Riccardo Bonvicini
NOME IN CODICE TORA-TORA
Il Golpe Borghese e i colpi di stato durante la Strategia della
Tensione, dal Piano Solo alla Rosa dei venti
Indice
L’analisi storica sviluppata in queste pagine inizia all’indomani della fine del secondo
conflitto mondiale, proseguendo per balzi temporali fino alla metà degli anni ‘60. Dal
Piano Solo fino alla metà degli anni ‘70 le vicende vengono analizzate più nel dettaglio,
in una ragnatela di eventi e di nomi attraverso cui orientarsi non è affatto semplice.
Lo scopo dello scrivente sarà di conseguenza rendere questo viaggio nella memoria il
più schematico possibile, seguendo un ordinamento temporale che alla prova dei fatti
risulta essere la metodologia di analisi più soddisfacente.
Introduzione 7
Capitolo I: una democrazia limitata, nata male e debole 12
1.1 - Premessa 12
1.2 - Il peccato originale, o meglio, due 12
1.3 - Il pericolo rosso: gli accordi segreti della NATO 16
1.4 - Gladio 20
1.5 - Un sistema politico fragile 23
Capitolo II: i primi anni ‘60, dal governo Tambroni al Piano Solo 25
2.1 - L’esperimento tambroniano 25
2.2 - Federico Umberto D’Amato 26
2.3 - Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale 27
2.4 - Guerriglia in Alto Adige 31
2.5 - Il caso Mattei 34
2.6 - Il Piano Solo 35
Capitolo III: la strategia della tensione 42
3.1 - Introduzione 42
3.2 - Convegno sulla guerra rivoluzionaria 42
3.3 - L’Aginter Press 46
3.4 - Dalla teoria alla pratica 48
3.5 - Guido Giannettini 51
2
3.6 - Golpe in Grecia: perché non uno anche da noi 52
Capitolo IV: chi è Junio Valerio Borghese 55
4.1 - Giovinezza e primi anni di servizio 55
4.2 - Seconda Guerra Mondiale 55
4.3 - La X MAS 56
4.4 - Post guerra 57
4.5 - Il ritorno in scena 58
Capitolo V: prima del golpe, preparazioni e minacce incombenti 60
5.1 - Il ’68 61
5.2 - Il Fronte Nazionale 62
5.3 - I finanziamenti di Borghese e dell’estrema destra 64
5.4 - Il calendario del terrore 66
Capitolo VI: la tensione sale vertiginosamente 68
6.1 - La cellula terroristica del nordest 68
6.2 - Bombe alla fiera campionaria 70
6.3 - Estate 1969: la minaccia incombente di una svolta radicale 71
6.4 - Disintegrare il sistema 74
6.5 - Nuove bombe e alleanze 74
6.6 - L'autunno caldo 76
6.7 - Il signor P e oscuri presagi 77
6.8 - 12.12.1969 79
Capitolo VII: 1970, si fa sul serio 85
7.1 - Il caso Calzolari 85
7.2 - Il golpe di centro e il MAR di Fumagalli 86
7.3 – I preparativi 87
7.4 - I campi paramilitari 88
7.5 - Il quadro politico e militare della vigilia 90
3
7.6 - Gli americani 91
Capitolo VIII: il patto con la mafia 95
8.1 - I primi abbocchi 95
8.2 - L’attentato alla questura di Reggio Calabria 96
8.3 - La rivolta di Reggio 96
8.4 - La strage di Gioia Tauro e i giovani anarchici della Baracca 97
8.5 - Cosa Nostra 98
8.6 - Il caso de Mauro 101
Capitolo IX: nome in codice «Tora-Tora» 102
9.1 - Il piano 102
9.2 - L’intervista a “La Stampa” 103
9.3 - Gli ultimi preparativi 104
9.4 - La notte della Madonna 105
9.5 - L’immediato post golpe 111
9.6 - Massoneria e golpe Borghese 113
9.7 - I perché del fallimento e il senso profondo del golpe 115
Capitolo X: la scoperta del golpe 120
10.1 - Le primissime reazioni 120
10.2 - Il prosieguo delle indagini 123
10.3 - Opposti estremismi 125
10.4 - “Indagini” per non scoprire niente 127
10.5 - Un clima in tutti i sensi nero 129
10.6 - L’indagine si arena: tutti scarcerati 130
10.7 - Virata a destra 132
Capitolo XI: il ritorno dello stragismo nel 1972 134
11.1 - Premessa 134
11.2 - Il mese di marzo 134
4
11.3 - Le elezioni politiche e la morte di un commissario 135
11.4 - Peteano, attentato e non strage 137
11.5 - Il memoriale Pisetta 139
11.6 - Il discorso di Forlani e la situazione americana 140
11.7 - Qualcosa di grosso era davvero successo? 141
11.8 - L’arsenale di Camerino 141
Capitolo XII: la Rosa dei venti 144
12.1 - Il quadro di inizio anno 144
12.2 - Labruna da Orlandini 148
12.3 - Dal tentato attentato di Nico Azzi al rogo di Primavalle 166
12.4 - Strani viaggi diplomatici 144
12.5 - La strage della questura di Milano 155
12.6 - La Rosa dei venti 166
12.7 - Fine anno, i soliti misteri irrisolti 166
Capitolo XIII: la svolta del ‘74
13.1 - Allarmi generali e prime confessioni
13.2 - Dal referendum sul divorzio a nuovi sviluppi, senza sosta
13.3 - SID parallelo
13.4 - Piazza della Loggia
13.5 - Lavori di intelligence e guerra nel SID
13.6 - Italicus
13.7 - La svolta Giannettini
13.8 - La morte di Borghese
Capitolo XIV: dai primi arresti all’unificazione delle tre istruttorie
14.1 - L’operazione di Andreotti
14.2 - La posizione di Vito Miceli
14.3 - Nuovi arresti e affossamento
5
14.4 – Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più
14.5 – Singolari coincidenze
Capitolo XV: Piombo rovente
15.1 – Processi e scandali
15.2 – Il terrorismo colpisce al cuore
15.3 – Il 1977
Capitolo XVI: Le tre sentenze, l’appendice Salvini e il memoriale
16.1 - 1978
16.2 - 1984
16.3 - 1986
16.4 - Il lavoro di Guido Salvini
16.5 – Il memoriale Borghese
Conclusioni
Allegati
Elenco delle sigle
Indice dei nomi
Bibliografia e sitografia
6
Introduzione
«Nell’Italia repubblicana i colpi di stato si organizzano non per farli ma per brandirli
come minacciosa arma di ricatto»1 (Gianni Flamini).
Fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una struttura parallela ai servizi di
sicurezza. Tutto questo avveniva non tanto perché chi agiva in tal modo fosse fascista
quanto perché si intendeva agire in funzione essenzialmente anticomunista e con la
volontà di consolidare l’attuale sistema su basi politiche di chiusura verso possibili
aperture a sinistra. Di qui quelle collusioni tra forze di destra e apparati dello stato
che sole spiegano la condotta tenuta da certi servizi in occasione di alcuni dei più gravi
fatti di sangue di matrice nera verificatisi in Italia (Sentenza di condanna emessa il 25
luglio 1987 dalla Corte d'Assise di Venezia).
«Perché Capitano secondo lei fallì il golpe Borghese? Forse perché hanno voluto farlo
fallire» (intervista di Sergio Zavoli ad Antonio Labruna) 2.
«Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo.
La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia
sull'orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore,
con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei
a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell'ordine,
gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre,
d'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per
intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi.
Italiani, lo stato che creeremo sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà
una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell'aria,
Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell'ordine
interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali,
vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà
impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel
riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro
prorompente inno all'amore: Italia, Italia, viva l’Italia!».
Con queste parole il principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS,
avrebbe dovuto annunciare al popolo italiano dagli studi RAI l’avvenuto golpe della
1
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, Newton Compton, Roma 2007, p. 124.
2
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990, raiplay.it,
https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-4461-9fae-
988fbd1eba72.html, min. 19.
7
notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Il piano, dal nome in codice Tora-Tora, a ricordare
l’attacco giapponese su Pearl Harbour nel 1941, prevedeva l’abbattimento della
democrazia in Italia e l’instaurazione di un regime autoritario su modello spagnolo o
greco. Quando il golpe era già entrato nella fase operativa, all’una e quarantanove
per la precisione, arrivò improvvisamente il contrordine: Borghese ricevette una
chiamata da un interlocutore rimasto per anni ignoto e comunicò l’annullamento ai
congiurati che furono costretti a ritirarsi non poco irati. La notizia del tentato golpe
verrà resa nota solo a metà marzo dell’anno seguente dal quotidiano “Paese sera”
che nell’edizione del 17 marzo titolò: «Complotto neofascista»3. Le indagini portarono
all’arresto di ben poche persone, le quali verranno rilasciate neanche un anno dopo
per mancanza di prove e l’inchiesta sarà archiviata. Verrà riaperta nel settembre del
1974 dopo la consegna all’autorità giudiziaria di Roma del cosiddetto “malloppone”,
una serie di documenti redatti dal SID sui tentativi eversivi avvenuti sia nel 1970 che
nei quattro anni seguenti. Poco più di un anno dopo il giudice istruttore di Roma
Filippo Fiore rinviò a giudizio 78 persone per il golpe Borghese e per l’organizzazione
nota come “Rosa dei venti”. Il 14 luglio 1978, dopo poco più di un anno dall’avvio del
processo, la Corte d’Assise di Roma condannò 48 persone con pene lievi, affermando
l’inesistenza di un piano di insurrezione armata. Nel 1984 la sentenza della Corte di
Cassazione assolse clamorosamente tutti gli imputati, perfino i rei confessi, perché «Il
fatto non sussiste», definendo semplicemente il golpe come un «conciliabolo di
quattro o cinque sessantenni». Nel frattempo Borghese era fuggito in Spagna dove
aveva vissuto sotto la protezione del regime franchista fino al suo decesso avvenuto
il 26 agosto 1974 a Cadice. La causa ufficiale fu dichiarata pancreatite acuta
emorragica ma qualcuno parlò di avvelenamento4. Fatto sta che il Principe Nero portò
con sé nella tomba la maggior parte dei segreti relativi a quanto avvenuto quattro
anni prima. Gli anni passati dalla vicenda hanno favorito la fuoriuscita di notizie e
nuove rivelazioni da diversi protagonisti, ormai in età avanzata e non più timorosi di
eventuali ripercussioni. Quello che per anni è stato un progetto attribuito al solo
Borghese aveva molti altri protagonisti, nascosti dietro la figura del Principe Nero: era
anche il golpe «dei terroristi di Avanguardia Nazionale e di altre bande consorelle, di
comandanti e di reparti militari, perfino di Cosa Nostra»5 e della ‘ndrangheta, senza
dimenticare l’onnipresente P2. Sulla base dei documenti desecretati negli anni ‘90 si
è potuto inoltre apprendere con certezza di un coinvolgimento di soggetti statunitensi
nella vicenda, in particolar modo della CIA e di figure vicine al presidente Nixon. L’iter
processuale del ‘74, di cui parlerà nel dettaglio più avanti, permetterà poi ai tentativi
3
Allegato 1
4
Corrado Incerti, Borghese: indigestione o veleno?, “L’Europeo”, n° 1/2, 1975.
5
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere: spie, dossier e spari nel buio, Newton
Compton, Roma 2010, p. 159.
8
eversivi sviluppatisi in seguito, ovvero Rosa dei venti e golpe Sogno, di sparire dal
radar e di finire nel tranquillo archivio della non memoria come eventi fumosi degli
anni ‘70.
Detto questo va fatto notare come la vicenda del fallito golpe Borghese sia da valutare
necessariamente nel campo del lungo periodo per poter essere compresa appieno.
Nel 1964 il generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, con il benestare del
presidente della Repubblica Antonio Segni, aveva organizzato il cosiddetto “Piano
Solo”, un colpo di stato progettato ma non attuato, usato come arma di ricatto politica
per evitare un governo troppo sbilanciato a sinistra. Tra il 1966 e il 1967 negli anni
culminanti del terrorismo altoatesino perdono la vita 9 persone in tre diverse stragi6.
Il 12 dicembre del 1969 una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale
dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, causando 17 morti e 88 feriti. Un anno
dopo avviene la prima strage sui treni, quella di Gioia Tauro, con il bilancio tremendo
di sei morti e una sessantina di feriti. Dopo il tentato golpe di Borghese, nel 1972
muoiono tre carabinieri nell’attentato di Peteano mentre l’anno successivo nella
strage alla questura di Milano perdono la vita quattro persone e oltre cinquanta
rimangono ferite. Nel 1974 scorrerà ancora il sangue con le stragi di Piazza della
Loggia a Brescia (otto morti e un centinaio di feriti) e del treno Italicus sull’Appennino
bolognese (dodici morti e quarantotto feriti). Infine nel 1980 l’allucinante eccidio della
stazione di Bologna in cui perdono la vita ottantacinque persone. Nel 1984 avvenne
anche la strage del treno Rapido 904, un macabro déjà-vu di quanto avvenuto dieci
anni prima per l’Italicus, strage realizzata da esponenti di Cosa Nostra. In quindici anni
si sono succeduti 5 presunti colpi di stato7 e 11 stragi per un bilancio di 158 morti e
oltre 700 feriti in quel periodo storico che è stato definito “strategia della tensione”.
