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Tiziano Ottobrini: Giovanni Filopono e l’esegesi biblica di matrice aristotelica: il De opificio mundi. Milano: Vita e Pensiero 2023 (Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi 151). 358 p. € 35.00.
ISBN: 978-88-343-4454-5.
Giovanni di Alessandria, detto “il Filopono” o “il Grammatico”, commentatore cristiano di Aristotele vissuto nel sesto secolo d. C., riveste un ruolo
del tutto particolare nella storia della tradizione commentaristica tardoantica.
Filopono, infatti, non si uniformò ai princìpi della scuola neoplatonica di
Alessandria alla quale si era formato, ma ne rinnegò i capisaldi, come emerge
in particolare dalla sua accesa polemica con Simplicio di Cilicia, col quale
condivideva la formazione alla scuola alessandrina sotto la guida di Ammonio. Filopono può dunque definirsi, come dichiarato in apertura del volume,
“un aristotelico per materia [...] e un neoplatonico per incardinamento”
(p. 23). La reazione di Filopono rispetto al contesto culturale neoplatonico
ha permesso all’esegeta di ritagliarsi una posizione del tutto originale fra i
commentatori neoplatonici di Aristotele e questa sua importante caratteristica attrae tutt’oggi l’attenzione degli studiosi.
***
Rispetto a una tradizione di studi sul Filopono commentatore di Aristotele,
ormai consolidata e in continuo sviluppo, in particolare grazie all’encomiabile lavoro di traduzione in lingua inglese dei commentari su Aristotele per
la collana “Ancient Commentators on Aristotle” diretta da Richard Sorabji,
il volume di Tiziano Ottobrini restituisce valore a un trattato che non rientra
in tale progetto e che è a lungo rimasto in secondo piano: il De opificio mundi,
la cui stesura viene collocata fra il 547 e il 560. L’opera, composta da sette
libri, è un commentario filosofico sul racconto biblico della creazione contenuto nel primo capitolo del Genesi.
Il lavoro di Ottobrini, caratterizzato da uno stile ricercato e che impegna
sovente il lettore, vuole rappresentare sia il punto di partenza sia il punto di
arrivo della traduzione italiana (di prossima pubblicazione) del De opificio
mundi: essa, infatti, si pone, rispetto al volume, come base per ogni considerazione di natura storica e concettuale ivi esposta e, al tempo stesso, vuole
costituire il risultato conclusivo di un lavoro che funge da introduzione critica al trattato filoponiano, in quanto contenente “la chiave di rilettura”, secondo quello che viene definito come “lo straordinario genio rivoluzionario
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che pervade la pagina filoponiana” e che porta a fondare una “via di aristotelismo cristiano” (p. 14). In tale rilettura critica risiede uno dei meriti maggiore del volume: il risultato è stato raggiunto attraverso l’analisi dell’influenza di Aristotele sullo scritto filoponiano a un duplice livello, ovvero dal
punto di vista concettuale e dal punto di vista dell’assimilazione della struttura stessa del pensiero aristotelico. In particolare, questo secondo percorso,
che viene sviluppato nell’intera ricerca e che costituisce tutt’oggi un terreno
inesplorato, conduce a un’acquisizione fondamentale: sulla base, in prevalenza, dell’adesione al dato fenomenico e all’argomentazione deduttiva, si
giunge ad individuare fra Filopono ed Aristotele una “sintonia di pensiero”
che, superando un legame confinato a livello della citazione testuale, perviene “in profondità alla stessa intelligenza speculativa sul reale” (p. 14).
