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Riccardo Bonvicini NOME IN CODICE TORA-TORA Il Golpe Borghese e i colpi di stato durante la Strategia della Tensione, dal Piano Solo alla Rosa dei venti Indice L’analisi storica sviluppata in queste pagine inizia all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, proseguendo per balzi temporali fino alla metà degli anni ‘60. Dal Piano Solo fino alla metà degli anni ‘70 le vicende vengono analizzate più nel dettaglio, in una ragnatela di eventi e di nomi attraverso cui orientarsi non è affatto semplice. Lo scopo dello scrivente sarà di conseguenza rendere questo viaggio nella memoria il più schematico possibile, seguendo un ordinamento temporale che alla prova dei fatti risulta essere la metodologia di analisi più soddisfacente. Introduzione 7 Capitolo I: una democrazia limitata, nata male e debole 12 1.1 - Premessa 12 1.2 - Il peccato originale, o meglio, due 12 1.3 - Il pericolo rosso: gli accordi segreti della NATO 16 1.4 - Gladio 20 1.5 - Un sistema politico fragile 23 Capitolo II: i primi anni ‘60, dal governo Tambroni al Piano Solo 25 2.1 - L’esperimento tambroniano 25 2.2 - Federico Umberto D’Amato 26 2.3 - Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale 27 2.4 - Guerriglia in Alto Adige 31 2.5 - Il caso Mattei 34 2.6 - Il Piano Solo 35 Capitolo III: la strategia della tensione 42 3.1 - Introduzione 42 3.2 - Convegno sulla guerra rivoluzionaria 42 3.3 - L’Aginter Press 46 3.4 - Dalla teoria alla pratica 48 3.5 - Guido Giannettini 51 2 3.6 - Golpe in Grecia: perché non uno anche da noi 52 Capitolo IV: chi è Junio Valerio Borghese 55 4.1 - Giovinezza e primi anni di servizio 55 4.2 - Seconda Guerra Mondiale 55 4.3 - La X MAS 56 4.4 - Post guerra 57 4.5 - Il ritorno in scena 58 Capitolo V: prima del golpe, preparazioni e minacce incombenti 60 5.1 - Il ’68 61 5.2 - Il Fronte Nazionale 62 5.3 - I finanziamenti di Borghese e dell’estrema destra 64 5.4 - Il calendario del terrore 66 Capitolo VI: la tensione sale vertiginosamente 68 6.1 - La cellula terroristica del nordest 68 6.2 - Bombe alla fiera campionaria 70 6.3 - Estate 1969: la minaccia incombente di una svolta radicale 71 6.4 - Disintegrare il sistema 74 6.5 - Nuove bombe e alleanze 74 6.6 - L'autunno caldo 76 6.7 - Il signor P e oscuri presagi 77 6.8 - 12.12.1969 79 Capitolo VII: 1970, si fa sul serio 85 7.1 - Il caso Calzolari 85 7.2 - Il golpe di centro e il MAR di Fumagalli 86 7.3 – I preparativi 87 7.4 - I campi paramilitari 88 7.5 - Il quadro politico e militare della vigilia 90 3 7.6 - Gli americani 91 Capitolo VIII: il patto con la mafia 95 8.1 - I primi abbocchi 95 8.2 - L’attentato alla questura di Reggio Calabria 96 8.3 - La rivolta di Reggio 96 8.4 - La strage di Gioia Tauro e i giovani anarchici della Baracca 97 8.5 - Cosa Nostra 98 8.6 - Il caso de Mauro 101 Capitolo IX: nome in codice «Tora-Tora» 102 9.1 - Il piano 102 9.2 - L’intervista a “La Stampa” 103 9.3 - Gli ultimi preparativi 104 9.4 - La notte della Madonna 105 9.5 - L’immediato post golpe 111 9.6 - Massoneria e golpe Borghese 113 9.7 - I perché del fallimento e il senso profondo del golpe 115 Capitolo X: la scoperta del golpe 120 10.1 - Le primissime reazioni 120 10.2 - Il prosieguo delle indagini 123 10.3 - Opposti estremismi 125 10.4 - “Indagini” per non scoprire niente 127 10.5 - Un clima in tutti i sensi nero 129 10.6 - L’indagine si arena: tutti scarcerati 130 10.7 - Virata a destra 132 Capitolo XI: il ritorno dello stragismo nel 1972 134 11.1 - Premessa 134 11.2 - Il mese di marzo 134 4 11.3 - Le elezioni politiche e la morte di un commissario 135 11.4 - Peteano, attentato e non strage 137 11.5 - Il memoriale Pisetta 139 11.6 - Il discorso di Forlani e la situazione americana 140 11.7 - Qualcosa di grosso era davvero successo? 141 11.8 - L’arsenale di Camerino 141 Capitolo XII: la Rosa dei venti 144 12.1 - Il quadro di inizio anno 144 12.2 - Labruna da Orlandini 148 12.3 - Dal tentato attentato di Nico Azzi al rogo di Primavalle 166 12.4 - Strani viaggi diplomatici 144 12.5 - La strage della questura di Milano 155 12.6 - La Rosa dei venti 166 12.7 - Fine anno, i soliti misteri irrisolti 166 Capitolo XIII: la svolta del ‘74 13.1 - Allarmi generali e prime confessioni 13.2 - Dal referendum sul divorzio a nuovi sviluppi, senza sosta 13.3 - SID parallelo 13.4 - Piazza della Loggia 13.5 - Lavori di intelligence e guerra nel SID 13.6 - Italicus 13.7 - La svolta Giannettini 13.8 - La morte di Borghese Capitolo XIV: dai primi arresti all’unificazione delle tre istruttorie 14.1 - L’operazione di Andreotti 14.2 - La posizione di Vito Miceli 14.3 - Nuovi arresti e affossamento 5 14.4 – Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più 14.5 – Singolari coincidenze Capitolo XV: Piombo rovente 15.1 – Processi e scandali 15.2 – Il terrorismo colpisce al cuore 15.3 – Il 1977 Capitolo XVI: Le tre sentenze, l’appendice Salvini e il memoriale 16.1 - 1978 16.2 - 1984 16.3 - 1986 16.4 - Il lavoro di Guido Salvini 16.5 – Il memoriale Borghese Conclusioni Allegati Elenco delle sigle Indice dei nomi Bibliografia e sitografia 6 Introduzione «Nell’Italia repubblicana i colpi di stato si organizzano non per farli ma per brandirli come minacciosa arma di ricatto»1 (Gianni Flamini). Fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una struttura parallela ai servizi di sicurezza. Tutto questo avveniva non tanto perché chi agiva in tal modo fosse fascista quanto perché si intendeva agire in funzione essenzialmente anticomunista e con la volontà di consolidare l’attuale sistema su basi politiche di chiusura verso possibili aperture a sinistra. Di qui quelle collusioni tra forze di destra e apparati dello stato che sole spiegano la condotta tenuta da certi servizi in occasione di alcuni dei più gravi fatti di sangue di matrice nera verificatisi in Italia (Sentenza di condanna emessa il 25 luglio 1987 dalla Corte d'Assise di Venezia). «Perché Capitano secondo lei fallì il golpe Borghese? Forse perché hanno voluto farlo fallire» (intervista di Sergio Zavoli ad Antonio Labruna) 2. «Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell'aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all'amore: Italia, Italia, viva l’Italia!». Con queste parole il principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, avrebbe dovuto annunciare al popolo italiano dagli studi RAI l’avvenuto golpe della 1 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, Newton Compton, Roma 2007, p. 124. 2 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-4461-9fae- 988fbd1eba72.html, min. 19. 7 notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Il piano, dal nome in codice Tora-Tora, a ricordare l’attacco giapponese su Pearl Harbour nel 1941, prevedeva l’abbattimento della democrazia in Italia e l’instaurazione di un regime autoritario su modello spagnolo o greco. Quando il golpe era già entrato nella fase operativa, all’una e quarantanove per la precisione, arrivò improvvisamente il contrordine: Borghese ricevette una chiamata da un interlocutore rimasto per anni ignoto e comunicò l’annullamento ai congiurati che furono costretti a ritirarsi non poco irati. La notizia del tentato golpe verrà resa nota solo a metà marzo dell’anno seguente dal quotidiano “Paese sera” che nell’edizione del 17 marzo titolò: «Complotto neofascista»3. Le indagini portarono all’arresto di ben poche persone, le quali verranno rilasciate neanche un anno dopo per mancanza di prove e l’inchiesta sarà archiviata. Verrà riaperta nel settembre del 1974 dopo la consegna all’autorità giudiziaria di Roma del cosiddetto “malloppone”, una serie di documenti redatti dal SID sui tentativi eversivi avvenuti sia nel 1970 che nei quattro anni seguenti. Poco più di un anno dopo il giudice istruttore di Roma Filippo Fiore rinviò a giudizio 78 persone per il golpe Borghese e per l’organizzazione nota come “Rosa dei venti”. Il 14 luglio 1978, dopo poco più di un anno dall’avvio del processo, la Corte d’Assise di Roma condannò 48 persone con pene lievi, affermando l’inesistenza di un piano di insurrezione armata. Nel 1984 la sentenza della Corte di Cassazione assolse clamorosamente tutti gli imputati, perfino i rei confessi, perché «Il fatto non sussiste», definendo semplicemente il golpe come un «conciliabolo di quattro o cinque sessantenni». Nel frattempo Borghese era fuggito in Spagna dove aveva vissuto sotto la protezione del regime franchista fino al suo decesso avvenuto il 26 agosto 1974 a Cadice. La causa ufficiale fu dichiarata pancreatite acuta emorragica ma qualcuno parlò di avvelenamento4. Fatto sta che il Principe Nero portò con sé nella tomba la maggior parte dei segreti relativi a quanto avvenuto quattro anni prima. Gli anni passati dalla vicenda hanno favorito la fuoriuscita di notizie e nuove rivelazioni da diversi protagonisti, ormai in età avanzata e non più timorosi di eventuali ripercussioni. Quello che per anni è stato un progetto attribuito al solo Borghese aveva molti altri protagonisti, nascosti dietro la figura del Principe Nero: era anche il golpe «dei terroristi di Avanguardia Nazionale e di altre bande consorelle, di comandanti e di reparti militari, perfino di Cosa Nostra»5 e della ‘ndrangheta, senza dimenticare l’onnipresente P2. Sulla base dei documenti desecretati negli anni ‘90 si è potuto inoltre apprendere con certezza di un coinvolgimento di soggetti statunitensi nella vicenda, in particolar modo della CIA e di figure vicine al presidente Nixon. L’iter processuale del ‘74, di cui parlerà nel dettaglio più avanti, permetterà poi ai tentativi 3 Allegato 1 4 Corrado Incerti, Borghese: indigestione o veleno?, “L’Europeo”, n° 1/2, 1975. 5 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere: spie, dossier e spari nel buio, Newton Compton, Roma 2010, p. 159. 8 eversivi sviluppatisi in seguito, ovvero Rosa dei venti e golpe Sogno, di sparire dal radar e di finire nel tranquillo archivio della non memoria come eventi fumosi degli anni ‘70. Detto questo va fatto notare come la vicenda del fallito golpe Borghese sia da valutare necessariamente nel campo del lungo periodo per poter essere compresa appieno. Nel 1964 il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, con il benestare del presidente della Repubblica Antonio Segni, aveva organizzato il cosiddetto “Piano Solo”, un colpo di stato progettato ma non attuato, usato come arma di ricatto politica per evitare un governo troppo sbilanciato a sinistra. Tra il 1966 e il 1967 negli anni culminanti del terrorismo altoatesino perdono la vita 9 persone in tre diverse stragi6. Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, causando 17 morti e 88 feriti. Un anno dopo avviene la prima strage sui treni, quella di Gioia Tauro, con il bilancio tremendo di sei morti e una sessantina di feriti. Dopo il tentato golpe di Borghese, nel 1972 muoiono tre carabinieri nell’attentato di Peteano mentre l’anno successivo nella strage alla questura di Milano perdono la vita quattro persone e oltre cinquanta rimangono ferite. Nel 1974 scorrerà ancora il sangue con le stragi di Piazza della Loggia a Brescia (otto morti e un centinaio di feriti) e del treno Italicus sull’Appennino bolognese (dodici morti e quarantotto feriti). Infine nel 1980 l’allucinante eccidio della stazione di Bologna in cui perdono la vita ottantacinque persone. Nel 1984 avvenne anche la strage del treno Rapido 904, un macabro déjà-vu di quanto avvenuto dieci anni prima per l’Italicus, strage realizzata da esponenti di Cosa Nostra. In quindici anni si sono succeduti 5 presunti colpi di stato7 e 11 stragi per un bilancio di 158 morti e oltre 700 feriti in quel periodo storico che è stato definito “strategia della tensione”. Numeri impressionanti, resi ancor più alti dalle tante vittime innocenti negli scontri in strada e da altri attentati terroristici minori. Ma a che scopo? destabilizzare per stabilizzare. Per anni diverse regie occulte hanno lavorato su piani paralleli e spesso anche in contrasto tra loro con l’obiettivo però comune di stabilizzare l’Italia nel Patto Atlantico e lasciare fuori il PCI. La storia ci ha insegnato che la tattica, nonostante tutto, alla lunga non ha funzionato in un certo senso, lasciando però cicatrici indelebili sul volto del Paese. Il golpe Borghese, un momento storico importante all’interno di questo periodo, in una classica operazione di banalizzazione, era stato definito all’epoca come l’avventura di «quattro straccioni», una «rimpatriata goliardica» o ancora una 6 San Martino di Casies, Malga Sasso e Cima Vallona. 7 Piano Solo, golpe Borghese, operazione del ‘72, Rosa dei venti e golpe bianco. Tutti i progetti eversivi in sede giudiziaria sono stati ridotti a ben poca cosa e all’invenzione di qualche giudice di sinistra. 9 «modesta e quasi grottesca esercitazione di attempati goliardi»8. Curioso però che, come si vedrà, le massime autorità dello stato si siano tanto spese per coprire dei vecchi fascisti: la Corte d’Assise d'Appello nel 1984 lo definirà «un conciliabolo di quattro o cinque sessantenni». Si vedrà che la verità non è proprio questa in quanto nel progetto era coinvolto un singolare coacervo: gruppi neofascisti, criminalità organizzata, servizi segreti e massoneria. Altro che qualche vecchio nostalgico fascista: il moto insurrezionale di Borghese fu serio e penalmente rilevante. Infatti secondo l’articolo 284 del codice penale (Insurrezione armata contro i poteri dello stato) non occorre che il golpe riesca, anzi è quasi implicito che venga abortito. Inoltre si vedrà come Junio Valerio Borghese faccia la figura del burattino: l’assunto fondante di questa tesi è infatti che l’ex comandante della X MAS sia stato usato per organizzare un golpe che fin dal principio però doveva fallire: la notte dell’Immacolata viene realizzata una perfetta intentona, parola spagnola che indica un colpo di stato usato a mo’ di avvertimento. In questo modo Borghese e le frange più estremiste dei gruppi neofascisti che sognavano il colpo di stato militare saranno messe di fatto fuori gioco dalla lotta all’interno di quel gruppo composito di forze che Gianni Flamini ha chiamato “Partito del golpe”, quelle regie occulte di cui poco prima si è fatto menzione che tiravano i fili ai vari estremisti. A supporto di ciò si segnala infatti che dopo il golpe Borghese i successivi tentativi eversivi non entreranno più nella fase operativa e la soluzione «alla greca» sarà abbandonata, a favore di modalità più raffinate. Come per esempio il cosiddetto «Piano di rinascita democratica» di Licio Gelli. In chiusura di questa introduzione va segnalato che molti degli argomenti trattati per anni sono stati creduti da buona parte della popolazione, e in parte anche oggi, pura invenzione. I fatti narrati non sono del complottismo da quattro soldi ma la dolorosa e amara storia dell’Italia dal secondo dopoguerra in poi: le tre principali fonti utilizzate per questa ricostruzione ovvero il professor Aldo Giannuli, il perito Giuseppe De Lutiis e il giornalista Gianni Flamini hanno una credibilità che non può essere messa in discussione9. Grazie a una stampa morbida se non addirittura compiacente e a delle sentenze di tribunale allucinanti la verità è stata prima alterata e poi rimodulata secondo una versione buona per il popolino. Sugli appena citati tribunali ci sarebbe molto da dire: è palese che molte magistrature hanno contribuito a nascondere la 8 Citazione di Edgardo Sogno cit. in Gianni Flamini, L’Italia dei Colpi di Stato. 9 Aldo Giannuli (Bari, 18 giugno 1952), storico, è uno dei più accreditati studiosi sulla strategia della tensione e ha collaborato come consulente per le procure nelle indagini sulle stragi di Brescia, Milano e Bologna. Giuseppe De Lutiis (Pescara, 3 dicembre 1941-Roma, 13 maggio 2017), sociologo, è stato uno dei più autorevoli studiosi di servizi segreti, eversione e poteri occulti. Dal 1994 al 2001 è stato il coordinatore dei consulenti della Commissione parlamentare stragi. Gianni Flamini (Bologna, 8 agosto 1934), giornalista, è ritenuto uno dei più acuti studiosi dei fenomeni terroristici italiani degli anni ‘70 e ‘80. I suoi scritti sono stati spesso utilizzati dalla Commissione stragi e sono ritenuti di fondamentale supporto per qualsiasi ricerca sul tema. 10 verità mentre altre sono state ostacolate con depistaggi e con il ricorso a quel mezzo tremendo che è il segreto di stato. In tale modo la verità giudiziaria su questo periodo è distante anni luce da quella storica. «I 15 anni di terrorismo dispiegato in Italia dimostrano che di complottismo si è peccato, e molto. Ma in difetto. L’ipotesi complottista, i tentativi di dietrologia sono stati sotto alla realtà del complotto che ha permeato il terrorismo»10, dirà il giudice Giovanni Tamburino. Il golpe Borghese non fa eccezione, considerato che ancora oggi spesso lo si definisce «presunto», grazie a un iter processuale che rappresenta una delle macchie più nere della storia della magistratura italiana. 10 Cfr. Giovanni Tamburino nell’introduzione a Gianni Flamini, Il partito del golpe, Bovolenta Editore, Ferrara 1982, vol. terzo, tomo primo, p. XII, 1983. 11 Capitolo primo: una democrazia limitata, nata male e debole 1.1 Premessa Il nostro viaggio ha il proprio climax nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 e ha come punto di partenza il 1945. È un bel salto all’indietro ma necessario per capire perché si arriverà poi a quel momento, il quale preso a sé non si può comprendere appieno. Se il golpe Borghese è la tessera di un mosaico che è la strategia della tensione dobbiamo chiederci infatti chi lo ha realizzato e perché. La fase terminale del secondo conflitto mondiale vede il completo trionfo degli Alleati che risalgono la penisola italiana e costringono, con il contributo dei partigiani, alla resa l’esercito nazista e quello repubblichino. In questo periodo cruento avvengono quattro episodi carichi di significato per gli anni a venire. 1. L’esercito alleato sbarca in Sicilia nel luglio del 1943 grazie al determinante aiuto del super boss mafioso italo americano Lucky Luciano11; 2. L’ex capo del SIM (Servizio Informazioni Militari), il generale Mario Roatta, dà vita al servizio segreto conosciuto come Anello o Noto Servizi; 3. Tra il 7 il 18 febbraio del 1945 a Porzus, al confine tra Italia e Slovenia, le brigate comuniste del GAP uccidono 17 partigiani bianchi delle Brigate Osoppo in circostanze mai del tutto chiarite; 4. James Jesus Angleton, capo del controspionaggio americano in Italia, il 30 aprile del 1945 salva da fucilazione certa il comandante della X MAS Junio Valerio Borghese. Poche righe e quattro fatti esemplari per spiegare il perché di molti fatti che succederanno in Italia negli anni seguenti: accordi sottobanco tra potere ufficiale e criminalità organizzata, servizi segreti americani che reclutano i fascisti in funzione anticomunista, spari nel buio, servizi segreti occulti. È con tutte queste meravigliose premesse che il 2 giugno 1946 nasce la Repubblica Italiana in seguito alla vittoria del referendum. Sia ben chiaro che la prospettiva di restare sotto i Savoia non fosse proprio la più rosea, anzi: il recentemente scomparso Vittorio Emanuele, membro della P2 tanto per non sbagliare, con la sua vita tutt’altro che esemplare12 lo ha confermato in pieno. 11 Per approfondire si veda Andrea Purgatori (a cura di), Atlantide, "1943: La Mafia e gli americani. Storia di uno sbarco", canale YouTube di La7, 02.03.2023, https://www.youtube.com/watch?v=yzCa21fy3sc&t=11s 12 Enrico Franceschini, Vittorio Emanuele di Savoia, il “re mancato” che non ha mai smesso di aspirare al trono, repubblica.it, https://www.repubblica.it/esteri/2024/02/03/news/vittorio_emanuele_savoia_morto_re_italia- 422050035/, 03.02.2024. 12 1.2 Il peccato originale, o meglio due L’Italia nasce già con un problema di fondo, un Peccato Originale per citare la Bibbia. Al termine della Seconda Guerra Mondiale infatti nel nostro Paese non si verifica un processo ai gerarchi fascisti, come invece avvenuto a Norimberga per quelli nazisti, per una serie di cause ed elementi decisamente complessi che qui non possono essere trattati in modo approfondito perché non al centro dell’analisi. Ciò che conta in ogni caso è che la mancata epurazione di tali personalità consentì allo stato profondo dell’Italia di restare praticamente inalterato nonostante un ventennio di dittatura e un conflitto devastante. Masse di funzionari e ufficiali prima monarchici e poi fascisti si cambiarono semplicemente d’abito per travestirsi da repubblicani. È il caso del “Servizio Informazioni Speciali”, una particolare sezione all’interno della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza nata nel 1946, per opera del ministro dell’Interno Giuseppe Romita. Alla sua direzione viene posto Gesualdo Barletta, personaggio importante dell’OVRA (Opera Volontaria di Repressione Antifascista) dov’era stato raccomandato da Edvige Mussolini13. Il successivo ministro dell’Interno Mario Scelba cambierà il nome della sezione in Ufficio Affari Riservati (UAARR) due anni più tardi. L’UAARR, in parole semplici il servizio segreto del Viminale, nasce quindi in continuità con la polizia politica del fascismo, conservando le strutture e il personale addetto. Sarà uno dei principali motivi per cui personaggi come Federico Umberto D’Amato faranno carriera. Il successivo direttore della struttura dal 1956 è Domenico De Nozza, questore di Trieste e anch’egli ex membro dell’OVRA. Altre operazioni di riciclaggio del personale riguardano gli ex agenti della PAI (Polizia dell’Africa Italiana) e vari reduci di Salò, reintegrati nella polizia a scapito di reduci partigiani. Il regista principale di tale manovra ha un nome, Giuseppe Pièche. Generale, ex capo dei carabinieri e del reparto controspionaggio del SIM, inviato sia presso gli Ustascia sia presso il regime di Franco, era stato anche spia dei gerarchi per conto di Mussolini14. Un personaggio del genere a fine guerra invece di essere in carcere è libero di girare e di ricostituire gruppi neofascisti15 come si vedrà più avanti. Grazie a questa situazione, personaggi e soprattutto strutture parallele andranno in letargo per qualche anno per poi rispuntare tranquillamente qualche anno dopo: una prova concreta che il cosiddetto deep state praticamente sempre sopravvive ai cambi di regime, per usare una brutta 13 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri (strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980)”, radioradicale.it, 26.05.2021. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini- ed-altri-strage-alla-stazione-di-bologna-del-2?i=4281105, min. 28. 14 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 46. 15 Nello specifico Macri (movimento anticomunista per la ricostruzione italiana) e Fronte Antibolscevico. Pièche formalmente era a capo dell'ufficio dei servizi antincendi del ministero degli interni, nella realtà era un centro riservato che svolgeva attività informativa e provocazione politica. 13 metafora è come un’incrostazione che non si leva dalle tubature se non usando un potente anticalcare. Terminate le ostilità il referendum del 2 giugno 1946 aveva sancito la nascita della repubblica a scapito della monarchia. Venti giorni dopo entrava in vigore l’Amnistia Togliatti, un provvedimento proposto dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, segretario del PCI, che estingueva la maggior parte delle pene commesse durante la Seconda Guerra Mondiale come per esempio il collaborazionismo e il concorso in omicidio. Togliatti lo giustificò come un atto necessario per un «rapido avviamento del Paese a condizioni di pace politica e sociale», un modo per salvare la società italiana completamente spaccata con un colpo di spugna. L’Amnistia inoltre avrebbe avuto una motivazione molto più spiccia: Togliatti fece un accordo poco prima del referendum, secondo alcuni con Almirante16, per altri con Pino Romualdi17: un voto per la repubblica in cambio della chiusura di un occhio su quanto fatto nel Ventennio. Secondo Almirante i voti dei fascisti furono circa 200000. Quel che è certo in ogni caso è che l’Amnistia permise agli ex fascisti e ai repubblichini di uscirne puliti o al massimo con pene lievi, non impedendo loro di avere in seguito una carriera rilevante. Per fare un esempio Marcello Guida, direttore della colonia di confino politico di Ventotene nel periodo 1940-1943, in seguito divenne questore di Milano e Torino. Curiosamente sarà lui a dirigere le indagini di Piazza Fontana e puntare verso la pista anarchica. O ancora, un personaggio del calibro di Rodolfo Graziani verrà condannato a 19 anni ma resterà in carcere appena quattro mesi. La mancata Norimberga italiana inoltre causerà un problema di memoria negli italiani, un popolo a cui piace molto dimenticare, il quale negli anni a seguire riterrà quasi solo i tedeschi responsabili dei crimini durante la guerra: tutto quello fatto dalle milizie fasciste e repubblichine sarà dimenticato da ampie frange della popolazione. Non a caso è noto il famoso detto «Italiani brava gente». Mica tanto. Un personaggio che esce indenne dalla Seconda Guerra Mondiale è Adalberto Titta, ex ufficiale dell’aeronautica della RSI e che ora ritroviamo come capo operativo di quella strana creatura che è l’Anello o meglio il Noto Servizio. Parliamo di un servizio segreto clandestino scoperto casualmente dal professor Aldo Giannuli a fine anni ‘90 in una velina del SID datata 4 aprile 1972 e ritrovata nell’archivio dimenticato del Ministero dell’Interno sulla circonvallazione Appia a Roma: «Questa è la storia di un servizio informazioni che opera in Italia dalla fine della guerra e che è stato creato per 16 Aldo Giannuli, “ll MSI: perché non è stato messo fuorilegge?, canale YouTube di Aldo Giannuli, 21.10.2021https://www.youtube.com/watch?v=6_43wV0hT4E&ab_channel=AldoGiannuli, minuto 12.40. 17 Gerardo Picardo, “2 Giugno. Referendum Monarchia/Repubblica: Pino Romualdi e la neutralità dei fascisti”, barbadillo.it, 03.06.2016, https://www.barbadillo.it/56685-2-giugno-referendum-monarchiarepubblica-pino-romualdi-e-la-neutralita-dei- fascisti 14 volontà dell’ex-capo del SIM generale Mario Roatta»18. In estrema sintesi era formato da militari, imprenditori, ex repubblichini e giornalisti, non era quindi un’organizzazione esclusivamente militare ma vi erano anche dei civili. Infatti uno dei principali finanziatori era il costruttore milanese Sigfrido Battaini, il quale aveva messo a disposizione i suoi uffici in via Statuto a Milano come sede operativa dell’organizzazione nel nord Italia. Lo scopo primario del Noto Servizio era svolgere quei lavori sporchi che sarebbero stati compromettenti per un servizio segreto ufficiale mentre la sua caratteristica fondamentale era quella di essere un’organizzazione dormiente, da attivare all’occasione19. Una delle operazioni più clamorose messe a punto dall’Anello sarà la liberazione dell’ex tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, dall’ospedale del Celio il 15 agosto del 1977. Nell’orbita dell’organizzazione troviamo: il direttore della rivista “Candido” Giorgio Pisanò, l’investigatore privato Tom Ponzi20, il terrorista nero Gianni Nardi, il deputato della DC Massimo De Carolis, il frate Enrico Zucca21, il commissario Walter Beneforti22, il giornalista Giorgio Zicari, il conduttore della RAI Febo Conti e il terrorista bianco Carlo Fumagalli. Parecchi di questi li ritroveremo in queste pagine, protagonisti a vario titolo delle vicende. Chi era però il referente politico dell’organizzazione? Licio Gelli in un’intervista al settimanale "Oggi" dirà che era, rullo di tamburi, Giulio Andreotti23: ovviamente non è una sorpresa, considerando che il Noto Servizio operava direttamente sotto il comando del presidente del consiglio e che Andreotti lo è stato per ben sette volte durante la sua infinita carriera politica. a Il secondo peccato originale dell’Italia è quello di nascere sul sangue: il 1° maggio del 1947 il bandito siciliano Salvatore Giuliano e la sua banda sparano in località Portella della Ginestra (Palermo) su una folla di contadini riuniti per la festa dei lavoratori. Il bilancio sarà di 11 morti e 26 feriti. Una vera e propria strage, compiuta da un bandito locale e commissionata dai grandi latifondisti siciliani, dal movimento indipendentista locale e della mafia (sempre che non siano una sola entità), preoccupati dopo che nelle elezioni regionali di pochi mesi prima il Blocco del Popolo, coalizione di sinistra, era stato il più votato. Siamo di fronte a un massacro che «segna con un marchio a fuoco l’origine della Repubblica»24, compiuta da un uomo, Salvatore Giuliano, che si 18 Allegato n° 2. 19 Per approfondire il tema si consiglia Stefania Limiti, L’Anello della Repubblica. La scoperta di un nuovo servizio segreto. Dal fascismo alle Brigate Rosse, Chiarelettere, Milano 2014 e Aldo Giannuli, Il Noto Servizio: le spie di Giulio Andreotti, Castelvecchi, Roma 2013. 20 Nome completo Tommaso Ponzi 21 22 Si veda p. per un maggiore approfondimento. 23 Gelli: «Berlusconi? Un debole. E Fini è un uomo senza carattere», “Corriere della Sera”, 15.02.2011, https://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_15/gelli-intervista-settimanale-oggi_68662fe0-391f-11e0-8e8c- 58f8c06c30d0.shtml. 24 Giovanni Tamburino, Dietro tutte le trame. Gianfranco Alliata e le origini della strategia della tensione, Donzelli, Roma 2022, p. XIII. 15 considerava quasi un moderno Robin Hood. L’anno dopo si sarebbero tenute le prime elezioni politiche della storia repubblicana e una vittoria delle sinistre avrebbe aperto prospettive inimmaginabili: serviva una strage per far capire che l’Italia avrebbe avuto una ben precisa direzione. Figura chiave della vicenda è il barone Giovanni Alliata di Montereale, uno dei principali mandanti della strage: figlio di un diplomatico e dell’ereditiera di un ricchissimo possidente italo-brasiliano, Francesco Matarazzo. Rivendicava una marea di titoli cavallereschi, tra cui principe del Sacro Romano Impero, e partecipò alla seconda guerra mondiale come ufficiale dell’esercito dove scontò un periodo di prigionia in Egitto. Massone di primissimo livello in quanto Gran Maestro della Serenissima Loggia degli ALAM25, era assiduo frequentatore di Ellery Stone26, ammiraglio americano a capo della Commissione Alleata di Controllo in Italia, e in stretti legami con le più importanti famiglie mafiose siciliane come i Brancaccio. Una figura quella di Alliata che accompagnerà le vicende torbide italiane per svariati anni tanto da essere definito «principe della zona grigia»27. Risulterà documentato che dopo la strage Giuliano chiese ad Alliata la grossa somma di 50 milioni di lire: non un ricatto ma voleva riscuotere quanto evidentemente gli era stato promesso, oltre a un rifugio sicuro nelle immense proprietà del barone in Sud America. Non avrà né uno né l’altro. A Portella della Ginestra si inaugura un modus operandi che negli anni del terrorismo sarà un cliché fisso: a sparare o a gettare le bombe saranno terroristi prima di destra, poi di sinistra e anche criminali comuni; a favorirli con omissioni e depistaggi ma anche ad armarli ci penseranno strutture di potere italiane e americane. Una volta usati, tali burattini potevano essere gettati nel cestino: così infatti capiterà a Salvatore Giuliano, trovato morto il 5 luglio 1950 davanti alla casa di un avvocato a Castelvetrano: ammazzato dal suo braccio destro Gaspare Pisciotta, si dirà invece che venne uccise in un conflitto a fuoco dai carabinieri. Miglior sorte non avrà Pisciotta, il quale sarà avvelenato con la stricnina nel carcere dell’Ucciardone a Palermo il 9 febbraio 1954 da mano tutt’ora ignota. Diceva di aver ucciso il suo capo per ordine del ministro dell’Interno Mario Scelba, il quale secondo lui era stato insieme ad Alliata, al deputato della DC Bernardo Mattarella (padre dell’attuale presidente della Repubblica) e all’esponente monarchico Leone Marchesano a ordinare la strage del 1947. Stessa sorte avranno poco altri elementi di spicco dell’ex banda Giuliano: nessuno deve parlare, l’indagine può risalire agli esecutori ma non andare oltre. Al quadro va aggiunto un particolare fondamentale: cinquanta giorni prima della strage Giuliano aveva incontrato il cronista americano Michael Stern, consegnandogli una lettera indirizzata nientemeno che al presidente 25 Antichi liberi accettati muratori, era una loggia fondata dallo stesso Alliata e che subito era stata riconosciuta dalle più importanti congreghe americane. 26 Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano non ti farebbe mai leggere, Newton Compton, Roma 2010, p. 21. 27 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 116. 16 americano Harry Truman. Scrive Giuliano: «La cosa di cui abbiamo essenzialmente bisogno è il vostro grandioso e potente appoggio morale. In Sicilia si è già costituito il fronte antibolscevico. Non potevamo restare indifferenti di fronte al dilagare della canea rossa»28. Stern, personaggio a dir poco curioso29, si era fatto accreditare come giornalista ma è un ex capitano dell’OSS al servizio di James Jesus Angleton. Come può un brigante semianalfabeta scrivere una lettera con questi argomenti a Truman che non dovrebbe neanche sapere chi è? Grazie alla desecretazione di alcuni documenti americani, alla scoperta dell’archivio dimenticato dell’Ufficio Affari Riservati e a ricostruzione storiche30 oggi possiamo affermare che: 1. Giuliano era stato in collegamento con la X MAS di Borghese; 2. Era stato addestrato nella RSI; 3. Aveva a disposizione armi e divise americane; 4. Per Portella oltre alla sua banda aveva a disposizione un gruppo di supporto di neofascisti; 5. Giuliano era legato a elementi di estrema destra del Veneto. Tutta una serie di elementi tutt’altro che secondari che ampliano nettamente la prospettiva di indagine: da un fatto locale ci si porta su un piano nazionale. 1.3 Il pericolo rosso: gli accordi segreti della NATO È doveroso partire da un dato di fatto: l’Italia ha perso la Seconda Guerra Mondiale. Ciò ha comportato che il nostro paese sia diventato una colonia d’oltremare degli Stati Uniti, uno stato a sovranità limitata come talvolta si sente dire. Non sarà una bella formula, è un segreto di Pulcinella che deve sempre essere tenuto a mente. Partendo da questa considerazione si ricorda come la principale paura degli americani, una volta vinta la guerra, fosse quella dell’avanzata rossa. È un timore che oltreoceano è quasi atavico, con tendenze praticamente isteriche e che sfocerà nel Maccartismo31. L’Italia, in una posizione geografica delicatissima e fondamentale, non poteva assolutamente finire nell’orbita di Mosca: i comunisti del PCI, il partito filosovietico più grande in Europa, dovevano essere fermati con in ogni mezzo. A tale scopo appena finita la guerra iniziarono a circolare le voci su un possibile golpe rosso, al quale venne dato il nome di «Piano K» che sarebbe scattato nell’autunno del 1947. È una bufala totale ma inaugura un modo di pensare che farà storia, basato su un colpo di stato che c’è ma non c’è, come se il golpe e lo spettro del golpe fossero la stessa cosa: «A 28 Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano…, p. 8. 29 Michele Gasperoni, “Addio a Mike Stern, reporter di guerra e giornalista della Dolce Vita”, ilgiornale.it, 02.09.2009, https://www.ilgiornale.it/news/addio-mike-stern-reporter-guerra-e-giornalista-dolce-vita.html 30 Salvatore Vasile, Turiddu Giuliano: il bandito che sapeva troppo, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005. 31 Atteggiamento politico-amministrativo in voga nei primi anni ‘50 in America che deve il suo nome al senatore Joseph McCarthy, caratterizzato da una lotta senza limite a qualsiasi persona o gruppi ritenuti di simpatie comuniste. 17 quel piano non ho mai creduto, mi comportai come effettivamente ci fosse32», dirà il ministro dell’Interno Mario Scelba. È in questo periodo infatti che vengono varati i primi piani di emergenza in caso di insurrezione comunista e anche qualcosa di più, a scatenarli come appena detto un pericolo comunista più fantomatico che reale. Non a caso si ha dal ‘46 (referendum) al ‘48 (prime elezioni politiche) una proliferazione di organizzazioni clandestine più o meno neofasciste, dalla forte valenza anticomunista: tutte sono nutrite dalla stessa madre ovvero «i servizi segreti americani, in particolare l’OSS di Angleton»33. Nello stesso periodo in cui sarebbe scattato il presunto golpe rosso Ettore Musco, colonnello dell’esercito e fondatore della misteriosa formazione nota come Armata Italiana della Libertà (AIL) depositava presso l’ambasciata americana a Roma l’elenco dei «membri principali del comitato centrale»34 della stessa associazione, composto da 35 nomi, di cui una decina sono generali. Già tempo prima le notizie da oltreoceano parlavano di una cinquantina di generali anticomunisti e pronti a tutto, i quali «si stanno organizzando per un colpo di stato»35. Voci e movimenti significativi in quanto nella primavera successiva in Italia si sarebbero svolte le prime elezioni libere dal fascismo. Allargando lo sguardo ritroviamo il generale Pièche, il quale aveva formato in questo periodo un’organizzazione nota come Fronte Bolscevico, attorno a cui ruotava l’AIL. Si trattava di un gruppo formato da monarchici e fascisti che Prevedeva l’impiego di agenti provocatori con tessere false del partito comunista e socialista. Se le elezioni fossero state favorevole alla sinistra gli aderenti a questi gruppi avrebbero avuto l’incarico di compiere attentati contro le sedi della DC e dei partiti minori. I loro attentati sarebbero serviti a giustificare il successivo arresto dei dirigenti dei partiti di sinistra.36 Nonostante la paura della “canea rossa”, alle elezioni del 18 e 19 aprile del ‘48 la DC conquista la maggioranza assoluta dei seggi e quella relativa dei voti, garantendosi un dominio politico che durerà quasi cinquanta anni. Fu invece netta la sconfitta delle forze di sinistra, riunite nel Fronte Democratico Popolare, che arrivarono appena oltre il 30% dei voti. Il 10 febbraio, un mese prima, un documento del Consiglio di sicurezza americano controfirmato dal presidente Harry Truman affermava come «gli Stati Uniti dovrebbero fare pieno uso della loro forza politica, economica, e se necessario militare, per prevenire la caduta dell’Italia sotto la dominazione dell’Unione Sovietica 32 Giovanni Gozzini, Hanno sparato a Togliatti, Il Saggiatore, Milano 1998, p. 128. 33 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 99. 34 Roberto Faenza e Marco Fini, Gli Americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976, p. 265. Cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere: associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1996 a oggi, Editori Riuniti, Roma 1996, p. 25. 35 Ibidem. 36 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 47. 18 attraverso un attacco dall’esterno oppure attraverso movimenti comunisti interni»37. In pratica in caso di vittoria alle elezioni delle forze comuniste l’Italia o sarebbe stata invasa dagli americani o sarebbe stato rovesciato il governo di sinistra: è la cosiddetta “Dottrina Truman” applicata al caso italiano. Nell’aprile del 1949 vede la luce la NATO (North Atlantic Treaty Organization), organizzazione che si pone come un’alleanza militare di difesa pro Stati Uniti in chiave anticomunista. I fatti della storia italiana e di altri paesi hanno invece dimostrato che «agiva come struttura tesa a conservare lo status quo politico nei paesi aderenti38», tanto che «si possono ritrovare tracce dei servizi segreti Nato in quasi tutte le svolte della politica italiana»39. L’adesione dell’Italia al Patto Atlantico viene ratificata dal parlamento il 1° agosto 1949: molte delle clausole che prevedeva sono rimaste per anni ignote. È solo a questo punto, ovvero dopo le elezioni del 1948 che collocarono stabilmente la penisola nell’orbita americana e la firma degli accordi NATO, che vengono riattivati i servizi segreti in Italia, nominalmente in sonno dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Il 1° settembre del 1949 veniva infatti attivato il SIFAR, ovvero il Servizio Informazioni Forze Armate, erede del SIM (Servizio Informazioni Militari), su gentile concessione dei servizi d’oltreoceano: i servizi italiani rinascono in totale asservimento a quelli americani in quanto il loro scopo primario è «raccogliere informazioni utili a Washington e controllare la fedeltà alla NATO delle forze armate40». C’è un ulteriore dettaglio da mettere in luce: il nuovo servizio segreto è uguale al SIM, in quanto nasce con una semplice circolare ministeriale, alla ricostituzione non segue perciò una nuova regolamentazione legislativa41. Primo capo del SIFAR è il generale Giovanni Carlo Re. Procedendo nel tempo, nell’agosto del 1951 si tiene a Parigi la prima riunione del CPC (Clandestine Planning Committee), una commissione direttamente dipendente dal presidente americano Dwight Eisenhower e di cui fanno parte esponenti dei servizi segreti inglesi, francesi e statunitensi ma non italiani. Si tratta di una struttura che pur avendo nominalmente compiti di pianificazioni nei fatti era invece un organismo operativo, dal carattere fluido. Il 19 dicembre del 1952 Giovanni De Lorenzo, generale e futuro capo del SIFAR, sottoscrive all’insaputa del governo italiano il cosiddetto piano “Demagnetize”, tradotto letteralmente come “smagnetizzare”. Si tratta di un accordo tra i servizi segreti che prevede «una serie di operazioni politiche, militari e 37 Relazione sulle vicende connesse all’operazione Gladio, Atti Commissione Stragi, 1992. 38 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 40. 39 Cfr. Giorgio Rochat nell’introduzione a Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, Bovolenta Editore, Ferrara 1981, p. VIII. 40 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 20. 41 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 38. 19 psicologiche mirate a ridurre la presenza del partito comunista in Italia [...]. La limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario: esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo [...]. Del piano Demagnetize i governi italiano e francese non devono essere a conoscenza»42. Accordi di una valenza a dir poco alta, validi quindi non solo in Italia, e che da noi verranno resi operativi due anni più tardi. Avverrà con l’arrivo della nuova ambasciatrice americana Clare Boothe Luce, la quale favorirà inoltre la promozione di De Lorenzo a capo del SIFAR su spinta del dipartimento di stato: un modo per controllare il presidente della repubblica Giovanni Gronchi, definito «portabandiera d’un populismo cattolico spregiudicato»43 e considerato troppo aperto a sinistra negli ambienti americani. È solo dopo la firma di Demagnetize che l’Italia avanza la richiesta di aderire al CPC, attraverso un enigmatico «Servizio Clandestino Italiano»44, di cui tuttora non sappiamo molto. Pare evidente però che è già dal 1952 quindi che i in Italia esistono strutture miste di militari e civili, dei gruppi non solo segreti ma clandestini e paralleli in funzione anticomunista. L’anno dopo infatti assistiamo alla nascita di un’altra struttura simile: l’ex ambasciatore in Birmania Edgardo Sogno viene richiamato in patria dal presidente del consiglio Mario Scelba45, d'accordo col ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani, e messo a capo della sezione italiana dell’associazione Pace e Libertà, una struttura formata da civili già presente in Francia in funzione anticomunista. Tra i suoi dirigenti vi erano singolari personalità come i giornalisti/provocatori/ricattatori Lando Dell’Amico e Luigi Cavallo mentre riceveva un aiuto economico dalla Fiat, dalla Pirelli, dalla Confindustria, dal NATO Defense College e da Enrico Mattei46. Verrà sciolta nel 1957, non prima che lo stesso Sogno un anno prima si lamentasse per lo scarso sostegno finanziario dagli amici americani47. Ma chi è veramente Edgardo Sogno? Nato a Torino nel 1915 da una nobile famiglia sabauda, monarchico, durante la Resistenza guidò brigata partigiana bianca nota come “Franchi”. Si trattò di un’organizzazione decisamente atipica, definita «un'unità spionistica al servizio degli inglesi»48. Premiato dagli americani a fine del conflitto con la Bronze Star Medal e con la medaglia d’oro al valore militare dall’Italia, si dedicò poi per una decina d’anni alla carriera diplomatica: dopo aver diretto a Londra il "Planning and Coordinating Group" della NATO, nell'estate del 1953 Sogno segue a Parigi i corsi del NATO Defense College per la guerra psicologica. Demagnetize e Pace e Libertà testimoniano anche come la situazione post bellica non 42 Roberto Faenza, Il Malaffare, Mondadori, Milano 1978, p. 313. 43 Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento, Superpocket, Milano 1999, p. 392. 44 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 53. 45 Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 39. 46 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 32. 47 Pino Buongiorno, Se vince il Pci, “Panorama”, 09.12.1990, p. 61. 48 Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 37. 20 era solo italiana ma anche francese: la futura strategia della tensione è un fenomeno infatti in primis europeo, pur con certe peculiari caratteristiche nel nostro Paese. Inoltre, il memorandum americano precedente di poche settimane le elezioni del 1948 di cui si è già fatto menzione viene confermato nel rapporto del 1961 dal nome in codice «NSC 2014/1-Secret»49. Redatto dal consiglio nazionale di sicurezza americano, di nuovo ribadisce che il partito comunista non può legalmente governare e che deve essere arginato con ogni mezzo. Facendo un notevole balzo in avanti il 19 marzo 1970 il generale William Westmoreland, capo di stato maggiore dell’Esercito americano, firma un documento top secret noto come Field Manual 30-3150, il quale comprende il cosiddetto supplemento «B». È un manuale di capitale importanza per comprendere gli anni delle stragi in quanto nel B sono contenuti i consigli per il servizio segreto dell’esercito per «destabilizzare ai fini di stabilizzare» un paese alleato in caso di un’avanzata elettorale dei comunisti. Per fare ciò gli agenti avrebbero dovuto svolgere operazioni speciali e «penetrare all’interno del movimento in rivolta con il compito di formare speciali gruppi di azione tra gli elementi più radicali»51. In sostanza fingere di fare la rivoluzione utilizzando i gruppi terroristici per rinforzare il potere costituito, ovvero la tattica che permetterà alla DC di restare al potere dal secondo dopoguerra a Tangentopoli. Coincidenza vuole che una copia del manuale di Westmoreland verrà ritrovata nella valigetta che porterà con sé Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, al momento del suo arresto a Fiumicino il 3 luglio 198152. Il Field Manual è autentico così come la firma dal generale mentre invece è sempre stato disconosciuto dal governo americano il supplemento B: Washington ha sempre dichiarato che era un falso fatto circolare dalla propaganda sovietica, una smentita scontata considerando le ripercussioni negative che avrebbe causato sancirne l’autenticità. D’altro canto però si notano parecchie assonanze con il precedentemente nominato Piano Demagnetize, sulla cui autenticità invece non vi è alcun dubbio e che comunque rende in parte non necessario il supplemento B in quanto già lo prevedeva nella pratica. 1.4 Gladio È datato 8 ottobre 1951 un appunto nel quale il generale e capo del SIFAR Umberto Broccoli scrive al capo di stato maggiore della Difesa Efisio Marras. In questo nota Broccoli cerca di convincere Marras a creare un’organizzazione mista formata da militari e civili, «adibita alle informazioni, al sabotaggio, alla propaganda e alla 49 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 111. 50 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 59. 51 Ibidem. 52 Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del giudice istruttore dottor Guido Salvini nei confronti di Rognoni Giancarlo e altri, 1998, p. 350. Nota: da ora in poi la fonte verrà citata come «S.O. Salvini, 1998». 21 resistenza53». Il generale scrive che sia Gran Bretagna sia Stati Uniti darebbero il loro supporto alla realizzazione. La storia ci dirà che daremo l’assenso ai secondi. Tre anni dopo compare un documento americano nel quale si parla di «sviluppare la resistenza clandestina e facilitare operazioni coperte e di guerriglia e di assicurare la reperibilità di quelle forze in caso di guerre, comprendendo [...] la previsione di reti Stay behind e struttura per la fuga e l’esfiltrazione54». Si tratta della prima testimonianza scritta nota delle reti clandestine europee in funzione anticomunista, poi famose come Stay Behind, in Italia chiamata organizzazione Gladio. Di cosa si tratta? Si parla di una rete segreta ma formalmente legale di militari e civili predisposti in caso di un’invasione sovietica, la medesima di cui aveva fatto menzione Broccoli nel ‘51. Non è un caso solo italiano ma coinvolge altre nazioni europee come Belgio e Francia. Nel nostro Paese però c’era già un precursore: l’organizzazione «O», a sua volta derivata dalla brigata partigiana bianca «Osoppo», la quale era in contatto con l’Organizzazione Franchi di Edgardo Sogno per contrastare le brigate comuniste jugoslave nel secondo conflitto mondiale. Smobilitata ufficialmente a fine guerra, in realtà rimane attiva tanto che nel 1946 comprendeva 2130 effettivi e due anni dopo era più che raddoppiata55. Cambiato nome in «Volontari Difesa Confini Italiani VII», si trasforma progressivamente in un organismo militare segreto, con propri reparti militari. Il 6 aprile 1950 diventava organizzazione «O»56, costituita da 256 ufficiali, 496 sottufficiali e 5728 uomini: è di fatto una brigata dell’esercito come forza militare. Resterà attiva per 6 anni, con compiti praticamente informativi in opposizione a possibili infiltrazioni slave. Alla fine del 1956 cambierà di nuovo nome e trasformata nella «Stella Alpina», la quale deve essere considerata ormai parte dell’organizzazione Gladio. I suoi compiti in tempo di pace sono il controllo e la neutralizzazione dell’attività slavo-comunista, in caso di insurrezione interna la antiguerriglia e l’antisabotaggio57. L’esistenza di Gladio, che va ricordato è un’operazione e non un’organizzazione, da anni paventata da storici e giornalisti, verrà rivelata dal premier Giulio Andreotti il 24 ottobre del 1990, costretto dalla valanga di interpellanze parlamentari dopo fatti ancora oggi non chiariti come la strage di Ustica e dall’inchiesta veneziana dei giudici Felice Casson e Carlo Mastelloni: «Sì, c’è una Nato segreta», dirà un Andreotti 53 Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, Laterza, 1993 Bari, p. 288 e seg. 54 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 8. 55 Ivi, p. 17. 56 Ibidem. 57 Appunto n. H/57/O del 26.3.58 citato in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 20. 22 «stranamente compiaciuto»58. Il leader della DC, nel suo discorso alla Camera, afferma in sintesi che: 1. La struttura esiste nel quadro NATO ed è ancora attiva; 2. Era stata creata in caso di occupazione da parte di forze nemiche come rete di salvaguardia; 3. Vi appartengono anche neofascisti; 4. Era armata ma poi col tempo si è deciso di togliere le armi; 5. Nel nuovo clima di distensione post caduta del muro di Berlino è possibile la sua soppressione. Dichiarazioni palesemente banalizzanti che ancora oggi lasciano dubbi: è stato un succoso piatto dato in pasto all’opinione pubblica per mantenere nascosto il vero volto della struttura clandestina NATO di cui Gladio sarebbe solo una parte, una delle Stay Behind attiva in Italia ma non l’unica come negli ultimi trenta anni si è voluto far passare. Su Gladio stessa inoltre la versione ufficiale parla di 622 persone reclutate, i cosiddetti gladiatori, negli anni di attività dell’organizzazione. Un numero ridicolo se si considera che: 1) solamente la precedente nominata «O», sua progenitrice, contava 6000 effettivi, 2) Gladio ufficialmente è stata attiva per 34 anni, significherebbe 18 persone reclutate all’anno, 3) infine come Gladio aveva potuto avere così poche reclute se il suo scopo dichiarato era aiutare l’intera Italia in caso di invasione? Similmente si può dire per la vicenda dei cosiddetti Nasco, ovvero i nascondigli per le armi dell’organizzazione: il numero dichiarato ufficialmente è di 139, peccato però che due di questi, scoperti casualmente, abbiamo numerazione 203 (Aurisina) e 677 (Villa Santina). Molto strano, considerato che la numerazione di tutti gli altri era invece sequenziale59. La base operativa di Gladio era sulla costa ovest della Sardegna a Torre Poglina, vicino Alghero, ed è nota come il Centro Addestramento Guastatori. La sua costruzione avviene nel 196360, non prima che il terreno su cui viene edificata subisca un curioso iter. Non sarà infatti direttamente l’esercito ad acquistarlo ma una società privata di nome “Torre Marina” i cui tre soci sono però Ettore Musco, capo del SIFAR, Antonio Lanfaloni, capo del SIOS61-esercito, e Felice Santini, dirigente dell’ufficio amministrativo del SIFAR62. La vicenda Gladio è rilevante in questa trattazione poiché, secondo l’opinione autorevole di Giuseppe De Lutiis, spiega perché i gruppi eversivi 58 Giorgio Frasca Polara, «La struttura occulta esiste ancora», “l’Unità”, 25.10.1990. 59 Ugo Dinello, La via delle armi, Laterza, Bari 2022, p. 39. 60 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 140. 61 Servizio informazioni operative e situazione. Era il servizio informativo all’interno dell’esercito, chiamato a definire il potenziale militare di un determinato paese. 62 Paolo Ojetti, Il SIFAR comprava terreni in Sardegna, “L’Europeo”, 28.05.1976. 23 degli anni settanta avevano tante caratteristiche comuni: i membri di questi erano stati addestrati nello stesso posto, da medesimi uomini, con gli stessi fini63. Sono stati da più fonti ritenuti dei gladiatori per esempio Delfo Zorzi e Gianfranco Bertoli, terroristi neofascisti veneti che segneranno la cronaca successiva con stragi nelle quali verrà spesso usato un esplosivo, il T4, disponibile solo negli ambienti militari NATO. I gladiatori venivano infatti addestrati all’uso di esplosivi al plastico di ogni tipo, tra cui la famigerata gelignite che verrà usata a Piazza Fontana. A questo punto viene quasi logico chiedersi se tra i civili addestrati negli anni ‘60 ci sarà chi prenderà parte al golpe Borghese o ad altri tentativi eversivi. Domanda senza risposta alla storia di un servizio segreto che con il denaro pubblico ha addestrato per anni migliaia di persone alla sovversione delle istituzioni. 1.5 Un sistema politico fragile «La strategia della tensione in Italia non avrebbe avuto lo stesso svolgimento, o, forse non si sarebbe verificata affatto, se il sistema politico avesse avuto caratteristiche diverse64». Tutti i fattori nominati in precedenza hanno favorito in Italia una forma di governo debole che prestava il fianco all’intervento sia di potenze straniere sia di ingerenze interne non regolari. D’altro canto la ricostruzione del Paese dopo la guerra a livello economico procedeva a un ritmo nettamente inferiore rispetto alle altre nazioni europee come la Germania, che pur avendo pagato un prezzo salatissimo in termini di vite e di distruzione, rispetto all’Italia avevo uno sviluppo industriale ben più avanzato. In Italia, per la già nominata mancata epurazioni di elementi fascisti, era stata possibile la fondazione il 26 dicembre 1946 del Movimento Sociale Italiano per opera di Pino Romualdi, Arturo Michelini e Giorgio Almirante. Un partito apertamente neofascista, nato grazie ai contatti dei suoi fondatori «con ambienti dei servizi segreti americani, con ambienti ecclesiastici, con settori massonici, con gruppi monarchici, con rappresentanti dei servizi del futuro Stato di Israele65». Un quadro ben poco edificante. Escludendo le elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946 che già comunque avevano mostrato l’egemonia del partito cattolico e di due forti partiti a sinistra, dal 1948 per quasi mezzo secolo la politica nostrana sarà dominata da otto partiti: 1. Democrazia Cristiana (DC), 2. Partito Comunista Italiano (PCI), 3. Partito Socialista Italiano (PSI), 4. Movimento Sociale Italiano (MSI), 5. Partito Nazionale Monarchico (PNM), 6. Partito Liberale Italiano (PLI), 7. Partito Repubblicano Italiano (PRI), 8. Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI). La quasi impossibilità che un partito 63 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 141. 64 Aldo Giannuli, La strategia della tensione, Ponte alle Grazie, Milano 2018, p. 56. 65 Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini, Il Mulino, 2006 Bologna, p. 252. 24 raggiungesse da solo la maggioranza assoluta causò la necessità di dar vita a varie coalizioni di governo, caratterizzate da un’ampia autonomia dei ministri: un fattore che «costituirà uno dei principali varchi alle ingerenze militari e di polizia66». Il sistema politico di fatto era a tre: un centro che governava, una sinistra antisistema filo sovietica e una destra reazionaria. Era una formula che tutto sommato andava bene ai due principali protagonisti: la DC aveva nel PCI la miglior garanzia del suo monopolio di potere, e viceversa, in quanto il PCI aveva nella DC il garante della sua esistenza. partito comunista escluso, tutti gli altri schieramenti politici furono interessati da un forte correntismo interno, un fenomeno tipicamente italiano. Sarà uno dei fattori decisivi del dominio della DC in quanto permetterà «la raccolta del consenso in un largo ventaglio di direzioni e una relativa flessibilità politica67». I democristiani avranno perciò per anni in mano i ministeri fondamentali come Interni, Finanze, Difesa e gli apparati di sicurezza. 66 Aldo Giannuli, op. cit., p. 62. 67 Aldo Giannuli, op. cit., p. 70. 25 Capitolo II: i primi anni ‘60, dal governo Tambroni al Piano Solo 2.1 L’esperimento tambroniano Dopo le elezioni del ‘48 l’Italia per un decennio si era retta su coalizioni centriste che, pur essendo caratterizzate dalla breve durata, avevano tutto sommato funzionato e permesso al Paese di varare importanti riforme. Sono gli anni del boom economico che consentono, pur tra evidenti contraddizioni sociali che troveranno sfogo dal ‘68 in poi, alla Penisola di vivere il cosiddetto “Miracolo italiano”. A livello politico dopo i ben otto governi di coalizione guidata da Alcide De Gasperi fino al 1953, negli anni seguenti ci sono i brevi esecutivi di Giuseppe Pella, Antonio Segni, Mario Scelba, Adone Zoli e Amintore Fanfani: sono in ogni caso tutti espressione del centro. Nel ‘60 cambia qualcosa in quanto viene messo a capo del governo Fernando Tambroni, ex centurione della milizia fascista68 ed esponente della sinistra DC. Dal 26 marzo al 27 luglio Tambroni resse una maggioranza monocolore della Democrazia Cristiana, passata per pochissimi voti alla Camera (300 sì e 293 no) grazie all’appoggio decisivo del MSI e di quattro monarchici indipendenti tra cui il già nominato Alliata di Montereale e l’ex generale Raffaele Cadorna. Stessa cosa al Senato dove Tambroni ottenne la fiducia con una ventina di voti di scarto. Ritenuto da più parti il governo più orientato a destra dal secondo dopoguerra in poi, verrà definito un «esperimento autoritario e criptofascista69». Il governo Tambroni infatti, l’unico di centrodestra durante la Prima Repubblica, sarà come detto accusato di simpatie con il fascismo e ricordato per i morti sulle piazze. Nell’estate del ‘60 si ebbero infatti undici vittime e centinaia di feriti a seguito di manifestazioni in tutto il paese, innescate dalla decisione dell’MSI di convocare il proprio congresso nazionale a Genova, città partigiana e medaglia d’oro della Resistenza, facendolo presiedere all’ex prefetto repubblichino Carlo Emilio Basile. Dopo ulteriori violenze a Roma il culmine si tocca con la Strage di Reggio Emilia del 7 luglio in cui perirono cinque civili inermi, uccisi dalle forze dell’ordine durante i disordini. Come purtroppo si vedrà anche in vicende successive, nessun agente e dirigente di polizia verrà mai condannato: solamente nel 1978 il ministero dell’Interno sarà riconosciuto colpevole e costretto a pagare un pesante risarcimento ai parenti delle vittime70. Detto ciò quella di Tambroni è una provocazione programmata nei tre anni precedenti in cui era stato ministro dell’Interno nei governi Segni, Zoli e Fanfani, periodo nel quale grazie al sostegno del vice capo della CIA in Italia Robert Driscoll71 aveva organizzato a Roma una centrale spionistica incaricata di infiltrare il PCI e di 68 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 49 69 Ivi, p. 63. 70 Il tribunale di Bologna nel 1978 condannerà il Ministero a un risarcimento di 178 milioni di lire a favore dei parenti delle vittime. La precedente sentenza della Corte d’assise di Milano del 1964 aveva assolto i 63 imputati, dei quali solo due erano poliziotti. 71 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 39. 26 schedare svariate personalità politiche tra cui Segni e Andreotti con il servizio di personaggi già nominati come Walter Beneforti. Su quest’ultimo forse due parole in più vanno fatte: vice commissario aggiunto, ex capo dei servizi politici della polizia del Territorio Libero di Trieste, è in contatto con i servizi americani fin dal dopoguerra e infatti sarà un elemento di fondamentale importanza nei rapporti tra l’UUAAR e la CIA durante gli anni di De Nozza72. Sarà in seguito coinvolto nello scandalo intercettazioni del 1973 insieme a Tom Ponzi, entrambi come già detto legati al Noto Servizio. Il vizio per la schedatura non era una novità: Scelba, il predecessore di Tambroni all’Interno, aveva iniziato questa procedura grazie al lavoro del già nominato Pièche73. A Tambroni dà un importante sostegno economico la Edison, nei cui registri anni dopo sarà trovato l’appunto «Estate 1960-operazione Ippocampo»74: un piano per un colpo di stato? Non impossibile, considerato che nel periodo si svolse un grande mobilitazione delle truppe NATO di stanza in Italia, una costante che accompagnerà il Paese nei momenti di tensione. Fatto sta che il 19 luglio Tambroni sarà costretto alle dimissioni dal segretario della DC Aldo Moro, sancendo la sua fine politica. L’esperimento tambroniano viene spazzato via sia dalla piazza sia dalle lotte interne alla DC ma non la sua ispirazione: la schedatura diviene pratica sempre più comune e secondo Ferruccio Parri i fascicoli di Tambroni finiscono al SIFAR che proprio in quegli anni sotto la guida Giovanni De Lorenzo inizia l’attività che lo porterà ad avere dossier su centinaia di migliaia di italiani. Infine la vicenda tambroniana permette di aprire una piccola parentesi ma importante: durante il suo periodo al ministero e al governo nell’UUARR c’era un gruppo di persone a lui fedeli, una cordata per così dire. Infatti quando noi facciamo riferimento ai vari apparati dello stato, per esempio il SIFAR, non sarebbe proprio corretto citarlo in toto ma invece far riferimento a determinate cordate e determinati personaggi che si fanno la guerra tra di loro. Sarà da capire di volta in volto la mano, ovvero i politici di riferimento, che muove le pedine sullo scacchiere. 2.2 Federico Umberto D’Amato C’è un uomo che con Tambroni aveva avuto a che fare, ricattandolo per una relazione extraconiugale75, manovra che gli era costata il trasferimento a Firenze. Ora però sta rapidamente scalando le gerarchie: si chiama Federico Umberto D’Amato, lo spione per eccellenza. Figlio d’arte in quanto il padre Federico era stato questore, da tempo ha intessuto una rete di contatti impressionanti, in primis con gli americani e in particolare con James Jesus Angleton fin dai tempi della guerra. Giovane commissario di pubblica sicurezza, nelle fasi finali del conflitto mondiale aveva consegnato agli 72 Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, Memoriale del Pubblico Ministero, Procedimento Penale n. 03/08 Corte d’Assise di Brescia, Procura della Repubblica presso il tribunale di Brescia, 01.11.2011, p.40-42. 73 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 53. 74 Panorama, 26.11.74, citato in Gianni Flamini, Il partito del golpe, tomo primo, p. 56. 75 Tambroni era amante dell’attrice Sylva Koscina. 27 Alleati la lista delle spie naziste a Roma76. Un gesto che non verrà dimenticato dagli americani. Tre anni prima dei fatti del 1960, quando Tambroni era ministro dell’Interno, D’Amato era stato spostato alla Divisione Affari Riservati dall’ufficio politico della questura di Roma. Giocano nella sua squadra informatori prezzolati come il giornalista Lando Dell’Amico e il frate belga Felix Morlion, Mario Tedeschi de “Il Borghese” e presunti comunisti come Margherita Ingargiola77. Pur essendo l’UAARR una diretta figlia se non una sorellastra dell’OVRA, D’Amato non è mai stato un fascista: è un uomo spregiudicato che segue semplicemente la propria morale, al di sopra dei discorsi politici, e che ha giocato su più tavoli con un ruolo sempre personale. Aldo Giannuli lo definisce proprio così: «un uomo geniale ma assolutamente amorale e privo di principi di qualsiasi sorta»78, dietro l’aspetto di piccolo napoletano gaudente troviamo un uomo potentissimo che aveva la sovrintendenza alla segreteria speciale del Patto Atlantico79. D’Amato dalla seconda metà degli anni ‘60 è di fatto il capo dell’UAARR, non potendolo essere a tutti gli effetti in quanto non era ancora stato promosso a questore. Vice di capi ormai a fine carriera come Elvio Catenacci, dirigerà l’ufficio nella sostanza insieme al suo braccio destro Silvano Russomanno e poi a tutti gli effetti dal 1971. Nel 1974 dopo i fatti di Piazza della Loggia verrà trasferito a comandare la polizia di frontiera mentre ovviamente il suo nome comparirà tra gli iscritti alla P2. Infine, per capire quanto a lungo la sua figura ha pesato nell’ambiente, D’Amato ancora a metà anni ‘90 aveva un ruolo di primo piano nella polizia, nonostante fosse da dieci anni in pensione. Nel 2020 sarà riconosciuto come uno dei mandanti della strage della stazione ferroviaria di Bologna del 1980. 2. 3 Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale «Fin dal 1964 tutte le varie organizzazioni di destra venivano immancabilmente strumentalizzate dalle forze del potere [...]. Le armi che vennero sequestrate a un certo punto ci erano state date dai carabinieri80». Questa dichiarazione, resa dall’ordinovista veronese Marcello Soffiati al giudice Giovanni Tamburino, serve a delineare il quadro introduttivo delle due principali organizzazioni di estrema destra presenti in Italia nel dopoguerra, ovvero il Centro Studi Ordine Nuovo e Avanguardia 76 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, min. 29. 77 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 103-104. 78 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, min. 30. 79 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 96. 80 Gianni Barbacetto, Il grande vecchio, Baldini & Castoldi, Milano 1993, p. 72. 28 Nazionale. ON è una costola del MSI che si stacca per protesta dopo la nomina a segretario di Arturo Michelini nel 1956, in quanto ritenuto troppo morbido. La guida è il giornalista Giuseppe Rauti, detto Pino, altri elementi di primo piano sono Paolo Signorelli e Clemente Graziani. La sua struttura è solida e organizzata, con una propria ideologia ben precisa formata sulle teorie del filosofo e ideologo dell’estrema destra Julius Evola. AN, ufficialmente Avanguardia Nazionale Giovanile, vede invece la luce nel 1960, fondata simbolicamente il 25 aprile da un gruppo di ex ordinovisti guidati da Stefano Delle Chiaie, detto “Er caccola” per la sua bassa statura, Adriano Tilgher e i fratelli Di Luia. Sciolta formalmente da Delle Chiaie dal 1965 al 1970, sarà nei fatti sempre attiva e il gruppo dirigente coeso. Pur essendo entrambe politicamente del medesimo stampo, ben diversa è la loro struttura: ON è formato da giornalisti, avvocati, professionisti e ha una struttura pianificata, AN è invece costituito da persone del ceto medio-basso che si potrebbero definire in modo semplice degli squadristi di piazza. Per entrambe sorgono fin da subito sospetti di collusioni ad alto livello, voci che in varie sedi sono state confermate: per ON con il SIFAR/SID dal 1964, per AN con il ministero dell’Interno dal 1962. Dirà a proposito il professor Aldo Giannuli: «Avanguardia Nazionale porta sempre alla polizia, Ordine Nuovo ai carabinieri e al servizio militare»81. Per questo motivo le due organizzazioni, pur avendo medesima fede politica, sono in rivalità a causa dei loro “referenti” nella pubblica amministrazione e anche negli scopi finali. Delle Chiaie nel 1997 dirà infatti davanti alla Commissione Stragi che l’ambiente di ON riteneva che «la conquista del potere doveva essere la conclusione della rivoluzione»82 mentre per AN un atto tecnico da cui partire. Per inquadrare ON è interessante la deposizione del suo ex membro Graziano Gubbini: «Ordine Nuovo era già in origine legato ad ambienti militari, tutti i suoi componenti venivano da esperienze belliche e soprattutto Rauti aveva contatti con importanti militari83». ON era un’organizzazione molto potente, legata in modo organico al SIFAR che procurava finanziamenti e agganci politici a tal punto che sarebbe stato inimmaginabile che il gruppo potesse fare una qualsiasi operazione se non tacitamente autorizzata dal servizio84. Sarà così capace di influenzare la storia italiana che verrà definita in sede giudiziaria «l’anello portante della strategia della 81 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, min. 25. 82 Commissione Stragi, audizione di Stefano Delle Chiaie del 16.07.1997. Consultabile all’indirizzo https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno25.htm 83 Tribunale di Bologna, esame testimoniale di Guido Giannettini dinanzi al giudice Mastelloni del 24 gennaio 1994. 84 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:33. 29 tensione»85. ON inoltre è legata fin dagli esordi con due centri internazionali: il gruppo estremista europeo Nuovo Ordine Europeo dello svizzero Guy Amaudruz e soprattutto con l’OAS86 e la sua diretta erede Aginter Press. AN come si è detto è diverso in quanto il rapporto con l’UAARR era meno organico: mentre «ON era un reparto di fiancheggiatori, AN era piuttosto un gruppo di corsari»87. Per AN è interessante la dichiarazione di Guido Giannettini secondo il quale «dagli anni sessanta in poi era arcinoto negli ambienti politici e giornalistici che il D’Amato manipolava Delle Chiaie e la struttura di Avanguardia Nazionale»88. Una voce che confermerà anni dopo anni anche Antonio Labruna, precisando in modo inequivocabile che “Er caccola” era un agente dell’UAARR. Un giovane militante di AN, tale Antonino Aliotti, dove aver mosso le medesime accuse a Delle Chiaie nel 1967, venne trovato morto nella sua auto piena di esplosivi davanti alla questura di Roma, ucciso da un colpo di pistola alla tempia89. Una condanna a morte, da monito per gli altri militanti. AN era inoltre sostenuta economicamente da Mario Tedeschi, direttore del settimanale del MSI “Il Borghese” e membro della P2, il quale passava mensilmente un assegno da 300 mila lire90. Delle Chiaie smentirà sempre queste voci, professando l'autonomia del suo gruppo e di essere stato strumentalizzato da una catena che passando da Mario Tedeschi e Federico Umberto D’Amato giungeva a Mariano Rumor e Giulio Andreotti91. Entrambe le organizzazioni, come similmente si vedrà poi il Fronte Nazionale, erano caratterizzate da una struttura su due livelli. Un primo piano palese che si occupava di attività politica e giornalistica, un secondo clandestino destinato alla guerriglia, al reclutamento e in generale alle attività sovversive. Per ON in tale struttura operavano elementi come Carlo Maria Maggi, Franco Freda, Delfo Zorzi, Carlo Digilio, Marcello Soffiati e Paolo Signorelli, tutti a vario titolo legati ai servizi segreti e ad ambienti militari italiani e stranieri. Su questo aspetto per AN è significativa la recente testimonianza di Vincenzo Vinciguerra, il terrorista responsabile della strage di Peteano del 1972, il quale ha definito il gruppo come «una struttura spionistica contro gli ambienti dell’estrema sinistra per conto del ministero dell’Interno» e che Delle 85 Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del giudice istruttore dottor Guido Salvini nei confronti di Nico Azzi e altri, 18.03.1995, p. 46. Nota: da ora in poi la fonte verrà citata solo come S.O. Salvini, 1995. 86 Organisation Armée Secrète, organizzazione paramilitare francese attiva durante la guerra d’Algeria. 87 Aldo Giannuli, op. cit., p. 290. 88 Tribunale di Venezia, Ufficio istruzione, interrogatorio di Graziano Gubbini dinanzi al giudice istruttore dottor Leonardo Grassi del 19 febbraio 1990. 89 Dinamitardo fascista s’uccide nella «1100» carica di bombe, “l’Unità”, 25.02.1967. 90 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:32. 91 Aldo Giannuli, op. cit., p. 284. 30 Chiaie aveva «una mole di informazioni che non potevano provenire solo da Avanguardia»92. AN era una struttura a comparti stagni, specializzata nell’infiltrazione nei movimenti di sinistra, sia comunisti che anarchici: Mario Merlino docet come si vedrà. Per entrambi i gruppi neofascisti era in conclusione fortissimo il connubio con i centri di potere dello stato, i quali hanno per anni usato i gruppi estremisti di destra come manovalanza per atti violenti che avrebbero dovuto portare all’intervento delle forze armate. È questo il filo rosso che lega gli anni ‘60 e ‘70, caratterizzando l’eversione di destra che è nei fatti “istituzionale” in quanto «alimentata e armata anche da apparati dello Stato e da alcune strutture dell'Alleanza Atlantica, in particolare quelle riconducibili agli USA»93. Infatti per anni si è usata l’espressione “controllo senza repressione” riguardo al comportamento tenuto dai servizi nei riguardi del terrorismo nero ma dalla seconda metà degli anni ‘90 nuovi sviluppi processuali hanno accertato che «da parte di strutture di sicurezza alleate c’è stato un contributo tecnico alla capacità e alla possibilità della struttura occulta di Ordine Nuovo a compiere attentati»94, in pratica un incoraggiamento e un aiuto a delinquere. Certamente le mani dei neofascisti sono sporche di sangue ma ancor più gravi sono le colpe di chi dai piani alti tirava i fili, al sicuro dentro la consueta rete di protezioni e connivenze che caratterizzava e caratterizza tuttora gli apparati statali. Io cittadino da un terrorista posso aspettarmi della violenza, è un dato di fatto, ma non posso accettare che lo Stato e i suoi funzionari che dovrebbero difenderci dai primi ne siano invece i burattinai. Non è certamente casuale che Ordine Nuovo poco prima dei fatti di Piazza Fontana rientri nel MSI, quasi con una certa preveggenza, in modo da avere una copertura politica per gli eventi successivi che coinvolgeranno Rauti in prima persona. Chi resterà in autonomia e non rientrerà nel MSI sarà il Movimento Politico Ordine Nuovo di Clemente Graziani (uno dei due italiani a cui l’OAS concesse la sua tessera95), fondato il 21 dicembre del ‘69: è un frazionamento più simbolico che reale in quanto la divisione tra Rauti e Graziani avrebbe infatti permesso di mantenere una facciata rispettabile del Centro Studi e una più aggressiva e rivoluzionaria nel Movimento Politico. Il MPON resterà attivo fino a quando il 23 novembre del 1973 con decreto ministeriale verrà sciolto, non prima che un processo già falsato in partenza, in quanto vedeva indagati solo i componenti dal ‘69 in poi, faccia il suo 92 Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105 93 Commissione stragi, Appunti per una relazione conclusiva, vol. primo, tomo secondo, 2001, p. 156. 94 Commissione stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02 .1997. Consultabile a https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno9.htm 95 Aldo Giannuli, op. cit., p. 267. 31 corso. I principali protagonisti saranno così condannati per pene dai 5 anni a 6 mesi di reclusione ma tutti questi resteranno tranquillamente in libertà: qualcuno fugge all’estero come Clemente Graziani e nel complesso il movimento continuerà a vivere, rinascendo come “Ordine Nero”, nel quale entrano anche elementi del neofascismo milanese (Squadre Azioni Mussolini, La Fenice, sanbabilini). Avanguardia Nazionale invece dopo uno scioglimento fittizio del 1964 finirà ufficialmente l’8 giugno del 1976 per un altro decreto ministeriale dopo che tre giorni prima il tribunale di Roma aveva espresso la propria sentenza: due anni di carcere per gli esponenti principali come Delle Chiaie e Tilgher, pochi mesi agli altri. Nessuno di questi farà un minuto in carcere in quanto benevolmente i giudici scriveranno che «tenuto conto del comportamento processuale che denota ravvedimento, può allo stato presumersi che si asterranno dal commettere ulteriori reati, per cui si concede agli stessi il beneficio della sospensione condizionale della pena» 96. Una farsa piuttosto prevista per un’organizzazione che è riuscita, chissà come, per tanti anni a restare ai margini delle vicende giudiziarie. Infatti Avanguardia a lungo è stata ritenuta una fiancheggiatrice esterna della strategia della tensione ma non così coinvolta direttamente e in prima persona come invece è realmente avvenuto. 2.4 Guerriglia in Alto Adige Nei primi anni ‘60 l’Alto Adige fu teatro di violenti attentati compiuti dal BAS (Befreiungsausschuss Südtirol), il movimento di liberazione sudtirolese fondato nel 1956 da Sepp Kerschbaumer. Come è noto la regione, a nettissima popolazione tedescofona, fu ceduta all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e sottoposta durante il Ventennio a un processo forzato di italianizzazione. Nonostante le prime aperture all’autonomia negli anni ‘50 i malumori rimasero, ebbero una spinta decisiva con il discorso di Silvius Magnago nel 195797 e iniziò così una guerriglia con l’obiettivo dichiarato di un distacco dall’Italia e la riunificazione all’Austria. In una notte di giugno del 1961, la cosiddetta “Notte dei fuochi” partono gli attentati: «Il SIFAR era perfettamente al corrente dell’imminente inizio delle azioni di guerriglia e ne avvertì il generale Beolchini che predispose un piano d’emergenza. Ma il piano non ebbe alcun seguito»98. Succede così che esponenti del BAS nella notte tra l’11 e il 96 Atti Tribunale di Roma, sezione VII, citati in Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume quarto, tomo secondo, Bovolenta Editore, 1983 Ferrara, p. 259. 97 Il 17 novembre del 1957 Silvius Magnago, presidente della provincia autonoma di Bolzano, tenne un comizio a Castel Firmiano a cui parteciparono circa 35000 persone. Si veda Davide Leveghi, Silvius Magnago guida di un popolo. 