Numeri impressionanti, resi ancor più alti dalle tante vittime innocenti negli scontri in
strada e da altri attentati terroristici minori. Ma a che scopo? destabilizzare per
stabilizzare. Per anni diverse regie occulte hanno lavorato su piani paralleli e spesso
anche in contrasto tra loro con l’obiettivo però comune di stabilizzare l’Italia nel Patto
Atlantico e lasciare fuori il PCI. La storia ci ha insegnato che la tattica, nonostante
tutto, alla lunga non ha funzionato in un certo senso, lasciando però cicatrici indelebili
sul volto del Paese.
Il golpe Borghese, un momento storico importante all’interno di questo periodo, in
una classica operazione di banalizzazione, era stato definito all’epoca come
l’avventura di «quattro straccioni», una «rimpatriata goliardica» o ancora una
6
San Martino di Casies, Malga Sasso e Cima Vallona.
7
Piano Solo, golpe Borghese, operazione del ‘72, Rosa dei venti e golpe bianco. Tutti i progetti eversivi in sede
giudiziaria sono stati ridotti a ben poca cosa e all’invenzione di qualche giudice di sinistra.
9
«modesta e quasi grottesca esercitazione di attempati goliardi»8. Curioso però che,
come si vedrà, le massime autorità dello stato si siano tanto spese per coprire dei
vecchi fascisti: la Corte d’Assise d'Appello nel 1984 lo definirà «un conciliabolo di
quattro o cinque sessantenni». Si vedrà che la verità non è proprio questa in quanto
nel progetto era coinvolto un singolare coacervo: gruppi neofascisti, criminalità
organizzata, servizi segreti e massoneria. Altro che qualche vecchio nostalgico
fascista: il moto insurrezionale di Borghese fu serio e penalmente rilevante. Infatti
secondo l’articolo 284 del codice penale (Insurrezione armata contro i poteri dello
stato) non occorre che il golpe riesca, anzi è quasi implicito che venga abortito. Inoltre
si vedrà come Junio Valerio Borghese faccia la figura del burattino: l’assunto fondante
di questa tesi è infatti che l’ex comandante della X MAS sia stato usato per organizzare
un golpe che fin dal principio però doveva fallire: la notte dell’Immacolata viene
realizzata una perfetta intentona, parola spagnola che indica un colpo di stato usato
a mo’ di avvertimento. In questo modo Borghese e le frange più estremiste dei gruppi
neofascisti che sognavano il colpo di stato militare saranno messe di fatto fuori gioco
dalla lotta all’interno di quel gruppo composito di forze che Gianni Flamini ha
chiamato “Partito del golpe”, quelle regie occulte di cui poco prima si è fatto
menzione che tiravano i fili ai vari estremisti. A supporto di ciò si segnala infatti che
dopo il golpe Borghese i successivi tentativi eversivi non entreranno più nella fase
operativa e la soluzione «alla greca» sarà abbandonata, a favore di modalità più
raffinate. Come per esempio il cosiddetto «Piano di rinascita democratica» di Licio
Gelli.
In chiusura di questa introduzione va segnalato che molti degli argomenti trattati per
anni sono stati creduti da buona parte della popolazione, e in parte anche oggi, pura
invenzione. I fatti narrati non sono del complottismo da quattro soldi ma la dolorosa
e amara storia dell’Italia dal secondo dopoguerra in poi: le tre principali fonti utilizzate
per questa ricostruzione ovvero il professor Aldo Giannuli, il perito Giuseppe De Lutiis
e il giornalista Gianni Flamini hanno una credibilità che non può essere messa in
discussione9. Grazie a una stampa morbida se non addirittura compiacente e a delle
sentenze di tribunale allucinanti la verità è stata prima alterata e poi rimodulata
secondo una versione buona per il popolino. Sugli appena citati tribunali ci sarebbe
molto da dire: è palese che molte magistrature hanno contribuito a nascondere la
8
Citazione di Edgardo Sogno cit. in Gianni Flamini, L’Italia dei Colpi di Stato.
9
Aldo Giannuli (Bari, 18 giugno 1952), storico, è uno dei più accreditati studiosi sulla strategia della tensione e ha
collaborato come consulente per le procure nelle indagini sulle stragi di Brescia, Milano e Bologna. Giuseppe De Lutiis
(Pescara, 3 dicembre 1941-Roma, 13 maggio 2017), sociologo, è stato uno dei più autorevoli studiosi di servizi segreti,
eversione e poteri occulti. Dal 1994 al 2001 è stato il coordinatore dei consulenti della Commissione parlamentare
stragi. Gianni Flamini (Bologna, 8 agosto 1934), giornalista, è ritenuto uno dei più acuti studiosi dei fenomeni
terroristici italiani degli anni ‘70 e ‘80. I suoi scritti sono stati spesso utilizzati dalla Commissione stragi e sono ritenuti
di fondamentale supporto per qualsiasi ricerca sul tema.
10
verità mentre altre sono state ostacolate con depistaggi e con il ricorso a quel mezzo
tremendo che è il segreto di stato. In tale modo la verità giudiziaria su questo periodo
è distante anni luce da quella storica. «I 15 anni di terrorismo dispiegato in Italia
dimostrano che di complottismo si è peccato, e molto. Ma in difetto. L’ipotesi
complottista, i tentativi di dietrologia sono stati sotto alla realtà del complotto che ha
permeato il terrorismo»10, dirà il giudice Giovanni Tamburino. Il golpe Borghese non
fa eccezione, considerato che ancora oggi spesso lo si definisce «presunto», grazie a
un iter processuale che rappresenta una delle macchie più nere della storia della
magistratura italiana.
10
Cfr. Giovanni Tamburino nell’introduzione a Gianni Flamini, Il partito del golpe, Bovolenta Editore, Ferrara 1982, vol.
terzo, tomo primo, p. XII, 1983.
11
Capitolo primo: una democrazia limitata, nata male e debole
1.1 Premessa
Il nostro viaggio ha il proprio climax nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970 e ha
come punto di partenza il 1945. È un bel salto all’indietro ma necessario per capire
perché si arriverà poi a quel momento, il quale preso a sé non si può comprendere
appieno. Se il golpe Borghese è la tessera di un mosaico che è la strategia della
tensione dobbiamo chiederci infatti chi lo ha realizzato e perché.