***
Il necessario punto di partenza dello studio, costituito dall’analisi della figura
di Filopono sia dal punto di vista biografico sia dal punto di vista culturale,
è esposto nel primo capitolo e intende, da una parte, contrapporsi alla trattazione soltanto sporadica di questo autore da parte della letteratura critica
contemporanea, dall’altra, mostrare i legami del De opificio mundi con l’ambiente alessandrino. Ad emergere, attraverso un’esposizione ricca e ben documentata, è la struttura particolare del pensiero dell’esegeta e filosofo: in
opposizione alla tesi secondo la quale si dovrebbero distinguere in Filopono
due stadi (Filopono 1 e 2) la cui successione coinciderebbe con il passaggio
dalla produzione pagana a quella cristiana1,Ottobrini rileva una stretta coerenza dell’intera produzione filoponiana data dalla relazione fra la ratio filosofia greca e la Rivelazione cristiana. Rispetto a tale compresenza il De opificio
mundi viene individuato come il punto più maturo del percorso speculativo
filoponiano, nel quale “Bibbia e filosofia convergono nel conseguimento del
vero scientifico e religioso” (p. 23). Si evidenzia che, se l’impiego diretto
dell’opera aristotelica era già presente in Plotino e in Porfirio, in Filopono si
va ancora oltre tali innovazioni già di per sé meritorie: non soltanto ritroviamo il recupero delle dottrine aristoteliche, ma di Aristotele l’esegeta riproduce la forma mentis. Attraverso un’attenta analisi storica, Ottobrini getta qui
le basi per la sua tesi che, nel capitolo 4, sarà confermata attraverso un’analisi
1
Cfr. K. Verrycken: The Development of Philoponus’s Thought and Its Chronology.
In R. Sorabji (ed.): Aristotle Transformed: The Ancient Commentators and Their
Influence. London 1990 (The Ancient Commentators on Aristotle), pp. 233–274.
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testuale di passaggi specifici del De opificio mundi: Filopono rintraccia nella
fisica e nella logica gli strumenti atti a interpretare il reale e il testo biblico
viene a costituire il campo sul quale mettere alla prova le dottrine aristoteliche. In tal modo Ottobrini riesce convintamente nell’intento di far emergere
come nel trattato filoponiano aristotelismo e cristianesimo organicamente si
contemperano ponendo “la scienza e la filosofia a servizio esplicativo della
Rivelazione e quest’ultima a guida delle precedenti” (p. 26).
***
Il secondo capitolo analizza la collocazione del De opificio mundi nella produzione filoponiana. Andando oltre la classificazione delle opere proposta da
Clemens Scholten2, Ottobrini colloca il trattato, che appartiene all’insieme
degli scritti cosmogonici, in continuità con le opere che lo precedono (la
produzione esegetica) e con i trattati successivi (gli scritti teologici). Il De
opificio mundi viene così individuato come un’opera di transizione fra la fase
degli scritti esegetici, di cui riprende il metodo, connotandosi come un commento alla creazione mosaica, e gli scritti teologici, in ragione dell’oggetto di
cui si occupa (la Rivelazione biblica). Il trattato viene pertanto ad essere
“un’opera ipomnematica per forma ma già teologica per argomento” (p. 35),
in cui al testo aristotelico si sostituisce il testo del Genesi, preservandosi una
comune cornice esegetica. Ottobrini rimarca che il passaggio nella produzione filoponiana dalle opere esegetiche a quelle di carattere teologico non
indica semplicemente il passaggio ad una diversa tipologia di lavoro avvenuto in un medesimo lasso di tempo, ma piuttosto una vera e propria opposizione, intercalata da un ristretto numero di scritti di transizione, nei quali
rientra anche il De opificio mundi. Il fatto che dà origine a un tale mutamento
di interesse viene individuato nell’editto del 529 con cui Giustiniano decretò
la chiusura della scuola neoplatonica di Atene. L’opera viene ascritta a un
periodo di transizione fra i due momenti della produzione filoponiana,
quando Filopono, da filosofo, si applica ai temi biblici, in pieno accordo con
il clima politico e culturale del tempo, che si pone in netta opposizione rispetto al paganesimo neoplatonico.
***
2
Cfr. C. Scholten: Weshalb wird die Schöpfungsgeschichte zum naturwissenschaftlichen Bericht? Hexaemeronauslegung von Basilius von Cäsarea zu Johannes Philoponus. In: ThQ 177, 1997, pp. 1–15.