62 anni fa la manifestazione di Castel Firmiano dava avvio alla lotta per l'autonomia dell'Alto Adige, ildolomiti.it, 17.11.2019, https://www.ildolomiti.it/societa/2019/silvius-magnago-guida-di-un-popolo-62-anni-fa-la-manifestazione-di-castel- firmiano-dava-avvio-alla-lotta-per-lautonomia-dellalto-adige. 98 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 117. 32 12 giugno fanno saltare oltre 40 tralicci e un cantoniere che tentava di disinnescare uno degli ordigni rimane vittima dell’esplosione. È l’inizio della prima fase del terrorismo altoatesino, quello dei “bravi ragazzi della Valle Aurina”99, non indirizzato a fare vittime ma più che altro a creare confusione e panico abbattendo i tralicci. A dar man forte agli altoatesini arrivano però elementi neonazisti dall’Austria e dalla Germania, come Norbert Burger e Charles Joosten, i quali soffieranno sul fuoco e daranno un impulso diverso alle azioni. Alois Amplatz e Georg Klotz, due dei fondatori del BAS, la notte del 6 settembre 1964, per pochi mesi incarcerati in Austria e sulla via del ritorno per l’Italia, sono vittime di tale Christian Kerbler. Questi, dopo averli ospitati in una baita in Val Passiria, sparò a entrambi, uccidendo Amplatz e ferendo Klotz, il quale poco prima aveva rinfacciato al già citato Burger di lavorare per il SIFAR100. Kerbler, «un doppiogiochista che lavorava per i servizi segreti italiani»101, una volta arrestato riesce, grazie a un incidente dell’auto su cui viaggiava, a scappare e a far perdere le proprie tracce per anni tra Svizzera e Sudafrica: condannato in contumacia, verrà arrestato anni dopo in Inghilterra ma dall’Italia non arriverà mai la richiesta di estradizione. Un po’ di luce arriva negli anni ’90 con la testimonianza dell’ex generale Federico Marzollo, personaggio che si rivedrà negli anni della Rosa dei venti ma all’epoca comandante dei carabinieri di Bolzano. Interrogato dal giudice Mastelloni nel 1991 dirà che: «Quando ci fu il «fatto» di Amplatz ad Altusio - 6 settembre 1964 -, com.te del gruppo di Bolzano era Ferrari. Seppe dopo la morte di Amplatz da Peternel, nonché dal col. Ferrari e da Pignatelli che Kerbler, come infiltrato aveva collaborato con il Sid e con la questura di Bolzano per eliminare Amplatz e Klotz, che l'operazione era stata concordata tra il questore Allitto Buonanno, il Peternel, capo dell'ufficio politico della questura, il col. Monico, capo centro CS di Verona, e Pignatelli, capo del sottocentro di Bolzano. Il Monico gli disse poi che l'operazione era fallita perché non erano riusciti ad eliminare anche Klotz»102. L’episodio servì a tagliare fuori il gruppo più moderato e segnò un netto taglio nelle operazioni del BAS che diventarono nettamente più violente: sono necessari i morti per convincere l'opinione pubblica che è in atto un programma diretto a minare l'ordine politico dell'occidente. Gli attentati negli anni seguenti causarono infatti 99 Letizia Tortello, Alto Adige, nella valle che invoca la secessione e invoca la grazia per i terroristi, lastampa.it, 11.10.2019, https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/10/18/news/in-alto-adige-la-banda-negli-anni-60- ha-compiuto-attentati-ai-tralicci-e-agguati-1.37756926/ 100 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 65. 101 Roberto Bianchin, Quel killer fu pagato dai servizi, “La Repubblica”, 07.11.1991. 102 Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 78. 33 diversi morti, su tutti i fatti di Malga Sasso e San Martino in Valle di Casies103. Il picco probabilmente viene raggiunto a Cima Vallona il 25 giugno del 1967, a due passi dal confine austriaco: un traliccio viene fatto saltare, il sentiero che conduce alla zona è tutto minato e causa la morte di quattro persone (un alpino, un sergente, un capitano e un sottotenente) accorse per quantificare il danno. Nel caso furono implicati i terroristi austriaci Norbert Burger e Peter Kienesberger, il primo come l’ideatore dell’attentato e il secondo come artificiere, entrambi condannati in contumacia dalla corte d’assise di Firenze nel 1970 all’ergastolo. I due, nonostante anche di recente fonti austriache104 li assolvono dai fatti, di sudtirolese avevano solo il “braccio armato” ed erano «agenti dell'organizzazione clandestina di sicurezza NATO»105. Infine un episodio emblematico: il 30 agosto del ‘67 viene trovata una valigetta sospetta su un treno alla stazione di Trento, città non secondaria nell’eversione sia rossa che nera: vi studiano alla locale università di sociologia Renato Curcio e Mara Cagol, futuri leader brigatisti, Marco Boato e Pietro Rostagno, tra i fondatori di Lotta Continua. Nella galassia nera invece il faro è Cristiano De Eccher di AN, oltre a due elementi in odore di SID come Sergio Zani e Claudio Widmann106, protagonisti nel gennaio del ’71 della tentata strage davanti al tribunale di Trento. I due agenti la portano in un luogo sicuro ma quando tentano di aprirla saltano in aria con essa. È un precedente che farà storia in quanto la bomba sul treno sarà un classico degli anni seguenti. La guerra in Alto Adige vede in estrema sintesi il debutto dell’organizzazione clandestina di sicurezza NATO nota poi in Italia come Gladio: «Furono attivati i guastatori addestrati ad Alghero»107, dirà anni dopo il generale Manlio Capriata al G.I. Carlo Mastelloni. Va necessariamente ricordato che in Alto Adige si trovavano in quel momento alcuni dei protagonisti degli anni successivi come Federico Marzollo, Angelo Pignatelli, Carlo Ciglieri, Elio Massagrande, Carlo Fumagalli, Sandro Rampazzo, Eugenio Rizzato ed Amos Spiazzi. Proprio quest’ultimo, all’epoca capitano degli Alpini, dirà anni dopo «di aver arrestato due carabinieri che si stavano accingendo a compiere un attentato e di aver poi dovuto, per ordine superiore, rilasciare gli stessi senza ulteriori conseguenze giudiziarie»108. Altra personalità rilevante in zona all’epoca è il generale dei carabinieri Giorgio Manes, non proprio l’ultimo arrivato, il 103 Il 9 settembre del 1996 viene fatta saltare con della dinamite una caserma della Guardia di Finanza in località Malga Sasso, vicino a Bressanone: restano uccisi tre finanzieri. A San Martino erano periti in un agguato due finanzieri il 25 luglio. 104 Si veda nello specifico Hubert Speckner, La strage del passo di Cima Vallona, Verlas Gra & Vis, 2015 Vienna. 105 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 30. 106 Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, pag. 22. 107 Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano…, p. 51. 108 Ivi, p. 21. 34 quale scriverà sui suoi rapporti che «la pistola con cui fu ucciso Amplatz apparteneva ad un sottufficiale di Bressanone» e di come «molti attentati in Alto Adige furono simulati dal CS (controspionaggio)»109. In conclusione parecchie fonti segnalano il conflitto altoatesino come un «grande campo sperimentale»110, la prova generale di qualcos’altro. L'irredentismo e la guerra quasi romantica degli altoatesini, inizia con attentati senza vittime, in pochi anni subiscono una virata violenta dovuta all’infiltrazione nel BAS di elementi terroristici neonazisti come Norbert Burger, quasi certamente manovrati dall’alto. Un modus operandi che si ripeterà negli anni seguenti con altri gruppi e altri protagonisti ma con modalità molto simili. L’Alto Adige diventò così «un laboratorio di sperimentazioni politico-militari reazionarie»111: vede infatti la luce quel fenomeno che sarà il terrorismo internazionale. Un fatto è certo: il terrorismo altoatesino finì di colpo, quasi che «ad un accenno convenuto, il nazionalismo sudtirolese avesse rinunciato ad ogni velleità autonomistica»112. Come se qualcuno avesse deciso di dirottare altrove l’apparato terroristico che per anni aveva seminato il panico in Alto Adige. 2.5 Il caso Mattei Nel 1962, in contemporanea con la fase iniziale del terrorismo altoatesino, perde la vita il presidente dell’ENI Enrico Mattei. Nato nel 1906 nel piccolo paese di Acqualagna nelle Marche, è stato un caso clamoroso di self made man: figlio di un sottoufficiale dei carabinieri, Verzotto, dopo la morte di Mattei, farà carriera: nel 1967 sarà nominato presidente dell’Ente minerario siciliano (EMS) e l’anno dopo sarà eletto con la DC al Senato. Ritenuto molto vicino ai capimafia, nel 1975 viene coinvolto nello scandalo «fondi neri»: enti pubblici come l’EMS depositavano cifre miliardarie nelle banche di Michele Sindona (un personaggio che analizzeremo meglio più avanti), il quale garantiva interessi in nero. Per tali motivi a fine gennaio Verzotto si dimette dalla carica di presidente dell’EMS e pochi giorni dopo subisce un tentativo di sequestro nei pressi della propria abitazione a Siracusa, al quale riesce a fuggire dopo aver respinto con la forza i malviventi. Verrà arrestato come responsabile tale Berardino Andreola, uno dei tanti personaggi sfuggenti che compariranno in queste pagine: 109 Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 74. 110 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 33. 111 Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano..., p. 49. 112 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 117. 35 Il 27 ottobre Mattei sale a bordo di un piccolo aereo partito da Catania e diretto a Milano: il velivolo però precipita a Bascapè, nella campagna pavese, a una decina di chilometri dall’aeroporto di Linate. Nell’impatto periscono anche il pilota e il corrispondente del “Time Magazine”, William McKay. Le condizioni metereologiche, nonostante quanto detto per parecchio tempo, sono buone e non avverse. Sul luogo del disastro accorrono in molti, tra cui un personaggio come Tom Ponzi e soprattutto Eugenio Cefis113, ex braccio destro di Mattei e futuro presidente dell’ENI. Nel 1994 il procuratore di Pavia Vincenzo Calia riaprì le indagini dopo. La conclusione inequivocabile è che l’aereo sui viaggiava Mattei fu certamente sabotato. 2.6 Il Piano Solo Nel 1964 l’Italia è sull’orlo del collasso politico: a fine giugno il Governo Moro I, il primo esecutivo della storia repubblicana composto anche da forze del Partito Socialista Italiano grazie all’apertura a sinistra decisa due anni pria all’VIII congresso nazionale della DC, è ufficialmente caduto. Le trattative per la formazione di un nuovo esecutivo non trovano soluzione e in questo clima di grande incertezza il presidente della Repubblica Antonio Segni il 15 luglio convoca inspiegabilmente al Quirinale il generale Giovanni De Lorenzo, massone della loggia di Piazza del Gesù114, dal 1956 al 1962 a capo del SIFAR e in quel momento comandante generale dell’Arma dei carabinieri. La visita fu annunciata pubblicamente con un ampio comunicato stampa. De Lorenzo, un rigido filo atlantista tanto da essere definito «quinta colonna americana all’interno degli apparati di sicurezza italiani»115, dopo Segni incontrò due giorni dopo Moro e di fatto lo convinse a formare un nuovo esecutivo: le proposte riformatrici del governo Moro I furono riviste in una prospettiva più conservatrice e il nuovo esecutivo, il Moro II, pur prevedendo ancora la presenza dei socialisti, ne ridusse le proposte più riformiste. Tutto questo avvenne ovviamente all’insaputa dell’opinione pubblica, informata dei fatti solo tre anni dopo grazie all’inchiesta del giornalista de “L’Espresso” Lino Jannuzzi. Il periodico, all’epoca diretto da Eugenio Scalfari, il 14 marzo del 1967 titolò «Finalmente la verità sul SIFAR. Il 14 luglio 1964 il complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato». La reazione generale fu di minimizzazione e De Lorenzo arrivò a querelare il periodico che noncurante aprì il numero successivo con il titolo emblematico «Fatti del luglio '64. Ecco le prove». Va precisato come lo stesso generale, nel 1966, era passato dai carabinieri al comando dell’esercito ma ad aprile dell'anno seguente era stato 113 Andrea Purgatori (a cura di), Atlantide-storie di uomini e mondi, 1962 il caso Mattei, missili e petrolio, https://www.la7.it/atlantide/rivedila7/atlantide-1962-il-caso-mattei-missili-e-petrolio-27-10-2022-457520, min. 14 e seg., 26.10.2022. 114 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 63. 115 Sandro Provvisionato, op. cit., p.52. 36 destituito dopo che il ministro dell’Interno Roberto Tremelloni aveva ammesso che si erano verificate “deviazioni dei servizi segreti”. Verrà istituita una commissione parlamentare solo a marzo del 1969, la cosiddetta “Commissione Alessi”, che affermerà come nel 1964 non sia successo praticamente niente: «Nessun pericolo ha mai corso il regime democratico repubblicano [in quanto, nda] un tale pericolo non si è nemmeno profilato»116. Va detto che i documenti consultati dalla Commissione, nello specifico il cosiddetto “Rapporto Manes”, erano pieni di omissis e di parti fondamentali mancanti117 che alteravano così la vicenda in modo decisivo. A ciò si aggiunse la morte improvvisa di alcuni testimoni chiave della vicenda: il 27 giugno del 1968 verrà trovato morto nel suo ufficio, pagato dalla FIAT118, il colonnello Renzo Rocca, ex comandante dell’Ufficio REI (Ricerche Economico Industriali) e uomo a strettissimo contatto con gli ambienti dell’altissima finanza italiana e americana in quanto per anni aveva gestito il collegamento tra i servizi segreti e Confindustria. Ad ucciderlo un colpo di pistola secondo gli inquirenti partito dalla pistola dello stesso Rocca nonostante il test del guanto di paraffina dica che la sua mano non abbia sparato119. Personaggio potentissimo, il suo ufficio venne successivamente svuotato da ufficiali dei servizi alla scoperta del cadavere che classificheranno la morte come semplice suicidio. Un clamoroso «suicidio di stato»: settantadue ore prima era stato consegnato al premier Moro il rapporto con le conclusioni sull’inchiesta sui fatti del ‘64, nel quale erano molti i riferimenti all’Ufficio REI. Non a caso il giorno della sua morte Rocca avrebbe dovuto incontrarsi con Nicola Falde, suo successore nel SIFAR e inoltre aveva «insistentemente cercato di parlare al telefono con Taviani»120 che però non si era fatto trovare. Un’altra morte rilevante è quella del generale Carlo Ciglieri, successore di De Lorenzo alla guida dell’Arma e autore dei precedentemente nominati omissis sui documenti, avvenuta il 27 aprile del 1969 a Curtarolo (PD). Stando alle ricostruzioni la sua auto sarebbe prima sbandata in un rettilineo e poi andata a sbattere contro due platani, causandone il decesso praticamente sul colpo. Il fatto sconcertante è che all’arrivo dei soccorsi l’uomo fu trovato privo di qualsiasi documento121. Il 25 giugno del 1969 invece moriva dopo aver bevuto un caffè nel bar di Montecitorio Giorgio Manes, vice di De Lorenzo al comando dei carabinieri e autore del primo rapporto sullo scandalo SIFAR del 1967. Quel giorno avrebbe dovuto recarsi dal presidente della Commissione parlamentare Giuseppe Alessi per deporre. Infine il 116 Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del SIFAR, Relazione di maggioranza del senatore Giuseppe Alessi, 15.01.1970. 117 Sono per la precisione censurate le quattro pagine del rapporto e i sette allegati con 72 omissis. 118 La misteriosa morte del colonnello Renzo Rocca alias Pino Renzi, “l’Unità”, 29.06.1968. 119 Sandro Provvisionato, op. cit., p. 67. 120 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 195. 121 Il gen. Ciglieri muore in un incidente, “l’Unità”, 28.04.1969. 37 braccio destro di Manes, il tenente Remo D’Ottavio, un mese dopo la morte del suo superiore, tenta il suicidio ingerendo dei barbiturici e sparandosi un colpo di pistola122. Sopravviverà, nonostante a lungo lo si ritenga morto. Morti strane, piene di lati oscuri, che lasciano un’ombra inquietante sui fatti avvenuti. La vicenda non è stata «un innocuo balocco destinato ad ammazzare il tempo nelle stanze degli alti comandi dei carabinieri»123 come per anni e anche oggi124 in alcune sedi si fa passare, affermando che nell’Arma i piani insurrezionali erano previsti per legge: dando questa ipotesi per vera ce ne passa però da un piano di difesa a un colpo di stato. Il piano infatti non era una farsa ma era stato progettato da un certo tempo attorno a tre figure fondamentali: il presidente della Repubblica Antonio Segni, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Giovanni De Lorenzo e l’ex ministro della Difesa Randolfo Pacciardi. Segni nel febbraio del ‘64 compie un viaggio diplomatico in Francia e si compiace di come De Gaulle abbia fatto un repulisti dei comunisti: l’ex ministro Paolo Emilio Taviani ricorderà 30 anni dopo che al primo incontro dopo il ritorno gli chiese «cosa avessimo previsto in caso di insurrezione armata comunista. Pensava a un governo monocolore, accennò a una mia presidenza con Pacciardi alla difesa o all’interno»125. Lo stesso Taviani aggiunge che Segni dal suo ritorno «riceveva soltanto il generale De Lorenzo», confermando quindi che era ormai diventato «il punto di riferimento delle alte gerarchie militari»126. Il già nominato Pacciardi, per anni esponente di punta del PRI, a inizio anno aveva fondato l’Unione Democratica per la Nuova Repubblica (UDNR). Era un partito che puntava a trasformare l’Italia in uno stato presidenziale su modello della Francia gollista, annunciato da un appello firmato dai generali Raffaele Cadorna e Giuseppe Mancinelli e da personalità politiche come Ivan Matteo Lombardo127. Per quanto riguarda De Lorenzo è necessario ricordare che durante il suo mandato il SIFAR era diventata una macchina impazzita che sfornava fascicoli su politici, dirigenti industriali, sindacalisti, giornalisti e perfino ecclesiastici riguardo a qualsiasi loro comportamento pubblico e privato. Il loro numero verrà stimato in 157000128. Una massa enorme di dati, spesso frutto di manipolazioni ad arte, da sfruttare per ricattare questo o quello a seconda 122 Il colpo al cuore non uccise D’Ottavio, “La Repubblica”, 14.11.1990, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/14/il-colpo-al-cuore-non-uccise.html 123 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 79. 124 Si veda a proposito Mario Segni, Il colpo di stato del 1964. La madre di tutte le fake news, Rubbettino, 2021. Il saggio, scritto dal figlio dell’ex presidente Antonio, tenta di scagionare il padre dall’accusa di aver progettato il colpo di stato. 125 Commissione stragi, audizione del senatore Taviani, 01.07.1997. Consultabile a https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno24.htm. 126 Aldo Giannuli, op. cit., p. 173. 127 Archivio storico della Camera dei Deputati, fondo di Randolfo Pacciardi. 128 Per maggiori approfondimenti sul caso si vedano gli atti della Commissione Beolchini consultabili a https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907520.pdf. 38 dell’opportunità. È in questo modo che De Lorenzo per un quindicennio è tra gli uomini più potente d’Italia, avendo a disposizione una vera centrale del ricatto: nel 1961 ottenne la promozione a generale di corpo d’armata con una legge ad personam in previsione del suo passaggio al comando dei carabinieri, nel 1962 lasciò formalmente il comando a Egidio Viggiani, in realtà suo fedelissimo. Alla morte di questi nel 1965 riuscì a imporre la nomina di Giovanni Allavena, altro suo fidato. Ma cos’era allora il Piano Solo in sostanza? Il 13 marzo il progetto vide la propria nascita ufficiale quando alla presenza di De Lorenzo si ritrovarono nella sede centrale dell’Arma i comandanti di varie divisioni per programmare le mosse future: l’attuazione sarebbe stata giustificata alla popolazione per reprimere una sommossa se non un’insurrezione, dei “rossi”129. Il piano prevedeva in estrema sintesi: 1. il richiamo dei carabinieri in congedo, nome in codice Piano Sigma, da utilizzare in caso di sommosse di piazza; 2. l’uso di forze di supporto reclutate dal colonnello Renzo Rocca tra ex repubblichini, picchiatori fascisti ed ex componenti della X MAS, ovvero «squadre di sopravvivenza della NATO, addestrate alla guerriglia interna130»; 3. la deportazione in Sardegna nella base di Torre Poglina (centro di addestramento Gladio) di 731 “enucleandi”, ovvero personalità politiche e sindacali ritenute scomode; 4. l’occupazione delle sedi di partito, dei giornali di sinistra, dell’ANPI e della Rai; 5. la trasformazione della Repubblica dalla forma parlamentare a una presidenziale forte. Supporto decisivo era dato da Confindustria e in particolare dalla FIAT, il cui presidente dell’epoca, Vittorio Valletta, finanziava i nuclei di supporto reclutati da Rocca131. Va ricordato che la stessa FIAT aveva da tempo, su modello SIFAR iniziato a schedare illegalmente tutti i dipendenti e potenziali, arrivando alla cifra assurda di 357000 persone registrate. Un appunto: le squadre di sopravvivenza della NATO ricordano molto i gladiatori. Non ci è sempre stato detto che la funzione di Gladio era prettamente difensiva contro invasioni straniere? Usarne i membri per un’operazione interna sarebbe giusto un po’ differente. Due mesi dopo lo stesso generale informa l’ambasciata americana del progetto, spiegando come il PCI dovesse essere «eliminato per sempre»132. Il 2 giugno nella 129 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 79. 130 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 42. 131 Sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del SIFAR, Relazione di minoranza della commissione parlamentare d’inchiesta, Feltrinelli, Milano 1971, p. 177. 132 Telegramma dell’ambasciata USA a Washington del 26-05-1964, Atti commissione stragi. 39 classica parata per la festa della Repubblica a Roma si verifica un’insolita concentrazione di truppe che vengono in modo anomalo trattenute nella capitale per un mese intero. Non a caso infatti il 14 sempre a Roma si svolge una grande parata per festeggiare i 150 anni dell’Arma nella quale sfila una inedita brigata meccanizzata dei carabinieri costituita da «novecento uomini con 32 mezzi corazzati, 20 cingolati e 50 autoblindo. Perfino qualche generale ne resta impressionato e preoccupato»133. Il 25 il comandante delle forze NATO di Verona spedisce un telegramma in cui afferma che «nel futuro prossimo è possibile che in Italia avvenga un colpo di stato. L'individuo scelto per coordinare i piani è Randolfo Pacciardi»134. Il giorno dopo Moro sale al Quirinale e presenta le dimissioni al presidente Segni. Per tre settimane si susseguono le consultazioni per formare il nuovo esecutivo, peccato che il SIFAR d’accordo con Segni abbia piazzato microfoni ovunque per registrare i colloqui135. Come detto in precedenza il presidente convocò poi a metà luglio sia De Lorenzo che il generale Aldo Rossi, capo di Stato maggiore della Difesa per delle consultazioni palesemente anomale. È l’apice della crisi. Il settimanale “Epoca”, nel numero del 5 luglio, aveva pubblicato una copertina tricolore con l’immagine del presidente Segni e un titolo eloquente: «L’Italia che lavora chiede al capo dello stato un governo energico e competente che affronti subito con responsabilità la crisi economica e il malessere morale che avvelena la nazione»136. De Lorenzo, dopo aver parlato con Segni, incontra Moro e i vertici della DC: il contenuto della conversazione non verrà mai chiarito. Fatto sta che l’ex premier il 17 luglio torna al Quirinale e accetta la formazione di un governo molto meno riformista del precedente. Pietro Nenni, a cui si deve la celebre espressione «tintinnare di sciabole» riguardo al momento storico, scriverà su «L’Avanti!» del 26 luglio che «era apparsa l’alternativa di un governo di emergenza nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito»137. Sarà l’unico fugace accenno sul Piano Solo fino all’inchiesta di Jannuzzi. Alla prova dei fatti il Piano Solo, funzionando come spauracchio, aveva avuto completo successo: la minaccia del “tintinnare delle sciabole” servì a svuotare lo spirito dell'alleanza PSI-ala sinistra della DC e riportarla a idee più moderate. Un ammonimento sia per il presente sia per il futuro. Particolarmente rilevante la versione che ne dà Aldo Moro nel suo memoriale di 14 anni dopo: «Segni ottenne di frenare il corso del centrosinistra. L’apprestamento militare, caduto l’obiettivo 133 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 48. 134 Claudio Gatti, Rimanga tra noi. L’America, l’Italia, la questione comunista: i segreti di 50 anni di storia, Leonardo, Milano 1990, p. 73. 135 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 82. 136 Allegato n° 1. Si rileva che lo stesso settimanale in questione nel dicembre 1969, alla vigilia della strage di Piazza Fontana, pubblicherà una copertina simile. Una coincidenza piuttosto sinistra e inquietante. 137 Citazione in Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 83. 40 politico che era quello perseguito, fu disdetto dallo stesso capo dello Stato 138». Diverse storici infatti definiscono l’operazione di De Lorenzo e Segni come intentona, termine spagnolo che designa un colpo di stato usato a scopo di avvertimento per fini politici. Tra i due alla fine chi era il vero regista era proprio il capo dello stato che realizza una fine operazione politica che ha completo successo, motivo per cui definirlo “tentato golpe” è erroneo. Antonio Segni però il 7 agosto verrà colpito da una trombosi cerebrale mentre teneva un acceso colloquio con Moro e Saragat, all’epoca ministro degli Esteri, il quale gli avrebbe detto «Basta con queste prepotenze. So tutto del 14 luglio. C’è abbastanza per mandarti dinanzi all’Alta Corte»139.. Morirà il successivo dicembre e il 28 dicembre proprio Saragat sarà eletto presidente. Come detto in precedenza la vicenda verrà conosciuta dall’opinione pubblica nel 1967, la quale saprà in un sol colpo anche dell’illegale schedatura effettuata dal SIFAR negli anni precedenti. Nel processo intentato da De Lorenzo, Eugenio Scalfari e Livio Jannuzzi, direttore de “L’Espresso” e autore dell’inchiesta, furono condannati rispettivamente a 15 e 14 mesi di carcere. Tenuto dal p.m. Vittorio Occorsio, il processo vedrà la sconfitta della giustizia in nome della ragione di Stato. Tutti i colonnelli e i generali negheranno, evocando il segreto di stato e il silenzio. Jannuzzi e Scalfari eviteranno la galera grazie all’immunità parlamentare, in quanto eletti alla Camera nel 1968 con il PSI. La commissione d’inchiesta invece, istituita dal ministro della Difesa Tremelloni e presieduta dal generale Aldo Beolchini, sarà volutamente rapida e durerà appena tre mesi: tanta celerità per uno scopo ben preciso, ovvero eliminare qualsiasi responsabilità politica per scaricare De Lorenzo e i suoi sodali in un modo comunque morbido. Beolchini in realtà aveva fatto un lavoro onesto, accertando irregolarità gravissime, ma che non porterà a nulla. La sua relazione infatti, dalle 81 pagine iniziali, quando arriverà in parlamento ne contiene metà e senza nessuno dei 32 allegati che la completavano. Dirà anni dopo lo stesso generale: «L’inchiesta ha accertato vere e proprie malefatte e un costume politico inaccettabile. Erano e sono così trasparenti le personalità politiche compromesse che fa comodo che non si sappia nulla»140. Ridimensionando artificiosamente i fatti non si parlerà infatti di colpo di stato, definito irrealizzabile, ma di una «deviazione deprecabile» la cui responsabilità ricade esclusivamente sui capi del SIFAR. Un ruolo decisivo nell’insabbiamento lo svolge il premier Aldo Moro che con una marea di omissis nasconde le parti più 138 Francesco M. Biscione, Il delitto Moro. Strategie di un assassinio politico, Editori Riuniti, Roma 1998. p. 16. 139 Lino Jannuzzi, Complotto al Quirinale, “L’Espresso”, 14.05.1967, http://temi.repubblica.it/espresso- il68/1967/05/14/complotto-al-quirinale/?printpage=undefined 140 “Il Mondo”, 25.07.74, cit. in Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 79. 41 compromettenti dell’inchiesta, in modo particolare sul rapporto stilato dal generale Manes, con la classica scusa del segreto politico-militare: il potere come sempre fa quadrato e regola i conti al proprio interno. Qualche voce isolata provò ad innalzarsi ma senza esiti: il 29 gennaio del ‘68, Luigi Anderlini, esponente della Sinistra indipendente alla Camera lesse al premier parti del rapporto Manes senza gli omissis, al quale Moro reagì in maniera «scomposta, quasi isterica»141. Una reazione insolita per uomo di solito calmo, che evidentemente ha qualcosa da nascondere. Come detto la vicenda a livello processuale non porterà a nulla di concreto: De Lorenzo infatti era già stato ufficialmente destituito come capo di stato maggiore dell’Esercito il 15 aprile del 1967 nell’ambito dello scontro per i vertici militari con Aloia di cui si dirà meglio più avanti. Il generale sarà comunque eletto alla Camera tra le fila dei monarchici pochi mesi dopo. Gli oltre 150000 fascicoli illegali del vecchio SIFAR, sorprendentemente fino a un certo punto, non verranno subito distrutti ma collocati in una stanza blindata del SID. Sarà costretto ad ammetterlo Andreotti nel 1974, precisando che «le chiavi della stanza sono in possesso del ministro della Difesa e del capo di stato maggiore delle tre forze armate142», in quel momento Mario Tanassi ed Eugenio Henke. La distruzione arriverà a fine anni ‘80, non prima che Licio Gelli ne abbia portati parecchi con sé in Uruguay nella sua villa di Montevideo dopo averli ricevuti “in dono” nel 1967 all’ingresso nella P2 dell’ex comandante del SIFAR Allavena (tessera n° 505). 141 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 83. 142 “Il Mondo”, 20.06.1974. 42 Capitolo terzo: la strategia della tensione 3.1 Introduzione Negli anni ‘60 prende piede quel momento storico che è noto come strategia della tensione, un fenomeno complesso che innanzitutto non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa, per esempio la Germania Ovest. Nel nostro Paese però assume delle caratteristiche peculiari e raggiunge un livello di violenza che non ha eguali nel Vecchio Continente. In estrema sintesi la strategia vive una prima fase teorica (1960- 1965), una seconda di infiltrazione e propaganda (1966-1968) e una terza di stragismo vero e proprio (1969-1974). La data d’inizio del fenomeno la possiamo far coincidere con il convegno anticomunista tenuto a Parigi nel 1960 e la fine nel 1974 con la strage di Brescia. È chiaro che le due date sono per certi versi opinabili e discutibili, però per altri versi abbiamo dei dati certi: nel ‘60 inizia la teorizzazione di un anticomunismo, per così dire militante, e non è un caso che avvenga in Francia in contemporanea alla guerra d’Algeria. La fine della strategia della tensione invece viene posta nel ‘74: nel quinquennio precedente le varie stragi venivano sistematicamente attribuite a militanti di sinistra, dal ‘75 in poi i neofascisti rivendicheranno apertamente le proprie azioni, per quella che diventa una strategia del terrore e non della tensione. Il fenomeno del terrorismo più in generale in Italia durerà fino ai primi anni ‘80 con le ultime azioni delle Brigate Rosse, passando attraverso l’omicidio di Aldo Moro nel 1978 e tutto ciò che ha comportato. 3.2 Convegno sulla guerra rivoluzionaria Dal 18 al 22 febbraio 1962 a Roma si tenne un convegno organizzato da Suzanne Labin, politologa francese, e dai ministri dell’Interno Randolfo Pacciardi e Ivan Matteo Lombardo, dal titolo “La minaccia comunista sul mondo”. Aperto da un messaggio augurale del segretario della NATO Dirk Stikker143, vide la presenza di esponenti politici italiani e non solo di altissimo profilo: i ministri Guido Gonella (giustizia) e Giuseppe Spataro (trasporti), 8 ex ministri, il generale Bonelli (responsabile CASM), molti esponenti del Comitato Atlantico. Un convegno dal profilo atlantista e politicamente di centro, chiaramente anticomunista. La stessa Labin aveva organizzato in precedenza una conferenza dal tema pressoché uguale nel novembre del 1960 a Parigi, dal titolo «Conferenza internazionale sulla guerra politica dei soviet». Nel 1962 il Centro Alti Studi Militari144, insieme al nucleo “Guerra Psicologica” del SIFAR di cui era responsabile Adriano Magi Braschi, produce il testo «La guerra 143 Aldo Giannuli, op. cit., p. 49. 144 Il CASM, oggi CASD, è il massimo organo di formazione degli ufficiali delle forze armate. 43 psicologica nel campo nazionale e nel quadro dell’Alleanza Atlantica. Sua organizzazione negli aspetti difensivo e offensivo»145, firmato dai generali di Esercito, Marina e Aviazione. In estrema sintesi questi i principali argomenti: il dominio sovietico non è più militare ma politico e ideologico ovvero psicologico, la classe governante è cieca e inadeguata, è perciò imperativo agire subito per arrestare l’infiltrazione dei comunisti, rei di essersi «posti contro la legge», con «operazioni psicologiche a carattere difensivo ma anche offensivo». L’anno dopo Pino Rauti, come detto in strettissimo contatto con gli alti ambienti militari, scrive non a caso sulla rivista di ON che «bisogna impostare in termini diversi la battaglia anticomunista», in quanto è venuta l’ora di applicare «le nuove tecniche della guerra rivoluzionaria»146. L'opera appena citata anticipa di tre anni alcuni dei temi che verranno affrontati tra il 3 e il 5 maggio del 1965 all’Hotel Parco dei Principi a Roma, dove si tenne a il famigerato “Convegno sulla guerra rivoluzionaria”. Organizzato dall’Istituto di studi militari e storici Alberto Pollio, ebbe come organizzatori i giornalisti di estrema destra Enrico De Boccard, Giancarlo Finaldi ed Edgardo Beltrametti. Dietro di loro la mente occulta era il capo di stato maggiore della Difesa Giuseppe Aloia, del quale Beltrametti era informatore e collaboratore, mentre il SIFAR e in particolare l’Ufficio REI del colonnello Renzo Rocca fece da finanziatore. Al convegno tennero degli interventi personalità come i giornalisti di estrema destra Pino Rauti, Giorgio Pisanò, Giano Accame e Guido Giannettini o addirittura ex comunisti come Renato Mieli, militari come il colonnello Adriano Magi Braschi e il generale Osvaldo Roncolini, l’ex ministro Ivan Matteo Lombardo e padre Roberto Brusa, responsabile dell’ufficio guerra psicologica dei gesuiti. Tra i partecipanti Carlo Maria Maggi, gli studenti Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, convocati appositamente insieme ad altri 18 giovani universitari neofascisti per condurre future ricerche. La maggior parte di questi saranno i protagonisti della stagione di sangue degli anni successivi. Magi Braschi farà rapporto, riferendo di aver partecipato in borghese al convegno «per ordine di S.E. il capo di stato maggiore dell’esercito»147. I lavori del convegno si articoleranno principalmente sulle relazioni tenute da Giannettini, De Boccard e Beltrametti che di seguito saranno approfondite. Quello che succede nel 1965 non poteva essere avvenuto senza la premessa del 1962 di cui poco fa si è fatto menzione, in quanto vengono in questo momento tradotte a livello italiano le istanze internazionali. La conferenza tenuta in quei tre giorni è un momento storico di assoluto rilievo: il Deep State che prende il nome di partito del 145 Aldo Giannuli, op. cit., p. 148 e seg. 146 Ordine Nuovo, giugno 1963, cit. in Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 115. 147 Aldo Giannuli, op. cit., p. 179. 44 golpe definisce concretamente il paradigma della strategia italiana dell'eversione e del terrorismo. Al Parco dei Principi c’erano parecchi uomini dell’estrema destra, quattro anni prima di centro: c’è una netta scala gerarchica che vede questi ultimi sempre davanti agli intransigenti neofascisti che saranno manovalanza “usa e getta” nelle azioni violente. Inizia la strategia della tensione propriamente detta, una guerra psicologica che fino al 1974 consisterà in estrema ratio nel far scoppiare ordigni e attribuirne la colpa alla sinistra. Poi la strategia cambia e si tramuta in un attacco diretto allo stato. L’assunto fondativo del convegno era che una terza guerra mondiale era già in atto, non nelle forme classiche ma secondo procedimenti inediti sperimentati dai comunisti su scala mondiale. La relazione infatti si apre così: Se volgiamo lo sguardo attorno a noi, vicino e lontano, constatiamo l'estensione e la globalità delle iniziative comuniste in tutto il mondo. Per quanto riguarda l'Italia dobbiamo anche aggiungere che l'iniziativa comunista si estende a quasi tutti i settori della vita pubblica e la sua infiltrazione ha carattere galoppante. In questo quadro sta la ragione per cui il primo convegno di studio promosso dall'istituto Alberto Pollio di studi storici e militari ha destato un vasto interesse, riconoscendo che la guerra, la terza guerra mondiale, è già in atto. Gli organizzatori del convegno si proponevano appunto di promuovere lo studio critico della guerra rivoluzionaria, cioè dell'offensiva planetaria del comunismo, avendo lo scopo di denunciare l'estensione e l'urgenza del pericolo che essa rappresenta e di cercare i mezzi più idonei per un'efficace difesa. Vi è quindi la speranza che le idee enunciate e i suggerimenti proposti durante il primo convegno possano essere accolti e sviluppati e che possano essere di sprone a qualche pratica iniziativa.148 Al convegno si tocca un discorso fondamentale, il quale come s'è già visto appare nei documenti americani fin dal 1948 (dottrina Truman): i comunisti in Italia non possono governare. È questo il nocciolo duro attorno al quale per mezzo secolo ruota l’attività di strutture militari e organizzazioni occulte. Lo dice in maniera palese Enrico De Boccard nella sua relazione intitolata “Lineamenti e interpretazione storica della guerra rivoluzionaria”: «Qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, come per esempio inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora penetrare in un gabinetto ministeriale, costituirebbe un atto di aggressione talmente grave da rendere necessaria l’attuazione di un piano di difesa totale. Vale a dire l’intervento diretto delle Forze Armate»149. Beltrametti nel suo “La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti; accenni ad una prasseologia per la risposta” afferma chiaramente che i nostri sistemi democratici sono inadeguati a contrastare il comunismo e l’unica risposta possibile è 148 Edgardo Beltrametti (a cura di), La guerra rivoluzionaria. Atti del primo convegno di studio promosso e organizzato dall'istituto Alberto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma 1965, p. 9. 149 Ivi, p. 42. 45 radicalizzare la lotta. In che modo? Creando «gruppi permanenti di autodifesa che sappiano contrastare la penetrazione avvolgente, clandestina o palese, della guerra rivoluzionaria e non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l'energia e la spregiudicatezza necessarie»150. Particolarmente significativo l’intervento di Guido Giannettini, uomo in contatto da tempi con servizi stranieri151, che nella relazione “La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria” specifica come il terrorismo possa essere o indiscriminato o selettivo. Il primo consiste in ordigni fatti esplodere in uffici, locali pubblici o strada, il secondo invece eliminando determinati uomini per una certa serie di motivi. Emerge così, in modo profetico, «la suddivisione dei compiti che i due terrorismi, “nero”, e “rosso” sembrano essersi assegnati negli anni settanta152», i primi colpendo nel mucchio indistintamente (strage) mentre i secondi con obiettivi precisi (attentato). Per Giannettini inoltre siamo agli sgoccioli: «Attenzione è tardi, molto tardi. Siamo arrivati agli ultimi cinque minuti153». È ora di muoversi. Ultimo, ma forse più importante di tutti gli altri, l’intervento del professore Pio Filippani Ronconi154 che propone un piano di contrattacco articolato su tre livelli in “Ipotesi per una controrivoluzione": 1. primo piano composto da individui capaci di compiere solo azioni passive ma comunque buoni per una conta; 2. secondo piano composto da ex militari, membri di associazioni d’arme e irredentistiche adatti a compiere azioni di pressione come manifestazioni in difesa dello stato. Questi dovrebbero affiancare come difesa civile le forze dell’ordine nel caso di rivolte di piazza; 3. terzo piano altamente qualificato e in pieno anonimato composto da «nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contro terrore e di rotture eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere. Questi nuclei, ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti «in parte da quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio 150 Ivi, pp. 57 e seg. 151 Giannettini nel 1962 aveva tenuto una lezione ai Marines ad Annapolis, cfr. L’Europeo, 11. 07.1974; inoltre aveva rapporti dai primi anni ‘60 sia con la Legione Portoghese che l’Aginter Press. 152 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 170. 153 Eggardo Beltrametti (a cura di), op. cit., p. 152. 154 Si tratta di una figura decisamente curiosa. Volontario nelle SS italiane durante la guerra, in seguito è professore di indologia ed esoterista. 46 ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative, che non riescono a scuotere l'indifferenza della massa»155. L’intervento di Ronconi è rilevante perché nello specifico preannuncia la formazione dei Nuclei di difesa dello stato (NDS) che, come a breve si vedrà, si formeranno dal 1966, un anno dopo il convegno di Roma e più in generale il piano che propone si potrà facilmente identificare negli atti terroristici del prossimo futuro. Terminati i lavori, gli atti del convegno saranno raccolti nel volume “La guerra rivoluzionaria” che più volte è stato citato in queste pagine. Copie dell’opera saranno inviate tra gli altri al capo della polizia Ciro Vicari, a Junio Valerio Borghese e a Gilberto Bernabei156, segretario di Andreotti. 3.3. L’Aginter Press L’intervento di Giannettini di cui si è fatto poc’anzi menzione, riprende temi già visti, per la precisione nel 1961 con l’appello ai francesi dell’OAS nel quale si leggeva testualmente: «Non c’è più un minuto da perdere. Ciascuno deve decidere perché con il comunismo internazionale non è possibile alcuna neutralità. Nessuno può ormai sperare di restare fuori dalla lotta. Non esiste altra via di salvezza che nell'ordine nuovo». L’OAS, una delle strutture Stay Behind attive in Europa seppur responsabile di oltre 2500 morti in Algeria, finisce ufficialmente nel 1962 ma la lotta al comunismo per un uomo in particolare deve continuare. Si chiama Yves Guillou, è un ex legionario e oltre che in Algeria ha combattuto in Corea e Indocina. Conosciuto con i nomi in codice Guérin-Sérac e Ralf, trova una nuova casa in Portogallo, all’epoca governato dal dittatore Antonio de Oliveira Salazar. Qui fonda, ufficialmente nel 1966, l’agenzia stampa internazionale nota come Aginter Press. Quest’ultima in realtà fungeva da copertura per la vera attività di Guérin-Sérac, il quale con la collaborazione del PIDE (servizio segreto portoghese) e della CIA aveva organizzato «una specie di lavanderia internazionale per sbiancare il nero delle efferate imprese di bande terroristiche e ribaltarne le responsabilità politiche»157. Guérin-Sérac, abbandonata l’attività terroristica e avvicinatosi a movimenti neotemplari ed esoterici, muore il 9 marzo del 2022 in una casa di cura in Provenza158 dopo essere stato latitante per decenni. L’Aginter Press, internamente comprendente anche una struttura quasi esoterica nota come Ordre e Tradition, era in estrema sintesi: 155 Edgardo Beltrametti (a cura di), op. cit., p. 242 e seg. 156 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 94. 157 Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano non ti farebbe mai leggere, p. 62. 158 Andrea Sceresini, Le trame nere di Guerin Serac, ilmanifesto.it, 20.08.2022, https://ilmanifesto.it/le-trame-nere-di- guerin-serac 47 1. un’agenzia di stampa e propaganda per la diffusione di idee e programmi anticomunisti; 2. un’agenzia di reclutamento e addestramento per mercenari, terroristi e sabotatori; 3. una centrale di spionaggio legata a diverse agenzie nazionali; 4. un centro strategico per operazioni di intossicazione politica e provocazione tramite l’uso di infiltrati. Il programma ad ampia prospettiva dell’agenzia ci è oggi noto grazie a un documento datato 1968 e pubblicato sul settimanale “L’Europeo” nel 1974, appena dopo la caduta del regime portoghese, del quale vengono qui riportati i punti salienti. Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire l'installazione del caos in tutte le strutture del regime. È necessario cominciare a minare l'economia dello Stato per giungere a creare confusione in tutto l'apparato legale. [...] Questo porterà a una situazione di forte tensione politica, di paura nel mondo industriale, di antipatia verso il governo e verso tutti i partiti: in questa prospettiva deve essere pronto un organismo efficace capace di riunire attorno a sé gli scontenti di ogni classe sociale: una vasta massa per fare la nostra rivoluzione. [...] A nostro avviso la prima azione che dobbiamo lanciare è la distruzione delle strutture dello Stato sotto la copertura dell'azione dei comunisti e dei filocinesi. Noi, d'altronde, abbiamo già elementi infiltrati in tutti questi gruppi; su di loro dovremo evidentemente adattare la nostra azione: propaganda ed azioni di forza che sembreranno fatte dai nostri avversari comunisti e pressioni sugli individui che centralizzano il potere ad ogni grado. Ciò creerà un sentimento di antipatia verso coloro che minacciano la pace di ciascuno e della nazione; d'altra parte ciò peserà sull'economia nazionale 159. Gli elementi dell’eversione nera italiana ebbero costanti e continui contatti con la pseudo agenzia e il suo direttore per un decennio: Guido Giannettini, negli interrogatori del 1991, confessò di aver incontrato Guérin-Sérac già nel 1964, un anno prima del convegno. Il leader ordinovista Clemente Graziani, nel suo saggio “La guerra rivoluzionaria” pubblicato sul Quaderno n. 1 del gruppo, così scriveva: «Per la conquista totale delle masse la dottrina della guerra rivoluzionaria prevede il ricorso a forme di terrorismo spietato e indiscriminato. Si tratta di condizionare le folle non solo attraverso la propaganda ma anche agendo sul principale riflesso innato: la paura, il terrore[...] Questo concetto implica ovviamente la possibilità di uccidere, o far uccidere, vecchi, donne e bambini. Queste forme di intimidazione terroristica sono oggi non solo ritenute valide ma a volte assolutamente necessarie»160. I rimandi al manifesto programmatico dell’Aginter Press sono evidentissimi e permettono di rivelare una comune strategia, un comune sentire. Attenzione però: l’origine di tali strategie va cercata altrove, in «elevati centri studi di elevata qualificazione che nulla 159 Vincenzo Vinciguerra, Stato di emergenza. Raccolta di scritti sulla strage di Piazza Fontana, lulu.com, 2014, p. 120. 160 Ordine Nuovo, Quaderno n. 1, cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 38. 48 hanno a che vedere con il talora infantile estremismo nostalgico degli aderenti ai nominati gruppi161». Il punto di partenza è, come da prassi, oltreoceano, nel piano di destabilizzazione europea che rientrava nel più vasto «Piano Chaos». Si tratta del piano americano nato negli ambienti della CIA a metà anni ‘60 per colpire il movimento pacifista e poi allargato su scala globale, la cui finalità sono semplici: destabilizzare i paesi europei alleati per stabilizzarne la dipendenza dalla NATO162. Le assonanze con il già citato Field Manual 30-31 sono talmente palesi che ogni discorso aggiuntivo sarebbe superfluo. Secondo diverse testimonianze, tra cui quella dell’ex avanguardista Paolo Pecoriello, membri di alto livello dell’agenzia nel periodo delle stragi erano in Italia con una certa frequenza. Pecoriello infatti affermò di aver partecipato a un corso sulla preparazione degli esplosivi nel 1966, tenuto da un certo “Jean”, rivelatosi poi Jean-Marie Laurent, numero due dell’agenzia. Esponenti di ON, a loro volta, si recarono in Spagna per seguire corsi di addestramento163. L’Aginter Press, come già detto, si occupava anche di infiltrazione: Robert Leroy, ex Waffen SS e braccio destro di Serac, aveva organizzato gruppi filocinesi a Torino e Aosta nel medesimo periodo in cui Mario Merlino fonderà il circolo anarchico “22 marzo”. L’Aginter Press si può quindi dire che ha avuto una non indifferente capacità ispiratrice degli attentati in Italia in quanto uno dei suoi fini è stabilire un protocollo d’intervento che poi veniva adattato alla situazione del singolo Paese. I nostri servizi sapevano dell’Aginter Press? La risposta è piuttosto ovvia. L’UAARR ha un proprio informatore in zona, il giornalista Armando Mortilla alias Aristo, che informa i piani alti di come sotto la copertura di un’agenzia giornalistica vi sia una «potente organizzazione di estrema destra internazionale che ha come obiettivo la lotta al comunismo in qualunque parte del mondo164». Di contatti in Italia ovviamente nessuna menzione nonostante sarà lo stesso Aristo a favorire gli incontri tra i vertici dell’agenzia e Pino Rauti nel 1967-68. 3.3 Dalla teoria alla pratica Appena dopo il convegno dell’Istituto Pollio scatta la prima azione pratica di intossicazione politica, ovvero l’operazione “manifesti cinesi”. Nel 1965 vengono affissi un po’ in tutta Italia manifesti firmati da fantomatici movimenti filocinesi inneggianti alla Cina maoista che volevano staccarsi dal PCI. Responsabile della loro scrittura era Giuseppe Bonanni, giornalista del quotidiano “Il Borghese”, nell’ambito 161 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 39. 162 Aldo Giannuli, op. cit., p. 116. 163 Commissione Stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02.1997. 164 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 119. 49 di un’operazione orchestrata dal direttore della testata Mario Tedeschi e dall'UAARR di Federico Umberto D’Amato. Furono coinvolti nell’affissione giovani neofascisti come Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino a Roma e Delfo Zorzi in Veneto. In particolare l’operazione promossa da quest’ultimo e dal gruppo veneto di ON che faceva riferimento al dottor Carlo Maria Maggi avvenne a Mestre ma in un momento leggermente successivo, ovvero il 1968 secondo la testimonianza di Martino Siciliano165. Nello stesso periodo un’analoga operazione la svolse Paolo Pecoriello a Terni, il quale con altri neofascisti imbrattò le chiese della città con falci e martello e scritte blasfeme. Molto interessante cosa dirà anni dopo sull’operazione lo stesso Delle Chiaie davanti alla commissione parlamentare nel 1987: avvicinato dal già citato Bonanni, il quale si presentò come esponente di un gruppo di «camerati restati in contatto fra loro dopo la seconda guerra mondiale», decide con gli altri giovani di accettare la sua proposta di diffondere i manifesti. L’operazione, che passava attraverso il Ministero degli Interni, «era finanziata dalla CIA»166. Riguardo che cosa fosse la struttura di Bonanni riportata da Delle Chiaie c’è da un lato parecchio buio (che cos’era? chi vi faceva parte?) ma dall’altro vi è una conferma che in Italia c’erano all’epoca più di una Stay-Behind. In ogni caso l’operazione creò divisioni all’interno della sinistra e impaurì l’opinione pubblica. L’operazione manifesti cinesi è ritenuta in modo unanime dagli storici la prima manovra tangibile della strategia della tensione, nella quale si possono vedere messe in pratica i principi dell’Aginter Press. Nel gennaio del 1966167 vengono riformati i servizi segreti e le forze armate italiane, un aggiornamento generale voluto dal ministro della Difesa Andreotti. Il vecchio SIFAR, prossimo a essere travolto dagli scandali di cui si è detto, viene sostituito dal SID (Servizio Informazioni Difesa), alla cui guida viene posto l’ammiraglio Eugenio Henke. Diversi comandanti cambiano squadra: Aloia è il nuovo capo dello stato maggiore della difesa, De Lorenzo lo va a sostituire al comando dell’esercito, lasciando il posto alla guida dei carabinieri a Carlo Ciglieri, il quale come si è visto non farà una bella fine. Il nuovo servizio segreto militare, pur essendo posto alle dirette dipendenze di Aloia, è plenipotenziario: è autorizzato a «svolgere qualsiasi indagine per la sicurezza dello stato nei confronti di qualsiasi potenziale o supposta minaccia interna»168. Il nuovo ordinamento dei servizi segreti è in ogni caso molto di facciata e poco reale, tanto che infatti il SID iniziò le attività il 1° luglio con una banale circolare del ministero della difesa169, retto da febbraio dal socialista Roberto Tremelloni. 165 S.O. Salvini, 1998, p. 174 e seguenti. 166 Commissione Parlamentare Monocamerale sulle stragi in Italia, Resoconto audizione Delle Chiaie, 09.04.1987. 167 Gazzetta ufficiale n° 11 del 15.01.1966. 168 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 105. 169 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, pp. 91-92 50 È in questo clima che di lì a poco vede la luce un opuscolo, dal titolo «Le mani rosse sulle forze armate», scritto da tale Flavio Messalla. Uno pseudonimo dietro il quale si celavano Rauti, Giannettini e Beltrametti, lautamente pagati da Aloia per la pubblicazione di tale volumetto che sarà poi rapidamente ritirato dalla circolazione dopo un pagamento milionario al SID170. In esso veniva duramente attaccato De Lorenzo, dal 1° febbraio passato alla guida dell’esercito, etichettato come neutralista e per tale motivo colpevole nell’infiltrazione dei comunisti nelle forze armate. Aloia invece, vittima di una campagna diffamatoria dagli ambienti fedeli all’ex comandante dei carabinieri, era lodato per aver introdotto i corsi di ardimento nelle caserme. Si segnala che uno dei promotori di detti corsi era il tenente Adriano Magi Braschi, uno dei relatori del convegno dell’Istituto Pollio: i corsi appaiono perciò «la realizzazione pratica delle teorizzazioni prodotte durante il convegno171». Proprio in concomitanza con la diffusione del libretto venivano spediti agli ufficiali dell’esercito e della polizia dei volantini, firmati “Nuclei per la Difesa dello Stato”172, nei quali venivano esortati a combattere «la sovversione interna». Due domande sorgono spontanee: innanzitutto chi ha spedito i volantini? Il centro di controspionaggio di Padova in una nota al SID indicava come responsabili Pino Rauti e Giulio Maceratini173, si scoprirà anni dopo che vi hanno collaborato anche due personaggi per ora ignoti ai più, Giovanni Ventura e Franco Freda. Un fatto di rilievo, perché i due poco più che ventenni, erano quindi «già in contatto con il gruppo Rauti-Giannettini, installatosi nel SID per segnalazione dello stato maggiore e che per conto di questo gruppo spedirono i manifestini dei Nuclei di difesa dello stato174». In secondo luogo cosa sono questi Nuclei? A lungo si è ritenuto fossero una struttura parallela simile a Gladio, ramificata in 36 legioni su tutto il territorio nazionale e collegata all’esercito, attiva dal 1966 al 1973. Secondo Carlo Digilio consistevano Nell'approntamento di gruppi di civili destinati ad affiancare, in caso di necessità e come supporto, le strutture militari ufficiali. [...] Erano formate da persone che si erano tenute sempre in contatto con l'Esercito, come ex sottufficiali, ex Carabinieri, ex combattenti delle varie Armi e costituivano dei piccoli plotoni che facevano addestramento anche con militari in servizio. [...] Il suo fine era la difesa del territorio in caso di invasione e se necessario aveva anche compiti anti insurrezionali in caso di sommosse da parte di comunisti. [...] Questa struttura seguiva la linea ortodossa della NATO175. 170 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 126. 171 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, Editori Riuniti, 1996, p. 42. 172 Allegato n° 3 in appendice. 173 Aldo Giannuli, op. cit., p. 183. 174 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 132. 175 S.O Salvini, 1995, p. 272. 51 Il professor Aldo Giannuli, consulente tecnico di varie procure, afferma però di non aver trovato nessun indizio nei vari archivi consultati (UAARR, SISDE, SIOS, ecc.) sull’esistenza di tale struttura, né di organigrammi o elenchi. La sua ipotesi è che i NDS non siano stati un’organizzazione ma piuttosto un’operazione, in quanto non sarebbero altro che «gli apparati militari di diversi gruppi dell’estrema destra, cooptati nel sistema organizzativo del servizio militare»176. Un’ipotesi plausibile perché di fatto racchiude il discorso tenuto dal professor Ronconi al convegno del Pollio nel 1965, il quale come si visto poc’anzi parlava di creare dei nuclei «composti in parte da quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative». Sempre nel 1966 viene attuata sul suolo friulano, dal 15 al 24 aprile, la più vasta esercitazione militare sul suolo europeo del dopoguerra: l’Operazione Delfino. Si trattò di un’enorme esercitazione nella quale gli appartenenti a Gladio simulavano un’invasione delle truppe jugoslave, al quale rispondevano con la controinsorgenza: venivano effettuate azioni violente, per esempio contro il clero, la cui responsabilità veniva fatta ricadere sugli avversari. Sarà un cliché che la storia italiana vedrà spesso: le stragi di Piazza Fontana (12.12.1969), Peteano (31.05.1972) e questura di Milano (17.11.1973) saranno tutte attribuite a persone di sinistra/anarchiche. Inoltre, fatto particolare, tale esercitazione sarà svolta da un servizio che ormai non esiste più: il SIFAR era stato sostituito dal SID a inizio anno ma il nuovo servizio segreto sarà operativo dal 1° luglio. È quindi nei mesi in mezzo, in una “terra di nessuno” che avviene l’Operazione Delfino. 3.4 Guido Giannettini Due righe di approfondimento sono necessarie per inquadrare la figura di Giannettini, una persona che si autodefinisce «contro la democrazia. Sono fascista, da sempre. Meglio, sono nazifascista. Uomini come me lavorano perché in Italia si arrivi a un colpo di Stato militare. O alla guerra civile»177. Quattro mesi dopo il convegno del Parco dei Principi il generale Aloia in persona lo ringrazierà per lo studio svolto, in quanto «la sua opera merita di essere conosciuta e meditata da tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia e delle sue istituzioni»178. Il 18 aprile del ‘66 viene ufficialmente assunto dal SID179, nello specifico nel reparto R (spionaggio estero) e come si è appena visto sarà uno dei curatori del libello “Le mani rosse sulle forze armate”. Come riconoscimento passerà al reparto D (controspionaggio) con uno 176 Aldo Giannuli, op. cit., p. 185. 177 Al servizio del SID pure chi tramava contro la Repubblica, “l’Unità”, 21.06.1974. 178 Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio. 179 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 125. 52 stipendio aumentato uno che si vantava di appartenere a uomini che «lavorano perché in Italia si arrivi a un colpo di stato militare». Ma da dove arriva costui? Nel 1962 aveva tenuto un corso di tre giorni ad Annapolis (Maryland) per le forze americane dal titolo emblematico «Tecniche e possibilità di colpo di stato in Europa»180. La sua attività all’interno del SID viene giudicata negativamente dai vari ufficiali interrogati dai giudici nell’ambito dei vari processi in cui Giannettini stesso era coinvolto, quasi come una strategia comune per ridimensionare il suo operato all’interno dei servizi segreti. Eppure lui stesso ha dichiarato di aver spesso rappresentato l’esercito italiano se non addirittura il governo in ambienti internazionali181. Un esempio su tutti: nel settembre del ‘69 è insieme a Rauti alla scuola di guerra psicologica della Bundeswehr a Euskirchen182. Siamo di fronte a un personaggio molto potente, in contatto con ambienti internazionali che vanno oltre il semplice SID, altrimenti non si spiegherebbe tutta la storia della sua latitanza pagata dopo Piazza Fontana e il lunghissimo silenzio prima di rivelare che fosse un agente dei servizi segreti. Come si vedrà sarà Andreotti, una coincidenza curiosa, a svelarlo con un’intervista a un settimanale nel ‘74: un fatto che già di per sé dovrebbe quantomeno far riflettere e di cui se ne riparlerà più avanti. La figura di Giannettini permette una riflessione su un certo tipo di personaggio più o meno ricorrente in quegli anni: il giornalista-informatore. Luigi Cavallo, Lando Dell’Amico o Giorgio Zicari sono solo alcuni dei funzionari d’appoggio ai servizi segreti che hanno sguazzato per anni nel fango tra eversione, mondo politico ed economico. Sia ben chiaro: sono solo alcuni in quanto di molti altri si ignorerà forse per sempre l’esistenza poiché inseriti a livelli talmente alti da renderne complicata solo l’identificazione. 3.5 Golpe in Grecia, perché non uno da noi? È necessario per un breve istante alzare la visuale oltre i confini nazionali e guardare alla Grecia. Qui il 21 aprile 1967 avviene il famoso putsch di colonnelli che, guidati da Georgios Papadopoulos, prendono il potere e costringono il re Costantino II all’esilio. Inizia così la dittatura dei colonnelli, un colpo di stato sul quale l’ombra dei servizi americani è palesemente visibile: il golpe viene infatti realizzato con il cosiddetto “Piano Prometeo”, uno dei piani di controinsorgenza teorizzati una quindicina d’anni prima dalla NATO183. Dato che le coincidenze non esistono giusto in quel periodo la Continental Bank di Illinois, di proprietà di un siciliano di nome Michele Sindona, aveva girato un prestito di 4 milioni di dollari a un’impresa edile controllata dallo 180 Scheda di Guido Giannettini, archivio900.it, http://www.archivio900.it/it/nomi/nom.aspx?id=1557 181 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 165. 182 Indagini del governo tedesco sulle armi ai fascisti italiani, “l’Unità”, 27.10.1974. 183 Aldo Giannuli, op. cit., p. 293. 53 stesso Papadopoulos184. Nato nel 1920 a Patti in provincia di Messina, Michele Sindona aveva costruito dal nulla un impero finanziario grazie senza dubbio a una capacità finanziaria brillante ma agevolata dal ricorso a mezzi più o meno leciti, all’aiuto del Vaticano e della mafia. Amico personale già all’epoca del futuro presidente americano Richard Nixon, sarà sempre uno dei principali finanziatori dei gruppi anticomunisti in Italia. Membro della P2, è coinvolto negli anni successivi nelle torbide vicende dello IOR e del crack del Banco Ambrosiano, con l’omicidio di Giorgio Ambrosoli e il “suicidio” di Roberto Calvi. Sindona è un esponente del secondo livello della strategia della tensione, quello che agisce a livello principalmente finanziario e industriale, non sporcandosi direttamente le mani. Sotto ci sono i terroristi, come già ripetuto utili per un certo periodo di tempo e scaricabili una volta esaurito il compito, mentre sopra di lui ci sono gli esponenti politici. La carriera di Sindona una volta arrivata al suo apogeo avrà un crollo verticale totale che lo porterà a una condanna innanzitutto per bancarotta fraudolenta e poi all’ergastolo nel 1986 per la vicenda Ambrosoli: due giorni dopo la condanna Sindona muore nel carcere di Voghera dopo aver bevuto un caffè avvelenato al potassio in circostanze ovviamente mai chiarite. Tornando al 1967 un mese prima del golpe greco si era tenuto ad Abbiategrasso (MI) un congresso del Nouvel Ordre Européen (NOE), movimento internazionale di estrema destra nato nel 1951 con cui da tempo erano in contatto sia Rauti gli ordinovisti sia Delle Chiaie. Vi partecipa questa volta un personaggio singolare, Robert Leroy dell’Aginter Press, del quale già si è fatta menzione. Dirà anni dopo che ad Abbiategrasso «Si è parlato di presa del potere e si è arrivati alla conclusione che l'Italia fosse pronta per una dittatura. Personalmente sostengo che l'Italia potrebbe essere risollevata dalle disastrose condizioni economiche e sociali in cui si trova con un putsch militare»185. Leroy conosce bene i leader di ON e AN ma anche Valerio Borghese186. La situazione complessiva si sviluppa favorevolmente a progetti di questo genere: è proprio in questo periodo infatti che il generale Vito Miceli, viene nominato nuovo capo del servizio segreto dell’esercito, il SIOS-Esercito. Nato a Trapani nel 1916, durante la guerra era stato impegnato nei combattimenti in Etiopia e, seriamente ferito, era stato fatto prigioniero in India. Di simpatie non troppo velatamente fasciste, è stato poi allievo del NATO Defense College e arriva da esperienze come addetto militare a Parigi e Bonn187. Sarà Miceli a fare da elemento di contatto tra le varie istanze coinvolte nella strategia della tensione e non a caso è 184 Jack Greene e Alessandro Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Mondadori, Milano 2008, p. 226. 185 Sandro Ottolenghi, “L’Europeo”, 04.07.1974. 186 Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 143. 187 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 371-372. 54 membro della P2. Qualche anno più tardi emergerà che era utilizzato dagli americani per finanziare l’estrema destra: per esempio l’11 febbraio del ‘72 riceverà più di otto milioni di dollari dall’ambasciatore statunitense Graham Martin188. 188 Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 130. 55 Capitolo quarto: chi è Junio Valerio Borghese? 4,1 Giovinezza e primi anni di servizio Prima di procedere ulteriormente nella ricostruzione storica è necessario mettere a fuoco la figura di Borghese, un atto necessario per capire i fatti del dicembre 1970. Junio Valerio Borghese, all’anagrafe Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei Principi Borghese, nasce ad Artena il 6 giugno 1906, secondo dei quattro figli del Principe Livio Borghese e di Valeria Keun. Apparteneva alla nobile famiglia dei Borghese, principi di Sulmona, signori di svariate città in passato e storico casato romano. Vi apparteneva Papa Paolo V, al secolo Camillo Borghese (1552-1621). Junio Valerio decide di entrare in Marina e nel 1922 viene ammesso ai corsi della Regia Accademia Navale. Termina l’Accademia sei anni dopo con il grado di guardiamarina e nel giro di pochi mesi scala le gerarchie militari. Nel 1937 assume il comando del sommergibile Iride nella guerra civile spagnola, distinguendosi tanto da meritare la medaglia di bronzo al Valor militare. Proseguì la sua carriera al comando di sommergibili negli anni seguenti fino all’entrata in guerra dell’Italia. 4.2 Seconda Guerra Mondiale Promosso capitano di corvetta nel 1940, fu designato al reparto incursori della 1^ Flottiglia MAS e al comando del sommergibile Scirè. A ottobre, scoperta la presenza della corazzata inglese HMS Barham a Gibilterra, Borghese si diresse lì con il suo sommergibile e nonostante l’operazione militare nel complesso fallì, fu premiato il 2 gennaio del 1941 con la medaglia d’oro al Valor militare. Il 15 marzo del ‘41 viene ufficialmente formata la X Flottiglia MAS (Motobarca Armata Silurante): a guidarla il capitano di fregata Vittorio Moccagatta, a Borghese era affidato il comando dei mezzi subacquei. A luglio la flotta tentò l’assalto alla base inglese di Malta ma si concluse in un disastro totale: tutti gli incursori furono intercettati, Moccagatta fu ucciso e il comando passò ad interim a Borghese. A settembre si organizzò una nuova missione a Gibilterra, la quarta per la precisione, terminata con l’affondamento di due navi cisterna inglesi e il grave danneggiamento di una motonave armata. Borghese per questi motivi fu promosso capitano di fregata. Galvanizzata dal successo, la X MAS a dicembre attaccò il porto di Alessandria d’Egitto: furono danneggiate gravemente le corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth e altre due navi britanniche. L’operazione passò alla storia come “L’Impresa di Alessandria” e Borghese fu nominato Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. In seguito lasciò il comando dello Scirè e si incontrò più volte con l’ammiraglio Karl Donitz, Oberbefehlshaber della marina nazista, per pianificare un possibile attacco al porto di New York. 56 4.3 La X MAS Il 1° maggio del 1943 Borghese assunse ufficialmente il comando della X MAS ma la caduta di Benito Mussolini il 25 luglio cambiò tutti i programmi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre Borghese radunò gli uomini che non erano scappati dalla caserma di La Spezia e prima ancora della nascita della RSI strinse un accordo personale con le forze tedesche. In pratica la Decima combatteva come corpo franco sotto formale giurisdizione della Wehrmacht: era in gergo tecnico un Freikorps. Il gruppo di Borghese da marino diventa anche un reggimento di terra, uno dei tanti operativi nel nord Italia nel periodo ma con una caratteristica da tenere in conto: era l’unico corpo nella RSI che non aveva il fascio sulle mostrine ma la scritta X MAS in caratteri romani189. Questo dettaglio permette di inquadrare meglio la figura di Borghese che non è un banale caporione fascista ma qualcosa di diverso: prima di tutto è un patriota, filomonarchico innanzitutto e poi fedele al Duce in seconda battuta. Non a caso uno degli ufficiali a lui più vicini è Aimone di Savoia, duca d’Aosta. In ogni caso la MAS inglobò in breve tempo forze di vario genere, contando al momento di massima potenza circa 20000 elementi. Aveva un'autonomia totale di manovra e reclutava volontari di ogni genere, i quali non erano tenuti a prestare giuramento alla RSI190. Tale libertà non piaceva a tutti e sarà uno dei motivi che porterà Borghese in persona ad essere arrestato per un breve periodo tra. Le accuse a Borghese erano varie: innanzitutto dall’antifascismo ad aver avuto contatti con partigiani e alleati, passando persino ad aver pronto un piano per rovesciare il Duce. Sarà scarcerato dopo una decina di giorni sebbene la seconda voce alla lunga si dimostrerà veritiera. Fino allo scioglimento del corpo avvenuto il 26 aprile 1945, la X MAS sarà protagonista di operazioni sia contro gli americani, per esempio nel fronte di Anzio, sia contro i partigiani. Nello specifico gli uomini della Decima si macchiarono dei consueti crimini di guerra: torture, fucilazioni sommarie, rappresaglie e saccheggi. Ma c’era comunque un atteggiamento quantomeno ambiguo: erano note le trattative tra il CLN (Comitato Liberazione Nazionale) e Borghese fin dall’estate del ‘44 e nello specifico durante i combattimenti in Friuli la MAS infatti entrò in contatto con i partigiani bianchi della Osoppo per un’alleanza antislava ma sia il CLNAI sia gli Alleati non accettarono l'accordo191. Veniamo ora a un punto fondamentale: Borghese viene letteralmente tratto in salvo dagli americani. Come detto in precedenza il 26 aprile la X MAS si arrende, non ai partigiani ma agli Alleati, decisamente meno pericolosi e ritenuti dagli 189 Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri, https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, minuto 59.30. 190 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 166. 191 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 187. 57 stessi i veri rivali: Borghese scioglie ufficialmente il corpo presso la caserma milanese di Piazzale Fiume, non prima che lo stesso comandante avesse avuto delle trattative. La sera stessa si trasferisce a casa del capitano Guido Del Giudice sotto sorveglianza della polizia partigiana. Nel frattempo gli americani si erano già adoperati per dargli una mano, ufficialmente perché «interessati alla X MAS perché pensavano di utilizzare i suoi famosi maiali per la guerra contro i giapponesi»192, e in modo più semplice perché l’ammiraglio Ellery Stone, comandante delle truppe alleate, è un amico di famiglia e in contatto con la nobiltà romana193 di cui Borghese è un esponente non secondario. Stone perciò gli manda in soccorso un uomo, James Jesus Angleton, capo delle operazioni speciali dell’OSS194, in modo da evitargli una sicura fucilazione se fosse finito in mano ai partigiani. Dopo un primo colloquio infruttuoso Borghese l’11 maggio viene convinto da Angleton a seguirlo a Roma dove lo attendeva l’ammiraglio Raffaele De Courten, ministro della Marina del governo Badoglio. Dettaglio: Angleton si è portato come assistente il commissario di polizia Federico Umberto D’Amato195, un giovane che farà strada. Borghese, vestito come un partigiano, arriva nella capitale dove viene arrestato il 19 maggio dagli americani196. Come raccontò lo stesso comandante nei suoi diari trascorrerà i due anni seguenti in carcere tra Procida, Poggioreale, Regina Coeli e Forte Boccea. Oltre agli americani anche gli inglesi provano a dargli una mano: il 19 giugno del ‘45 il generale Harold Alexander, comandante supremo delle forze armate Alleate nel Mediterraneo, lo visitò per sincerarsi delle sue condizioni e si prodigò per le sorte dei suoi famigliari197. È proprio legato alla Marina britannica un episodio rilevante accaduto a fine guerra: una nave che trasportava dalla Jugoslavia armi per gli ebrei di Palestina fu fatta saltare dai membri della Decima. 4.4. Post guerra Il 15 ottobre del 1947198 inizierà il suo processo davanti alla Corte d’assise di Roma e non a Milano dove si sarebbe dovuto legittimamente tenere in quanto la Decima aveva operato al Nord. Si tratta di una sede palesemente di comodo: 1. Borghese è di casa e ha il sostegno dell’alta società, 2. può godere dell’appoggio di giudici accondiscendenti, dei vecchi burocrati fascisti rimasti al loro posto. La storia ci 192 Renzo De Felice, Rosso e Nero, Baldini e Castoldi, Milano 1995, p. 133. 193 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 197. 194 Office of strategic services, servizio segreto americano attivo durante la 2^ guerra mondiale e antesignano della CIA. 195 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani, p. 117. 196 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 200. 197 Marco Valle, Il processo a Borghese e il dopoguerra, insidover.com, https://it.insideover.com/storia/vita- avventurosa-di-j-v-borghese-il-processo-e-il-dopoguerra.html, 21.07.2022. 198 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 204. 58 insegnerà che praticamente tutti i processi contro fascisti e neofascisti che si svolgeranno nella capitale finiranno, come si suol dire, a tarallucci e vino. La sentenza per il Principe Nero che arriverà il 17 febbraio del ‘49 sarà infatti morbidissima: 12 anni di prigione per «collaborazione militare»199 con i tedeschi, escludendo così i crimini di guerra. Avendo già passato i tre anni di condanna rimanenti in stato di carcerazione preventiva, Borghese sarà scarcerato il giorno stesso200. Una sentenza palesemente scandalosa che però era in linea con i principi dell’amnistia Togliatti e della politica “volemose bene” di quel momento. Il Principe Nero aderì poi al Movimento Sociale Italiano nel novembre del 1951 ma la sua partecipazione durò pochissimo: pur essendone stato nominato per acclamazione presidente onorario, lasciò il partito pochi anni dopo, nel ‘57 per la precisione. Alla base della decisione vi erano due motivi: era un acceso sostenitore della NATO, elemento non comune a parecchi missini al tempo, e in generale la vita politica non era adatta a lui, uomo del fare e non del compromesso. È in questo contesto che prova per la prima volta a fondare un movimento, in occasione della crisi di Trieste, senza grande fortuna201. Gli andrà meglio più avanti. 4.5 Il ritorno in scena È nei primi anni ‘60 che a Borghese, in una condizione economica non molto florida, viene offerta la carica di presidente della Banca di Credito Commerciale e Industriale (Credilcomin): è un incarico all’apparenza formale ma che nei fatti permette al principe di riallacciare rapporti con gli ambienti industriali e politici. C’è un dettaglio rilevante: la banca è stata fondata da Michele Sindona e nell’affare sono coinvolti elementi dell’Opus Dei spagnola, della DC e soprattutto Rafael Trujillo, figlio dell’ex dittatore della Repubblica Dominicana202. Sembra una spy story internazionale da cinema ma è in questo modo che miliardi di lire entrano nelle casse dell’estrema destra e di Borghese in particolare. La banca farà crack nel ‘68 e Borghese stesso sarà incriminato a inizio marzo del 1971 insieme ad Alfonso Spataro203 per appropriazione indebita e falso in bilancio204, giusto prima che la notizia del golpe venisse diffusa dalla stampa. Nel 1963 muore in un incidente stradale la moglie Daria Olsoufieva, nobile di origine russa: l’evento fece riemergere Borghese dal torpore e grazie alla fama eroica di cui godeva tornò a un ruolo politico attivo. Infatti il 10 settembre del 1966 199 Atti del processo contro Junio Valerio Borghese e altri, Corte di Assise di Roma, 21-22 gennaio 1949. 200 Il criminale fascista Borghese è stato rimesso ieri in libertà!, “l’Unità”, 18.2.1949. 201 Aldo Giannuli, op. cit., p. 346. 202 I soldi: da dove venivano, chi li procurava, “L’Espresso”, 10.11.1974, https://4agosto1974.wordpress.com/2018/08/29/i-soldi-da-dove-venivano-chi-li-procurava-lespresso-10-11-1974/ 203 Figlio del senatore della DC Vincenzo Spataro, più volte ministro tra gli anni ‘50 e all’epoca vicepresidente del Senato. 204 Crack bancario: Valerio Borghese incriminato con Alfonso Spataro, “l’Unità”, 05.03.1971. 59 presiedette una manifestazione al cinema Cristallo di Roma a cui parteciparono tra gli altri Randolfo Pacciardi e un nome ancora sconosciuto ai più, Remo Orlandini. Al centro della discussione la situazione in Alto Adige: secondo il comandante «ormai era giunta l'ora, in nome della patria, di agire. Anche Trieste è in pericolo»205. Parla anche della situazione ellenica: «Il colpo di stato in Grecia è stato positivo perché ha prevenuto il passaggio della Grecia al regime popolare, al fronte popolare. L'averlo impedito, secondo me, è vantaggioso perché il passaggio ad un regime comunista è il peggiore dei mali che possano gravare sopra un popolo». 205 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 122. 60 Capitolo quinto: prima del golpe, preparazioni e minacce incombenti 5.1 Il ‘68 Il governo Moro decide un rimpasto dei vertici militari: viene silurato l’ormai compromesso capo della difesa Giuseppe Aloia e sostituito con Guido Vedovato, Enzo Marchesi va al comando dello stato maggiore dell’esercito, Luigi Forlenza sostituisce il futuro incidentato Ciglieri ai carabinieri e Duilio Fanali assume il comando dell’Aeronautica. Fanali lo ritroveremo protagonista due anni dopo nella notte di Tora-Tora. Il 1968 è l’anno che passerà alla storia per le rivolte studentesche in buona parte del mondo occidentale. Un ciclone inatteso e incomprensibile per la classe governante che pensò a una guerra coperta da parte delle forze nemiche. Si è trattato in estrema sintesi di una rivolta generazionale di cui ben pochi compresero le ragioni: dopo vent’anni di Guerra Fredda «la società recuperava una sua autonomia dalle istituzioni e reclamava più diritti civili, più equità distributiva, più libertà politiche»206. L’ondata venne riassorbita in un quindicennio in quanto ovunque i centri di potere impedirono che da essa potesse nascere una nuova società, ricorrendo anche a mezzi violenti come in Cecoslovacchia in occasione della tristemente nota Primavera di Praga207. L’Italia in questo contesto internazionale si inserisce con gran forza in quanto le rivolte arrivarono fino alle città più piccole e coinvolsero tutti gli strati della popolazione. Nel dopoguerra il Paese aveva registrato il famoso “miracolo” economico: l’Italia è industrializzata da un lato ma da un altro ha uno stato sociale poco efficiente, ha i salari tra i più bassi d’Europa e in generale è una nazione molto premoderna. Lo sviluppo economico nazionale creò naturalmente aspettative di un benessere più diffuso, poco soddisfatte dalle riforme, e un aumento della popolazione scolastica e universitaria. La generazione dei giovani è diversa dal passato, non ha conosciuto la guerra, è più informata e insofferente all’autoritarismo. A ciò le istituzioni opposero una dura risposta fatta di «grettezza barona, disciplina autoritaria e morale bacchettona»208, con l’effetto di ottenere i risultati che poi sono passati alla storia. Il 1° marzo avvengono scontri durissimi tra polizia e studenti nei pressi della facoltà di architettura a Roma: è quella che è passata alla storia come la Battaglia di Valle Giulia. Gli studenti, dopo aver occupato a fine febbraio l’università, avevano subito lo sgombero forzato e tentavano di riprenderne il possesso. Davanti alla facoltà si 206 Aldo Giannuli, op. cit., p. 234. 