o dei contadini che tornano dai campi, delle monache che
pacificano i loro conflitti una volta sentiti i sermoni da dietro le grate76, e dei bambini ai quali i
missionari affidano il compito di stanare i bestemmiatori, in cambio di un'immaginetta77; o ancora,
dei "mori" che si convertono al suono delle parole del missionario78. Sappiamo il gruppo al quale
questi individui appartengono, perché la società nella quale gli scriventi sono immersi riconduce
l'individuo al ceto come suo primo elemento identificativo. Ecco perché è rilevante notare per
Juan Gabriel Guillén che a Mérida si fonda una congregazione nella quale "tengono li principali
offitii il sig. provisore, governatore, giudice maggiore, quattro cavalieri di habito"79 o per Francisco
Estremera scrivere che a Saragozza "los eclesiásticos, cavalleros y personas al mayor
suposicion se han confesado generalmente, y algunos publicamente en las iglesias con sus
papeles delante"80 (elemento questo, del supporto scritto per la confessione pubblica, su cui
tornerò tra poco). Di rado conosciamo i nomi dei singoli che compongono questi gruppi, e
solitamente accade quando sono esponenti di rilievo del governo locale, di cui si segnala la buona
disposizione verso i padri, o, quasi mai, l'ostilità. Perché i soggetti incontrati dai missionari e
registrati nelle relazioni sono, in fondo, pecore di un gregge che, seppur talvolta riottoso, alla fine
sospira, lacrima, si batte, docile alle parole del missionario. La loro singolarità può, semmai,
trasformarsi in exemplum edificante dal valore universale. Ma soprattutto, il missionario
confessore, predicatore e scrittore non può dipingere con troppa precisione la irriducibile unicità
di quelle vite perché la pratica della confessione generale, da cui le loro storie sono tratte, è
vincolata alla segretezza. Nulla di quello che si dice in quel contesto deve trapelare fuori, e
tantomeno lasciare traccia. Così, nel visitare la diocesi di Tarascona nel luglio del 1647, Manuel
Ortigas e Manuel Crespo che avevano ricevuto molte confessioni -tra cui alcune "escritas en
pliegos de papel"81, nonostante la pratica fosse stata condannata da Clemente VIII già nel 160282si ripromettono di proporre alcuni di quei casi nelle predicazioni che faranno in altri villaggi, ma
rendendoli irriconoscibili e con "licencia para dezirlos del penitente"83. Anche di questa necessità
di dire ma non dire troppo sono piene le relazioni. Come notava Pedro de Salazar, il vescovo di
76
ARSI, Provincia Toletana, 42, Lettera del padre Gio. Gabriel Guillen scritta al molto R.P. Generale il P. Gio. Paolo
Oliva da Toleto a 30 di luglio 1666 intorno alla missione incominciata nel Regno di Spagna nel 1665, f. 131v.
77
Ibid., f. 132v.
78
Un caso fra i molti riportati, tipici della pastorale di Tirso González de Santalla, in ARSI, Provincia Castellana, 34,
Lettera di Juan Gabriel Guillén, datata 16 luglio 1670, p. 282v (pp. 252r-285v). Vedi COLOMBO, Emanuele, "La
predicazione gesuitica verso i maomettani nella Spagna del Seicento: Tirso González de Santalla", in Agostino Paravicini
Bagliani e Antonio Rigon (a cura di), La comunicazione del sacro (secoli IX-XVIII), Roma, Herder, 2008, pp. 289-307.
79
ARSI, Assistentia Hispania, 91, Relatione della missione, che, nell'anno 1667, hanno fatto in Estremadura li padri
Michel de la Fuente e Gio. Gabriele Guillen della Compagnia di Gesù, scritta nella città di Zafra, à 14 di luglio del
medesimo anno dallo stesso P. Guillen, f. 48r.
80
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, così Francisco Estremera nella relazione senza titolo inviata al generale Giovanni
Paolo Oliva il 3 agosto 1681 da Saragozza, f. 71v (ff. 70r-73v). Su Estremera, non ho reperito altre notizie, se non l'anno
di professione del quarto voto, 1668. Sulle visioni dell’ordine sociale nella scrittura gesuitica missionaria, COPETE, MarieLucie, “De la escritura de la misión a la cultura política. Saberes contextualizados en el Compendio (1619) del misionero
jesuita Pedro de León”, in Charlotte de Castelnau-L’Estoile et al. (a cura di), Missions d'évangélisation et circulation des
savoirs : XVIe-XVIIIe siècle, Madrid, Casa de Velázquez, 2011.
81
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Relación de la misión que han echo los Padres Manuel Ortigas y Manuel Crespo
desde los últimos de Mayo asta los primeros de Julio de 1647, p. 26r (pp. 26r-27v). Manuel Ortigas (1609-1678) fu per
trent'anni superiore della missione della provincia aragonese e autore di numerose opere spirituali e morali ad uso dei
devoti, oltre che di letteratura ad uso dei missionari. Vedi SOMMERVOGEL, Bibliothèque, op. cit., tom. 5, coll. 1957-1961.
Su Manuel Crespo non ho reperito notizie.
82
PROSPERI, Tribunali della coscienza, op. cit., pp. 501-507.
83
ARSI, Provincia Aragonia, 27, I, Relación de la misión que han echo los Padres Manuel Ortigas y Manuel Crespo
desde los últimos de Mayo asta los primeros de Julio de 1647, p. 26r.
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Fernanda Alfieri
Salamanca che aveva accompagnato Tirso González de Santalla a visitare come missionario la
sua città nel 1682 e ne aveva raccontato l'impresa, in fondo basta anche solo raccontare "senza
scrupolo, che molti, e molti spargevano nella confessione più lagrime", aggiungeva, "seppellendo
sotto silentio non solo le persone, ma le cose"84. Questa dichiarata necessità di omettere, per
ragioni di obbedienza, introduce una distanza incolmabile tra noi, il nostro desiderio di sapere, e
quei soggetti narrati, e i paesaggi in cui essi si muovono85. Ma ci consegna la memoria di una
mentalità, ponendoci di fronte ai tratti realistici di paesaggi "interiori", specchio dell'immaginario
del mondo di chi quel mondo lo descrive. Si tratta, anche in questo caso, di un paesaggio sfumato,
perché in questa cornice discorsiva i contorni della stessa individualità dello scrivente si perdono
nella necessità di autorappresentarsi come corpo collettivo.
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