La fase terminale del secondo conflitto mondiale vede il completo trionfo degli Alleati
che risalgono la penisola italiana e costringono, con il contributo dei partigiani, alla
resa l’esercito nazista e quello repubblichino.
In questo periodo cruento avvengono quattro episodi carichi di significato per gli anni
a venire.
1. L’esercito alleato sbarca in Sicilia nel luglio del 1943 grazie al determinante
aiuto del super boss mafioso italo americano Lucky Luciano11;
2. L’ex capo del SIM (Servizio Informazioni Militari), il generale Mario Roatta, dà
vita al servizio segreto conosciuto come Anello o Noto Servizi;
3. Tra il 7 il 18 febbraio del 1945 a Porzus, al confine tra Italia e Slovenia, le brigate
comuniste del GAP uccidono 17 partigiani bianchi delle Brigate Osoppo in
circostanze mai del tutto chiarite;
4. James Jesus Angleton, capo del controspionaggio americano in Italia, il 30 aprile
del 1945 salva da fucilazione certa il comandante della X MAS Junio Valerio
Borghese.
Poche righe e quattro fatti esemplari per spiegare il perché di molti fatti che
succederanno in Italia negli anni seguenti: accordi sottobanco tra potere ufficiale e
criminalità organizzata, servizi segreti americani che reclutano i fascisti in funzione
anticomunista, spari nel buio, servizi segreti occulti. È con tutte queste meravigliose
premesse che il 2 giugno 1946 nasce la Repubblica Italiana in seguito alla vittoria del
referendum. Sia ben chiaro che la prospettiva di restare sotto i Savoia non fosse
proprio la più rosea, anzi: il recentemente scomparso Vittorio Emanuele, membro
della P2 tanto per non sbagliare, con la sua vita tutt’altro che esemplare12 lo ha
confermato in pieno.
11
Per approfondire si veda Andrea Purgatori (a cura di), Atlantide, "1943: La Mafia e gli americani. Storia di uno
sbarco", canale YouTube di La7, 02.03.2023, https://www.youtube.com/watch?v=yzCa21fy3sc&t=11s
12
Enrico Franceschini, Vittorio Emanuele di Savoia, il “re mancato” che non ha mai smesso di aspirare al trono,
repubblica.it, https://www.repubblica.it/esteri/2024/02/03/news/vittorio_emanuele_savoia_morto_re_italia-
422050035/, 03.02.2024.
12
1.2 Il peccato originale, o meglio due
L’Italia nasce già con un problema di fondo, un Peccato Originale per citare la Bibbia.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale infatti nel nostro Paese non si verifica un
processo ai gerarchi fascisti, come invece avvenuto a Norimberga per quelli nazisti,
per una serie di cause ed elementi decisamente complessi che qui non possono essere
trattati in modo approfondito perché non al centro dell’analisi. Ciò che conta in ogni
caso è che la mancata epurazione di tali personalità consentì allo stato profondo
dell’Italia di restare praticamente inalterato nonostante un ventennio di dittatura e
un conflitto devastante. Masse di funzionari e ufficiali prima monarchici e poi fascisti
si cambiarono semplicemente d’abito per travestirsi da repubblicani. È il caso del
“Servizio Informazioni Speciali”, una particolare sezione all’interno della Direzione
Generale di Pubblica Sicurezza nata nel 1946, per opera del ministro dell’Interno
Giuseppe Romita. Alla sua direzione viene posto Gesualdo Barletta, personaggio
importante dell’OVRA (Opera Volontaria di Repressione Antifascista) dov’era stato
raccomandato da Edvige Mussolini13. Il successivo ministro dell’Interno Mario Scelba
cambierà il nome della sezione in Ufficio Affari Riservati (UAARR) due anni più tardi.
L’UAARR, in parole semplici il servizio segreto del Viminale, nasce quindi in continuità
con la polizia politica del fascismo, conservando le strutture e il personale addetto.
Sarà uno dei principali motivi per cui personaggi come Federico Umberto D’Amato
faranno carriera. Il successivo direttore della struttura dal 1956 è Domenico De Nozza,
questore di Trieste e anch’egli ex membro dell’OVRA. Altre operazioni di riciclaggio
del personale riguardano gli ex agenti della PAI (Polizia dell’Africa Italiana) e vari
reduci di Salò, reintegrati nella polizia a scapito di reduci partigiani. Il regista principale
di tale manovra ha un nome, Giuseppe Pièche. Generale, ex capo dei carabinieri e del
reparto controspionaggio del SIM, inviato sia presso gli Ustascia sia presso il regime
di Franco, era stato anche spia dei gerarchi per conto di Mussolini14. Un personaggio
del genere a fine guerra invece di essere in carcere è libero di girare e di ricostituire
gruppi neofascisti15 come si vedrà più avanti. Grazie a questa situazione, personaggi
e soprattutto strutture parallele andranno in letargo per qualche anno per poi
rispuntare tranquillamente qualche anno dopo: una prova concreta che il cosiddetto
deep state praticamente sempre sopravvive ai cambi di regime, per usare una brutta
13
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri (strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto
1980)”, radioradicale.it, 26.05.2021. https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-
ed-altri-strage-alla-stazione-di-bologna-del-2?i=4281105, min. 28.
14
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 46.
15
Nello specifico Macri (movimento anticomunista per la ricostruzione italiana) e Fronte Antibolscevico. Pièche
formalmente era a capo dell'ufficio dei servizi antincendi del ministero degli interni, nella realtà era un centro
riservato che svolgeva attività informativa e provocazione politica.
13
metafora è come un’incrostazione che non si leva dalle tubature se non usando un
potente anticalcare.
Terminate le ostilità il referendum del 2 giugno 1946 aveva sancito la nascita della
repubblica a scapito della monarchia. Venti giorni dopo entrava in vigore l’Amnistia
Togliatti, un provvedimento proposto dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti,
segretario del PCI, che estingueva la maggior parte delle pene commesse durante la
Seconda Guerra Mondiale come per esempio il collaborazionismo e il concorso in
omicidio. Togliatti lo giustificò come un atto necessario per un «rapido avviamento
del Paese a condizioni di pace politica e sociale», un modo per salvare la società
italiana completamente spaccata con un colpo di spugna. L’Amnistia inoltre avrebbe
avuto una motivazione molto più spiccia: Togliatti fece un accordo poco prima del
referendum, secondo alcuni con Almirante16, per altri con Pino Romualdi17: un voto
per la repubblica in cambio della chiusura di un occhio su quanto fatto nel Ventennio.