207 Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del ‘68, 250000 truppe sovietiche, bulgare, polacche, ungheresi e tedesche orientali invadono la Cecoslovacchia nell’ambito dell’Operazione Danubio. Ben 137 civili saranno uccisi e circa 500 gravemente feriti. 208 Aldo Giannuli, op. cit., p. 238. 61 trovarono però davanti un notevole numero di forze dell’ordine e lo scontro fu inevitabile. In prima fila, assieme ai giovani di sinistra, ci sono anche i giovani missini del FUAN-Caravella209 e di AN, guidati da Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie, in quel momento studente di 31 anni fuori corso di giurisprudenza. I giovani di destra al termine degli scontri occupano Giurisprudenza, quella di sinistra la facoltà di Lettere. La situazione resta calda fino al 16 marzo quando esplode la crisi tutta interna alla destra: il segretario del MSI Arturo Michelini critica l’operato dei giovani del movimento, disconoscendo la loro azione in quanto coinvolti in azioni esclusive dei “rossi”. Gli inviti ad abbandonare l’occupazione restano vani, espressione di una classe dirigente anche a destra che non ha capito per nulla le rivendicazioni giovanili e tale è la decisione che prende a quel punto. Vengono infatti mandate due squadre di picchiatori guidate dai leader del partito Giorgio Almirante, Giulio Caradonna e Massimo Anderson per ristabilire l’ordine: succede il finimondo perché parecchi giovani di destra si schierano con quelli di sinistra, Delle Chiaie e i suoi restano neutrali e in pratica i missini da assalitori diventano gli assediati e si arroccano dentro Giurisprudenza. L’intervento della polizia ristabilirà successivamente l’ordine. Il bilancio immediato di Valla Giulia è di centinaia di feriti e oltre duecento fermi; il risultato nel tempo la scomparsa dei giovani di destra dall’università per anni e il passaggio alla lotta armata contro il “sistema”. Quel sistema che pensavano di combattere ma che invece con le loro azioni contribuiranno invece a rafforzare. Ad aprile una cinquantina di esponenti di ON, AN ed Europa Civiltà partecipano a un viaggio premio in Grecia finanziato dal regime ellenico e organizzato dalla Lega degli studenti greci in Italia (ESESI). Europa Civiltà è un piccolo gruppo nato nel 1966 dalle cenere del Movimento Integralista: tradizionalmente legato alla destra democristiana, ad ambienti cattolici reazionari, a settori delle forze armate e ai servizi segreti, vi appartenevano membri di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale. Europa Civiltà, il cui leader è Loris Facchinetti, manterrà i rapporti con gli stessi ambienti a cui era collegato il Movimento. Specializzato nell’organizzazione di campi paramilitari, dal ‘69 stamperà anche una propria rivista. Tra i nomi di un certo rilievo che si imbarcano per la Grecia vi sono Adriano Tilgher, Giuseppe Schirinzi, Elio Massagrande, Mario Merlino, Roberto Besutti, Loris Facchinetti, Aldo Pardo e Stefano Serpieri210. Tra di essi secondo alcuni c’era anche Delle Chiaie, notizia che lo stesso leader di AN ha più volte smentito. In Grecia saranno addestrati alle tecniche di guerriglia e infiltrazione dal servizio segreto locale. Al loro rientro in Italia alcuni di questi si riscopriranno anarchici: è il caso di Merlino, fondatore del circolo 22 Marzo, nel quale finiranno Serpieri, informatore del SID, e il capro espiatorio di Piazza 209 Fronte Universitario d’Azione Nazionale, era il movimento universitario dei giovani dell’estrema destra. 210 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 189-190. 62 Fontana Pietro Valpreda. Analoga mossa verrà provata da Schirinzi a Reggio Calabria, il quale però avrà meno fortuna211. Le tattiche teorizzate dall’Aginter Press venivano così messe in pratica, gli effetti si vedranno a breve. 5.2 Il Fronte Nazionale Il 13 settembre 1968, «con il proposito di sovvertire le istituzioni dello stato attraverso un golpe»212, Junio Valerio Borghese, «conservato in salamoia da un quarto di secolo per ordine dei servizi segreti americani»213, fonda ufficialmente presso un notaio di Roma il Fronte Nazionale, organizzazione neofascista i cui scopi programmatici sono piuttosto semplici: 1. Costituzione di uno stato forte; 2. Esclusione dei partiti dalle attività di governo; 3. Creazione di un’assemblea legislativa nazionale. In pratica Borghese propone per l’Italia un modello di governo molto simile a quello che si è instaurato in Grecia l’anno precedente, ovvero un regime retto esclusivamente dai militari. Il braccio destro del principe nel FN è Remo Orlandini: nato nel 1908, originario del reggiano, ha aderito alla RSI dopo il 1943. Trasferitosi a Roma, ha avviato con discreto successo un’impresa edile. È il braccio operativo dell’organizzazione ed è da tempo in contatto con gli ambienti militari: emblematico il suo possesso di un dossier sulle forze NATO in Italia, sulla loro forza e dislocazione, talmente ben fornito che il giudice Filippo Fiore anni dopo lo definirà «da fare invidia anche al più alti comandi, oltre che, naturalmente, ai più agguerriti servizi di spionaggio»214. Secondo elemento di spicco del FN è Mario Rosa, ex maggiore della MVSN215 e poi comandante della RSI, il quale assume l’incarico di segretario. Altri personaggi di un certo interesse che gravitano nella formazione sono: ● Filippo De Jorio, avvocato, andreottiano, deputato per la DC nel consiglio regionale del Lazio e consigliere politico del premier Mariano Rumor; ● Eliodoro Pomar, ingegnere al centro nucleare di Ispra; ● Giacomo Micalizio, medico palermitano in probabile contatto con ambienti mafiosi e sotto il comando di Borghese ai tempi della Decima216; 211 S.O. Salvini, 1995, p. 250. 212 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 213 Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 58. 214 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 215 Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, servizio di gendarmeria attivo durante il fascismo con il nome popolare “camicie nere”. 216 Fabia Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008, https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min.8. 63 ● Luciano Berti, ufficiale della forestale, in passato «condannato dalla corte d'assise di Roma per apologia del collaborazionismo»217 con le forze naziste durante la seconda guerra mondiale; ● Sandro Saccucci, dirigente dell’associazione nazionale dei parà e da tempo in contatto sia con Delle Chiaie sia con Ordine Nuovo; ● Adriano Monti, agente segreto della rete Gehlen218 e prima ancora volontario nelle SS, ufficialmente un chirurgo; ● Carlo Benito Guadagni, impresario edile ed ex marò della Decima219. Altre persone nell’organizzazione ma di secondo piano sono Armando Calzolari, Tommaso Adami Rook, Torquato Nicoli, Maurizio Degli Innocenti, Dante Ciabatti, Enrico Bonvicini, Felice Costantini, Mario Pavia, Leopoldo Parigini, Pietro Paoletti, Gavino Matta e Stelio Frattini. Nicoli e Degli Innocenti saranno poi regolari informatori del SID dal 1974. Molto vicino all’organizzazione seppur non membro effettivo è Salvatore Drago, un altro personaggio molto singolare: medico della polizia, Orlandini lo considera «introdotto e benvoluto nell'ufficio affari riservati del ministero dell'interno»220. Il giornalista Guido Paglia, collaboratore del SID, in una sua nota definirà infatti Drago un fedelissimo di Federico Umberto D’Amato. C’è un dato quantomeno rilevante da segnalare: Borghese si circonda di personaggi di varia estrazione come ex repubblichini, militari e tanti massoni, ma quasi nessun ex componente della X MAS, suoi assoluti fedelissimi, è nel direttivo del FN. Perché? Una bella domanda. Il Fronte Nazionale, come le due principali organizzazioni neofasciste dell’epoca, Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, era formato su due livelli: 1. Livello A. Palese, destinato all’opera di proselitismo in ambiente civile; 2. Livello B. Occulto, formato da un nucleo di persone armate che si muovono su un livello paramilitare. L'organizzazione a livello locale è basata su delegati provinciali e prevede più in alto dei responsabili nazionali. Il Fronte, guidato da una figura come il principe Borghese che negli ambienti di estrema destra godeva di enorme prestigio, riuscì in breve tempo ad agganciare sia i gruppi extraparlamentari principali ovvero AN e ON, sia quelli minori come Fronte Delta221 ed Europa Civiltà. Tutti e quattro aderiscono alle 217 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 218 Servizio spionistico americano attivo nell’Europa orientale dopo il 1945 diretto dall’ex colonnello della Wehrmacht Reinhard Gehlen, poi fondatore del BND, il servizio segreto estero dell’allora Germania Ovest. Per approfondire si veda Solange Manfredi (a cura di), Cia e Nazisti uniti per destabilizzare l’Italia, autopubblicato, 2014. 219 Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970. 220 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 221 Piccolo gruppo neofascista attivo a livello universitario. Il leader è il presidente del FUAN romano Marco Pirina. 64 trame eversive. Con Ordine Nuovo, nello specifico, c’era «un preciso accordo tra il comandante Borghese e Pino Rauti, segretario generale di ON, per una collaborazione politica. È opinione che il Fronte voglia proporre un'alter nativa al sistema. Fronte Nazionale e Ordine Nuovo sono collegati»222. Quanto ad AN un ruolo di tramite viene svolto da Saccucci che come detto conosce da tempo Delle Chiaie e porterà nell’orbita del FN elementi come Bruno Stefano e Flavio Campo. Valerio Borghese dal 1969 inizia a girare l’Italia alla ricerca di tre cose fondamentali per il suo progetto eversivo: capitali, appoggi (quasi sempre a braccetto) e camerati. Il SID racconterà come la prima uscita pubblica del FN avvenne il 19 marzo del 1969 all’Hotel Royal di Viareggio mentre un’altra nota sarà nell’estate dell’anno successivo quando Borghese terrà una conferenza stampa all’Hotel Treviso. Fra i primi aderenti al FN, la notizia si saprà oltre vent’anni dopo, c’è il capo della loggia P2 Licio Gelli223. Il suo ruolo, e in generale quello della massoneria nel tentato golpe, verrà chiarito più avanti ma è eloquente notare come il suo nome, benché sconosciuto ai più all’epoca, fosse presente fin dagli esordi del gruppo eversivo. Come si vedrà nel dettaglio più avanti molti dei golpisti erano non a caso affiliati alla massoneria. 5.3 I finanziamenti di Borghese e dell’estrema destra Borghese sa bene che organizzare il golpe, oltre alle forze militari e paramilitari, servono fondamentali appoggi economici. Una nota dei carabinieri datata 16 giugno 1969 racconterà come: «Il 12 aprile ultimo scorso a Genova, in una villa appartata a picco sul mare, sita in via Capo Santa Chiara 39, il noto comandante, Valerio Borghese si è incontrato con l'armatore Cameli Alberto, con l'avvocato Meneghini Gianni, con il presidente Lagorio Serra Gian Luigi e con proprietario della villa, l'industriale Canale Guido. Scopo della riunione è stato quello di costituire in Genova una sezione provinciale del Fronte Nazionale»224. Il citato Cameli possiede alcune società armatrici in compartecipazione con l'IFI (Istituto finanziario italiano) della famiglia Agnelli e con le Assicurazioni Generali di cui è presidente Cesare Merzagora225. Il rapporto dei servizi finirà in un cassetto e verrà ritrovato quasi per caso nel 1973, a giochi già fatti, da un’inchiesta giornalistica: ovviamente nessuno pagherà per questa e tante altre “disfunzioni”. Nello stesso luogo si terranno altre due riunioni a cui parteciperanno petrolieri, armatori, industriali di vario genere come il presidente del Genoa Giacomo Berrino. Il rapporto dell’Arma si chiude in modo piuttosto vago: «In sintesi si può affermare che fino a 222 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore 223 S.O. Salvini, 1995, p. 180 224 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 225 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 30. Merzagora è stato presidente del Senato dal 1953 al 1967. 65 questo momento una quarantina circa di persone dell'ambiente economico- industriale della città ha aderito al movimento, che si considera apartitico. Infatti gli elementi sono di idee liberali, democristiane, repubblicane, missine, monarchiche e socialdemocratiche»226. Viene quasi naturale chiedersi a questo punto se il SID fosse a conoscenza delle attività del FN: la risposta è affermativa. Una nota, anche questa “dimenticata” dirà che «Il comandante Borghese, nel corso di una riunione con esponenti del mondo armatoriale genovese, ha deciso la costituzione di «gruppi di salute pubblica» per contrastare - anche con l'uso delle armi - l'ascesa al potere del PCI»227. Inoltre è proprio in questo periodo che Vito Miceli, all’epoca guida del SIOS- Esercito e futuro capo del SID, nella primavera-estate incontrata più volte Remo Orlandini, come lui stesso ammetterà: Nella primavera o estate del 1969, presentandosi la possibilità di un contatto con Remo Orlandini, incontrai lo stesso, assistito dal colonnello Pace del SIOS-Esercito, per conseguire validi risultati informativi. Da certi aspetti della conversazione, intonata dall’Orlandini ad ammirazione per le forze armate e ad amore per la patria - e dalla posizione che l'interlocutore occupava nell'ambito del Fronte, trassi la convinzione che era opportuno considerare il «personaggio» quale obiettivo informativo e pertanto ordinai al colonnello Pace di prolungare il contatto228. Guido Giannettini invece, in un rapporto per il SID datato 4 maggio, arriva a scrivere che «ambienti politici ed economici italiani, appoggiati anche da ambienti stranieri, hanno deciso la sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula sostanzialmente centrista». Ma chi sono gli esponenti di questi ambienti economici? Lo stesso Giannettini precisa che «gli ambienti industriali del nord Italia disposti a finanziare attentati siano costituiti principalmente dal gruppo Monti». Il Monti citato dall’agente del SID è Attilio Monti: fascista fin dalle origini, partendo dal nulla ha creato un impero finanziario che comprende petrolio (Sarom), zucchero (Eridania) e carta stampata (Il Resto del Carlino e La Nazione). Nel settembre del 1969 il giornalista ed ex volontario della X MAS Lando Dell’Amico, scrivendo una lettera a Bruno Riffeser, genero di Monti, dirà di aver versato oltre 18 milioni di lire «al giornalista Pino Rauti»229. Nonostante le risposte sdegnate di Monti e dei suoi avvocati, Dell’Amico prima smentisce poi nel 1974 confermerà tutto: «L'operazione c'è stata. È avvenuta nel settembre 1969, proprio alla vigilia della strage di piazza Fontana. [...] È autentica la lettera che inviai al direttore generale della SAROM Bruno Riffeser, genero di Monti, per dargli atto dell'avvenuto versamento di 18 milioni e mezzo»230. 226 ibidem. 227 Ibidem. 228 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 229 Atti inchiesta del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz. 230 Ibio Paolucci, Giannettini conferma legami fra SID e fascisti padovani, “l’Unità”, 19.10.1974. 66 E così le grandi industrie italiane finanziano i neofascisti: non è una sorpresa se si considera che nel Ventennio i maggiori sostenitori economici del Duce erano i ricchissimi imprenditori. Enrico Mattei, fondatore dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) diceva infatti che «Mi servo anche dei fascisti, quando occorre, ma allo stesso modo in cui uso il tassì. Finita la corsa, pago e scendo»231. Oltre alla stessa ENI per anni colossi come Montedison e FIAT a vario titolo avevano foraggiato l’attività dei neofascisti in vario modo. Altri da non tralasciare sono stati Demetrio Mauro della Caffè Mauro, Carlo Pesenti della Italcementi, l’armatore Amedeo Matacena, il già citato presidente del Genoa Giacomo Berrino, Andrea Mario Piaggio (patrimonio stimato 1500 miliardi di lire232) e Achille Talenti della Tudini & Talenti solo per fare alcuni nomi di industriali italiani di un certo peso. In special modo Piaggio, tramite il suo braccio destro Attilio Lercari che era l’amministratore delegato di una sua azienda, sarà molto vicino al futuro progetto della Rosa dei venti. 5.4 Il calendario del terrore Senza rischiare grossolani errori possiamo in questa sede definire il 1969 come l’anno del terrore, il momento esatto in cui la strategia della tensione inizia a entrare nel vivo. Sono 365 giorni che, partendo dall’eccidio di Avola alla strage di Piazza Fontana, conducono il Paese a una precisa direzione: il colpo di stato. Non saranno direttamente uomini del FN a mettere le bombe prima sui treni e poi a Roma e Milano ma la paura e l’attacco alle forze di sinistra sono tutti fattori che ai golpisti non potevano che essere di fondamentale aiuto per creare un clima favorevole a un intervento autoritario che fosse di fatto richiesto naturalmente da una popolazione italiana in preda al panico. Nel 1969 parte quello che è stato denominato dal giornalista Gianni Flamini «il calendario del terrore»: prima di Piazza Fontana gli attentati totali saranno circa duecento233. Di questi per venticinque sono responsabili esponenti di ON234. In questa sede, non essendo il principale argomento di trattazione ma necessariamente contingente, la trattazione avverrà per sommi capi, citando i fatti più significativi. Avola, 2 dicembre 1968. Il sangue inizia a scorrere dalla Sicilia: dopo giorni di scioperi generali, sulla statale 115 i braccianti effettuano un blocco stradale, in contestazione agli agrari che non vogliono aumentare gli stipendi da fame dei contadini. La polizia ordina lo sgombero, il niet dei manifestanti porta alla rivolta: le forze dell’ordine sparano ad altezza uomo sulla folla, uccidendo due persone, Giuseppe Scibilia e 231 Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 87. 232 L’impero di Piaggio, “l’Unità”, 26.08.1974. 233 Aldo Giannuli, op. cit., p. 318. 234 Mirco Dondi, L’eco del boato: storia della strategia della tensione, Laterza, 2016 Bari, p. 107. 67 Angelo Sigona, e ferendone una cinquantina. Il ministro dell’Interno Franco Restivo, riferendo dei fatti in Parlamento, afferma che «priorità assoluta è il mantenimento dell’ordine pubblico»235. Delle richieste sindacali per il ministro costituivano quindi una minaccia per la nazione. Nella notte di Capodanno allo stabilimento “La Bussola” vicino Viareggio ci sono degli scontri tra giovani di sinistra e i clienti di questo lussuoso locale, la polizia è presente ed assiste. La situazione in breve tempo degenera: Soriano Ceccanti, un giovanissimo manifestante di 16 anni, viene colpito con un colpo di pistola alla schiena. Resterà tetraplegico. Chi sia stato effettivamente ad esplodere il colpo non verrà mai chiarito anche se Ceccanti dirà che da un cellulare della polizia «un uomo mi prendeva di mira»236. Nella stessa zona, il 31 gennaio viene rapito il dodicenne Ermanno Lavorini, figlio di un commerciante. I rapitori chiedono un riscatto di 15 milioni, qualcosa va però storto e il ragazzino viene ucciso. Il suo corpo, sepolto sotto la sabbia, sarà trovato per caso il 9 marzo, dopo oltre un mese di vane ricerche che avevano coinvolto l’intera penisola. Per questo delitto inizialmente viene battuta la pista legata all’omosessualità e alla pedofilia: nella pineta si incontrano ragazzini e uomini di ogni genere, e proprio lì Lavorini era stato visto nei giorni precedenti. Nel frattempo il FN aveva iniziato a cavalcare l’onda, facendo pubblicare dei manifesti nei quali un bambino, chiedendo aiuto a mamma e papà, veniva stretto da una mano, sui cui artigli era scritto «Corruzione, droga, pornografia, omosessualità, prostituzione»237. Vengono sentiti conoscenti del ragazzo tra cui Marco Baldisseri, sedicenne già accusato di stupro e frequentatore della pineta, il giovane missino 238 Rodolfo Della Latta e Andrea Benedetti. Tra gli indagati finisce tal Ermanno Zacconi, il quale è del tutto estraneo ma subisce la pubblica umiliazione: un anno dopo muore d’infarto. Il secondo nome è quello dell'imprenditore Adolfo Meciani, il quale la sera del 31 gennaio si era appartato in pineta proprio con Baldisseri: arrestato e quasi linciato dalla folla, si impiccherà in carcere a fine maggio. Dopo depistaggi, calunniose campagne della stampa e rimbalzi di colpa emerge, grazie al lavoro del “pistarolo” Marco Nozza239, la responsabilità della locale sezione giovanile del Fronte Monarchico del quale Baldisseri era il tesoriere mentre il segretario è Pietro Vangioni: vent'anni, si dirà solo anni dopo che «investigava per i Carabinieri». Baldisseri parla e ammette che il sequestro era stato una loro idea per autofinanziarsi e comprare successivamente degli esplosivi con il bottino. Nel primo processo del ‘74 Baldisseri e 235 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 15. 236 “Corriere della Sera”, 02.07.1975. 237 Federazione Comunista Versiliese (a cura di), La trama nera in Versilia, 1974. 238 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 21. 239 Andrea Di Consoli, Il caso Lavorini, tra pedofilia e strategia della tensione, Il Sole 24 Ore, https://www.ilsole24ore.com/art/il-caso-lavorini-pedofilia-e-strategia-tensione-AFCkO7C, 31.01.2019. 68 Della Latta vengono condannati nell’ordine a 19 e 15 anni per un movente ancora legato alla sfera sessuale, è assolto invece Vangioni per insufficienza di prove. La corte d'appello di Firenze tre anni dopo metterà ordine: il delitto è avvenuto a scopo di estorsione, le condanne vengono però diminuite ma Vangioni, ritenuto il cervello, viene condannato a 9 anni di carcere. Siamo davanti al primo caso artigianale di una strategia della tensione che inizia a svilupparsi sul piano pratico dopo una lunga gestazione. Molto più a sud, a Battipaglia (Salerno) il 9 aprile è in corso uno sciopero generale per la programmata chiusura di due importanti fabbriche. La polizia decide di caricare i manifestanti: restano uccisi Carmine Citro, un tipografo di 19 anni, e Teresa Ricciardi, un’insegnante, affacciata dalla finestra di casa sua. Le proteste divampano e infiammano l’intero Paese, scoppiano anche delle rivolte nelle carceri di Torino e Genova. 69 Capitolo sesto: la tensione sale vertiginosamente 6.1 La cellula terroristica del nordest Sul finire degli anni ‘60 si formano nel nordest diverse centrali terroristiche a vario modo riconducibili a Ordine Nuovo e che saranno protagoniste di tutte le stragi degli anni seguenti. A Padova i componenti sono il legale Franco “Giorgio” Freda, noto ai servizi fin dal 1963240, l’editore Giovanni Ventura, il bidello Marco Pozzan, Massimiliano Fachini e Gianni Casalini, stabile informatore del SID241. Sempre nella città del Santo abita Dario Zagolin, informatore del SID, in contatto anche con i servizi americani e greci, il quale faceva da elemento di raccordo tra loro e i gruppi neofascisti242. A Venezia ci sono il coordinatore regionale Carlo Maria Maggi, medico, Martino Siciliano, Carlo Digilio e Delfo Zorzi, dal 1968 cooptato nell’UAARR dal questore di Padova Elvio Catenacci243. A Verona Elio Massagrande, Marcello Soffiati e Roberto Besutti, a Udine Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, a Trento Cristiano De Eccher (di AN però). Altre centrali sono presenti a Trieste (Manlio Portolan e Francesco Neami), a Vicenza e una particolare a Vittorio Veneto con il professor Lino Franco: ex repubblichino della X MAS, gestiva una rete di reduci e volontari nota come gruppo Sigfried, uno dei gruppi di supporto a un’eventuale insurrezione, ed era al contempo informatore della CIA244. Infine c’è un personaggio molto ambiguo nella zona del Montello, in provincia di Treviso: stiamo parlando di Pietro Loredan, detto il Conte Rosso ma che di sinistra aveva ben poco. Loredan infatti era in contatto con la cellula di ON tanto che finanziava la piccola casa editrice di Giovanni Ventura245. Un terrorismo “made in Veneto” con la regia americana alle spalle: nella regione hanno sede due installazioni NATO notevoli ovvero la caserma Ederle a Vicenza e il centro FTASE (Comando delle forze terrestri alleate per il Sud Europa) a Verona. Non è un caso che nel ‘66 a casa di Besutti sia stato trovato un vero e proprio arsenale e per tale motivo denunciato: dirà di essere un collezionista e di aver comprato le armi da due militari americani della base246, uno dei due è tale Theodore Richards, il quale dal ‘74 sarà il comandante della stessa247. C’è inoltre un fattore non da poco: dal ‘56 grazie a Gladio esisteva nel nordest un’enorme disponibilità di armi ed esplosivi difficilmente 240 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 100. 241 S.O. Salvini, 1995, p. 70. 242 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 35. 243 Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri, https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, min. 30. 244 S.O. Salvini, 1995, p. 288. 245 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 171. 246 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 118. 247 S.O Salvini, 1998, p. 285. Il capitano Richards nelle indagini del ‘66 ovviamente non viene toccato dalla procura. 70 controllabili, del quale potevano usufruire persone addestrate a usare ordigni esplosivi e inneschi non convenzionali. Uno di questi è Carlo Digilio, il bombarolo di tutta la cellula terroristica veneta: sarà lui infatti a sovrintendere agli ordigni che verranno fatti esplodere in futuro. La sua figura, per anni in secondo piano, è emblematica: non è un ordinovista vero e proprio ma viene fatto infiltrare nel gruppo dalla rete informativa americana che aveva sede alla FTASE di Verona della quale faceva parte anche Soffiati. Nome in codice Erodoto, Digilio entra in quella che lui definirà «una struttura informativa della CIA» per via del padre, informatore degli americani durante la seconda guerra mondiale. Tale compito lo avrà anche Digilio junior che sarà il tecnico degli ordinovisti veneti e in contemporanea informatore stabile degli americani dal ‘66 all’’82248. Questo squarcio di verità emergerà solo dal 1995 quando questi confesserà parte delle sue azioni al giudice Guido Salvini, il quale scriverà che «per la prima volta in un ambito strettamente processuale e con elementi di prova via via più solidi è emerso, all’interno degli avvenimenti noti come strategia della tensione, il quadro quasi intero di una rete informativa statunitense»249, la quale era non solo perfettamente al corrente delle attività della cellula terroristica ma metteva dei suoi uomini all’interno di essa come Soffiati e Zagolin, i quali daranno un contributo decisivo al successo delle operazioni. Uno dei referenti di tale rete era il capitano David Carret, il quale da superiore di Digilio con queste parole lo tranquillizzò dopo Piazza Fontana: «Non ti preoccupare, ricordati che noi americani qui in Italia teniamo la situazione in pugno, noi sappiamo come direzionare questa tua piccola Italia»250. Fantascienza per tanti, inquietante realtà alla prova dei fatti. C’è inoltre un militare, non membro di ON ma in ottimi rapporti con i suoi membri, che arriva nel veronese nel 1965: si tratta di Amos Spiazzi di Corte Regia, capitano, monarchico come il padre251, è di stanza alla caserma “Duca” di Montorio ed è ufficiale “I” (Informazioni). In parole semplici è l'uomo formalmente collegato con i servizi segreti. Per almeno 15 anni il suo nome tornerà costantemente in evidenza riguardo a tentati golpe e atti terroristici. La città di Padova è suo malgrado protagonista del calendario delle bombe che parte esattamente il 15 aprile quando un ordigno esplode nello studio del rettore dell’università, Enrico Opocher, all’incirca alle 22.30252. È un atto dimostrativo: non ci sono vittime se non un incendio che danneggia la biblioteca di giurisprudenza. Due giorni dopo, mentre la seduta del consiglio comunale si svolgeva in un clima infuocato, 248 Commissione stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02.1997. 249 Ibidem. 250 Deposizione di Carlo Digilio, Atti Corte d’Assise di Milano, 16.06.2000. 251 Eugenio Spiazzi di Corte Regia, parlamentare dal ’48 al ’53 con la DC, presidente dal ‘52 al ’57 dell’Istituto del Nastro Azzurro fra combattenti decorati al valore militare. 252 Scoppia una bomba nello studio del Rettore, “Il Gazzettino”, 16.04.1969. 71 si verificarono violenti scontri in strada tra neofascisti arrivati da tutto il Veneto e studenti di sinistra. Tra i neofascisti era presente il futuro responsabile dell'attentato alla questura di Milano del 1973 Gianfranco Bertoli253. La responsabilità dell’attentato al rettore sarà attribuita cinque anni dopo a Franco Freda, Marco Pozzan e Giovanni Ventura, rinviati a giudizio dal giudice Gerardo D’Ambrosio. Tutti e tre per il momento possono agire indisturbati. Sempre a Padova, un anno prima circa, c'era stata un’altra esplosione dimostrativa: una bomba era stata fatta brillare davanti all’abitazione del questore Ferruccio Allitto Bonanno. Tornando al ‘70, appena tre giorni dopo la bomba all’università, il 18 aprile, avviene quella che verrà poi definita come la «famigerata riunione» tra Freda, Ventura e il segretario di ON Pino Rauti, incontro che come dirà il giudice di Treviso Giancarlo Stiz «costituisce l'inizio dell'attività terroristica»254. Vi parteciperebbe anche Guido Giannettini, nonostante secondo i giudizi di Catanzaro non si sarebbe mosso da Roma. La stessa presenza di Rauti è stata più volte messa in dubbio, in quanto l’unico a fare il suo nome è stato Marco Pozzan che poi ritratterà in parte: nel processo infatti Rauti sarà assolto grazie agli alibi forniti dai colleghi de “Il Tempo” secondo i quali l’uomo al momento non era Padova ma nella redazione del quotidiano. In ogni caso la riunione di Padova segna il futuro del Paese in quanto si stabilisce un calendario che ha come obiettivo «il compimento di una serie di attentati terroristici progressivamente più gravi e come scopo ultimo quello di sovvertire l’ordinamento della Repubblica»255. Lo stesso giorno il quotidiano romano “Il Tempo” coniò il titolo «Autunno caldo in arrivo»: una stagione difficile era alle porte. L’unico che indaga sull’attività della cellula terroristica di Padova è il locale commissario della polizia Pasquale Juliano che tramite Alberto Muraro, portiere del condominio dove abita Massimiliano Fachini, viene a conoscenza di un traffico di armi e di movimenti sospetti. La speranza è vana perché Muraro il 13 settembre del ‘69, il giorno prima di essere sentito per verbalizzare, muore di «morte accidentale» dopo un volo nel vano dell'ascensore. «Trattasi indubbiamente di infortunio»256, verrà scritto nel rapporto. Mancando il teste decisivo le accuse di Juliano cadono nel vuoto e il commissario verrà addirittura trasferito “per punizione” a Ruvo di Puglia in quanto accusato di aver fabbricato prove false per incastrare i “neri”257. Un esempio pratico di quali copertura avesse la cellula padovana ancora prima degli attentati più cruenti. 6.2 Bombe alla fiera campionaria 253 Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 154. 254 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 37. 255 Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D’Ambrosio. 256 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 84. 257 Antonio Maria Mira, Piazza Fontana. Il poliziotto che aveva capito: «Non mi hanno ascoltato», avvenire.it, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-poliziotto-che-aveva-capito-non-mi-hanno-ascoltato 72 Nella sera del 25 aprile del 1969 scoppiano tre bombe a Milano, provocando nel complesso 20 feriti. La prima esplode presso lo stand della FIAT alla fiera campionaria e causa i suddetti feriti, le altre due invece nell’ufficio cambi della Banca Nazionale delle comunicazioni all’interno della stazione centrale. Per gli attentati la questura si lanciò subito, curiosamente come farà anche qualche mese più tardi, sulla pista anarchica: poche ore dopo gli scoppi il capo dell’ufficio politico Antonino Allegra invia un rapporto alla magistratura in cui afferma che sono loro i responsabili. Si arriva così a identificare ufficialmente un sospettato: «L’autore degli attentati è stato identificato dalla polizia [...], si tratta di un giovane anarchico milanese, Angelo Pietro Della Savia»258, a cui farà seguito l’arresto per altri cinque giovani. Il responsabile è invece di nuovo la cellula terroristica padovana di Pozzan, Ventura e Freda: nello specifico quest’ultimo ha personalmente deposto le bombe259. A maggio invece, sempre gli stessi, saranno responsabili di tre attentati nei palazzi di giustizia di Torino e Roma che si dirà falliranno per «motivi tecnici»: come a Padova e Milano anche queste erano bombe di fatto dimostrative. In occasione delle bombe alla fiera Guido Giannettini, con lo pseudonimo Adriano Corso, pubblicherà sulla rivista «Lo Specchio» l’inchiesta dal titolo «Rapporto sui commandos rivoluzionari italiani» mentre lo stesso settimanale titolerà «Abbiamo scoperto le centrali della sovversione»260che ovviamente sono a sinistra. L'operazione è chiara: l'organizzazione terroristica, che ha fondamentali riferimenti nel Veneto, funziona perfettamente oliata secondo i compiti stabiliti. Mette le bombe e costruisce le delazioni giornalistiche che orienteranno sia le future indagini sia il senso comune. 6.4 Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale Nella primavera-estate del ‘69 due rapporti del SID testimoniano che sta per succedere qualcosa di grosso. Il primo, compilato da Giannettini, è ricco di informazioni piuttosto interessanti: Ambienti politici ed economici italiani, appoggiati anche da ambienti stranieri (fra cui sicuramente americani) hanno deciso la sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula sostanzialmente centrista. L'operazione «ritorno al centrismo» verrebbe effettuata attraverso i passi seguenti: 1) frattura del PSU con uscita della corrente socialdemocratica (Tanassi) dal partito; 2) successo della corrente di Flaminio Piccoli al congresso della DC; 3) creazione di un'opinione pubblica favorevole al ritorno al centrismo (mutamento al vertice della RAI-TV, acquisto di organi di stampa da parte del gruppo economico Monti); 4) eventuale ondata di attentati terroristici, per convincere l'opinione pubblica della pericolosità di mantenere l'apertura a sinistra (gruppi industriali del nord Italia 258 Luigi Mazzoldi, Identificato il terrorista di Milano Roma e Padova, “Il Gazzettino”, 03.05.1969. 259 Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio. 260 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 42. 73 finanzierebbero gruppetti isolati neofascisti per far esplodere alcune bombe); 5) lavoro psicologico sulle forze armate che sarebbe condotto personalmente da Saragat e da Pertini.261 ll documento come da prassi del SID mischia notizie vere ad altre inventate: il riferimento a Pertini è assolutamente privo di fondamento mentre su Monti c’ha azzeccato: il petroliere dal ‘66262, acquisendo il gruppo Eridania, era diventato proprietario de “La Nazione” e “Il Resto del Carlino” e proprio nel ‘69 de “Il Telegrafo” e “Il Giornale d’Italia”. Altrettanto vera è la divisione nei socialisti che avverrà a luglio quando i socialdemocratici di Tanassi abbandonano il comitato centrale provocando una scissione e costituendo subito dopo il PSU263, causando la caduta del governo Rumor. Nel complesso il rapporto è quindi molto interessante: la fine del centrosinistra in Italia era dal Piano Solo un obiettivo palese di certe forze politiche e non, in più con la classica preveggenza si parla di attentati terroristici i cui responsabili non sono però dei banali «gruppetti isolati». La seconda nota, datata 16 giugno 1969, confermava come il SID fosse a piena conoscenza dei piani del FN. «Un esponente del Fronte Nazionale ha informato alcuni dirigenti della Società Metallurgica Italiana (SMI) che il movimento ha in programma di attuare, nel periodo da giugno a settembre 1969, un colpo di stato per porre fine alla precaria situazione politica che travaglia la vita del paese. L'uomo di Borghese vorrebbe trattare l'acquisto di munizioni prodotte negli stabilimenti della SMI ma riceve un rifiuto»264. Una nota carica di significato: il golpe Borghese bolliva in pentola ben da prima del dicembre ‘70 e poteva essere anticipato di oltre un anno ma non succederà. La domanda è ovviamente perché? Come si vedrà meglio più avanti i golpisti non erano ancora pronti. Che i tempi siano molto particolari qualcuno a sinistra se ne rende conto. In primis lo storico senatore del PCI Pietro Secchia che a un convegno dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) parlò di Una situazione divenuta ormai intollerabile che, se dovesse perdurare, metterebbe a grave repentaglio non soltanto i valori della resistenza ma l'avvenire del nostro paese. Un paese non può vivere permanentemente sotto il rischio, la minaccia e il ricatto di colpi di stato, siano essi orditi, tenuti pronti e aggiornati da qualcuno dei mille generali o sognati da uomini politici che credono di poter abbattere le dighe al malgoverno, alla corruzione sfrenata, all'asservimento allo straniero, eliminando ogni legalità costituzionale e accantonando di fatto la Costituzione.265 261 Atti del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz. 262 Michele Smargiarssi, Addio al petroliere nero imperatore di giornali, “La Repubblica”, 28.12.1994. 263 https://www.rivoluzionedemocratica.it/IL-PARTITO-SOCIALISTA-UNITARIO-1969-1971-3A.htm 264 S.0. Salvini, 1995, p. 221. 265 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 59. 74 Un altro ad avere sentori pericolosi è l'editore Giangiacomo Feltrinelli, che scrive e diffonde un opuscolo dal titolo emblematico «Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di stato all'italiana». Questo golpe, secondo Feltrinelli sarebbe «ideato e attuato con la compiacente collaborazione della CIA, della NATO e delle forze reazionarie nazionali» durante i mesi estivi in quanto facilitato «dall'esodo estivo, dal generale disinteresse, dalla impreparazione delle tradizionali organizzazioni operaie (PCI e sindacati)»266. Feltrinelli, editore di sinistra inviso però sia alla base perché erede di una famiglia ricchissima e neanche comunque troppo simpatico alle alte sfere del PCI. Fondatore dell’organizzazione paramilitare di estrema sinistra nota come GAP (Gruppi d’Azione Partigiana) nel 1970, morirà due anni dopo a Segrate in circostanze mai del tutto chiarite. Già a fine aprile un articolo molto audace de L’Unità aveva tentato di scoperchiare il vaso di pandora: il giornale ufficiale del PCI riferisce infatti di speciali squadre di polizia che Per iniziativa e su pressioni di alcuni ambienti militari e di certi settori politici ed industriali, hanno avuto l’incarico di entrare a far parte di organizzazioni studentesche e politiche con compiti di spionaggio e, soprattutto, di provocazione. [...] Si delinea così un disegno per cui ambienti fascisti e neo fascisti, reazionari e moderati soffiano sul fuoco nel tentativo di creare una psicosi di paura e la conseguente necessità di "restaurare l’ordine". II tentativo di arrestare la marcia a sinistra dell'Italia è portato avanti da certi ambienti politici, militari ed industriali strettamente legati alla politica dei «blocchi» e dell'imperialismo americano che esasperano ad arte, da un lato la «spirale della violenza», e dall'altro si preparano a sfruttava le conseguenze della psicosi della paura. [...] Non vi sono pericoli immaginari, il disegno è chiaro: si pensa anche a una soluzione di tipo «greco» per l'Italia.267 C’è qualcun’altro oltre a Borghese che trama qualcosa. Nuovamente protagonista la città di Padova: il 7 giugno viene perquisita l’abitazione di Eugenio Rizzato, un noto fascista ed ex comandante delle Brigate nere ai tempi della RSI268, ora ispettore per l’Italia di una fantomatica Confederazione mondiale per il commercio e il turismo al cui vertice vi erano un altro ex repubblichino come Mario Campolmi e soprattutto il principe Alliata269. Nel suo rapporto il commissario Saverio Molino menziona il ritrovo di una pistola carica e dimentica una notizia importante. A Rizzato viene infatti trovata della documentazione di un gruppo noto come CARN (Comitato d’azione risveglio 266 Giangiacomo Feltrinelli, Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale ed autoritaria a destra, di un colpo di stato all'italiana, Libreria Feltrinelli, Milano 1969. 267 All’opera una nuova polizia segreta, “l’Unità”, 29.04.1969. 268 Condannato a 30 anni di prigione dalla corte di Padova nel 1946 per collaborazionismo e omicidio volontario, ne sconterà solo 7. 269 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 145. 75 nazionale), il quale pianifica la formazione di gruppi d'assalto, pronti a qualsiasi evenienza e disposti a qualsiasi impiego, che saranno a tempo opportuno attrezzati in pieno assetto di guerra: scopo finale la neutralizzazione di circa 1500 politici, sindacalisti e giornalisti di sinistra270. Questa organizzazione e Rizzato in particolare saranno protagonisti quattro anni dopo nel progetto della Rosa dei venti che quindi almeno già dal 1969 muove i primi passi. 6.5 Disintegrare il sistema Nella notte tra l’8 e il 9 agosto si verificano in tutta Italia una serie impressionante di attentati: sono complessivamente otto, su altrettanti treni. Inoltre altri due erano previsti ma falliscono per motivi tecnici. Il bilancio finale è di molti danni e di una decina di feriti. Una pista che viene battuta dagli inquirenti subito è quella del terrorismo altoatesino: «La polizia ritiene che l’azione terroristica sia stata compiuta da elementi estremisti sudtirolesi [in quanto, nda] molti degli orologi sono di fabbricazione tedesca»271. Nonostante un alto numero di interrogatori gli inquirenti abbandoneranno la pista per assenza di indizi. La responsabilità, per una volta anche in sede giudiziaria, verrà in seguito assegnata a Franco Freda, Giovanni Ventura e alla cellula veneta di ON. Per ora le loro azioni non hanno alcuna conseguenza. II 17 agosto infatti Franco Freda è a Ratisbona per un congresso di nazionalrivoluzionari europei. Il suo intervento, dal titolo emblematico «La disintegrazione del sistema», sarà pubblicato dalla sua piccola casa editrice (Edizioni di Ar). Freda, critico a tal punto con il mondo borghese da definirlo «squallido», sostiene un nuovo stato, la cui condizione è «l’eversione di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre propiziare esasperare, accelerare i tempi di questa distruzione, intensificare l'opera di rottura del presente equilibrio e dell'attuale fase di assestamento politico»272. L'unico modo per disintegrare il sistema è in extrema ratio la violenza. Poco righe per inquadrare una personalità complessa, non un banale teppista neofascista (Freda non è mai stato formalmente iscritto a Ordine Nuovo) ma bensì un neonazista con contatti a livello europeo. Questo per sottolineare come il sottobosco dell’estrema destra italiana sia molto variegato e non composto solo, come a torto tante volte si è detto, da quattro balordi a cui bastava menare i comunisti. Certamente c’erano, così però anche delle teste pensanti. 6.6 Nuove bombe e alleanze 270 Ivi, p. 5. 271 Renato Moretti, Piano terroristico in tutta Italia. Bombe su otto treni da Venezia a Caserta, “Il Gazzettino”, 10.08.1969. 272 Franco Freda, La disintegrazione del sistema, Edizioni di Ar, Padova 1969. 76 Il 4 ottobre, in occasione di un previsto viaggio diplomatico del presidente Saragat in Jugoslavia, una bomba inesplosa di quasi 6 chili di gelignite (quattro volte la quantità che sarà usata per Piazza Fontana) viene ritrovata da un bidello su una finestra della scuola materna slovena di Trieste assieme a dei volantini di un fantomatico “Fronte antislavo”. La paternità dell’ennesimo atto dimostrativo verrà attribuita alla cellula ordinovista veneziana ma senza nessun esito processuale in quanto saranno assolti i due indagati Martino Siciliano e Delfo Zorzi. Sarà solo nel 1996 che Siciliano racconterà i fatti nel dettaglio: Il 2 ottobre 1969 Zorzi mi parlò della necessità di effettuare un atto dimostrativo al confine orientale in funzione di contestazione alla preannunciata visita di Saragat a Tito. [...] Zorzi, poiché glielo chiesi, mi disse che gli ordigni erano stati preparati dallo Zio Otto che ribadisco essere Digilio. Saliti in macchina andiamo a Trieste dove abbiamo appuntamento con dei locali e cioè Neami e Portolan. [...] Prendo atto che il congegno non esplose in quanto la batteria era quasi del tutto scarica e che ciò è stato accertato dalla perizia. In merito non so cosa dire; io ero convinto che il congegno esplodesse tanto è vero che ho avuto paura di saltare in aria innescandolo, ma evidentemente qualcuno aveva programmato l'azione in modo diverso perché mi sembra difficile che possa avvenire un errore del genere. Preciso che sui quotidiani locali apparve la notizia che la bomba avrebbe dovuto esplodere intorno a mezzogiorno causando vittime tra i bambini che frequentavano la scuola. Ciò non è assolutamente esatto perché l'ora prevista di scoppio non era certo mezzogiorno, ma intorno a mezzanotte273. La sera stessa il gruppo piazza anche un’altra bomba al confine tra Gorizia e Jugoslavia: anche questa non esplode e sarà ritrovata per caso un mese dopo e fatta brillare. Si sottolinea che sono atti che non devono fare vittime ma generare una paura diffusa: secondo lo stesso Zorzi «Il senso di questi attentati non era tanto antislavo, quanto di creare tensione all'interno del nostro Paese con un ripetersi di episodi, magari non gravi ma diffusi, che colpissero l'opinione pubblica e provocassero disagio ed una richiesta comunque di maggior autorità e ordine»274. Il FN nel frattempo continua a lavorare sottotraccia, cercando accordi e alleanze in Toscana. Come scriverà il SID in un rapporto postumo Nel quadro delle attività divulgative delle idee, nell'ottobre 1969 vengono indette altre riunioni. Una ha luogo a Fiesole, con partecipazione, di circa 300 persone tra cui il generale della riserva Marini, medaglia d'oro dell'Aeronautica militare, e dello staff del Fronte (Borghese, Guadagni, Rosa) che, al termine dell'assemblea, incontra i primi responsabili provinciali della Toscana e della Liguria nella hall dell'albergo Savoia per una messa a punto organizzativa. Una seconda, più ristretta, viene tenuta presso il Circolo forze armate di Firenze275. 273 S.0. Salvini, 1998, p. 117 e seguenti. 274 Ivi, p. 121. 275 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 77 Il 7 novembre a Viareggio, nello studio dell’avvocato pacciardiano Giuseppe Gattia, nasce la Lega Italia Unita, movimento che raggruppava al suo interno una quindicina di organizzazioni di destra al quale avevano dato in un certo modo il patrocinio Pacciardi e Amintore Fanfani. Alla riunione sono presenti l’avvocato Adamo Degli Occhi276, Carlo Fumagalli, Gaetano Orlando, rappresentanti del FN ed elementi del combattentismo. Lo scopo della riunione è la formazione di un fronte anticomunista unitario per realizzare la repubblica presidenziale: nonostante le proposte per arrivarci siano differenti tutti sono desiderosi di gettarsi nella mischia. Rapporti dell'UAARR segnalano rapporti e contatti tra il MSI e il FN in vista di una possibile aggregazione finché una nota datata 18 novembre ‘69, autore il già citato Armando Mortilla, riporta come ogni possibile accordo fosse fallito per decisione di Borghese. Inoltre, punto molto importante, il rientro del gruppo di Rauti all’interno del movimento missino ufficializzato da un articolo su “Il Secolo d’Italia“ il 14 novembre, faceva troncare ogni rapporto con gli ordinovisti277, colpevoli agli occhi del Comandante di essere andati avanti lo stesso nonostante il suo parere sfavorevole. In contemporanea si saldava definitivamente il rapporto con Avanguardia che, dopo lo scioglimento del ‘65, come detto più formale che reale, è ora tornata ufficialmente operativa. Come scriverà il SID: Nell'autunno 1969 i rapporti tra Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale divennero sempre più stretti. I rapporti erano curati personalmente da Borghese e, in sua assenza, da fidati collaboratori. Verso la fine dell'anno 1969 tra le file di Avanguardia Nazionale cominciò a correre la voce sulla possibilità di effettuare un «golpe» con l'intervento delle forze armate. Alle riunioni organizzate dal Fronte Nazionale per la messa a punto del «piano eversivo», partecipavano solitamente Stefano Delle Chiaie, capo riconosciuto di Avanguardia Nazionale, e i suoi più stretti collaboratori: Flavio Campo e Cesare Perri278. Delle Chiaie è quindi perfettamente inserito nei quadri del FN, il cui leader Junio Valerio Borghese, sempre in questo periodo, incontra con nonchalance Vito Miceli. Il generale si giustificherà affermando che tali meeting avvenivano solo per «scopi informativi aderenti a compiti istituzionali del SIOS-Esercito»279. 6.7 L’Autunno Caldo I mesi autunnali del 1969 fino alla strage del 12 dicembre per la popolazione italiana passeranno alla storia come l'Autunno Caldo: gli scioperi si propagano a macchia d’olio in tutta Italia, coinvolgendo decine di migliaia di manifestanti. Pisa è la prima 276 Milanese, filo monarchico, sarà il leader nei primi anni ‘70 del movimento della “Maggioranza silenziosa”. Verrà poi condannato per il reato di cospirazione. 277 Aldo Giannuli, op. cit., p. 276 e seguenti. 278 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 279 Ibidem. 78 città dove la bagarre ha un tragico esito: dopo giorni di violenza, il 27 ottobre resta ucciso Cesare Pardini, uno studente di 22 anni, a causa di un candelotto lacrimogeno sparato dai carabinieri280: le indagini non porteranno mai a nessuna condanna. La seconda è Milano: il 19 novembre, in occasione di uno sciopero nazionale indetto da CGIL, CISL e UIL per il caro affitti, negli scontri tra polizia e manifestanti resta ucciso l’agente della Celere Antonio Annarumma, alla guida di una camionetta durante i tafferugli. Mentre le indagini sono ancora agli esordi il presidente Saragat la sera stessa con un comunicato ufficiale già emette la sua sentenza: Il barbaro assassinio del giovane ventiduenne agente di pubblica sicurezza Antonio Annarumma, ucciso a Milano mentre faceva il suo dovere di difensore della legge democratica, non soltanto offende la coscienza degli italiani ma è una sfida assurda e selvaggia alle manifestazioni dei lavoratori. Questo odioso crimine deve ammonire tutti ad isolare e mettere in condizione di non nuocere i delinquenti281. La versione ufficiale confermerà la tesi dell’omicidio, stabilendo che la morte sia stata causata da un tubo d’acciaio che, lanciato da un manifestante, ha colpito in pieno volto il povero agente, causandone il decesso immediato. La versione alternativa, sviluppata negli ambienti di sinistra, afferma che Annarumma sarebbe rimasto vittima di uno scontro tra la sua camionetta e un’altra della Celere. A prova di ciò ci sarebbero dei filmati di tv svizzere e francesi, mai però ritrovati. La giornata milanese si chiuderà con 66 feriti tra le forze dell’ordine e una ventina di manifestanti fermati. Le indagini per la morte di Annarumma saranno archiviate cinque anni dopo senza colpevoli282. La tensione nel Paese continua nel frattempo a salire e l’occasione è al funerale di stato dell’agente il 21 novembre: la folla è tantissima e la situazione è bollente. Militanti neofascisti si mischiano nel corteo e si sfiora la guerriglia quando un ragazzo getta verso di loro un fazzoletto rosso mentre il leader del Movimento Studentesco Mario Capanna rischia il linciaggio283. Il 29 novembre un'altra grande manifestazione dei lavoratori si svolge in tutto il paese: dopo la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro, 50000 metalmeccanici scendono in sciopero a Roma appoggiati da altre categorie di lavoratori284. La giornata sarà tranquilla e senza scontri. Il nuovo accordo sindacale verrà ratificato l’anno seguente in un clima di grande tensione: dirà anni dopo Giorgio Benvenuto, all'epoca segretario generale dell’UILM, che il ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin lo invitò a firmare con una 280 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 93. 281 Saragat: «Il barbaro assassinio offende la coscienza degli italiani», “Il Gazzettino”, 20.11.1969. 282 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 107. 283 Annarumma, morte senza colpevoli di un poliziotto solo, La Repubblica, 02.09.2019, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/09/02/annarumma-morte-senza-colpevoli-di-un- poliziotto-soloMilano07.html 284 Senza incidenti la marcia dei metalmeccanici, “Il Gazzettino”, 29.11.1969. 79 velata minaccia: «Fate il contratto con noi sennò qua lo dovrete fare con i colonnelli»285. Il tentativo di golpe di Borghese era appena successo. 6.8 Il signor P e oscuri presagi Si è già visto in occasione del viaggio in Grecia del ‘68 che tra il regime ellenico dei colonnelli e l’estrema destra italiana ci sono dei solidi legami. Il 7 dicembre, ad appena cinque giorni dalle bombe di Milano e Roma, il settimanale inglese «The Observer» pubblica un servizio nel quale l’autore Leslie Finer sostiene che l’estrema destra, insieme a ufficiali dell’esercito italiano e con l’aiuto del governo greco, stia preparando un golpe militare. La tesi è confermata da un rapporto redatto da Michael Kottakis, direttore dell’ufficio diplomatico del ministero degli Esteri, e indirizzata al premier Papadopoulos, basato sui rapporti fatti a Kottakis da un agente del KYP286 in Italia. La fonte riferisce di colloqui con tale signor “P”, il quale avrebbe parlato con le forze armate e i vertici dei carabinieri per una svolta autoritaria in Italia come in Grecia. Nel rapporto si fa menzione inoltre di concentrare gli attacchi sul PSI e soprattutto della bomba alla fiera campionaria del 25 aprile, la quale come detto era stata attribuita agli anarchici. Ma chi è questo signor “P”? Per Finer è Pino Rauti mentre un’altra ipotesi lo identifica con Randolfo Pacciardi; entrambi ovviamente smentirono con minacce di querela ma guarda caso tutti e due erano stati in Grecia non molto tempo prima. Pacciardi nello specifico era stato ad Atene nella primavera del ‘69287. L’identità dietro lo pseudonimo non verrà mai svelata: i servizi segreti greci diranno che il documento era un falso e per tale motivo la magistratura, in modo affrettato, decise di non approfondire le indagini. Giusto un mese prima della strage di Piazza Fontana Konstantinos Plevris, estremista di destra e collaboratore del KYP, era stato a Roma tra l’8 e il 10 novembre288. Il settimanale Epoca, già protagonista nell’estate del ‘64 con una copertina tricolore in occasione del momento più caldo del Piano Solo, è pronto a uscire con un’edizione molto simile. Il numero che si potrà comprare nelle edicole domenica 14 è di nuovo con i colori della bandiera italiana e titola «Che cosa può accadere in Italia»289. All’interno del settimanale si leggono non tanto velati presagi di ciò che sta per succedere, o meglio, ciò che una certa parte politica desidera: 285 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Piazza Fontana”, 27.12.1989, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/09/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-12121989-24299485-faf0-4759-828d- 5309b24f2124.html, min. 141. 286 Kentrikì Ypiresia Pliroforiòn, è il servizio segreto greco. 287 Aldo Giannuli, op. cit., p. 314. 288 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 118. 289 Allegato n° 3 in appendice. 80 Se nell'ipotesi di nuove elezioni la sinistra non accettasse il risultato delle urne, le forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non sarebbe un colpo di stato ma un atto di volontà politica a tutela della libertà e della democrazia. [...] Perché non ci poniamo seriamente il problema della repubblica presidenziale, l'unica capace di dare forza e stabilità al potere esecutivo? Vi sono giorni in cui la storia impone riflessioni di questo tipo. Forse questi giorni sono venuti. Questi giorni, forse, noi li stiamo già vivendo290. 6.9 12-12-1969 Milano. Alle ore 16.37 di venerdì 12 dicembre 1969 nel salone della Banca nazionale dell’agricoltura, situata a Piazza Fontana, l’esplosione di un ordigno causa l’uccisione di 17 persone e il ferimento di oltre cento. Una seconda bomba viene trovata da un impiegato della Banca commerciale italiana in Piazza della Scala, la quale viene presa in consegna alla polizia: gli artificieri la fanno brillare, facendo così perdere l’occasione per trovare informazioni utili sugli attentatori. Entrambe le bombe erano all’interno di valigette. Altri due ordigni vengono trovati nella caserma dei carabinieri e in un grande magazzino291. Roma. Alle ore 16.55 esplode una seconda bomba nel sottopassaggio della Banca nazionale del lavoro di via San Basilio, causando 16 feriti. Tra le 17.22 e le 17.30 altri due ordigni scoppiano nei pressi dell’Altare della Patria senza creare grossi danni. Questi i fatti di quel tragico 12 dicembre del 1969 che ha segnato in modo inequivocabile la coscienza nazionale. Una vicenda sulla quale si è detto e scritto di tutto, alla ricerca di una verità che dopo oltre cinquant'anni pare quasi aver perso di significato per come è stata trattata. Negli anni si sono viste dichiarazioni come quella di Taviani che cercando di dare “dignità” alla tragedia dirà: «Quella bomba è stata messa con la copertura dei servizi segreti ma non avrebbe dovuto esserci la strage perché all’ora dello scoppio la banca avrebbe dovuto essere chiusa»292. La verità storica è però ormai emersa con un certo dettaglio e va ribadita in questa sede: a colpire è stata la cellula terrorista veneta guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura con l’importante aiuto del gruppo milanese di Giancarlo Rognoni; a mettere a punto l’ordigno di Piazza Fontana è stato l’”americano” Carlo Digilio mentre a trasportarlo sul luogo è ancora incerta l’assegnazione del ruolo a Delfo Zorzi o a Marcello Soffiati. Il giorno prima, poco distante e venuto a fare un ultimo sopralluogo, ritroviamo l’auto del già nominato Dario Zagolin293: l’operazione del 12 dicembre non poteva fallire. Per i fatti di Roma la responsabilità è stata attribuita, pur con qualche dubbio maggiore, a uomini di Avanguardia Nazionale, forse calabresi. Di tutto questo gli 290 Federazione milanese del PCI (a cura di), op. cit., p 13. 291 Mirco Dondi, op. cit., p. 139. 292 Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Ponte alle Grazie, Milano 2009, p. 86. 293 S. O. Salvini 1995, p. 354. 81 apparati di sicurezza erano perfettamente al corrente e ostacoleranno a lungo le indagini. Questo per quanto riguarda i fatti spicci, il punto fondamentale è “perché”? L’eccidio mirava a quattro obiettivi concentrici: 1. gettare il Paese nella paura, 2. screditare la sinistra, 3. creare in tal modo un clima di terrore da far richiedere alla popolazione maggior autorità, 4. costringere Saragat o Rumor a dichiarare uno stato d’emergenza. Se il primo obiettivo è subito raggiunto e sul secondo chi di dovere se ne occupa a stretto giro, il terzo non verrà mai realmente raggiunto e neanche il quarto: nonostante il sangue versato non si leverà mai dal popolo la richiesta di un governo forte, neanche nei momenti più bui della nostra storia. Sul quarto punto, la dichiarazione di uno stato d’emergenza, è fondamentale il fatto secondo cui il 14 dicembre era prevista una manifestazione nazionale del MSI a Roma già programmata da alcuni giorni: secondo Vincenzo Vinciguerra294 sarebbe stata la miccia per far scattare qualcosa di grosso, in quanto in quel clima post strage i disordini anche gravi sarebbero stati pressoché inevitabili. La manifestazione, per via del lutto nazionale proclamato dal presidente Saragat, viene però annullata. Ritornando al secondo punto le indagini puntano subito a sinistra: la prima pista porta a Giangiacomo Feltrinelli, seguita da carabinieri e SID, la seconda agli anarchici ed è guidata dalla polizia. Le indagini relative all’editore che viene sospettato di essere il mandante della strage, tra l’altro all’estero dal 5 dicembre295, non portano a nulla perché il magistrato incaricato Ugo Paolillo prima nega il mandato di perquisizione agli uffici e all’abitazione296, poi lo concede ma gli inquirenti non trovano nulla di concreto. La pista degli anarchici è più semplice: sono il perfetto capro espiatorio per la vicenda in quanto settore della sinistra debole e disorganizzato, già ritenuti responsabili degli attentati del 25 aprile e di quelli sui treni di agosto. I circoli “Ponte della Ghisolfa” e “22 marzo” sembrano fatti apposta, specialmente il secondo: fondato da Mario Merlino, il già citato collega di Delle Chiaie, è frequentato da persone tutt’altro che anarchiche come il poliziotto Salvatore “Andrea” Ippolito e il confidente del SID Stefano Serpieri o da sbandati come Pietro Valpreda che ben si prestano a fare da vittima ideale. A quanto risulta inoltre Valpreda era seguito con attenzione da tempo e la pista anarchica era in cottura almeno da aprile297. Le indagini a Milano, coordinate dal commissario Luigi Calabresi e dal capo dell’ufficio politico Antonino Allegra, portano all’arresto di alcuni anarchici, tra cui il ballerino Pietro 294 Piazza Fontana, la rivelazione di Vincenzo Vinciguerra: "Mariano Rumor doveva morire per non aver firmato lo Stato di emergenza", la7.it, 12.12.2019, https://www.la7.it/atlantide/video/piazza-fontana-la-rivelazione-di-vincenzo- vinciguerra-mariano-rumor-doveva-morire-per-non-aver-12-12-2019-298241 295 Va di fatto in clandestinità giusto in tempo, sarebbe interessante sapere chi lo ha avvisato in modo provvidenziale. 296 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p 123-124. 297 Aldo Giannuli, Le origini della pista anarchica, canale YouTube di Aldo Giannuli, 14.12.2021, min. 15, https://www.youtube.com/watch?v=aU3x5j-X74c&ab_channel=AldoGiannuli 82 Valpreda e il ferroviere Luigi Pinelli, già indagato per gli le bombe sui treni di agosto. Pinelli sarà vittima di una delle più scandalose morti di stato: alle ore 23.15 del 15 dicembre l’uomo, illegalmente in stato di fermo da due giorni, vola dalla finestra dello studio di Calabresi, situato al quarto piano della questura e muore poco dopo in ospedale. Il commissario, probabilmente assente in quel momento298, sarà investito da una pesantissima ondata di odio da sinistra che porterà alla sua uccisione il 17 maggio del ‘72 ad opera di un commando del gruppo estremista Lotta Continua. I presenti nella stanza diranno che Pinelli, dopo aver scoperto di essere in trappola in quanto Valpreda aveva confessato, si sarebbe gettato dopo aver gridato «Mio Dio è la fine del movimento anarchico internazionale»299. È un’ipotesi che tuttavia non ha senso per una serie di motivi: perché mai avrebbe dovuto essere aperta una finestra alle 11 di sera del 15 dicembre? Un padre di famiglia si getterebbe nel vuoto solo per un ideale politico? Fatto sta che la sentenza del 1975 del G.I. D’Ambrosio stabilirà che la sua morte è stata causata da un «malore attivo». Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo. Valpreda invece viene identificato quasi subito con un identikit tutt’altro che certo fornito da un tassista, Cornelio Rolandi, che infatti cambiò leggermente i tratti del sospettato tra una deposizione e l’altra. Inoltre a lungo si parlerà di un possibile sosia di Valpreda, tale Nino Sottosanti300, fatto salire apposta sul taxi per incastrare l’anarchico. Rolandi, in buona fede e senza rendersene conto funzionale all’inchiesta preconfezionata, muore un anno e mezzo dopo per motivi di salute301. Già in quel momento al Viminale si aveva notizia di un secondo identikit di un sospettato dai capelli «biondo-ossigenati»302, curiosamente gli stessi che aveva Franco Freda, visto uscire di fretta dalla banca. Valpreda diventerà il mostro da sbattere in prima pagina: il 16 dicembre il suo nome viene conosciuto in tutta Italia come il colpevole303, “Il Gazzettino” il giorno dopo pubblicherà una sua gigantografia in prima pagina su cui campeggia il titolo «I criminali ormai sono scoperti»304. Com’è noto era completamente innocente ma non importa, l’Italia aveva bisogno di un volto su cui gettare la propria rabbia e Valpreda è perfetto per questo. Emerge così il ruolo non secondario ma primario che ha la stampa nella strategia della tensione: la notizia sovrasta l’attentato, stabilendone il significato. Diventa fondamentale il primo flusso 298 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Piazza Fontana”, 27.12.1989, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/09/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-12121989-24299485-faf0-4759-828d- 5309b24f2124.html, min. 57. 299 Gianpiero Rizzon, Il suicidio di Milano, “Il Gazzettino”, 17.12.1969. 300 Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista. Ex membro della legione straniera, si avvicina poi a movimenti anarchici nonostante fosse ritenuto un provocatore se non un infiltrato dell’estrema destra. 301 Mirco Dondi, op. cit., p. 202. 302 Aldo Giannuli, op. cit., p. 321. 303 Telegiornale del 16.12.1969, https://www.youtube.com/watch?v=mY1S5BSFt8Q 304 Un anarchico denunciato per la strage. I criminali ormai sono scoperti, “Il Gazzettino”, 17.12.1969. 83 di informazioni, «un prodotto pianificato da parte delle autorità politiche e militari per influenzare gli orientamenti dell’opinione pubblica»305. Guido Lorenzon diventa suo malgrado il protagonista della vicenda: 28 anni, insegnante, di Maserada sul Piave (Treviso), conosce da tempo Giovanni Ventura. Questi, ritenendolo suo amico, gli ha fatto il 14 dicembre delle confidenze inequivocabili sugli attentati di due giorni prima. Lorenzon, al quale Ventura aveva già fatto discorsi che pensava dei folli deliri, capisce che è tutto reale e si reca dal suo avvocato per vuotare il sacco. Dice che Ventura «gli aveva confidato di essere a capo di un'organizzazione paramilitare con scopi e programmi eversivi, intesi a fiaccare la borghesia e a rovesciare l'ordinamento statuale; tale organizzazione, che contava numerosi adepti nella zona di Treviso, aveva i suoi nuclei più consistenti in Milano e Roma e disponeva di armi e di esplosivi»306. È la pista nera che però scatterà con una falsa partenza e necessiterà di oltre due anni per partire realmente con il giudice di Treviso Giancarlo Stiz. Il SID nel frattempo lavora sottotraccia e inizia il consueto lavoro di depistaggio attraverso due note informative come da prassi mezze vere e mezze false. La prima, breve e scarna, è del 16 dicembre, la seconda, più completa, del 17: L'esecutore materiale degli attentati dinamitardi a Roma sarebbe l'anarchico Merlino Mario per ordine del noto Stefano Delle Chiaie. Il Delle Chiaie avrebbe disposto che l'esecuzione a Roma fosse effettuata dal Merlino, avendo avuto ordine per tali attentati da tale Serac. La fonte ha riferito che gli attentati avrebbero un certo collegamento con quelli organizzati a Parigi nel 1968 e la mente organizzatrice degli stessi sarebbe tale Y. Guerin Serac cittadino tedesco, il quale risiede a Lisbona ove dirige l'agenzia «Ager Interpress»; Viaggia spesso in aereo e viene in Italia attraverso la Svizzera; è anarchico ma a Lisbona non è nota la sua ideologia; ha come aiutante tale Leroy Roberto, residente a Parigi; a Roma ha contatti con lo Stefano Delle Chiaie. Merlino e Delle Chiaie avrebbero commesso gli attentati per farne ricadere la responsabilità su altri movimenti307. La fonte citata nella nota è il già nominato Stefano Serpieri. Merlino non è anarchico ma fascista; Yves Guerin Serac non è tedesco ma francese né è anarchico ma nazista, a Lisbona non dirige l'«Ager Interpress» ma l'«Aginter Press», sempre a Lisbona (ma anche in Italia) la sua ideologia è notissima essendo in strettissimi contatti con la PIDE. Senza procedere ulteriormente nell’analisi sui fatti di Piazza Fontana e sull’iter giuridico della vicenda è necessario fare due considerazioni. Il 12 dicembre del 1969 è una data che cambia per sempre la storia italiana, “un punto di non ritorno che lascia crepe permanenti sulla vita politica e sociale»308. È la data in cui lo Stato agli 305 Mirco Dondi, op. cit., p. 63. 306 Atti inchiesta del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz. 307 Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio. 308 Mirco Dondi, op. cit., p. 206. 84 occhi di tanti cittadini diventa colpevole e perde la propria aura di purezza. Basterà ricordare che il SID, per mano del comandante del reparto D Gianadelio Maletti, farà fuggire in Spagna il suo agente Guido Giannettini e Marco Pozzan, collaboratore di Freda, provando in seguito anche a far evadere Giovanni Ventura dopo il suo arresto. O ancora, che Pietra Valpreda resterà in carcere fino al 1972, oltre tre anni di galera per non aver fatto niente: una sorte identica è riservata ai cinque anarchici accusati di aver piazzato le bombe del 25 aprile 1969. Oggi, a distanza di 53 anni, nella comune vulgata si parla ancora di misteri e dubbi nonostante ormai ce ne siano decisamente pochi sugli esecutori materiali, sugli organizzatori e anche sui mandanti. C’è dietro il partito del golpe, quel coacervo di politici e militari atlantisti che, pur andando dall'estrema destra più fascista ai socialisti saragattiani, è animato da un comune e quasi fanatico anticomunismo. Saragat, Taviani, Andreotti, Rumor, Forlani e Moro hanno detenuto i poteri più importanti dello stato negli anni delle stragi: forse, sotto sotto, un motivo ci sarà. È uno J’accuse ovviamente debole, senza prove certe, però grattando qualcosa emerge. Giuseppe Saragat qualche anno dopo sarà infatti accusato di essere il vero capo del partito del partito presidenzialista (PRI, PSDI, destra DC) che puntava ad elezioni anticipate sfruttando il clima provocato dalla strage. Un acceso incontro con Moro lo avrebbe portato a fare marcia indietro con un accordo: il primo avrebbe rinunciato a una svolta centrista-autoritaria, il secondo, a conoscenza che gli autori della strage erano “neri”, a far continuare il teatrino sulla pista anarchica309. C’è infine un dato su cui vale la pena riflettere per un attimo: 18 persone in totale (Pinelli compreso) sono morte il 12 dicembre del 1969. Nessuno di loro ha avuto giustizia in quanto in sede giudiziaria tutti i responsabili o presunti tali, pur avendo ricevuto una condanna storica, non sono più processabili perché o assolti in via definitiva (principio ne bis in idem) o perché i reati sono prescritti. L’ultimo iter giudiziario, datato 2005, assolse in appello Maggi e Zorzi, condannando i parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali310. Non serve aggiungere altro se non un sentimento di nausea verso questo Stato che uccide due volte. Il 13 giugno, a neanche sei mesi dai fatti, esce «La strage di stato»: si tratta di una pubblicazione molto importante perché porta alla ribalta la presenza della controinformazione. Autori un gruppo di giornalisti e militanti di sinistra, divisi in due redazioni a Milano e Roma: i loro nomi per anni sono rimasti ignoti. Quel che conta è che l’opera, pur con inevitabili limiti, mette già in chiaro che le bombe di Milano sono di destra. È una controinchiesta rispetto alla verità ufficiale di procura e mass media generali, la quale ha un appoggio fondamentale nel SID. Va da sé chiedersi il perché 309 Si veda Walter Rubini, Il segreto della Repubblica, FLAN, Milano 1978. Rubini è uno pseudonimo dietro cui si celava Fulvio Bellini, giornalista prima a L’Unità e poi a Candido. 310 Maristella Iervasi, Piazza Fontana, pagano le vittime, “l’Unità”, 04.05.2005. 85 di questa mossa: innanzitutto il servizio segreto militare punta a mettere in cattiva luce i rivali dell’UUARR, facendo emergere i loro legami con Avanguardia Nazionale, fulcro dell’inchiesta. In secondo luogo il SID passa solo alcune informazioni311, deformando così la verità verso una versione per loro più comoda. Sarebbe infine da menzionare la tesi sostenuta negli ultimi anni dal giornalista Paolo Cucchiarelli312, ripresa anche nel film del 2012 di Marco Tullio Giordana «Romanzo di una strage», secondo cui le bombe nella Banca nazionale dell’agricoltura sarebbero state due e non solo una come si è sempre detto. Un tema sicuramente interessante e che ha riacceso il dibattito: qui per logiche ragioni di spazio non può però essere approfondito. Riguardo al film in una scena compare il principe Borghese insieme ad altre persone del Fronte, non proprio contento per gli esiti delle bombe: un conto è fare dei danni e ferire qualcuno, un altro uccidere degli innocenti. 311 Mirco Dondi, op. cit., p. 235. 312 Si veda Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Ponte alle Grazie, Milano 2009. 86 Capitolo settimo: 1970, si fa sul serio 7.1 - Il caso Calzolari Il Fronte Nazionale fa sul serio e il piano eversivo non può essere assolutamente ostacolato da anelli deboli. Armando Calzolari, detto Dino, 43enne di Genova, è tra i primi aderenti al FN in quanto da giovanissimo si era arruolato nella Decima. Ex ufficiale di coperta nella marina mercantile, ora è il cassiere dell’organizzazione ma medita di abbandonare il gruppo fin da novembre313. Litiga furiosamente con gli altri camerati poiché non è d’accordo con la svolta violenta che sta prendendo l’organizzazione. La mattina di Natale esce di casa insieme al proprio cane per fare una passeggiata ma non farà mai ritorno. La moglie ne denuncia la scomparsa nei giorni seguenti. Qualcuno a quanto pare lo ha messo a tacere: il suo corpo viene ritrovato a fine gennaio dentro un pozzo nei pressi di un cantiere edile insieme a quello del cane. È apparentemente annegato in un metro e mezzo d’acqua, nonostante per anni sia stato in marina. Secondo gli inquirenti la tesi, pressoché immediata, è quella dell’incidente: «E’ disgrazia»314. Calzolari si sarebbe calato nel pozzo per salvare il cane ma poi non sarebbe più riuscito a uscire. La prima inchiesta infatti bollerà la morte come disgrazia accidentale. Dante Baldari, conoscente di Calzolari negli ambienti neofascisti, è uno dei pochi a nutrire dubbi sulla sua morte315. Un “opportuno” colpo di fucile lo farà passare a miglior vita durante una battuta di caccia in Tanzania qualche mese dopo. Solamente nel 1976 il sostituto procuratore della Repubblica Enrico Di Nicola sentenziò che Calzolari era stato ucciso «perché parlava troppo»316. In contemporanea, durante le testimonianze per il processo del golpe, il dirigente del FUAN Biagio Pirina parlò di un colloquio avuto anni addietro con Mario Rosa, nel corso del quale questi gli avrebbe rivelato che lui e altri avevano sistemato una persona che parlava troppo: il riferimento a Calzolari è piuttosto evidente. Quanti ai responsabili diretti questi verranno identificati solo nel 1994. Angelo Izzo, noto ai più per i fatti del Circeo317, era stato da giovane un estremista destra di un certo livello: interrogato dal giudice Salvini nel 1994, affermerà che «il responsabile della morte di Calzolari era (Roberto, nda) Balzerani del Fronte», in compartecipazione a Roberto Zebbi il quale gli disse di «aver sorpreso il Calzolari mentre portava a spasso il cane e di averlo annegato tenendogli la testa sott'acqua, 313 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 99. 314 Ora dicono «E’ disgrazia», “l’Unità”, 30.01.1970. 315 Baldari: un incidente di caccia molto opportuno, “l’Unità”, 02.04.1972. 316 «Caso Calzolari: per il giudice un delitto commesso dai fascisti», “l’Unità”, 13.05.1976. 317 Angelo Izzo, Andrea Guida e Gianni Ghira il 29 settembre del 1975 seviziano, violentano e massacrano per svariate ore Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. La prima miracolosamente riuscì a sopravvivere mentre la seconda venne uccisa per annegamento. 87 in un giardino, in un luogo poco distante dal pozzo in cui poi lo avevano abbandonato»318. 7.2 - Il golpe di centro e il MAR di Fumagalli L’8 marzo 1970319, nella sede del circolo giuliano-dalmata di Milano si tiene la prima assemblea nazionale della già nominata Lega Italia Unita. Quest’organizzazione, classificata dal SID come un «fronte anticomunista intransigente nello spirito del 1948»320, rappresenta l’ala presidenzialista del partito del golpe. È un aspetto fondamentale perché a differenza di Borghese e dei neofascisti in generale l’obiettivo di questo progetto è un golpe non militare ma politico e che porti a una repubblica presidenziale. L’anticomunismo resta un tema che accomuna entrambe le parti, un elemento che le porterà negli anni a mischiarsi e a renderle non sempre facilmente distinguibili. È un progetto istituzionale-legalitario, totalmente atlantista, meno eversivo e che prende le distanze dal fascismo estremo. Non a caso il futuro capo del raggruppamento sarà Edgardo Sogno: partigiano bianco medaglia d’oro della Resistenza, fervente monarchico e membro della P2 (tessera n° 786). Un mese dopo la riunione entra ufficialmente in scena un gruppo che farà molto parlare, il Movimento di azione rivoluzionaria (MAR), alla cui guida c’è l’ex partigiano bianco Carlo “Jordan” Fumagalli. Figura alquanto particolare in quanto nella Seconda Guerra Mondiale guida la formazione partigiana bianca dei «Gufi della Valtellina», tramite la quale era stato in contatto con i servizi americani dell’OSS321, facendo molto probabilmente il doppio se non il triplo gioco con repubblichini e Alleati. Viene decorato con la bronze star dagli americani alla fine del conflitto che poi addirittura lo recluteranno per un’operazione coperta nello Yemen durante la guerra civile dello stato mediorientale322. In seguito aveva fondato il MAR con Gaetano Orlando, altra figura molto particolare, nei primi anni ‘60 anche se la datazione resta piuttosto incerta. Il MAR costituisce il braccio armato della Lega Italia Unita, operando al sicuro grazie a una rete di alte protezioni nei carabinieri, in modo specifico con la Divisione “Pastrengo” di Milano, comandata dal generale piduista Giovan Battista Palumbo. Alla Pastrengo in quegli anni erano di casa personaggi legati alla destra radicale come Adamo Degli Occhi, Giorgio Pisanò e lo storico senatore del MSI Franco Servello323. In questo periodo iniziarono i primi attentati in Valtellina: la notte dell’11 aprile a Tirano venne fatto saltare in aria con la dinamite un traliccio mentre la notte del 14 aprile 1970 altre cariche esplodono 318 S. O. Salvini, 1995, pp. 344-345. 