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Il tema della creazione del cosmo, che ha caratterizzato il pensiero greco fin
dalle origini e il cui momento di svolta è possibile individuare nel Timeo di
Platone, giungerà al punto culminante soltanto con la rivelazione giudaicocristiana, attraverso una sintesi degli opposti paradigmi platonico ed aristotelico. Se, da una parte, rileva Ottobrini, Filopono segue il suo tempo condividendo i temi di dibattito e di critica (ovvero la creazione), dall’altra, introduce un radicale elemento di novità indirizzando la propria ricerca nella direzione dello “sfruttamento aristotelico della pagina biblica” (p. 45). In tal
modo Ottobrini apre al pieno riconoscimento dell’originalità e dell’importanza dell’esegeta alessandrino. In Filopono si realizza il passaggio fondamentale dall’ordine ontogenetico proprio del demiurgo del Timeo platonico
al piano cosmogenetico guadagnato dal Genesi, e in questo risiede la novità
della creazione biblica in Filopono, prima ancora che nel passaggio dalla metafisica platonica a quella aristotelica, ovvero dalla maggiore propensione trascendentale della prima alla più accentuata attenzione al dato empirico della
seconda. In maniera convincente si mostra che, se da una parte il modello
fornito dal Timeo è prevalentemente orientato a indagare l’aspetto ousiologico della creazione, ovvero l’aspetto ascendente che muove dai fenomeni e
procede alle ragioni ontologiche degli stessi per giungere all’indagine soprasostanziale del dato fenomenico (il piano protologico), dall’altra l’applicazione al Genesi di categorie aristoteliche indica l’interesse in direzione della
linea che procede dai fenomeni in giù, volta a cogliere la ratio del cosmo
fenomenico. Ottobrini rileva proprio in questo passaggio uno dei contributi
più significativi di Filopono: spostando l’attenzione sull’aspetto fisiologico,
pur non trascurando il dato ontico, l’esegeta elimina ogni tensione verso il
livello protologico. Nel De opificio mundi avviene così il passaggio “dall’ontologia dei princìpi [...] ai princìpi dell’ontologia” e “dalla protologia della creazione all’epistemologia della stessa” (pp. 51–52).
***
Una simile prospettiva permetterà a Filopono di fruire della filosofia eternalista aristotelica, nella quale è evidentemente assente qualsiasi rimando alla
dottrina della creazione. A sua volta ciò, secondo Ottobrini, è reso possibile
dai riferimenti presenti nel trattato filoponiano: rivolgendosi infatti ad altri
cristiani (soprattutto, in senso polemico, agli esegeti della scuola di Antiochia, guidati da Teodoro di Mopsuestia), il De opificio mundi non intende mostrare che il mondo è creato (come avviene per le opere pregresse rivolte
contro Proclo e i neoplatonici), quanto piuttosto rendere ragione del modo
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in cui il mondo funziona una volta creato. Ed è su questo terreno che si
costituisce la possibilità di innestare nell’esplicazione del Genesi la filosofia
di Aristotele.
Ottobrini mostra come a Filopono sia da ascrivere il merito di aver apportato
un mutamento radicale nell’ermeneutica cristiana, da secoli orientata verso
la lettura neoplatonica della Rivelazione. La realtà sensibile acquista un proprio fondamentale interesse non soltanto in quanto costituisce ciò attraverso
cui si giunge alla realtà in senso pieno di cui il dato sensibile è espressione,
ma soprattutto in quanto ha in sé stessa una propria compiutezza ontologica,
e tuttavia tale da rimandare ad una causa che la trascende. Il De opificio mundi
non segue pertanto il percorso protologico platonico, ma fa proprio l’approccio fisiologico della filosofia aristotelica, che trova compimento sul
piano teologico nel motore immobile, ma che assume come suo punto di
partenza l’indagine fisica, che del trattato costituisce appunto il fondamento.
Tale rilievo coglie pienamente uno dei punti centrali della filosofia aristotelica: la fisica non rivendica in Aristotele un ruolo del tutto slegato dalla metafisica né si può dire che fisica e metafisica siano due scienze del tutto indipendenti l’una dall’altra. La fisica si pone piuttosto come premessa necessaria
della fondatezza stessa della metafisica, che costituisce la sua ragione ultima:
se la fisica ha il suo completamento nella metafisica, quest’ultima trova nella
scienza della natura il proprio inizio e, insieme, la propria ragion d’essere. È
proprio questo legame fra le due scienze, e quindi fra i due piani di realtà,
che permette a Filopono di inserire la struttura della filosofia aristotelica nel
proprio trattato.