Secondo Almirante i voti dei fascisti furono circa 200000. Quel che è certo in ogni caso
è che l’Amnistia permise agli ex fascisti e ai repubblichini di uscirne puliti o al massimo
con pene lievi, non impedendo loro di avere in seguito una carriera rilevante. Per fare
un esempio Marcello Guida, direttore della colonia di confino politico di Ventotene
nel periodo 1940-1943, in seguito divenne questore di Milano e Torino. Curiosamente
sarà lui a dirigere le indagini di Piazza Fontana e puntare verso la pista anarchica. O
ancora, un personaggio del calibro di Rodolfo Graziani verrà condannato a 19 anni ma
resterà in carcere appena quattro mesi. La mancata Norimberga italiana inoltre
causerà un problema di memoria negli italiani, un popolo a cui piace molto
dimenticare, il quale negli anni a seguire riterrà quasi solo i tedeschi responsabili dei
crimini durante la guerra: tutto quello fatto dalle milizie fasciste e repubblichine sarà
dimenticato da ampie frange della popolazione. Non a caso è noto il famoso detto
«Italiani brava gente». Mica tanto.
Un personaggio che esce indenne dalla Seconda Guerra Mondiale è Adalberto Titta,
ex ufficiale dell’aeronautica della RSI e che ora ritroviamo come capo operativo di
quella strana creatura che è l’Anello o meglio il Noto Servizio. Parliamo di un servizio
segreto clandestino scoperto casualmente dal professor Aldo Giannuli a fine anni ‘90
in una velina del SID datata 4 aprile 1972 e ritrovata nell’archivio dimenticato del
Ministero dell’Interno sulla circonvallazione Appia a Roma: «Questa è la storia di un
servizio informazioni che opera in Italia dalla fine della guerra e che è stato creato per
16
Aldo Giannuli, “ll MSI: perché non è stato messo fuorilegge?, canale YouTube di Aldo Giannuli,
21.10.2021https://www.youtube.com/watch?v=6_43wV0hT4E&ab_channel=AldoGiannuli, minuto 12.40.
17
Gerardo Picardo, “2 Giugno. Referendum Monarchia/Repubblica: Pino Romualdi e la neutralità dei fascisti”,
barbadillo.it, 03.06.2016,
https://www.barbadillo.it/56685-2-giugno-referendum-monarchiarepubblica-pino-romualdi-e-la-neutralita-dei-
fascisti
14
volontà dell’ex-capo del SIM generale Mario Roatta»18. In estrema sintesi era formato
da militari, imprenditori, ex repubblichini e giornalisti, non era quindi
un’organizzazione esclusivamente militare ma vi erano anche dei civili. Infatti uno dei
principali finanziatori era il costruttore milanese Sigfrido Battaini, il quale aveva
messo a disposizione i suoi uffici in via Statuto a Milano come sede operativa
dell’organizzazione nel nord Italia. Lo scopo primario del Noto Servizio era svolgere
quei lavori sporchi che sarebbero stati compromettenti per un servizio segreto
ufficiale mentre la sua caratteristica fondamentale era quella di essere
un’organizzazione dormiente, da attivare all’occasione19. Una delle operazioni più
clamorose messe a punto dall’Anello sarà la liberazione dell’ex tenente colonnello
delle SS Herbert Kappler, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine,
dall’ospedale del Celio il 15 agosto del 1977. Nell’orbita dell’organizzazione troviamo:
il direttore della rivista “Candido” Giorgio Pisanò, l’investigatore privato Tom Ponzi20,
il terrorista nero Gianni Nardi, il deputato della DC Massimo De Carolis, il frate Enrico
Zucca21, il commissario Walter Beneforti22, il giornalista Giorgio Zicari, il conduttore
della RAI Febo Conti e il terrorista bianco Carlo Fumagalli. Parecchi di questi li
ritroveremo in queste pagine, protagonisti a vario titolo delle vicende. Chi era però il
referente politico dell’organizzazione? Licio Gelli in un’intervista al settimanale "Oggi"
dirà che era, rullo di tamburi, Giulio Andreotti23: ovviamente non è una sorpresa,
considerando che il Noto Servizio operava direttamente sotto il comando del
presidente del consiglio e che Andreotti lo è stato per ben sette volte durante la sua
infinita carriera politica.
a
Il secondo peccato originale dell’Italia è quello di nascere sul sangue: il 1° maggio del
1947 il bandito siciliano Salvatore Giuliano e la sua banda sparano in località Portella
della Ginestra (Palermo) su una folla di contadini riuniti per la festa dei lavoratori. Il
bilancio sarà di 11 morti e 26 feriti. Una vera e propria strage, compiuta da un bandito
locale e commissionata dai grandi latifondisti siciliani, dal movimento indipendentista
locale e della mafia (sempre che non siano una sola entità), preoccupati dopo che
nelle elezioni regionali di pochi mesi prima il Blocco del Popolo, coalizione di sinistra,
era stato il più votato. Siamo di fronte a un massacro che «segna con un marchio a
fuoco l’origine della Repubblica»24, compiuta da un uomo, Salvatore Giuliano, che si
18
Allegato n° 2.
19
Per approfondire il tema si consiglia Stefania Limiti, L’Anello della Repubblica. La scoperta di un nuovo servizio
segreto. Dal fascismo alle Brigate Rosse, Chiarelettere, Milano 2014 e Aldo Giannuli, Il Noto Servizio: le spie di Giulio
Andreotti, Castelvecchi, Roma 2013.
20
Nome completo Tommaso Ponzi
21
22
Si veda p. per un maggiore approfondimento.
23
Gelli: «Berlusconi? Un debole. E Fini è un uomo senza carattere», “Corriere della Sera”, 15.02.2011,
https://www.corriere.it/cronache/11_febbraio_15/gelli-intervista-settimanale-oggi_68662fe0-391f-11e0-8e8c-
58f8c06c30d0.shtml.
24
Giovanni Tamburino, Dietro tutte le trame. Gianfranco Alliata e le origini della strategia della tensione, Donzelli,
Roma 2022, p. XIII.
15
considerava quasi un moderno Robin Hood. L’anno dopo si sarebbero tenute le prime
elezioni politiche della storia repubblicana e una vittoria delle sinistre avrebbe aperto
prospettive inimmaginabili: serviva una strage per far capire che l’Italia avrebbe avuto
una ben precisa direzione. Figura chiave della vicenda è il barone Giovanni Alliata di
Montereale, uno dei principali mandanti della strage: figlio di un diplomatico e
dell’ereditiera di un ricchissimo possidente italo-brasiliano, Francesco Matarazzo.