319 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 148. 320 Atti inchiesta del giudice istruttore di Brescia dottor Gianni Simoni. 321 S.O. Salvini, 1995, p. 139. 322 Ibidem. 323 Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Giuliano Turone. 88 nel comune di Valdisotto324. La strategia operativa del MAR era stata decisa con delle riunioni apposite tenute a Padova fin dalla primavera del 1969 alla presenza di ufficiali italiani e americani della base di Vicenza, al termine delle quali erano state cedute delle armi al gruppo. Inoltre, come dirà il numero due di Fumagalli Gaetano Orlando, «nei primi mesi del 1970 sia a Livigno sia a Cancano vennero degli ufficiali americani per sincerarsi della nostra operatività»325. Si può notare quindi come il MAR fosse un’organizzazione terroristica chiaramente illegale sulla carta ma de facto legalizzata in quanto supportata da apparati dello stato (carabinieri e SIFAR- SID). Ciò sarà ben evidente nei fatti degli anni successivi, periodo nel quale il gruppo impunemente compie rapine e sequestri per autofinanziarsi, intrecciandosi anche con la mafia, e sarà accostato a fatti mai del tutto spiegati come la morte di Giangiacomo Feltrinelli326. Il MAR non è un gruppo neofascista ma fondamentalmente anticomunista e per una repubblica presidenziale: dopo tre anni di sonno ritornerà protagonista con i progetti golpistici della Rosa dei venti. L’attività degli esponenti del MAR finirà definitivamente nel maggio del ‘74 a partire dall’arresto di Kim Borromeo e Giorgio Spedini a marzo del medesimo anno: sono due giovani neofascisti lombardi che vengono catturati in una complessa operazione dal nome in codice Basilico in cui vi erano coinvolti il provocatore Gianni Maifredi e il capitano dei carabinieri di Brescia Francesco Delfino. L’operazione fu «un sostanziale “tradimento” dei carabinieri, o quantomeno un fatto assolutamente non atteso, per la bontà dei rapporti esistenti»327 tra le due parti: il vento è ormai cambiato e le attività del gruppo non sono più tollerate. Infine il 30 maggio a Biumo di Varese, in curiosa contemporaneità con il consiglio della NATO a Roma, il cui segretario generale è l’italiano e massone328 Manlio Brosio, una trentina di partigiani bianchi guidati dal già citato Sogno si riuniscono e fondano i Comitati di resistenza democratica (CRD). Un’organizzazione creata «per acquisire consensi e appoggi da utilizzare per Il programma eversivo»329. 7.3 - I preparativi A fine aprile, nella sua villa pisana, Tommaso Adami Rook convoca i responsabili delle bande armate del FN ed espone loro di predisporre uomini e armi per l'occupazione di un obiettivo a Roma, lasciando intendere che 324 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo p. 157. 325 S.O. Salvini, 1995, p. 142. 326 Il traliccio dove viene trovato il cadavere di Feltrinelli è a poche centinaia di metri da un’autodemolizioni di proprietà di Fumagalli. 327 Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, Memoriale del Pubblico Ministero, 01.11.2011, p. 957. 328 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 193. 329 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 89 l'azione sarà condotta il successivo 24 maggio330. Quella di cui parla il responsabile toscano del Fronte è una simulazione del golpe, la cui data non è ancora stata fissata. Secondo il SID il 1° giugno, in una riunione del direttivo del FN tenuta presso lo studio di Mario Rosa, il comando dei gruppi B viene ufficialmente affidato da Borghese a Stefano Delle Chiaie331. Quest’ultimo racconterà così il rapporto che si era instaurato tra AN e Borghese: «Ho ritenuto che il comandante Borghese rappresentasse una speranza e un’ipotesi politica importante, Avanguardia Nazionale era stata messa a sua disposizione. Abbiamo avuto l’onore di essere stati considerati in modo particolare dal comandante e noi l'abbiamo considerato in modo particolarissimo»332. Quel che è certo è che tra AN e FN non ci sarà fino alla notte dell’Immacolata alcuna differenza sostanziale, le due organizzazioni saranno nella sostanza una complementare all’altra. È tempo inoltre di elezioni amministrative: il voto del 7 e dell’8 non porta grandi novità, il centrosinistra appare consolidato ma è solo un’apparenza. Il governo Rumor infatti un mese dopo cadrà: il 6 luglio il premier in modo del tutto inatteso si dimette, motivando il gesto con lo sciopero generale previsto per il giorno dopo. La stampa di sinistra parlò di un pesante ricatto subito: «Il partito della crisi e dell'avventura tenta ancora di imporre la sua volontà e la sua prospettiva di un’involuzione verso destra della politica italiana»333. La crisi di governo aperta da Rumor coincide, chissà se per caso, con una decisa accelerazione del programma golpistico tanto che viene stabilita la data X: scrive il SID in un rapporto postumo che «l'attuazione del golpe viene fissata per la notte dell'8 dicembre 1970»334. La decisione è stata presa con una riunione del direttorio nella sede del FN il 4 luglio, il piano eversivo del Fronte Nazionale è oramai praticamente completato e nello stesso mese alcuni membri del gruppo effettuano un sopralluogo conoscitivo a Roma. Scrive infatti il SID che: Per quanto specificamente riguarda i gruppi B, Tommaso Adami Rook deve fornire uomini per l'occupazione del ministero dell'interno e la costituzione di una riserva da impiegare a seconda delle esigenze. Per la prima necessità, nell’ultima domenica del luglio 1970, convergono in Roma una ventina di elementi dei gruppi di La Spezia e Genova (tra cui Gaetano Lunetta, federale del MSI) per una ricognizione del dicastero. La ricognizione, condotta per nuclei di 3-4 uomini, è diretta da Salvatore Drago. Nei primi giorni di agosto la ricognizione viene ripetuta a beneficio del capo gruppo 330 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore 331 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 178. 332 Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.2005, https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 16. 333 Ufficio politico del PCI, Unità per battere il partito della crisi e dell’avventura, “l’Unità”, 07.07.1970. 334 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 90 B di Genova (SteIio Frattini) e del suo aiutante (soprannominato «la Bestia») che durante il soggiorno romano mettono a punto con Salvatore Drago un piano di occupazione del ministero335. Inoltre si muove di persona lo stesso Junio Valerio Borghese che continua a tastare il terreno e in questo periodo tiene una conferenza pubblica all’Hotel Treviso nell’omonimo capoluogo della Marca, alla presenza di reduci, curiosi e ufficiali della Marina336. 7.4 - I campi paramilitari La preparazione del golpe passa attraverso la creazione di diversi campi paramilitari di addestramento in tutta Italia che non a caso hanno il proprio apice nel 1970. Già l’anno precedente vi è testimonianza di movimenti: l’ancora poco noto Pierluigi Concutelli il 25 ottobre del 1969 viene arrestato insieme ad altri neofascisti vicino Palermo mentre si esercitava nell’uso di armi ed esplosivi. Dirà che a fornire loro il materiale era stato Remo Orlandini337. Esponenti di Europa Civiltà ai primi di novembre del 1969 avevano invece organizzato un campo paramilitare vicino al Parco d’Abruzzo338. Nel gennaio del ‘70 girava la voce di «esercitazioni a fuoco sulle colline di Cornuda, nell’alto trevigiano; nella zona Valerio Borghese aveva fatto più di un’apparizione»339. A dare notizie ufficiali in merito è Ordine Nuovo che tramite una circolare annunciava nel periodo luglio-agosto quattro campi-scuola sui soliti temi esplicitati al Parco dei Principi nel ‘65. Sandro Saccucci in primis aveva allestito dei campi di «parasoccorso» ai quali l’esercito aveva concesso sia attrezzature sia istruttori: come riportato all’epoca dal settimanale di destra “Lo Specchio” «Sull’appoggio al campo dato dallo Stato Maggiore dell’esercito non vi sono dubbi. Circa venti ufficiali appartenenti alle varie armi avevano chiesto di prestare la loro opera come istruttori»340. Un fatto che prova bene come anche Saccucci, come Orlandini e Borghese, godeva della protezione di «enti militari speciali»341. Una velina del SID datata 19 settembre 1970 afferma come: Dal 4 al 20 agosto presso Bardonecchia in località Fort Foin si è svolto un campo d’istruzione all’uso delle armi individuali e di reparto. Sono stati effettuati tiri con pistole, mitra e fucili mitragliatori. Il gruppo torinese del Fronte Nazionale, forte di 510 uomini, dispone di un completo armamento 335 Ibidem. 336 Paolo Girardi, I "lanciafiamme". 50 anni di storia del MSI nella marca trevigiana, Arti Grafiche, Conegliano 2021, p. 189. 337 Antonella Beccaria, Fabio Repici, Mario Vaudano, I soldi della P2, Paper First, Roma 2021, p. 24. 338 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 23. 339 Paolo Girardi, op. cit., p. 273. 340 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 36. 341 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 102. 91 individuale. Qualora il Pci dovesse inserirsi nell’area di governo l’armamento del gruppo dovrebbe essere integrato facendo ricorso alle caserme locali342. È un’informativa pesante per due motivi: innanzitutto da questi campi paramilitari partirà l’inchiesta del giudice Luciano Violante che porterà a Edgardo Sogno e al dirigente ordinovista Salvatore Francia, in secondo luogo l’attività del FN viene inserita in un contesto paraistituzionale palesemente illegale nel quale le armi arrivano da forze armate ufficiali. Su questo argomento parlerà oltre vent’anni dopo Carlo Digilio al giudice Guido Salvini precisando che il campo d’addestramento era noto come “Sigfrido” e avveniva alla presenza di 40 capigruppo che addestravano i nuclei in vista del golpe343. Infine a Tropea, in Calabria, proprio nel periodo della rivolta di Reggio, sarebbe stato organizzato un campo di addestramento noto come “Mussolini”, al quale avrebbe fatto più volte visita il comandante Borghese e da cui partivano i giovani volontari. Il campo avrebbe avuto per lunghi mesi una vera e propria organizzazione militare con armi in dotazione che sarebbero state «fornite da ex agenti dell'OAS»344. Un’ipotesi suggestiva ma non campata in aria e che trova conferma nelle parole del pentito Carmine Dominici, il quale ha affermato che l’ex legionario francese Jean (nome completo Jean-Marie Laurent) «nei primi anni '70 teneva lezioni per militanti a Reggio Calabria sull'uso degli esplosivi»345. Il 7 maggio una nave partita da Barcellona arriva in Calabria e scarica 200 casse, contenente ognuna 10 fucili “Mauser”346: sono armi che servono a scopi più importanti della rivolta di Reggio, la miccia per far esplodere il caos nazionale. Il SID che come sempre sa tutto, prende nota e dimentica. Scriverà il servizio in un suo rapporto datato 9 agosto che «Il Fronte Nazionale è stato più volte segnalato come organizzazione diretta a creare le condizioni per attuare un colpo di stato; ha delegati provinciali in diverse città d'Italia; è collegato con Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale; è ritenuto il sodalizio più idoneo a influenzare in proprio favore le forze armate e di polizia»347. Questo ancora una volta per sottolineare come i servizi segreti fossero perfettamente aggiornati sui movimenti dei golpisti e non come affermato anche recentemente che «la preparazione del colpo di stato sfuggì a qualsiasi analisi dei servizi segreti, di polizia, carabinieri e magistratura»348. Niente di più falso. 7.5 - Il quadro politico e militare della vigilia 342 Atti processo c.d. Borghese cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 36. 343 Interrogatori di Carlo Digilio del 27 novembre 1994 e del 26 giugno 1997, cit. in S.O. Salvini, 1998, p. 351-352. 344 Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, pp. 108-109. 345 S.O. Salvini, 1995, p. 81. 346 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 184. 347 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 348 Ugo Dinello, op. cit., p. 105. 92 Il 6 agosto Emilio Colombo, già più volte ministro (Tesoro, Bilancio, Agricoltura e Industria), è ufficialmente il nuovo presidente del Consiglio: appena prima di Ferragosto si forma il nuovo governo, al cui interno restano Tanassi e Restivo come ministri di Difesa e Interni, Moro invece va agli Esteri. È un governo nato dalla coalizione tra DC, PSI, PSDI e PRI, un centrosinistra organico. Colombo vince il duello con Andreotti poiché a quanto pare la candidatura di quest’ultimo era stata osteggiata in primis dal generale Miceli ma anche da Tanassi e Saragat349. Andreotti fa finta di niente ma non tarderà a vendicarsi. A fine mese si verifica una tentata strage che avrebbe anticipato di 10 anni quella di Bologna: nella stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova nelle prime ore del 28 agosto il brigadiere Mario Casagrande nota una valigia di cartone abbandonata da cui proviene un ticchettio. Ha un passato da artificiere, capisce che è una bomba e la porta in un luogo isolato dove esplode alle 4 senza conseguenze. Le piste che vengono battute sono quella altoatesina e quella neofascista ma tutt’oggi la responsabilità è ignota. Resta inoltre un altro dubbio: voleva essere un atto dimostrativo o si volevano fare morti? A suffragio della prima ipotesi il fatto che la bomba fu messa nella notte, le cronache dell’epoca riportano però che la stazione a quell'ora era colma di pendolari350. Il 18 ottobre Vito Miceli dal SIOS-Esercito succede all’ammiraglio Eugenio Henke alla direzione del SID su raccomandazione del generale dell’esercito Siro Rosseti, tesoriere della P2, a Licio Gelli, il quale dirà: «Il generale Miceli fu iniziato alla massoneria prima che egli andasse al SID. Egli fu da me conosciuto intorno al 1968-1969. In quel tempo ministro della Difesa era l'onorevole Tanassi ed io ero amico del suo segretario dottor Bruno Palmiotti. Mi recai da quest'ultimo e raccomandai Miceli per la designazione a capo del SID»351. Fa carriera anche l’ammiraglio Giuseppe Roselli Lorenzini, comandante delle forze navali alleate del Sud Europa a Malta, nominato ora capo di stato maggiore della Marina. Il suo posto viene occupato dall’ammiraglio Gino Birindelli, vecchio compagno in Marina del principe Borghese. Le trame eversive si concentrano da questo punto non a caso: è in questo periodo (capo dello stato Saragat, presidente del Consiglio Colombo, Restivo all'interno e Tanassi alla difesa, Marchesi capo di stato maggiore della Difesa, Mereu dell'esercito, Fanali dell'Aeronautica) che si raggiunge un massimo di concentrazione di neo fascisti dichiarati o di uomini sospetti di infedeltà alla repubblica negli alti gradi delle forze armate. 349 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 188. 350 Giulio Ardinghi, Allucinante la freddezza degli attentatori di Verona, “Il Gazzettino”, 30.08.1970. 351 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella. 93 Infine un fatto secondario ma con un risvolto interessante: il 27 novembre Papa Paolo VI mentre è in visita a Manila nelle Filippine è vittima di un attentato a opera di un pittore boliviano che con un coltello lo ferisce leggermente. Il presidente Saragat invia al pontefice un telegramma di solidarietà, nel quale parla di «atmosfera di odio che si leva dal mondo degli opposti estremisti»352. Un’espressione molto particolare che forse in questo caso viene usata per la prima volta: la teoria degli opposti estremismi condizionerà notevolmente la discussione dei primi anni ‘70, mettendo in contrapposizione terrorismo nero e rosso. 7.6 - Gli americani Amara e arcinota verità: in Italia non si muove foglia senza che Washington lo approvi. Per tale motivo i golpisti puntano su un appoggio americano al colpo di stato o quantomeno su un tacito assenso ed entrano in contatto sia con i servizi segreti che con gli organi di stato statunitensi. Il presidente americano è dal gennaio del ‘69 il repubblicano Richard Nixon, il quale sceglie come consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger. Con quest’ultimo gli Stati Uniti cambiano notevolmente politica estera e vanno a influenzare in modo pesante la politica interna degli stati alleati: il picco massimo verrà toccato nel 1973 in Cile con la deposizione del governo regolarmente eletto del socialista Salvador Allende e l’instaurazione del regime militare di Augusto Pinochet tramite l’operazione Condor. Kissinger, responsabile dell’uccisione di circa cinquantamila civili in Cambogia, sempre nel 1973 sarà insignito del premio Nobel per la pace353. A quanto risulta Borghese non aveva mai tagliato i ponti con il vecchio salvatore James Angleton che nel frattempo era diventato uno dei più importanti analisti della CIA in quanto Capo dei Servizi Americani per l’area mediterranea: l’ex agente dell’OSS lo mette in contatto con gli apparati americani, favorendo alcuni incontri con i responsabili del Dipartimento di Stato statunitense e delle forze NATO354. L’ambasciatore americano in Italia in questo momento si chiama Graham Martin ed è nel nostro Paese con questo incarico dall’ottobre del ‘69. A lui vicino è James Clavio, addetto militare e uno dei principali tramiti dei rapporti tra il generale Miceli e l’ambasciatore355. Borghese entra in contatto con l’ambasciata ma i primi contatti sono infruttuosi: già il 26 gennaio 1970 avviene un primo incontro tra il comandante e Charles Strout, secondo segretario dell’ambasciata a Roma, il quale però si dimostrò scettico e 352 “L'Espresso”, 23.2.1975. 353 Quando Kissinger visse il Nobile per la Pace, ilpost.it, https://www.ilpost.it/2023/11/30/kissinger-nobel-pace/, 30.11.2023. 354 Solange Manfredi, op. cit., p. 38. 355 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 220. 94 politicamente freddo356. A questo punto si erge a protagonista Adriano Monti, il già citato medico/spia/ex SS: secondo il suo racconto, di conseguenza da prendere con le pinze perché unica voce senza contraddittorio, ad agosto del ‘70 vola fino a Madrid per incontrare Otto Skorzeny, l’ufficiale delle SS che aveva liberato Mussolini nel 1943 dal Gran Sasso e che poi a fine guerra si era riciclato come altri ex nazisti nella rete Gehlen di cui, come detto, Monti faceva parte. Sembra ancora una volta un film fantasioso, quasi folle, ma non lo è affatto. «Andai a parlare con Skorzeny per sapere se lui poteva dare al principe Borghese la conferma che da parte di certi ambienti dell'intelligence si guardava con rispetto a un’iniziativa del genere. Dopo un ponderato pomeriggio di attesa la risposta fu sì, a condizione che un personaggio politico italiano avrebbe fatto da presidente in pectore»357. Il FN, oltre a Monti, ha un altro uomo che può fare da contatto con i vertici statunitensi: si tratta di Pier Talenti, industriale italo-americano e nipote del già citato Achille Talenti che da tempo finanziava i gruppi neofascisti italiani. Questo Talenti, «amico personale di Nixon, nel 1968 aveva costituito il comitato italiano per l’elezione alla Casa Bianca»358 del politico repubblicano. Di tale comitato faceva parte tal Hugh H. Fenwick, ingegnere per la ditta Selenia e uomo di contatto con la CIA, con il quale per il tramite di Talenti il FN entra in contatto. Avvengono così dei colloqui tra Fenwick e Orlandini in primis359 e poi soprattutto con Adriano Monti. Secondo quanto ha ammesso il medico reatino, Fenwick si impegnò a girare la domanda a Herbert Klein, assistente di Kissinger, e tornò con due richieste specifiche: 1. costituzione di un governo presieduto da un politico appartenente alla DC che godesse della fiducia degli USA; 2. indizione di elezioni entro l’anno escludendo le liste comuniste360. Monti gira la proposta a Borghese che a sua volta lo invita a risentire Fenwick per capire quali fossero i politici graditi: il nome unico proposto è quello di Giulio Andreotti361. Borghese lo giudica il minore dei mali e «l’unico alleato in posizione chiave e disponente di mezzi e potere»362. Entra nella partita anche Gilberto Bernabei, braccio destro del Divo Giulio, di cui il Comandante ha un’opinione ambigua: scriverà infatti che «Non potevo certo dimenticare il suo voltafaccia da gerarca della RSI ad esponente della parte avversa, ad ogni modo era il meno peggio e sul piatto pesavano 356 Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della tensione, in Dimensioni e problemi della storia, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2/2020, p.51. 357 Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.05, https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 44. 358 Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della tensione, p. 51-52. 359 Ibidem. 360 Adriano Monti, ll ”golpe Borghese”: un golpe virtuale all'italiana, Lo Scarabeo, Bologna 2006, p. 55. 361 Adriano Monti, op. cit., p. 69. 362 Solange Manfredi, op. cit., p. 40. 95 di più i pro»363. I tre si incontrano, Andreotti capisce che il Principe è disposto a giocarsi il tutto per tutto e propone di fare il colpo di stato per agosto o settembre al massimo: Borghese si prende del tempo, non è convinto delle date. L’ambasciatore Martin non è molto convinto del golpe, o meglio, di questa tipologia e con queste persone, perciò invia una lettera al segretario di stato William Rogers, il quale gli risponde così il 10 agosto: «Noi rimaniamo scettici come voi sulle possibilità di un effettivo colpo di stato questa settimana. Il vostro rapporto correttamente indica che ci sono gruppi in Italia i quali potrebbero tentare qualche azione irresponsabile dai risultati potenzialmente disastrosi. Concordo con la linea che state tenendo nei confronti del principe Borghese»364. È una lettera che conferma i rapporti del SID secondo cui inizialmente il golpe doveva tenersi in estate. Inoltre a questo punto viene da sé chiedersi se Fenwick avesse parlato realmente con Klein, considerato che il segretario di stato Rogers era di tutt’altro avviso. L’assenso americano al golpe c’è o no? La risposta in modo semplice è nì: per una certa parte dell’establishment sì, per altri no. Sarebbe infatti sbagliato ritenere gli Stati Uniti un’unità compatta e con una sola voce: una parte della CIA senza dubbio spinge nella direzione del golpe Borghese365, il quale porterebbe a un Mediterraneo interamente governato da dittature militari. Altri ambienti, come appena visto, giudicano il golpe rischioso in quanto potrebbe avere un effetto boomerang e avvantaggiare le sinistre a livello italiano e più in generale creare una crisi internazionale con i sovietici. In sostanza è un no più di opportunità che di principio. Un evento rilevante avviene a fine settembre quando giunge a Roma il presidente americano Richard Nixon, accompagnato dal segretario di stato William Rogers e dal super consigliere Henry Kissinger. Il 28 arriva in una Roma blindata, con grandi proteste di piazza e anche nel resto del Paese, e si incontrerà prima con Saragat e poi con il Papa. Nixon motiverà la visita perché preoccupato dalla situazione sud europea: «Vogliamo la pace nel Mediterraneo»366, disse il presidente americano. L’occasione di trovare in Italia Nixon e il suo seguito è ghiotta per i golpisti, anche per quelli bianchi di Sogno, che sicuramente illustrano ai dignitari americani i propri progetti367. La frangia estremista, come si vedrà nel piano di politica estera del futuro governo, offre come contropartita agli americani una partecipazione italiana alla guerra in Vietnam368. Alla fine 363 Ibidem. 364 Relazione sui documenti concernenti l’Italia rinvenuti negli archivi degli Stati Uniti, 05.12.2000, Atti Commissione Stragi. 365 Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.05, https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 42. 366 Franco Venturini, Nixon a Roma: «Vogliamo la pace nel Mediterraneo», “Il Gazzettino”, 28.09.1970. 367 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 196. 368 Ivi, p. 220. 96 l’ambasciatore Martin, il quale ha già più volte incontrato il braccio destro di Andreotti Gilberto Bernabei, pone un ultimatum: si deve fissare la data entro la fine del ’70369. A fine ottobre Enzo Marchesi, capo di stato maggiore della Difesa, incontra Westmoreland, il generale autore dell’omonimo rapporto di cui si è fatto menzione a inizio trattazione, al quale dirà papale papale: «Normalmente i militari italiani non si immischiano nella politica ma con la minaccia di una partecipazione comunista al governo è necessario per i capi militari schierarsi con i politici democratici per dare loro la forza di opporsi al comunismo»370. Ora, bisogna capire bene come leggere queste dichiarazioni: Marchesi non vuole un colpo di stato militare in Italia, anzi spera che gli Stati Uniti neghino l’aiuto ai golpisti. 369 Solange Manfredi, op. cit., p. 41. 370 Gianni Flamini, L’amico americano, Editori Riuniti, Roma 2005, p. 73. 97 Capitolo VIII: il patto con la mafia 8.1 - I primi abbocchi Il progetto eversivo che si svolgerà a dicembre ha nei mesi precedenti una lunga gestazione che vede la stretta collaborazione tra l’estrema destra di Borghese e la mafia, nello specifico calabrese e siciliana. Secondo il super pentito Giacomo Lauro i primi contatti tra la mafia calabrese e Borghese avvennero a inizio del 1969: «A me risulta che la stipula del patto e quindi la richiesta che la mafia aiutasse la Destra eversiva che intendeva fare un colpo di stato avvenne a inizio ‘69 o più di lì»371. Fascisti e mafiosi collaborano attivamente? Sembra una follia, se si considera che almeno a parole la lotta alla mafia fu uno dei capisaldi del fascismo, ma non lo fu. Il 23 ottobre del 1969 a Montalto sull’Aspromonte avviene un importante summit della 'ndrangheta alla presenza di vari boss locali come Giuseppe Nirta, Giovanni De Stefano e Antonio Macrì. Il fatto straordinario è che tra oltre i 150 mafiosi presenti trovano posto Junio Valerio Borghese, Sandro Saccucci, Stefano Delle Chiaie e Pierluigi Concutelli372. La presenza di tutti questi è stata più volte messa in dubbio ma di sicuro in quei giorni Borghese era realmente in Calabria: il 25 ottobre, ovvero due giorni dopo, tenta infatti di organizzare un comizio a Reggio Calabria che però alla fine non si fa. Ne scaturisce una rivolta cittadina di cui la questura scrive «È noto che lo Zerbi fu il capeggiatore»373. Chi è questo Zerbi? Si tratta del marchese Felice “Fefè” Genoese Zerbi: piduista, dirigente di Avanguardia Nazionale e uomo di fiducia di Borghese nella Calabria, faceva da tramite tra i gruppi neofascisti e la criminalità organizzata locale. Era inoltre «cliente» della libreria padovana di Franco Freda374. È Zerbi a mettere in connessione la ‘ndrangheta e il gruppo di Borghese in quanto godeva di incondizionate protezioni presso l’ambiente mafioso. Altro personaggio di rilievo nella vicenda è Paolo Romeo: avvocato, massone, è l’eminenza grigia della ‘ndrangheta375. Si sviluppa quindi in questo ambito un patto tra tre soggetti (‘ndrangheta, massoneria ed estrema destra) con la seconda che in realtà funziona da camera di compensazione e punto di contatto. È la stessa mafia calabrese di quel tempo a mutare e l’ascesa di famiglie come i De Stefano e i Piromalli ne cambierà il volto: da organizzazione malavitosa locale e arretrata a potentissima cosca con agganci in mezzo mondo. L’accordo con l’estrema destra va visto in questa ottica, 371 Claudio Cordova, Gotha: il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati, Paper First, Roma 2019, p. 49. 372 Claudio Cordova, op. cit., p. 42. 373 Rapporto Questura di Reggio Calabria 23.12.1969, n. 3961012° cit. in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 114. 374 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 115. 375 Ex parlamentare del PSDI, è stato condannato dal Tribunale di Reggio Calabria nel luglio del 2021 a 25 anni di carcere a conclusione del processo “Gotha”. 98 ovvero di fare un salto di qualità, sfruttando l’azione di personaggi come l’appena citato Romeo. Nell’estate del ‘70, in piena rivolta a Reggio, sarà proprio questi a farsi promotore di un importante incontro fra Junio Valerio Borghese e i De Stefano. Come dirà anni dopo al giudice Guido Salvini il pentito Giacomo Lauro: «Più volte alla 'ndrangheta fu richiesto di aiutare i disegni eversivi portati avanti da ambienti della destra extraparlamentare fra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte era sempre l'avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici. I De Stefano erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al programmato golpe Borghese, mentre invece furono contrari le cosche della Ionica tradizionalmente legate ad ambienti democristiani»376. 8.2 - L’attentato alla questura di Reggio Il 7 dicembre 1969, a cinque giorni da Piazza Fontana, una bomba lanciata in corsa da una macchina esplode davanti a una finestra della questura di Reggio Calabria. L’esplosione provoca notevoli danni alla struttura e il ferimento grave di un agente. Le indagini porteranno alla denuncia e all’arresto dieci giorni dopo di Aldo Pardo e Giuseppe Schirinzi377, due elementi di estrema destra reduci dal viaggio in Grecia del ‘68. Pardo durante gli interrogatori fa il vago e smentisce la sua partecipazione all’attentato, Schirinzi idem ma fa delle interessanti dichiarazioni agli inquirenti: scrive la questura che «rivelava di essere a conoscenza che in questo capoluogo, così come in altre città d'Italia, opera un'organizzazione politica di estrema destra, facente capo al comandante Valerio Borghese, che si prefigge la conquista del potere per via rivoluzionaria. Di tale movimento, capeggiato in Reggio Calabria da Genoese Zerbi Felice, fanno parte Dominici Carmelo, Sembianza Benito, Barletta Giuseppe, Pardo Aldo, Ligato Francesco»378. Un altro allarme inascoltato sui piani del Principe. 8.3 - La rivolta di Reggio Calabria Il Consiglio per le Regioni stabilisce nel gennaio del ‘70 che il capoluogo della Calabria sarà Catanzaro e non Reggio. Una decisione sorprendente se si considera il netto divario storico tra le due città e che genera il malcontento popolare. A metà luglio iniziano le proteste a Reggio che, partendo da questa causa accidentale, inglobano le tradizionali rivendicazioni sociali del meridione. In brevissimo tempo i moti assumono caratteristiche eversive, come se qualcuno avesse acceso un cerino nel posto giusto al momento giusto. Assalti agli edifici pubblici, barricate e spari porteranno il conto a 5 morti e centinaia di feriti negli scontri che dal fatidico 14 luglio, giornata in cui i 376 S.O. Salvini, 1995, p. 218-219. 377 Due fascisti arrestati per la bomba di Reggio C., “l’Unità”, 18.12.1969. 378 Rapporto Questura di Reggio Calabria 23.12.1969, n. 3961012° citato in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 113. 99 manifestanti tentano l’assalto alla prefettura, arriveranno fino al febbraio del 1971. La rivolta parte da sinistra ed è infatti inizialmente schifata con atteggiamento classista dalla destra che chiama i rivoltosi «teppisti, canaglie, cialtroni». Viene poi, da un punto di non semplice identificazione, cavalcata in pieno dalla destra al grido di «Boia chi molla» e da volantini del tipo «Reggio è il primo passo della rivoluzione nazionale in cui si brucia questa oscena democrazia»379. Dalla massa emerge la figura di Ciccio Franco, esponente della CISNAL380, salito a capo popolo con il Comitato d’azione per Reggio capoluogo. La piazza di Destra mostra all’Italia cosa è in grado di fare: il futuro slogan sarà infatti «L’Aquila, Reggio, a Milano (o Roma in alternativa) sarà peggio». Franco per i fatti di Reggio sarà ricompensato dal MSI con un seggio in Senato nel 1972. 8.4 - La strage di Gioia Tauro e i giovani anarchici della Baracca Il 22 luglio, a otto giorni dall’inizio della rivolta, il Treno del Sole, il direttissimo Siracusa-Torino, deraglia a pochi metri dalla stazione di Gioia Tauro: siamo ad appena 50 chilometri da Reggio Calabria. Intorno alle 17 il macchinista dirà di aver sentito un forte sobbalzo della locomotiva381 e di aver di conseguenza azionato il freno d’emergenza. La manovra inizialmente andò bene ma poco dopo provocò la fuoriuscita di alcune carrozze dai binari e la divisione del treno in tre parti. Il bilancio è di 6 morti e di 72 feriti. Le prime indagini misero in accusa le ferrovie italiane tanto che quattro dipendenti vennero rinviati a giudizio382 e per un ventennio con i consueti depistaggi, come riconoscerà il tribunale di Palmi, la vicenda cadrà nell’oblio. Un ruolo importante in tale senso viene svolto da Elvio Catenacci, successore di D’Amato all’UAARR, il quale si reca personalmente a Gioia Tauro e avalla la tesi dell’errore del personale383. Per avere una sentenza si dovrà attendere il 1993: verranno riconosciuti colpevoli i militanti di Avanguardia Nazionale Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella. Decisiva la testimonianza del già nominato Giacomo Lauro, il quale con Silverini aveva condiviso il carcere: «Mi raccontò che aveva portato la bomba insieme a Vincenzo Caracciolo sulla moto ape di quest'ultimo e che lui stesso aveva confezionato l'ordigno, composto da candelotti di dinamite con accensione a mezzo miccia. [...] Mi disse ancora che la bomba aveva provocato la distruzione di circa 70 metri di linea ferrata e che l'incarico gli era stato conferito dal "Comitato 379 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615- 4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 13. 380 Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori, era il sindacato del MSI. 381 Cinque anarchici del Sud. Una storia negata, lsdi.it, http://www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap9.html 382 Verranno assolti nel 1974. 383 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 95. 100 d'Azione"»384. Tra i componenti di questo comitato vanno tenuti a mente, oltre al già citato Ciccio Franco, due persone come Paolo Romeo e Fefè Zerbi. Due mesi dopo i fatti di Gioia Tauro cinque giovani reggini del circolo anarchico “Baracca” trovano la morte sull’Autostrada del Sole vicino a Ferentino. È il 26 settembre del 1970 quando Giovanni Aricò, Angelo Casile, Annelise Borth385, Luigi Lo Celso e Francesco Scordo sono vittime di un tremendo incidente stradale nel quale la loro auto sbanda e va a cozzare contro un camion fermo, causando il decesso dei cinque quasi sul colpo. Si scoprirà che i giovani erano diretti a Roma per consegnare alla Federazione Anarchica dei documenti scottanti sui fatti di Reggio e la strage di Gioia Tauro: avevano scoperto con anni di anticipo l’accordo tra estrema destra e mafia, «cose che faranno tremare l’Italia»386. Tragica fatalità od omicidio? La prima ipotesi è quella che verrà certificata dall’indagine che nel 1971 archivierà il caso come incidente stradale. Non sarà così per i familiari e i compagni anarchici che porteranno avanti per anni le loro controinchieste: i due camionisti coinvolti sarebbero dipendenti di Borghese387, il rapporto della Polstrada sull’incidente è sparito e poco dopo l’incidente la Digos era già sul posto. Si scoprirà che il padre di Lo Celso aveva ricevuto poco prima una chiamata di un conoscente che lo invitava a non far partire il figlio. L’ipotesi di omicidio sarà confermata dal già citato Carmine Dominici: «Personalmente ritengo che si sia trattato di un omicidio e non di un incidente e tale opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti»388. Sugli esecutori della presunta azione omicida Dominici però non farà nomi. Il caso non sarà mai riaperto, lasciando tuttora parecchi interrogativi. 8.5 - Cosa nostra Grazie al racconto di due pentiti d’eccezione come Tommaso Buscetta e Antonino Calderone, pur arrivati a distanza di parecchi anni, è comprovata l’adesione di alcune cosche siciliane al golpe Borghese. Come ben ha sintetizzato il giudice Salvini Pippo Calderone, fratello di Antonio, e Giuseppe Di Cristina erano stati messi in contatto, tramite l'esponente massone Carlo Morana, con un emissario del Principe Borghese ed era stato loro chiesto di mettere a disposizione gli uomini delle cosche mafiose per un colpo di Stato anticomunista in fase di avanzata preparazione. Compito degli elementi mafiosi sarebbe stato quello di controllare, al momento del golpe, alcune zone della Sicilia, collaborare alla sostituzione dei Prefetti con uomini di fiducia del Principe Borghese, impedire contrattacchi di civili o comunque di forze fedeli al Governo 384 S.O Salvini 1995, p. 247. 385 Detta Muki, tedesca, era stata arrestata e poi rilasciata per i fatti di Piazza Fontana. 386 Giovanni Maria Bellu, Cinque anarchici morti e una strage. Scoprirono la verità, li uccisero, “La Repubblica”, 10.04.2001. 387 Mirco Dondi, op. cit., p. 250. 388 Claudio Cordova, op. cit., p. 71. 101 legittimo e rastrellare gli oppositori politici. Nel corso dell'azione, gli elementi mafiosi sarebbero stati muniti di un bracciale verde in segno di riconoscimento. In cambio sarebbe stata alleggerita la posizione processuale di alcuni importanti esponenti mafiosi detenuti e sarebbe stata forse concessa dal nuovo Governo un'amnistia. [...] Erano sorte alcune perplessità, sia di carattere per così dire storico/politico (molti capi mafiosi ricordavano ancora l'invio al confino di loro affiliati durante il regime fascista) sia di carattere più concreto, in quanto non era stata gradita la richiesta avanzata dall'emissario del Principe Borghese di fare avere ai golpisti una lista di affiliati alle varie "famiglie", circostanza questa che in un momento successivo avrebbe potuto ritorcersi contro i gruppi mafiosi stessi. Alla fine era stata decisa un'adesione tiepida al progetto, senza consegnare liste e promettendo ai golpisti un impegno di carattere più generico 389. L’esponente di Borghese citato dal giudice va identificato con una buona dose di sicurezza o con Salvatore Drago, il medico di origine catanese in servizio al ministero dell’Interno o con Giacomo Micalizio. Quest’ultimo, pochi anni fa, ha proposto un terzo nome, di fatto mai noto: Ferdinando Mistretta. Segnalato insieme a Concutelli perché provava delle armi nel 1969 vicino Palermo e per tale motivo arrestato390, secondo Micalizio era lui «a occuparsi delle relazioni»391. Infine va posto l’accento sul fatto che l’elemento di contatto tra Cosa Nostra e l’entourage di Borghese è un massone, il citato Morana: come si vedrà nel dettaglio più avanti il golpe è innanzitutto un affare delle logge, in particolare della P2. In quanto a Tommaso Buscetta nel 1996, durante il famoso processo a Giulio Andreotti per i suoi rapporti con la mafia, fece diverse dichiarazioni rilevanti riguardo al colpo di stato. «La massoneria era interessata affinché gli uomini prendessero parte al golpe Borghese. Io stesso insieme a Salvatore Greco tornai dall’America a Catania per incontrare Giuseppe Calderone e Luciano Liggio»392. L’incontro secondo Buscetta si tenne in coincidenza con i Mondiali di calcio in Spagna, ovvero nella prima parte del mese di giugno. Si fa notare che viene posto nella dichiarazione l’accento sul fatto che la massoneria volesse i mafiosi nel golpe, non si parla di gente di estrema destra, come se fossero loro i veri registi dell’operazione e non Borghese. In ogni caso quali erano le richieste di Borghese? Spiega sempre Buscetta che consistevano «o in un elenco di tutti gli uomini d’onore che partecipavano al golpe o se tutti gli uomini d’onore al momento dell’insurrezione si mettessero una fascia verde alla manica della giacca in modo da essere riconosciuti»393. In cambio Borghese offre la scarcerazione di 389 S.O. Salvini, 1995, p. 194. 390 Tribunale di Venezia, sentenza-ordinanza del G.I. Carlo Mastelloni nei confronti di Zvi Amir e altri, 1998, pag. 1391- 1393, https://4agosto1974.wordpress.com/2014/12/25/concutelli-le-armi-e-i-contatti-con-orlandini-del-1970/ 391 Fabio Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008, https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min 24. 392 Buscetta e Leggio: il golpe Borghese 2° parte, Dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Luciano Liggio durante gli interrogatori per il processo Andreotti del 1995 (Buscetta) e per il Maxiprocesso del 1986 (Liggio), canale YouTube Italia Mistero, https://www.youtube.com/watch?v=_K2AiTOP2jY&ab_channel=italiamistero, min 1. 393 Ivi, min. 1.50. 102 Vincenzo e Filippo Rimi, due mafiosi condannati all’ergastolo: rispettivamente padre e figlio, Filippo era il cognato del super boss Gaetano Badalamenti. L’interesse di Cosa Nostra nel colpo di stato era piuttosto semplice: noi vi aiutiamo con il golpe, voi in cambio una volta al comando dell’Italia effettuerete una revisione dei processi a nostro carico in modo favorevole. Sempre Buscetta racconta che dopo il primo incontro a Catania lui e Greco effettuano un secondo meeting fuori Milano alla presenza dei boss Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calderone e Totò Riina. La risposta dei boss fu un secco no, in quanto le richieste erano state giudicate troppo umilianti: «Quello che chiede il principe Borghese non fa al caso nostro»394. La partecipazione dei mafiosi siciliani al golpe verrebbe quindi meno. Non è proprio così perché Buscetta racconta con certezza che Natale Rimi, figlio del già citato Vincenzo, partecipa all’azione nella notte dell'Immacolata395. Nel suo racconto l’ex boss aggiunge un particolare inquietante: dopo l’incontro di Milano ritornò negli Stati Uniti da dove da anni dirigeva i suoi “affari”. All’arrivo in aeroporto agenti dell’FBI gli chiesero se il colpo di stato avrebbe avuto luogo396: come si vedrà la CIA, il servizio segreto americano per l’estero, sapeva del golpe e fin qua nulla tutto sommato di scandaloso. È strano invece che lo sappia l’FBI, l'intelligence interna americana. Il che apre la discussione se del golpe sapessero altre agenzie potenti come KGB, MI6 e Mossad: la risposta è un punto di domanda enorme in quanto la storiografia nostrana su questo punto non ha mai detto nulla. Infine Buscetta, nella sua dichiarazione, afferma che il golpe non andò in porto a causa di una flotta russa nel Mediterraneo che aveva preoccupato gli americani: per tale motivo il colpo di stato era stato rinviato a nuova data e mai più effettuato. Luciano Liggio durante il Maxiprocesso del 1986, dieci anni prima delle rivelazioni di Buscetta, aveva già dichiarato alla Corte d’assise di Reggio Calabria che aveva ricevuto la proposta di partecipare al golpe ma vi aveva rinunciato: «Non me la sono sentita di portare il Paese in un regime totalitario. Luciano non accetta, non si piega a nessun ricatto né con la libertà né con il denaro»397. Il vecchio boss Liggio voleva darsi un'aura di democraticità, aggiungendo che la sua rinuncia aveva causato una vendetta politica in quanto il ministro dell’Interno Franco Restivo, a sua detta, aveva forzato il tribunale di Bari per condannarlo. Va detto che però Liggio era già stato assolto dalla Corte d’assise il 10 giugno del ‘70 nonostante le gravissime accuse. Infine Liggio fa delle dichiarazioni rilevanti: «Quello che si doveva creare era un clima per cui il colpo di 394 Ivi, min, 5.40. 395 Ivi, min. 8.50. 396 S. O. Salvini, 1995, p. 195. 397 Buscetta e Leggio: il golpe Borghese 2° parte, Dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Luciano Liggio durante gli interrogatori per il processo Andreotti del 1995 (Buscetta) e per il Maxiprocesso del 1986 (Liggio), canale YouTube Italia Mistero, https://www.youtube.com/watch?v=_K2AiTOP2jY&ab_channel=italiamistero, min. 14. 103 stato venisse giustificato, uno stato di bisogno»398. In sostanza il boss di Cosa Nostra propone una delle varie tesi attorno al golpe Borghese, ovvero che fosse un finto golpe per uno reale da attuare reprimendo il rischio artificiosamente creato dal primo. La medesima idea che verrà sostenuta a lungo dalla stampa di sinistra. 8.6 - Il caso De Mauro Mercoledì 16 settembre scompare nel nulla vicino a Palermo Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano locale «L’Ora». De Mauro, 49 anni, ex fascista, si era arruolato volontario nella X MAS di Borghese e in memoria del vecchio comandante chiamerà le figlie Junia e Valeria399. Pochi giorni prima di sparire aveva confidato a colleghi che aveva tra le mani qualcosa di molto grosso, «roba da far tremare l’Italia». Le piste che seguono gli inquirenti sono diverse ma puntano formalmente verso elementi della mafia locale. Fin qua nulla di strano, considerando che De Mauro in precedenza aveva indagato a fondo sulle operazioni delle cosche. Quel che conta è però la motivazione: c’è chi parla di traffici internazionali di droga e soprattutto c’è la “pista Mattei”: De Mauro avrebbe scoperto notizie scottanti sulla morte dell’ex presidente dell’ENI Enrico Mattei, scomparso nel 1962 in un incidente d’aereo in circostanze che per anni e tuttora fanno discutere. Ci vorranno anni per far venire a galla la verità: De Mauro fu ucciso perché era venuto a conoscenza del patto tra Borghese e i mafiosi in vista del golpe. Ad affermarlo il pentito Francesco Di Carlo, boss corleonese di rilievo negli anni ‘70 e poi collaboratore di giustizia dal 1996. Un’ipotesi non calcolata inizialmente ma che trova senso per due fattori: 1. Di Carlo è riconosciuto come una fonte affidabile, 2. De Mauro da ex fascista e giornalista non aveva mai tagliato i ponti con i vecchi ambienti dell’estrema destra. Confermerà questo punto Giacomo Micalizio, durante il processo per l’omicidio di De Mauro tenuto a Palermo nel 2008: afferma che lo conosceva fin dal 1955, che erano buoni amici e che De Mauro per la sua attività con la Decima avrebbe avuto una condanna a morte ma l’amnistia Togliatti lo avrebbe salvato400. Ritornando a Di Carlo l’ordine «di chiudere la bocca al giornalista»401 sarebbe arrivato direttamente da Roma e poi pianificato in una riunione tra i boss Stefano Bontade e Totò Riina. Le dichiarazioni di Di Carlo porteranno alla riapertura del caso, conclusosi però con l’ennesimo nulla di fatto in quanti l’unico accusato ovvero Riina sarà assolto per insufficienza di prove402. 398 Ivi, min. 17. 399 Sandro Provvisionato, op. cit., p. 45. 400 Fabio Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008, https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min. 11. 401 Attilio Bolzoni, Grasso: sul caso De Mauro mai sentiti personaggi chiave, “La Repubblica”, 28.1.2001. 402 De Mauro, sequestro senza colpevoli, lastampa.it, 27.01.2014, https://www.lastampa.it/cronaca/2014/01/27/news/de-mauro-sequestro-senza-colpevoli-1.35939553/ 104 Capitolo nono: nome in codice «Tora-Tora» 9.1 - Il piano Inizia il conto alla rovescia per il golpe, chiamato con il nome in codice “Tora-Tora” in ricordo dell’attacco giapponese su Pearl Harbour avvenuto lo stesso giorno del 1941. Il piano è definito: Il ministero dell'interno, quello della difesa, la televisione, gli impianti telefonici e di radiocomunicazione devono essere occupati. Attraverso i canali dei due ministeri sarà possibile impartire adeguati ordini ai contingenti di forza pubblica dislocati nei vari distretti ed avvantaggiarsi della capillare organizzazione dell'arma dei carabinieri. La radio e la televisione saranno utilizzate per lanciare proclami403. Uno di questi è quello presentato nella primissima parte di questa analisi che probabilmente lo stesso Borghese avrebbe dovuto leggere dagli studi RAI. All’interno degli studi della Radio Televisione Italiana i golpisti hanno come alleato interno il conduttore Febo Conti404, nell’orbita del Noto Servizio e l’ennesimo massone405 coinvolto nella vicenda. Il piano ha inoltre due obiettivi molto particolari: l’arresto del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, del quale se ne occuperà Licio Gelli in persona, e l’uccisione del capo della polizia Angelo Vicari. Tutto è pronto per un golpe che è già in partenza destinato a fallire in quanto i partecipanti secondo le indagini del dottor Salvini sarebbero stati circa 20000 in tutta Italia406, di cui un terzo di AN. È un numero inadatto per lo scopo ma comunque non irrilevante; Borghese non lo sa o fa finta di non sapere e va avanti. Riguardo ad Avanguardia Nazionale il suo compito prefissato inizialmente è duplice: una parte minore degli uomini farà saltare le strade che permetterebbero l’arrivo di militari «fedelissimi a Saragat» di stanza ad Anzio mentre il grosso degli avanguardisti andrà ad occupare il ministero degli Esteri407. Il giorno dopo verrebbero sostituiti dai carabinieri, elemento fondamentale per la riuscita del golpe, per occuparsi del rastrellamento di personalità scomode come i sindacalisti e i politici di sinistra. Il piano proposto non soddisfa AN in quanto gli obiettivi sono considerati minori e gli stessi membri temono che il golpe venga usato 403 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 404 Guido Mesiti (a cura di), processo a carico di Paolo Bellini ed altri, https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:07. 405 Scuola a distanza. La tv lancia i palinsesti didattici e il pensiero va a due mitici fratelli, il maestro Manzi e il conduttore di Chissà Chi lo sa Febo Conti, grandeoriente.it, 19.04.2020, https://www.grandeoriente.it/scuola-a-distanza-la-tv-lancia-i-palinsesti-didattici-e-il-pensiero-di-tutti-va-al-maestro- manzi-il-libero-muratore-che-dal-1960-al-1968-fece-lezione-agli-italiani-dal-piccolo-schermo/ 406 Guido Giannuli, op. cit., p. 346. 407 Relazione riservata su Avanguardia Nazionale e gruppi collegati, senza data [novembre 1972], Documentazione sequestrata presso la sede di “OP”, in Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla relazione, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, Vol. III, Tomo IV, Parte I, 23.09.1981, p. 766. 105 come trappola per degli arresti di massa. Delle Chiaie protesta e con l’appoggio del dottor Drago riesce ad avere il compito di occupare il ministero degli Interni. Gli americani come detto dovrebbero essere a favore: da Roma a golpe inoltrato partirà secondo il piano una chiamata prima al comando di Napoli, contando molto probabilmente sull’aiuto dell’ammiraglio Roselli Lorenzini, e da qui al comando NATO di Malta dove come detto c’è l’ammiraglio Birindelli che a sua volta la girerà a Washington per comunicare l’avvenuto successo. L’11 dicembre inoltre è prevista a Roma la visita ufficiale del presidente della Jugoslavia Josip Broz Tito 408, si vocifera di proteste previste in città per l’occasione e con questo pretesto i movimenti verso la capitale passerebbero inosservati. Tito rinvierà all’ultimo la visita in protesta alle dichiarazioni di Moro in parlamento di un paio di giorni prima riguardo la “Zona B”.409 Su che posizioni internazionali dovrà avere la nuova Italia Borghese pare avere le idee piuttosto chiare: Mantenimento dell'attuale impegno militare e finanziario nella NATO e messa a punto di un piano per incrementare la partecipazione italiana all’alleanza atlantica. Presa di contatto coi governi della Grecia, Spagna e Portogallo per stabilire un patto economico-militare di mutua assistenza e di tutela degli interessi nel Mediterraneo. Apertura immediata di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il Sud Africa e avviare preliminari per accordi economico-politici. Nomina di un inviato speciale del presidente con mansioni di contatto continuo col presidente degli USA allo scopo di concretare con rapidità i momenti di una partecipazione militare italiana ai problemi del sud-est asiatico410. 9.2 - L’intervista a “La Stampa” Il 4 dicembre, ad appena tre giorni dal previsto golpe, Borghese si rende protagonista di un gesto insolito: concede un’intervista a Giampaolo Pansa, inviato del quotidiano torinese “La Stampa”. Nel suo studio romano411, in compagnia di Benito Guadagni, viene ritratto come un vecchio fascista che ormai farnetica tanto che il titolo dell’articolo è emblematicamente «Deliri del principe nero»412. Borghese nell’intervista dichiara che alcuni deputati e senatori sono affiliati al FN, così come militari, industriali e sindacalisti. Sui loro nomi preferisce però il silenzio. Il comandante pare guardare alla Francia: «Manca l’idea di Patria, che è stata abolita. Parlo di quell’idea che dopo il maggio francese ha consentito a Parigi una sfilata di un milione di persone sui Campi Elisi. [...] Il Fronte sta preparando una struttura nazionale per sfruttare questo corteo di un milione di persone»413. Borghese, definito da Pansa 408 Franco Venturini, Comincerà giovedì a Roma la visita ufficiale di Tito, “Il Gazzettino”, 08.12.1970. 409 Zona in amministrazione jugoslava del mai realmente costituito Territorio Libero di Trieste. 410 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 411 Allegato foto. 412 Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970. 413 Ibidem. 106 anni dopo «L’uomo della CIA»414 mantiene un tono piuttosto vago riguardo la struttura del FN e come funzionasse se non che puntava in un certo modo a creare uno stato ombra. Il comandante non esita però a scagliarsi sullo stato italiano: «Lo stato di oggi è talmente marcio che forse non servirà nemmeno dargli un colpetto. L’attuale classe dirigente si è già arresa, tutti sanno che esegue rigidamente gli ordini del PCI. [...] Fra breve si porrà di nuovo il dilemma: o Roma o Mosca»415. Pansa chiede poi a Borghese cosa ne penserebbe di un colpo di stato: «Se fosse a breve termine e inteso a ristabilire l’ordine o per impedire l’avvento dei comunisti lo riterrei positivo, risponde il comandante»416. Questo in sintesi il contenuto dell’intervista che apparirà però il 9 dicembre. Ciò che bisogna chiedersi è perché Borghese rilasci tali dichiarazioni a poche ore dall’azione: di lui tutto si può dire ma non che fosse un militare mediocre. In un momento così delicato, in cui la logica imporrebbe il basso profilo, perché esporsi mediaticamente su un quotidiano nazionale? Le stesse domande se le pone lo stesso Pansa il quale dirà: Uno che sta per attuare un colpo di Stato riceve un giornalista del campo avverso? Parla per tre ore davanti a un registratore acceso? Si lascia fotografare in pose tanto poco marziali? Forse sì, forse no. A quel tempo mi dissi: no, è assurdo che lo faccia. Sono rimasto della stessa idea. Per me quel golpe non c' è mai stato. Ma forse sono l’unico a pensarla così417. 9.3 - Gli ultimi preparativi Il 5 dicembre negli uffici del cantiere di Remo Orlandini a Montesacro si intensificano le visite dei delegati provinciali del FN al quale il braccio destro di Borghese mostra le cianografie del piano d’azione. Va sempre necessariamente tenuto a mente che Orlandini «da almeno due anni dialoga con il generale Miceli»418 e che un appunto confidenziale datato 17 novembre segnalava tutti i movimenti e nomi del gruppo eversivo. È un punto ovviamente fondamentale perché testimonia, a scanso di qualsiasi equivoco, che i vertici del SID erano a perfetta conoscenza delle trame eversive. Il giorno dopo a Roma si incontrano all’Hotel Commodore i siciliani Giacomo Micalizio, Eliodoro Pomar e Francesco Muscolino. A Milano in contemporanea in un’armeria di via Moscova vengono comprate delle armi: l’acquisto è finanziato da «un ristretto comitato genovese419». Inoltre è proprio in questo giorno che si decide di affidare ad 414 Giampaolo Pansa, Io e il Principe nero insieme alla vigilia, “La Repubblica”, 19.12.2004, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/io-il-principe-nero-insieme-alla-vigilia.html 415 Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970. 416 Ibidem. 417 Giampaolo Pansa, Io e il Principe nero insieme alla vigilia, “La Repubblica”, 19.12.2004, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/io-il-principe-nero-insieme-alla-vigilia.html 418 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 419 Fulvio Mazza, Il golpe Borghese: quarto grado di giudizio, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2021, p. 146. 107 Avanguardia il compito di occupare il Viminale420, vicenda di cui si è detto poche righe sopra. Il dottor Drago consegna ai golpisti una mappa della struttura, spiegando quali erano i punti nevralgici del ministero e che «sarebbe stato senz’altro necessario far uso delle armi»421. 9.4 - La notte della Madonna È arrivato il giorno del «tanto atteso colpo di stato». Per seguire meglio gli avvenimenti verrà usato nelle prossime righe un elenco numerato, una notazione forse non bellissima da vedere ma necessaria per rendere meglio comprensibile ciò che è successo tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. 1. La mattina inizia l’afflusso a Roma dei gruppi B del FN, quelli formati dagli elementi clandestini e paramilitari: quello di La Spezia si raduna al Motel Agip sull’Aurelia, quello di Grosseto a Pomezia presso la Tipografia Rotoprint di Federico Bonvicini, quello di Genova al cantiere di Orlandini in zona Montesacro. Qui sono anche custodite le armi acquistate il giorno prima a Milano e trasportate a Roma da Salvatore Drago; 2. Vengono preparati bracciali e dischetti metallici per le auto con la scritta “Fronte Nazionale-governo provvisorio"; 3. All’ingegner Eliodoro Pomar è stato assegnato il compito di sabotare gli impianti telefonici di Roma422; 4. A mattina inoltrata membri di AN, tra i quali Pierluigi Concutelli e Guido Paglia423, guidati da Stefano Delle Chiaie vengono introdotti clandestinamente nel Viminale dall’ingresso sul retro grazie alla talpa interna Enzo Capanna, capitano di pubblica sicurezza. Il loro compito è prelevare dei mitra dall’armeria, circa 200, e portarli sia da Orlandini che da Saccucci con un camion. Delle Chiaie ha sempre asserito di non aver partecipato all’operazione in quanto latitante in Spagna per i fatti di Piazza Fontana: ciononostante il leader di AN ha sempre dimostrato di essere informatissimo sui fatti, fin troppo per una persona assente. Il secondo compito degli avanguardisti è l'occupazione della centrale radio telefonica del ministero; 5. Il successo dell’operazione galvanizza i due centri di comando del golpe. Il primo, politico, è nell’ufficio di Mario Rosa in via S. Angela Merici dove vi sono Borghese (inizialmente), il generale a riposo Giuseppe Casero e il colonnello 420 Relazione riservata su Avanguardia Nazionale e gruppi collegati, senza data [novembre 1972], Documentazione sequestrata presso la sede di “OP”, in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla relazione, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, Vol. III, Tomo IV, Parte I, p. 767. 421 Ibidem. 422 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 221. 423 Commissione Stragi, Doc. XXIII n. 64, vol. primo, tomo secondo, 2001, p. 157. 108 Giuseppe Lo Vecchio424, entrambi dell’Aeronautica. Casero a tempo opportuno scorterà il generale Duilio Fanali, capo di stato maggiore dell’Aeronautica e l’ufficiale più alto in grado coinvolto nel golpe, nel ministero della Difesa per ufficializzare il colpo di stato ai militari. Qui arriva anche il colonnello della forestale Luciano Berti per pianificare le ultime manovre. ll comando operativo è però a Montesacro da Orlandini: presenti Ciabatti, Pomar, Drago, Micalizio, Monti e l’americano Fenwick; 6. Continua la penetrazione degli uomini di AN all’interno del Viminale, i quali come detto conoscevano il luogo grazie a una pianta disegnata da Salvatore Drago. Qui si impadroniscono anche di alcuni fascicoli che poi saranno consegnati a Borghese; 7. Nel pomeriggio arrivano altri gruppi B del FN, compreso quello genovese a cui appartiene il futuro collaboratore del SID Torquato Nicoli. Questi si presenta «rivestito della divisa di maggiore dei carabinieri e a capo di una pattuglia di uomini pure con la divisa dei militi dell’arma425». Nel frattempo comincia a piovere a dirotto; 8. Un centinaio di attivisti di AN sono nella sede del movimento in via Arco della Ciambella in attesa del via. Pronti all’azione anche gli esponenti di Europa Civiltà in Largo Brindisi e gli universitari del gruppo Fronte Delta, guidati da Dalmazio Rosa (figlio di Mario)426; 9. Diversi golpisti in attesa nel cantiere di Orlandini salgono su dei pullman messi a disposizione da Achille Talenti della società “Sira”. Nella sede del FN in viale XXI Aprile sono pronti altri cinquanta uomini circa. A fare da osservatori gli esponenti missini Giulio Caradonna, Adalberto Monti e Gaetano La Morte: i tre informano il segretario Almirante, il quale in tutta risposta «fa finta di rimettersi a dormire427». Nessuno lo chiamerà mai in causa per questo; 10. Circa 300428 persone attendono nella palestra dell’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia in via Eleniana, associazione di cui era segretario Saccucci. La riunione è giustificata con la proiezione del film “Berlino, dramma di un popolo”, prevista per le ore 20. Tra i presenti, oltre a parà e anche ufficiali dei carabinieri, è significativa la presenza di Stefano Serpieri, confidente del SID429 e già infiltrato nel circolo anarchico XXII Marzo. Altri congiurati sono concentrati nelle palestre di via Diana e viale delle Milizie. A un certo punto Saccucci lascia 424 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 223. 425 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 426 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 224. 427 Ivi, p. 226. 428 Fulvio Mazza, op. cit., p. 151. 429 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 224. 109 la palestra di via Eleniana, in quanto deve prendere parte all’arresto di parlamentari e uomini politici come previsto dal piano; 11. Arrivano le prime defezioni a quanto risulta, e non sono di poco conto: non si fanno trovare il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Duilio Fanali, nuovo ministro della Difesa nel governo nel piano dei golpisti, e il generale Mario Vendola, comandante dei carabinieri in Piemonte, il quale avrebbe dovuto prendere possesso del comando generale dell’Arma430. Due assenze pesantissime che condizioneranno giocoforza la riuscita del golpe. 12. In contemporanea arriva a Roma una colonna di circa 200 guardie forestali partite da Cittaducale e guidate da Luciano Berti, ufficialmente per un’esercitazione. Peccato che con loro vi siano «14 automezzi e perfino un lanciafiamme431» e che lo stesso Berti abbia comprato parecchie manette nei giorni precedenti. Il loro scopo è piuttosto preciso: occupare gli studi della Rai in via Teulada e da lì leggere alla nazione l’indomani mattina il proclama. L’aiuto dall’interno sarebbe dovuto arrivare come detto dal popolare conduttore Febo Conti; 13. Parte da Montorio in direzione di Sesto San Giovanni, città simbolo dell’antifascismo e della classe operaia tanto da essere chiamata “Stalingrado d’Italia”, il colonnello Amos Spiazzi. Nonostante avesse un grado militare non elevatissimo, Spiazzi era in possesso del Nos Cosmic432, la più alta qualifica di sicurezza nell’ambito dell’Alleanza atlantica. Un fatto decisamente non banale, in quanto grazie a questo pass aveva accesso al massimo livello di segretezza della NATO. Spiazzi afferma di aver ricevuto un ordine particolare, nome in codice “Esigenza triangolo”433: si tratta di un piano anti insurrezionale che prevede l’arresto di sindacalisti, politici e militari, contenuto in ogni base militare. Secondo Spiazzi l’ordine gli arriva in modo piuttosto confuso e, non è chiaro come, dirà di aver avvertito telefonicamente Borghese che qualcosa non andava. Su questo punto i dubbi sono pressoché totali. 14. Da Firenze, 800 allievi carabinieri della scuola diretta dal colonnello Dino Mingarelli sono trasferiti nella caserma della Cecchignola a Roma dove, 430 Fulvio Mazza, op. cit., p. 149. 431 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 225. 432 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 63. 433 «Un piano predisposto dall’autorità politica con l’avvallo di quella militare che prevedeva la selezione nelle caserme di ufficiali e truppe di provata fede anticomunista da inviare nei punti nevralgici del Paese per evitare sommesse o per contrastare un’eventuale esercito invasore», intervista di Sergio Zavoli ad Amos Spiazzi in La notte della Repubblica, puntata del 16.01.1990, minuto 125. 110 secondo la testimonianza del brigadiere Renato Olino, è ordinato loro di dormire vestiti434; 15. Un altro movimento strano viene segnalato da Angelo Tornaghi, all’epoca dei fatti in servizio militare di leva nel 183° reggimento Nembo della Divisione Folgore di stanza a Gradisca d’Isonzo. Secondo Tornaghi la mattina del 7 dicembre 200 militari armati, lui compreso, prendono il treno in direzione Lamezia Terme. Il convoglio però si ferma a Roma per diverse ore fino a notte inoltrata prima di ripartire435; 16. Vengono segnalati movimenti di civili e militari in Veneto. Si muove qualcosa a Verona e a Venezia, in particolare riferirà Carlo Digilio anni dopo che in laguna «per la notte del 7 dicembre era concordato il concentramento in punti determinati. Il concentramento effettivamente ci fu. Erano presenti sia militari che civili come del resto credo in altre città d'Italia. Posso precisare che a Venezia il punto di concentramento era l'Arsenale cioè lo spiazzo dinanzi al Comando della Marina Militare»436. 17. In Calabria, grazie agli accordi già nominati si è pronti a intervenire. Gli appartenenti alla 'ndrangheta, armati e mobilitati per l'occasione sull'Aspromonte, erano stati messi a disposizione dal boss Giuseppe Nirta. A Reggio invece, come dirà Carmine Dominici, «eravamo in piedi tutti pronti per dare il nostro contributo. Zerbi disse che aveva ricevuto delle divise dei carabinieri e che saremmo intervenuti in pattuglia con loro, anche in relazione alla necessità di arrestare avversari politici che facevano parte di certe liste che erano state preparate. Restammo mobilitati fin quasi alle due di notte, ma poi ci dissero di andare tutti a casa»437. 18. Altri movimenti vengono registrati in Umbria sul Lago Trasimeno e a Trento; 19. A Civitavecchia sono inoltre già pronte delle navi per trasportare a Ponza o nelle Eolie personalità politiche e sindacali scomode, gli enucleandi già visti nei Piano Solo. 20. Al tentativo di golpe in corso assistono gli americani: l’addetto militare James Clavio, Edward Fenwick e l’«Ambasciatore prudente» Graham Martin controllano l’attività, i loro Servizi sono tutti mobilitati. Come scriverà Borghese non è un problema in quanto era previsto438. 434 Fondazione Luigi Cipriani (a cura di), cronologia della storia d’Italia, fondazionecipriani.it, eventi del 07.12.1970, https://www.fondazionecipriani.it/home/index.php/storia-d-italia/crono 435 Una testimonianza sul golpe Borghese, guidosalvini.it, http://guidosalvini.it/wp-content/uploads/2022/12/golpe- borghese-e-gruppo-tattico-Nembo.pdf 436 S.O. Salvini, 1995, p. 218. 437 Ivi, p. 219. 438 Solange Manfredi, op. cit., p. 59. 111 21. Alle 22 e 30 dalla palestra di via Eleniana escono i due nuclei. 22. Parte la famosa chiamata che tramite una lunga catena (Roma-Napoli-Malta- Washington) doveva arrivare fino a Nixon. La comunicazione si blocca però a Napoli per motivi mai chiariti e non arriva così a destinazione; 23. Franco Antico, esponente di Europa Civiltà e informatore dei servizi439, riferisce dei fatti in svolgimento ai suoi interlocutori prima telefonicamente e poi alle undici si incontra di persona con il tenente Giorgio Genovesi del centro controspionaggio, informandolo dell’occupazione del Viminale. Genovesi, all’oscuro dei fatti, informa i suoi superiori e anche la polizia giudiziaria; 24. L’obiettivo dell’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari viene affidata a un gruppo di mafiosi siciliani ma la drammaticità del momento si trasforma in tragicommedia. Il gruppo infatti innanzitutto sbaglia indirizzo e resta addirittura bloccato nell’ascensore. A quanto pare inoltre Vicari stesso era a Palermo e non a Roma in quel momento440; 25. La fuga di notizie continua, in quanto il generale Renzo Apollonio, un reduce di Cefalonia decisamente antifascista, riceve numi da uno sconosciuto capitano del SIOS che qualcosa di grosso sta succedendo e informa Arrigo Boldrini, responsabile militare del PCI; 26. Berti con i suoi forestali è nel frattempo in difficoltà: «E’ attestato da troppo tempo e i suoi uomini non sono certamente temprati. Imprecano sotto l’acqua»441. 27. Licio Gelli è sulle scale del Quirinale con un commando apposito per arrestare il presidente Saragat ma il sentore di bruciato gli fa fare marcia indietro in extremis; 28. Borghese riceve una prima telefonata442 nella quale un alto militare lo avvisa che importanti reparti che avevano garantito l’appoggio si sono tirati indietro. Ad effettuare la chiamata pare essere stato il colonnello Giuseppe Claudio Condò443; 29. Intorno all’una di notte il già citato Genovesi informa il comandante del reparto D Federico Gasca Queirazza e questi a sua volta riferisce a Miceli. Il capo del SID temporeggia e gli ordina di non prendere iniziative perché lo avrebbe fatto lui stesso: non lo farà per due ore. Il comportamento del generale è molto 439 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 225. 440 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 240-241 e https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo- per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min. 39. 441 Solange Manfredi, op. cit., p. 59. 442 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 226. 443 Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 243. 112 semplicemente la chiave di volta per capire cosa avvenne quella notte: lasciamoli fare; 30. Un emissario dei golpisti rientra nella base di via S. Angela Merici, di ritorno dal comando dei Carabinieri. Il suo scopo era quello di carpire le intenzioni dell’Arma ma viene respinto da una sentinella che, come raccontò lo stesso, pareva fosse reduce da una zuffa. A quanto pare all’interno dei carabinieri c’era stato uno “scambio di opinioni” vivace e aveva prevalso la linea dei contrari al golpe; 31. Borghese riceve una seconda telefonata all’1.38: «Il dottore sconsiglia l’operazione»444. Gli americani, così come importanti reparti militari, tolgono l’appoggio a differenza di quanto era stato assicurato. Capito che il tentativo era fallito, o forse sapeva che già in partenza quello era il destino, il comandante dà il contrordine e richiama gli uomini. Chi ha chiamato Borghese? Per tanti anni si è discusso a lungo del responsabile della telefonata e il nome oggi è noto: Gilberto Bernabei, segretario di Giulio Andreotti, il quale avrebbe dato l’ordine categorico di smobilitare al suo braccio destro445. L’altra tesi voleva come responsabile della chiamata Licio Gelli come da più testimoniato. In ogni caso un nome non escluderebbe l’altro. A questo punto risulta difficile la narrazione a punti come si è fatto finora in quanto la situazione si fa decisamente convulsa. I forestali a due passi dalla RAI in via Olimpica vengono bloccati all’ultimo: ad assolvere il compito tali Francesco Lombardi e Giovanni Saleri446, ispettore generale del ministero dell’agricoltura. Inizia la grande fuga anche dalle palestre occupate e dalla sede del FN. Alle 2 del mattino Bruno Stefano, altro elemento nero coinvolto nel golpe, dà con l'altoparlante l'ordine di scioglimento. Dalla sede del Fronte Nazionale arriva anche Salvatore Pecorella, che affretta l'operazione di sgombero con la pistola in pugno447. La rabbia dei golpisti si riversa verso Borghese, il quale non dà spiegazione a nessuno del contrordine se non che ha dovuto obbedire a ordini superiori. Dai più esagitati viene invitato a spararsi un colpo di pistola come facevano gli ufficiali nazisti in caso di sconfitta: il comandante porge la mano ma nessuno gli passa una pistola. Tra i più infuriati Sandro Saccucci che parlerà di «maniche di buffoni, da accoppiare a tante altre piccole manichette, più o meno in divisa»448. Solo verso le 3 la polizia, dopo l’informativa di Genovesi di cui si è fatta menzione, manderà degli uomini al Viminale, nonostante scriva che: 444 Solange Manfredi, op. cit., p. 59. 445 Ibidem, p. 60. 446 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 226. 447 Ivi, p. 227. 448 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 113 Fonte fiduciaria introdotta ambienti estrema destra segnala aver appreso che piccolo gruppo giovani appartenenti estrema destra extraparlamentare (Europa Civiltà, Fronte Nazionale, Ordine Nuovo) intenderebbe effettuare in Roma corso volgente notte imprecisato gesto eclatante scopo determinare scintilla per successivi eventi in contrapposizione a violente manifestazioni attuate recentemente da estrema sinistra. Gesto potrebbe essere anche diretto contro sede ministero interno449. Verrà controllato però solo l’ingresso principale e gli agenti resteranno di guardia fino alle cinque, senza tuttavia notare nulla di sospetto450. Gli uomini di Avanguardia Nazionale nel frattempo con tutta calma rimettono al loro posto tutti i mitra nell’armeria, tranne uno a futura memoria, ed escono senza essere visti da un ingresso secondario. Il SID diventa nel momento successivo il protagonista della narrazione, in una maniera decisamente tragicomica. L’indomani Miceli si presenta da Enzo Marchesi, capo di stato maggiore della Difesa, per riferire di quanto successo nella notte ma si tradisce clamorosamente. Il generale infatti fa menzione sia dell’occupazione del Viminale sia del concentramento di persone nella palestra dei parà451, della quale nessuna comunicazione gli era stata fatta dalle fonti. Evidente quindi, ancora una volta, che Miceli sapeva tutto quello che stava succedendo ma in sede giudiziaria come si vedrà finirà a tarallucci e vino per lui. 9.5 - L’immediato post golpe L’indomani vengono registrate alcune telefonate di Saccucci, il quale racconta gli avvenimenti della notte nonostante sappia benissimo di essere intercettato: «Chi registra le sue telefonate è quello stesso servizio segreto con il quale egli è in stretto contatto»452. Il giorno dopo Rosa, un altro di cui il SID aveva il telefono sotto controllo, dice che l'azione è fallita perché sono stati traditi. Già il 15 dicembre sul tavolo di Vito Miceli arriva un rapporto, in sigla Z/1138453 contenente una dettagliata descrizione dei fatti, a cui ne farà seguito un altro la settimana successiva. A fornire la grande maggioranza delle notizie era stato il già citato Franco Antico454. Come da prassi queste note informative finiranno dimenticate in un cassetto e non saranno consegnate alla magistratura neanche dopo l’apertura delle indagini ufficiali a marzo. Del tentativo golpista sono a conoscenza parecchi centri del potere ma tutti tacciono per il momento, anche a sinistra. L’unica informazione che trapela è un racconto dei fatti in chiave fantapolitica dal titolo 449 Ibidem. 450 Fulvio Mazza, op. cit. p. 160. 451 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 452 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 98. 453 Ivi, p. 99. 454 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 229. 114 “Fantasmi a Roma”, pubblicato sul periodico degli ex combattenti della RSI il 15 gennaio455 nel quale si parlava di un possibile complotto contro lo stato fallito a causa della «pioggia e dell’impreparazione del capo»456. Una nota SID, da fonte “Arrigo”, è datata 16 gennaio e segnala come L’attività del Fn desta commenti ed anche preoccupazioni nel settore di estrema destra, dove è variamente giudicata. Il Fronte ha eseguito una specie di “prova generale” con allertamento dei suoi gruppi attivistici nella notte tra il 7 e l’8 dicembre a Roma. Una parte degli attivisti convocati ha giudicato la cosa severamente e sta pensando di abbandonare l’organizzazione. Negli ambienti del Msi si è giunti perfino a parlare di provocazione fortunosamente andata a vuoto. Gli interrogativi che oggi si pongono sull’attività del Fronte sono molteplici e si concentrano sulle seguenti ipotesi: 1. Incapacità organizzativa e politica, 2. Azione provocatoria, 3. Necessità di giustificare i finanziamenti fin qui ottenuti. Il Fn è assolutamente inidoneo a rappresentare un valido strumento rivoluzionario457. Il 17 gennaio i vertici del progetto appena sfumato si ritrovano tutti insieme per la prima volta nella sede del FN: durante la riunione i convenuti si dividono in più fazioni, praticamente tra i contrari e i favorevoli a Borghese. Il comandante «duramente criticato e invitato a chiarire, a dare spiegazioni su tutte le questioni trattate, si schermisce, tenta di giustificarsi, ma messo alle corde preferisce abbandonare la seduta lasciando tutti scontenti e insoddisfatti»458. La figura di Borghese è piuttosto compromessa, anche perché inizia a circolare una strage voce: il golpe sarebbe stata tutta una messinscena per giustificare gli ammanchi di cassa del Fronte di cui lui stesso si sarebbe appropriato. Come segnalato da un appunto della questura di Roma del periodo Sarebbe infatti convinzione comune, che il fatto che non ha trovato la sua genesi in un serio proposito di sovvertire le istituzioni dello stato, ma in una subdola, pericolosa ed egoistica manovra di interessi diretta a giustificare il bilancio del Fronte il cui ammanco ammonterebbe a decine di milioni e le cui responsabilità verrebbero esclusivamente attribuite a Borghese e ai suoi più fidati collaboratori459. Chi tra i presenti inizia a prendere un certo peso è l’avvocato genovese Giancarlo De Marchi, il quale si dichiara pronto a offrire ampi finanziamenti se però il progetto prevedesse la certa partecipazione di alti ufficiali. De Marchi, classe 1926, è un noto avvocato di Recco ed è affiliato al MSI. Inoltre da giovanissimo si era arruolato come 455 Paolo Mieli (a cura di), Passato e presente, “Il golpe Borghese”, 08.12.2020, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2020/12/Passato-e-Presente---Il-golpe-Borghese-48f6f1e4-509b-49e7-b319- f93cbd8f2ca6.html, min 25. 456 Le forze antifasciste esigono una rapida azione, “l’Unità”, 20.03.1971. 457 Solange Manfredi, op. cit., p. 30. 458 Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 459 Appunto interno alla Questura di Roma del 28.01.1971, cit. in Solange Manfredi (a cura), Il golpe Borghese. In una lettera-testamento a firma Junio Valerio Borghese la “verità” sul golpe, autopubblicato, 2014, p. 31. 