La ricerca di Ottobrini considera altresì l’attenzione rivolta da Filopono alle
versioni greche di volta in volta utilizzate nella sua esegesi. L’esegeta alessandrino non si serve soltanto della traduzione canonica dei Settanta, ma utilizza
altresì le traduzioni veterotestamentarie dall’ebraico in greco di Aquila, Simmaco e Teodozione. Emerge che il profondo rigore filologico di Filopono,
legato al suo appellativo di “Grammatico”, implicava la consapevolezza del
fatto che la derivazione del testo greco da un originale ebraico poteva dare
origine a rilevanti problemi interpretativi. Non potendo pertanto attingere
all’originale testo semitico, Filopono si serviva del maggior numero di versioni greche in modo da ricavare una lettura il più possibile completa.
***
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Il terzo capitolo contiene un’attenta analisi della struttura del De opificio mundi.
L’opera non coincide con un’esegesi che attinge alla lettera in maniera rapsodica, ma appare come un commento sistematico e prolungato che fa della
lettera la sua base necessaria e costante. Essa si smarca dal modello degli
esameroni della tradizione letteraria cristiana, procedendo piuttosto nella direzione della produzione commentaristica aristotelica: ciò mostra che lo studio della struttura del trattato filoponiano assume importanza non come “appendice erudita”, ma come “via di accesso a ogni successiva considerazione
nell’affrontare partitamente i temi di volta in volta esposti” (p. 70).
Ottobrini individua tre caratteristiche strutturali per i sette libri dell’opera.
La prima viene individuata nella sinossi che in molti punti Filopono affianca
alle traduzioni greche del testo ebraico di Aquila, Simmaco e Teodozione.
Attraverso una scrupolosa analisi dei passaggi più significativi, Ottobrini mostra che questa risulta essere in Filopono una tecnica non estemporanea, ma
ben ponderata. Nel servirsi di altre traduzioni oltre a quella dei Settanta, che
si conserva sempre come principale, Filopono intende mettere in atto una
rigorosa analisi filologica al fine di vagliare l’attendibilità delle lezioni orientandosi il più possibile verso l’originale semitico. In tal modo l’esegeta va ben
oltre i canoni degli esameroni della tradizione, che non avevano una simile
attenzione all’elemento letterale, e che anzi neppure potevano tollerarlo, sviluppandosi prevalentemente in un contesto orale che non necessitava di avvalorare l’esattezza filologica. In maniera convincente Ottobrini mostra
come a fornire l’impostazione a Filopono non siano i commentari al Genesi
né il modello origeniano, ma piuttosto i commentari pagani: egli applica così
al Genesi il modello esegetico che aveva fino a quel momento utilizzato per
Aristotele. Ottobrini rintraccia coerentemente nel Filopono commentatore
di Aristotele il terreno su cui ha preso forma il forte interesse filologico e la
sensibilità per la parola che caratterizzano l’esegeta alessandrino.
La seconda caratteristica del De opificio mundi individuata da Ottobrini coincide col ruolo sempre centrale del testo genesiaco, che precede l’analisi contenuta nelle questioni che ne derivano: è questo il caso dei lemmi scritturistici. Il De opificio mundi presenta una rigorosa impostazione lemmatica perché
è pensato e strutturato per essere innanzitutto uno scritto ipomnematico. A
dettare l’articolazione dell’opera è il verso biblico: le citazioni del Genesi
compaiono non soltanto all’inizio, ma anche nel corso del libro, e i versi
biblici, di cui sono costituiti i lemmi, non si confondono con la parte relativa
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al commento: da questo, infatti, si distinguono e si ergono al livello di conduttori della disputa che da essi prende avvio.