Rivendicava una marea di titoli cavallereschi, tra cui principe del Sacro Romano
Impero, e partecipò alla seconda guerra mondiale come ufficiale dell’esercito dove
scontò un periodo di prigionia in Egitto. Massone di primissimo livello in quanto Gran
Maestro della Serenissima Loggia degli ALAM25, era assiduo frequentatore di Ellery
Stone26, ammiraglio americano a capo della Commissione Alleata di Controllo in Italia,
e in stretti legami con le più importanti famiglie mafiose siciliane come i Brancaccio.
Una figura quella di Alliata che accompagnerà le vicende torbide italiane per svariati
anni tanto da essere definito «principe della zona grigia»27. Risulterà documentato
che dopo la strage Giuliano chiese ad Alliata la grossa somma di 50 milioni di lire: non
un ricatto ma voleva riscuotere quanto evidentemente gli era stato promesso, oltre a
un rifugio sicuro nelle immense proprietà del barone in Sud America. Non avrà né uno
né l’altro.
A Portella della Ginestra si inaugura un modus operandi che negli anni del
terrorismo sarà un cliché fisso: a sparare o a gettare le bombe saranno terroristi
prima di destra, poi di sinistra e anche criminali comuni; a favorirli con omissioni e
depistaggi ma anche ad armarli ci penseranno strutture di potere italiane e
americane. Una volta usati, tali burattini potevano essere gettati nel cestino: così
infatti capiterà a Salvatore Giuliano, trovato morto il 5 luglio 1950 davanti alla casa
di un avvocato a Castelvetrano: ammazzato dal suo braccio destro Gaspare Pisciotta,
si dirà invece che venne uccise in un conflitto a fuoco dai carabinieri. Miglior sorte
non avrà Pisciotta, il quale sarà avvelenato con la stricnina nel carcere
dell’Ucciardone a Palermo il 9 febbraio 1954 da mano tutt’ora ignota. Diceva di aver
ucciso il suo capo per ordine del ministro dell’Interno Mario Scelba, il quale secondo
lui era stato insieme ad Alliata, al deputato della DC Bernardo Mattarella (padre
dell’attuale presidente della Repubblica) e all’esponente monarchico Leone
Marchesano a ordinare la strage del 1947. Stessa sorte avranno poco altri elementi
di spicco dell’ex banda Giuliano: nessuno deve parlare, l’indagine può risalire agli
esecutori ma non andare oltre. Al quadro va aggiunto un particolare fondamentale:
cinquanta giorni prima della strage Giuliano aveva incontrato il cronista americano
Michael Stern, consegnandogli una lettera indirizzata nientemeno che al presidente
25
Antichi liberi accettati muratori, era una loggia fondata dallo stesso Alliata e che subito era stata riconosciuta dalle
più importanti congreghe americane.
26
Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano non ti farebbe mai leggere, Newton Compton, Roma 2010, p. 21.
27
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 116.
16
americano Harry Truman. Scrive Giuliano: «La cosa di cui abbiamo essenzialmente
bisogno è il vostro grandioso e potente appoggio morale. In Sicilia si è già costituito
il fronte antibolscevico. Non potevamo restare indifferenti di fronte al dilagare della
canea rossa»28. Stern, personaggio a dir poco curioso29, si era fatto accreditare come
giornalista ma è un ex capitano dell’OSS al servizio di James Jesus Angleton. Come
può un brigante semianalfabeta scrivere una lettera con questi argomenti a Truman
che non dovrebbe neanche sapere chi è? Grazie alla desecretazione di alcuni
documenti americani, alla scoperta dell’archivio dimenticato dell’Ufficio Affari
Riservati e a ricostruzione storiche30 oggi possiamo affermare che:
1. Giuliano era stato in collegamento con la X MAS di Borghese;
2. Era stato addestrato nella RSI;
3. Aveva a disposizione armi e divise americane;
4. Per Portella oltre alla sua banda aveva a disposizione un gruppo di supporto di
neofascisti;
5. Giuliano era legato a elementi di estrema destra del Veneto.
Tutta una serie di elementi tutt’altro che secondari che ampliano nettamente la
prospettiva di indagine: da un fatto locale ci si porta su un piano nazionale.
1.3 Il pericolo rosso: gli accordi segreti della NATO
È doveroso partire da un dato di fatto: l’Italia ha perso la Seconda Guerra Mondiale.
Ciò ha comportato che il nostro paese sia diventato una colonia d’oltremare degli Stati
Uniti, uno stato a sovranità limitata come talvolta si sente dire. Non sarà una bella
formula, è un segreto di Pulcinella che deve sempre essere tenuto a mente. Partendo
da questa considerazione si ricorda come la principale paura degli americani, una
volta vinta la guerra, fosse quella dell’avanzata rossa. È un timore che oltreoceano è
quasi atavico, con tendenze praticamente isteriche e che sfocerà nel Maccartismo31.
L’Italia, in una posizione geografica delicatissima e fondamentale, non poteva
assolutamente finire nell’orbita di Mosca: i comunisti del PCI, il partito filosovietico
più grande in Europa, dovevano essere fermati con in ogni mezzo. A tale scopo appena
finita la guerra iniziarono a circolare le voci su un possibile golpe rosso, al quale venne
dato il nome di «Piano K» che sarebbe scattato nell’autunno del 1947. È una bufala
totale ma inaugura un modo di pensare che farà storia, basato su un colpo di stato
che c’è ma non c’è, come se il golpe e lo spettro del golpe fossero la stessa cosa: «A
28
Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano…, p. 8.
29
Michele Gasperoni, “Addio a Mike Stern, reporter di guerra e giornalista della Dolce Vita”, ilgiornale.it, 02.09.2009,
https://www.ilgiornale.it/news/addio-mike-stern-reporter-guerra-e-giornalista-dolce-vita.html
30
Salvatore Vasile, Turiddu Giuliano: il bandito che sapeva troppo, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005.
31
Atteggiamento politico-amministrativo in voga nei primi anni ‘50 in America che deve il suo nome al senatore
Joseph McCarthy, caratterizzato da una lotta senza limite a qualsiasi persona o gruppi ritenuti di simpatie comuniste.