115 volontario nella X MAS di Borghese460 che si era formata come forza militare di terra proprio dalle sue parti a La Spezia. Il gruppo del FN inizia così a mutare, portandosi verso una trasformazione interna che vedrà l’epilogo nella partecipazione al progetto eversivo noto come Rosa dei venti. Stiamo parlando del piano che, partendo dai primi mesi del ‘71, avrà un climax ascendente fino all’estate del ‘73: vecchi camerati già passati per l'Alto Adige finiranno per incontrarsi di nuovo, silenzi e protezioni del potere compromesso con l'eversione faciliteranno nuove congiure. Proprio nella zona del Trentino-Alto Adige c’è grande fermento in questi giorni: nella notte tra il 18 e il 19 gennaio viene rinvenuta una bomba nascosta in una sacca davanti al tribunale dove sono in programma il processo a due operai e una manifestazione studentesca di supporto. Dopo più di un anno e mezzo dall'episodio, "Lotta Continua" rivelerà che la bomba era stata fatta collocare dalla polizia di Trento. Chi la comanda è un volto noto come Saverio Molino, già visto a Padova nell’episodio di Rizzato del 1969, ora vicequestore, il quale finisce nell’inchiesta successiva insieme al colonnello del SID Angelo Pignatelli, al parigrado dei carabinieri Michele Santoro, accusati di essere i mandanti da Sergio Zani e Claudio Widmann, gli esecutori materiali461. Nel successivo processo del ’77 saranno assolti, sentenza poi confermata in appello l’anno successivo. 9.6 - Massoneria e golpe Borghese La lista dei massoni coinvolti nel Golpe Borghese è alquanto esplicativa di come il tentativo di colpo di stato fosse praticamente manovrato da personalità appartenenti a logge di questo tipo, a partire ovviamente da Licio Gelli che come detto è uno dei primi aderenti al FN. Oltre al Gran Maestro della P2 erano massoni o piduisti Remo Orlandini462, Sandro Saccucci, Salvatore Drago, Giuseppe Casero (tessera P2 n° 488), Filippo De Jorio (tessera P2 n° 411), Duilio Fanali, Giuseppe Lo Vecchio (tessera P2 n° 514), Maurizio Degli Innocenti e Giacomo Micalizio. Lo stesso Orlandini, duranti i suoi colloqui con Labruna, anche lui iscritto alla P2 come i suoi superiori Vito Miceli e Gianadelio Maletti, dirà che «sin dal periodo precedente al tentativo del 1970 almeno 3.000 ufficiali iscritti alla massoneria avevano aderito ai gruppi golpisti»463. Altro personaggio coinvolto è Gavino Matta, membro della Gran Loggia d’Italia diretta da Giovanni Ghinazzi, il quale seppur informato tramite una lettera dal proprio superiore 460 Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI Secolo, Sperling & Kupfer, Milano 2010, p. 141. 461 Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 14 e seg. 462 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 1983. 463 S.O. Salvini, 1995, p. 180. 116 di «annullare ogni precedente intesa con Borghese»464 sarà ugualmente presente a Roma il giorno del tentato golpe. Lo stesso Ghinazzi era infatti ben al corrente dei piani eversivi e verrà indagato sia per la Rosa dei venti che per il golpe bianco. Altro massone di rilievo della lista è il già nominato marchese Felice Genoese Zerbi: referente in Calabria di Avanguardia Nazionale, animatore della rivolta di Reggio e ritenuto uno dei principali finanziatori del tentato colpo di stato465. Va necessariamente ricordato che oltre ai fatti del 1970 esponenti celebri della P2 saranno coinvolti in eventi significativi: Edgardo Sogno (tessera 786) nel 1974 tenterà il golpe di centro filo atlantico, Mario Tedeschi e Federico Umberto D’Amato saranno giudicati nel 2020 i mandanti insieme a Gelli e Umberto Ortolani della strage di Bologna466. Un coinvolgimento della P2 di Licio Gelli con Borghese veniva segnalato fin dal 1974 da una nota del ministero dell’Interno: «Il Raggruppamento Gelli avrebbe avuto rapporti con Borghese, l'avvocato Giancarlo De Marchi e Attilio Lercari»467. Licio Gelli va ricordato che ha combattuto durante la guerra civile spagnola e poi per la RSI, è lui stesso a dichiararsi «notoriamente anticomunista»468. La sua figura non è ben vista dagli ambienti massonici meno oltranzisti e i suoi piani eversivi sono cosa nota, come dichiarerà in una relazione di loggia il grande oratore Ermenegildo Benedetti: «Un fratello (Gelli, nda) che non solo ha un triste passato fascista, ma che ancora vive nelle concezioni di codesto regime fino ad invitare i fratelli [...] ad adoperarsi perché l’Italia abbia una forma di governo dittatoriale469. In una lettera datata 23 settembre 1969 il massone di Grosseto Prisco Brilli scrive al “fratello” Francesco Siniscalchi che recentemente il Gran Maestro Licio Gelli avrebbe iniziato 400 alti ufficiali dell’esercito «al fine di predisporre un governo di colonnelli. [Inoltre] Sarebbero stati iniziati alcuni grossi personaggi della DC»470. Un evento decisamente carico di significato, considerando che gli eventi al centro di questa trattazione avverranno poco più di un anno più tardi. L’attività di Licio Gelli e della sua loggia massonica come è noto continuerà a fiorire negli anni seguenti, cambiando però indirizzo: a metà anni settanta avviene un 464 Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 86. 465 I Moti di Reggio, una storia eversiva: il 1970 e la pietra tombale sul futuro della Calabria, ilreggino.it, 04.08.2020, https://www.ilreggino.it/senza-categoria/2020/08/04/i-moti-di-reggio-una-storia-eversiva-il-1970-e-la-pietra- tombale-sul-futuro-della-calabria/ 466 Strage di Bologna, chiuse le indagini: "Bellini esecutore, Licio Gelli mandante", tg24.sky.it, https://tg24.sky.it/cronaca/2020/02/11/strage-bologna-bellini-gelli. Nato a Roma il 31 maggio 1913, Ortolani è stato un banchiere e faccendiere naturalizzato brasiliano. Finanziatore occulto con rapporti sia con il Vaticano sia con gruppi della malavita, è ritenuto il vero capo della P2. Ricchissimo, aveva enormi proprietà in Sud America. Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=AKUbcjptPeA&ab_channel=italiamistero. 467 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella. 468 Ibidem. 469 Ibidem. 470 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 100. 117 cambiamento strategico ai vertici americani in coincidenza delle dimissioni del presidente Nixon e la P2 in perfetta sintonia muta. Il golpe militare non è più attuabile e si decide di passare a un progetto molto sofisticato, il cosiddetto Piano di Rinascita Democratica del 1976: non più un intervento militare dopo una fase di destabilizzazione pilotata ma una riforma istituzionale, con molto punti simili al progetto di Edgardo Sogno, attraverso ministri, magistrati e militari della P2 piazzati nei ruoli giusti. Questa manovra era già stata fatta nel SID, in modo specifico per Vito Miceli, del quale come già detto Gelli si vantava di averne favorito la nomina a capo471. Con la riforma del servizio segreto italiano nel 1977 e la nascita di SISMI e SISDE la situazione sarà ancora in mano alla P2 in quanto vi apparterranno i due direttori Francesco Santovito e Giulio Grassini oltre ad alti ufficiali. La massoneria diventa inoltre elemento di raccordo tra estrema destra e mafia, fenomeno che nel Golpe Borghese è ben visibile e che recenti processi (Gotha) ha accertato in sede giudiziaria. Sarà infatti Carlo Morana, massone, a fare da emissario di Borghese e a mettersi in contatto con i boss siciliani Giuseppe Di Cristina e Pippo Calderone per «mettere a disposizione gli uomini delle cosche mafiose per un colpo di Stato anticomunista in fase di avanzata preparazione»472. Per quanto riguarda la Calabria ci aveva pensato il già citato marchese Fefè Genoese Zerbi a fare da anello di congiunzione tra il terrorismo nero e le cosche locali, in particolare quella dei De Stefano. In conclusione si può affermare che «il golpe, il suo rientro, il suo primo occultamento e il suo successivo disvelamento siano stati un affare di famiglia della loggia P2»473. 9.7 - I perché del fallimento e il senso profondo del golpe Visti i fatti salienti della notte di Tora-Tora, è necessario ora capire le cause del fallimento dell’operazione, a partire da quelle più semplici. Innanzitutto perché è arrivato il contrordine: si dirà a causa della defezione dei carabinieri, di ampi settori delle forze armate, di una insolita concentrazione di navi sovietiche nel Mediterraneo e dell’immobilismo degli Stati Uniti. Per quanto riguarda questi ultimi è evidente come parlare in modo generale di americani sia piuttosto fuorviante: come si è già detto i centri di potere statunitensi sono innanzitutto molteplici e spesso in contrasto tra di loro. È innegabile che ad alcuni di questi un’Italia autoritaria avrebbe giovato, ad altri però uno spostamento eccessivamente a destra come si paventava non andava proprio a genio. Perdipiù tale manovra, secondo il già citato William Rogers, avrebbe 471 Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia Massonica P2, documento XXIII n. 2, 1982, p. 97. 472 S. O. Salvini, 1995, p. 195. 473 Aldo Giannuli, op. cit., p. 355. 118 favorito addirittura la sinistra. Si deve infatti ricordare che secondo quanto racconterà poi Adriano Monti, l’appoggio statunitense era dato in caso di un governo emergenziale retto da Andreotti, non da Borghese o comunque da elementi di destra. Come ipotesi piuttosto plausibile si ritiene inoltre che l’appoggio fosse stato in modo vago, inducendo i golpisti a credere di avere gli americani dalla loro parte. La lettura immediata dei fatti ci porterebbe a pensare che fortunatamente la Repubblica italiana si è salvata da una svolta autoritaria grazie a questi motivi. Ciò sarebbe vero se si considerasse il golpe Borghese nella maniera tradizionale e non in una più complessa operazione politica, ovvero un’intentona. Infatti secondo Gianni Flamini il golpe Borghese è stata un’operazione primariamente politica in quanto ha bruciato la carta del colpo di stato alla greca: «Il vero golpe non poteva essere quello del Fronte Nazionale. Per quanto filoamericano, la sua eccessiva qualificazione fascista lo rendeva sgradito ai golpisti più seri, in cerca di una copertura di tipo legalitario»474. La destra radicale viene mandata al macello politico da chi ha in mente un programma eversivo meno rozzo e più sofisticato, per esempio la FIAT e la grande industria, con la piena benedizione della NATO. Avviene «un regolamento di conti all'interno del partito del golpe»475, silenzioso e senza spargimento di sangue. Chi deve capire, capirà e dovrà tirarsi da parte per fare spazio al progetto della repubblica presidenziale. Una linea simile l’ha espressa, con un’integrazione rilevante, l’ex magistrato e poi deputato Luciano Violante secondo il quale il golpe aveva due scopi: 1. dare un’altra spallata al paese aggiungendo tensione, 2. mettere insieme i vari gruppi dell’estrema destra, individuare un capo attendibile come Borghese per poi toglierli di mezzo, poiché «si era capito che quel tipo di operazioni (golpe alla greca, nda) non serviva più»476. L’estrema destra veniva in questo modo incoraggiata e poi fatta fuori, sfruttando l’evento per dare un segnale alla sinistra e alla nazione intera: c’è un pericolo golpe e solo un governo forte di centro poteva evitare questo rischio. Secondo una vecchia intervista477 di Amos Spiazzi, personaggio da prendere con le pinze sia per le giravolte nei suoi racconti negli anni sia per il ruolo importante che spesso si è da solo attribuito, il progetto era in sintesi così: 1. spingere Borghese a fare una manifestazione contro Tito, 2. rendere la manifestazione in qualche modo 474 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 228. 475 Ivi, p. 222. 476 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-4461-9fae- 988fbd1eba72.html, min 148. 477 Ivi, min. 123. 119 violenta, 3. arrestare in flagranza i golpisti, 4. prendere benemerenza agli occhi del paese con tale operazione e rafforzare così il regime. Sarebbe stata attuata in questo modo la già citata «Esigenza Triangolo», un programma anti insurrezionale che ricorda molto il Piano Solo, anche se non è in effetti chiaro contro chi doveva essere attuata: contro i golpisti neri o politici e sindacalisti di sinistra? Probabilmente entrambi, un bel repulisti generale avrebbe fatto comodo a tanti. Comunque come si è detto in precedenza la visita del presidente jugoslavo Tito a Roma non verrà mai effettuata e in ogni caso era prevista per l’11 dicembre, non per il 7. La tesi di Spiazzi in ogni caso contiene una certa parte interessante, ovvero di come il golpe potesse funzionare da specchietto per le allodole per una svolta vera: è di fatto l’ipotesi sostenuta dallo storico Mirco Dondi secondo cui «il golpe Borghese avrebbe dovuto essere un golpe civetta, inducendo una reazione dei militari per fare scattare un golpe moderato, che mantenesse formalmente le vestigie democratiche»478. Tra i protagonisti di questo possibile golpe atlantico gli ammiragli Birindelli, Roselli Lorenzini e Torrisi. A supporto di tale tesi c’è la testimonianza di Paolo Aleandri, ex membro di AN e quindi con un punto di vista interno alla vicenda, secondo cui a un successo dei golpisti sarebbe scattato un piano di repressione con l’arresto di esponenti politici e sindacali da parte dei carabinieri. L’attuazione di tale piano avrebbe consentito l’instaurazione di un regime militare, sostenuto da forze istituzionali: il promotore del coinvolgimento degli alti ufficiali sarebbe stato niente meno che Guido Giannettini479. Una linea interpretativa con elementi senza dubbio interessanti vedrebbe un Borghese protagonista suo malgrado del golpe in quanto vittima di un ricatto. Tutto parte negli anni ’60 quando Michele Sindona offre a Borghese la carica di presidente onorario della Banca di Credito Commerciale e Industriale e, attraverso una serie di intricate operazioni finanziarie, entrano nelle sue casse centinaia di milioni attraverso il coinvolgimento di personaggi come Rafael Trujillo. Qualcosa però va storto e già nel '68 arriva il crack per la banca, a cui farà seguito nei primi di marzo del ’71, a pochissimi giorni dalla bufera del golpe, una comunicazione giudiziaria. Il giudice istruttore di Roma Renato Squillante il 4 marzo contestò a Borghese e ad altre 18 persone, tra cui José Maria Gil Robles480, reati che andavano dal falso nei bilanci all’appropriazione indebita aggravata e alla illegale ripartizione degli utili per decine di miliardi481. Poco più di un anno dopo, nel maggio del ’72, verrà disposto il rinvio a giudizio degli 478 Mirco Dondi, Golpe Borghese: un colpo di stato sotto lo sguardo di Giulio Andreotti, ilfattoquotidiano.it, 08.12.2020, https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/08/golpe-borghese-un-colpo-di-stato-sotto-lo-sguardo-di- giulio-andreotti/6026417/. 479 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 102. 480 Legato all’Opus Dei spagnola. 481 Crack bancario: Valerio Borghese incriminato con Alfonso Spataro, "l'Unità", 05.03.1971. 120 amministratori dell’istituto finanziario, tra cui ovviamente Borghese. Alla vicenda della bancarotta si lega non a caso la voce, già diffusasi all’epoca, secondo cui il golpe fu tentato per coprire gli ammanchi di cassa del FN di cui si è già fatta menzione: il Principe Nero si sarebbe appropriato dei soldi del Fronte per tentare di coprire i debiti della sua banca. Può essere quindi che il comandante fosse stato ricattato per questa vicenda, visti i personaggi potenti coinvolti, e costretto a organizzare un falso golpe orchestrato su piani ben più alti? Lo scopo sarebbe stato mettere in atto una provocazione contro l’estrema destra, Borghese ne sarebbe stato ben consapevole e non un burattino: si spiegherebbe così ad esempio l’intervista concessa a Pansa a pochissime ore dal tentativo di golpe, un’azione che come già detto appare del tutto insensata. Il fronte del golpe secondo Aldo Giannuli vedeva tre schieramenti coinvolti: 1. i fascisti che credevano ingenuamente di poter instaurare un vero regime, 2. i doppio-golpisti atlantici che avrebbero usato la vicenda Borghese come detonatore per un vero colpo di stato, 3. i centristi che vi partecipavano un po’ per farlo fallire e un po’ per restarne dentro nel caso fosse riuscito. A uscirne con le ossa rotte, furono, come detto più volte, i primi: «Non è affatto irragionevole pensare che chi lo incoraggiò, per poi ritrarsene, volesse proprio questo risultato»482. Capofila del terzo schieramento era senza dubbio Andreotti che non poteva volere un governo emergenziale/autoritario: in uno stato militare un politico puro come lui avrebbe avuto ruoli solo marginali. Menzione merita anche il film del 1973 «Vogliamo i colonnelli», diretto da Mario Monicelli, con riferimenti non troppo impliciti al Piano Solo e al Golpe Borghese. Nella pellicola per esempio si fa riferimento a un piano, chiamato “Volpe Nera”, nel quale si prevede di rapire il capo dello stato e occupare la sede della Rai. I congiurati vengono ritratti in modo grottesco, sulla falsariga di come verrà percepito il golpe Borghese per anni. Quel che è rilevante nel film è l’esito finale: anche qui il colpo di stato non avviene ma dà il via a un contro-golpe che permette di isolare gli estremisti e di instaurare uno stato autoritario. È in soldoni la medesima ipotesi di Spiazzi, del professor Dondi e come si vedrà, degli ambienti comunisti, che però allo scrivente risulta non attendibile tout court: perché non si è andati fino in fondo? Chi lo avrebbe fatto? Siamo così sicuri che dopo un golpe reazionario riuscito le forze militari e le forze dell’ordine, costituite da ampie frange fasciste, avrebbero arrestato il Principe Nero e i suoi sodali? È piuttosto credibile che Borghese in caso di riuscita del tentativo avrebbe dovuto poi comunque farsi da parte483 o con le buone o che le cattive ma si commetterebbe un errore a giudicare così gli eventi: non si deve guardare al dettaglio 482 Aldo Giannuli, op. cit., p. 351. 483 Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, p. 102. 121 ma all’intero senso dell’operazione. Chi veramente contava non voleva un golpe classico ma usarlo come arma di ricatto politico, un’intentona come si è detto, che rientrava perfettamente nella strategia della tensione il cui fine ultimo va sempre ricordato non è il colpo di stato ma uno stato costante di agitazione. Si avrà così infatti negli anni seguenti il fenomeno del golpe strisciante in quanto il pericolo di un governo dittatoriale si ripresenterà ciclicamente come uno spettro aleggiante, tuttavia in forme più vaghe e senza mai più entrare nel vivo. La storia infatti ci dirà che la carta del colpo di stato verrà agitata fino al 1974 ma con modalità diverse e soprattutto nessuno dei tentativi successivi entrerà mai nella fase operativa. La tesi sostenuta da Violante appare nel complesso la più fondata in quanto comprende quella di Flamini e parte delle altre. Non c’è alcun spargimento di sangue, il golpe funziona eccome e rivela che dietro ci sono dei disegni politici di una certa complessità. I neofascisti fanno la figura degli allocchi in quanto sfruttati dalla politica nelle lotte di potere interne a essa per poi essere messi fuori dai giochi: I militanti che si proponevano il golpe armato erano strumento di una finalità più sofisticata rispetto a cui rappresentano un attrezzo utile nelle mani di uno strato superiore ma non l’unico e soprattutto non insostituibile484. Il golpe viene arrestato a un minuto dall’ora X: è un segnale chiaro per una certa parte politica, l’avvertimento per una svolta autoritaria che stavolta non è avvenuta ma in futuro sì se non cambieranno certe situazioni. È piuttosto sintomatico sotto questo aspetto che l’unico partito informato in tempo reale, ovvero il MSI, si limiti a osservare cosa succede nella notte di Tora-Tora, senza prendere alcuna azione, come se già sapesse che il progetto era destinato a fallire. L’Italia dal ‘63 tende a spostarsi sul centro-sinistra, un fatto che una parte notevole della classe dirigente non può accettare e fa di tutto per cambiare le regole del gioco per tornare al centrismo o addirittura passare a un governo autoritario o quantomeno presidenziale. Il progetto di golpe alla lunga in Italia si è rivelato peregrino in quanto non c’è mai stato un colpo di stato tradizionale ma una serie di tentativi utilizzati come avvertimenti politici e per impaurire la popolazione: ciò persegue infatti l’obiettivo finale della strategia della tensione che non è il golpe ma uno stato costante di terrore finalizzato a influire sugli equilibri politici. Quanto detto in ogni caso non esclude che parecchie personalità rilevanti abbiano ininterrottamente fino al 1974 tentato il golpe classico ma il fatto che non sia mai successo è sintomatico di quanto appena affermato. La vicenda del ‘74 che più avanti si vedrà nel dettaglio confermerà perfettamente questo punto in quanto la storia del golpe Borghese, ormai 484 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 108. 122 dimenticata, viene riesumata esclusivamente per lotte intestine sia nella DC sia tra i generali del SID. 123 Capitolo decimo: la scoperta del golpe 10.1 - Le primissime reazioni Il 17 marzo esplode il caso Borghese: le voci avevano iniziato a circolare a Roma già dal primo pomeriggio dopo la pubblicazione di un dispaccio dell’agenzia Ansa in cui si parlava di «gravissime responsabilità»485 riguardo un colpo di stato tentato da gruppi della destra extraparlamentare l’anno precedente. La notizia veniva ripresa dal giornale comunista «Paese Sera» di cui si è detto in apertura che parlava apertamente di complotto fascista. Nel quotidiano, direttore all’epoca Giorgio Cingoli e vice Sandro Curzi, si dava ampia notizia della vicenda: si menzionava di come l’ufficio politico della questura di Roma fosse venuto a conoscenza delle attività del Fronte Nazionale di Borghese, di depositi di armi e di un proclama alla nazione da diffondere dopo il golpe. Si parlava anche di centinaia di perquisizioni che avevano permesso di rinvenire «documenti compromettenti che dimostravano legami tra i cospiratori con ambienti americani e greci»486. Il polverone inevitabilmente scatenato dalle voci costrinse il ministro dell’Interno Franco Restivo il giorno stesso a rispondere sia alla Camera sia al Senato alle varie interrogazioni presentate. Con un discorso totalmente menzognero in quanto «informato fin dall’inizio non solo dal concentramento di volontari nella palestra di S. Croce e in un cantiere edile di Montesacro ma anche del fatto che il suo ministero era stato occupato»487 Restivo disse: Sono in grado di comunicare che le autorità di polizia hanno proceduto a perquisizioni nei domicili di esponenti di movimenti extraparlamentari di estrema destra, dalla cui attività potevano dedursi intendimenti eversivi. [...] Sono state eseguite complessivamente trentadue perquisizioni. In una casa di campagna di Palestrina sono stati rinvenuti 11 chilogrammi di esplosivo vario. [...] Nel caso presente non può ritrovarsi, a parte le responsabilità che vanno tutte rigorosamente accertate e colpite, nulla che corrisponde agli allarmi che se ne sono dedotti488. Nello stralcio del suo discorso alla Camera il ministro Restivo negava quindi l’ipotesi di un colpo di stato, confermando quelle che Franco Venturini de “Il Gazzettino” dichiarava «fantasiose illazioni»489. L’intervento del ministro chiaramente generò due fronti politici: a sinistra grandi critiche per aver ridotto a nulla la portata del grave episodio, al centro e a destra la classica accusa alla stampa per la «pubblicazione di notizie allarmistiche che alimentano gli estremismi e intralciano le indagini della 485 Franco Venturini, Nessun colpo di stato, “Il Gazzettino”, 18.03.1971. 486 Ibidem. 487 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 100. 488 Franco Venturini, Nessun colpo di stato, “Il Gazzettino”, 18.03.1971. Il casolare in questione era di proprietà di tale Filippo Francioli, conoscente di Junio Valerio Borghese. 489 Ibidem. 124 polizia». Le perquisizioni erano state svolte in varie città italiane, tra cui Milano e Napoli, ma solo nella capitale parevano dare qualche esito: sulle stesse procura e ministero mantenevano il classico «completo riserbo». All’estero la reazione era stata piuttosto cauta e moderata. Degno di menzione ciò che scrisse il britannico “International Herald Tribune” secondo cui i cospiratori sarebbero stati in contatto con organizzazioni greche e americane490. Di nuovo dopo il caso del signor “P” si riaffaccia il nome della Grecia mentre già qualcuno sapeva, con una trentina d’anni d’anticipo, che a Washington il golpe era cosa nota. Detto questo va puntualizzato necessariamente che le indagini ufficiali sul golpe erano già partite qualche giorno prima: le telefonate dei principali protagonisti venivano registrate infatti fin da dicembre mentre è per la precisione datata 11 marzo491 una nota dell’Ufficio politico della questura di Roma in cui veniva segnalato che era successo qualcosa di clamoroso nella notte dell'Immacolata. È del 18 marzo però l’avvio ufficiale del procedimento da parte del sostituto procuratore Claudio Vitalone per «cospirazione politica mediante associazione»: venivano infatti fermati e condotti a Regina Coeli Remo Orlandini, Sandro Saccucci e tale Giovanni Pinci, guardiano di un casolare. Junio Valerio Borghese veniva invitato a presentarsi in questura ma non lo faceva: al suo posto c’era invece il suo avvocato difensore Paolo Appella, il quale affermava come non sapesse l’ubicazione dell’ex comandante della X MAS. Il Principe Nero in realtà era ospite di Sigfrido Battaini492, uno dei principali volti del Noto Servizio, e poi si trasferirà in Spagna. Nella casa di Borghese era stata effettuata una settimana prima una perquisizione e in tale occasione erano stati trovati tre proclami: uno, quello celebre che si è riportato in apertura, e altri due dei quali praticamente non vi è più traccia che iniziavano con «Italiani, l’incapacità e l’incertezza…» e «Italiani, nettamente ostili…»493. Lo stesso 18 marzo l’Ufficio politico della questura di Roma inviava alla procura della Repubblica un sunto della vicenda ottenuto grazie alle intercettazioni telefoniche dei protagonisti del tentato golpe che come già detto erano sempre stati tenuti sotto osservazione: All’indomani del 7 dicembre si è appreso che la sera precedente vari gruppi di aderenti all’organizzazione erano stati convocati in diverse località del centro e della periferia di questo capoluogo per un’imprecisata azione. L’operazione secondo alcuni avrebbe dovuto essere una prova generale per un colpo di stato, secondi altri avrebbe dovuto essere un’azione di commandos, 490 Caute reazioni estere alle voci del complotto, “Il Gazzettino”, 20.03.1971. 491 Francesco M. Biscione, “Il partito del golpe nella strategia della tensione”, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2, 2020, p. 55. 492 Renzo Paternoster, La brigata dell’Anello della Repubblica: “Impresa” per lavori sporchi, storiain.net, 01.05.2016, http://www.storiain.net/storia/la-brigata-dellanello-della-repubblica-impresa-per-lavori-sporchi/. , 493 Franco Venturini, Tre fermi di neofascisti primo risultato concreto, “Il Gazzettino”, 19.03.1971. 125 poi rinviata per inspiegabili motivi, motivi, diretta a rapire personalità (tra cui si indica il Ministro dell’Interno e il capo dello Stato). [...] I proclami per un colpo di stato rinvenuti nella scrivania di Orlandini, l'indicazione degli organi di un governo rivoluzionario e delle direttive dell’azione da svolgere, hanno dato la riprova che i dirigenti del Fronte avevano organizzato effettivamente un’azione diretta a sovvertire con la violenza i poteri costituiti dello Stato494. Un rapporto abbastanza veritiero nel quale però non si fa menzione dell’occupazione del Viminale che dura diverse ore e del prelievo dei mitra dall’armeria, un fatto gravissimo del quale nessuno pare essersi accorto. Borghese, per cui viene emesso un mandato di cattura per insurrezione contro lo Stato, è già fuggito in Spagna e a parlare per lui sono i suoi avvocati Appella e Ungaro che con un comunicato affermano che le riunioni di Roma della notte dell’Immacolata servivano solo a organizzare la manifestazione in protesta alla visita del maresciallo Tito. Quanto al proclama per la nazione Ungaro afferma che si tratti di una semplice «esercitazione retorico- letteraria»495 mentre una lettera nello studio di Borghese scritta da Skorzeny veniva sconcertatamente bollata come di nessuna importanza. È la prova di un contatto tra l’ex Obersturmbannführer delle SS e il Principe Nero, di cui come detto si era occupato Adriano Monti, che quindi c’è stato. Il 2 aprile Bonaventura Provenza, questore di Roma, inviava al ministro Restivo una relazione derivata dell'appena menzionato rapporto che però veniva drasticamente ridimensionato: non si faceva cenno all’ipotesi di rapire Saragat, non si parlava più di colpo di stato ma di «colpo di mano», «l’azione diretta a sovvertire con la violenza i poteri costituiti» diventava una più blanda «azione a sovvertire le attuali istituzioni» e infine l’indicazione sulle notizie apprese era data da un generico «nei giorni successivi al 7 dicembre». I silenzi aumentano e le notizie più gravi vengono smorzate. La discussione politica nel frattempo iniziava ad animarsi. Il primo ministro Colombo non compare nelle voci, risultando di fatto esterno e di poco peso nella vicenda. Il ministro della Difesa Tanassi cade dalle nuvole, così come il ministro dell’Interno Restivo e il presidente della Repubblica Saragat. Quest’ultimo e Tanassi poi si accuseranno a vicenda nelle classiche e meravigliose discussioni politiche nostrane nelle quali pare si faccia a gara ad apparire più ignorante. Dirà infatti Tanassi, informato già durante la notte di Tora-Tora dei movimenti dallo stesso Miceli496, riferendosi a Saragat: Se c'è uno che ha delle responsabilità è lui. Ricordo perfettamente che gli dissi tutto quello che sapevo, almeno tutto quello che i servizi allora mi avevano raccontato. Gli chiesi se ritenesse 494 Lettera del vice questore di Roma, Bonaventura Provenza, alla procura della Repubblica di Roma del 18.03.1971, cit. in Aldo Giannuli, op. cit., p. 347. 495 Franco Venturini, Ordinata la cattura di Borghese per insurrezione contro lo Stato, “Il Gazzettino”, 20.03.1971. 496 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 99. 126 opportuno che si prendesse pubblicamente posizione sulla faccenda. Mi rispose testualmente di no. Che non valeva la pena di allarmare l'opinione pubblica per colpa di quattro straccioni497. Il capo dello stato, nel suo primo intervento ufficiale dopo il clamore generale, mette nello stesso calderone estremisti di destra e di sinistra, indicando che la salvezza è solo in mezzo: in occasione del convegno nazionale dei maestri del lavoro dirà che Di fronte alle indegne manovre di chi sogna ritorni impossibili ad un odioso passato reazionario che ha gettato il nostro paese nel baratro di una guerra funesta [...] e di fronte alle illusioni di coloro che pensano di poter raggiungere le mete della giustizia sociale soffocando la libertà politica, splende di viva luce la nostra Costituzione498. Quanto al ministro Restivo dirà di aver saputo dei fatti solo dopo le perquisizioni della polizia, facendo finta di non sapere che decine di persone si erano introdotte al Viminale a dicembre. Il suo operato verrà tranquillamente giudicato in sede giudiziaria: nell’istruttoria il giudice Fiore scriverà che il ministro «fu tratto in errore e fu indotto a rendere alla Camera delle dichiarazioni che poi la realtà processuale ha rivelato inesatte499. Se finora si è parlato di come reagì il potere politico e la magistratura alla notizia del golpe, di cui sapeva in realtà parecchie cose fin da dicembre, due parole vanno fatte riguardo alla risposta della popolazione italiana. I sindacati subito indissero uno sciopero generale, cortei con la partecipazione di migliaia di persone si svolsero in tutto il Paese: solo a Brindisi 10000 manifestanti scesero in piazza500. Le federazioni del PCI e dei giornalisti di sinistra vennero presidiate dai militanti mentre l’Arci Caccia fece cortei nei quali gli associati sfilarono con il fucile in spalla501. Una risposta molto forte che fa capire perché a sinistra, nonostante si può dire con grande sicurezza che gli ambienti comunisti fossero fin da dicembre a conoscenza del tentativo eversivo, si preferì tacere per mesi: l’annuncio immediato del golpe avrebbe portato a una guerra civile, testimoniata dal fatto che all’epoca pareva che il colpo di stato fosse in tempo reale e non risalente a mesi prima. Tra i partiti democratici c’era stato un patto del silenzio, stabilito dopo settimane di trattative tra opposizione e governo. C’era infine anche la paura che i golpisti pensassero di non lasciare le cose a metà e portare a termine quel che si era momentaneamente interrotto. Insomma, era stato meglio mandare giù il boccone amaro. 10.2 - Il prosieguo delle indagini 497 Marco Sassano, SID e partito americano, Marsilio, Venezia 1975, p. 89. 498 Monito di Saragat contro l’eversione, “Il Gazzettino”, 21.03.1971. 499 Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 500 La risposta del Paese ai piani di destra scioperi cortei manifestazioni unitarie, “l’Unità”, 19.03.1971. 501 Aldo Giannuli, op. cit., p. 349. 127 Il 19 marzo502 lo stato di fermo di Mario Rosa, Sandro Saccucci e Remo Orlandini, già in carcere a Regina Coeli, si tramuta in arresto come stabilito dal sostituto procuratore della Repubblica di Roma Claudio Vitalone. Come già detto viene inoltre emesso un ordine di cattura per Borghese, già fuggito in Spagna come un altro protagonista della vicenda ovvero il massone Gavino Matta503, per il reato di insurrezione contro lo stato. Vitalone alla stampa dichiara che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre si erano riuniti centinaia di persone in tre palestre (Montesacro, Centocelle e via S. Croce in Gerusalemme). Inoltre voci parlavano di liste di proscrizione trovate nelle perquisizioni delle abitazioni dei tre arrestati. All’elenco dei fermati si aggiungerà poi il 20 marzo Giovanni De Rosa. In ogni caso fin da subito a sinistra ci si accorge che le indagini vanno avanti in modo fiacco, minimizzando il più possibile quanto è accaduto. «L'atteggiamento di certe autorità è tale da giustificare il sospetto che si sia lasciato volutamente trapelare qualcosa per poi far mostra che si trattava di roba di poco conto»504. Infatti la tendenza immediata sia della magistratura sia di una certa parte dell’opinione pubblica è quella di limitare tutto al gruppo di Borghese o a qualche vecchio militare in disarmo, senza mai salire di livello. Questa tendenza andrà avanti per decenni e sarà sancita dalle sentenze giudiziarie. Lo stesso comandante viene dipinto dalla stampa come un vecchio rimbambito: «La politica aveva determinato in Junio Valerio Borghese una vera e propria astrazione dalla realtà»505. Quanto al SID vengono in questo periodo prodotti due rapporti riguardo ai fatti di dicembre. Il primo, redatto dal capo del reparto D Gasca Queirazza, segnalava l’attività del FN come inesistente e che il golpe, se mai ci fosse stato, sarebbe stato interrotto a causa dei contrasti e dei ripensamenti emersi tra i fautori dello stesso. Nuovamente a Gasca Queirazza arriva invece ad aprile un rapporto molto interessante, che poi si premurerà di far sparire, nel quale si segnalava l’ingresso dei congiurati al Viminale. Riguardo questi avvenimenti «non sarebbero stati all'oscuro l'ammiraglio Birindelli in funzione del suo incarico, il capo di stato maggiore della Marina Roselli Lorenzini, il capo di stato maggiore dell’Esercito Mereu, il comandante della III armata, il comandante delle fanterie del Sud Europa e alcune personalità del Quirinale»506. I nomi di Birindelli, Roselli Lorenzini e Mereu come alleati dei golpisti verranno sempre occultati o comunque mai processualmente coinvolti. Nello specifico Birindelli, intervistato vent’anni dopo sui fatti del ‘70 da Sergio Zavoli, dirà 502 Franco Venturini, Ordinata la cattura di Borghese per insurrezione contro lo Stato, “Il Gazzettino”, 20.03.1971. 503 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 101. 504 Le dimensioni del complotto, “l’Unità”, 20.03.1971 505 La figura del capo del Fronte nazionale, “Il Gazzettino”, 20.03.1971. 506 Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 128 in modo criptico: «Il golpe Borghese è stata un’ingenuità di alcuni, un’esaltazione di altri, una montatura di altri ancora507». Alla domanda del giornalista su chi fermò i congiurati rispose sorridendo «La pioggia». Ritornando alle indagini il 22 marzo la procura di Roma emette un comunicato stampa nel quale ridimensionava notevolmente il «presunto complotto»508: l’insurrezione contro i poteri dello stato diventa una morbida accusa di cospirazione, da un possibile ergastolo la pena massima diventava dodici anni per i responsabili principali e otto per i secondari. Mentre all’elenco dei fermati si aggiungeva il colonnello Lo Vecchio, Borghese si premurava di far pubblicare alla stampa una lettera difensiva: «La montatura politica di tutta la storia è troppo evidente e andrebbe smascherata. Molto bene è lumeggiata nelle illuminate e coraggiose dichiarazioni dell’on. Orlandi del PSDI. La nostra organizzazione cercava di organizzarsi perché, se i comunisti fossero stati sul punto di raggiungere il potere, non volevamo fare la fine dei polli»509. La lettera viene letta a sinistra come prova che la congiura non era stata organizzata da quattro pensionati ma da «gente che si è mossa e si muove tra persone che contano» 510. Quanto all’Orlandi citato nella lettera si tratta di Flavio Orlandi, il quale in quei giorni aveva reso dichiarazioni piuttosto oscure: minimizzando l’accaduto, si lamentava che non ne fossero stati informati i carabinieri. 10.3 - Opposti estremismi La stampa di sinistra comincia a rimuginare sui fatti, dando una visione del golpe che poi più di qualcuno ha preso per buona: i 900 sediziosi riuniti tra Montesacro e le due palestre avrebbero dovuto effettuare attentati contro le sedi dei partiti di destra in modo da incolpare la sinistra. A quel punto sarebbe stato inevitabile un appello alla restaurazione dell’ordine e approfittando della visita di Tito i militari avrebbero con la forza preso il controllo511. Insomma, il golpe Borghese era un finto colpo di stato per uno vero attuato dalle forze armate. Allo scrivente di nuovo questa ipotesi pare, se non campata in aria quantomeno non del tutto veritiera, per una serie di motivi già visti. Ciò che invece è evidente fin da subito è il fatto che gli arrestati sono pochissimi e tali resteranno: Orlandini, Saccucci, Rosa, De Rosa e Lo Vecchio più il latitante Borghese. Difficile quindi pensare di fare anche solo atti dimostrativi con sei persone, di conseguenza a fronte di nessun arresto ulteriore nell’opinione pubblica la vicenda 507 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615- 4461-9fae-988fbd1eba72.html, min 22. 508 Franco Venturini, Molto ridimensionato il presunto complotto, “Il Gazzettino”, 23.03.1971. 509 Ibidem. 510 La magistratura conferma il complotto, “l’Unità”, 23.03.1971. 511 Marcello Del Bosco, Complotto: gravi interrogativi sui limiti posti all'inchiesta, “l’Unità”, 24.03.1971. 129 era destinata a sgonfiarsi. Dalle perquisizioni effettuate a casa di Borghese esce una lista di diversi ammiragli che sarebbero stati dalla sua parte ma secondo il procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo erano solo vecchi compagni d’accademia del comandante. Così tanto per dare una notizia l’appena citato Spagnuolo è membro della P2, è a Roma da poco tempo e con il suo intervento bloccherà molti processi scomodi per il potere (es. Cefis). Inoltre «L’Espresso» pubblica del materiale riservato noto come “Operazione Atlantide”512: è un piano per l’occupazione del Paese effettuato grazie all’appoggio totale delle forze armate e con il supporto di reparti paramilitari di volontari, redatto in una forma dettagliata con la dislocazione delle varie truppe e degli armamenti. Un piano del genere inevitabilmente non poteva che arrivare da ambienti NATO ma la sua storia è quanto mai nebulosa. Va infine segnalato che il 23 marzo arriva a “Paese Sera”, un volantino firmato Gersi, indirizzato a uno dei giornalisti con la minaccia «Siete uno dei responsabili e come tale sarete colpito»513. Messaggi simili sono inviati in varie parti d’Italia, con la medesima firma. Gersi, acronimo di Giunta esecutiva riscossa sociale italiana, sarà una delle formazioni attive nel futuro progetto della Rosa dei venti. C’è una coincidenza inquietante con l’avanzare delle indagini: in contemporanea emergono le Brigate Rosse. Non essendo di grande interesse per questa trattazione il terrorismo di sinistra non è stato praticamente analizzato finora ma va detto che nello stesso momento in cui le indagini fanno intravedere che il golpe Borghese non era una farsa la teoria degli opposti estremismi diventa reale. Il 24 marzo infatti delle perquisizioni a Milano fanno emergere il nome di «Renato C.»514 come il capo delle fantomatiche Brigate Rosse. Si tratta ovviamente di Renato Curcio, primo storico capo della BR, ritenuto a lungo il responsabile di un attentato alla pista di prova degli pneumatici della Pirelli avvenuto a Linate due mesi prima515. Un tentativo di cercare un piccolo contrappeso alle rivelazioni sul golpe? Tra l’altro lo stesso Curcio e l’altra persona indagata, tal Enrico Castellini, vengono definiti «teppisti al servizio della destra»516 dalla stampa di sinistra. Due giorni dopo a Genova viene rapinato l’Istituto case popolari e nell’azione resta ucciso un usciere. L’azione è stata compiuta da due componenti del gruppo XXII Ottobre che poco dopo vengono arrestati. La banda, il cui capo Mario Rossi è il responsabile dell’omicidio, viene in breve sgominata dal sostituto procuratore Mario Sossi: passerà come un gruppo di sinistra pur avendo tra 512 Marcello Del Bosco, Erano previste collusioni di militari, “l’Unità”, 25.03.1971. 513 Mirco Dondi, op. cit., p. 262-263. 514 Forse individuati i capi delle «Brigate rosse», “Il Gazzettino”, 25.03.1971. 515 L’attentato, avvenuto il 7 gennaio nel deposito copertoni della Pirelli-Bicocca, era stato realizzato da uomini del MAR di Carlo Fumagalli ed era costato la vita a un operaio che era morto tentando di spegnere l’incendio. Si veda S.O Salvini, 1995, p. 139. 516 Trovate due rivoltelle in abitazioni perquisite, “l’Unità”, 25.03.1971. 130 i membri filo fascisti e delinquenti comuni. Sossi sarà il P.M. nel processo che sancirà l’ergastolo per Rossi e per questo vittima del celebre sequestro delle BR nel ‘74. 10.4 - “Indagini” per non scoprire niente Tra gli arrestati il primo a dire qualcosa è Saccucci, o meglio il suo avvocato: dice che il suo assistito non ha avuto contatti con il Fronte Nazionale né con Borghese e nella notte del golpe era a letto517. Le indagini nel frattempo sono praticamente ferme e tali resteranno: delle centinaia di partecipanti alle riunioni nelle palestre non si riesce a sapere il nome mentre le prove agli atti restano piuttosto indiziarie e non schiaccianti. L'unica sostanziosa, dieci chili di esplosivo «dello stesso tipo usato negli attentati in Alto Adige»518, viene trovata in un casolare di Palestrina ma nonostante le future perizie verrà ignorata. Nel frattempo l’ammiraglio Birindelli, molto tranquillo da indagini che lo toccheranno solo di striscio anni dopo, in un’intervista dichiara che in caso di un’entrata al governo dei comunisti tra le forze armate ci sarebbero parecchi casi di crisi di coscienza519. Dichiarazioni gravi di minaccia non tanto velata che arrivano da un personaggio di grande peso internazionale. Le indagini come già detto più volte vanno avanti a singhiozzo e iniziano a emergere le prime ipotesi sul perché del rinvio dell’azione nel momento decisivo. “l’Unità”, sostenendo sempre la tesi del golpe civetta, oltre a possibili problemi tecnici parla di contrasti tra i cervelli ovvero i finanziatori e gli esecutori: I primi, appunto Ie idee Ie avevano ben chiare, il colpo si poteva tentare solo attraverso quella strategia; gli altri forse si erano convinti di poter andare oltre, sognavano i colonnelli, fantasticavano di prendere realmente loro le redini del gioco e di non dover invece passare subito la mano una volta esaurito il loro compito di semplici guastatori.520 Tra le novità di rilievo emerge per la prima volta la voce di strani movimenti di uomini nella notte del tentato golpe in Via Teulada mentre il 28 vengono arrestati Roberto Besutti ed Elio Massagrande521, in quanto ritenuti appartenenti a un’organizzazione paramilitare responsabile di attentati e in probabile contatto con Borghese. L’inchiesta a livello nazionale è guidata dal P.M. Vittorio Occorsio e porta tre giorni dopo all’arresto del capo del MPON Clemente Graziani, il quale a titolo di cronaca abita in un lussuoso appartamento ai Parioli522, e al coinvolgimento di Giancarlo Rognoni. La loro accusa non riguarda la partecipazione al golpe ma la ricostituzione 517 Aldo Zeri, Ora nell’«affare Borghese» anche un’operazione Antartide, “Il Gazzettino”, 26.03.1971. 518 Scarcerati i cinque «golpisti», “l’Unità”, 26.02.1972. 519 Casi di coscienza nelle Forze Armate, “Il Gazzettino”, 26.03.1971. 520 Aldo Tortorella, Bombe, complotti e moderatismo, “l’Unità”, 28.03.1971. 521 Altri due fascisti arrestati a Verona: sarebbero gli autori di vari attentati, “Il Gazzettino”, 30.03.1971. 522 Arrestato il capo di «ordine nuovo», “l’Unità”, 02.04.1971. 131 del PNF. Come una scure si abbattevano però le parole di Franco Restivo che alla commissione del Senato forniva i risultati derivati dall’inchiesta della polizia fino a quel momento: un ulteriore ridimensionamento di fatti che secondo il ministro dell’Interno non erano proprio avvenuti. Riferendo che l’azione del FN era seguita fin da agosto a causa di voci che segnalavano atti clamorosi in vista del 7 dicembre: Venne acquisito il dato informativo che un gruppo di elementi della destra extraparlamentare intendeva svolgere nella notte stessa un’azione dimostrativa. Gli organi di PS e i carabinieri attuavano allora immediatamente adeguate misure preventive. Tuttavia nessuna azione esterna di carattere eversivo si manifestò in quella circostanza. Nel corso di ulteriori accertamenti si è appreso che un gruppo di aderenti al FN si era riunito verso le 22 del 7 dicembre in una palestra con l’asserito motivo di assistere a una proiezione cinematografica. [...] Effettivamente detta riunione rientrava in un programma di azione che il FN si proponeva di sviluppare523. Confermando i collegamenti dei sospetti con varie zone d’Italia, Restivo smentiva l’esclusione dei carabinieri dalle indagini, le quali portarono a 35 perquisizioni a fronte delle migliaia di cui aveva mormorato la stampa. Il ministro chiudeva così il suo intervento: «Non vi sono motivi di allarme». Non è successo quindi un bel niente secondo la versione del Viminale, «nessuna azione esterna di carattere eversivo si manifestò». L’intervento del ministro azzerava così il tentativo di dicembre, derubricato all’azione di pochi singoli che, secondo lui, alla prova dei fatti non avevano poi compiuto nulla di sostanzioso. Nel frattempo le voci su movimenti strani di truppe della Forestale prendono decisamente corpo: un intero battaglione, diretto dal comandante della scuola allievi sottufficiali Luciano Berti, sarebbe partito verso le 23 da Cittaducale su diversi automezzi alla volta della capitale: La colonna, composta da 300 uomini con pullman, gipponi, un camion di viveri, sarebbe quindi stata dirottata nella zona dello stadio Olimpico, alle spalle dell'edificio della RAI-TV. Dopo alcuni giri a vuoto, alle 4 del mattino, la colonna sarebbe rientrata a Cittaducale. Insieme agli allievi sottufficiali partirono alla volta di Roma due autoambulanze cariche di armi, fra cui anche un lanciafiamme 524. Berti a questo punto usciva allo scoperto, rilasciando il giorno dopo delle dichiarazioni all’agenzia di stampa Ansa: la notte dell’Immacolata confermava di aver effettuato un’esercitazione a Roma ma si trattava esclusivamente di questo e le truppe che dirigeva erano dirette ai Colli Albani, non agli studi RAI per aiutare Borghese nel golpe. Inoltre Berti, tecnicamente non un colonnello ma un alto funzionario del ministero 523 Franco Venturini, Del tutto velleitari i propositi eversivi di Valerio Borghese, “Il Gazzettino”, 31.03.1971. 524 Marcello Del Bosco, Complotto: il giudice nella palestra dei parà usata per il raduno, “l’Unità”, 01.04.1971. 132 dell’agricoltura, aggiunge poi di non conoscere Borghese e il motivo dell’annullamento dell’esercitazione era stata la pioggia torrenziale525. Il giudice istruttore Marcello De Lillo, su richiesta del sostituto procuratore Claudio Vitalone, il 4 aprile emette otto mandati di comparizione, non rendendo noti però i nomi degli incriminati. Lo stesso De Lillo prende iniziativa e fa cadere l’alibi degli indagati secondo la stampa: va a visionare il film “Berlino, dramma di un popolo”, che sarebbe stato proiettato la notte del golpe ma a domande specifiche sulla trama nessuno degli indagati sa rispondere526. In realtà però l’unico che avrebbe potuto vederlo è Saccucci, gli altri fermati non erano nei fatti presenti nella palestra di via Eleniana. De Lillo e Vitalone nel proseguimento dell’istruttoria si recano a Cittaducale dove interrogano Luciano Berti, il quale conferma di non conoscere assolutamente Borghese e che l’esercitazione del 7 dicembre era stata annullata a causa della pioggia copiosa. Agli atti finiscono anche delle piantine degli studi Rai che un presunto partecipante all’azione eversiva aveva consegnato al quotidiano “Paese Sera”. Il clima delle indagini non pare comunque buono: «in certi ambienti è stata lamentata la scarsa collaborazione di alcuni personaggi dell'apparato di sicurezza dello Stato, e che inoltre sono state ventilate pressioni politiche per giungere a un insabbiamento dell'inchiesta»527. Mentre alla lista dei fermati si aggiunge un pesce piccolo, l’ex parà Alessandro D’Angelo, è molto più rilevante la notizia che emerga il nome di Stefano Delle Chiaie, citato in una lettera trovata nello studio di Orlandini528. Quest’ultimo viene perciò interrogato ma ovviamente disconosce la paternità dello scritto. 10.5 - Un clima in tutti i sensi nero Il clima in cui si svolge l’indagine sul golpe come si è detto pareva già all’epoca non del tutto sereno. A sostegno di tale ipotesi c’è un tema che si era sviluppato proprio appena prima dell’esplosione del caso Borghese a metà marzo. L’11 marzo a Milano, dopo una prova generale avvenuta a Torino pochi giorni prima, si era infatti svolta la prima grande manifestazione di quel movimento che passerà poi alla storia come Maggioranza Silenziosa. Il principale animatore è l’avvocato monarchico Adamo Degli Occhi insieme a Massimo De Carolis, anche lui avvocato e capogruppo della DC in consiglio comunale mentre il giornalista Luciano Buonocore ne era il segretario e curava la rivista “Lotta Europea”. A comporla vi erano la destra clericale e anticomunista, con una certa infiltrazione di elementi filofascisti. La manifestazione è un successo poiché da poche centinaia di persone alla partenza la massa si gonfia fino 525 Arrestato a Roma un dirigente di «Ordine nuovo», “Il Gazzettino”, 02.04.1971. 526 Cade l'alibi agli arrestati per il complotto, “l’Unità”, 05.04.1971. 527 Marcello Del Bosco, Pressioni per insabbiare l’indagine sul complotto, “l’Unità”, 08.04.1971. 528 Marcello Del Bosco, Arrestato un ex parà, “l’Unità”, 17.04.1971 133 a raggiungere alcune migliaia. L’espressione “maggioranza silenziosa” non era una novità in quanto usata in precedenza dal presidente americano Nixon529. Si tratta comunque di molto più di un semplice movimento d’opinione in quanto era un gruppo di potere agganciato alle istituzioni, all’editoria, alla massoneria e ai servizi segreti530. Il 16 aprile, proprio alla vigilia della seconda grande manifestazione della Maggioranza Silenziosa due quotidiani di destra rendono pubblico un rapporto redatto dal prefetto di Milano Libero Mazza e inviato al ministro Restivo il 22 dicembre dell’anno precedente, nel quale era ben evidente la tesi degli opposti estremismi. Secondo il prefetto a Milano i gruppi anarchici, maoisti e di estremista sinistra in generale ammonterebbero in totale a 20000 unità, i quali secondo lui disporrebbero di «organizzazione, equipaggiamento ed armamento che può qualificarsi paramilitare. Non è da dubitare che ci si trovi di fronte ad associazioni che perseguono finalità eversive elevando la violenza a sistema di lotta»531. Il fatto che venga resa pubblico alla vigilia della manifestazione non appare casuale: nella notte due sedi di PCI e PSI subiscono un attacco, la questura vieta lo svolgimento della marcia all’ultimo secondo e di conseguenza ne nascono scontri violenti che portano a 84 fermi e 10 feriti532. Inoltre la sinistra reagirà duramente al rapporto Mazza, sia nella stampa che alla Camera con tre interrogazioni parlamentari. Proprio a Milano agiscono invece in grande numero organizzazioni neofasciste come “La Fenice” di Giancarlo Rognoni e le famigerate SAM (Squadre Azione Mussolini) guidate da Giancarlo Esposti, responsabili di decine di attentati dinamitardi in quel periodo. Infine due fatti di contorno: è proprio in questo periodo che spunta la pista nera per i fatti di Piazza Fontana: il giudice istruttore di Treviso Gianfranco Stiz emette un mandato di cattura per Franco Freda, Giovanni Ventura e Aldo Trinco, commesso della libreria di Freda. Inoltre, a fine marzo avviene la visita di Tito in Italia e per mettere un po’ di pepe torna di moda una bomba ferroviaria: nella notte tra il 24 e il marzo esplode un ordigno fra le stazioni di Latisana e Palazzolo della Stella nella bassa friulana provocando medi danni. Un atto analogo avviene il giorno seguente quando viene fatto saltare un binario a Basiliano, a 30 chilometri di distanza. La stampa scrisse che era opera di «Un fanatico o di un esaltato avulso da un’organizzazione politica 529 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 21. 530 De Carolis era strettamente legato agli ambienti del Noto Servizio. Per approfondire la sua figura si veda Gianni Barbacetto, L’uomo dal sorriso carnivoro, giannibarbacetto.it, http://www.giannibarbacetto.it/massimo-de-carolis- luomo-dal-sorriso-carnivoro/. 531 22 dicembre 1970. Lo «scandaloso» rapporto sull’ordine pubblico redatto dal prefetto di Milano Libero Mazza, spazio70.com, https://spazio70.com/media/documenti/22-dicembre-1970-lo-scandaloso-rapporto-sullordine- pubblico-redatto-dal-prefetto-di-milano-libero-mazza/?cn-reloaded=1. 532 Guerriglia a Milano tra estremisti e forze dell’ordine, “Il Gazzettino”, 18.04.1971. 134 ben determinata»533. In realtà era l’esatto opposto in quanto i responsabili erano Vincenzo Vinciguerra e gli ordinovisti di Udine. 10.6 - L’indagine si arena: tutti scarcerati L’attività istruttoria sul caso Borghese procede nei mesi seguenti assolutamente a rilento e non porta a nessuna novità sostanziale. La procura romana chiede lumi sul tentato golpe a Vito Miceli che dall’alto del comando del SID qualcosa dovrebbe sapere. Il generale risponde in modo elusivo, affermando come: Il servizio venne a conoscenza, nella notte sull'8 dicembre 1970, da fonte fiduciaria, che un gruppo di appartenenti all'estrema destra extraparlamentare avrebbe inteso effettuare, la notte stessa, un imprecisato gesto clamoroso in contrapposizione alle recenti manifestazioni effettuate dall'estrema sinistra extraparlamentare. Dai controlli immediatamente disposti non emerse alcuna conferma della notizia riferita. Ciò nonostante, considerata la attendibilità della fonte, questo servizio provvide ad informare subito i competenti organi di pubblica sicurezza e dell'arma dei carabinieri. Ogni ricerca informativa in merito svolta dal servizio, nel quadro dei compiti istituzionali, ha portato all'esclusione di collusioni, connivenze o partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di servizi534. È lampante come le parole di Miceli siano assurde, in quanto nega le collusioni degli ambiti militari con degli eventi che a suo dire non sono successi. La risposta incredibilmente viene ritenuta affidabile dal giudice istruttore Marcello De Lillo. Solo due anni dopo Vitalone la definirà un «assunto assolutamente capzioso ed elusivo»535. Per ora però questa lettura va bene a tutti. Quanto agli arrestati Orlandini invece che in carcere sta trascorrendo i giorni nella ben più confortevole “Villa Margherita”, clinica romana dove era stato ricoverato per non meglio precisati motivi di salute. Sempre ad agosto riceve la visita del capo del SID Miceli che, come spiega il giudice istruttore Fiore, gli aveva in un certo modo manifestato la propria vicinanza: Il Miceli lo incontrò in una sala della clinica e gli fece intendere che avrebbe voluto parlargli, ma non fu possibile per la presenza di altre persone, gli fece allora un cenno con un dito sul naso, come per fargli intendere che era opportuno tacere. Tale invito al silenzio non poteva che avere un inequivoco significato: era quello il periodo più delicato dell'attività istruttoria seguita agli arresti del marzo 1971 e l'Orlandini, all'epoca detenuto e quindi non in condizioni di comunicare con l'esterno, avrebbe potuto riferire agli inquirenti più di quanto sarebbe stato necessario dire. Un invito a tacere ovvero anche un semplice gesto di intesa, di incoraggiamento, stava a significare che l'Orlandini non doveva sentirsi solo e abbandonato; equivaleva, insomma, ad un invito a stare tranquillo, ché ad aiutarlo ci avrebbe pensato lui, Miceli, in un modo o nell'altro536. 533 Dario Ferrazzi, Salta un binario nei pressi di Udine, “Il Gazzettino”, 27.03.1971. 534 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 535 Ibidem. 536 Ibidem. 135 Le indagini sono da tempo in secca: l’istruttoria, dopo un ricorso alla Cassazione da parte degli avvocati degli indagati, viene clamorosamente tolta al giudice istruttore De Lillo537 e rimane negli uffici di Piazza Cavour. C’è un dato abbastanza clamoroso che fa capire la situazione: nei faldoni dell’inchiesta i testimoni vengono sentiti dal 2 aprile al 2 settembre 1971, dopodiché la testimonianza successiva arriva solo nel ‘74 con la riapertura delle indagini538. Insomma, già a settembre l’iter si era fermato. Il 25 febbraio del 1972, ormai decaduti i termini per la detenzione, per mancanza di indizi vengono scarcerati dalla Corte d’Appello Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Giovanni De Rosa. Da notare che nessuno dei cinque si trovava in carcere, bensì erano tutti “ricoverati” in lussuose cliniche della capitale, tranne Saccucci, che aveva preferito farsi ospitare nell'ospedale militare del Celio539. Alquanto singolari le parole della Corte: gli accusati «non avrebbero disdegnato il ricorso alia violenza e alla sopraffazione pur di raggiungere le proprie finalità»540 ma nonostante i sospetti non ci sono prove reali e quindi vanno liberati. La loro scarcerazione, arrivata nonostante l’opposizione di De Lillo e Vitalone, era stata richiesta da giorni dalla destra con manifestazioni pubbliche e volantini per le strade. La notizia viene accolta con parole festanti dai giornali ultraconservatori, a cui si aggiunge una critica verso la magistratura e la stampa: per esempio il «Giornale d’Italia» parlerà di «undici e più mesi di reclusione inflitti a cinque cittadini, colpevoli soltanto di reati d'opinione, in base alle fantasiose illazioni della stampa di sinistra»541. L’unico per cui non cade il mandato di arresto è Junio Valerio Borghese ma anche per lui sarà solo una questione di tempo. 10.7 - Virata a destra La scarcerazione dei principali imputati per il golpe Borghese si inserisce in un clima politico che ha il sapore di una evidente virata a destra della politica italiana. Finito il mandato di Saragat è necessario eleggere il nuovo presidente della Repubblica: a spuntarla è il democristiano Giovanni Leone, già premier in due governi “balneari”542 nel ‘63 e ‘68, eletto al 23° scrutinio (un record). C’è un fattore decisivo da far notare: la sua candidatura è stata appoggiata in modo decisivo dal MSI che con 42 voti 543 fa 537 Paolo Gambescia, Vogliono scarcerare i golpisti di Borghese, “l’Unità”, 19.02.1972. 538 Francesco M. Biscione, “Il partito del golpe nella strategia della tensione”, in "Dimensioni e problemi della ricerca storica”, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2, 2020, p. 70. 539 Scarcerati i cinque golpisti. Si vuole far tornare Borghese, “l’Unità”, 26.02.1971. 540 I retroscena della scandalosa liberazione dei «golpisti», “l’Unità”, 27.02.1972. 541 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 117. 542 Nel gergo della cronaca parlamentare si intendono quegli esecutivi nati tra giugno e agosto con l'unico obiettivo di durare fino ai primi freddi. 543 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 98. 136 pendere l’ago della bilancia verso Leone che supera di un soffio il quorum. Neanche due mesi di tempo e cade il governo presieduto da Enrico Colombo a causa dell’uscita del PRI dalla maggioranza. Da un moderato centrosinistra si passa a un monocolore DC con una «linea di destra»544, retto da Giulio Andreotti; Mariano Rumor va agli Interni mentre Franco Restivo alla Difesa. Passano dieci giorni e il presidente Leone scioglie ufficialmente le Camere: il nuovo governo non riesce ad ottenere la maggioranza e il capo dello stato opta per le elezioni anticipate a maggio, le prime nella storia repubblicana. Appena prima, il 23 febbraio, si era aperto a Milano il processo contro Pietro Valpreda e gli anarchici in un clima infuocato. Il Paese è sull’orlo del baratro e una notizia di contorno, sempre di questo tremendo periodo, con gli occhi di adesso viene riletta in ben altra ottica: ad Aurisina, vicino Trieste, viene casualmente scoperto un deposito di armi ed esplosivi: «Tutte armi nuovissime, in perfetto stato di efficienza. La provenienza delle pistole, di fabbricazione americana e spagnola, dovrebbe essere una traccia consistente; le istruzioni in inglese e francese»545. Si tratta di uno dei nascondigli di Gladio, noti in gergo come Nasco. È il primo ad essere ufficialmente trovato. 544 Il PCI denuncia la svolta a destra DC e i pericoli per il Paese, “l’Unità”, 26.02.1972. 545 Deposito fascista di esplosivi scoperto dai carabinieri a Trieste, “l’Unità”, 26.02.1972. 137 Capitolo undici: il ritorno dello stragismo nel 1972 11.1 - Premessa A questo punto l’analisi sul golpe Borghese potrebbe fare un salto di due anni abbondanti fino alla consegna da parte di Giulio Andreotti del cosiddetto “malloppone” alla procura di Roma nel settembre del ‘74. Sarebbe una via comoda e veloce tuttavia superficiale in quanto si dimenticherebbero completamente degli eventi di portata storica per il nostro paese, partendo dai primi atti violenti dei brigatisti fino alla strage dell’Italicus, accaduti nel periodo in mezzo. Sono fatti talmente importanti che non si può evitare di menzionarli: come detto in apertura la vicenda del golpe Borghese può essere compresa appieno solo se inserita nel complesso degli eventi di quegli anni. Se il 1971 è stato un anno “interlocutorio” riguardo azioni violente e morti, l’anno seguente sarà decisamente tragico e decisivo per la strategia della tensione. Il 1972 è stato definito, forse non a torto, «l’anno più torbido della Repubblica546»: in 365 giorni oltre alla scarcerazione degli imputati per il golpe avvengono il debutto ufficiale delle Brigate Rosse e il memoriale Pisetta, la morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, l’attentato di Peteano, l’assassinio del commissario Luigi Calabresi, la pista nera per Piazza Fontana si fa calda, il ritrovamento del finto arsenale di Camerino e si svolgono le prime elezioni anticipate della storia repubblicana. E non va dimenticato che sullo sfondo si sviluppano due progetti golpisti, quello presidenziale-legalitario di Edgardo Sogno e quello militare legato all’organizzazione nota come Rosa dei venti, mentre un terzo era andato a vuoto. 11.2 - Il mese di marzo Il giudice trevigiano Giancarlo Stiz il 2 marzo 1972 ordina l’arresto di Pino Rauti: dopo un anno dai mandati di cattura per Freda e Ventura la pista nera per Piazza Fontana si è notevolmente allargata e comprende gli attentati alla Fiera Campionaria del 25 aprile ‘69 e quelli sui treni di agosto del medesimo anno. Il suo arresto arriva dopo le dichiarazioni di Marco Pozzan, il quale ha ammesso che l’ex capo di ON era presente alla riunione del 18 aprile in cui si era messa a punto la strategia stragista. Con l'arresto di Rauti il clima che circonda l'istruttoria si fa pesantissimo: la paura prende il sopravvento in alcuni imputati che come Pozzan ritratteranno in parte le loro dichiarazioni. La reazione a destra sfiora l’isterismo e la magistratura è vittima di attacchi durissimi: le minacce a Stiz si fanno innumerevoli, «lettere minatorie e proiettili di avvertimento gli giungono quasi quotidianamente per posta»547. Il lavoro 546 Sandro Provvisionato, op. cit., p. 84. 547 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 123. 138 di scavo dei giudici e di ricostruzione dell'attività dell'organizzazione terroristica si fa estremamente difficoltoso. Nel mese di marzo Milano e la sua periferia sono il centro di tre fatti accaduti in pochissimo tempo. Il 3 le BR fanno il loro esordio sulla scena con il rapimento di un dirigente della SIT-Siemens: è il primo sequestro politico nella Prima Repubblica, «Cominciano ufficialmente gli anni di piombo548». L’11 si concentrano dei gruppi di estrema sinistra (Lotta Continua, Potere Operaio), nonostante il divieto della questura: la polizia carica e resta ucciso un passante, il pensionato Giuseppe Tavecchio, colpito da un candelotto sparato dalla Celere. Una tragica fatalità o «un lancio fuori dalle regole che autorizza a pensare a un incidente cercato?»549. In un climax ascendente l’episodio clou avviene il 14: a Segrate, periferia milanese, viene trovato sotto un traliccio il cadavere dilaniato dell’editore e leader dei GAP Giangiacomo Feltrinelli. Il traliccio è minato, così come un altro poco distante: sono in realtà cariche innescate male che non avrebbero potuto esplodere, come se le avesse messe qualcuno che doveva recitare una parte. Con sé ha dei documenti falsi intestati a tale Vincenzo Maggioni ma anche la fotografia della moglie e del figlio Carlo, un fatto a dir poco strano se non voleva farsi identificare. Così come la mezza banconota da mille lire trovata in tasca, «il sistema adottato all’interno dell’organizzazione Gladio per la distribuzione delle armi»550. A meno di 300 metri da dove viene trovato Feltrinelli ha sede la Demolizione Industriale Autoveicoli, un autodemolitore di proprietà di Carlo Fumagalli di cui quest’ultimo se ne disfece curiosamente poco dopo. Una coincidenza alquanto sinistra che dà spazio a parecchie voci, considerando che forse «Feltrinelli finanziava Carlo Fumagalli»551 e che i due erano stati visti la sera prima in un albergo di Vimodrone. Il giudice istruttore milanese Antonio Amati nella sua sentenza del 1976 accoglierà la tesi del pubblico ministero Guido Viola dell'incidente sul lavoro, segnalando che Feltrinelli quel giorno era in compagnia di altre due persone tuttavia mai identificate. A oggi quella dell’omicidio di Feltrinelli rimane un’ipotesi non campata in aria: quella di una messinscena creata ad arte per rilanciare il pericolo del terrorismo rosso è un’idea non proprio peregrina. 11.3 - Le elezioni politiche e la morte di un commissario Il 7 maggio il popolo italiano si reca alle urne per le elezioni politiche, le prime svolte in modo anticipato della storia repubblicana. La campagna elettorale dallo scioglimento del parlamento era stata «all'insegna di una violenta guerra psicologica, 548 Sandro Provvisionato, op. cit., p. 90. 549 Mirco Dondi, op. cit., p. 267. 550 Sandro Provvisionato, op. cit., p. 95. 551 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 136. 139 della rincorsa a destra della DC in competizione col MSI, dei finanziamenti americani ai partiti della “centralità”, della strumentalizzazione del terrorismo per calcoli politici di parte»552. I missini si presentano alle elezioni con la nuova sigla MSI-Destra Nazionale dopo l’unione con i monarchici del PDIUM ed eleggono personaggi già visti come Saccucci, Rauti, Franco e Birindelli. I risultati elettorali nel complesso non spostano di una virgola la situazione italiana, all’insegna di una totale incertezza: la DC resta in pratica ferma, il PCI avanza un po’ e il PSI regge l’urto della scissione. Il presidente Leone conferisce l’incarico nuovamente ad Andreotti che forma un governo centrista con PLI, PRI e PSDI. Sono le nove di mattina del 17 maggio. Il commissario Luigi Calabresi esce di casa, fa per salire sulla sua auto ma viene freddato da un killer. Calabresi come si è visto era legato alla morte di Pinelli: pur dicendo di non essere stato presente al momento della sua morte, aveva sempre sostenuto la tesi del suicidio e per tali motivi era stato oggetto di una violentissima campagna accusatoria dell’estrema sinistra, alimentata anche da false informazioni sul suo passato553. Nelle indagini emerge che Calabresi aveva scoperto un traffico internazionale di armi554 che da Monaco di Baviera venivano girate agli ustascia jugoslavi e ai neofascisti nostrani. Una vicenda piuttosto torbida, nella quale compare anche il nome di Feltrinelli che a quanto pare sapeva più di qualcosa. Calabresi per seguire le indagini era stato a Trieste solo tre giorni prima e dopo in Svizzera a Lugano dove aveva incontrato un anonimo confidente. Il 20 settembre al valico tra elvetica viene bloccata un'auto carica di armi con all’interno una donna tedesca, Gudrun Kiess, il neofascista Bruno Stefano e il terrorista Gianni Nardi, personaggio alquanto particolare e legato al Noto Servizio. L’identikit dell’assassino di Calabresi somigliava proprio a Nardi e a casa sua viene trovato un bossolo dello stesso calibro dell’arma che ha ucciso il commissario555. I tre però finiranno in carcere solo per la vicenda delle armi dove la tedesca confiderà a una compagna di cella che erano stati i due uomini a uccidere Calabresi556. Nardi verrà comunque scagionato ma morirà a Palma di Maiorca in un incidente d’auto che per anni è stato avvolto nel mistero. Ci vorranno anni prima che emergano nuovi fatti: nel 1988 Leonardo Marino, ex membro di Lotta Continua, confessò che il killer era Ovidio Bompressi, lui aveva fatto da un autista e che i mandanti erano i due leader del movimento Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Escluso Marino gli altri tre si sono 552 Ivi, p. 162. 553 Una nota dell’agenzia AIPE, vicina all’UAARR, lo segnala come persona in contatto con ambienti CIA. La notizia, rimbalzata su tutti i giornali, è però del tutto falsa e basata su uno scambio di persona (Luigi Calabresi per Lorenzo Calabrese). 554 Aldo Giannuli, op. cit., p. 371 e seg. 555 Ibidem. 556 Ibidem. 140 sempre dichiarati innocenti: dopo vari iter giudiziari i quattro sono stati condannati per pene dagli 11 ai 22 anni di prigione ma per vari motivi sono state ben poco scontate557. Il caso è risolto ma con un esito che tuttora non convince parecchi: le indagini di Calabresi stavano andando troppo in là, il suo silenzio avrebbe fatto comodo a parecchi. 11.4 - Peteano: attentato e non strage A sole due settimane dalla morte del commissario Calabresi un altro fatto di sangue sconvolge il Paese. Nella notte del 31 maggio una chiamata anonima alla caserma di Gorizia segnala un’auto abbandonata con fori da proiettile sul parabrezza in località Peteano. Si recano delle volanti sul posto: un carabiniere tira la leva che apre il cofano della vettura e fa scattare l’innesco della bomba che lo uccide sul colpo insieme ad altri due colleghi mentre un quarto resta dilaniato. L’esplosivo utilizzato era stato rubato da una baracchetta del tutto incustodita di una ditta che stava effettuando lavori di sbancamento in Piancavallo558. I responsabili del triplice omicidio hanno dei nomi precisi: Vincenzo Vinciguerra, Ivano Boccaccio e Carlo Cicuttini, elementi di ON della zona. La loro azione è strana poiché mai di base gli estremisti di destra colpiscono le forze dell’ordine. Loro tre sono però dei «fascisti di sinistra»559, per i quali con il potere non si poteva trovare alcun compromesso e i carabinieri erano una diretta emanazione dello stesso. Per tale ragione quello di Peteano è un attentato e non una strage, in quanto non si spara nel mucchio ma verso un obiettivo preciso. Le indagini vengono guidate non dagli inquirenti locali ma dal comandante dei carabinieri di Udine Dino Mingarelli, già coinvolto sia nel piano Solo in quanto responsabile della lista degli enucleandi del nordest sia nel golpe Borghese. A dargli manforte arriva il generale Giovanni Battista Palumbo, comandante della Divisione “Pastrengo” di Milano e membro della P2 (tessera n° 135). Le indagini vengono svolte solo dai carabinieri, già di per sé elemento non normale, e puntano subito la pista dell’estrema sinistra e in particolare verso gli ambienti di Lotta Continua di Trento, grazie alla spinta dei colonnelli Santoro e Pignatelli, già visti con l’episodio della bomba davanti al locale tribunale. È «un’inchiesta che appare fin dall’inizio viziata da depistaggi e inquinamenti»560 e infatti la pista rossa si sgonfia in poco tempo. Un 557 In particolare Pietrostefani, condannato a 22 anni (poi ridotti a 16) ne ha scontati solamente due grazie in quanto esule in Francia dal 2000 e protetto dalla dottrina Mitterrand. 558 S.O. Salvini, 1998, p. 207. Secondo il giudice Felice Casson invece l’esplosivo era materiale NATO proveniente dal Nasco di Aurisina, ipotesi che renderebbe Vinciguerra colluso con gli apparati segreti. L’indagine di Salvini ha però negato del tutto quest’evidenza, nonostante qualcuno la ritenga ancora valida. 559 Aldo Giannuli, op. cit., p. 375. 560 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615- 4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 37. 141 depistaggio non da poco viene svolto da Marco Morin, perito balistico tra i massimi esperti nazionali ma molto vicino agli ambienti di ON, il quale classifica l’esplosivo usato come Semtex H di fabbricazione cecoslovacca, della stessa tipologia usata dai brigatisti e dai palestinesi561. La matrice rossa per Peteano non funziona e allora gli inquirenti la sostituiscono quella che è stata chiamata “pista gialla”: vengono accusati di essere i responsabili dell’attentato sei esponenti della piccolissima malavita locale, i quali andranno addirittura a processo ma poi saranno scagionati. Il 6 ottobre dello stesso anno Ivano Boccaccio, nel tentativo di dirottare un aereo dalla pista di Ronchi dei Legionari per ottenere un riscatto di 200 milioni di lire, viene ucciso dalla polizia. L’arma che ha usato è dello stesso calibro di quella che ha sparato sul parabrezza dell’auto di Peteano ma nessuno se ne accorge. La pista nera, pur tra mille reticenze e depistaggi, comincia in seguito ad emergere e provoca la fuga all’estero di Carlo Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra562. Il primo, autore della telefonata anonima e segretario della sezione missina di Manzano del Friuli, sarà aiutato nella latitanza da Almirante che gli invierà del denaro per pagare l’intervento alle corde vocali563. Sarà poi Vinciguerra nel 1984, una volta tornato in Italia, ad assumersi la responsabilità dell’azione e ad aprire con le sue dichiarazioni negli anni punti di vista unici sull’eversione neofascista. Vinciguerra per esempio ha affermato di aver ricevuto l’incarico di uccidere il premier Rumor nel 1971 in quanto non aveva dichiarato lo stato d’emergenza dopo Piazza Fontana o anche di aver lasciato ON perché si era accorto della collusione del movimento con i servizi di sicurezza. Il nuovo processo affidato al giudice veneziano Felice Casson porta la condanna all’ergastolo per Cicuttini e Vinciguerra mentre Mingarelli e altri due carabinieri ricevono una pena (condonata) di tre anni e dieci mesi per il depistaggio564. Ciò che va rilevato infine è che la vicenda di Peteano mostra il modus operandi tenuto dai servizi di sicurezza in tutti gli attentati e le stragi di quegli anni: si creano piste false, si coprono gli accusati in modo automatico, si riduce l’azione all’opera di qualche balordo. È il sistema che reagisce per proteggersi, nonostante l’azione arrivi da qualcuno che vuole distruggere questo sistema. Su Vinciguerra si è a lungo detto che fosse un depistatore professionista ma le sue dichiarazioni invece quasi sempre sono state confermate nei fatti tanto che ormai non si può fare «una storia della strategia della tensione 561 Gianni Barbacetto, Marco Morin, l’esperto di bombe amico dei bombaroli, giannibarbacetto.it, 26.06.2020, http://www.giannibarbacetto.it/2020/06/26/marco-morin-lesperto-di-bombe-amico-dei-bombaroli/ 562 Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri, https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di- bologna-del-2?i=4281105, min. 35. 563 Almirante invierà circa 35.000 dollari al latitante Cicuttini ed eviterà il processo alla Corte di Venezia che lo accusava di favoreggiamento grazie all’immunità parlamentare. 564 La cassazione su Peteano: «I generali depistarono», “La Repubblica”, 22.05.1992, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/05/22/la-cassazione-su-peteano-generali- depistarono.html?ref=search. 142 prescindendo dal suo contributo»565. Resta pur sempre il fatto che si tratta di un terrorista che non si è mai pentito delle proprie azioni. 