Come terza e ultima caratteristica strutturale viene indicata la densa trama
dei titoli (137 sezioni per 136 titoli) che precedono ogni questione introducendone la trattazione e riassumendone i contenuti in maniera precisa, non
senza rilievi critici. L’opera conta numerose epigrafi, a cui viene appunto riconosciuto il nome di tituli, esplicitando la funzione da esse rivestita, consistente nel riassumere il contenuto della questione da queste introdotta. Tale
ruolo si configura attraverso tre tipi principali: un modello diegetico, che
espone il tema; un modello interrogativo, che pone le domande la cui risposta sarà data dalla questione successiva; infine un modello scoliasto, introdotto per lo più da uno . Ottobrini mostra con esempi chiari come tale
struttura sia rintracciabile nell’opera e ne individua l’origine in autori come
Teodoro di Mopsuestia.
Il capitolo si chiude con la trattazione del tipo di letteralismo che Filopono
persegue: Ottobrini mostra, attraverso un’accurata analisi testuale, che si
tratta di un letteralismo “radicale e critico” (p. 99): radicale per l’attenzione
massima alla dimensione grammaticale, e critico in quanto si costituisce di
categorie speculative che portano al superamento di ogni riduzionismo parafrastico. Filopono vuole accedere alla costituzione grammaticale della parola,
ed è in questa ragione che Ottobrini individua la giustificazione del ricorso
da parte dell’esegeta ad una pluralità di traduzioni e al modello ipomnematico.
***
Il quarto capitolo è una sezione fondamentale, in quanto mostra come l’applicazione all’esegesi del Genesi degli schemi aristotelici da parte di Filopono
costituisca il punto di arrivo di un percorso ben preciso. Ottobrini pone l’accento sulla distanza che nella propria produzione ipomnematica Filopono
prende da Aristotele in relazione a determinati punti della sua dottrina. L’esegeta, lungi dall’assumere una posizione acritica nei confronti dello Stagirita,
fa scaturire dai punti di divergenza rispetto al maestro “scintille filosofiche”
(p. 105), da cui emerge un aristotelismo rivisitato che, per sua natura, è in
grado di adattarsi alla pagina biblica, in modo da coglierne il senso più profondo. Alla base di ciò sta un rovesciamento della visione del cosmo aristotelica, che ha nel rifiuto del quinto elemento da parte di Filopono il fattore
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che porta l’esegeta alessandrino ad elaborare una cosmologia fortemente unitaria, in cui il cielo e la terra non sono più divisi in senso sostanziale, bensì
condividono, nelle loro distinte composizioni, gli stessi elementi basilari.
Il tema dell’originalità di Filopono in ordine alla sua interpretazione di Aristotele è esposto da Ottobrini lungo tre direttrici: i presupposti della specificità dell’ermeneutica filoponiana, il suo carattere sostanziale e, da ultimo, il
valore isagogico dell’aristotelismo innovativo di Filopono. In particolare relativamente al terzo punto si sottolinea la peculiarità del De opificio mundi: esso
non costituisce infatti un commento alle opere aristoteliche, ma alla pagina
genesiaca. La ricerca intorno al trattato conserva a tutt’oggi ampi margini di
sviluppo: l’opera non ha ricevuto sufficienti attenzioni e quelle che le sono
state dedicate non hanno avuto il pregio di metterla in continuità col pregresso periodo di produzione aristotelica dell’esegeta alessandrino preferendo isolarla da questo contesto. Si rileva pertanto la necessità di integrare
il De opificio mundi con la produzione filoponiana precedente, al punto da definire l’opera come “il commento di ascendenza aristotelica alla creazione
del Genesi” che costituisce il “naturale approdo” dei commentari precedenti
(p. 111). Acutamente Ottobrini rintraccia nelle caratteristiche della produzione filoponiana ai trattati aristotelici il terreno sul quale Filopono ha potuto
costruire il De opificio mundi: l’aristotelismo di Filopono non si traduce in una
resa incontrastata del pensiero di Aristotele ed è del tutto alieno da qualsiasi
atteggiamento reverenziale nei confronti del maestro che ne impedisca critiche e obiezioni. L’aristotelismo di Filopono non risparmia di contraddire
Aristotele ed è quindi un aristotelismo riveduto e corretto, utilizzato nella
ricerca del vero: il pensiero di Aristotele non è pertanto inteso come un sapere da preservare immutato, ma come lo strumento con cui indagare la testimonianza genesiaca. Si individuano così due momenti nel percorso filoponiano: un primo momento in cui l’esegeta assume un atteggiamento critico nei confronti delle dottrine aristoteliche, e un secondo momento in cui
tale aristotelismo viene elevato al livello di strumento ermeneutico che trascende la pagina aristotelica e che viene applicato alla pagina genesiaca, ciò a
motivo del suo rigore e in quanto è riconosciuto come in possesso delle categorie fisico-speculative necessarie.