17
quel piano non ho mai creduto, mi comportai come effettivamente ci fosse32», dirà il
ministro dell’Interno Mario Scelba. È in questo periodo infatti che vengono varati i
primi piani di emergenza in caso di insurrezione comunista e anche qualcosa di più, a
scatenarli come appena detto un pericolo comunista più fantomatico che reale. Non
a caso si ha dal ‘46 (referendum) al ‘48 (prime elezioni politiche) una proliferazione di
organizzazioni clandestine più o meno neofasciste, dalla forte valenza anticomunista:
tutte sono nutrite dalla stessa madre ovvero «i servizi segreti americani, in particolare
l’OSS di Angleton»33. Nello stesso periodo in cui sarebbe scattato il presunto golpe
rosso Ettore Musco, colonnello dell’esercito e fondatore della misteriosa formazione
nota come Armata Italiana della Libertà (AIL) depositava presso l’ambasciata
americana a Roma l’elenco dei «membri principali del comitato centrale»34 della
stessa associazione, composto da 35 nomi, di cui una decina sono generali. Già tempo
prima le notizie da oltreoceano parlavano di una cinquantina di generali anticomunisti
e pronti a tutto, i quali «si stanno organizzando per un colpo di stato»35. Voci e
movimenti significativi in quanto nella primavera successiva in Italia si sarebbero
svolte le prime elezioni libere dal fascismo. Allargando lo sguardo ritroviamo il
generale Pièche, il quale aveva formato in questo periodo un’organizzazione nota
come Fronte Bolscevico, attorno a cui ruotava l’AIL. Si trattava di un gruppo formato
da monarchici e fascisti che
Prevedeva l’impiego di agenti provocatori con tessere false del partito comunista e socialista. Se le
elezioni fossero state favorevole alla sinistra gli aderenti a questi gruppi avrebbero avuto l’incarico
di compiere attentati contro le sedi della DC e dei partiti minori. I loro attentati sarebbero serviti a
giustificare il successivo arresto dei dirigenti dei partiti di sinistra.36
Nonostante la paura della “canea rossa”, alle elezioni del 18 e 19 aprile del ‘48 la DC
conquista la maggioranza assoluta dei seggi e quella relativa dei voti, garantendosi un
dominio politico che durerà quasi cinquanta anni. Fu invece netta la sconfitta delle
forze di sinistra, riunite nel Fronte Democratico Popolare, che arrivarono appena oltre
il 30% dei voti. Il 10 febbraio, un mese prima, un documento del Consiglio di sicurezza
americano controfirmato dal presidente Harry Truman affermava come «gli Stati Uniti
dovrebbero fare pieno uso della loro forza politica, economica, e se necessario
militare, per prevenire la caduta dell’Italia sotto la dominazione dell’Unione Sovietica
32
Giovanni Gozzini, Hanno sparato a Togliatti, Il Saggiatore, Milano 1998, p. 128.
33
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 99.
34
Roberto Faenza e Marco Fini, Gli Americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976, p. 265. Cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato
oscuro del potere: associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1996 a oggi, Editori Riuniti, Roma 1996, p.
25.
35
Ibidem.
36
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 47.
18
attraverso un attacco dall’esterno oppure attraverso movimenti comunisti interni»37.
In pratica in caso di vittoria alle elezioni delle forze comuniste l’Italia o sarebbe stata
invasa dagli americani o sarebbe stato rovesciato il governo di sinistra: è la cosiddetta
“Dottrina Truman” applicata al caso italiano.
Nell’aprile del 1949 vede la luce la NATO (North Atlantic Treaty Organization),
organizzazione che si pone come un’alleanza militare di difesa pro Stati Uniti in chiave
anticomunista. I fatti della storia italiana e di altri paesi hanno invece dimostrato che
«agiva come struttura tesa a conservare lo status quo politico nei paesi aderenti38»,
tanto che «si possono ritrovare tracce dei servizi segreti Nato in quasi tutte le svolte
della politica italiana»39. L’adesione dell’Italia al Patto Atlantico viene ratificata dal
parlamento il 1° agosto 1949: molte delle clausole che prevedeva sono rimaste per
anni ignote. È solo a questo punto, ovvero dopo le elezioni del 1948 che collocarono
stabilmente la penisola nell’orbita americana e la firma degli accordi NATO, che
vengono riattivati i servizi segreti in Italia, nominalmente in sonno dopo la fine del
secondo conflitto mondiale. Il 1° settembre del 1949 veniva infatti attivato il SIFAR,
ovvero il Servizio Informazioni Forze Armate, erede del SIM (Servizio Informazioni
Militari), su gentile concessione dei servizi d’oltreoceano: i servizi italiani rinascono in
totale asservimento a quelli americani in quanto il loro scopo primario è «raccogliere
informazioni utili a Washington e controllare la fedeltà alla NATO delle forze
armate40». C’è un ulteriore dettaglio da mettere in luce: il nuovo servizio segreto è
uguale al SIM, in quanto nasce con una semplice circolare ministeriale, alla
ricostituzione non segue perciò una nuova regolamentazione legislativa41. Primo
capo del SIFAR è il generale Giovanni Carlo Re.
Procedendo nel tempo, nell’agosto del 1951 si tiene a Parigi la prima riunione del CPC
(Clandestine Planning Committee), una commissione direttamente dipendente dal
presidente americano Dwight Eisenhower e di cui fanno parte esponenti dei servizi
segreti inglesi, francesi e statunitensi ma non italiani. Si tratta di una struttura che pur
avendo nominalmente compiti di pianificazioni nei fatti era invece un organismo
operativo, dal carattere fluido. Il 19 dicembre del 1952 Giovanni De Lorenzo, generale
e futuro capo del SIFAR, sottoscrive all’insaputa del governo italiano il cosiddetto
piano “Demagnetize”, tradotto letteralmente come “smagnetizzare”. Si tratta di un
accordo tra i servizi segreti che prevede «una serie di operazioni politiche, militari e
37
Relazione sulle vicende connesse all’operazione Gladio, Atti Commissione Stragi, 1992.
38
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 40.
39
Cfr. Giorgio Rochat nell’introduzione a Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, Bovolenta Editore, Ferrara
1981, p. VIII.
40
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 20.
41
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 38.