11.5 - Il memoriale Pisetta Pochi giorni prima che il gruppo friulano di ON tentasse il dirottamento di cui si è detto poc’anzi, parecchi chilometri più a nord era successo qualcosa di significativo. A metà settembre a Pochi di Salorno, borgo al confine tra Trentino e Alto Adige, due agenti del SID stanno obbligando un uomo a copiare dei documenti che loro stessi gli hanno fornito. L’uomo si chiama Marco Pisetta, è un elettrotecnico di Trento, appartiene alle BR e ha partecipato a qualche piccolo attentato dimostrativo. A maggio, nelle indagini nate dopo la morte di Feltrinelli, era stato catturato nei pressi del covo brigatista di Via Boiardo a Milano ma era stato rimesso in libertà poco dopo dal giudice Viola in cambio di alcune “cantate” su altri componenti delle BR. Visto questo precedente, viene poi bloccato dal SID e utilizzato come provocatore per la stesura del memoriale che sarà, per pura coincidenza sia chiaro, pubblicato nel gennaio del ‘73 da quotidiani di destra come Il Secolo d’Italia, Lo Specchio e Il Borghese. Pisetta, il quale nel frattempo era stato fatto fuggire dal SID in Spagna e Germania per evitare vendette dei brigatisti, nel ‘74 dirà la verità sul memoriale in un'intervista a L’Espresso: Mi portarono in un posto di montagna sopra Salorno, in provincia di Bolzano. Li mi mostrarono un sacco di juta, dicendo che se non avessi collaborato mi avrebbero chiuso dentro e gettato nell' Adige. Così, per quindici giorni in una casa dei paraggi, scrissi il memoriale citando alcuni fatti veri ma soprattutto aggiungendo nomi e circostanze che mi suggeriva un colonnello dei carabinieri. AI momento di firmare dissi però che l'avrei fatto soltanto all'estero, dopo avere avuto assicurazioni sulla mia sorte. La firma del memoriale avvenne difatti da un notaio di Monaco566. Ma chi è il colonnello dei carabinieri di cui parla Pisetta? È l’onnipresente Michele Santoro, comandante dell’Arma a Trento. Il memoriale sarebbe poi stato consegnato al capitano Antonio Labruna e poi pubblicato dai giornali precedentemente nominati, i quali hanno avuto la soffiata da gente dei servizi. Sullo stesso Labruna nel ’76 arriva un’accusa diretta, responsabile Stefano Delle Chiaie: Provi a smentire di avere affittato per Pisetta, montando la vicenda delle Brigate Rosse, una casa vicina al confine in località Pochi di Salorno a nome di Giancarlo Scannavini, fratello di un funzionario della squadra politica della questura di Bolzano. Neghi le 45 mila d'affitto, i pattugliamenti del maresciallo Gandolfi di Salorno e il telefono segreto e il ritorno di Pisetta dall' Austria, per scrivere con tutta calma il famoso memoriale sotto la dettatura di un compiacente e non meno compromesso colonnello567 L’operazione è gravissima perché con questo falso memoriale il SID getta benzina sul fuoco appena acceso del terrorismo rosso, contribuendo così a una vera e propria 565 Aldo Giannuli, op. cit., p. 379. 566 “L’Espresso”, 10.11.1974. 567 “lI Giorno”, 23.4.1976. 143 caccia alle streghe. Pisetta, il “protopentito”, vivrà a Friburgo in Germania fino al 1982, anno in cui si costituirà: condannato a quasi anni di carcere, sarà graziato nel 1986 dal presidente Cossiga568. 11.6 - All’insegna della trama nera Come si è visto nel ‘72 succede veramente di tutto, l’aria a fine anno è pesante e lo dirà anche il segretario della DC Arnaldo Forlani in un comizio a La Spezia, scelta che appare non casuale569, con parole enigmatiche: È stato operato il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti, nella nostra Italia dalla Liberazione ad oggi. [...] Questo tentativo disgregante che è stato portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno ma anche di ordine internazionale, non è finito. Noi sappiamo in modo documentato e sul terreno della nostra responsabilità, che questo tentativo è ancora in corso. Vi è cioè una manovra diretta a respingere indietro il nostro Paese, a respingerlo verso un passato dal quale siamo usciti con tante difficoltà verso una esperienza che la nostra Italia ha vissuto e che noi abbiamo ereditato venticinque anni fa nei suoi risultati fallimentari e catastrofici570. Il suo è un ammonimento vago e «tra l’altro di tipo mafioso»571, di chi sa bene le trame sotterranee e avvisa chi ha orecchie adatte a recepire. Ovviamente non chiarirà il grido d’allarme in Parlamento nonostante le rimostranze, dando la colpa alla stampa e alle sue solite illazioni. Due anni dopo il giudice Tamburino gli chiederà lumi in merito, durante l’indagine sulla Rosa dei venti: sentito il 9 luglio del ’74 Forlani minimizzerà, dicendo di essere stato frainteso e di riferirsi al fatto che l’MSI aveva ricevuto finanziamenti anomali572. Il 26 novembre su “Il Borghese” compare un documento anonimo di notevole rilevanza, intitolato «Guerra tra democristiani. All’insegna della trama nera», ripreso poi da altri quotidiani nei giorni seguenti. Secondo l’ignoto autore il destinatario del discorso di Forlani è Andreotti, «il quale punta a manovrare la leva dei disordini da destra, per garantire a se stesso, cioè all’uomo del “recupero a destra”, la possibilità di restare a lungo a Palazzo Chigi». Più dettagliatamente: Al vertice della Democrazia cristiana si è ormai certi che l’on. Andreotti sia da lungo tempo invischiato, per il tramite di alcuni suoi fiduciari, con ambienti e personaggi della destra extraparlamentare. L’on. Andreotti che è stato per lungo tempo Ministro della Difesa e che al tempo del processo De Lorenzo-“Espresso” evitò di mettersi contro il Sifar, si è sempre servito per i suoi fini personali del Servizio segreto: o meglio, di alcuni uomini all’interno del servizio. In 568 Grazia a Pisetta, il primo «pentito» br, “l’Unità”, 07.03.1986. 569 Sarà proprio un medico spezzino, Giampaolo Porta Casucci, a far partire l’inchiesta sulla Rosa dei venti. 570 Gravi dichiarazioni di Forlani sul complotto neo-fascista in atto, “l’Unità”, 6.11.1972. 571 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 245. 572 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 73. 144 particolare, questi uomini fanno capo al colonnello Jucci [il quale, nda] ha stabilito rapporti con il mondo della destra extraparlamentare grazie alla collaborazione di un altro elemento del Sifar (poi Sid): il colonnello Vicini. Questo colonnello, fino a poco tempo fa, comandava il reparto guastatori del servizio che si addestra in Sardegna ed ha disponibilità illimitate di esplosivo. Si noterà a questo proposito che in tutti i casi di attentati con matrice di destra, l’esplosivo non è risultato quasi mai rubato. Il motivo è chiaro: il materiale alla destra veniva fornito dal Vicini, d’accordo con lo Jucci che, per conto del suo padrone Andreotti, voleva alimentare il sovversivismo di destra. Tutto il lavoro di questa gente fa capo all’ufficio di “Alti studi strategici” che è sistemato a Palazzo Chigi e nel quale lavora un altro fiduciario di Giulio Andreotti: l’avvocato Di Jorio, consigliere regionale del Lazio oltre che difensore dei “golpisti” di Junio Valerio Borghese. A Milano, questa organizzazione fa capo al maggiore dei carabinieri Rossi, ufficiale di collegamento tra l’Arma e il Sid. L’Arma però ignora tutto dell’attività che il Rossi svolge nel campo dell’estrema destra. Il Rossi si serve dell’aiuto del costruttore Sigfrido Battaini. Sono questi due elementi che hanno arruolato il Nardi, hanno organizzato la provocazione facendogli credere che bisognava liberare dal carcere i suoi compagni di rapina, e quindi l’hanno fatto arrestare al confine, con l’esplosivo a bordo573. Sono tantissimi gli spunti che offre questo documento decisamente esplosivo: si ha in primis una conferma dei contatti tra Andreotti e l’estrema destra, il quale, ben lontano da volere un golpe violento come già detto nei fatti della notte di Tora-Tora, punta a sfruttare i neofascisti solo per rafforzare il suo potere personale. Attorno a lui c’è il Noto Servizio, del quale vengono citati Rossi, Battaini e Nardi, il quale qui appare come un apparato parallelo comandato direttamente da Andreotti. Lo stesso ha disposizione l’avvocato De Jorio, già protagonista del golpe Borghese, e il colonnello Roberto Jucci, promosso in seguito generale, comandante del SIOS- Esercito nel 1974-1975 e dei carabinieri dal 1986 al 1989. Con Jucci viene nominato un altro elemento delle forze armate, tale Vicini: da identificarsi con Mario Pompeo Vicini, possibile membro della P2574, è piuttosto evidente il riferimento nel documento a un suo servizio come addestratore dei gladiatori (di cui quasi vent’anni prima delle dichiarazioni di Andreotti era nota l’esistenza a più di qualcuno) e grazie a tale ruolo avrebbe fornito parecchio esplosivo ai neofascisti. Nel 1972, a quanto risulta, c’era effettivamente stato un nuovo tentativo di golpe. I protagonisti sono gli esponenti rimasti più in ombra del FN, retto ora da Dante Ciabatti a causa della latitanza del Principe Nero. Troviamo infatti quella che è stata chiamata la “ditta genovese” di cui facevano parte l’avvocato missino Giancarlo De Marchi e Attilio Lercari, come già ricordato uomo di fiducia del ricchissimo industriale Andrea Mario Piaggio, mentre il ruolo prominente nelle sfere militari viene svolto da Giuseppe Roselli Lorenzini, nientemeno che capo di stato maggiore della Marina. Non 573 Ignoto, Guerra fra democristiani. All’insegna della trama nera, malastoria.wordpress.com, https://malastoria.wordpress.com/2020/05/12/altri-documenti-4/, 12.05.2020. 574 Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, allegati alla relazione: riscontri sull’attendibilità delle liste e sulle posizioni di affiliazione, tomo secondo, 11.08.1982, p. 17. 145 si parla proprio di quattro scappati di casa come più volte si è voluto far credere. Dirà anni dopo Lercari che: De Marchi mi contattò indicandomi che l’Ammiraglio Roselli Lorenzini - all'epoca Capo di Stato Maggiore della Marina - aveva intenzione di contattare un grosso industriale per ottenere finanziamenti a favore del Fronte Nazionale in vista di un pronunciamento militare. A De Marchi questa notizia pervenne - secondo quanto lui stesso mi disse - tramite il Dr. Ciabatti, uno dei responsabili dei Fronte Nazionale. Io rappresentai a De Marchi che sarebbe stato necessario che tale richiesta fosse avanzata a Piaggio da persona diversa da me, io, dal canto mio, avrei potuto adoperarmi presso l’industriale. In effetti, poco tempo dopo, Piaggio mi chiamò asserendo che io avessi qualcosa di importante da dirgli. Capii che si trattava della questione a cui ho ora accennato e riferii al Piaggio della richiesta di colloquio con lui che l’Ammiraglio aveva avanzato. Piaggio accolse l’idea dell’incontro. [...] Effettivamente l’incontro vi fu, non prima, peraltro, che Piaggio ebbe assunto altre informazioni sull’Ammiraglio, ed avvenne proprio in casa dello stesso Roselli Lorenzini, a Roma, alla presenza del Dr. De Jorio, che all’epoca mi pare fosse consigliere provinciale. Non so quale fosse la funzione di De Jorio, io non ho partecipato a quell’incontro. La presenza di De Jorio mi fu indicata da Piaggio, il quale supponeva - come mi disse - che la presenza di De Jorio fosse da mettere in relazione con i rapporti di quest’ultimo con l’On. Andreotti, parlamentare che Piaggio peraltro conosceva575. Il finanziamento che Piaggio fece pervenire al FN per il possibile golpe fu una cifra tra i 50 e gli 80 milioni di lire. La domanda a questo punto è piuttosto semplice: perché l’operazione non va in porto? Roselli Lorenzini, non più giovanissimo (classe 1910), puntava a chiudere la carriera come capo di maggiore della Difesa: l’incarico era detenuto al tempo da Enzo Marchesi, prossimo a lasciare e contrario a colpi di stato militari. Nell’agosto del ‘72, in anticipo rispetto alle previsioni, Marchesi viene sostituito dall’ammiraglio Eugenio Henke: Roselli Lorenzini viene battuto sul tempo e perderà ogni incarico rilevante nel giro di un anno. Come conseguenza di tale avvenimento si registra la fine nel ‘72 del FN come centro promotore del golpismo: il tentativo dell’anno seguente, operato da una serie di organizzazioni note come Rosa dei venti, fa capire che il gruppo di Borghese era ormai stato ridimensionato. 11.8 L’arsenale di Camerino e altri fatti Inoltre altri due fatti rilevanti sono avvenuti nei precedenti mesi: il 4 agosto576 l’organizzazione terroristica araba Settembre Nero ha rivendicato un attentato agli oleodotti di San Dorligo della Valle (Trieste), creando ingenti danni. La stessa 575 Lercari al p.m. P. De Crescenzo in data 29 aprile 1997, in Archivio del tribunale di Roma, n. 5105, procedimento penale 17626/95, fald. 11, cc. 3772-3775. Cit. in Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della tensione, in Dimensioni e problemi della storia, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2/2020, p. 59-60. 576 La stessa data dell’attentato sul treno Italicus due anni dopo e del movimento politico greco di estrema destra di Konstantinos Plevris. Quando le coincidenze si sprecano… 146 organizzazione, in solida alleanza con ON e AN577, il 5 settembre compirà il tristemente noto attentato alle olimpiadi di Monaco che causeranno la morte di undici atleti palestinesi e un poliziotto. Il 22 ottobre invece si rischia una tragedia con nuovi attentati sui treni: in occasione di una massiccia manifestazione sindacale a Reggio Calabria vengono piazzati sette ordigni sulle linee ferroviarie che conducono al Sud Italia. Per fortuna non tutte le bombe esplodono e quelle che lo fanno causano solo lievi feriti, anche per motivi fortuiti. Cade il progetto di un’organizzazione formata certamente da numerose persone che voleva provocare una strage per un motivo preciso: «ci si aspettava una reazione dei 50 mila operai in corteo nella città dei «boia chi molla» e una scintilla per una spirale della violenza che avrebbe potuto portare a una vera e propria guerra civile»578. Il 7 novembre Richard Nixon con una netta maggioranza viene rieletto presidente degli Stati Uniti ma come dirà la storia durerà un anno e mezzo prima di venire travolto dallo scandalo del Watergate. Tra i suoi principali sostenitori troviamo Michele Sindona che lo finanzierà con una donazione di un milione di dollari 579: il banchiere e faccendiere siciliano aveva realizzato con la sua azienda di costruzioni il vasto complesso residenziale a Washington che travolgerà Nixon di lì a breve con il notissimo scandalo. Cambia qualche mese dopo l’ambasciatore italiano: da Graham Martin si passa all’italo-americano John Volpe. Nel ‘74 Volpe premierà Sindona come «uomo dell’anno» per la stagione precedente. La costruzione del pericolo rosso, in questo momento poco reale a differenza degli anni futuri, dopo la morte di Feltrinelli e il memoriale Pisetta continua con un altro fatto rilevante. Il 10 novembre vicino Camerino, in provincia di Macerata, viene scoperto “per caso” dai carabinieri un arsenale di armi ed esplosivi insieme a una lista cifrata e documenti d’identità. Si noti bene che siamo appena cinque giorni dopo il discorso di Forlani a La Spezia. Da sottolineare come appena un giorno dopo la scoperta dell’arsenale sul quotidiano «Il Resto del Carlino» il giornalista Guido Paglia, ex AN passato a collaboratore del SID, scriveva subito che la responsabilità era dei rossi in quanto la lista cifrata conteneva i nomi di militanti di sinistra. Peccato però che il cifrario verrà decifrato solo il 15 novembre580. Le indagini della magistratura di Camerino e dei locali carabinieri diretti dal capitano Giancarlo D'Ovidio (tessera P2 n° 569) si indirizzano verso alcuni giovani di sinistra, in modo specifico quattro contenuti nella lista cifrata. I quattro il 28 aprile 1976 verranno assolti dal Giudice Istruttore di 577 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 207. 578 Federazione milanese del PCI (a cura di), op. cit., p. 113. 579 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 246. 580 S. O. Salvini, 1995, p. 151. 147 Macerata «per non aver commesso il fatto»581. Pochi giorni dopo Delle Chiaie, latitante in Spagne, con un’intervista a «Panorama» lancia accuse precise: «Quelle armi, quegli esplosivi e quel cifrario erano stati messi da Labruna per far scattare una crociata anticomunista»582. A tali accuse nessuno risponderà e la vicenda non porterà a nessun esito concreto per decenni. Ci vorranno più di 20 anni per arrivare a una verità giudiziaria: il giudice Salvini nella sua sentenza del ‘95 certificherà che l’arsenale era stato appositamente creato dai carabinieri di D’Ovidio e dal gruppo NOD del SID di Labruna grazie anche a piccoli delinquenti locali: una provocazione bella e buona con il generale Maletti come ispiratore e regista583. 581 Ivi, p. 154. 582 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 251. 583 S.O. Salvini, 1995, p. 170. 148 Capitolo XII: la Rosa dei venti 12.1 - Il quadro di inizio anno Nei primi giorni di gennaio c’è un curioso viavai in un appartamento al numero 235 di via Sicilia a Roma, sede di una fantomatica impresa cinematografica ma in realtà base coperta del SID. Il 13 vi arriva Marco Pozzan, l’accusatore di Rauti, che dopo due giorni verrà fatto espatriare a Barcellona dal capitano Labruna con un passaporto falso intestato a Mario Zanella. Sempre nell’appartamento del SID c’è anche Guido Giannettini che inizia a scrivere le sue verità su Piazza Fontana: «Ritengo possibile che gli attentati del 1969 siano stati operati da sinistra, ambiente Brigate Rosse. Esiste poi un'altra ipotesi e cioè che gli attentati di Milano non siano stati operati da sinistra, ma dal centro. I fatti di Milano del dicembre 1969 hanno giovato soltanto al governo Rumor, allora in carica»584. Le trame eversive post golpe continuano in questi mesi a essere tessute: i progetti sono essenzialmente due, ovvero Rosa dei venti e golpe bianco, e nonostante idee e piani differenti ci sono dei punti di contatto. Il primo ruota ben di più su personaggi dell’ambiente militare: su tutti il generale a riposo Francesco Nardella, dal ‘62 al 71’ direttore dell’Ufficio Guerra Psicologica del comando FTASE di Verona585 e poi fondatore del Movimento Nazionale di Opinione Pubblica (MNOP), il potentissimo principe Alliata di Montereale, già incontrato nella vicenda del bandito Giuliano, il colonnello Amos Spiazzi e il falso sottotenente della giustizia militare Roberto Cavallaro. Accanto a loro sia vecchi arnesi fascisti come il padovano Eugenio Rizzato sia manovali di bassa lega come Sandro Rampazzo. Il secondo è più legato agli ambienti industriali (FIAT) e provocatori di professione come Luigi Cavallo. Non per questo però non ci sono contatti tra i due mondi: nei primi mesi del 1973 Edgardo Sogno, per tramite di Adriano Monti, chiederà di avere un colloquio con Remo Orlandini586. Per quanto riguarda nello specifico il Fronte Nazionale Dante Ciabatti lascia l’incarico che passa all’avvocato genovese Giancarlo De Marchi, il quale come detto rappresenta i finanziatori genovesi. Dietro di lui c'era soprattutto un gruppo di generali, «che avrebbero, in un determinato momento, imposto al presidente della Repubblica lo scioglimento del parlamento e del governo, affidando quest’ultimo ai militari»587. Chi sarebbero questi generali? Uno di questi è senza dubbio Ugo Ricci, fresco di nomina ad appena cinquant’anni. Il progetto del 1972 che come si è visto 584 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 265. 585 Tale ufficio era in diretto collegamento con le forze NATO e con la CIA. Le sue attività principali erano lo studio di varie strategie psicologiche da usare in caso di colpi di stato e guerre civili. Si veda De Lutiis, Storia dei servizi civili in Italia, p. 108-109. 586 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 587 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 149 non è andato in porto viene spostato solamente in avanti, pur con un ricambio di personale. A febbraio mutano le gerarchie militari e in particolare il capo di stato maggiore della Marina Giuseppe Roselli Lorenzini viene sostituito da Gino De Giorgi. Roselli Lorenzini passa a presiedere la flotta mercantile di stato, un incarico privo di valore militare che segna il suo epilogo. L'UAARR inoltre cambia nome in nome e diventa SIGSI588, un atto puramente formale considerando che a guidarlo resta sempre Federico Umberto D’Amato. 12.2 - Labruna da Orlandini Mentre la vicenda del golpe Borghese appare sul viale del tramonto, a fine novembre verrà infatti revocato il mandato di cattura al Principe Nero589, un fatto collaterale rimette tutto in moto. Il capitano dei carabinieri Antonio Labruna, responsabile del Nucleo Operativo Diretto (NOD), nell’ambito di un’operazione coperta dei servizi riguardante un traffico di armi svolta a metà del ‘72 al largo della Sardegna590, entra in contatto con un armatore napoletano. Costui in confidenza con Labruna gli confida che con la sua società nel 1970 aveva offerto la disponibilità delle sue navi nel porto di Civitavecchia per il trasporto degli oppositori che sarebbero stati arrestati se l'azione del 7 dicembre fosse riuscita. Tale armatore dice al capitano che può metterlo in contatto con Orlandini. Tra il 16 e il 18 gennaio del 1973 Labruna, autorizzato dal suo superiore Maletti, si incontra così con Remo Orlandini, all’epoca residente in Canton Ticino, e riesce a infiltrarsi tra le file dei golpisti. Orlandini si fida del capitano e «riprende il mai sopito discorso sulla necessità di un radicale mutamento della situazione politica italiana, anche con metodi violenti e con il determinante intervento delle forze armate, nell'ambito delle quali egli non aveva mai cessato di lavorare »591. Orlandini, dopo il fallito golpe dell’Immacolata, non aveva più una posizione prominente nel Fronte Nazionale, ma era comunque considerato all’interno del gruppo come un’eminenza grigia: «un'istanza superiore alla quale occorreva riferirsi. Egli metteva a contatto gli uni con gli altri e imponeva la ricerca di una soluzione ai palleggiamenti dei generali: in particolare era molto considerato nel settore D del SID per il suo ascendente»592. I colloqui tra Orlandini e Labruna saranno almeno una 588 Servizio Informazioni Generali e Sicurezza Interna. 589 Gianni Flamini, Il Partito del golpe, vol. secondo, tomo terzo, p. 436. 590 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615- 4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 58. 591 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 592 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 150 dozzina593 e dureranno oltre un anno, permettendo di fare luce sia sul golpe Borghese che sul progetto della Rosa dei venti in quel momento in corso, grazie alla partecipazione di due “pentiti” ovvero Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti: quest’ultimo, avvocato di Pistoia, era inoltre un massone legato a Gelli sin dagli anni del secondo conflitto mondiale594. A uno dei colloqui, precisamente quello del 21 marzo, avrebbe partecipato anche un personaggio già incontrato come Walter Beneforti del Noto Servizio595. Sul contenuto dei colloqui si dirà più avanti. 12.3 - Dal tentato attentato di Nico Azzi al rogo di Primavalle Il nuovo comandante del Fronte è l’avvocato genovese Giancarlo De Marchi, uomo in contatto con i grandi industriali del capoluogo ligure. Lui stesso gestisce attività economiche anche all’estero, come dei villaggi turistici in Spagna insieme al principe Borghese596. È De Marchi a tirare le fila dell’ala radicale del gruppo golpista, gestendo un’organizzazione che va oltre il FN, nettamente ridimensionato come si è già detto, e include formazioni come “La Fenice” dei milanesi Giancarlo Rognoni e Nico Azzi, arrivando alla cellula veneta di Ordine Nuovo. Come testimoniato da una lettera del 18 marzo 1973 indirizzata a Dario Zagolin si vuole dare una spinta decisiva in avanti: Caro Dario, grazie per le notizie. C’è un aspetto importante, rappresentato dall’accenno della concorrenza. Ritengo sia meglio accelerare i tempi, facendo magari leva sulle possibilità della ditta di Genova. La interesso alla questione e Ti prego definire con la stessa i particolari per la prosecuzione, liberamente conducendo avanti, senza ulteriori conferme, fino al punto d’arrivo 597. A chi è indirizzata la lettera e soprattutto cos’è la concorrenza? È il gruppo golpista bianco di Sogno o il terrorismo rosso? Si decide in ogni caso di passare dalla teoria alla pratica: il 7 aprile del 1973 Azzi sale a Genova sul direttissimo Torino-Roma, passeggia ostentando il quotidiano “Lotta Continua”. Ha con sé una bomba ma mentre la piazza nella toilette di un vagone provoca lo scoppio del detonatore e rimane ferito. Portato all’ospedale dovrà ammetterà le proprie colpe: «Ho fatto tutto questo per scatenare il caos in Italia e permettere l'avvento di un governo militare di colonnelli»598. L’attentato fallisce e viene sospeso il piano dinamitardo che «prevede attentati su almeno altri due treni»599 ma non i progetti golpisti del gruppo che passerà alla storia come Rosa dei venti. 593 S.O. Salvini, 1995, p. 175 594 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 139. 595 Solange Manfredi, op. cit., p. 91. 596 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 301. 597 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 22-23. 598 Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine sul movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 105. 599 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 318. 151 Il 12 aprile a Milano si tiene una manifestazione del MSI non autorizzata dalla questura: il corteo parte lo stesso, reso numeroso dalla presenza di neofascisti da tutta Italia come l’ex leader dei «Boia chi molla» Ciccio Franco e l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa, in direzione della prefettura. In un crescendo di violenza e teppismo vengono lanciate delle bombe a mano e una colpisce, uccidendolo sul colpo, l’agente della Celere Antonio Marino. È il “Giovedì nero” di Milano. Per l’omicidio saranno condannati a 18 anni di carcere nel ‘77 i giovani missini Maurizio Murelli e Vittorio Loi, i quali avevano ricevuto le bombe da Nico Azzi600. È un elemento non da poco che testimonia la particolare situazione del neofascismo milanese: MSI, La Fenice, SAM e semplici teppisti di strada (nello specifico i giovani di Piazza San Babila) sono in un rapporto di contiguità, pur tra dissidi. Inoltre è un avvenimento unico: tra estremisti di destra e agenti c’era un tacito accordo di non belligeranza ma ora la morte di Marino rischia di cambiare tutto. I neofascisti milanesi erano stati protagonisti un mese prima di un episodio spregevole: il 9 marzo l’attrice teatrale Franca Rame, moglie di Dario Fo, protagonista dell’associazione Soccorso Rosso in aiuto ai carcerati di estrema sinistra, viene sequestrata su un furgone, stuprata ripetutamente da cinque sconosciuti e poi abbandonata in un parco. Per anni i responsabili, pur con il sospetto fondato di essere elementi della galassia nera, resteranno ignoti finché nel 1987 il già citato Angelo Izzo dirà di aver saputo che «il principale responsabile dell’aggressione a Franca Rame era stato Angelo Angeli e che l’azione era stata suggerita da alcuni ufficiali dei carabinieri della Divisione Pastrengo, nel quadro del sostanziale atteggiamento di “cobelligeranza” esistente all’epoca fra alcuni settori di tale Divisione e gli estremisti di destra nella lotta contro il “pericolo comunista”»601. La voce sarà confermata quasi dieci anni dopo da Biagio Pitarresi, importante elemento dell’estrema destra milanese negli anni ’70 e poi criminale comune: nel 1998, sentito dal giudice Salvini, dirà che la Pastrengo aveva ispirato l’azione e con tale divisione sia lui sia Angeli «erano da tempo in contatto in funzione sia informativa sia di supporto in attività di provocazione contro gli ambienti di sinistra»602. Come già detto la Pastrengo all’epoca era comandata dal generale Palumbo, già immischiato nel depistaggio di Peteano e nella copertura al MAR: Nicolò Bozzo, futuro generale e all’epoca tenente, dirà anni dopo che Palumbo, parlando in ufficio con il suo segretario personale, all’arrivo della notizia, avesse detto «Finalmente!»603. 600 S.O. Salvini, 1995, p. 66. 601 S.O. Salvini, 1998, p. 442. 602 Ibidem. 603 Saverio Ferrari, Lo stupro e il sequestro di Franca Rame nel 1973, ilmanifesto.it, https://ilmanifesto.it/lo-stupro-e-il- sequestro-di-franca-rame-nel-1973, 11.03.2021. 152 La tensione continua a salire. Appena tre giorni dopo viene appiccato il fuoco all'appartamento di Mario Mattei, segretario della sezione missina di Primavalle a Roma. Il rogo porta alla morte dei due figli. Torna in scena la violenza «rossa» per contrapporla a quella «nera» appena manifestatasi a Genova e Milano: «La filosofia degli opposti estremismi tornerà così a occupare molte fantasie politiche»604. Vengono imputati Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo, esponenti di Potere Operaio, i quali però saranno assolti per insufficienza di prove in primo grado. In secondo grado saranno però condannati a 18 anni di carcere a testa. Lollo si darà alla latitanza e tornerà in Italia se non dopo l’avvenuta prescrizione di un reato per il quale si è sempre dichiarato innocente: Noi non abbiamo incendiato la casa dei Mattei. Ci sono troppe cose strane avvenute quella notte. Nessuno fece scivolare la benzina sotto la porta. L'innesco non si accese. E poi loro non vennero colti nel sonno, ci stavano aspettando. Da dietro la porta, prima di scappare, sentii una voce: " Eccoli, arrivano..."605. 12.4 - Strani viaggi diplomatici Il presidente americano Nixon ha proclamato il 1973 «anno dell'Europa», l'anno cioè che deve portare alla stesura una nuova Carta atlantica. Come spiegato dal suo braccio destro Henry Kissinger «Le necessarie forze americane verranno mantenute in Europa come un contributo essenziale a una struttura della difesa europea che sia condivisa da tutti e compresa da tutti. In cambio ci aspettiamo da ogni alleato che esso condivida lo sforzo comune per la comune difesa»606. Il primo ministro Andreotti, da sempre devoto agli americani, a metà aprile è a Washington e poi a Tokyo per un viaggio diplomatico, nel quale riceve di fatto l’investitura ufficiale da Nixon che lo definisce il «tipo di uomo di cui la sua nazione, il suo popolo e il mondo libero hanno bisogno in questo momento»607. Andreotti resta lontano dall’Italia per ben 12 giorni, un tempo lungo che sarebbe servito, secondo le dichiarazioni di Roberto Cavallaro, ad attuare «un colpo di stato e che a questo scopo Andreotti aveva tardato il rientro di 12 ore per consentirne lo svolgimento». Nel progetto rientravano il generale Johnson della base americana di Vicenza come supporto e l’arcinoto Sindona come finanziatore608. Il piano però era stato abortito perché i golpisti neri «avevano avuto il sospetto che Andreotti avrebbe dato un colpo a destra e un colpo a sinistra, impadronendosi del potere senza spartirlo. [...] Il gobbo stava per fare un colpo 604 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 329. 605 Rocco Cotroneo, «A Primavalle eravamo in sei», “Corriere della Sera”, 10.02.2005. 606 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 331. 607 “Avvenire”, 19.04.1973. 608 Aldo Giannuli, op. cit. p. 424. 153 gobbo»609. Si tratta dell’ennesima conferma di un ruolo prominente del “divo Giulio” nelle trame eversive e in contemporanea di una agguerrita concorrenza tra i fautori di un golpe politico-istituzionale e quelli per un golpe militare. Ovviamente per tali accuse ad Andreotti non succederà nulla in quanto nel ‘74 con il “malloppone” che farà unire tutte le istruttorie, l’inchiesta generale sarà portata nella tranquilla procura di Roma e annacquata. Il come lo si vedrà vedrà nel dettaglio più avanti. 12.5 - La strage della questura di Milano Il gruppo Rosa dei venti non molla la presa e prosegue a lavorare sottotraccia. Ma di preciso che significato ha il nome dell’organizzazione? Ancora oggi non sappiamo il significato esatto di questa denominazione: pronti a colpire in ogni direzione intendendo venti come plurale di vento oppure venti come il numero delle organizzazioni facenti parte della trama. Va specificato che tecnicamente la Rosa dei venti era solamente il gruppo padovano del comandante Rizzato e non l’intera organizzazione golpista, di cui sulla carta facevano parte altre sigle come il CARN o i Giustizieri d’Italia: si tratta però di etichette create ad arte per complicare le indagini e creare confusione in quanto la sostanza era comune e il progetto unitario. Quel che è certo è che la Rosa dei venti è stata una struttura organizzata in modo capillare che ha agito sul territorio nazionale dal 1971 al 1973, giovandosi di personalità che avevano avuto un certo ruolo nel tentato golpe Borghese. Il suo nome richiama inoltre la NATO che ha nella sua bandiera proprio una rosa dei venti su sfondo blu: il controllo dell’organizzazione infatti «appartiene al SID, ai carabinieri e ai vertici delle forze armate»610. Riguardo quest’ultimo punto dalla parte dei golpisti vi sarebbero 87 ufficiali, «di cui quattro generali e un sottocapo di stato maggiore delle forze armate»611. A un livello più alto, dietro tutti questi c’era quello che a cui è stata data dalla stampa la definizione di SID parallelo, una organizzazione che come scriverà il giudice Tamburino: Definita di sicurezza, di fatto si pone come ostacolo rispetto a determinate modificazioni della politica interna e internazionale: ostacolo che, limitando la sovranità popolare e realizzandosi con modalità d'azione anormali, illegali, segrete e violente conferisce carattere eversivo all'organizzazione che ha il compito di mantenerlo. Risulta che tale organizzazione parzialmente coincida con la struttura «I» di forza armata e con il SID, e corra parallela a quella ufficiale 612. Il piano dei golpisti era piuttosto semplice: alcuni gruppi armati, come quello del padovano Eugenio Rizzato, il milanese “La Fenice” e il MAR di Carlo Fumagalli in 609 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 610 Mirco Dondi, op. cit., p. 338. 611 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 612 Ibidem. 154 Valtellina, avrebbero dovuto creare una situazione di tensione tale da rendere necessario l’intervento dei militari che con la scusa della situazione di emergenza avrebbero preso il potere. In tale luce va infatti letto il tentato attentato di Nico Azzi già menzionato e quello precedente sui treni diretti a Reggio Calabria. La data per il colpo di stato viene fissata per il 2 giugno, la festa della Repubblica, e non a caso il piano prende il nome di "Operazione Patria”613. Gli uomini pronti a entrare in azione vengono attestati in 6000 militari e circa 2000 civili di supporto dalle varie formazioni nere. Potrebbe rientrare nel piano della Rosa dei venti un fatto rimasto ancora nell’ombra. Il 29 aprile alla stazione ferroviaria di Mestre viene sventata una possibile strage: un agente della Polfer trova in una toilette un astuccio dentro un giornale, si insospettisce e lo porta in un luogo isolato dove lo apre e scopre che è un congegno esplosivo; chiama perciò gli artificieri che riescono a disinnescarlo. Chi sarebbero i responsabili di questo possibile atto violento? Nel bagno era presente un giovane accanto a una ventiquattrore, subito dileguatosi, il quale aveva accento marcatamente veneto: non sarà mai identificato. La notizia inoltre verrà comunicata ufficialmente solo il 16 maggio dalle autorità con la motivazione di «non turbare inutilmente l'opinione pubblica»614. La trama golpista prosegue nella sua organizzazione e viene appositamente fatto ritornare in Italia il veneziano Gianfranco Bertoli, ex collaboratore del SIFAR615, espatriato dal ‘71 con un passaporto falso dopo una tentata rapina. Godendo degli appoggi dei servizi ha vissuto negli ultimi tempi in Israele in un kibbutz, fa tappa a Marsiglia e da lì si sposta a Recco per incontrare De Marchi616. Il suo compito è semplice: compiere una strage che avrebbe scatenato una guerra civile, favorendo l’intervento dei militari nel giorno della festa della Repubblica. Ad aiutarlo nel compito il padovano Eugenio Rizzato617 che giusto due giorni prima, in modo da fargli sparire qualsiasi dubbio, ha ricevuto un attentato intimidatorio in quanto viene fatta esplodere una bomba sulla finestra di casa sua che provoca lievi danni618. La data prefissata è il 17 maggio: alla questura di Milano alla presenza del ministro dell’Interno Rumor e del capo della polizia Zanda Loy si sta inaugurando un busto in memoria del commissario Calabresi, che giusto per coincidenza aveva aperto un fascicolo proprio su Bertoli due anni prima nelle indagini dopo Piazza Fontana. Bertoli lancia una bomba a mano, uccidendo 4 persone e ferendone 52. Viene 613 S.O. Salvini, 1995, p. 268 e seguenti. 614 Ordigno esplosivo trovato a Mestre nella stazione FS, “l’’Unità”, 17.05.1973. 615 Aldo Giannuli, op. cit., p. 432. 616 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 92. 617 Francesco Fornari, Dietro Bertoli si profila l’ombra del Sid per uno strano traffico d’armi a Venezia, “La Stampa”, 25.02.1975. 618 Misterioso attentato di notte a Padova, “Il Gazzettino”, 16.05.1973. 155 immediatamente catturato: sul braccio ha la “A” di anarchia tatuata e come tale viene inizialmente qualificato dalla stampa619. Qualcosa però va storto: Rumor avrebbe dovuto morire e il golpe previsto per il 2 giugno non si farà. Dirà infatti Cavallaro che «Tutto era pronto, poi un incidente mandò tutto all'aria. Una persona fondamentale ha fatto una mossa sbagliata»620. Dopo la strage Bertoli resta immobile, evitando di un nulla il linciaggio della folla inferocita, facendo da vittima sacrificale nonostante poco distante Sandro Rampazzo, altro uomo della Rosa dei venti, lo aspettasse in auto621, forse però presente per assicurarsi della riuscita del piano. Nessuno però crede al suo anarchismo, il suo travestimento non funziona in quanto emergono fin da subito i dettagli sul suo turbolento passato e la sua personalità borderline. Bertoli viene condannato all’ergastolo nel 1975 dalla Corte d’assise di Milano, senza che vengano individuati eventuali mandanti e aiutanti, la cui presenza viene però ammessa dallo stesso tribunale622. Per capirci di più ci vorranno vent’anni. Il già citato Carlo Digilio dirà anni dopo che Bertoli prima dell’attentato era stato di fatto sequestrato da Carlo Maria Maggi che lo avrebbe convinto a compiere la strage, in modo da uccidere Rumor per non aver dichiarato lo stato di emergenza nel ‘69. Le dichiarazioni di Digilio ampliano la portata dell’evento: Bertoli prima della strage era rimasto per un mese nell’appartamento veronese di Marcello Soffiati, ordinovista collegato alla struttura informativa del locale comando FTASE, dove viene istruito sul da farsi. La bomba ad ananas che poi lancerà sulla folla gli sarebbe stata consegnata da Sergio Minetto, altra persona legata agli ambienti americani623. Verrà riaperto un nuovo processo, tra gli accusati Maggi, Spiazzi, altri elementi di ON e l’ex generale Maletti: dopo una prima condanna saranno tutti assolti dalla Cassazione nel corso degli anni624. Bertoli, un tossicodipendente e alcolizzato, facilmente manovrabile, a livello processuale viene stabilito che ha agito da solo. Forse era veramente un anarchico e in tale modo si è sempre proclamato625 ma le mani che lo hanno spinto sono di ben altra matrice politica. Chiosa finale: il nome di Bertoli comparirà negli anni ‘90 nei registri dell’operazione Gladio ma si dirà ovviamente che era solo un caso di omonimia. 12.6 - La Rosa dei venti: apogeo e caduta 619 Gianpiero Rizzon, Bomba di un anarchico veneziano a Milano davanti la Questura: un morto e 43 feriti, “Il Gazzettino”, 18.05.1973. 620 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 621 Mirco Dondi, op. cit., p. 316. 622 Francesco Fornari, Ergastolo per Bertoli, “La Stampa”, 02.03.1975. 623 S.O. Salvini, 1998, p. 257 e Mirco Dondi, op. cit., p. 312-314. 624 Assolti in appello per la bomba del ‘73, “La Stampa”, 02.12.2004. 625 Pino Corrias, «lo spia dei Servizi? Follia», “La Stampa”, 21.03.1995. 156 I piani vengono solo momentaneamente abortiti e spostati via via più avanti ma azioni clamorose non si verificheranno più. La data per il golpe dal 2 giugno passa al 20 luglio626: il 10 giugno a Piadena, paesino del cremonese, si incontrano i massimi vertici della Rosa dei venti ovvero De Marchi, Spiazzi, Nardella, Cavallaro e Lercari. La ditta genovese promette un finanziamento di 400 milioni di lire627, a patto di risultati concreti. Ma che cosa? «Governo nuovo e colpo di stato dovevano essere la stessa cosa [...], il nostro tentativo del 20 luglio doveva porsi come continuazione ideale con quello di Andreotti»628, dirà Cavallaro. Il governo cade due giorni dopo il summit di Piadena: il premier il 12 si dimette ufficialmente dopo che il PRI di La Malfa toglie l’appoggio esterno all’esecutivo629. C’è un vuoto di potere e Remo Orlandini, eminenza grigia dei golpisti neri, nei suoi colloqui con Labruna dirà il 28 giugno che «Questo è il momento. Siamo senza governo, senza niente. Doveva essere fatto in questi giorni. Certo che Miceli sa, senz'altro. Ci mettiamo intorno a un tavolo, si lavora giorno e notte e in tre giorni si fa, se necessario»630. Ma di preciso che sta facendo l’ex braccio destro di Borghese? Ce lo dice Attilio Lercari: Nel giugno 1973 il comandante OrIandini, che aveva collaborato con alti ufficiali dell'esercito alla stesura dei vari piani alternativi per effettuare un colpo di stato militare, venne prudenzialmente invitato dai militari ad uscire dal giro e a stabilirsi in una villa isolata dell'Appennino pistoiese, al sicuro da occhi indiscreti e con la complicità dell'arma dei carabinieri. Successivamente, essendo venuta meno la possibilità della copertura da parte dell'arma, fu inviato in Svizzera, dove dimorò sino a tutto il luglio 1974. In questo periodo i contatti con i militari vennero tenuti dall'avvocato Maurizio Degli Innocenti, e Torquato Nicoli fu incaricato di fare le navette tra Degli Innocenti e Orlandini631. Nel frattempo ai primi di luglio viene formato il nuovo governo, presieduto da Rumor: si torna al centrosinistra e al quadripartito. Tanassi resta ministro della Difesa, Taviani dopo cinque anni ritorna agli interni. La data del 20 luglio per il golpe viene annullata e spostata al 4 o 5 ottobre: la decisione arriva dopo una riunione a Firenze il 3 agosto al Motel Esso alle quale sono presenti «Remo Orlandini e il generale Ugo Ricci, i genovesi De Marchi e Lercari, il maggiore Spiazzi e il generale in pensione Nardella, i veneti Costantini e Zilio»632. Quest’ultimo è Giovanni Zilio, di Bassano ed esponente di una struttura informativa interna al MSI: in una lettera che gli verrà sequestrata nel 1974 e datata l’anno 626 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 362. 627 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 105. 628 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 629 Aldo Giannuli, op. cit., p. 398. 630 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 631 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 632 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 402. 157 precedente scriverà che «Noi abbiamo M»633 dalla nostra parte, da identificare senza grandi dubbi con Miceli. Si punta perciò a organizzare una rivolta nelle carceri, in modo da alzare il livello dello stato di emergenza «con l’intervento e la strumentalizzazione dei delinquenti comuni»634. Il piano nuovamente non viene attuato in quanto vengono arrestati in Versilia a metà ottobre due elementi di secondo piano della Rosa dei venti come Sandro Rampazzo e Sandro Sedona, fermati a bordo di un'auto zeppa di armi. Sono i primi scricchiolii che nel giro di poche settimane causeranno una vera e propria frana. A scatenarla un personaggio strano, il medico spezzino Giampaolo Porta Casucci, un mitomane che si fregiava di titoli fasulli del Terzo Reich che incautamente i golpisti avevano messo al corrente dei loro piani: il dottore consegna alla polizia un vasto dossier nel quale compaiono liste di proscrizione, piani di attentati a sedi sindacali e di partiti, rapine a banche e istituti di credito635. Escono i nomi grossi dell’ammiraglio Birindelli, del generale Nardella e del suo successore, il colonnello Angelo Dominioni, oltre a personaggi ben noti dell’estrema destra padovana come Eugenio Rizzato, indicato come il comandante: di conseguenza tutto l’indagine di La Spezia viene passata alla procura di Padova per competenza territoriale. L'Istruttoria giudiziaria viene affidata al giovane giudice istruttore Giovanni Tamburino e al procuratore Aldo Fais che fa partire i primi arresti: i nomi che finiscono subito nella rete della giustizia sono lo stesso Porta Casucci (trovato a casa sua in compagnia del direttore di Candido Giorgio Pisanò), De Marchi e Rizzato con l’accusa di associazione sovversiva. Tra le carte sottratte a quest’ultimo, oltre a delle liste di proscrizione, vi è una lettera interessante datata 18 marzo 1973 a indirizzata a “Caro Dario”: Dario è ovviamente Zagolin e soprattutto si menziona il pericolo della concorrenza, motivo per cui l’autore consiglia di accelerare i tempi. Cavallaro prima tenta una fuga in Cile e in Spagna, cambia però idea e resta in Italia: viene arrestato a Verona il 19 novembre «con le tasche piene di materiale interessante, tra cui lo schema del complotto e un lungo elenco di ufficiali»636. Nel frattempo nell’inchiesta padovana è finita agli atti l’agenda di Gianfranco Belloni, esponente missino che dirà di aver lavorato come informatore sia per i servizi italiani che per quelli americani637, nella quale sono contenuti nomi molto interessanti: ci sono Zagolin, Rizzato, Pisanò, Plevris, Skorzeny, il generale Enrico Mino e il colonnello Giusti del comando NATO di Napoli638. Lo stesso Belloni, presentatosi come testimone dal giudice Tamburino, dichiara di appartenere alla rete Gehlen e riferisce di una rete 633 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 83n. 634 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 635 Giorgio Sgherri, Dall’arresto di due fascisti veneti alla centrale eversiva in Lunigiana, “l’Unità”, 11.11.1973. 636 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 434. 637 S.I. Salvini 1995, p. 353. 638 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 458. 158 di informatori parallela formalmente non coincidente con il SID639. Chi invece riesce a fuggire è Dario Zagolin, nonostante il mandato di cattura emesso dal giudice: chi doveva eseguirlo, nientemeno che il comandante dei carabinieri di Padova Manlio Del Gaudio, era affiliato alla P2 e lo farà scappare all’estero640. Un avviso di reato arriva anche all’ex capo dell’ufficio politico della questura di Padova Saverio Molino, l’accusa è omessa denuncia aggravata: come si è detto Molino nel ‘69 con una perquisizione a casa di Rizzato aveva trovato materiale scottante come delle liste di proscrizione ma non aveva avvertito la magistratura. 12.7 - Fine anno: i soliti misteri irrisolti Anche il 1973 riserva avvenimenti scottanti nei mesi finali. Il 21 novembre Clemente Graziani e altri 29 camerati vengono condannati per ricostituzione del PNF: tra questi Elio Massagrande e Roberto Besutti ma non uno dei grandi capi come Paolo Signorelli, neanche sfiorato dall’inchiesta in quanto “quadro coperto”. Il ministro dell’Interno Taviani due giorni scioglie ufficialmente il Movimento Politico Ordine Nuovo, procedendo alla confisca dei beni e alla chiusura delle sedi. I neofascisti dell’area si riorganizzano e vanno a costituire Ordine Nero, un gruppo che mette insieme varie cellule terroristiche di varia estrazione con esponenti di SAM (Squadre Azione Mussolini), ex ON e MAR per esempio. Lo stesso giorno, il 23 novembre, poco dopo il decollo dall'aeroporto di Tessera un piccolo velivolo si schianta a Porto Marghera sullo stabilimento della Montedison, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio. Era diretto alla base americana di Aviano641. È il caso Argo 16, una vicenda che è un vero buco nero in quanto alle indagini è stato opposto il segreto di stato e dopo quasi cinquanta anni vige ancora. Sulla vicenda le ipotesi sono state parecchie e ancora oggi non è chiaro cos’è successo: errore umano o attentato? L’aereo era adibito al trasporto dei gladiatori alla base di addestramento in Sardegna e secondo le indagini della procura di Venezia aveva trasportato dei terroristi arabi per consegnarli al leader libico Gheddafi. Per tale motivo il Mossad avrebbe voluto vendicarsi, sabotando il velivolo642: il G.I. Mastelloni accusò l’ex capo del servizio segreto israeliano Zvi Zamir di strage ma la Corte d’Assise di Venezia stabilì nel 1999 che l’aereo cadde per un’incidente. Il fatto che ancora oggi resti il segreto di stato sulla vicenda pone fortissimi interrogativi su quanto successo. 639 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 57. 640 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 29. 641 Tino Corradini, Aereo militare cade a Marghera: 4 morti, “Il Gazzettino”, 24.11.1973 642 Roberto Bianchin, «Fu il Mossad a sabotare l’Argo 16», “La Repubblica”, 18.04.1991, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/04/18/fu-il-mossad-sabotare-argo-16.html 159 Qualche settimana dopo il terrorismo di matrice araba colpisce direttamente in Italia: il 17 dicembre un commando di fedayn compie un vero e proprio massacro all’aeroporto di Fiumicino. Poco prima delle 13 in tre quarti d’ora assaltano un terminal uccidendo due persone, lanciano delle bombe su un Boeing che provocano un incendio e la morte di 30 passeggeri, uccidono un finanziere e si impadroniscono di un altro aereo con alcuni ostaggi. È un altro Boeing e viene fatto decollare, facendolo atterrare ad Atene. La richiesta dei terroristi è la liberazione di due palestinesi rinchiusi nelle carceri elleniche ma le trattative si arenano anche per l’uccisione di un ostaggio. L’aereo riparte, fa scalo a Damasco e poi atterra definitivamente in Kuwait dove vengono liberati gli ostaggi. Il bilancio finale è di 34 vittime. Ma chi sono i terroristi? Gli autori si proclamano di Settembre Nero e combattenti dell’OLP ma il leader palestinese Arafat li qualificherà come «agenti di Israele»643. Pioveranno accuse sul ministro Taviani, reo di aver trascurato gli avvertimenti del SID su un possibile attentato: le informative risulteranno però vaghe e generiche alla prova dei fatti644. Una pista alternativa ma mai presa in serie considerazione vedeva il coinvolgimento del gruppo Paladin, un’agenzia privata con sede ad Alicante in Spagna fondata da ex nazisti e al servizio per azioni sporche di varie nazioni filofasciste e antisioniste. A Roma vi era una società fittizia di elettronica, sezione italiana della Paladin nei fatti, la quale aveva fatto varie chiamate in Spagna appena prima dell’attentato: in una di queste tale Kadir dice «Facciamo conto di viaggiare il 17 prossimo [...]. Ci incontreremo nella sala di transito»645. Si chiude così, all’insegna del terrorismo di matrice internazionale, un anno che oltretutto dal punto di vista sindacale era stato tutt’altro che pacifico. Il 1973 infatti è stato l’anno con il numero maggiore di ore di sciopero dal dopoguerra646. Infine il 1° dicembre viene revocato il mandato di cattura per Junio Valerio Borghese, libero di tornare in Italia. Com’è noto però il principe non farà più ritorno dalla Spagna fino al decesso. 643 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 451. 644 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 174. 645 Ibidem. 646 Aldo Giannuli, op. cit., p. 398. 160 Capitolo XIII: La svolta del ‘74 13.1 - Allarmi generali, prime confessioni e riorganizzazioni L’anno 1974 è decisivo per la storia nazionale e per le vicende fin qui affrontate. Sono 365 giorni durissimi per la nostra democrazia, nuovamente intrisi di sangue, con implicazioni politiche di gravità maggiore «persino rispetto agli avvenimenti del 1964»647. Cambia lo spartito delle stragi: da atti di provocazione (Piazza Fontana, questura di Milano) si passa ad atti di intimidazione (Piazza della Loggia) nelle quali la mano nera è subito evidente. La vecchia modalità di attacco ha ormai fatto il suo tempo, diventando quasi controproducente per chi la sosteneva: infatti «dal 1974 la parte compromessa nelle operazioni stragiste viene privata della copertura istituzionale e la zona grigia che la proteggeva subì in una certa misura il contraccolpo di tale cambio tattico»648. Il 1974 è a livello europeo un anno di cambiamenti importanti: in Grecia dopo i fatti di Cipro649 finisce la dittatura dei Colonnelli e torna un governo democratico con Konstantinos Karamanlis, in Portogallo dopo la rivoluzione dei garofani con la conseguente caduta di Marcello Caetano il comando passa alla Giunta di salvezza Nazionale con il generale Antonio de Spinola, in Francia il centrista Valery Giscard d’Estaing è il nuovo presidente dopo aver battuto il socialista Francois Mitterand, in Germania Over infine il primo ministro Willy Brandt è costretto a dimettersi dopo uno scandalo di sicurezza interna650 e al suo posto subentra il collega di partito Helmut Schmidt. A gennaio le procure fanno partire due mandati di cattura rilevanti, quella di Milano per Guido Giannettini sui fatti di Piazza Fontana il 19, quella di Padova per il colonnello Amos Spiazzi il 12. Giannettini però, grazie al SID, era già stato fatto espatriare in Spagna tempo addietro. Il nome di Spiazzi riesce ad emergere dopo un lavoro di scavo non banale: tra i documenti di Rizzato vi era un cifrario militare segreto, sostituito più di recente dalle divisioni che lo possedevano con uno più recente. Tutte hanno restituito la versione più datata, tranne una: un reparto di artiglieria di Montorio Veronese, il cui comandante era Amos Spiazzi. Il 12 gennaio Spiazzi, in contatto stretto con gli ordinovisti scaligeri Massagrande e Soffiati, viene arrestato: nella sua abitazione viene trovato un arsenale di armi ed esplosivi, da lui rivendicate come una semplice collezione. La città di Verona non a caso è un centro nevralgico dell’eversione: sono veronesi Spiazzi, Cavallero e Massagrande, era sede del centro FTASE, di conseguenza dei comandi NATO di alto profilo con cui era in contatto Soffiati 647 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 460. 648 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 75. 649 650 Il suo stretto consigliere Gunther Guillaume era in realtà un agente della Stasi, il servizio segreto della Germania Est. 161 e di una loggia massonica legata ai militari americani, infine aveva un Ufficio Guerra Psicologica che per un decennio era stato diretto dal generale Francesco Nardella. Proprio Nardella riesce a sottrarsi all’arresto, fuggito dal mandato del giudice istruttore Giovanni Tamburino, responsabile dell’inchiesta insieme al P.M. Luigi Nunziante. Nardella tra l’altro, come sempre solo per coincidenza, ha nominato come suo legale difensore Adamo Degli Occhi. I due si erano incontrati a Verona il giorno dopo l’arresto di Spiazzi651, sapendo che ormai stava per arrivare il loro turno. A fine mese si verifica un episodio inquietante, una prova generale di mobilitazione: la maggior parte dell’esercito, reparti NATO compresi, viene messa in stato d’allarme. Durante la notte tra il 25 e il 26 gennaio «gli ingressi del Viminale vengono sbarrati con cancelli anticarro e le strade della capitale sono sorvegliate da pattuglie rinforzate di poliziotti»652. La notizia inizia a diffondersi negli ambienti di sinistra e il ministro della Difesa Tanassi, come da prassi, smentirà subito la voce, qualificandola come «assolutamente destituita da ogni fondamento»653. Nonostante le richieste in parlamento l’episodio come previsto finirà a breve nel dimenticatoio: Tanassi si smentirà, dicendo che era giunta voce di un possibile attacco palestinese. Ma anche la questura di Roma si impegnerà a battere il record del ridicolo affermando che i notati movimenti di polizia devono essere interpretati come misure necessarie a far rispettare il divieto della circolazione domenicale delle auto. Qualche settimana prima fonti socialiste avevano segnalato che a Bergamo a fine dicembre «reparti dell’esercito avevano simulato l’occupazione della prefettura e del municipio [...] Avevano raggiunto le abitazioni di sindacalisti ed esponenti della sinistra, calcolando i tempi necessari a raggiungere il comando militare»654. Appare evidente come le strutture golpiste siano ancora attive e perfettamente funzionanti. Pochi giorni dopo qualcuno gioca la classica carta dell’attentato alle linee ferroviarie: nella notte tra il 29 e il 30 gennaio viene posizionata una bomba di gelignite655 sui binari in località Silvi Marina (Pescara). L’ordigno, destinato all’espresso «Freccia del Sud» non esplode in quanto un passaggio casuale quanto provvidenziale di un treno merci taglia la miccia, evitando così una strage. La strage sui treni avverrà comunque, basterà attendere qualche mese. A Milano invece le SAM fanno esplodere tre bombe davanti all’università statale, a un bar del centro e a un istituto di Crescenzago, provocando notevoli danni. 651 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 145. 652 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 471. 653 Una smentita, alcuni fatti e molti interrogativi, “l’Unità”, 28.01.1974 654 Aldo Giannuli, op. cit., p. 491. 655 Walter Montanari, Criminale attentato alla «Freccia del Sud» vicino a Pescara, “l’Unità”, 30.01.1974 162 A metà febbraio arriva la svolta nell'inchiesta sul gruppo Rosa dei Venti: Roberto Cavallaro, dal carcere di Belluno, sentendosi abbandonato, inizia a parlare. Viene fatto il nome pesante del generale Vincenzo Lucertini, capo di stato maggiore dell’Aeronautica, come uno della partita. Tempo una settimana e Lucertini lascia il suo ufficio656, per pura coincidenza ovviamente. Cavallaro, giusto per far capire di che appoggi avesse goduto, aveva girato mezzo nord Italia facendosi passare per magistrato militare nonostante fosse appena ventitreenne. Va ricordato, ahinoi, che siamo davanti a un progetto che a livello giudiziario tecnicamente non esiste ma che è invece stato qualcosa di altamente pericoloso con il coinvolgimento di industriali, servizi segreti italiani e NATO, reparti militari ed estremisti neri. Il terrorismo nero, dopo lo scioglimento del MPON, vede la nascita del nuovo gruppo denominato Ordine Nero, attorno a cui ruotano anche elementi di AN (ma anche Carlo Fumagalli e il MAR): tra questi troviamo Giancarlo Esposti, Cesare Ferri, Fabrizio Zani, Alessandro D’Intino, Augusto Cauchi e Massimo Batani. Il gruppo, nato al momento opportuno, costituisce una delle tante formazioni armate predisposte in vista di importanze scadenze eversive e nasce con il sospetto immediato di importanti collusioni con i servizi segreti. Il perché è presto detto: la riunione costitutiva di Ordine Nero avviene tra il 28 febbraio e il 3 marzo, all’albergo Giada di Cattolica, il cui titolare Caterino Falzari è un collaboratore del SID657. Scriverà il settimanale “Il Mondo” che l’iniziativa è partita da Carlo Fumagalli658, il quale però non risulta tra i partecipanti: a lista completa dei presenti non è mai stata resa nota anche se di per certo tra questi vi erano elementi di assoluto peso come Lello Graziani, Salvatore Francia e Paolo Signorelli, il futuro protagonista dell’Italicus Luciano Franci, Luigi Falica659 e Maria Crocco (moglie di Elio Massagrande). Francia, in un’intervista a “L’Europeo” avvenuta alcuni mesi dopo la riunione, dirà che «il locale era tappezzato di microfoni del SID e anche pieno di falsi ospiti, agenti del SID; per cui se abbiamo progettato degli attentati il SID ne era al corrente e il SID è il nostro complice»660. Dettagli tutt’altro che di poco conto che pongono fin da subito pesanti dubbi sulla genuinità di Ordine Nero. 13.2 - Dal referendum sul divorzio a nuovi sviluppi senza sosta Il 28 febbraio cade il governo Rumor IV dopo l’uscita dalla maggioranza del PRI di La Malfa. A metà marzo Rumor tornerà a capo della nuova coalizione di governo nel quale è rilevante il ritorno di Andreotti come ministro della Difesa al posto di Tanassi. 656 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 487. 657 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 222. 658 “Il Mondo”, 13.06.1974. 659 Fondazione Luigi Cipriani (a cura di), cronologia della storia d’Italia, fondazionecipriani.it, eventi del 28.02.1974, https://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/Archivio.php?DAANNO=1974&AANNO=1975&id=&start=210. 660 “L’Europeo”, 12.12.1974. 163 Una svolta sostanziale a livello nazionale potrebbe arrivare con il referendum sull'abrogazione del divorzio, previsto per il 12 e il 13 maggio. A favore del SÌ ci sono infatti la DC e il MSI-Destra Nazionale, e più in generale gli ambienti ultracattolici. Chi tira le fila è il segretario della DC Amintore Fanfani che, nascondendosi dietro ragioni religiose per l’abrogazione, aveva in mente ben altri progetti. Fanfani puntava infatti a una larga vittoria per una svolta presidenzialista-gollista, attuando quel progetto a cui stavano da tempo pensando Edgardo Sogno e ampi settori industriali. Già all’epoca si teme questa deriva: Carlo Donat-Cattin accusa il segretario del suo stesso partito di «preparare una svolta autoritaria», Pietro Nenni parla invece di «un’involuzione a destra che mantenga le apparenze della costituzionalità»661. In questo clima infuocato agiscono anche le Brigate Rosse che alzano sensibilmente il tiro, passando dalle azioni volanti al primo vero e proprio sequestro di persona a scopo di estorsione: il 18 aprile le BR rapiscono il sostituto procuratore di Genova Mario Sossi, chiedendo in cambio della sua liberazione la scarcerazione di otto componenti del gruppo XXII Ottobre. Sossi sarà liberato dopo 35 giorni di prigionia nonostante la mancata scarcerazione dei terroristi. Dopo Silvi Marina si riprova la carta dell’attentato ferroviario: all'alba del 21 aprile lo scoppio di una potente carica di esplosivo danneggia gravemente i binari della linea ferroviaria Bologna-Firenze nei pressi di Vaiano, vicino Prato. Il direttissimo Parigi-Roma viene bloccato in tempo ed evita un deragliamento che avrebbe causato parecchie vittime: la carica esplosiva aveva infatti divelto oltre mezzo metro di rotaie662. L’attentato, pur non riuscito, venne comunque rivendicato da Ordine Nero con dei volantini. Nonostante le strumentalizzazioni il referendum del 12 e 13 maggio finirà con una batosta per Fanfani e soci: il fronte del NO vince con quasi il 60% dei voti e il progetto golpista verrà posticipato ad agosto. Come infatti testimonia una nota del SID per il colpo di stato «inizialmente era stata fissata la data del 12-14 maggio 1974 e, successivamente, quella del 10-15 agosto 1974»663. 13.3 - SID parallelo Il 9 maggio, appena prima del referendum era stato arrestato Carlo Fumagalli per ordine della procura del Brescia insieme ad altri elementi del MAR: è un fatto carico di significato in quanto l’ex partigiano Giordan per anni aveva goduto del totale sostegno dei carabinieri ma ora però qualcuno in alto ha deciso che andavano recisi i fili sia con lui e sia con i vecchi apparati in generale. Nonostante i duri colpi subiti l’ala 661 Mirco Dondi, op. cit., p. 332. 662 Saverio Ferrari, “Da Trento a Bologna, storia degli attentati sui treni italiani”, ilmanifesto.it, https://ilmanifesto.it/da-trento-a-bologna-storia-degli-attentati-sui-treni-italiani, 02.08.2019. 663 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 164 radicale continua a lavorare. In quello stesso periodo Stefano Delle Chiaie e Junio Valerio Borghese si recano in Cile dove incontrano Augusto Pinochet e la giunta militare per cercare appoggi. Scriverà a riguardo sul suo diario lo stesso Delle Chiaie: «L'incontro con il generale è stato di massimo interesse: l'uomo è rude e intelligente. Le sue parole mi hanno dato la netta sensazione che è deciso ad aiutarci»664. La strategia da attuare è sempre la medesima, ovvero creare una strategia del terrore con attentati in modo da rendere necessario l’intervento dell’esercito, il quale avrebbe poi eliminato i partiti e creato uno stato corporativo. A fine maggio ai giudici padovani è ormai chiaro che la Rosa dei venti non è un gruppo di poco conto formato da neofascisti ed ex repubblichini ma dietro vi è un qualcosa di estremamente pericoloso: tale organizzazione, i cui vertici massimi si trovano negli ambienti della NATO, passerà alla storia con la definizione giornalistica di SID parallelo. Questo negli anni successivi verrà identificato con l’operazione Gladio ma oggi possiamo del tutto escluderlo. Nei vari processi Miceli, Andreotti e i militari di alto grado indirizzeranno le indagini proprio in tal direzione ovvero verso un qualcosa di legato ad ambienti solo militari e tecnicamente legale. È necessario non confondere le cose, evitando di buttare tutto dentro il calderone di Gladio come più di qualcuno ha cercato di fare ma andare oltre. Ben altro infatti era il SID parallelo, un’articolazione coperta molto più ampia e del tutto illegale che sul lato civile si può identificare parzialmente con il Noto Servizio mentre su quello militare con una struttura alternativa ai servizi e inserita nella NATO. Tale struttura continuerà ad esistere negli anni, anche dopo la riforma dei servizi del 1977, cambiando nome in Supersismi665 e risultando evidente con la strage di Bologna: mutano alcuni dei protagonisti e le sigle delle organizzazioni ma non il potere sotterraneo. Il giudice Giovanni Tamburino, a distanza di vent’anni dai fatti della Rosa dei venti, darà una propria definizione sul cosiddetto “SID parallelo” in un’intervista a Radio Radicale nel 1993: È un’espressione solo giornalistica senza riscontro giudiziario, è quel complesso di organizzazioni la cui identità era determinata dal condividere la difesa di questa ipotesi politica e anche l’offesa. Il personale era scelto su un assoluto ideale anticomunista, fortemente carico del radicalismo neofascista e neonazista. Il fenomeno però è più ampio perché a mio parere vi è stata manipolazione di gruppi di altro segno. Il fenomeno del reclutamento avveniva nel momento dell’immissione nelle strutture militari grazie alla preselezione666. 664 Atti Procura della Repubblica di Roma, 1977. 665 Sandra Bonsanti, La banda dei ricatti e del tritolo, “La Repubblica”, https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/20/la-banda-dei-ricatti-del-tritolo.html, 20.10.1984. 666 Valentina Pietrosanti (a cura di), L'inchiesta giudiziaria sul "SID parallelo"; potere politico, servizi segreti e mafia, intervista di Claudio Landi a Giovanni Tamburino, radioradicale.it, 01.06.1993, 165 Vi erano quindi diversi piani operativi, dei quali il SID parallelo o meglio, il già citato Servizio Clandestino Italiano era «la struttura maggiormente prossima ai gruppi operativi occulti dei quali la Rosa dei venti rappresentava il livello di raccordo»667. Il 27 maggio del 1974 la procura di Padova mette a confronto Amos Spiazzi e il generale Angelo Alemanno, capo dell’ufficio sicurezza del SID. Il primo sta sempre più mettendo allo scoperto la rete parallela: Confermo alla presenza del generale Alemanno del SID quello che ho già ripetutamente chiarito al giudice. E' accaduto che un mio superiore mi incaricò di prendere contatto con una persona e da ciò si sono sviluppati quei fatti per cui oggi mi trovo coinvolto nel procedimento penale. Secondo quel che mi disse la persona che mi diede l'incarico, un generale aveva già avuto contatti con i genovesi e lo aveva incaricato di passarmi l'ordine. Quando i genovesi fecero delle richieste eccessive, quale contropartita per i finanziamenti, il generale si ritirò, facendo pervenire a me \'incarico. Non mi sento però in condizioni di fare il nome del generale. Quando ho parlato di gerarchia parallela bisogna intendersi sui termini: intendevo dire che l'ufficiale I, se deve comunicare qualcosa, lo comunica a un certo livello dell'arma dei carabinieri. Ho detto anche che abbiamo un sistema per comunicare tra noi, convenzionale per non farci riconoscere668. Alemanno ovviamente lo smentisce subito: «Non mi risulta l'esistenza di un simile sistema per comunicare le notizie […]. Escludo che un carabiniere, anche se interrogato dall'ufficiale I, dia le notizie»669. Spiazzi di conseguenza si arrende e anzi ringrazia il generale per averlo rimproverato «di aver già parlato troppo». La procura di Padova, prima del confronto Spiazzi-Alemanno, aveva sentito il 16 maggio il maggiore del SID e capo del centro controspionaggio di Verona Angelo Pignatelli, lo stesso già visto con la tentata strage del tribunale di Trento del 1971, il quale confermerà di conoscere bene alcuni degli imputati, bollandoli però con toni fin quasi provocatori. Cavallaro è infatti semplicemente «un truffatore» mentre Spiazzi «il classico fanatico militarista che partecipava alle manifestazioni patriottiche»670. Per tali motivi secondo Pignatelli non era stato necessario riferire nulla all’autorità giudiziaria sulle attività del gruppo, nonostante fosse anche stato messo sotto controllo il telefono di Spiazzi, e in ogni caso «la riservatezza istituzionalmente richiesta nel nostro servizio mi faceva ritenere di avere assolto al mio compito riferendone alle superiori autorità»671. Il SID, come da tradizione consolidata, è ben informato sul movimento dei gruppi eversivi, ampie frange ne condividono gli https://www.radioradicale.it/scheda/54472/linchiesta-giudiziaria-sul-sid-parallelo-potere-politico-servizi-segreti-e- mafia, min 10. 667 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 55. 668 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 669 Ibidem. 670 Ibidem. 671 Ibidem 166 obiettivi, non ne ostacolano l’attività se non attivamente lavorando a braccetto. Ovviamente fa orecchie da mercante. 13.4 - Piazza della Loggia Il 28 maggio a Brescia nella centrale Piazza della Loggia esplode una bomba dentro un cestino portarifiuti, causando 8 morti e un centinaio di feriti. È una strage tremenda che avviene a una manifestazione sindacale contro il terrorismo antifascista, proclamata dopo che nella notte del 19 maggio il giovane di estrema destra Silvio Ferrari era morto mentre tentava di mettere una bomba. Risulterà però che la morte di quest’ultimo era tutt’altro che casuale: letteralmente saltato in aria in piazza del Mercato con la vespa su cui trasportava una bomba a orologeria, a ucciderlo, secondo le future conclusioni giudiziarie, sono stati i suoi camerati perché aveva deciso di troncare l'attività politica e di recedere dall'organizzazione672. Lo hanno convinto a compiere un ultimo attentato anticipandogli segretamente di un'ora il meccanismo a orologeria della bomba. La strage di Brescia, fatto nuovo, viene preannunciata: nei giorni precedenti al “Giornale di Brescia” era arrivato una lettera, firmata “Partito fascista-sezione di Brescia-Silvio Ferrari” nel quale si annunciavano gravi attentati per la fine di maggio. Poche ore dopo l’esplosione un volantino firmata «Ordine Nero, Anno Zero, Brixien Gau» rivendica l’attentato, fatto come vendetta per Silvio Ferrari ucciso dai “rossi”. È una strage che colpisce in pieno volto come un pugno, rimarcando la tesi degli opposti estremismi: è la minaccia di una guerra civile per le autorità. Si noti come è la prima strage apertamente rivendicata dall’estrema destra, tutte le altre precedenti a partire da piazza Fontana si era sempre cercato di attribuirle alla sinistra anarchico/comunista. Sarà l’ultimo tentativo di spallata dei golpisti neri che appena due giorni dopo perderanno infatti il capo delle SAM Giancarlo Esposti, ucciso da un commando di carabinieri e forestali a Pian del Rascino (Rieti). Il suo corpo è crivellato di colpi e viene finito con un colpo alla testa673: è una palese esecuzione. In contatto con Fumagalli, Esposti dopo l’arresto di questi aveva detto che i carabinieri li avevano traditi. Tornado a Brescia subito dopo l’esplosione arriva il primo depistaggio: appena dopo un’ora e mezza la questura ordina ai vigili del fuoco di sgombrare la piazza dai detriti e, addirittura, di lavarla accuratamente. Avviene così la dispersione di preziosi reperti, suscitando inquietanti interrogativi sulla fretta dell'operazione. La seconda azione depistante avviene quando tal Ugo Bonati riferisce alle autorità che i responsabili della strage sono Ermanno Buzzi, Angelino Papa e vi è coinvolto anche Andrea Arcai, ragazzino vicino agli ambienti neofascisti bresciani ma in realtà del tutto estraneo ai fatti. Arcai è però soprattutto il figlio del giudice Giovanni, titolare 672 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 548. 673 Ivi, p. 567. 167 dell’inchiesta sulla banda di Fumagalli. È un’operazione con duplice effetto: gettare nel tritacarne personaggi minori come Buzzi, un neonazista pederasta e ladro di quadri, e in più bloccare l’indagine di Arcai sul MAR, cosa che infatti avverrà in quanto il giudice sarà trasferito a Milano e il processo affidato al collega Gianni Simoni. Per Brescia abbiamo una verità già pronta, concordata in partenza, con il coinvolgimento di personaggi come Giorgio Pisanò, vicino al Noto Servizio, e il comandante dei carabinieri Francesco Delfino. La tesi di Bonati viene creduta: Buzzi in primo grado riceve l’ergastolo ma sarà ucciso in galera a Novara da Mario Tuti e Concutelli nel 1981, giusto prima del processo di secondo grado: un personaggio scomodo in meno. Nel 1984 si aprirà una seconda istruttoria che porterà all’assoluzione di tutti gli imputati, tra cui il milanese Cesare Ferri. La terza e ultima istruttoria porterà al rinvio a giudizio nel 2008 per il generale Francesco Delfino, Rauti, Maggi, Zorzi, Giovanni Maifredi (provocatore al servizio del SID e responsabile della cattura di Fumagalli) e di Maurizio Tramonte, collaboratore del SID. Nel 2015 la Corte d’assise di Milano in appello ha condannato Maggi e Tramonte all’ergastolo674. Una pista, palesemente depistante, vedeva Renato Curcio in Piazza della Loggia il giorno della strage e ritratto in alcune foto. La bomba, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe stata riservata ai carabinieri e non ai manifestanti. Le BR, in ogni caso, poco tempo dopo faranno un ulteriore salto di qualità successivamente al sequestro Sossi: il 17 giugno un commando guidato da Roberto Ognibene entra nella sede del MSI a Padova e uccide Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. È il primo fatto di sangue del gruppo estremista rosso che uccide due persone semplici e politicamente insignificanti. L’ufficio del giudice Tamburino è a un centinaio di metri dalla sede missina dove avviene il fattaccio: coincidenza? 13.5 - Lavori di intelligence e guerra nel SID Remo Orlandini, al sicuro a Lugano, nel maggio-giugno del 1974 viene raggiunto da Labruna, con cui ha già avuto diversi incontri, e dal colonnello Sandro Romagnoli. Questi ultimi, alla presenza anche di Maurizio Degli Innocenti e Torquato Nicoli, convinti a collaborare col SID, iniziano quella che è in pratica è un’intervista: «Il capitano Labruna ricorre al registratore, che pone sul tavolo senza che ciò susciti la minima opposizione da parte dell'interlocutore675». Si ritiene in questa sede già questo primo particolare indicatore di come Labruna non si sia un semplice infiltrato del SID presso il golpista Orlandini, il quale dovrebbe sapere bene, visti i contatti e gli 674 Piazza della Loggia, condannati all'ergastolo Maggi e Tramonte 41 anni dopo la strage, repubblica.it, 22.07.2015, https://milano.repubblica.it/cronaca/2015/07/22/news/milano_processo_per_la_strage_di_piazza_della_loggia_atte sa_per_la_sentenza-119594855/ 675 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 168 appoggi di cui godeva e gode, chi ha di fronte. Da segnalare che il 29 marzo a uno degli incontri era stato presente anche Attilio Lercari676, finanziatore per conto della “ditta genovese” sia del golpe Borghese che della Rosa dei venti. Dopo tre anni e mezzo dalla notte di Tora-Tora e dopo una prima istruttoria a vuoto, su quella che Edgardo Sogno aveva definito una «modesta e quasi grottesca esercitazione di attempati goliardi elevata a scandalosa minaccia di colpo di stato»677 qualcuno decide che deve essere fatta luce. Orlandini inizia a raccontare dell’occupazione del ministero dell’Interno, nel quale i congiurati sono entrati fin dal primo pomeriggio e dal quale dovevano uscire 200 mitra. Il primo nome importante che viene fatto è quello del generale Duilio Fanali, definito colui che «dava le disposizioni a tutto l'apparato militare, cosciente e volente»678. Viene confermato il contatto tra Borghese e il presidente americano Nixon per tramite dell’ingegnere della Selenia Hugh Fenwick: riguardo le richieste fatte dai golpisti Orlandini dice che «Nixon ne ha consentito una parte, cioè quasi tutte, era d'accordo con noi679». Poi Labruna fa la domanda fatidica a Orlandini: «Miceli è stato contattato da te, Remo, vero?», il quale risponde «Sì, nel 1968». Al che l’agente del SID incalza: «Tu hai organizzato un incontro direttamente tra Miceli e Junio Borghese?», Orlandini non può che confermare e ammette che è avvenuto «A casa mia»680. Miceli quindi non solo ha avuto dei contatti con Orlandini ma con il Principe Nero in persona. Con queste dichiarazioni Orlandini dichiara la temporanea fine di Miceli: nei servizi è da tempo che la sua fazione, filo araba e favorevole al golpe militare, è in guerra con l’ala presidenzialista e filo israeliana che nel SID fa riferimento al comandante del reparto D Gianadelio Maletti, del quale Labruna è un sottoposto. In quanto ad appoggi politici Miceli non è mai troppo andato a genio ad Andreotti che invece preferiva di gran lunga Maletti: questo è un punto focale da tenere a mente in quanto se non vengono posti dietro i generali il rispettivo corrispondente politico la faccenda diventa di difficile lettura. Dietro la lotta per il vertice del SID tra Maletti e Miceli c’è quella tra la coalizione DC filo israeliana di Andreotti e quella filoaraba di Moro. La vicenda poi si intreccia in modo decisivo con il processo di Piazza Fontana nel quale sono accusati Maletti e Labruna. Quest’ultimo in particolare era responsabile della fuga in Spagna di Marco Pozzan con un falso passaporto intestato a Mario Zanella. Labruna sarà per tale motivo condannato a dieci mesi di carcere per favoreggiamento ma in realtà era 676 S.O. Salvini, 1995, p. 175. 677 Edgardo Sogno, La Seconda Repubblica, Sansoni, Firenze 1974, p. 90. 678 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 679 Ibidem. 680 Ibidem. 169 totalmente all’oscuro dell’identità di Pozzan e aveva solamente eseguito un ordine diretto del suo superiore Maletti. La vicenda di Brescia e i movimenti dei golpisti, sia neri sia bianchi, hanno sicuramente il loro peso negli sviluppi successivi: il lavoro di Labruna porta alla produzione di un primo rapporto a cui Maletti mette la freccia. In primis perché il nome di Miceli compare eccome e il capo del reparto D non aspettava altro per scalzarlo dalla poltrona. In secondo luogo perché l’inchiesta di Tamburino a Padova deve essere a tutti i costi bloccata, sempre più a vicina a toccare segreti politico-militari: il 5 giugno il giudice di Padova scrive una lettera al presidente della Repubblica Giovanni Leone: «Da varie fonti probatorie è stata indicata l’esistenza di una organizzazione occulta composta da elementi appartenenti alle forze armate»681. Tre giorni prima Leone, su proposta di Andreotti682, aveva insignito Miceli del titolo di “grande ufficiale al merito della Repubblica”. Il generale non sa che stanno per fargli le scarpe. Andreotti proprio in quei giorni rilascia un’intervista clamorosa al giornalista del settimanale “Il Mondo” Massimo Caprara nel quale innanzitutto annuncia che l’ammiraglio Mario Casardi prenderà il comando del SID al posto di Miceli. Dirà poi soprattutto che «del tentativo di golpe di Borghese ci siamo quasi dimenticati, senza essere riusciti a sapere se davvero si voleva o poteva fare una nuova marcia su Roma. Mi potrò sbagliare, ma io non credo che il pericolo maggiore venga da personaggi come il colonnello Spiazzi che chiama in causa i servizi segreti»683. È una mossa che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, il ruolo di primo stratega del ministro della Difesa: attacca il SID che ormai è compromesso, nello specifico la corrente di Miceli che proseguiva la linea di gente come Di Lorenzo, rilanciando un’inchiesta, quella su Borghese, che era morta da anni per ridimensionare una, quella di Padova, che si stava facendo troppo ardita. Non sazio svela come Guido Giannettini sia a tutti gli effetti un informatore regolare del SID, proteggerlo è stato un errore e che i famosi fascicoli illegali del SIFAR non sono mai stati distrutti. Infine con parole sibilline, dice che «Attentati come quelli sui treni non sono opera casuale allestita da dilettanti»: un’accusa non secondaria sulla spontaneità del terrorismo nero, che passo purtroppo in secondo piano rispetto al resto dell’intervista. È una vera bomba che scoppia fragorosamente: i magistrati Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, titolari dell'istruttoria su Piazza Fontana, appena il giorno dopo vanno a interrogare per diverse ore sia Miceli sia Andreotti684. 