***
Ottobrini innesca a questo punto sulle solide basi fin qui delineate l’indagine
specifica del De opificio mundi, volta a individuare i punti in cui Filopono
ricorre al pensiero aristotelico, sostituendo al paradigma interpretativo del
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Timeo platonico i princìpi stabiliti da Aristotele nella sua fisica e i modi argomentativi propri dei suoi scritti di logica. La prospettiva neoplatonica, nella
quale evidentemente non mancano punti di contatto con le istanze aristoteliche e che pure costituisce il contesto nel quale Filopono è inserito, fanno
emergere con forza l’originalità dell’esegeta: fatta salva la tendenza invalsa a
superare ogni contrapposizione netta fra (neo)platonismo e aristotelismo,
Ottobrini sottolinea che gli aspetti di genuina pertinenza aristotelica emergenti nel trattato filoponiano da una parte sorprendono, dall’altra non si discostano dalle attese: sorprendono in virtù della novità consistente nel tentativo di inserire un aristotelismo cristiano nel panorama tardoantico, e sono
in accordo con le attese in virtù della profonda conoscenza sviluppata da
Filopono del pensiero dello Stagirita, tale da permettergli di seguire gli
schemi del ragionamento aristotelico anche in assenza di una citazione esplicita.
Di particolare rilievo è l’analisi condotta da Ottobrini volta a dimostrare l’applicazione nel trattato filoponiano del metodo logico aristotelico. Degno di
nota è, per esempio, il capitolo 9 del libro 1 dell’opera, dedicato alla sostanza
angelica, sezione nella quale, nonostante non siano riscontrabili citazioni dirette di Aristotele, fatta eccezione per la citazione di p. 108, 22, lo schema
aristotelico emerge dalla struttura stessa dell’argomentazione: Filopono, infatti, risulta far proprio il metodo inferenziale ed elenctico aristotelico ed il
rigore argomentativo che doveva derivargli dalla pratica di commentatore
degli Analitici di Aristotele.
***
Il quinto e conclusivo capitolo si focalizza su un altro tema centrale, ovvero
il rapporto che intercorre fra il De opificio mundi e il Timeo platonico. Ottobrini
ha mostrato già nelle sezioni precedenti come la sostituzione del modello
platonico con quello aristotelico costituisce un tratto distintivo in Filopono
e ne restituisce tutta l’originalità. Nella parte finale del volume l’attenzione si
concentra su un confronto fra le due opere, stante il ruolo fondamentale del
Timeo nel panorama della produzione esameronale in ambito cristiano. Attraverso un’acuta analisi dei passi, si mostra come l’impostazione scientifica
applicata da Filopono non conceda spazio alla speculazione ontologica di
ascendenza platonica: nel trattato filoponiano la ripresa di Platone si limita
ad alcune sporadiche citazioni, che assumono spesso un ruolo periferico,
mentre Aristotele permane come fonte che fornisce sia la struttura stessa del
commentario sia argomenti utili all’esegeta alessandrino. Particolarmente
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emblematico è il caso di De opificio mundi 4,13, dove, trattando della possibilità
dell’esistenza della luce senza quella anteriore dei corpi luminosi, Filopono
menziona Aristotele e Platone3: pur negando le tesi di entrambi, l’esegeta
ricorre ad elementi aristotelici nel formulare la sua soluzione, facendo riferimento alla dottrina delle potenze naturali e alla loro compossibilità.