681 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 682 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 578. 683 “Il Mondo”, 20.06.1974. 684 Andreotti e il capo del SID ascoltati per quasi tre ore dai giudici milanesi, “l’Unità, 22.06.1974. 170 La guerra nel SID si fa durissima e inizia il classico scaricabarile nel quale tutti dichiarano di voler “servire la giustizia” come da prassi. Romagnoli e Labruna terminano il loro lavoro da infiltrati: il 3 luglio Gianadelio Maletti invia al suo superiore Vito Miceli un rapporto di 56 pagine datato 27 giugno, il «malloppone» con oggetto tutti i tentativi eversivi avvenuti in Italia dal 1970, compreso uno che si sarebbe realizzato a inizio agosto: è il golpe bianco di Edgardo Sogno, previsto per il prossimo ferragosto. La manovra ordita dall’ex comandante della Franchi e dai suoi alleati Luigi Cavallo e Randolfo Pacciardi meriterebbe un approfondimento importante che buona parte della storiografia ha a torto evitato: il golpe bianco non è stata una congiura di qualche nostalgico ma pericolosa come i progetti dei neofascisti. Il colpo di stato sarebbe avvenuto a ferragosto, data in cui si sarebbe instaurato Un governo provvisorio, espressione delle forze armate, composto da tecnici e militari, presieduto da Randolfo Pacciardi e avente come programma immediato, tra l'altro, lo scioglimento del parlamento, l'instaurazione di un sindacato unico, l'istituzione di campi di concentramento, l'abolizione dell'immunità parlamentare con effetto retroattivo e la successiva costituzione di un tribunale straordinario per processare alte personalità politiche685. Il progetto, sviluppandosi in contemporanea alla Rosa dei venti, vede di conseguenza persone con il piede in due scarpe come il generale Ugo Ricci e Attilio Lercari. Principali finanziatori la FIAT, a fianco di Sogni dai tempi di Pace e Libertà, e il petroliere/editore Attilio Monti. Nel nuovo governo Sogno sarebbe stato il ministro della Difesa, agli esteri l’ex segretario della NATO Brosio mentre Pacciardi come primo ministro. Miceli riceve da Maletti il rapporto di cui si è detto poc’anzi ma si rifiuta di girarlo ad Andreotti perché lo ritiene infondato. Dirà Miceli rievocando il momento: Allorché il generale Maletti mi presentò il rapporto espressi stupore in quanto, in relazione al contenuto del rapporto, io avrei voluto essere avvertito molto prima per avere la possibilità di approfondire le indagini e di esprimere una mia valutazione, prima di lasciare il SID, sui risultati delle indagini a suo tempo da me ordinate. Il generale Maletti si giustificò asserendo che soltanto pochi giorni prima era riuscito a cucire le varie notizie da lui raccolte al fine di formulare il rapporto. Chiesi a Maletti da quali fonti provenissero le notizie. Mi parlò di fonti fiduciarie, di qualche registrazione e poi mi fece anche il nome di Orlandini, senza assolutamente precisare che agenti del SID avevano registrato una conversazione di quest'ultimo. Il mio disappunto nacque anche dal non essere informato via via dei risultati delle indagini. Gli esternai anche le mie perplessità sulla fondatezza delle notizie che riguardavano l'interessamento del presidente Nixon e taluni movimenti della flotta NATO e la corresponsabilità di taluni alti gradi militari686. 685 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 686 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 171 Il suo mandato al SID stava comunque per scadere e una settimana dopo Maletti, d’intesa con il nuovo capo del SID Mario Casardi, invia il rapporto al ministro e all’ammiraglio Henke, capo di stato maggiore della Difesa. Andreotti a questo punto indice il 14 luglio un vertice a Montecitorio alla presenza di Casardi, Maletti, Labruna, dell’ammiraglio Henke per la Marina, dei generali Mino per l’Arma dei Carabinieri e Borsi di Parma per la Guardia di Finanza per valutare i dati forniti dal SID. Al termine del meeting Andreotti invitava ad alleggerire il rapporto, tacendo nomi come Birindelli, Gelli e Torrisi687. Riguardo al possibile golpe di agosto l’indicazione è di tenere gli occhi aperti e nulla di più. 13.6 - Italicus La situazione pare precipitare il 4 agosto quando nella notte esplode una bomba in un vagone del treno “Italicus”, partito da Roma alle 17.30 e diretto a Monaco di Baviera, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), causando 12 morti. È l’ennesima strage, la seconda a distanza di due mesi da quella di Brescia, che dovrebbe servire a scatenare il caos e la guerra civile. Bisogna però prima fare un passo indietro di alcuni giorni: Il 15 luglio Giorgio Almirante e Alfredo Covelli, i due leader del MSI-DN, si recano dal capo dell’antiterrorismo Emilio Santillo con scottanti informazioni: un avvocato ha girato loro una confidenza, a sua volta ricevuta da un impiegato dell’Università di Roma, che avrebbe visto all’ateneo di fisica un gran quantitativo di esplosivi e una cartina della città con un cerchio sulla stazione Tiburtina e le indicazioni 5,30 e Palatino688. Scattano delle perquisizioni all’università che non portano a nulla mentre emerge che l’avvocato coinvolto è Aldo Basile, legato a Mario Tedeschi, mentre il suo confidente è Francesco Sgrò, bidello. La Tiburtina viene posta sotto sorveglianza speciale per le settimane successive, finché il 1° agosto, appena 72 ore prima, viene abolita per ordine del nuovo comandante della polizia di frontiera Federico Umberto D’Amato: le coincidenze non sono poche. L’attentato sarà inizialmente rivendicato con un rozzo comunicato da Ordine Nero: «Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e quando ci pare. La bandiera nazista non è morta a Berlino nel lontano 1945. Giancarlo Esposti è stato vendicato»689. L’autore è un giovane di nome Italo Bono, ritenuto un mitomane e che sarà trovato morto dieci anni dopo con una siringa su un braccio, per una classica overdose da eroina 690. Ordine Nero smentirà subito Bono, ciononostante qualcuno che afferma di parlare a 687 Aldo Giannuli op. cit., p. 493. 688 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 615. Se per 5,30 si intendono 17.30 l’orario di partenza del treno, l’Italicus e non il Palatino, è corretto. 689 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella. 690 Muore un personaggio dell’inchiesta sull’Italicus: eroina, “l’Unità”, 09.02.1984. 172 nome dell’organizzazione chiama la redazione del quotidiano locale “Il resto del Carlino” e rivendica l’attentato, promettendone un altro a Padova con 200 morti691. Le indagini, gestite dalla procura di Bologna, come da prassi vanno a rilento e si tenta come sempre una pista rossa, ovvero quella che aveva lanciato giorni prima Almirante. Viene infatti sentito il superteste Sgrò, il quale prima accusa il giovane ricercatore e iscritto al PCI David Ajò di essere dietro l’attentato, ma poi clamorosamente si rimangia tutto: dirà al quotidiano Paese Sera di aver inventato tutto e che «L'avvocato Basile mi ha consegnato un milione e mi ha promesso altri dieci milioni per quello che ho fatto»692. Quanto al SID arriva a Bologna Maletti, il quale afferma che c’è una pista che porta alla Baviera: la pratica di esportare all’estero il terrorismo la città emiliana lo rivedrà bene nel 1980. Il giudice istruttore del primo processo, Angelo Vella, scriverà nel ‘78 che «nel corso del procedimento più volte è stata richiesta l'Autorità nazionale per la sicurezza (capo del SID) di fornire ogni utile notizia senza conseguire che risposte insoddisfacenti con la pretesa di accreditare la non convincente versione dell'incompetenza del citato servizio per indagini della specie»693. Riguardo ai servizi segreti è legato un altro aspetto inquietante della vicenda con protagonista la giovane Claudia Ajello, collaboratrice del SID di un centro di controspionaggio a Roma intestato a Mauro Venturi, capitano dei carabinieri legato a doppio filo a Federico Marzollo e alla Rosa dei venti. Il 31 luglio la Ajello si reca in una ricevitoria e fa una chiamata, dicendo secondo la testimonianza di un’impiegata che «Le bombe sono pronte. Da Bologna c'è il treno per Mestre. Là trovi la macchina per passare i confini. Stai tranquillo. I passaporti sono pronti»694. Sentita, la Ajello dirà di aver parlato solo con sua madre e di essere iscritta al PCI mentre lo stesso SID, travolto da faide intestine clamorose, non sa che pesci pigliare: Marzollo dirà di non aver avuto idea che lei fossa una militante comunista. La giovane è realmente iscritta al partito comunista ma in realtà, essendo di madre greca, era una tattica di infiltrazione per controllare la rete degli studenti ellenici di sinistra in Italia. Sull’Ajello calerà poi il silenzio considerando che nel 1982 il premier Spadolini oppose il segreto di stato agli atti, il quale sarà rimosso solo nel 2014. Ma allora chi sono i responsabili? Le rivelazioni, come si vedrà più avanti, arrivano in modo clamoroso nel dicembre del 1975 grazie a un evaso di carcere che racconta le confessioni ricevute da alcuni personaggi legati all’estrema destra toscana, nello specifico al gruppo noto come Fronte Nazionale Rivoluzionario (FNR). Nato un paio di anni prima dei fatti dell’Italicus, vi ruotano attorno Augusto Cauchi, Piero 691 Mirco Dondi, op. cit., p. 386. 692 Paese Sera, 13.08.1974. 693 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella 694 Ibidem. 173 Malentacchi, Margherita Luddi, Mario Tuti, Luciano Franci, Marco Affatigato e Luca Donati. Di questi Cauchi è legato al SID, Affatigato ai servizi americani695 mentre l’ombra omnicomprensiva è quella della P2 come si vedrà tra poche righe: basta ricordare che Gelli è a pochi chilometri. Il 4 agosto, l’Italicus parte regolarmente da Roma in direzione Monaco e in tarda serata fa tappa a Firenze a Santa Maria Novella per sedici minuti. Luciano Franci lavora alla stazione come carrellista e osserva con nonchalance Piero Malentacchi che deposita effettivamente la bomba sul treno. A confezionare l’ordigno lo stesso Malentacchi insieme a Mario Tuti e Margherita Luddi, la quale aveva fatto da corriere con la sua auto. Malentacchi scappa insieme alla Luddi dopo aver compiuto la sua missione mentre Franci per non destare sospetti resta in servizio ma nei giorni successivi si darà malato696. A oggi la verità giudiziaria è distante anni luce da quella storica: il 1° agosto 1980, alla vigilia della strage alla stazione, la prima istruttoria sulla strage dell’Italicus si chiude con il rinvio a giudizio per strage per Tuti, Franci, Malentacchi e Luddi, di calunnia per Sgrò. Il primo processo presso la Corte d’Assise di Bologna si concluse il 20 luglio 1983 con l’assoluzione degli imputati. Su di loro un’accusa pesante era arrivata in contemporanea dall’ex generale Luigi Bittoni, il quale ricordando il ‘74 affermò: «Nel 1974 io ero comandante della quinta brigata carabinieri di Firenze. Un giorno si presentò nel mio ufficio l'onorevole Gino Birindelli, già ammiraglio della marina. Questi mi disse che non voleva che il suo partito, MSI-Destra nazionale, fosse coinvolto in azioni delittuose. Con ciò riferendosi al tragico episodio dell'attentato all'Italicus, avvenuto pochi giorni prima. Mi disse che tale attentato era opera di delinquenti e che nell'ambiente del MSI di Arezzo correvano voci che tra gli autori dell'attentato vi fossero tali Franci, Malentacchi e una terza persona, che mi sembra ricordare per Batani ma non sono sicuro»697. Nel 1984 la Commissione Parlamentare presieduta da Tina Anselmi sulla P2 mise nero su bianco che: 1) la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; 2) la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana 3) la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale698. Ciononostante il 18 dicembre 1986 la prima sentenza 695 Giovanni Bianconi, Arrestato in Costa Azzurra il latitante Marco Affatigato, corriere.it, https://www.corriere.it/cronache/16_giugno_13/arrestato-costa-azzurra-latitante-marco-affatigato-8fc5c9dc-3145- 11e6-a677-1493abad1a34.shtml, 16.06.2013. 696 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 627. 697 Interrogatorio giudice istruttore di Roma, 18.11.1981 cit. in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 628. 698 Relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, documento XXIII n. 2, Roma 11.07.1984, p. 93. 174 d’appello annulla le assoluzioni di Tuti, Franci e Sgrò. Il 16 dicembre 1987 la Corte di Cassazione presieduta dal magistrato Corrado Carnevale annulla la sentenza della Corte d’Assise. Il 4 aprile 1991 la Corte d’Appello di Bologna assolve Tuti e Franci, sentenza confermata in Cassazione il 24 marzo 1992. Quella dell’Italicus in breve è forse la storia che più somiglia a buco nero nella strategia della tensione: zero condanne, una verità storiche acclarata ma dimenticata ed elementi di contorno inquietanti. Nel 2004 invece, a distanza di 40 anni dai fatti, Maria Fida Moro in una trasmissione televisiva dichiarò che il padre Aldo doveva salire su quel treno ma fu fatto scendere all’ultimo secondo con un pretesto699: l’ennesimo elemento oscuro di questa vicenda. Va infine ricordato che nel medesimo tratto ferroviario si compirà esattamente dieci anni dopo la strage del Rapido 904 (16 morti e oltre 250 feriti). 13.7 - La svolta Giannettini Il golpe bianco di Edgardo Sogno, Luigi Cavallo e Randolfo Pacciardi, presidente del governo provvisorio post colpo di stato, non avviene. Previsto per la metà di agosto, viene abortito principalmente per un motivo: l’8 si è ufficialmente dimesso il presidente americano Richard Nixon, travolto dallo scandalo Watergate. Lo stesso giorno si consegna all’ambasciata italiana a Buenos Aires il latitante Guido Giannettini; nel viaggio aereo che lo porta dall’Argentina all’Italia, in attesa di essere sentito per i fatti di Piazza Fontana, scrive un interessante resoconto riguardo gli avvenimenti italiani degli ultimi anni: Prima fase (1967-1970): i principali ambienti extraparlamentari strumentalizzati da forze occulte erano di sinistra, poiché la destra non esisteva politicamente. Per quanto riguarda i contatti esteri c'è da segnalare: Rauti aveva contatti con la Grecia e con ambienti militari italiani, Graziani aveva contatti con ambienti militari italiani, Avanguardia Nazionale aveva contatti con la Grecia e il ministero dell'interno. Seconda fase (1970-1973): il fatto saliente era il fallito colpo di stato del principe Borghese del 7 dicembre 1970. Ambienti esteri collegati: fra i più impegnati gli inglesi (il servizio DI-6, le banche Barclays e Hambros) e sembra il servizio informazioni militari israeliano AMAN, diretto allora dal generale Yariv. Terza fase (1973-1974): hanno operato sia gruppi di destra sia di sinistra: i primi sono i MAR e le SAM; Ordine Nero (linea Graziani), tra i gruppi di sinistra le Brigate Rosse. Non è esclusa una manipolazione parallela da parte di una sola centrale dei gruppi clandestini di destra e di sinistra. Le tecniche usate sono atte a provocare il caos e la guerra civile700. Il ritorno a sorpresa di Giannettini getta nel panico i vertici militari e dei servizi. La procura di Milano sente le alte sfere militari, presenti e passate, le quali si passeranno la patata bollente rivelando gravissime compromissioni con progetti e personale dell'eversione. Il SID si mostrerà per quello che è sempre stato, anche quando si 699 «Moro salì sull’Italicus ma fu fatto scendere», “Il Corriere della Sera”, 19.04.2004. 700 Atti corte d’assise di Catanzaro, processo per la strage di Piazza Fontana, 1979. 175 chiamava SIFAR: un «centro di complotti reazionari al servizio di ambizioni politiche autoritarie»701. Nessuno conosce l’agente Zeta, sulla cui figura si è già detto a sufficienza, che invece conosce tutti. 13.8 - La morte di Borghese e i movimenti del vecchio FN Il 24 agosto del 1974, mentre si trova nel suo bungalow in Andalusia in compagnia di una donna mai identificata, il Principe Nero è colpito da violenti dolori. Ricoverato in una clinica privata a Cadice, morirà due giorni dopo. La causa del decesso viene diagnosticata in “pancreatite acuta emorragica” ma dei dubbi sono tuttavia rimasti. Secondo chi sostiene la tesi dell’omicidio Borghese sarebbe stato ucciso perché stava per tornare in Italia a vuotare il sacco sulla notte del golpe. Il generale Ambrogio Viviani, tessera P2 n° 828 e capo del controspionaggio dal ‘70 al ‘74, parlerà a proposito dell’«opportuna morte di Borghese». Di altro avviso è lo storico Aldo Giannuli, il quale in recenti dichiarazioni ha affermato come la causa quasi certa della dipartita sia di origine naturale: «La pancreatite acuta gli fu fatale perché difficile da pronosticare all’epoca e fu curato con pillole di acqua e zucchero per tale motivo»702. Quel che è certo in ogni caso è che capitò in un momento propizio perché in contemporanea il “malloppone” stava subendo gli ultimi ritocchi prima di essere consegnato alla magistratura romana da Andreotti. Un ritorno di Borghese avrebbe decisamente creato non pochi grattacapi. Va aggiunto che il Comandante, alcuni mesi prima, aveva mandato una lunga lettera al settimanale “Il Borghese” che la pubblicherà poi postuma: in estrema ribadiva di essere vittima di una congiura ordita dalle sinistre, non vi era assolutamente stato un tentato colpo di stato, Calzolari era morto per caso, la riunione dei parà era solo per assistere a un film e le indagini venivano riaperte solo per motivazioni politiche. Il Principe Nero torna in Italia ma in un modo che non dà fastidio. Il 3 settembre si svolge infatti il suo funerale a Roma a Santa Maria Maggiore alla presenza di tanti volti noti: Birindelli, Rosa, De Rosa, Lo Vecchio, Saccucci, Micalizio, Pomar, Degli Innocenti e Nicoli703. Il giorno prima la maggior parte di questi noti cospiratori e recenti collaboratori del SID si era incontrato a Roma per mettere a punto il programma del progetto eversivo la cui data di attuazione è stata spostata all'autunno, con loro c’è anche il latitante di lungo corso Stefano Delle Chiaie. Tra i presenti anche personaggi non del golpe ma della galassia nera come l’avvocato modenese Leopoldo Parigini e l’industriale torinese Mario Pavia. Il successivo incontro avviene il 12 settembre e si 701 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 638. 702 Aldo Giannuli, Le morti opportune nella storia d’Italia, aldogiannuli.it, 28.08.2015, d’Italiahttps://aldogiannuli.it/morti-opportune-nella-storia-repubblicana. 703 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 644. 176 mette a punto un piano articolato che prevede in sintesi: 1. l’uccisione di politici come Taviani, Andreotti e Berlinguer, del sindacalista Lama704 e dei giudici Tamburino, Vitalone e Violante, 2. attentati a ferrovie, porti e centrali, 3. l’avvelenamento dell’acquedotto del Peschiera con materiale radioattivo705 (Pomar è ingegnere del centro nucleare di Ispra). Sarebbe il caos e i militari non potrebbero non usare la forza per ripristinare l’ordine. In ogni caso anche stavolta non avverrà nulla di quanto ipotizzato. Due giorni dopo il meeting viene reso noto dalla stampa un documento riservato della questura di Milano, risalente al 27 agosto, in cui si invitava ad intensificare i servizi preventivi in quanto: Fonte qualificata ha segnalato che noti gruppi della destra extraparlamentare avrebbero deciso di effettuare nei prossimi mesi (settembre-ottobre) attentati a treni, sedi tribunali, personalità e parlamentari, nonché attuare il rapimento di un ministro706. Riguardo il gruppo Borghese il giudice Tamburino, nelle sue indagini, sente sia Maletti che Labruna: escono il nome del colonello Federico Marzollo, braccio destro di Miceli in quanto a capo dei centri SID a Roma e comandante dei carabinieri di Merano negli anni del terrorismo altoatesino, e del capitano Mauro Venturi, segretario di Marzollo. Venturi, secondo quanto aveva già raccontato Spiazzi, comandava la compagnia dei carabinieri di Conegliano e gli avrebbe dato l’ordine di prendere contatto con i padovani della Rosa dei venti707. Infine fa capolino un altro nome, al momento sconosciuto ai più ma poi protagonista negli anni delle stragi di mafia: è quello di Mario Mori, anche lui collaboratore di Marzollo grazie al fatto che il padre Francesco ne era stato l’istruttore in accademia708. Mori verrà allontanato dal servizio per motivi poco chiari nel gennaio del 1975 e vi rientrerà, giusto per coincidenza, il 16 marzo del 1978709, data del golpe di via Fani. 704 Luciano Lama, segretario della CGIL dal 1970 al 1986. 705 “L’Europeo”, n° 1/2, 1975. 706 “Il Gazzettino”, 14.09.1974. 707 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 77. 708 Carmelo Catania, Mori, il Sisde e quelle operazioni criminali, isiciliani.it, https://www.isiciliani.it/mori-il-sisde-e- quelle-operazioni-criminali/, 12.09.2014. 709 Giovanni Tamburino, op. cit. p. 85. 177 Capitolo XIV: l’unificazione delle tre istruttorie e l’inevitabile fine 14.1 - L’operazione di Andreotti Il 15 settembre del 1974 il ministro della Difesa Giulio Andreotti invia una lettera al procuratore della Repubblica di Roma Elio Siotto. Andreotti annuncia che: Il SID aveva condotto a termine una vasta raccolta informativa sui temuti fatti eversivi del dicembre 1970. Nel corso di questa ricerca il servizio aveva raccolto anche la voce che nell'imminente mese di agosto sarebbe stata tentata nuovamente qualcosa del genere. L'ammiraglio Casardi mi consegna ora l'accluso fascicolo, con tre memorie che analiticamente riassumono il frutto dell'operazione condotta dal servizio [...]. Le fonti del SID continuano ad accreditare la notizia di una sia pur parziale occupazione del ministero dell'interno il giorno 7 dicembre 1970. AI riguardo si è ritenuto doveroso richiamare l'attenzione sia del ministro dell'epoca onorevole Restivo, che del ministro attuale onorevole Taviani. L'onorevole Restivo, che già in parlamento aveva smentito categoricamente il fatto, conferma che i suoi uffici esclusero senza tema di equivoci che ciò fosse avvenuto. D'altra parte il capo della polizia attuale, incaricato dal ministro Taviani, ha rinnovato riservate indagini al termine delle quali è pervenuto alla medesima conclusione. Specificamente ha escluso che manchino le armi di cui secondo gli informatori del SID si sarebbe dovuto evidenziare la scomparsa (un certo numero di moschetti automatici). [...] Non si è avuta la minima conferma del coinvolgimento della persona dell'ammiraglio Roselli Lorenzini. La guardia di finanza, incaricata di questo, non ha raccolto anche il più remoto indizio di veridicità. [...] Mi auguro che in qualche modo l'opera del servizio riesca comunque utile al compito della procura e del giudice istruttore per far luce su avvenimenti dei quali la coscienza democratica della nazione attende da tempo di conoscere la realtà e la consistenza710. Alla lettera Andreotti allega i tre fascicoli relativi al Golpe Borghese, alla Rosa dei venti e ai fatti dell’estate appena vissuta. È quello che passerà alla storia con il nome improprio di “malloppone”. Il fascicolo del SID ripropone nomi di militari già noti da tempo come Berti, Capanna, Lo Vecchio, Casero, Pecorella, Ricci, Spiazzi, Nardella; accenna molto fuggevolmente a personaggi come Sogno, Pacciardi e Fanali; ignora completamente l'esistenza di altri come Sindona e Cavallo. Per quanto riguarda il Golpe Borghese nello specifico i nomi tagliati più rilevanti sono come già detto quelli di Giovanni Torrisi, Gino Birindelli e Licio Gelli. Sulla posizione di quest’ultimo è interessante l’analisi fatta parecchi anni dal giudice Tamburino, secondo cui se fosse uscito il suo nome si sarebbe arrestata l’avanzata della massoneria all’interno dello stato: Porre allo scoperto la figura di Gelli in quel 1974 avrebbe comportato non soltanto una lettura diversa dei fenomeni sui quali si stava indagando, ma soprattutto una storia diversa, meno sanguinosa e sporca della nostra Repubblica. [..] L’omaggio fatto a Gelli da chi volle ometterne o 710 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 178 cancellarne il nome fu essenziale affinché la loggia potesse prosperare nella fase successiva della strategia iniziata dal 1974 e giunta sino alla strage di Bologna del 1980711. Andreotti, in un’intervista di parecchi anni dopo, giustificherà la sua azione e darà la versione personale dell’intera vicenda: Maletti viene da me e mi dice che dalle indagini risulta un colloquio tra Miceli e il principe Borghese. Si trova che il suo superiore è coinvolto, non glielo può dire e viene da me. Sentimmo la registrazione e Miceli si giustificò dicendo che doveva prendere delle informazioni. L’errore era stato di chi lo aveva messo a capo dei servizi, non aveva né la professionalità né quel tanto di malizia che serve per quel lavoro712. Andreotti sa ovviamente quello che fa: mentre si autoprotegge sul piano giudiziario visto che il suo nome compare qua e là, si rilancia politicamente a sinistra come salvatore delle istituzioni e interpreta anche la nuova aria che, in materia di servizi di sicurezza, ha cominciato a soffiare negli Stati Uniti: il vecchio apparato, compromesso e inefficiente, ha fatto il suo tempo. La strategia della tensione teorizzata nel ‘65 al Parco dei Principi è ormai obsoleta. La vicenda più grave prodotta dai fascicoli del SID è l’unificazione a Roma di tutte e tre le istruttorie: l’indagine sulla Rosa dei venti, pericolosamente arrivata al SID parallelo e ai nomi “grossi” (il 10 settembre era stata perquisita la sede dell’Accademia del Mediterraneo di Gianfranco Alliata di Montereale713) viene bruscamente interrotta e così quella sul Golpe Bianco. L’unificazione avrebbe avuto senso se fosse stata attuata per identificare un possibile centro occulto di coordinamento dell’intera strategia eversiva. Lo scopo per cui avvenne fu ovviamente invece l’esatto contrario, ovvero impedire che si scoprisse il centro coordinatore, «il servizio segreto parallelo dipendente dalla NATO»714, il già nominato SID parallelo di cui l’indagine padovana ne parla troppo mentre invece si concentra tutta l’attenzione su Borghese. Non ci si chiede perciò chi aveva controllato realmente le operazioni, chi aveva dato il contrordine e soprattutto chi era in grado di condizionare la politica italiana da decenni. Già quando si diffonde la notizia del dossier consegnato da Andreotti la stampa avverte che «la magistratura romana si troverebbe ad essere la sola ed esclusiva autorità giudiziaria competente»715, come se a Padova e Torino non fossero in grado di fare il loro lavoro. D’altronde la procura di Roma è nota come «il 711 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 78. 712 Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.2005, https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 24. 713 Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume terzo, tomo secondo, p. 656. 714 Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 124. 715 “Corriere della Sera”, 27.09.1974 179 porto delle nebbie», il posto ideale per insabbiare fatti e personaggi compromettenti per lo Stato. La consegna del dossier di Siotto era stata preceduta da una novità fondamentale nella lotta al terrorismo rosso pochi giorni prima: l’8 settembre i due capi storici delle prime BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini, vengono arrestati a Pinerolo dal nucleo speciale dei carabinieri di Dalla Chiesa grazie alla collaborazione di un personaggio quantomeno particolare come Silvano Girotto716. Potrebbe e dovrebbe essere la mazzata definitiva per i brigatisti («Sgominata la banda?»717) che invece con il nuovo leader Mario Moretti saranno ancor meglio strutturate: le BR diventano organizzatissime e inafferrabili, altamente professionali e sanguinarie. Quel che è certo è che con Moretti le BR diventano «di servizio»718, perfettamente funzionali al potere costituito. Se come si è visto nelle organizzazioni di estrema destra gli infiltrati, doppio o triplogiochisti, erano parecchi, lo stesso infatti si può dire sul versante politico opposto dove però le operazioni furono più sofisticate e complesse. Maletti in un’intervista nel ’76 dirà che «Destra e sinistra sono denominazioni utili per il grande pubblico così come il termine terrorismo. Per noi esistono soltanto i professionisti»719. Tanto per cambiare il 4 ottobre si è dimesso il presidente del consiglio Rumor, aprendo l’ennesima crisi politica in un momento delicatissimo. Il 9 ottobre il giudice di Torino Violante firma cinque mandati di cattura per il reato di cospirazione politica mediante associazione contro Micalizio, Parigini, Scolari, Pavia e Pomar. I primi tre raggiungono in carcere Pavia, che già vi si trova; Pomar si sottrae alla cattura rifugiandosi in Spagna. Dopo quasi un mese la magistratura romana traduce in provvedimenti giudiziari le informazioni fornite dai fascicoli. Il 10 ottobre vengono emessi venti mandati di cattura per reati che vanno dalla cospirazione politica all’insurrezione armata. Solo otto persone però vengono effettivamente arrestate: il tenente della Forestale Luciano Berti, il medico Salvatore Drago, il tenente colonnello dei carabinieri Salvatore Pecorella, il maggiore Enzo Capanna, gli esponenti del FN Francesco Lombardi, Vito Pace, Gino Arista e Giacomo Micalizio. Lungo l’elenco dei latitanti che comprende solo per citarne alcuni Remo Orlandini, Eliodoro Pomar (già 716 Noto anche come Frate Mitra. Giovanissimo volontario nella Legione straniera, viene poi coinvolto in un furto e incarcerato. Aveva in seguito preso il saio ed esercitato il sacerdozio nella zona di Omegna. Si era quindi trasferito nell'America Latina dove partecipò alla guerriglia in Bolivia. Riparato in Cile, da quest'ultimo Paese era rimpatriato, dopo essersi rifugiato nell'ambasciata italiana di Santiago, a seguito della presa del potere da parte dei militari. Infine si avvicina alle BR pur senza entrarvi effettivamente, che poi tradisce diventando fonte per i carabinieri. 717 Galliano Fantini, Due capi delle Brigate rosse catturati: sgominata la banda?, “Il Gazzettino”, 10.09.1974. 718 Giovanni Tamburino, op. cit., p. XXI. Su Moretti si veda Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate rosse, Kaos, Milano 2014. 719 Lino Jannuzzi, 7 anni di stragi. Chi pagava l’affitto delle prigioni del popolo?, “Tempo Illustrato”, 20.06.1976. 180 ricercato dalla procura di Torino), Stefano Delle Chiaie, Mario Rosa, Giuseppe Lo Vecchio, Flavio Campo, Giovanni De Rosa e Giuseppe Casero. Caso particolare Sandro Saccucci, per il quale nonostante il mandato non si può procedere senza l’autorizzazione del Parlamento in quanto deputato720. Vengono inoltre recapitate comunicazioni giudiziarie anche all'ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Duilio Fanali, all’informatore dei servizi Stefano Serpieri e all'ex capo del SID Vito Miceli, al quale i giudici romani rivolgeranno solo l'accusa di favoreggiamento personale721. Il 14 ottobre Violante emette un mandato di cattura per Nicoli, collaboratore del SID come si è già visto ma accusato di «cospirazione politica mediante associazione e di detenzione illegale di armi da guerra»722. La notizia mette in allarme Labruna che si reca da Vitalone a Roma per informarlo che Nicoli è un confidente del SID, accusato ingiustamente in quanto «si è infiltrato nelle file di congiurati al solo scopo di sventarne i programmi delittuosi»723. Peccato però che l’odontotecnico di La Spezia fosse da tempo coi golpisti e ha cambiato squadra in corsa: risulterà irrilevante. 14.2 – La posizione di Vito Miceli Il generale Miceli, sentendosi attaccato, minaccia di fare rivelazioni sui segreti di stato e soprattutto accusa Andreotti e Maletti di aver tagliato parti del “malloppone”, un fatto poi storicamente acclarato. Alle minacce di Miceli risponde con durezza Andreotti, emettendo un comunicato in cui lo accusa di aver nascosto le prove sul golpe del 1970 e di aver avuto contatti con Borghese: Il generale Miceli, che è sotto inchiesta, condotta dal Capo di Stato Maggiore della Difesa ed ha ricevuto una comunicazione giudiziaria dal Tribunale di Roma, ritiene forse con pubbliche dichiarazioni di alleggerire la sua posizione mettendosi in una condizione che sarà nella sede propria vagliata anche sotto il profilo della disciplina militare. Il ministero non può certo scendere in polemiche giornalistiche. Poiché, peraltro, in interviste ai giornali l'ex capo del SID afferma che una parte del dossier da lui presentato ai superiori non sarebbe stato inoltrato ai magistrati si deve precisare sin d'ora: 1) che anche gli ultimi giorni del giugno scorso il generale affermava nel modo più categorico ai superiori e ai magistrati che non esisteva alcun timore di iniziative eversive di destra; 2) che agli inizi di luglio presentò un dossier riassuntivo in senso nettamente opposto, facendolo però precedere dalla dichiarazione scritta che "di quanto riferito non si potevano produrre prove materiali". Poiché i riassunti si riferivano anche a registrazioni in possesso del SID fu necessario procedere ad una verifica completa del materiale e ad un vaglio critico fatto ai massimi livelli militari, compresa l'Arma dei carabinieri, la Guardia di finanza e lo stesso generale Miceli. Si vide così che una parte della presunta documentazione non poggiava su alcun fondamento ed era anzi contraddetta da riscontri ineccepibili: trasmettere questa parte al magistrato sarebbe stato irresponsabile e calunnioso. Purtroppo si dovette anche constatare che nel dossier presentato dal 720 Eletto nel 1972 alla Camera nelle fila del MSI-DN. 721 Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume terzo, tomo secondo, p. 683. 722 Ivi, p. 678. 723 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 181 generale Miceli erano stati invece omessi tutti i riferimenti che riguardavano contatti del generale stesso col principe Borghese e con un altro dei principali indiziati per i fatti del '70. È chiaro che questa parte, superiormente conosciuta dopo il cambio di comando al SID, non poteva non essere trasmessa al magistrato724. Inoltra poi una lettera al procuratore Siotto: Il generale Miceli portò a conoscenza del Capo di Stato Maggiore Henke e mia un documento di lavoro datato 26 giugno. Constava di 14 pagine e di undici allegati, aveva in epigrafe lo sconcertante avvertimento di quanto riferito non si possono produrre prove materiali. Per di più lo stesso generale Miceli non nascondeva perplessità e scetticismo, del resto in continuità con quanto fino a quel momento mi aveva sempre detto, sulla irrilevante consistenza di movimenti del tipo Rosa dei venti. [...] A questo punto sopravviene la richiesta del generale Miceli di vedere trasmesso alla giustizia il documento iniziale, che sotto alcuni aspetti era carente (menzione dei nastri Orlandini e di tutto il loro contenuto che non so se fosse conosciuto dal generale Miceli) e sotto altri aspetti è risultato infondato al vaglio critico operato. Non le nascondo la preoccupazione per vedere esposti ad una immeritata notorietà negativa ufficiali risultati estranei allo stesso SID. A parte questa mia doverosa preoccupazione, rassegno alla sua competente valutazione le ragioni giuridiche costituenti ostacolo alla pura e semplice ricezione di notizie, già riscontrate prive di attendibilità e comunque non confermate da fonti individuate, comprese in quel materiale di lavoro per il quale lo stesso generale Miceli, come si è detto, manifestava ampie riserve e aperto scetticismo.725 Qual è il problema di fondo? Ci sono dentro, ovviamente con modalità diverse, sia Andreotti sia Miceli e i loro sodali: ne consegue una bella pulizia di nomi per un rapporto che come detto mette in risalto gli elementi ormai troppo compromessi. Quasi in perfetta coincidenza un fatto di sangue ripresenta il ricorrente tema degli opposti estremismi. A Robbiano della Medaglia, vicino Milano, viene segnalata la presenza di un covo delle BR. L'appartamento viene trovato vuoto ma ricco di documenti e di armi. I carabinieri restano comunque in appostamento finché vi entra il brigatista Roberto Ognibene nella notte del 15 ottobre. Nello scontro a fuoco che nasce viene ucciso un carabiniere, Felice Maritano, mentre resta ferito Ognibene726. Il 24 ottobre, in giornata, Miceli giungerà una comunicazione giudiziaria per complicità nell’associazione sovversiva. È un’accusa decisamente grave per un generale e il meglio deve ancora venire. In primis perché la sera stessa, nell’ufficio di Henke a Roma, Tamburino e Nunziante mettono a confronto direttamente Miceli e Maletti. I due prima si rimpallano eventuali omissioni o reticenze, per poi scaricare la colpa sui rispettivi sottoposti: gli inferiori sbagliano, i capi mai. Alla fine del confronto i due magistrati sono convinti della versione di Maletti: 724 Paolo Gambescia, Il ministero della Difesa accusa Miceli d’aver nascosto le prove sul golpe del ‘70, “l’Unità”, 18.10.1974. 725 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 726 Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 689. 182 Da un lato Miceli aveva tentato di giustificare la protratta reticenza attribuendo a Maletti una giustificazione che riversava la responsabilità sui sottoposti […], dall’altro si doveva leggere l’esito del confronto collegandolo ai restanti elementi probatori, a cominciare dalle dichiarazioni di Spiazzi e dei coimputati, secondo cui il gruppo veneto aveva agito all’interno di un consenso nelle forze armate con un’operazione coperta di tale portata da implicare il più alto livello del SID 727. Tra l’altro un’annotazione autografa del SID, in risposta alle richieste di Tamburino, terminava con «Dire sempre il meno possibile» ed era firmata «M»728: chi sarà mai questo M se non Miceli, il quale sapeva tutto e aveva ordine di insabbiare il più possibile. Miceli, sentendosi ormai braccato, prepara la fuga e chiede aiuto a un paio di amici: uno è il già noto ambasciatore Graham Martin che in precedenza lo aveva cospicuamente finanziato mentre un nome nuovo è quello di Gianfranco Ghiron, un classico personaggio borderline729. Sarà però tutto vano: il 31 ottobre Miceli è nell’ufficio di Achille Gallucci, capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Roma, a colloquio con il giudice Fiore e i procuratori Siotto e Vitalone per la vicenda del golpe del 1970. Miceli aveva riproposto le proprie tesi difensive: ha incontrato Orlandini e Borghese, tramite il suo collaboratore, il colonnello Cosimo Pace, solo nel 1969 quando non era ancora a capo del SID; a Roma, nell'estate 1970, ebbe tra l'altro «contatti con il capo della CIA, il quale mi segnalò che era bene tenere d'occhio il Fronte Nazionale di Borghese. Dell'operazione Orlandini e del colloquio con Borghese ho informato a suo tempo il capo di stato maggiore dell'Esercito generale Enzo Marchesi»730. Quando ormai l’interrogatorio è finito si presenta il maggiore dei carabinieri Antonio Varisco, comandante del nucleo traduzioni e scorte del tribunale di Roma, per notificare a Miceli un mandato di cattura del giudice Tamburino per le seguenti accuse: Avere promosso, costituito ed organizzato in concorso con altre persone un'associazione segreta di militari e civili mirante a provocare un’insurrezione armata e, quale conseguenza di ciò, un illegale mutamento della costituzione dello Stato e della forma di governo attraverso lo intervento provocato, dall'attività dell'associazione medesima e in parte guidato dalla stessa, delle forze armate dello stato e ciò servendosi di vari gruppi armati a struttura gerarchica collegati tra loro alla base da "ufficiali di collegamento" e al vertice attraverso i capi diffusi in varie località, tra cui il 727 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 127-128. 728 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 125. 729 Ufficialmente giornalista, era un collaboratore del SID sin dalla fine degli anni ’50 con il nome di copertura “Crocetta”: sospettato di fare il doppio gioco in quanto faceva da infiltrato oltre cortina, era in stretta familiarità con il chiacchierato generale Mario Mori (gli farà da testimone di nozze). Si veda L’ambiguo avvocato dei Ciancimino, un ambiguo personaggio con legami nei “servizi”, editorialedomani.it, https://www.editorialedomani.it/trattativa-stato- mafia-nv66yndc, 11.11.2022 e le dichiarazioni dello stesso Ghiron all’autorità giudiziaria di Brescia nel terzo processo per la strage di Piazza della Loggia Ghiron Gianfranco-dichiarazioni 13.01.1986, 4agosto1974, https://4agosto1974.wordpress.com/2014/10/09/ghiron-gianfranco-dichiarazioni-13-01-1986/, 09.10.2014. 730 Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 697. 183 Veneto (Padova e Verona), la Liguria (Genova. La Spezia, Recco), la Toscana (Versilia), con varie denominazioni (CARN, GERSI, Rosa dei venti, Giustizieri d'Italia, eccetera) finanziati per fomentare disordini, commettere attentati, svolgere attività intimidatorie e violente; organizzando gruppi fiancheggiatori; predisponendo un proprio servizio informativo; approntando gerarchie parallele militari e civili; ed in particolare per avere, quale capo del SID e servendosi della collaborazione di militari dipendenti, fatto intervenire Spiazzi Amos ufficiale «I» di Verona, allo scopo di procurare finanziamenti al gruppo eversivo padovano «GERSI - Rosa dei Venti» facente capo a Rizzato731. Miceli viene portato via ma accusa subito un “malore” che lo porta al ricovero presso l’ospedale militare del Celio, non prima di aver fatto diffondere una dichiarazione alla stampa in cui dichiara di essere vittima di una macchinazione politica e giudiziaria732. È in ogni caso una giornata storica per l’Italia: dai tempi dell'imprigionamento di Mario Roatta nel 1944733 nessun militare di così alto grado era stato arrestato. La speranza di chiudere il cerchio sulle trame eversive e smantellare le organizzazioni sottostanti grazie alle contemporanee inchieste a Torino e Milano sembra reale. Finalmente si è vicini ad avere un quadro esauriente sulla “strategia della tensione”. I poteri enormi che tirano i fili mostreranno però a breve tutti i loro muscoli. L’arresto di Miceli provoca un inevitabile caos a livello politico, coinvolgendo chi era al potere nel 1970. Parte per primo l’ex presidente Saragat che accusa Tanassi di non averlo informato: «Quando ero capo dello Stato, il ministro della Difesa Tanassi non mi avvertì di quanto stava accadendo nel paese e di quello che era stato scoperto sulle trame nere e sui tentativi eversivi compiuti contro la Repubblica». Tanassi risponde, scaricando in primis la colpa su Restivo, in quanto «Delle notizie raccolte dal SID furono puntualmente informati il ministero dell'Interno e l'autorità giudiziaria», non specificando però quando e come, aggiungendo poi che «Nessuno potrà convincermi che il rifiuto da parte del PSDI di aprire la maggioranza di governo ai comunisti possa costituire un tentativo di golpe bianco»734. Il gioco dello scaricabarile non è affatto finito: l’ex ministro dell’Interno Restivo rivolge l’attenzione all’ex capo della polizia Vicari, il quale gli avrebbe assicurato che nessuno nella notte dell’Immacolata di quattro anni prima era entrato al Viminale. Quest’ultimo dirà che la mattina dell’8 dicembre aveva ricevuto il questore Parlato e il capo dell’ufficio politico Provenza, i quali riferirono che i servizi di vigilanza predisposti non avevano rilevato nulla di anormale. Un bel quadro d'insieme fatto di apparente inettitudine, di maldestre coperture e di palleggiamento delle responsabilità. 731 Paolo Gambescia, Arresto il generale Miceli, l’accusa è di cospirazione, “l’Unità”, 01.11.1974. 732 Arrestato Miceli, “Il Gazzettino”, 01.11.1974. 733 Ex capo del SIM (Servizio Informazioni Militari) e capo di stato maggiore dell’Esercito, venne accusato della mancata difesa di Roma dopo l’8 settembre del 1943 e di essere coinvolto nell’omicidio dei fratelli Rosselli. Prima della sentenza nel 1945 evade dal carcere e si rifugia in Spagna, al sicuro da una condanna in contumacia all’ergastolo. 734 Confermato il colpevole silenzio di Tanassi sul complotto del ‘70, “l’Unità”, 08.11.1974. 184 14.3 - Nuovi arresti e affossamento La procura romana il 6 novembre emette nuovi mandati di cattura: vengono arrestati elementi come Tommaso Adami Rook, Benito Guadagni e il contatto con gli ambienti americani Adriano Monti735. Poco dopo si apriranno le porte del carcere per Enrico Bonvicini ed esponenti del gruppo genovese. Il giudice istruttore di Roma Fiore il 13 chiede formalmente alla cassazione di essere dichiarato competente a proseguire anche l'istruttoria di Padova e parte di quella di Torino, di cui sollecita la sottrazione ai loro giudici naturali. Contemporaneamente firma anche altri 17 mandati di cattura, alcuni dei quali colpiscono imputati delle due inchieste come De Marchi e Lercari. Torquato Nicoli, da inizio anno ufficialmente collaboratore del SID, fatto rientrare in Italia dai servizi dopo l’emissione del mandato di cattura di cui s’è già fatta menzione, inizia a parlare sui fatti avvenuti, fermandosi come da prassi al momento opportuno: fa i nomi del gruppo genovese e del loro piano di golpe, dell’attentato di Nico Azzi, dell’adesione di Fumagalli al piano e delle coperture politiche garantite da Pacciardi e Degli Occhi. Tacerà però su due “menti raffinatissime”: «Non mi è mai stato fatto il nome dell'onorevole Andreotti né del finanziere Sindona quali presunti programmatori di un intervento anti istituzionale»736. La procura di Padova continua imperterrita la propria attività, facendo arrestare il generale Ugo Ricci e interrogando alcuni personaggi importanti. Uno di questi è il generale Siro Rosseti, dal ’70 al ’74 in orbita SID, il quale affermò che l’organizzazione delineata nel mandato di cattura a carico di Miceli «non solo poteva esisteva ma sarebbe stato assurdo pensare che non esistesse»737. La richiesta della procura di Roma il 30 dicembre viene accolta dalla cassazione, la quale sottrae l’intera istruttoria a Tamburino e Nunziante, affidandola alla procura di Roma che la unirà a quella sul Golpe Borghese, così per il lavoro di Violante a Torino. Una decisione che ormai purtroppo la procura di Padova si aspettava nonostante gli appelli del P.M. Nunziante: Tra le varie inchieste giudiziarie che procedono parallele sulle cosiddette trame nere e la prima volta, anche indubbiamente per una serie di fortuite circostanze che sono stati individuati non solo gli esecutori materiali ma di anello in anello si è riusciti a risalire a livelli notevoli, onde è estremamente probabile che possa aversi finalmente la chiave di volta degli innumerevoli attentati e delle stragi che si sono susseguite in questi ultimi cinque anni. Un arresto improvviso dell'attività istruttoria, giunta peraltro alla fase risolutiva, rischierebbe di compromettere il lavoro sin qui svolto e soprattutto consentirebbe ai cervelli operativi oggi in parte colpiti, in parte disorientati e impauriti, di riorganizzarsi e di riproporre in termini ancor più brutali e sanguinosi quella cosiddetta strategia 735 Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 704. 736 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 737 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 138. 185 della tensione, mezzo ignobile di condizionamento politico e sociale, che costituisce In fondo la vera attività eversiva e che troppe vittime innocenti è già costata al nostro Paese738. Ciò che una certa parte politica prospettava, ovvero l’insabbiamento dei fatti eversivi, avverrà puntualmente nei mesi successivi nonostante una certa stampa dica il contrario: «Sono infondate le voci secondo le quali una volta riunite le inchieste a Roma tutto sarebbe stato insabbiato»739. Il quadro di Tamburino verrà spezzato, le varie connessioni e il “SID parallelo” velocemente dimenticate con la conseguente Affermazione di clientelismi e nepotismi, del familismo amorale, delle cosche massoniche e delle consorterie mafiose, dell’economia fasulla, della finanza opaca, del corrompimento delle istituzioni politiche, educative e finanche giudiziarie740. Idem succederà per il lavoro di Violante, a cui saranno tolte le parti più importanti dell’istruttoria. Nello stesso clima va segnalato come la stessa Cassazione poco prima avesse deciso di spostare l’inchiesta sui fatti di Piazza Fontana da Milano a Catanzaro. Si chiude così il 1974, l’anno del definitivo tramonto dei piani golpistici e del terrorismo nero. A fine novembre inoltre, dopo cinquanta giorni di vuoto, nasce il nuovo governo presieduto da Moro formato da DC e PRI. Resta fuori da incarichi ministeriali, per sempre, Taviani, mentre Andreotti passa al bilancio. Con il Moro IV calerà il silenzio su buona parte dei nervi scoperti emersi dalle inchieste che a Roma verranno ridotte all’azione di qualche vecchio residuato fascista mezzo rimbambito, di singole mele marce dei servizi segreti, di militari a fine corsa e di mitomani. I piani di comando dei livelli superiori come sempre resteranno nell’ombra e il potere costituito, tagliati in modo indolore i rami secchi ancora ancorati a idee reazionarie, si rigenererà senza seri danni. Il 1975 sarà infatti l’anno in cui la violenza diventerà principalmente rossa e sulla spontaneità di tale tipo di terrorismo c’è ben più di qualche ombra. Dirà infatti qualche anno in un’intervista lo stesso Giovanni Tamburino: Ci sono motivi per credere che l’incarico di formare il progresso della democrazia sia stato trasmesso a una nuova leadership del terrore dalle stesse centrali che hanno visto chiudersi la produttività del terrorismo nero. Effettivamente dal 1974 l'eversione nera ha un brusco declino e inizia l'irresistibile ascesa di quella rossa. Le attività terroristiche sviluppatesi fino al 1974 non erano opera di isolati, ma si inquadravano in un progetto e in una struttura di potere ad alto livello. Quelle iniziative hanno certamente consentito di varare un sistema operativo più avanzato che all'infiltrazione dentro gruppi genuini sostituisce la costituzione originaria di gruppi inquinati741. 738 Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino. 739 Chiesta l’unificazione delle inchieste sui golpe, Il Gazzettino, 15.11.1974. 740 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 155. 741 Ibio Paolucci, «Illegale è la violenza, non le idee», “l’Unità”, 15.04.1979. 186 I vecchi arnesi del golpismo e del terrorismo nero più in generale hanno esaurito il compito, si passa perciò direttamente all’altro estremo politico per svuotare direttamente dall’interno la lotta comunista. 14.4 - Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più Nonostante le indagini a Roma siano ancora agli albori c’è chi è ben informato: Guido Paglia, futuro direttore Comunicazione e Relazioni esterne per la RAI nel 2004, scrive infatti come «Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più»742. Miceli, trasferito da Padova a Roma all’ospedale militare del Celio, viene sentito dai giudici Fiore e Vitalone nei primi giorni di gennaio ed è accusato di favoreggiamento aggravato, in quanto non riferì il fatto agli organi di polizia che avrebbero dovuto intervenire o comunque lo fece con un ritardo ingiustificato. Una contestazione ben più lieve di quella fattagli da Tamburino. Inoltre viene arrestato per «favoreggiamento personale e falsa testimonianza» Franco Antico, il segretario di Europa Civiltà che nella notte di Tora- Tora aveva fatto riferito dei fatti in corso al generale Marchesi. La posizione di Vito Miceli, come già previsto ampiamente, si fa molto tranquilla con il passare delle settimane. Il 27 marzo 1975 infatti il tribunale di Roma fa cadere ufficialmente le accuse di cospirazione «essendo venuti a mancare indizi sufficienti», restano così quelle di favoreggiamento personale per il golpe Borghese. Per i giudici capitolini il capo del SID, non proprio l’ultimo arrivato, ha fatto in sostanza da palo in una rapina. Il balletto della procura era iniziato nelle settimane precedenti e diventa fin ridicolo quando per verificare l'esistenza del SID parallelo chiede conferme a colui che Tamburino accusava di esserne l’utilizzatore a fini eversivi. L’organizzazione occulta non esiste, o meglio esiste ma non ha finalità eversive, dirà Miceli, il quale incalzato ulteriormente dirà di non poter rispondere maggiormente in quanto «l'argomento verte in materia di politica di sicurezza». I giudici romani a questo punto si presentano il 21 marzo dal premier Moro il quale negherà che esista «una organizzazione che ha per compito la sovversione dello Stato»743. A fine aprile Miceli è un uomo libero: il giudice Fiore ne stabilisce la scarcerazione dopo i sei mesi di fermo. Il generale in ogni caso li ha praticamente tutti trascorsi all’ospedale del Celio. L’istruttoria padovana sulla Rosa dei venti è definitivamente affossata e i segreti di stato che stava per scoprire resteranno nell’ombra. Un dato molto significativo si verifica quando la magistratura romana scopre che le registrazioni effettuate da Labruna a Orlandini sono una copia e non le originali, incriminandolo per occultamento di prove. Tutta si risolve in un nulla di fatto e la 742 Giustizia e Civiltà, anno l, n. 2, 1975. 743 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 187 vicenda finisce nel dimenticatoio. Le bobine mancanti riemergeranno negli anni ‘90 quando l’ormai capitano in congedo Antonio Labruna, caduto in disgrazia, le consegnerà al giudice istruttore di Milano Guido Salvini dall’estate del 1991 in poi. Volendo pur ammettere la buona fede della procura romana, non può lavorare degnamente: il “malloppone” consegnato da Andreotti è stato ridotto considerevolmente prima dal generale Maletti e poi dallo stesso ministro e in più manca un numero consistente delle bobine contenenti le registrazioni effettuate da Labruna e Romagnoli. Ci sono tutti gli ingredienti necessari per far naufragare l’inchiesta, cosa che ovviamente avverrà con perfetta puntualità. Ritornando alle vicende processuali del Golpe Borghese a giugno vengono scarcerati Adriano Monti e il principe Alliata mentre scappa a Parigi l’avvocato andreottiano Filippo De Jorio per il quale era scattato il mandato di cattura. Il 21 giugno Luciano Violante, giudice istruttore di Torino, chiude l’inchiesta partita nel 1972 dopo la scoperta dei campi d’addestramento paramilitari in Val di Susa. Partendo da questi, organizzati dall’ordinovista Salvatore Francia, era risalito fino al golpismo bianco di Sogno e Cavallo e quello nero di Micalizio e Pomar. Questa parte, con la sentenza della Cassazione di cui si è già accennato, era passata alla procura romana. Gli imputati, tutti di Ordine Nuovo/Nero, sono squadristi di poco conto per i quali però l’accusa, è aver commesso «fatti diretti a mutare la forma di governo e la costituzione dello Stato»744. La destra neofascista in questo clima dove a farlo da padrone è il terrorismo rosso, prova il grande passo: dopo una riunione a Frascati, alla presenza dei principali rappresentanti come Graziani, Signorelli, Tilgher e Delle Chiaie, ON e AN provano a fondersi ufficialmente. Come scrive il SID in una nota datata 17 settembre, la riunione avvenne «allo scopo di costituire il nuovo movimento estremista di destra Milizia Rivoluzionaria; i fondi per sovvenzionare Il prefato movimento dovevano essere reperiti mediante sequestro di persone dell'alta finanza»745. La fusione non in ogni non avverrà mai. Il 9 settembre il P.M. Vitalone deposita la requisitoria sulle trame eversive nella quale si legge testualmente che: È certo che molto l’imputato (Miceli, nda) ha fatto per addensare su di sé sospetti di più gravi coinvolgimenti. Tuttavia la serena e meditata analisi delle risultanze acquisite al processo consentono di affermare che gli incontri del Miceli con Orlandini e Borghese prima degli eventi del 1970 e l’opera svolta dal capo del SID in favore degli insorti non sono espressione dell’adesione del primo alle iniziative degli altri e neppure di un’unitaria determinazione delittuosa. [...] Se nelle competenti sedi politiche si fosse tempestivamente avvertita l’esigenza di confrontare la serietà 744 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 745 Atti corte d’assise di Catanzaro, processo per la strage di Piazza Fontana, 1979. 188 dell’azione giudiziaria con le addomesticate versioni del capo del SID, la conclusione sarebbe stata una sola: Miceli doveva essere immediatamente rimosso dal suo incarico746. È evidente che il generale doveva essere rimosso dal suo incarico perché pappa e ciccia con i golpisti ma Vitalone fa finta di dimenticare che alcuni degli imputati del processo come Nicoli e Degli Innocenti fossero legati al SID e le sue accuse a Miceli, gravi a parole, lo sollevavano però dalle accuse più gravi. Insomma, tanto fumo e niente arrosto. Il 30 ottobre, esattamente un anno dopo l’arresto di Miceli, Maletti viene trasferito dal comando del reparto D del SID alla divisione granatieri di Sardegna747. Non è un caso perché nel giro di un mese su di lui e sul servizio segreto in generale sta per abbattersi una tempesta a Catanzaro in quanto Giovanni Ventura dal carcere accuserà il SID, e in particolare Giannettini, di avergli proposto l’evasione e di farlo scappare all’estero come fatto a suo tempo con Marco Pozzan. Il 5 novembre il giudice istruttore Filippo Fiore deposita la sua sentenza-ordinanza sul Golpe Borghese: dei 147 imputati, tolti i defunti Borghese ed Esposti, ne vengono rinviati a giudizio 78. Scrive il giudice che: L'istruttoria non ha consentito di scoprire i nomi degli appartenenti alle forze armate, investiti di responsabilità operative, che in modo inequivoco o condizionato assicurarono a Borghese il loro apporto determinante alla causa eversiva. Qualche nominativo è stato fatto ma si è trattato di voci, che non possono assurgere a dignità di prova in mancanza di concreti e attendibili riscontri e che non meritano adeguata credibilità. [...] Non si vuole porre in dubbio l'assoluta dedizione delle forze armate alle istituzioni dello Stato. Un caso isolato non si ritiene possa in alcun modo scalfire il prestigio e la correttezza della nostra classe militare748. Nessuna sorpresa, non c’è responsabilità politica né appoggio americano. Il SID parallelo ovviamente non esiste: «Relativamente alla organizzazione occulta più volte richiamata dallo Spiazzi basterà osservare che nessun elemento è stato raccolto perché se ne debba riconoscere l'esistenza, ovvero possa identificarsi con organismi operanti all'interno del SID o comunque creati o diretti da Miceli»749. Nelle vicende è sì coinvolto qualche militare ma non si sa bene chi, ovviamente si tratta solo di casi isolati: le solite mele marce che non mettono in dubbio «l'assoluta dedizione delle forze armate alle istituzioni dello Stato». Viene così archiviata la posizione di tanti “pezzi grossi” come Alliata di Montereale, Fumagalli, Fanali, Roselli Lorenzini, Piaggio, Degli Innocenti, Guadagni, Pacciardi, Sogno e Miceli. Il generale, nello specifico, viene dichiarato «non partecipe delle trame criminose». 746 Requisitoria sul golpe Borghese, p. 169 e 171; cit. in Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 105. 747 Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo primo, p. 157. 748 Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore. 749 Ibidem. 189 14.5 – Il FNR e i processi Detto delle vicende del golpe Borghese nel 1975, è opportuno allargare lo sguardo a ciò che succede nel resto del Paese in questo anno nel quale si fa sempre più aspro lo scontro tra rossi e neri. Dalla notte di Capodanno il gruppo noto come Fronte Nazionale Rivoluzionario (FNR) di Mario Tuti e Augusto Cauchi, quello dell’Italicus giusto per capire, compie tre attentati in sei giorni sulla linea ferroviaria tra Arezzo e Chiusi che per pura coincidenza non provocano feriti. Tre attentati che presentano una progressiva potenzialità e che rientrano in un piano eversivo più vasto «la cui attuazione deve protrarsi nel tempo e interessare vaste zone dell'Italia centrale e settentrionale e, gradatamente, tutto il territorio nazionale750. Il FNR ha però i giorni contati: il 22 gennaio un anonimo informatore avverte la questura di Arezzo che, all’interno di una cappella sconsacrata a Castiglion Fiorentino, troverà armi ed esplosivi751. La soffiata è corretta, la polizia si apposta nelle vicinanze, arrestando la sera stessa Malentacchi e Franci che lì si erano recati. Franci fa il nome della Luddi, sua fidanzata, e di Tuti. La prima viene arrestata il 24 dello stesso mese, dopo il ritrovamento di altro esplosivo nella sua abitazione. Lo stesso giorno a casa di Tuti, geometra al comune di Empoli, si presentano tre poliziotti per arrestarlo con l’accusa di associazione a delinquere. Tuti, sentendosi braccato, spara e uccide due agenti, ferendo anche il terzo prima di scappare. Grazie a una rete di complicità tra polizia e camerati, Tuti resterà latitante in Francia fino all’estate salvo poi essere arrestato e condannato all’ergastolo. Sorte più fortunata avrà Cauchi, informatore del SID fin dal 1974752, il quale fuggirà in Argentina e morirà recentemente da uomo libero. Nella vicenda va inserirsi la figura di Licio Gelli, cospicuo finanziatore del FNR753 di cui era di fatto “vicino di casa”, il quale può facilmente manovrare le indagini sul gruppo: il sostituto procuratore di Arezzo è Mario Marsili, suo genero e ovviamente membro della P2 con la tessera 506. Marsili, come ricorderà il commissario Ennio De Francesco, inviato dall’ispettorato antiterrorismo dopo i fatti di Empoli, Ci rimproverò aspramente per il nostro comportamento e cioè in sostanza di aver fornito delle indicazioni sia pure informali al giudice istruttore di Bologna dottor Zincani. Durante il colloquio mi disse che avrebbe dovuto procedere nei nostri confronti per il reato di violazione del segreto istruttorio. Io gli feci notare piuttosto decisamente che stavamo lavorando con ogni energia per risalire quanto più possibile alla vera dimensione della cellula terroristica aretina che a mio avviso si irradiava almeno per tutta la Toscana. Che non ritenevo che agire per tale finalità, sia pure per conto 750 Atti Corte d’assise di Firenze. 751 Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo uno, p. 19. 752 Ibidem, p. 22. 753 S.O. Guido Salvini, 1995, p. 215. 190 di giudici diversi, potesse costituire il reato che ci si voleva addebitare. Dopo alcuni giorni ricevetti l'ordine perentorio di rientrare a Roma. Non riuscii a spiegarmi il motivo di tale trasferimento anche perché avevo la sensazione che il lavoro svolto non avrebbe potuto, con l'andare del tempo, non dare i suoi frutti. Anche a Roma non ebbi alcuna spiegazione da parte del dottor Emilio Santillo, dirigente dell'Ispettorato, se non la laconica affermazione che volevano dall'alto che io fossi trasferito. Infatti il mattino successivo giunse il telegramma del mio trasferimento, immotivato, a firma direttamente del ministro dell'interno Gui.754 Nel frattempo stanno iniziando o vanno avanti i processi per le stragi degli anni precedenti. Il 27 gennaio riprende a Catanzaro il terzo procedimento per Piazza Fontana nel quale sono contemporaneamente imputati i neofascisti e gli anarchici. Invece le indagini di Brescia sulla strage di Piazza della Loggia puntano nell’esclusiva direzione di Ermanno Buzzi, in carcere da inizio anno e definito dalla stampa di destra «un folle criminale comune che ha agito a titolo personale»755. Il 31 arrivano i primi rinvii a giudizio per Buzzi e Papa, oltra a una lista di piccoli delinquenti e neofascisti locali. La stessa cosa si vede poco dopo a Milano quando inizia il processo a Gianfranco Bertoli, unico imputato per la strage della Questura del 1973. Bertoli, fedele fino in fondo alla sua “missione”, verrà condannato all’ergastolo senza batter ciglio e senza fare nomi di possibili complici. La serie delle singolari coincidenze terrorismo nero- rosso si verifica quando «a cinque ore esatte dall'inizio del processo a Bertoli»756 Mara Cagol, insieme ad altri cinque brigatisti, riesce a liberare in modo facile il marito Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato. 14.6 Da Ramelli alle giornate di aprile: scorre il sangue Il terrorismo rosso aveva invece mietuto una vittima innocente nel mese di marzo: il giorno 13 un gruppo di appartenenti a Potere Operaio aggredisce selvaggiamente Sergio Ramelli, studente milanese di diciotto anni appartenente al Fronte della Gioventù. Lo picchiano con brutalità con delle chiavi inglesi mentre Ramelli stava tornando a casa da scuola: entrerà in coma e morirà il 29 aprile. Le indagini per scoprire i colpevoli non porteranno a nulla per parecchi anni: solo nel 1985 arrivò una svolta con le deposizioni di alcuni pentiti di Prima Linea e il processo iniziò due anni più tardi. Il 16 maggio del 1987 la II Corte d’assise di Milano condannò a 15 anni di prigione per omicidio preterintenzionale Giuseppe Ferrari Bravo e Marco Costa, i quali colpirono materialmente Ramelli, stessa pena per Claudio Colosio, accusato anche per 754 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella. 755 “Secolo d’Italia”, 10.04.1975. 756 Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo primo, p. 44. Alle 4 del pomeriggio una donna (che poi verrà identificata In Mara CagoI) suona il campanello al portone del carcere di Casale Monferrato, dove è tenuto prigioniero Renato Curcio. Il portone viene aperto, le guardie immobilizzate sotto la minaccia delle armi e Curcio liberato. Se ne va insieme ai cinque brigatisti che hanno compiuto l'azione. Così come per certi versi sembrò una parata pubblicitaria la sua cattura altrettanto sensazionale è la sua fuga. 191 altri fatti, mentre furono minori per gli altri imputati757. In secondo grado le pene furono ridotte a 11 anni per Ferrari Bravo, a 10 per Costa e a 7 abbondanti per Colosio, sentenza poi confermata in Cassazione il 23 gennaio 1990. Il fatto violento non fece altro che alzare sensibilmente la tensione a Milano: nel capoluogo lombardo il 16 aprile Claudio Varalli, studente di diciotto anni, insieme ad altri giovani del Movimento studentesco, aggrediscono con spranghe e sassi tre coetanei del FUAN che appendevano volantini758. Due scappano mentre un terzo, Antonio Braggion, si rifugia nella sua auto da cui spara verso gli aggressori: viene colpito e ucciso Varalli. Per il gesto Braggion, il quale inizialmente si darà alla latitanza, sarà in seguito condannato a cinque anni di carcere per eccesso di legittima difesa più altri cinque per porto abusivo d’armi. La sera stessa viene assalita la sede de “Il Giornale”, diretto all’epoca da Indro Montanelli, la protesta continua il giorno dopo in maniera violentissima: . Arriva così la seconda vittima: durante una manifestazione di protesta per l’omicidio di Varalli viene travolto mortalmente da una camionetta dei carabinieri Giannino Zibecchi, professore di ventotto anni. Finiscono a processo per aver, in concorso colposo tra di loro, aver cagionato la morte di Zibecchi Giannino per colpa aggravata dalla previsione dell’evento759 l’autista del veicolo, il diciottenne Sergio Chiarieri, il tenente Aldo Gambardella, capo macchina del mezzo, e il capitano Alberto Gonella, responsabile della colonna blindata: nel processo del 1980 Gonella e Gambardella saranno assolti per non aver commesso il fatto, Chiarieri per insufficienza di prove. In pochissime ore abbiamo così tre giovani vite spezzate e due segnate per sempre che sono accumunate da un atroce destino, «figlio di una perversa stagione di sangue, determinata da una follia ideologica che aveva preso il sopravvento su ogni senso dell’umano»760. Purtroppo non è finita qui Le BR invece tornano a colpire il 4 giugno quando un commando rapisce l’industriale Vittorio Gancia a scopo di estorsione. La vicenda finisce nel sangue: i carabinieri di Acqui Terme, una volta scoperto il nascondiglio, danno il via al conflitto a fuoco con i terroristi. Restano a terra l’appuntato Giovanni D’Amico e Mara Cagol mentre il tenente Umberto Rocca viene reso invalido a causa delle ferite riportate. Oltre ai brigatisti le forze di sinistra possono contare su una nuova formazione, i Nuclei Armati Proletari (NAP). Attivi principalmente al Sud dalla primavera del ‘74 da fuoriusciti 757 Susanna Marzolla, Ramella, otto condannati, La Stampa, 17.05.1987. 758 Zita Dazzi, Milano, morto Antonio Braggion, l’estremista di destra che uccise lo studente Claudio Varalli, repubblica.it, https://milano.repubblica.it/cronaca/2018/09/03/news/morto_braggion_uccise_claudio_varalli_milano-205514539/, 03.09.2018. 759 La sentenza Zibecchi, pernondimenticare.net, https://www.pernondimenticare.net/documenti/i-processi/285-la- sentenza-zibecchi. 760 Paolo Nizzola, Vite spezzate. Claudio Varalli e i giorni dell’odio, bollateoggi.it, https://bollateoggi.it/vite-spezzate- claudio-varalli-e-i-giorni-dellodio/. 192 dell’ala radicale di Lotta Continua, «vi confluiscono studenti ed ex detenuti comuni giunti al terrorismo attraverso una pratica politica affrettata e sommaria»761. La morte di Pasolini Roma. È la mattina del 2 novembre e una donna, nella zona dell’Idroscalo al Lido di Ostia, trova il cadavere di un uomo brutalmente assassinato: è quello del notissimo scrittore e registra Pier Paolo Pasolini, il quale un anno prima aveva lanciato delle pesanti accuse, pur senza fare direttamente nomi762. Un’uccisione che non può che essere in ogni caso politica763. Luciano Franci, uno degli arrestati del FNR toscano, evade dal carcere di Arezzo il 15 dicembre insieme agli altri due compagni di cella. Uno di questi, tale Aurelio Fianchini, fa la mossa strana di andare da un quotidiano locale e parlare delle rivelazioni che aveva avuto sull’Italicus. «Franci ci disse che la bomba era stata messa alla stazione di Firenze, lui era in servizio quella sera alla stazione; fu messa da Piero Malentacchi ed era stata confezionata da Malentacchi insieme a Tuti e Franci stesso. La bomba era stata portata a Firenze con la Fiat Cinquecento di Margherita Luddi. Materialmente la bomba sul treno la collocò Malentacchi, poi scappato insieme alla Luddi. Franci restò in stazione»764. Poco ore dopo, ancor più clamorosamente, Fianchini e Franci si costituiscono e rientrano in carcere. Da oltreoceano arriva un uragano quando una commissione d’inchiesta sulle attività segrete della CIA, la cosiddetta “Commissione Pike”, certifica che la DC e diverse esponenti politico-militari avevano ricevuto svariati milioni di dollari di finanziamento dal dopoguerra in poi. Pur non comparendo ufficialmente, il nome di Miceli lo si poteva chiaramente leggere tra le righe, così come quello di Rauti: nel ‘72 l’ambasciatore Martin fornì secondo l’accusa un finanziamento di 800 mila dollari a Un alto funzionario del servizio segreto, chiaramente legato a elementi della destra antidemocratica. Successivamente il funzionario del servizio segreto venne coinvolto in un complotto di estrema destra per rovesciare il governo. Egli è stato incriminato per una cospirazione politica che avrebbe dovuto culminare in un colpo di stato che non ebbe mai luogo. Il funzionario del servizio segreto userebbe soprattutto, come suo collaboratore principale, un giornalista che 761 Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, 1974-1977: le BR e i NAP, 07.02.1990, https://www.youtube.com/watch?v=mKmzP6ubWMA&ab_channel=CarloCortesi, min. 18. 762 Pier Paolo Pasolini, Cos'è questo golpe? Io so, “Corriera della Sera”, 14.11.1974, https://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html 763 Si vedano le recenti pubblicazioni: Andrea Speranzoni e Paolo Bolognesi, Pasolini. Un omicidio politico: viaggio tra l’Apocalisse di Piazza Fontana e la notte del 2 novembre 1975, Castelvecchi, Roma 2022; Simona Zecchi, L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini. Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso, Ponte alle grazie, Roma 2020. 764 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Velia. 193 risulta essere stato legato a un gruppo giovanile di estrema destra ed è oggi membro del comitato centrale del movimento politico di estrema destra765. Verrà poi acclarato che la somma totale dei finanziamenti elargiti in quegli anni dagli americani, in una catena che partiva dalla CIA passando per l’ambasciata di Roma e Miceli, alle forze di estrema destra ammonti a quasi dodici milioni di dollari. Infine l’anno si chiude con il numero record di 65 sequestri di persona766. Una cifra esorbitante, considerato che tutti questi sono stati ufficialmente compiuti da terroristi di sinistra. Appare quindi quasi inevitabile vederne dietro un certo utilizzo in chiave politica. L’anno seguente, il 1976, vede il definitivo tramonto di qualsiasi progetto golpistico in chiave tradizionale. Sia ben chiaro, non sparisce l’idea che ha segnato da dietro le vicende nazionali da un decennio ma viene rimodulata e aggiornata per una società che non è più la stessa e per un piano internazionale ben diverso. Passerà alla storia come “Piano di rinascita democratica” e vedrà dietro la firma di Licio Gelli e della P2. Checché se ne dica entrerà a regime negli anni successivi, non prima però di aver effettuato l’unico golpe realizzato con successo in Italia: quello di Via Fani. Basta ricordare che nel settembre del 1974, in occasione di un viaggio diplomatico negli Stati Uniti, Moro era stato pesantemente minacciato dal segretario di stato Kissinger il quale gli avrebbe detto: «Onorevole deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Onorevole o lei smette di fare queste cose o la pagherà cara, molto cara. Veda lei come la vuole intendere, noi l’abbiamo avvisata»767. Questa però è un’altra storia. 765 Paolo Gambescia, La magistratura italiana chiede il rapporto Pike sui finanziamenti e l’attività CIA, “l’Unità”, 03.02.1976. 766 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo primo, p. 190. 767 Gianluca Ferrara, Aldo Moro fu vittima del pensiero unico, “il Fatto Quotidiano”, https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/15/aldo-moro-fu-vittima-del-pensiero-unico/4228121/15.03.2018. 194 Capitolo quindici: Piombo rovente I due anni successivi nella nostra ricostruzione storica sono ancor più intrisi di sangue e di violenza: siamo nel momento decisivo degli Anni di piombo. È in questo clima infuocato che si sta definendo il Compromesso Storico, poi ovviamente bloccato in modo violento, e per ciò che ci riguarda più da vicino, è in fase di "lievitazione" la sentenza sul golpe Borghese. La narrazione seguirà ora un rigido andamento temporale: il modo migliore per riassumere schematicamente le vicende, innanzitutto, e inoltre per far capire al lettore come i fatti violenti si succedano senza soluzione di continuità. 15.1 - Processi e scandali 8 gennaio. Renato Curcio, a undici mesi dalla sua facilissima fuga dal carcere di Casale Monferrato, dopo una sparatoria viene catturato in un appartamento di Milano insieme a Nadia Mantovani, studentessa di Padova. Il suo arresto, unito a quello di Franceschini, avrebbe dovuto in teoria essere un duro colpo per le BR se non proprio portarle alla fine768 ma non sarà così, anzi tutt’altro. Qualche anno dopo un’ipotesi viene formulata dal procuratore padovano Pietro Calogero: Curcio è uno dei capi militari, è uno dei vertici militari, ma non di più. Si pone perciò la necessità sul piano investigativo di ricercare quella parte superiore con la quale si identifica il livello politico dell'organizzazione. Quel livello politico che ha lanciato verso il cielo politico le Brigate Rosse nonostante l'arresto dei capi storici769. 27 gennaio. Alcamo Marina, provincia di Trapani. Due carabinieri vengono uccisi nel sonno e a rivendicare l'impresa si farà avanti un misterioso «Nucleo armato Sicilia». Una montatura grossolana, sufficiente tuttavia al generale Dalla Chiesa per denunciare da Torino la responsabilità delle Brigate Rosse. L'indicazione verrà ripresa, sul posto, dal tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, comandante del nucleo investigativo di Palermo e braccio destro di Dalla Chiesa quando operava in Sicilia. Dietro il duplice omicidio sarà invece evidente l'intervento della mafia, che forse avrà inteso lanciare un avvertimento: all'arma dei carabinieri in generale o al tenente colonnello Russo in particolare? Quest’ultimo verrà ucciso dai corleonesi il 20 agosto del 1977. 10 febbraio. Esplode in Italia lo scandalo Lockheed, uno dei più gravi della Prima Repubblica visto il numero di alte personalità coinvolte. Tutto nasce con una nuova commissione d’inchiesta americana, la commissione Church, che indaga gli affari esteri della compagnia aerea Lockheed: emerge un vastissimo giro di corruzione che 768 “Il Gazzettino”, 20.01.1976. 769 "L'Espresso», 22.6.1980. 195 coinvolge Italia, Giappone, Germania Ovest e Olanda. Specificamente nel nostro Paese la Lockheed avrebbe pagato enormi tangenti per oltre un miliardo e mezzo di lire al ministero della Difesa per favorire l’acquisto degli aerei da trasporto Hercules C-130. Nello scandalo vengono coinvolte personalità rilevanti come gli ex ministri della Difesa Luigi Gui e Mario Tanassi, il presidente della repubblica Giovanni Leone e l’ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Duilio Fanali oltre al misterioso Antelope Cobbler, uno nome in codice che secondi alcuni indicava Aldo Moro. Lo scandalo apre uno squarcio su ciò che la Lockheed era veramente: «rappresentava in realtà il braccio operativo di quel governo e dei suoi servizi segreti, cioè lo strumento usato per finanziare uomini politici e partiti amici»770. 23 marzo. Inizia a Torino il processo contro i 42 appartenenti all'organizzazione piemontese di Ordine Nuovo e a un gruppo toscano di Ordine Nero, rinviati a giudizio in giugno dal giudice Violante. Il presidente della corte d'assise è Guido Barbaro, tessera P2 n° 851 tanto per cambiare. Vengono chieste 28 condanne, alla fine saranno solo 9: la pena massima spetta a Salvatore Francia, condannato a 4 anni. La sentenza del 4 maggio stabilirà infatti che il gruppo «Non appare certo valido a fare insorgere preoccupazioni per la saldezza delle istituzioni»771. Niente di nuovo. 28 marzo. Vengono arrestati su mandati di cattura della procura di Catanzaro Gianadelio Maletti e Antonio Labruna. Le accuse sono piuttosto pesanti: 1. avere aiutato Marco Pozzan, pur colpito da mandato di cattura, a espatriare con passaporto falso, 2. aver tentato, insieme a Giannettini, di far evadere Giovanni Ventura dal carcere di Monza, 3. di avere aiutato Guido Giannettini a eludere le investigazioni dell'autorità giudiziaria, procurandone l'espatrio in Francia, mantenendo con il latitante reiterati contatti. Saranno entrambi scarcerati neanche un mese dopo. 28 aprile. Il giudice istruttore di Brescia Gianni Simoni deposita l’istruttoria relativa al processo al MAR e Carlo Fumagalli, terminata dopo due anni abbondanti di indagini iniziate dal collega Giovanni Arcai. Coinvolti 81 imputati, vengono rinviati a giudizio in 59. Secondo la ricostruzione del giduce, il fine ultimo della cospirazione era scatenare un’azione armata partendo dalla Valtellina, immediatamente dopo il referendum del maggio del ‘74. Ovviamente però il livello operativo sopra Fumagalli resta sconosciuto, come da tradizione: Sono rimasti sostanzialmente in ombra i legami con esponenti o forze dell'esercito, del mondo politico e di quello economico. Né hanno ricevuto riscontro i richiami a supposti legami di Carlo Fumagalli con esponenti politici italiani e stranieri e con operatori economici772. 770 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo primo, p. 202. 771 Atti Corte d'Assise di Torino. 772 Atti inchiesta del giudice istruttore di Brescia dottor Gianni Simoni. 196 30 aprile. Si dimette ufficialmente il presidente del consiglio Aldo Moro: il governo è durato appena 80 giorni. 5 maggio. Il giudice istruttore torinese Violante firma un mandato d’arresto provvisorio per Edgardo Sogno e Luigi Cavallo per il golpe bianco. Sono accusati di aver tentato di: Mutare la costituzione dello Stato e la forma di governo; in particolare mediante un'azione violenta progettata come «spietata e rapidissima» diretta a limitare la libertà personale del presidente della Repubblica per costringerlo a sciogliere il parlamento e a nominare un governo provvisorio, espresso dalle forze armate, composto da tecnici e militari, presieduto da Pacciardi e avente come programma immediato, tra l'altro, lo scioglimento del parlamento, l'instaurazione di un sindacato unico, l'istituzione di campi di concentramento, l'abolizione dell'immunità parlamentare con effetto retroattivo e la successiva costituzione di un tribunale straordinario per processare alte personalità773. Violante, dichiarando l’incompetenza territoriale a procedere ulteriormente, invia gli atti alla procura di Roma dove però faranno una brutta fine. 28 maggio. Sandro Saccucci, candidato nelle fila del MSI-DN alle elezioni politiche e golpista a piede libero, è protagonista di un fatto di sangue. Durante un suo comizio elettorale a Sezze Romano succede un tumulto, Saccucci e i suoi si ritirano e Pietro Allatta, un uomo della sua scorta, spara a un giovane comunista che resta ucciso. Nel processo Allatta sarà condannato a 16 anni di prigione in quanto materiale esecutore e Saccucci a 12 per responsabilità morale. L’ex parà fuggirà prima in Francia e poi in Argentina dove tutt’ora risiede. 15.2 - Il terrorismo colpisce al cuore 8 giugno. Avanguardia Nazionale, dopo la sentenza farsa di cui si è già detto nel secondo capitolo, viene ufficialmente sciolta per decreto ministeriale. Nelle stesse ore, per una drammatica quanto sorda coincidenza le BR sparano e uccidono a Genova. È l’una e mezzo, il procuratore generale Francesco Coco sta rientrando a casa accompagnato da cinque elementi della scorta. Tre se ne vanno con la loro auto, Coco scende dalla propria per compiere a piedi pochi passi, accompagnato dal brigadiere Giovanni Saponara mentre l'appuntato Antioco Dejana resta al posto di guida. Coco e Saponara non fanno molta strada: tre sicari sbucati all’improvviso li uccidono, altri due fanno lo stesso con l’autista. I killer si dileguano: è stato un lavoro svolto freddamente e a viso scoperto, con estrema efficienza, «da assassini professionisti»774. L’azione, rivendicata inizialmente dagli sconosciuti Nuovi Partigiani e anche da AN, è stata compiuta dai brigatisti. Ancora oggi restano dei dubbi su chi 773 Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante. 774 Gianni Flamini, Il partito del golpe, tomo quarto, vol., secondo, p. 261. 197 fosse effettivamente presente quel giorno: uno dei cinque è senza dubbio Mario Moretti. 20 giugno. Nelle elezioni politiche restano stabili DC e PCI con il 38,8 % e il 34.3. Scendono nettamente socialdemocratici e missini. 25 giugno. Il giudice bolognese Vito Zincani dopo due anni di indagini arriva alla sentenza per l’indagine su Ordine Nero, la quale come scrive lo stesso Zincani riguarda quasi esclusivamente persone con un passato o ancora una militanza nel MSI. Dei 38 imputati sono in 19 a essere rinviati a giudizio. In ogni caso a Bologna avremo la stessa sentenza emessa poco prima a Brescia per il MAR: c’è una «trama oscura, spesso impalpabile, ma sicuramente avvertibile»775. Parimenti di finanziatori e ispiratori dell’attività non vi è traccia, nonostante la riunione del gruppo in un albergo a Cattolica gestito da un collaboratore del SID. 10 luglio. Il terrorismo nero torna a colpire e, replicando quanto fatto dalle BR un mese prima, viene ucciso un giudice. Pierluigi Concutelli, volto noto di Ordine Nuovo da poco rientrato in Italia dopo aver vissuto in Spagna e Francia, alle otto e mezza di mattina uccide Vittorio Occorsio mentre stava andando in ufficio in auto. Concutelli lo blocca a un incrocio e lo fredda con due raffiche di mitra. Prima di fuggire su un'auto guidata lascia dei volantini a terra: Il tribunale speciale del MPON ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui questi sono portatori. [...] La sentenza emessa dal tribunale del MPON è di morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo776. Dietro l’omicidio Occorsio c’è qualcosa di più degli ordinovisti: Concutelli è un killer professionista innanzitutto, freddo ed efficiente, e il mitra utilizzato arrivava dalla Spagna dove Delle Chiaie gestiva i fuoriusciti neri italiani. La centrale occulta parte sì dai neofascisti ma si allarga notevolmente per comprendere la criminalità organizzata (Anonima Sequestri e n’drangheta), la massoneria e la finanza sporca. Occorsio, giusto il giorno prima di essere ucciso, aveva confidato al giornalista Franco Scottoni di aver tra le mani «qualcosa di clamoroso»777 riguardo l’organizzazione criminosa nota come “Clan dei marsigliesi”, guidata dell'italo francese Albert Bergamelli che recentemente lo aveva minacciato («Me la pagherete»). Con Bergamelli si rischia di aprire uno squarcio incredibile sui rapporti che vanno sempre più stringendosi tra la criminalità organizzata e il potere occulto: arrestato a fine marzo, aveva detto di essere protetto 775 Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Vito Zincani. 776 Guido Dell'Aquila Gianni Palma, Il giudice Occorsio ferocemente ucciso da un gruppo di sicari fascisti a Roma, “l’Unità”, 11.7.1976. 777 Franco Scottoni, Venerdì mi aveva detto: «Ho tra le mani qualcosa di clamoroso», “l’Unità”, 11.07.1976. 198 da una grande famiglia778. Che sia la P2? Il riferimento è piuttosto evidente: la motivazione dell’omicidio non sarebbe infatti una vendetta per lo scioglimento di ON ma l’indagine che Occorsio stava svolgendo sulla criminalità romana e che lo stava portando direttamente a Gelli. Gli omicidi politici anche successivi, come per esempio quello del giudice Mario Amato compiuto da elementi del NAR il 23 giugno 1980, restano infatti inspiegabili se ci ferma alla versione degli autori e soprattutto «non rispondono mai a una logica di vendetta. Essi guardano avanti» 779: bisogna sempre guardare la mano e non il dito, altrimenti avremmo sempre delle mezze verità. 29 luglio. Andreotti giura come nuovo presidente del Consiglio: ne fanno parte rispettivamente Cossiga e Forlani come ministri di Interni e Difesa. Restano esclusi gli ex primi ministri Rumor e Colombo: per loro la politica di rilievo è finita. 31 luglio. Arriva la sentenza-ordinanza del giudice Migliaccio a Catanzaro che rinvia a giudizio 8 dei 17 imputati per Piazza Fontana: tra questi Maletti, Labruna. Giannettini e Fachini. Non compaiono Freda, Ventura e Pozzan in quanto hanno i reati già addebitati. Tra gli assolti Pino Rauti «per non aver commesso il fatto». Dopo sei anni e mezzo non risultano perciò i nomi dei padrini politici della strage e del progetto eversivo collegato; inoltre viene annullata la riunione di Padova del 18 aprile ‘69. 8 settembre. Viene arrestato a New York Michele Sindona, ricercato sia dalle autorità americane per il fallimento della Franklin Bank che dalle nostre, le quali ne chiedono l’estradizione. Sindona si dichiara perseguitato per motivi politici e in suo favore arrivano delle deposizioni scritte (affidavit), firmate da personalità già note: il procuratore di Roma Carmelo Spagnuolo, Gelli, Sogno e l’ex segretario socialdemocratico Flavio Orlandi. 2 novembre. Il democratico Jimmy Carter è il nuovo presidente americano, il quale batte il candidato uscente Gerald Ford repubblicano. Era sostenuto dalla Commissione Trilaterale. 14 dicembre. Viene teso un agguato al vice questore di Roma Alfonso Noce da un commando dei NAP. Restano a terra uccisi un uomo della scorta, Prisco Palumbo, e uno dei guerriglieri, Martino Zicchitella. 15 dicembre. Strage nella Stalingrado d’Italia, ovvero Sesto San Giovanni: la polizia fa irruzione nell’appartamento dove abita il giovane brigatista Walter Alasia. Nel 778 Per approfondire https: Da Albert «bocca piena» alla P2, iltempo.it, 25.05.2014, //www.iltempo.it/cronache/2014/05/24/news/da-albert-bocca-piena-alla-p2-940659/. 779 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 132. 199 conflitto a fuoco restano a terra il vicequestore Vittorio Padovani, il maresciallo Sergio Bazzega e lo stesso Alasia, ucciso nel cortile dopo aver tentato la fuga dalla finestra. 16 dicembre. Si rischia una nuova strage a Brescia. Un ordigno costituito da una pentola a pressione riempito di polvere nera esplode in piazzale Arnaldo, uccidendo un'anziana e ferendo una decina di passanti. Come accaduto nel ‘72 per Peteano si batte la pista nera, poi quella rossa e infine quella della malavita. Verranno condannati per concorso in strage i piccoli malavitosi locali Italo Dorini e Giuseppe Piccini, il quale ammetterà che la bomba doveva servire da diversivo per una rapina. Peccato che a Brescia rapine quel giorno non ne siano state fatte780. 15.3 Il ‘77 Nel 1977 la sinfonia generale non cambia: evasioni, sequestri, guerriglie urbane e la violenza in generale sono la normalità. Appena il 2 gennaio Prospero Gallinari era riuscito a evadere dal carcere di Treviso insieme ad altri 12 detenuti: di Reggio Emilia, tra i membri fondatori, dopo una breve uscita rientrò all’interno delle BR nel ’74, sarà tra i protagonisti dell’agguato di Via Fani e del sequestro Moro. Inoltre già a inizio anno era partita la stagione dei rapimenti, vittima l’armatore genovese Pietro Costa che resta nelle mani delle BR per quasi tre mesi: sarà liberato dopo il pagamento di un riscatto di un miliardo e mezzo di lire. Siamo a pieno titolo nel picco degli Anni di Piombo e infatti non a caso è datata 14 maggio la celebre foto in cui il terrorista rosso Giuseppe Memeo punta una pistola verso la polizia durante degli scontri a Milano. È una situazione che non accenna a migliorare, anzi, c’è l’impressione di una regia occulta: «Si mira a tenere lontano dal potere il PCI e a mantenere vivo uno stato di «ansia» sociale e politica immediatamente sfruttabile nel caso la situazione economica precipiti o ci sia qualche segnale di cambiamento nei rapporti internazionali»781. Il mondo politico, travolto dallo scandalo Lockheed, è ormai ritenuto stantio e servo della DC soprattutto a sinistra con il mondo universitario in prima fila, stanco dell’immobilismo perenne non solo del mondo accademico. Nasce così il cosiddetto Movimento del ‘77. Celebre l’episodio del 17 febbraio del quale è protagonista lo storico segretario della CGIL Luciano Lama. Alla Sapienza di Roma i giovani di Autonomia Operaia bloccano un comizio di Lama, il quale è costretto a lasciare la facoltà sotto la scorta del servizio d’ordine. 13 febbraio. A Roma in via Foraggi viene arrestato Concutelli, nascosto in un appartamento, il quale si arrende senza grossi problemi. Vengono trovati sia la mitraglietta con cui ha sparato a Occorsio sia 11 milioni di lire. La cifra arriva dal 780 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo secondo, secondo, p. 324. 781 Ibidem, p. 335. 200 riscatto pagato dalla famiglia Trapani per la liberazione della giovane Emanuela, rapita dalla banda di Renato Vallanzasca a fine anno. Cosa ci fanno quei soldi a casa di Concutelli? Lo stesso Vallanzasca verrà arrestato due giorni più tardi. 3 marzo. Un C-130 Hercules, uno degli aerei protagonisti dello scandalo Lockheed, precipita sul Monte Serra vicino a Pisa, causando la morte di 44 persone tra militari ed equipaggio. Fatale un errore del pilota dovuto alla scarsa visibilità. 11 marzo. Negli scontri tra studenti dell’università di Bologna e forze dell’ordine resta ucciso Pier Francesco Lorusso. La reazione violenta si allarga a macchia d’olio a Milano e Roma, portando il giorno dopo all’assassinio del brigadiere Giuseppe Ciotta a Torino: responsabili esponenti di Lotta Continua, nuova formazione del terrorismo rosso nata nell’autunno dell’anno precedente. Un fatto che comunque verrà in seguito accertato è che quanto avviene in Italia in quei giorni di fuoco «è il risultato di una strategia eversiva pianificata»782. Lotta Continua, Prima Linea e le BR di Moretti saranno protagoniste negli anni successivi degli omicidi di magistrati come Emilio Alessandrini, Girolamo Minervini e Vittorio Bachelet o di giornalisti come Walter Tobagi, persone di stampo decisamente riformista: azioni sulla carta insensate se non facendole rientrare nella logica del regresso reazionario di una «fasulla e manipolata concorrenza rossa»783. 5 aprile. Viene rapito a Napoli Guido De Martino, figlio del tre volte segretario del PSI Francesco De Martino. Sarà liberato 40 giorni dopo il pagamento di un riscatto di un miliardo di lire. Un rapimento dal profilo politico rilevante ed è questa la causa principale dell’azione, eseguita da personaggi locali reclutati non tanto per il guadagno. Lo stesso De Martino 40 anni dopo dirà che con il suo rapimento volevano colpire il padre, reo di essere favorevole a un’apertura del partito al PCI784. 5 maggio. Infuria la polemica su un eventuale accordo tra DC e PCI che apra la strada ad un ingresso dei comunisti nell'area della maggioranza: il compromesso storico non è più utopia. Iniziano infatti proprio in questo giorno i primi colloqui tra i due partiti alla presenza dei segretari Enrico Berlinguer e Benigno Zaccagnini: «Confronto non facile ma utile»785 scrive L’Unità. Giusto un anno dopo sarà ucciso Aldo Moro. 30 maggio. Parte finalmente il processo Borghese. 782 Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo secondo, p. 374. 783 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 98. 784 Redazione Adnkronos, 40 anni fa il rapimento di Guido De Martino: "Così colpirono mio padre per l'apertura al Pci", adnkronos.com, https://www.adnkronos.com/40-anni-fa-il-rapimento-di-guido-de-martino-cosi-colpirono-mio-padre-per-lapertura-al- pci_Tzy9qarpqX1jb5ap3cYUv, 05.04.2017. 785 Primo incontro fra DC e PCI Confronto non facile ma utile, “l’Unità”, 06.05.1977. 201 3 giugno. Inizia a Reggio Calabria il processo per la rivolta avvenuta nel 1970. Gli imputati sono 15 e le pene richieste nel complesso arrivano ai 30 anni: avranno vita facile. 15 agosto. Fuga di Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio grazie al supporto di uomini del Noto Servizio. 24 ottobre. Dopo 12 anni pieni di scandali viene abolito il SID e avviene nel complesso una profonda riforma dei servizi segreti. Nascono così infatti il SISMI e il SISDE, il primo relativo alla sfera militare e il secondo a quella civile, con un comitato esecutivo di raccordo e coordinamento noto come CESIS. Alla guida dei due nuovi organismi verranno posti rispettivamente Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, entrambi guarda caso membri della P2. Un ruolo rilevante spetta al presidente del consiglio che grazie al CESIS esercita «l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento»786 dell'intero apparato. 31 ottobre. Sul Monte Covello, in provincia di Catanzaro, precipita un elicottero, al suo interno il comandante dei carabinieri Enrico Mino e altri cinque militari. Tutti e sei periscono nello schianto, provocato ufficialmente dalle cattive condizioni metereologiche. Il generale, in odore di P2, un mese prima si era incontrato con il leader dei radicali Marco Pannella in via non ufficiale. Questi, ricordando l’episodio alla Commissione Stragi, affermò come Mino gli avesse detto: «Non userò più l’elicottero per qualsiasi ragione»787. 9 novembre. Sulle vetrine delle filiali milanesi del Banco Ambrosiano vengono affissi manifesti in cui si accusa pesantemente il direttore Roberto Calvi di truffa e appropriazione indebita. L’autore di tale manovra ricattatoria era Michele Sindona, che servendosi di un altro personaggio già ben visto come Luigi Cavallo con una campagna di stampa offensiva, sperava di ottenere un riscatto per salvare le sue banche in crisi. È il primo scricchiolio palese che porterà al crack della banca e alla morte di Calvi nel 1982 in circostanze quantomeno sospette. 16 novembre. Un commando di brigatisti entra nell’androne di casa di Carlo Casalegno, vicedirettore de “La Stampa”, mentre rientra per il pranzo e gli spara a bruciapelo. Ferito in modo gravissimo, perirà dopo 13 giorni di agonia in ospedale. Responsabile principale dell’omicidio è Raffaele Fiore, poi tra i protagonisti dell’agguato di Via Fani. 786 L’Unità, 24.06.1977. 787 Commissione Stragi, audizione dell’onorevole Marco Pannella, 28.01.1998, https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno29.htm. 202 20 novembre. Su “l’Unità” esce un interessante articolo nel quale il presidente del PCI Luigi Longo attacca i brigatisti e la lotta armata in generale, ritenuta strumento al soldo dei potenti: C'è in questi atti - non importa in nome di che cosa e sotto quale etichetta vengono compiuti - una logica che ci è nota, un modus operandi che reca, inconfondibile, il marchio del tentativo reazionario. Di questa strategia, coloro che compiono materialmente l'attentato non sono che tristi esecutori. In ben altre sedi, italiane e straniere, si elaborano i piani eversivi, si prepara con evidente intelligenza politica l'attacco alla Repubblica e· alla costituzione788. 7 dicembre. Il P.M. Alberto Dell’Orco della procura di Roma chiede al giudice istruttore Francesco Amato il proscioglimento per Edgardo Sogno in quanto «al collegamento inizialmente intravisto tra i cospicui finanziamenti erogati a Sogno dalla Società per azioni FIAT e da altri ambienti industriali e i progetti eversivi dell'imputato, è mancato ogni dato di seria e univoca significazione al riguardo»789. Quanto a Cavallo è sì un provocatore certificato ma poco importa, mentre su Pacciardi non c’è niente di concreto: per tutti gli imputati arriverà l’assoluzione il 12 settembre dell’anno seguente perché il fatto non sussiste nonostante si legga nella sentenza che «Il segreto di Stato ha impedito al giudice di conoscere e verificare le notizie in possesso del SID e di approfondire la ventilata ipotesi di un'attività eversiva di Sogno»790. Una sentenza che arriverà nel quasi silenzio generale. 14 dicembre. Nel processo Borghese Vito Miceli ammette davanti alla corte che il SID parallelo non è un’invenzione: «Un tale organismo segretissimo esisteva già prima che io assumessi il comando del SID e funziona tuttora. È una struttura che, se vista dal di fuori da un profano, può anche dare l'impressione di un organismo non propriamente regolare»791. Alla richiesta di maggiori informazioni dirà ovviamente di chiedere alle massime autorità statali. E ciò in effetti avverrà a gennaio quando si presenterà come teste Giulio Andreotti, il quale dirà che «In periodo di pace non esiste un servizio del genere»792. 788 Luigi Longo, Basta con il terrorismo e l’inefficienza, “l’Unità, 20.11.1977. 789 Requisitoria del pubblico ministero di Roma dottor Alberto Dell'Orco. 790 Sentenza del giudice istruttore di Roma dottor Francesco Amato. 791 Atti Corte d'Assise di Roma. 792 Ibidem. 203 Capitolo XVI: le tre sentenze, l’appendice Salvini e il memoriale Veniamo ora alla parte finale di questo lungo viaggio che nel luglio del 1978 porta alla sentenza della Corte d’Assise di Roma. Non può essere dimenticato che tale provvedimento arriva a poco più di due mesi dall’assassinio di Aldo Moro e a tre dall’agguato di Via Fani: un evento di una portata storica incommensurabile e che ha cambiato la storia italiana in modo decisivo, di cui ovviamente si è detto di tutto e di più. Come già dichiarato, all’avviso di parecchi studiosi e dello scrivente, parliamo del primo golpe riuscito della storia italiana. 16.1 - 1978 «Non ci fu nessun golpe Borghese»793. Il 15 luglio del 1978 la prima Corte d’Assise di Roma esprime il suo primo verdetto, una verità ovviamente sconcertante alla luce di ciò che è visto in queste pagine ma non per i giudici romani. Dopo 54 ore e mezzo di camera di consiglio i giudici hanno emesso la loro sentenza: su 75 imputati i condannati in totale sono 46, cade la grave accusa di insurrezione armata, sostituita da quella più blanda di associazione sovversiva. Per la Corte i cospiratori si mobilitarono solo per una manifestazione violenta ma di per sé «inidonea a realizzare l’evento previsto». In pratica la notte dell’Immacolata nessuno di AN era entrato nel Viminale, nessuno si era riunito nel cantiere di Orlandini, nessuno aveva progettato di uccidere il capo della polizia Vicari e i parà nella palestra di via Eleniana era lì solo per vedere un film. Quanto ai quasi duecento forestali erano a Roma solo per un’esercitazione, rinviata poi per la pioggia. Le condanne di conseguenza non poterono essere che minime: per quanto riguarda le personalità di prim’ordine Orlandini ricevette dieci anni, Rosa otto, Lo Vecchio otto, Saccucci quattro, Delle Chiaie cinque, Pomar quattro, Micalizio quattro, Drago tre, Spiazzi cinque. Assolto «per non aver commesso il fatto» Miceli: se il golpe Borghese non esiste l’ex capo del SID non può aver aiutato nessuno e omesso informazioni. Stessa sentenza venne espressa per Berti, Monti, Capanna, Pecorella e De Jorio. Tra i condannati legati al progetto della Rosa dei venti vennero stabiliti cinque anni di carcere per Zagolin, Rampazzo, De Marchi e Cavallaro, quattro per Nardella. Quanto al SID parallelo come previsto ampiamente viene ridotto a un’invenzione dovuta a «eclatanti insinuazioni frutto di avventati, deprecabili espedienti diretti a confondere il lavoro degli inquirenti»794. Claudio Vitalone, pubblico ministero nel processo, annunciò subito la volontà di presentare ricorso contro le sentenze, in primis per le assoluzioni. «Destano a dir poco 793 Aldo Zeri, Cospiratori, non golpisti, “Il Gazzettino”, 15.07. 1978. 794 Sentenza della Corte d’Assise di Roma, 14.07.1978. 204 stupore le assoluzioni con formula ampia decretate a favore del generale Vito Miceli e del colonnello Luciano Berti. Per comprendere appieno il significato di una sentenza di tale portata occorre attendere il deposito in cancelleria della motivazione»795, dirà il magistrato il giorno dopo. Riguardo alle condanne annunciò ugualmente di voler fare ricorso, avendo in effetti chiesto pene complessive ben più gravi, per esempio 25 anni per Orlandini, ma si dirà comunque soddisfatto. La sentenza costituisce per Vitalone una «sonora smentita per quanti avevano voluto vedere nel processo una montatura politica». Un atteggiamento piuttosto ambiguo, quello tenuto dal PM, in seguito senatore della DC fino al 1994 e fedelissimo di Andreotti. Se da una parte dice di voler fare ricorso per le condanne lievi e le assoluzioni, dall’altra si dichiara soddisfatto per le pene inflitte. Come nella requisitoria del ‘75 Vitalone di nuovo fa tanto rumore per nulla. Tornando a Miceli, per l’ex capo del SID erano stati richiesti tre anni di carcere per favoreggiamento, in quanto era caduta l’accusa di cospirazione contro lo stato chiesta dalla procura di Padova. Un fatto già detto in questa sede ma su cui vale la pena insistere, poiché per i giudici di Roma Vito Miceli, generale e comandante dei servizi segreti, avrebbe fatto da palo a una banda di rubagalline. I suoi difensori e quelli di Berti riguardo alla sentenza si dichiararono ovviamente soddisfatti, in quanto i giudici della Corte d’Assise avevano dimostrato «coraggio e scrupolosità nel loro operato». I legali dei condannati infine dichiararono come Vitalone di voler far ricorso ma per motivazioni chiaramente diverse, in quanto i loro assistiti erano stati perseguiti per un motivo ideologico. In quanto alla stampa comunista come logico accolse la sentenza con una certa amarezza, evidenziando giustamente che, secondo i giudici, «gli uomini del Fronte Nazionale hanno cospirato per quasi cinque anni contro le istituzioni ma all’atto pratico non hanno mai realizzato niente»796. Complottavano in pratica solo sulla carta, secondo la procura: non è andata proprio così. 16.2 - 1984 Se la sentenza di primo grado era stata molto prevedibile, ancor più è quella d’appello dove si conferma la tradizione italiana di trasformare in secondo grado le condanne in assoluzioni in una non banale percentuale dei casi. La Corte d’Assise di Roma infatti il 27 novembre del 1984 assolve dal reato di cospirazione tutti i 46 imputati condannati in primo grado in quanto «il fatto non sussiste»797. Nella sentenza si legge che: 795 Il pm Vitalone ha appellato la sentenza Borghese, “Il Gazzettino”, 16.07.1978. 796 Fulvio Casali, Il PM contro la sentenza per il golpe di Borghese, “l’Unità”, 16.07.1978. 797 Nessuno golpe di Borghese, tutti assolti in appello i 46 imputati, “Il Gazzettino”, 28.11.1984. 205 I clamorosi eventi della notte in argomento si siano concretati nel conciliabolo di quattro o cinque sessantenni nello studio di commercialista dell'imputato Mario Rosa, nella adunata semipubblica di qualche decina di persone nei locali della sede centrale del Fronte Nazionale, nel dislocamento di uno sparuto gruppo di giovinastri in una zona periferica e strategicamente insignificante dell'agglomerato urbano, nel concentramento di un imprecisato numero di individui, alcuni certamente armati ma i più sicuramente non molto determinati, nella zona di Montesacro, in un cantiere impiantato dall'impresa di Remo Orlandini, e, da ultimo, nella riunione di cento o duecento persone, fra uomini e donne, senza armi in una palestra gestita dall'associazione paracadutisti nella via Eleniana di Roma798. Inoltre veniva letteralmente minimizzata e messa in toni pateticamente ridicoli l’attività del FN, i cui membri venivano definiti «esaltati, se non mentecatti, di ogni risma» in preda a «fantasie apparse subito comiche». I toni della sentenza della sentenza sono irridenti a tal punto da aprire un’ipotesi non del tutto campata in aria: La motivazione è a tal punto paradossale da autorizzare anche l’interpretazione secondo cui i giudici di secondo grado compresero che i congiurati erano controllati dall’alto e che l’artificio del trasferimento del processo aveva tagliato fuori l’organizzazione cui tale controllo era imputabile799. In questo modo vengono prosciolti da ogni accusa Orlandini, Rosa, Saccucci, Delle Chiaie, Spiazzi e compagnia. Una sentenza assurda se si considera che siamo nel 1984 e si è reduci da ulteriori eventi tragici che hanno visto coinvolti molti dei protagonisti del golpe Borghese: «Prove contrarie, testimonianze, ammissioni gravissime da parte di molti imputati anche negli anni successivi, non hanno evidentemente convinto i giudici»800. Perdipiù nel 1981 era stata istituita una specifica commissione parlamentare presieduta dall’Onorevole Tina Anselmi, la commissione P2, che aveva dimostrato, tra le altre cose, come i tentativi eversivi degli anni ‘70 fossero reali e non la fantasia di qualche giudice o giornalista di sinistra. Si legge infatti che nel golpe Borghese «Appare sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio Gelli e di uomini della loggia»801, ricordando sempre che quello del Gran Maestro della P2 è uno dei nomi spariti dal “malloppone” nel 1974 dopo la revisione di Andreotti. Il punto rilevante non è qui la massoneria di per sé ma molto semplicemente che un atto ufficiale dello stato, prodotto quasi in contemporanea, non sia stato minimamente preso in considerazione dai giudici romani. Nonostante gli atti della Commissione documentino con precisione i fatti grazie alla testimonianza di personaggi coinvolti direttamente, per la Corte d’Assise nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 non è successo assolutamente niente, né prima né dopo. Nonostante una sfilza di documenti, intercettazioni e confessioni, organizzazioni come il FN o la 798 Documento XXIII n. 64, volume I, tomo II, Atti della Commissione stragi, 2001, p. 158. 799 Giovanni Tamburino, op. cit., p. 80n. 800 Golpe Borghese «Il fatto non sussiste»: tutti assolti, "l'Unità", 28.11.1984. 801 Relazione parlamentare sulla loggia massonica P2, documento XXIII n. 2, 1982, p. 87. 206 Rosa dei venti non avevano mai cospirato contro lo Stato ma erano banali bande di esaltati. Gli unici condannati sono personaggi di secondo piano della Rosa dei venti come Giampaolo Porta Casucci o Sandro Rampazzo, per i quali è confermata l'accusa di detenzione e porto d’armi da fuoco. 16.3 - 1986 «Il golpe Borghese non c’è mai stato»802. Il 24 marzo del 1986 la Cassazione chiude definitivamente il processo per il tentativo di colpo di stato del 1970. La suprema corte infatti conferma la sentenza emessa un anno e mezzo prima dalla Corte d’Assise che assolveva tutti i 46 imputati condannati in primo grado. Lievi pene vengono confermate a cinque protagonisti ritenuti minori: alcuni sono veramente tali, come Ignazio Cricchio, altri invece come Dario Zagolin, la cui figura verrà approfondita parecchi anni dopo803, non lo sono del tutto. Zagolin, così come Saccucci, Delle Chiaie, Lercari, Pomar e altri protagonisti del terrorismo nero, da anni era latitante all’estero. L’aiuto e la protezione che questi ricevevano sia in Sudamerica sia in Francia e Spagna è un punto molto interessante che qui non può essere trattato per logiche motivazioni. Resta il fatto che parecchi di questi terroristi all’estero servivano i vari regimi e governi spesso per azioni sporche e di repressione804. La sentenza in conclusione mette la parola fine ad anni di indagini giudiziarie e giornalistiche che secondo detto quanto dalla Cassazione erano basate praticamente sul nulla poiché non era di fatto successo niente quella famosa notte di sedici anni prima. La parte più assurda è che vengono assolte persone come Cavallaro che aveva confessato di tutto e di più ma ciononostante resta un cittadino libero: il potere, piuttosto che ammettere le proprie colpe, preferisce mettere la polvere sotto un tappeto e andare avanti facendo finta che non sia successo niente. Forse non è un caso che in quel momento a presiedere la Cassazione vi sia Corrado Carnevale, giudice quanto mai controverso, detto «l'ammazzasentenze» e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa805. Come uno scherzo del destino due giorni dopo a Milano verranno celebrati i funerali di Michele Sindona, morto il 22 marzo in carcere a Voghera dopo aver bevuto 802 “La Repubblica”, 26.03.1986. 803 La figura di Zagolin meriterebbe un approfondimento ad hoc che in questa sede è impossibile. Secondo la testimonianza raccolta dal giudice Salvini di un altro informatore dei servizi, Gianfranco Belloni, nel 1972 Zagolin si era incontrato sia con Clemente Graziani sia con Licio Gelli. Due anni dopo il giudice Tamburino emetterà un mandato di cattura nei suoi confronti ma fuggirà a Parigi grazie alla complicità del comandante dei CC di Padova Manlio Del Gaudio, piduista. 804 Rilevante in tale contesto la figura di Delle Chiaie, al servizio dei servizi spagnoli per la repressione dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna), al servizio della CIA in Nicaragua e dei regimi cileno e boliviano. 805 Si veda, a titolo esemplificativo, Antonio Palma, “Falcone esaltato oltre i suoi meriti, voleva fare carriera”, le parole dell’ex giudice Carnevale, Fanpage.it, https://www.fanpage.it/https://www.fanpage.it/attualita/falcone-esaltato- oltre-i-suoi-meriti-voleva-fare-carriera-le-parole-dellex-giudice-carnevale/, 23.05.2022 o Il curriculum di Corrado Carnevale, 19luglio1992.com, https://www.19luglio1992.com/il-curriculum-di-corrado-carnevale/. 207 un caffè corretto al cianuro di potassio. Un altro personaggio che ha portato con sé nella tomba la maggior parte dei segreti sull’Italia e non solo. 16.4 - L’appendice di Guido Salvini Il giudice istruttore di Milano Guido Salvini nel 1995 e nel 1998 emette due sentenze- ordinanze di portata storica inusitata. Partendo dall’indagine sulle attività del gruppo terroristico milanese La Fenice di Giancarlo Rognoni, il giudice riuscirà a far luce sugli episodi centrali della strategia della tensione che per anni sono rimasti celati o nascosti. Piazza Fontana, il gruppo Freda, i MAR, la Rosa dei venti e il golpe Borghese: tutti verranno approfonditamente scandagliati, per arrivare a una verità storica di indubbio valore. Riguardo ai fatti del 1970 nella sentenza-ordinanza vi è dedicata l’intera quinta parte, intitolata “La testimonianza del capitano Antonio Labruna e la consegna dei nastri magnetici concernenti il golpe Borghese e la Rosa dei Venti”806. Antonio Labruna, detto Tonino, entra nel 1950 nei carabinieri. Dal 1967 è al SID, prima al centro tecnico e poi dal 1971 al NOD, facendo per anni da braccio destro al comandante del reparto D Maletti. È coinvolto nei fatti di piazza Fontana in quanto aveva favorito l’espatrio di Marco Pozzan e contribuito economicamente alla fuga di Guido Giannettini: per tali motivi sarà condannato a 10 mesi di reclusione nel 1987. Ormai caduto in disgrazia, andrà in congedo nel 1990 con il grado di colonnello. Dal 1991 inizia a collaborare con il giudice Salvini, un modo per riabilitare la propria figura ormai compromessa presso l’opinione pubblica. Possiamo dire che vi riesce, in quanto Labruna si dimostrò nelle operazioni sotto copertura decisamente capace e usato invece come capro espiatorio di tutte le malefatte del SID delle quali si era macchiato in vari casi il suo superiore Maletti. Labruna all’ufficio di Salvini nel 1991 consegna una sfilza di materiale che dimostra la classica prassi del SID: sanno tutto e di tutti, peccato però che all'autorità giudiziaria consegnino ciò che più aggrada. In sintesi si tratta: 1. dei nastri magnetici del 1974 (dieci per la precisione), consegnati all’epoca dopo essere stati manipolati e oltretutto non completi; 2. di una relazione di Giannettini sul golpe Borghese dalla quale era sparita la nota relativa all’ammiraglio Torrisi; 3. di un’altra relazione, autore Guido Paglia, relativa al coinvolgimento di AN nel golpe, trasmessa a Maletti e da questi cestinata807. 806 S.O. Salvini, 1995, p. 170. 807 Ivi, p. 173. 208 Labruna disse a Salvini di essersi infiltrato da Orlandini dal 1973 tramite il contatto di un armatore napoletano che nel 1970 avrebbe messo a disposizione le sue navi per il trasporto in Sardegna degli oppositori. Una volta entrato in confidenza, Orlandini gli aveva rivelato «pressoché ogni cosa sui progetti golpisti precedenti e su quelli ancora in corso e, all'insaputa dell'Orlandini, tutti gli incontri, ad eccezione del primo che aveva avuto solo carattere interlocutorio, erano stati registrati dall'ufficiale808». L’anno dopo Labruna afferma di aver convinto a collaborare Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti, nonostante affermi che entrambi sapessero che le informazioni ricavate sarebbero state usate contro il FN. Quanto ai nastri, una volta dattiloscritti, venivano consegnati a Maletti e al colonnello Romagnoli. Una volta terminata l’indagine, ovvero il luglio 1974, si tenne una riunione nell’ufficio di Andreotti a cui parteciparono il nuovo direttore del SID Casardi, il comandante dell’Arma Mino, Maletti, Romagnoli e in un secondo momento Labruna. Andreotti al termine dell’incontro consigliò di «sfrondare il malloppo» e in un appunto interno del SID vi era scritta la necessità di evitare «l'ingiusto discredito ad alcuni ufficiali e alle FF.AA. come tali809». A settembre il rapporto verrà trasmesso all’autorità giudiziaria di Roma molto alleggerito come già detto nei capitoli precedenti. I nastri di cui si è fatta menzione contengono una serie di rivelazioni decisamente pesanti, alcune già in ogni caso note: ● I contatti tra i golpisti e i gli stati maggiori americani erano tenuti dal costruttore romano Gianfranco Talenti e dall’ingegnere Hugh Fenwick, direttore della Selenia810; ● Sin dal periodo precedente al tentativo del 1970 almeno 3.000 ufficiali iscritti alla massoneria avevano aderito ai gruppi golpisti, pronti al "momento x" a essere al fianco del tentativo di mutamento istituzionale; ● A Malta era presente la flotta americana che avrebbe fornito supporto; ● L’elevato numero di alti ufficiali dell'esercito e dei carabinieri, di funzionari di polizia, di professionisti, di diplomatici e di magistrati militari aderenti al progetto di golpe. Il quadro delineato dalle registrazioni è significativo perché dimostra la volontà dei responsabili del Reparto D di potare i rami secchi proteggendo invece i personaggi di maggior rilievo, sia civili sia militari, da una incriminazione o quantomeno da una indesiderata pubblicità. Una scelta dovuta al mutamento dei tempi: la caduta dei regimi fascisti in Portogallo, Grecia e Spagna aveva segnato la fine di un’epoca e il 808 Ivi, p. 176. 809 Ivi, p. 177. 810 Incarico di copertura in quanto Fenwick era legato alla CIA ed era il legale rappresentante del partito repubblicano in Italia. 209 favoreggiamento se non il supporto ai gruppi terroristici di estrema destra in Italia andava rimodulato. Si tratta, ancora una volta, di uno dei motivi per il quale il golpe Borghese fu fatto appositamente fallire. 16.5 Il memoriale Borghese Il più volte citato Aldo Giannuli negli anni ‘90 e nei primi 2000 è stato in diverse occasioni perito per le procure che indagavano sulle stragi degli anni di piombo, tra cui quella di Brescia nel 2003. Ebbene, al professore, viene chiesta la perizia per un presunto testamento di Borghese ritrovato per una serie di coincidenze fortuite in un cassetto di un mobile appartenuto a Enrico De Boccard, personaggio dell’estrema destra già trovato al tempo del convegno dell’Istituto Pollio nel 1965 in quanto uno degli organizzatori dell’evento e legato ai servizi811. Oltre alla lettera-testamento, nello stesso luogo venivano ritrovati degli appunti e una lettera datata 1976 a firma “Isla”. La lettera di Borghese può essere datata tra il 1970 e il 1978812, quella a firma Isla tra la morte di Borghese e il ’78, idem il brogliaccio. Tale materiale non è stato vergato a mano ma dattiloscritto e perdipiù è interamente fotocopiato, con cancellature e di basse qualità813: per tutti questi motivi stabilirne con certezza l’autenticità è pressoché impossibile. Va sottolineato che Borghese pubblicamente non aveva mai ammesso di aver tentato il golpe, idem i suoi legali, però nel suo ambiente è invece plausibile che giustificasse le proprie azioni soprattutto per il fatto di riabilitare la sua figura ampiamente compromessa dopo il clamoroso dietrofront nella notte di Tora-Tora. In conclusione, per il professor Giannuli L’ipotesi più plausibile è che il testo provenisse effettivamente da Borghese o da persona a lui molto vicina, così da poter essere ritenuto autentico, e come tale è stato passato in copia a poche persone e De Boccard per la sua passata militanza nella RSI e per la sua appartenenza al gruppo dirigente della destra radicale aveva ottime probabilità di essere fra i pochi destinatari di quella confidenza.814 Il memoriale, caricato per intero nella sezione allegati, presenta innanzitutto quattro tipi di segni: 1. Quelli dattiloscritti dell’autore, 2. Quelli scritti a mano dall’autore, 3. Quelli dell’intermediario che ha consegnato il documento a De Boccard (cancellature dei nomi), 4. Quelli forse di De Boccard stesso o di altri lettori (es. le sottolineature). Si evidenziano parecchi errori, sia di battitura sia ortografici, segno che l’autore aveva limitate capacità dattilografiche. 811 Ex agente del Sid il giornalista arrestato per le “trame nere”, “La Stampa”, 18.02.1975. 812 Nel 1978 Enrico De Boccard viene colpito da un ictus che lo ridurrà in stato pressocché vegetativo, morendo dieci anni più tardi. Non vi motivo per cui i documenti gli siano stati mandati in data successiva, considerata la sua situazione fisica. 813 Allegato n. 8 814 Solange Manfredi, op. cit., p. 29. 210 Sul piano del contenuto, oltre ad alcune parte già citate in queste pagine, è interessante la parte nella quale Borghese racconta dei contatti presi prima del golpe con il Vaticano, nei cui ambienti il Principe Nero affermò di aver trovato parecchia ostilità eccezion fatta «della benevolenza e della comprensione del Cardinale Tisserant che, con il Santo Sepolcro, poteva contare su di una rete capillare con sviluppo mondiale»815. Il riferimento è a Eugene Tisserant, cardinale decano che presiedette due conclavi (1958 e 1963) e dal 1960 fino alla morte nel 1972 Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Altrettanto rilevante la parte finale, nella quale un ormai rassegnato Borghese lancia le ultime invettive: Unicamente all’ingenuità di un Capitano del SIOS, al suo Generale e al Colonnello Genovesi, l’Italia deve il suo progressivo soccombere a la sua sistematicità spogliazione. Il mio spirito spirito ha cessato di essere dalla mattina del dicembre 1970 mentre, alla 1,49, riappoggiavo la cornetta del telefono. Il prosieguo non è stato che un’inutile sopravvivenza del corpo.816 La lettera a firma “Isla” porta la data del 18 gennaio 1976: in questa l’omonima autrice, si rivolge a un “Comandante” che però non Borghese, in quanto quest’ultimo viene chiamato “Principe” poche righe più sotto. Il contenuto della lettera può essere così riassunto: 1. Borghese poca prima di morire aveva subito un tentativo di investimento; 2. Dopo questo fatto il marito della sorella di Isla in quanto ufficiale di sicurezza lo convince a disfarsi di alcuni documenti scottanti; 3. In Italia qualcuno è pronto a fare dei ricatti a personaggi politici e pubblici di notevole peso, utilizzando del materiale che ha Borghese nel suo archivio personale. Vengono citati Mariano Rumor, Mario Tanassi, Enrico Colombo, Giovanni Pieraccini, Gianni Santacatterina (genero di Saragat), Luigi Gui, Italo Viglianesi, Filippo Carpi De Resmini (presidente ACI817), Flaminio Piccoli, Athos Valsecchi, Cesare Bensi, Francesco Forte (vicepresidente ENI) e Paolo Emilio Taviani. Si legge che questi avevano fatto di tutto, «dalla truffa allo stato all’usura, alla violenza carnale, al traffico della cocaina e delle armi, ai falsi titoli di dottore e all’uccisione di partigiani per interesse e invertizione»818; 4. Oltre a Isla insieme a Borghese c’è spesso una donna, italiana, il cui nome viene però regolarmente cancellato nella lettera; 5. Sul Principe c’è una taglia segreta a causa del suo archivio, Isla parla di strani movimenti a Cadice dove Borghese soggiornava. Il Principe nel frattempo dal 2 815 Ibidem, p. 40. 816 Ibidem, p. 43. 817 Automobile Club d’Italia. 818 Solange Manfredi, op. cit., p. 45-46. 211 agosto ha iniziato a stare male e inizia a dettare a lei una lettera per evitare essere coinvolto nei ricatti di cui si è detto prima; 6. Borghese fa promettere a Isla di far avere il memoriale ai suoi amici italiani; 7. Borghese muore il 26, Isla viene fatta espatriare in Brasile con un passaporto falso. Nel frattempo aveva consegnato ai servizi segreti spagnoli il suo speciale archivio. La lettera sarebbe stata completata ma non il memoriale a causa dell’improvvisa morte del Principe, le cui condizioni di salute avevano condizionato la parte finale della dettatura. 212 Conclusione e giudizi finali In sede finale partiamo dai servizi segreti, probabilmente l’elemento più ricorrente in questa analisi storica che parte dalla fine della guerra e arriva alla fine degli anni ‘70, nei fatti il trait d’union di questo periodo. Innanzitutto si ritiene doveroso fare una considerazione: è assurdo come nella vulgata comune sui fatti di sangue e sulle stragi degli anni ‘70 si senta ancora usare, troppo per la verità, l’espressione «le stragi sono un mistero» e concetti simili: niente di più falso. Pur rimanendo delle zone d’ombra si è riusciti a far emergere una buona parte di verità, che pur non portando quasi mai a condanne effettive, sia per la prescrizione dei reati sia per il decesso degli imputati, ha quantomeno creato ampi coni di luce. Così come definire i servizi segreti come “deviati”, espressione tanto cara alla narrazione nazionalpopolare che per anni ha cercato di ridurre le malefatte dei servizi all’operato di singole mele marce. Non è necessario scavare molto a fondo per notare come tutti i capi dei vari SIFAR, SID, SISMI, UAARR e SISDE siano stati implicati in tutte le torbide vicende italiane dal dopoguerra in poi, è una serie talmente lunga di fatti e operazioni che non si può ridurre il comportamento all’azione dei singoli. Come infatti afferma uno dei principali esperti in materia, il professor Aldo Giannuli, «non ha senso parlare di servizi segreti deviati in quanto la loro esistenza è di per sé una deviazione da qualunque percorso democratico»819. Se c’è infatti una verità assoluta emersa in tutti i processi per strage è il depistaggio costante compiuto da uomini dei servizi segreti che alterando la verità hanno impedito che si arrivasse a una verità giudiziaria. Ritengo pertanto che chi nel 2023 usi ancora questa espressione o è male informato o è in malafede, dispiace scriverlo ma è così: non si può ancora oggi essere così ingenui. Per esempio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ricordare la strage di Bologna del 2 agosto 1980, ha parlato di «agenti infedeli di apparati dello Stato»820: una dichiarazione quanto meno banalizzante perché in quel momento i capi dei tre servizi segreti italiani (CESIS, SISDE, SISMI) erano affiliati alla P2, non parliamo proprio di semplici agenti. La stessa magistratura, come già detto nell’introduzione, non è in ogni caso esente da responsabilità. Si sono visti durante queste pagine tre diversi livelli operativi: la zona bianca ovvero quella della politica, la zona nera dei terroristi e a metà via la fantomatica zona grigia. Si tratta di quella terra di mezzo la cui esistenza spiega sia i meccanismi che per cinquanta anni hanno permesso di realizzare la strategia terroristica sia perché gli esecutori l’abbiano quasi sempre fatta franca. E’ una strategia anticomunista internazionale che nasce appena terminato il secondo conflitto mondiale, se non 819 https://www.youtube.com/watch?v=tVsatcQVdao, min. 820 https://www.quirinale.it/elementi/93815. 213 prima, e che termina solamente con la caduta del muro di Berlino e il successivo crollo dell’Unione Sovietica. Il punto di partenza generale lo si può fissare con il discorso tenuto dal presidente americano Harry Truman il 12 marzo 1947 davanti al Congresso nel quale annunciava un poderoso piano di aiuti economici per Grecia e Turchia. Truman dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero aiutato ogni popolo in caso di tentativi di asservimento, operati da forze interne o straniere, con riferimento implicito ai sovietici: è la nuova politica estera americana, la cosiddetta “Dottrina Truman”, la guerra fredda è iniziata. Pochissimo tempo dopo in Italia abbiamo la prima strage politica, a Portella della Ginestra, della quale se all’epoca si fossero scoperti i mandanti molto probabilmente la storia italiana avrebbe avuto un’altra direzione. La fine della strategia terroristica in Italia, a differenza del resto del mondo occidentale, avviene qualche anno dopo in quanto le stragi mafiose del 1992 e 1993 non possono essere lette in modo autonomo ma vanno a inserirsi in questo contesto come colpo di coda. Come ribadito più volte in queste pagine la spiegazione arriva allargando lo sguardo: se la guerra fredda è ormai finita, in Italia in quel momento si era nel bel mezzo della bufera di Tangentopoli che avrebbe segnato di lì a breve la fine della Prima Repubblica e la nascita della Seconda. Già nel ’93 era arrivata la prima spallata con il referendum che introdusse il sistema elettorale maggioritario e la seconda, devastante, arriva con le elezioni politiche del marzo ’94 che segnano la fine del dominio della DC durato mezzo secolo. Un altro punto importante da mettere in luce riguarda il ruolo che hanno avuto le forze armate in tutte queste vicende: se dei servizi segreti si è detto molto, l’esercito pare avere un ruolo rilevante solo nella fase teorica della strategia della tensione. Il più volte menzionato convegno dell’Istituto Pollio del 1965 era stato infatti finanziato direttamente dal generale Aloia, protagonista poi della diatriba con il collega De Lorenzo dalla quale entrambi usciranno perdenti. Dopo di loro però i vertici militari sembrano aver avuto un ruolo più marginale nelle vicende dei primi anni ’70, a cui risultano collegati personaggi più di secondo piano. Non è proprio così ma è un’idea che non a caso per lungo tempo si è voluta far passare: è sufficiente ricordare il coinvolgimento nel golpe Borghese dei vertici della Marina e dell’Aeronautica Militare. I nomi di Birindelli, Torrisi, Roselli Lorenzini e Fanali nelle varie inchieste giudiziarie sono stati a lungo occultati, permettendo loro di continuare tranquillamente a far carriera. Il problema a grandi linee è sempre lo stesso, un disco rotto che non si riesce a far funzionare: i tentativi eversivi di Borghese e della Rosa dei venti sono stati ridotti a livello giudiziario ad aria fritta e più in generale il golpismo italiano è stato a lungo ritenuto «da operetta», per citare D’Amato. Nei primi anni ‘70 e non solo si è sempre sostenuta infatti la tesi che i tentativi eversivi italiani erano solo opera di quattro pensionati nostalgici e quasi patetici. La realtà dei fatti è stata 214 ben diversa altrimenti non si spiegherebbe l’impegno tenuto da tribunali, autorità e mondo politico per ridurlo a poca cosa: se erano veramente quattro straccioni perché adoperarsi tanto? Quanto al ruolo tenuto dai vertici militari nei tentativi eversivi esso è stato senza dubbio primario, un perno fondamentale in quello che è stato chiamato partito del golpe. Infatti la tattica usata a lungo dai gruppi dell’estrema destra, numericamente insufficienti per una svolta autoritaria, era affidarsi all’esercito: si puntava così a innalzare il livello del terrore e della violenza con attentati e lo scontro sistematico con i militanti di sinistra, in modo da rendere ingovernabile il Paese e favorire il pronunciamento militare. C’è una domanda da farsi in ogni caso: generali e colonnelli si sarebbero veramente sollevati in un’avventura golpista dai rischi incalcolabili? Va considerato infatti che sarebbe una semplificazione ritenere tutti gli apparati delle forze armate favorevoli a una soluzione autoritaria, seppur parecchi elementi dei vertici però sicuramente lo erano. Non tutti apprezzavano l’idea del golpe armato, per esempio Marchesi, ritenendo probabilmente non a torto che l’Italia sarebbe piombata in una guerra civile o che da una situazione simile le sinistre ne sarebbero uscite rinforzate. Questo ultimo discorso dà l’assist per una questione dibattuta che va affrontata: la strategia della tensione ha funzionato? All’apparenza si potrebbe dire di no in quanto il PCI dal 1963 in poi ha praticamente sempre aumentato il numero dei voti, raggiungendo nel 1976 tra Camera e Senato oltre 23 milioni di preferenze, sfondando la fatidica quota del 30%: più di un italiano su tre votava comunista. Tutto questo nonostante sia avvenuta in contemporanea quella che è stata definita una guerra civile a bassa intensità: la strategia della tensione se non a livello elettorale raggiunge il proprio fine nel cambiare radicalmente faccia all’Italia; inevitabilmente dopo una decina d'anni di vicende cruente il Paese non può per forza essere più lo stesso. Piazza Fontana è la rottura totale con il 25 aprile e il miracolo economico nazionale del ventennio precedente. È da allora che l’Italia è una scheggia impazzita, vittima di un viaggio allucinante che ancora risente degli echi degli anni ‘70 e che ci porta sempre più in basso: fino a dove staremo a vedere. Sicuramente però al popolo italiano va riconosciuto il merito di non aver perso la bussola, neanche nei momenti più difficili: la stragrande maggioranza della popolazione non ha mai richiesto un governo autoritario, dimostrando una così grande fermezza, per esempio dopo Piazza Fontana, che sicuramente gli eversori non si aspettavano. Dopo la fine dello stragismo si è spesso sentito dire che le istituzioni democratiche hanno retto e che la strategia della tensione è stata battuta: è vero solo in parte. Come già detto in precedenza dopo la svolta del ‘74 prende un ruolo sempre più rilevante la P2 che, dopo aver lavorato a fianco degli estremisti neri, con il Piano di rinascita democratica diventa il vero centro della lotta eversiva. Era ormai infatti evidente che le istituzioni non si potevano 215 rompere con un attacco frontale ma conveniva svuotarle dall’interno, andando ad occupare i ruoli nevralgici (ministeri, forze armate, servizi segreti, editoria, ecc.). Quanto al terrorismo di estrema destra esso invece si evolve in qualcosa di diverso dal passato, non c’è più quell’ideologia di base e delle guide carismatiche com’era stato per ON e AN ma nell’enorme vuoto provocato dalla fuga all’estero dei protagonisti si inseriscono nuovi giovani attori che avranno il loro momento di massima risonanza con la strage di Bologna. Chi mette però il cappello è Gelli, come già ricordato mandante riconosciuto dell’attentato. In ogni caso se la strategia della tensione tecnicamente ha perso, ha senza dubbio vinto quella della paura o del terrore. Detto questo, torniamo alla vicenda centrale del golpe Borghese, della quale credo si sia detto molto in questa trattazione e di cui una certa valutazione è già stata data. Per arrivare alla formulazione di questo giudizio e permettere una ricostruzione storica di quegli anni è stata a dir poco fondamentale l’opera di Gianni Flamini, capace di ricostruire a poco più di dieci anni di distanza le vicende che hanno cambiato la storia italiana. Il lavoro del giornalista bolognese, esponente di quei cronisti da prima linea noti come «pistaroli», è la base di partenza necessaria e imprescindibile per qualsiasi studioso in quanto dà una prima ricostruzione ancora a caldo ma già dettagliata e precisa. È chiaro che «Il partito del golpe» è uscito quarant'anni fa e che ora abbiamo a disposizione nuove informazioni che all’epoca non c’erano: nella vicenda di Borghese sono state però confermate buona parte delle ricostruzioni di Flamini, ampliando il numero di persone coinvolte e la trama eversiva, non alterando nella sostanza la sua versione dei fatti. Insomma, era ancora peggio di quanto pensava. Altrettanto importanti sono state due fonti giornalistiche molto semplici, ovvero i quotidiani “l’Unità” e “Il Gazzettino”. Si tratta di due testate differenti per tantissimi motivi: innanzitutto la prima di tiratura nazionale e la seconda locale, in secondo luogo uno era l’organo ufficiale del PCI mentre l’altro vicino alla DC. La consultazione de l’Unità è facilissima in quanto online vi è tutto l’archivio storico della testata fondata da Gramsci quasi 100 anni fa mentre per “Il Gazzettino” lo scrivente ha avuto un aiuto rilevante dal caso. Nella piccola biblioteca comunale di Meduna di Livenza (TV) è infatti conservato un archivio straordinario del giornale con tutti i numeri dal dopoguerra alla metà degli anni ‘90, un patrimonio culturale clamoroso che è stato possibile consultare in quanto residente in zona. Una cosa accomuna i due giornali: le notizie pubblicate sono “pure”, fonti di prima mano e non citazioni di citazioni, scritte direttamente dai reporter del tempo. Infatti un problema che senza alcun dubbio esiste nella ricostruzione storica di quegli anni è che tantissime delle pubblicazioni nuove o comunque recenti usano fonti che sono la citazione di altre, incappando così nel rischio di riportare non al meglio il messaggio originario. In 216 quest’opera si è invece voluto fare diversamente, cercando un mix tra notizie vecchie come appena detto e ricostruzioni più recenti come quelle degli storici Mirco Dondi e Aldo Giannuli. A metà via esatta negli anni ‘90 si inserisce l’opera di Giuseppe De Lutiis, il maggior storico dei servizi segreti italiani, che con un’opera minuziosa da perito ha ricostruito quarant’anni di nefandezze dei nostri 007. Infine non è da poco il lavoro di Giovanni Tamburino che a distanza di 50 anni ha voluto dare una propria versione dei fatti da un punto di vista decisamente interno. Una considerazione personale quasi in chiusura: perché in così tanti anni la produzione storico-letteraria ha approfondito ripetutamente solo alcuni eventi degli anni della strategia della tensione e in generale del terrorismo in Italia mentre altri sono stati lasciati nel dimenticatoio? In primis il tema del golpe Borghese stesso per anni è sparito, ritornando di recente per i 50 anni della notte di Tora-Tora grazie alla trasmissione televisiva “Atlantide” del compianto Andrea Purgatori e in passato è stato trattato solo in programmi televisivi specifici (per esempio “La storia siamo noi”). La medesima cosa si può dire per le stragi dell’Italicus, di Gioia Tauro, della questura di Milano o ancor di più del terrorismo altoatesino, un fenomeno ancora oggi completamente ignorato dagli storici. Invece al contrario su Piazza Fontana, Via Fani e Bologna abbiamo di tutto e più, dai libri ai film. Perché? Non è possibile che sia uscito l’anno scorso l’ennesimo film su Aldo Moro821: di per sé è un'iniziativa lodevole ma siamo sicuri che altri accadimenti degli anni ‘60 e ‘70 non meritino l’attenzione mediatica dovuta? Viene da pensare che forse fa più comodo che certi eventi restino fuori dalla memoria collettiva nazionale, già di suo scandalosamente corta, dimenticati nel luogo della non memoria. Fatti e persone di cui ricordarsi solo in occasione di circostanze particolari, come per esempio la morte di un terrorista coinvolto nei fatti dell'epoca, con un trafiletto sui giornali o con un servizio di pochi secondi nel telegiornale. Inevitabile poi la nascita di polemiche politiche, in quanto ancora dopo anni entrambi gli estremi politici spesso e volentieri rievocano i terroristi come degli eroi o delle vittime del sistema. La memoria italiana è piuttosto scadente, o meglio, ricorda quello che più le fa comodo. Infatti, come già ribadito in più occasioni, i personaggi da buttare in pasto alla stampa sono sempre stati menzionati e ricordati; chi invece lavorava più a livello di apparati è sempre stato lambito di striscio se non proprio neanche toccato. Nomi come Concutelli o Delle Chiaie sono diventati così di dominio pubblico mentre altri come Zagolin o Monti sono rimasti ben lontani dalla massa. Per non parlare poi dei cittadini americani coinvolti, sia militari come Richards o Carret sia civili come Fenwick, ovviamente mai processati in Italia. Su questo tema, la sudditanza italiana agli amici statunitensi, si è già detto parecchio 821 Esterno Notte, regia di Marco Bellocchio. 217 e non vale la pena aggiungere altro se non ricordare sempre che noi abbiamo perso la seconda guerra mondiale con tutte le conseguenze che ne derivano. Infine il lettore potrà obiettare allo scrivente di aver citato tantissimi nomi, anche secondari, di personaggi legati alle vicende storiche descritte. Non sono troppi e rispondono a una domanda di cura del dettaglio: come detto nei paragrafi precedenti ormai sappiamo molto di ciò che è successo negli anni della strategia della tensione. Oltre ai vari Freda, Borghese e Miceli, nomi già noti ai più, vi sono tante altre personalità che per svariati motivi sono rimaste in ombra ma non per questo sono meno importanti. Solo citandoli si può diradare la nebbia sugli eventi descritti in questa trattazione, altrimenti si rischia di restare a un livello meramente superficiale e non si capisce la ragnatela incredibile di rapporti che parte dal livello dei manovali e arriva alla zona grigia, cosa che per anni è ahinoi avvenuta. 218 Appendice Allegato n. 1: la nota informativa riguardo la creazione del Noto Servizio 219 Allegato n. 2: la prima pagina del settimanale «Epoca» durante i giorni cruciali del Piano Solo 220 Allegato n. 3: i volantini firmati Nuclei per la Difesa dello Stato 221 Allegato n. 4: la copertina di «Epoca» alla vigilia dei fatti di Piazza Fontana 222 Allegato n. 4: Pansa intervista Borghese nel suo studio Allegato n. 5: lo scoop di «Paese Sera» che informa per primo la popolazione del Golpe Borghese 223 Allegato n. 6: Saccucci e altri camerati ai funerali di Borghese Allegato n.7: imputati del processo Borghese (in prima fila da sinistra verso destra Sedona, Rampazzo e Micalizio, dietro Spiazzi). 224 Allegato n. 8: la lettera-testamento di Borghese 225 226 Elenco delle sigle citate AIL: Armata Italiana della Libertà AN: Avanguardia Nazionale ANPI: Associazione Nazionale Partigiani d’Italia BAS: Befreiungsausschuss Südtirol BR: Brigate Rosse CARN: Comitato d’Azione Risveglio Nazionale CASM: Centro Alti Studi Militari CC: Carabinieri CESIS: Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro CIA: Central Intelligence Agency CISL: Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori CISNAL: Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori Cit.: citato in CLN: Comitato di Liberazione Nazionale CRD: Comitati di resistenza democratica CS: controspionaggio DC: Democrazia Cristiana DIGOS: Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali EMS: Ente Minerario Siciliano ENI: Ente Nazionale Idrocarburi ESESI: Ethnikos Syndesmos Ellinon Spudastòn Italias (Lega studenti greci in Italia) FBI: Federal Bureau of Investigation FTASE: comando delle Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa MAS (X Flottiglia): Motobarca Armata Silurante MI6: servizi segreti esteri britannici MVSN: Milizia volontaria per la sicurezza nazionale FF.AA.: Forze Armate FIAT: Fabbrica Italiana Automobili Torino FN: Fronte Nazionale FNR: Fronte Nazionale Rivoluzionario FUAN: Fronte Universitario d’Azione Nazionale GAP: Gruppi di Azione Patriottica (1943-1945), Gruppi d’Azione Partigiana (1970- 1972) 227 Gersi: Giunta Esecutiva Riscossa Sociale Italiana G.I.: giudice istruttore Ibidem: nello stesso punto IFI: Istituto Finanziario Italiano Ivi: nella stessa opera KGB: Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti (servizio segreto sovietico) KYP: Kentrikì Ypiresia Pliroforiòn (servizio segreto greco) OLP: Organizzazione per la Liberazione della Palestina ON: Ordine Nuovo Op. cit.: opera citata OVRA: Opera Vigilanza Repressione Antifascismo PAI: Polizia dell’Africa Italiana PCI: Partito Comunista Italiano PIDE: Polícia Internacional e de Defesa do Estado (polizia politica del regime portoghese tra il 1945 e il 1969) PNF: Partito Nazionale Fascista PSU: Partito Socialista Unitario MAR: Movimento di Azione Rivoluzionaria MNOP: Movimento Nazionale di Opinione Pubblica MPON: Movimento Politico Ordine Nuovo MSI: Movimento Sociale Italiano NATO: North Atlantic Treaty Organization NDS: Nuclei di Difesa dello Stato NOD: Nucleo Operativo Diretto NOE: Nouvel Ordre Européen OAS: Organisation Armée Secrète OSS: Office of Strategic Services P2: Loggia Massonica Propaganda Due PLI: Partito Liberale Italiano PNM: Partito Nazionale Monarchico PRI: Partito Repubblicano Italiano PSDI: Partito Socialista Democratico Italiano PSI: Partito Socialista Italiano Rai: Radiotelevisione Italiana REI (Ufficio): Ricerche Economico Industriali RSI: Repubblica Sociale Italiana 228 SAM: Squadre d’Azione Mussolini SID: Servizio Informazioni Difesa SIGSI: Servizio Informazioni Generali e Sicurezza Interna SISDE: Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica SIFAR: Servizio Informazioni Forze Armate SIM: Servizio Informazioni Militari SIOS: Servizio informazioni operative e situazione SISMI: Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare SMI: Società Metallurgica Italiana S.O.: Sentenza-ordinanza SS: Schutzstaffel UAARR: Ufficio Affari Riservati UDNR: Unione Democratica per la Nuova Repubblica UIL: Unione Italiana del Lavoro UILM: Unione Italiana Lavoratori Metalmeccanici 229 Indice dei nomi citati Accame, Giano: 44. Adami Rook, Tommaso: 64, 89, 90, 183. Affatigato, Marco: 172. Ajello, Claudia: 171. Ajò, David: 171. Alasia, Walter Alessandrini, Emilio Alessi, Giuseppe: 37. Aliotti, Antonino: 30. Allavena, Giovanni: 38, 42. Allatta, Pietro Allegra, Antonino: 73, 82. Allende, Salvador: 94. Alliata di Montereale, Gianfranco: 16, 26, 75 Allitto Bonanno, Ferruccio Almirante, Giorgio: Aloia, Giuseppe: Amati, Antonio Amato, Francesco Amato, Mario Amaudruz, Guy: Amplatz, Alois: Anderlini, Luigi: Anderson, Massimo: Andreola, Berardino Andreotti, Giulio: Angleton, James Jesus:. Annarumma, Antonio Anselmi, Tina Antico, Franco Appella, Paolo Appollonio, Renzo Arafat, Yasser 230 Arcai, Andrea Arcai, Giovanni Aricò, Giovanni Arista, Gino Azzi, Nico Bachelet, Vittorio Badalamenti, Gaetano Baldari, Dante Baldisseri, Marco Balzerani, Roberto Barbaro, Guido Barletta, Gesualdo: . Barletta, Giuseppe: . Basile, Aldo Basile, Carlo Emilio:. Batani, Massimo Bazzega, Sergio Beltrametti, Eggardo: . Benedetti, Andrea Benedetti, Ermenegildo Beneforti, Walter: . Benvenuto, Giorgio Beolchini, Aldo: . Belloni, Gianfranco Bensi, Aldo Bergamelli, Albert Berlinguer, Enrico Bernabei, Gilberto: . Berrino, Giacomo: . Berti, Luciano:. Bertoli, Gianfranco: Besutti, Roberto:. Birindelli, Gino Bittoni, Luigi Boccaccio, Ivano Boldrini, Arrigo 231 Bompressi, Ovidio Bonanni, Giuseppe: 44. Bonati, Ugo Bono, Italo Bonvicini, Enrico: 55, 95, 154, Boothe Luce, Clare: 16. Borghese, Camillo (Paolo VI): 49. Borghese, Junio Valerio: 7, 8, 10, 11, 13, 41, 48, 49, 50, 51, 54, 55, 56, 64, 65, 66, 68, 69, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 98, 99, 101, 102, 103, 104, 106, 108, 109, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 119, 130, 140, 143, 147, 148, 152, 153, 158, 170, 171, 176, 177. Borghese, Livio: 48. Borsi di Parma, Vittorio Emanuele Borth, Annelise Braggion, Antonio Brilli, Prisco Broccoli, Umberto: 17, 18. Brosio, Manlio Broz, Josip (detto Tito) Brusa, Roberto: 38. Buonocore, Luciano Burger, Norbert: 29, 30. Buscetta, Tommaso Buzzi, Ermanno Cadorna, Raffaele: 23, 33. Cagol, Margherita Calabresi, Luigi Calderone, Antonino Calderone, Giuseppe (detto Pippo) Calogero, Pietro: Calvi, Roberto Calzolari, Armando: 55, 76, 77. Cameli, Alberto: 56, 57. Campo, Flavio Campolmi, Mario Canale, Guido: 56. 232 Capanna, Enzo Capanna, Mario Capriata, Manlio: 30. Caracciolo, Vincenzo Caradonna, Giulio: 53, 96. Carpi de Resmini, Filippo Carret, David Carter, James Earl (detto Jimmy) Casagrande, Mario Casalegno, Carlo Casalini, Gianni Casardi, Mario Casero, Giuseppe Casile, Angelo Casson, Felice: 20, 123, 124. Castellini, Enrico Catenacci, Elvio: 25, 60, 82. Cauchi, Augusto Cavallaro, Roberto Cavallo, Luigi: 17, 127, 142, 145, 147, 155. Ceccanti, Soriano: 59. Cefis, Eugenio Chiarieri, Sergio Ciabatti, Dante: 55, 96, 129. Cicuttini, Carlo Ciglieri, Carlo: 32, 44, 52. Cingoli, Giorgio Ciotta, Giuseppe Citro, Carmine: 59. Clavio, James Clavo, Marino Coco, Francesco Colombo, Enrico Colosio, Claudio Condò, Giuseppe Claudio Concutelli, Pierluigi 233 Conti, Febo Costa, Marco Costa, Pietro Costantino II di Grecia: 44. Costantini, Felice: 55, 135. Cricchio, Ignazio Curcio, Renato Cucchiarelli, Paolo Curzi, Sandro D’Amato, Federico: 24. D’Amato, Umberto Federico: 12, 22, 23, 25, 42, 49, 54, 81, 100, 127. D’Amico, Giovanni D’Angelo, Alessandro De Boccard, Enrico: 38, 39. De Carolis, Massimo De Courten, Raffaele: 50. De Eccher, Cristiano De Gasperi, Alcide: 14, 16. De Gaulle, Charles: 33. Degli Innocenti, Maurizio: 55, 130, 135, 142, 148, 158, 164. Degli Occhi, Adamo Dejana, Antonio De Jorio, Filippo: 55, 101, 157, 161. Delfino, Francesco Del Giudice, Guido: 50. Dell’Amico, Lando: 17, 23, 56. Della Savia, Angelo Pietro: 63. Della Latta, Rodolfo Delle Chiaie, Stefano: 25, 26, 27, 28, 38, 43, 44, 47, 53, 54, 55, 68, 72, 73, 78, 80, 92, 95, 115, 127, 140, 147, 151, 157, 160, 162, 163, 176. Dell’Orco, Alberto De Lillo, Marcello De Marchi, Giancarlo De Martino, Francesco De Martino, Guido De Mauro, Junia 234 De Mauro, Mauro De Mauro, Valeria De Lorenzo, Giovanni: 9, 16, 22, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 43. De Lutiis, Giuseppe: 10, 19, 157, 172. De Nozza, Domenico: 12. De Rosa, Giovanni De Stefano, Giovanni Di Carlo, Francesco Di Cristina, Giuseppe Digilio, Carlo: 27, 45, 60, 61, 66, 71, 87, 97, 133, 176. Di Luia, Bruno e Serafino: 25. D’Intino, Alessandro Di Savoia, Aimone: 49. Dominici, Carmine Donat-Cattin, Carlo Dondi, Mirco Donitz, Karl: 49. Dorini, Italo D’Ottavio, Remo: 32. D’Ovidio, Giancarlo Drago, Salvatore: 55, 79, 84, 93, 95, 96, 101, 151, 160. Driscoll, Robert: 23. Esposti, Giancarlo Facchinetti, Loris: 53. Fachini, Massimiliano Falde, Nicola: 32. Falica, Luigi Falzari, Caterino Fanali, Duilio: 52, 89, 96, 97, 101, 143, 150, 151, 158. Fanfani, Amintore: 23, 67, 138, 139. Feltrinelli, Carlo Feltrinelli, Giangiacomo Fenwick, Hugh H. Ferrari Bravo, Giuseppe Ferri, Cesare Filippani Ronconi, Pio: 40, 45. 235 Finaldi, Gianfranco: 38. Finer, Leslie Fiore, Filippo: 8, 53, 108, 116, 150, 151, 153, 154, 156, 174. Fiore, Raffaele Flamini, Gianni: 7, 10, 57, 102, 104, 173. Ford, Gerald Rudolph Forlenza, Luigi: 52. Forte, Francesco Franceschini, Alberto Franco, Francesco (detto Ciccio) Franco, Lino Francia, Salvatore Frattini, Stelio: 55, 79. Freda, Franco (detto Giorgio): 27, 45, 60, 62, 63, 66, 71, 72, 74, 80, 116, 120, 175. Ferrari, Silvio Franci, Luciano Fumagalli, Carlo (alias Jordan): 30, 67, 77, 78, 113, 121, 132, 140, 141, 153, 158. Juliano, Pasquale Gallinari, Prospero Gallucci, Achille Gambardella, Aldo Gancia, Vittorio Gattia, Giuseppe Gasca Queirazza, Federico Gehlen, Reinhard Gelli, Licio: 10, 17, 35, 55, 87, 91, 97, 99, 100, 101, 143, 147, 153, 157, 159, 161, 173. Gelli, Maria Grazia: 17. Genoese Zerbi, Felice (detto Fefè) Genovesi, Giorgio Giannettini, Guido (alias Adriano Corso): 26, 38, 40, 41, 42, 44, 45, 46, 57, 62, 63, 74, 104, 128, 137, 144, 146, 147, 158, 163, 164. Giannuli, Aldo: 10, 11, 23, 24, 44, 103, 146, 163, 173. Giuliano, Salvatore: 13, 14. Giusti, Gheddafi, Mu’ammar Ghinazzi, Giovanni 236 Gonella, Alberto Gonella, Guido: 37. Grassini, Giulio Graziani, Clemente: 23, 26, 41, 113, 145, 155, 160. Graziani, Rodolfo: 13. Greco, Salvatore Grillo, Manlio Gronchi, Giovanni: 16. Guadagni, Carlo Benito: 55, 67, 94, 154. Gubbini, Graziano: 26. Gui, Luigi Guida, Marcello: 13. Guillou, Yves (alias Guérin Sérac e Ralf): 41, 42, 43, 73, 74 Henke, Eugenio: 36, 44, 89, 145, 151. Ingargiola, Margherita: 24. Ippolito, Salvatore (alias Andrea) Izzo, Angelo Jannuzzi, Lino: 31, 35, 36. Joosten, Charles: 29. Kappler, Herbert Kerbler, Christian: 29. Keun, Valeria: 48. Kienesberger, Peter: 29. Kissinger, Henry Klein, Herbert Klotz, Eva: 29. Klotz, Georg: 29. Kottakis, Michael Labin, Suzanne: 38. Labruna, Antonio: 7, 25, 99, 124, 125, 126, 127, 128, 132, 140, 141, 142, 143, 149, 154, 161, 162. Lagorio Serra Gian Luigi: 56. Lama, Luciano La Malfa, Ugo La Morte, Gaetano Lanfaloni, Antonio: 21. 237 La Russa, Ignazio Lavorini, Ermanno: 59. Laurent, Jean-Marie: 43, 87. Lauro, Giacomo Leone, Giovanni Lercari, Attilio: 58, 102, 134, 135, 143, 145, 154, 163. Leroy, Robert: 43, 47, 73, Liggio, Luciano Lo Celso, Luigi Loi, Vittorio Lollo, Achille Lombardi, Francesco Lombardo, Ivan Matteo: 33, 37, 38. Longo, Luigi Lorenzon, Guido Lo Vecchio, Giuseppe Lucertini, Vittorio Luciano, Charlie (detto Lucky): 11. Luddi, Margherita Lunetta, Gaetano Maceratini, Giulio: 45. Macrì, Antonio Maifredi, Gianni Malentacchi, Piero Maletti, Gianadelio Mancinelli, Giuseppe: 30. Manes, Giorgio: 30, 32, 36. Magi Braschi, Adriano: 38, 45. Maggi, Carlo Maria: 27, 38, 43, 60, 75, 133, 141. Marino, Antonio Marino, Leonardo Maritano, Felice Marras, Efisio, 17. Marchesano, Leone: 14. Marchesi, Enzo: 52, 89, 92, 100, 153. Marini, Piergiorgio 238 Martin, Graham Marzollo, Federico: Massagrande, Elio: 30, 54, 60, 114. Mastelloni, Carlo: 20, 30, 135. Matacena, Amedeo: 58. Matta, Gavino: 55, 101, 111. Mattarella, Bernardo: 14. Mattarella, Sergio Mattei, Enrico: 17, 56, 86. Mattei, Mario: 129. Mauro, Demetrio: 58. Mazza, Libero Meciani, Rodolfo Memeo, Giuseppe Mereu, Francesco Merlino, Mario Michele: 27, 38, 43, 53, 54, 72, 73, 74. Merzagora, Cesare: 57. Moccagatta, Vittorio: 48, 49. Monicelli, Mario Morlion, Felix: 24. McCarthy, Joseph: 14. Micalizio, Giacomo: 55, 84, 88, 95, 96, 101, 148, 151, 157, 160, 172. Miceli, Vito: 48, 57, 68, 89, 90, 95, 99, 100, 101, 103, 110, 117, 118, 134, 139, 143, 144, 145, 150, 151, 152, 153, 155, 156, 158, 159, 161. Michelini, Arturo: 21, 25, 53. Mieli, Renato: 38. Minervini, Girolamo Minetto, Mario Mingarelli, Dino Mino, Enrico Mistretta, Ferdinando Molino, Saverio Montanelli, Indro Monti, Adalberto: 96 Monti, Adriano: 55, 90, 91, 96, 103, 129, 154, 157, 160. Monti, Attilio: 57, 64, 145. 239 Morana, Carlo Morin, Carlo Moro, Aldo: 23, 31, 34, 35, 36, 52, 74, 88, 93, 143, 154, 156, 159, 174, 175, Mortilla, Armando: 43, 67. Muraro, Alberto Murelli, Maurizio Musco, Ettore: 15, 21. Muscolino, Francesco Mussolini, Benito: 12, 48, 89, Mussolini, Edvige: 12. Nardella, Francesco Nardi, Gianni Neami, Francesco Nenni, Pietro: 35, 138. Nicoli, Torquato: 55, 96, 130, 135, 142, 148, 151, 154, 158, 164, Nirta, Giuseppe Nixon, Richard: 8, 46, 88, 90, 96, 100, 115, 125, 129, 141, 143, 145. Noce, Alfonso Nunziante, Carmelo Occorsio, Vittorio: 35, 114. Ognibene, Roberto Olino, Renato Opocher, Enrico Orlandini, Remo: Orlando, Gaetano Orlandi, Flavio Ortolani, Umberto Pacciardi, Randolfo:. Pace, Cosimo: 57. Pace, Vito Padovani, Vittorio Paglia, Guido: . Paolillo, Ugo Palmiotti, Bruno Palumbo, Giovanni Battista Palumbo, Prisco 240 Pannella, Marco Pansa, Giampaolo Papa, Angelino Papadopoulos, Georgios: 47, 70. Pardini, Cesare Pardo, Aldo: 54, 81, 82. Parigi, Leopoldo Parlato, Giuseppe Parri, Ferruccio: 24. Pasolini, Pierpaolo Pavia, Mario Pecorella, Salvatore Pecoriello, Paolo: 43, 44. Perri, Cesare Pertini, Sandro. Pesenti, Carlo: 58. Piaggio, Andrea: 58, 159. Piccoli, Flaminio Piccini, Giuseppe Pièche, Giuseppe: 12, 15, 22. Pieraccini, Giovanni Pignatelli, Angelo Pinci, Giovanni Pinelli, Giuseppe (detto Pino) Pinochet, Augusto Pisanò, Giorgio: 38, 135, 141. Pisciotta, Gaspare: 13. Pisetta, Marco Plevris, Konstantinos Pomar, Eliodoro: 55, 95, 96, 148, 151, 157, 160, 163. Ponzi, Tom Porta Casucci, Giampaolo Portolan, Manlio Pozzan, Marco Provenza, Bonaventura Provvisionato, Sandro 241 Ragno, Gino Ramelli, Sergio Rampazzo, Sandro:. Rauti, Giuseppe (detto Pino): Re, Giovanni Carlo: . Restivo, Franco: Ricci, Ugo Ricciardi, Teresa:. Richards, Theodore Riffeser, Bruno:. Riina, Salvatore (detto Totò) Rimi, Filippo Rimi, Natale Rimi, Vincenzo Rizzato, Eugenio: 30, 65, 132, 135. Roatta, Mario: 11, 150. Rocca, Renzo: 32, 34, 38, Rocca, Umberto Rogers, William Rognoni, Giancarlo Rolandi, Cornelio Romagnoli, Sandro Romeo, Paolo Romita, Giuseppe: 12. Romualdi, Pino: 14, 21. Roncolini, Osvaldo: 38. Rosa, Dalmazio: 96 Rosa, Mario:. Roselli Lorenzini, Giuseppe Rossi, Aldo: 34. Rossi, Mario Rumor, Mariano:. Russo, Giuseppe Russomanno, Silvano: 25. Saccucci, Sandro. Salazar de Oliveira, Antônio: 41. 242 Saleri, Giovanni Santini, Felice: 21. Santovito, Francesco Saponara, Giovanni Saragat, Giuseppe: Scarcella, Giuseppe Scelba, Mario: 12, 14, 22. Schirinzi, Giuseppe: 54, 82. Scibilia, Giuseppe: 59. Scolari, Scordo, Francesco Scottoni, Franco: Secchia, Pietro: Sedona, Sandro Segni, Antonio: 9, 22, 29, 30, 31, 33, 34 Sembianza, Benito Serpieri, Stefano: 54, 72, 74, 97, 151. Siciliano, Martino: 44, 60, 66. Signorelli, Paolo: 25, 27, 157. Sigona, Angelo: 59. Silverini, Vito Simoni, Gianni Sindona, Michele: 47, 51, 127, 132, 150, 154. Siniscalchi, Francesco Siotto, Elio Skorzeny, Otto Soffiati, Marcello: 25, 27, 60, 61, 71, 133. Sofri, Adriano Sogno, Edgardo: Sossi, Mario Sottosanti, Nino Spadolini, Giovanni Spagnuolo, Carmelo Spataro, Giuseppe: 37. Spiazzi, Amos: Stefano, Bruno 243 Stern, Michael: 14. Stikker, Dirk: 37. Stone, Ellery: 13, 49. Talenti, Achille: 58, 96. Talenti, Gianfranco: 165. Talenti, Pier Tambroni, Fernando: 22, 23, 24. Tamburino, Giovanni: Tanassi, Mario:. Tavecchio, Giuseppe Taviani, Carlo Emilio: 32, 33, 71, 74, 134, 136, 147, 149, 154. Tedeschi, Mario: 24, 26, 27, 43, 101. Tilgher, Adriano: 25, 28, 54, 157. Tisserant, Eugene Titta, Adalberto Tobagi, Walter Togliatti, Palmiro: 12, 50, 87. Torrisi, Giovanni Tramonte, Maurizio Tremelloni, Roberto: 31, 36, 44. Trinco, Aldo Trujillo, Rafael: 51. Truman, Harry: 14, 15. Tuti, Mario Ungaro, Filippo Valletta, Vittorio: 34. Valpreda, Pietro Valsecchi, Athos Vangioni, Pietrino: 59. Varalli, Claudio Varisco, Antonio Vedovato, Guido: 52. Vella, Angelo Vendola, Mario Ventura, Giovanni Venturi, Angelo 244 Venturini, Franco Verzotto, Graziano Vicari, Ciro: 41, 92, 98, 153, 160. Viglianesi, Italo Viola, Guido Violante, Luciano Vinciguerra, Vincenzo: 27, 60, 71, 123, 124, 175. Viviani, Ambrogio Vitalone, Claudio Volpe, John Westmoreland, William: 17, 90. Yariv, Aharon Zaccagnini, Benigno Zagolin, Dario Zamir, Zvi Zavoli, Sergio: 7, 110. Zebbi, Roberto Zibecchi, Giannino Zicari, Giorgio Zilio, Giovanni Zincani, Vito Zoli, Adone: 23. Zorzi, Delfo: 21, 27, 43, 60, 66, 67, 71, 75, 141. Zucca, Enrico Zucconi, Ermanno: 245 Bibliografia Gianni BARBACETTO, Il grande vecchio: dodici giudici raccontano le loro inchieste sui grandi misteri d’Italia da Piazza Fontana a Gladio, Baldini & Castoldi, Milano 1993. Antonella BECCARIA, Fabio REPICI, Mario VAUDANO, I soldi della P2. 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