Interessante risulta, infine, il cenno a De opificio mundi 5,9, dedicato al tema
dell’eternità del mondo: la posizione filoponiana, evidentemente vicina a
quella platonica in virtù della comune convergenza vero il modello creazionistico, esclude in tal caso il ricorso a posizioni aristoteliche che non potevano concedere la difesa della tesi della corruzioni celeste: unicamente in casi
come questo Filopono segue la tradizione esameronale, sostituendo il ricorso ad Aristotele con la narrazione demiurgica del Timeo.
***
Nella famosa locuzione ‘salvare i fenomeni’ si individua il tema che appare
fare da sfondo all’intera opera: l’intento è quello di dimostrare che anche in
tal caso la linea seguita da Filopono appare riconducibile a quella aristotelica.
Relativamente a questo aspetto, l’originalità di Filopono viene ricondotta al
“tentativo di coniugare il profitto della ricerca aristotelica con il dettato biblico, operando un ulteriore inusitato e audace incontro fra la scienza dello
Stagirita e il dettato mosaico” (p. 256). L’originalità di Filopono emerge ancora in riferimento alle fonti del De opificio mundi, con particolare riguardo a
quelle scientifico-astronomiche (Claudio Tolemeo; Teofilo di Antiochia;
Origene; Basilio Magno).
Oltre al confronto con Simplicio, che rileva elementi di continuità rispetto
alla trattazione del concetto di
nel trattato filoponiano, di particolare
rilievo appare il confronto fra il De opificio mundi e Proclo. In questa sezione
emerge ancora in maniera marcata l’originalità di Filopono rispetto alla tradizione precedente, capace di consolidarsi fin dai tempi di Antioco di Ascalona (ante 67 a. C.): il ricorso programmatico alla prassi esegetica si profilava
come il tentativo di rispondere alle istanze scettiche che traversavano allora
molta parte dell’Accademia. La risposta a questa insidia che minava alla base
la possibilità stessa della filosofia platonica viene individuata nel recupero
delle tesi originali di Platone, allo scopo di mostrare la sua vera posizione
3
Cfr. De opificio mundi 4,13, p. 416, 10–17 [cfr. Johannes Philoponos: De opificio mundi.
Über die Erschaffung der Welt. Übersetzt und eingeleitet von C. Scholten. Vol. 2.
Freiburg et al. 1997 (Fontes Christiani 23)].
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attraverso un ritorno alla lettera delle opere platoniche. Tale percorso caratterizzò l’ambito neoplatonico arrivando alla sua espressione massima nel periodo immediatamente precedente la produzione filoponiana. L’originalità di
Filopono è individuata come strutturale ma non irrelata, in quanto si pone
altresì in continuità col contesto precedente: come aspetto particolarmente
emblematico viene indicata la rispondenza lessicale concettuale cum variatione
che insieme lega e distingue il De opificio mundi rispetto alla produzione
ipomnematica di Proclo.
***
Il volume, che resta impegnativo per stile e contenuto, si pone in continuità
con gli sviluppi più recenti che restituiscono l’originalità dell’esegeta e assume una posizione di rilievo per la centralità che riconosce a un trattato
poco studiato che merita pienamente l’attenzione degli studiosi. Il percorso
individuato da questo lavoro, che rintraccia nel De opificio mundi un momento
allo stesso tempo di svolta e di convergenza delle due principali fasi di sviluppo della produzione filoponiana, traccia una direzione importante per le
future ricerche su Filopono. L’esegeta alessandrino continua infatti a rivendicare il suo ruolo centrale nel panorama della tradizione commentaristica
tardoantica per la sua originalità, costruita senza prescindere completamente
da un’aderenza al precedente contesto della produzione ipomnematica.
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Rita Salis, Università degli Studi di Padova
Storia della filosofia antica
Professore associato
rita.salis@unipd.it
www.plekos.de
Empfohlene Zitierweise
Rita Salis: Rezension zu: Tiziano Ottobrini: Giovanni Filopono e l’esegesi biblica di matrice
aristotelica: il De opificio mundi. Milano: Vita e Pensiero 2023 (Temi metafisici e problemi del
pensiero antico. Studi e testi 151). In: Plekos 25, 2023, S. 681–691 (URL: https://www.plekos.uni-muenchen.de/2023/r-ottobrini.pdf).
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