19
psicologiche mirate a ridurre la presenza del partito comunista in Italia [...]. La
limitazione del potere dei comunisti in Italia e in Francia è un obiettivo prioritario:
esso deve essere raggiunto con qualsiasi mezzo [...]. Del piano Demagnetize i governi
italiano e francese non devono essere a conoscenza»42. Accordi di una valenza a dir
poco alta, validi quindi non solo in Italia, e che da noi verranno resi operativi due anni
più tardi. Avverrà con l’arrivo della nuova ambasciatrice americana Clare Boothe Luce,
la quale favorirà inoltre la promozione di De Lorenzo a capo del SIFAR su spinta del
dipartimento di stato: un modo per controllare il presidente della repubblica Giovanni
Gronchi, definito «portabandiera d’un populismo cattolico spregiudicato»43 e
considerato troppo aperto a sinistra negli ambienti americani. È solo dopo la firma di
Demagnetize che l’Italia avanza la richiesta di aderire al CPC, attraverso un enigmatico
«Servizio Clandestino Italiano»44, di cui tuttora non sappiamo molto. Pare evidente
però che è già dal 1952 quindi che i in Italia esistono strutture miste di militari e civili,
dei gruppi non solo segreti ma clandestini e paralleli in funzione anticomunista. L’anno
dopo infatti assistiamo alla nascita di un’altra struttura simile: l’ex ambasciatore in
Birmania Edgardo Sogno viene richiamato in patria dal presidente del consiglio Mario
Scelba45, d'accordo col ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani, e messo a capo della
sezione italiana dell’associazione Pace e Libertà, una struttura formata da civili già
presente in Francia in funzione anticomunista. Tra i suoi dirigenti vi erano singolari
personalità come i giornalisti/provocatori/ricattatori Lando Dell’Amico e Luigi Cavallo
mentre riceveva un aiuto economico dalla Fiat, dalla Pirelli, dalla Confindustria, dal
NATO Defense College e da Enrico Mattei46. Verrà sciolta nel 1957, non prima che lo
stesso Sogno un anno prima si lamentasse per lo scarso sostegno finanziario dagli
amici americani47. Ma chi è veramente Edgardo Sogno? Nato a Torino nel 1915 da una
nobile famiglia sabauda, monarchico, durante la Resistenza guidò brigata partigiana
bianca nota come “Franchi”. Si trattò di un’organizzazione decisamente atipica,
definita «un'unità spionistica al servizio degli inglesi»48. Premiato dagli americani a
fine del conflitto con la Bronze Star Medal e con la medaglia d’oro al valore militare
dall’Italia, si dedicò poi per una decina d’anni alla carriera diplomatica: dopo aver
diretto a Londra il "Planning and Coordinating Group" della NATO, nell'estate del 1953
Sogno segue a Parigi i corsi del NATO Defense College per la guerra psicologica.
Demagnetize e Pace e Libertà testimoniano anche come la situazione post bellica non
42
Roberto Faenza, Il Malaffare, Mondadori, Milano 1978, p. 313.
43
Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia del Novecento, Superpocket, Milano 1999, p. 392.
44
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 53.
45
Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 39.
46
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 32.
47
Pino Buongiorno, Se vince il Pci, “Panorama”, 09.12.1990, p. 61.
48
Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 37.
20
era solo italiana ma anche francese: la futura strategia della tensione è un fenomeno
infatti in primis europeo, pur con certe peculiari caratteristiche nel nostro Paese.
Inoltre, il memorandum americano precedente di poche settimane le elezioni del
1948 di cui si è già fatto menzione viene confermato nel rapporto del 1961 dal nome
in codice «NSC 2014/1-Secret»49. Redatto dal consiglio nazionale di sicurezza
americano, di nuovo ribadisce che il partito comunista non può legalmente governare
e che deve essere arginato con ogni mezzo.
Facendo un notevole balzo in avanti il 19 marzo 1970 il generale William
Westmoreland, capo di stato maggiore dell’Esercito americano, firma un documento
top secret noto come Field Manual 30-3150, il quale comprende il cosiddetto
supplemento «B». È un manuale di capitale importanza per comprendere gli anni
delle stragi in quanto nel B sono contenuti i consigli per il servizio segreto dell’esercito
per «destabilizzare ai fini di stabilizzare» un paese alleato in caso di un’avanzata
elettorale dei comunisti. Per fare ciò gli agenti avrebbero dovuto svolgere operazioni
speciali e «penetrare all’interno del movimento in rivolta con il compito di formare
speciali gruppi di azione tra gli elementi più radicali»51. In sostanza fingere di fare la
rivoluzione utilizzando i gruppi terroristici per rinforzare il potere costituito, ovvero la
tattica che permetterà alla DC di restare al potere dal secondo dopoguerra a
Tangentopoli. Coincidenza vuole che una copia del manuale di Westmoreland verrà
ritrovata nella valigetta che porterà con sé Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, al
momento del suo arresto a Fiumicino il 3 luglio 198152. Il Field Manual è autentico così
come la firma dal generale mentre invece è sempre stato disconosciuto dal governo
americano il supplemento B: Washington ha sempre dichiarato che era un falso fatto
circolare dalla propaganda sovietica, una smentita scontata considerando le
ripercussioni negative che avrebbe causato sancirne l’autenticità. D’altro canto però
si notano parecchie assonanze con il precedentemente nominato Piano Demagnetize,
sulla cui autenticità invece non vi è alcun dubbio e che comunque rende in parte non
necessario il supplemento B in quanto già lo prevedeva nella pratica.
1.4 Gladio
È datato 8 ottobre 1951 un appunto nel quale il generale e capo del SIFAR Umberto
Broccoli scrive al capo di stato maggiore della Difesa Efisio Marras. In questo nota
Broccoli cerca di convincere Marras a creare un’organizzazione mista formata da
militari e civili, «adibita alle informazioni, al sabotaggio, alla propaganda e alla
49
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 111.
50
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 59.
51
Ibidem.
52
Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del giudice istruttore dottor Guido Salvini nei confronti di
Rognoni Giancarlo e altri, 1998, p. 350. Nota: da ora in poi la fonte verrà citata come «S.O. Salvini, 1998».
21
resistenza53». Il generale scrive che sia Gran Bretagna sia Stati Uniti darebbero il loro
supporto alla realizzazione. La storia ci dirà che daremo l’assenso ai secondi. Tre anni
dopo compare un documento americano nel quale si parla di «sviluppare la resistenza
clandestina e facilitare operazioni coperte e di guerriglia e di assicurare la reperibilità
di quelle forze in caso di guerre, comprendendo [...] la previsione di reti Stay behind
e struttura per la fuga e l’esfiltrazione54». Si tratta della prima testimonianza scritta
nota delle reti clandestine europee in funzione anticomunista, poi famose come Stay
Behind, in Italia chiamata organizzazione Gladio. Di cosa si tratta? Si parla di una rete
segreta ma formalmente legale di militari e civili predisposti in caso di un’invasione
sovietica, la medesima di cui aveva fatto menzione Broccoli nel ‘51. Non è un caso
solo italiano ma coinvolge altre nazioni europee come Belgio e Francia.
Nel nostro Paese però c’era già un precursore: l’organizzazione «O», a sua volta
derivata dalla brigata partigiana bianca «Osoppo», la quale era in contatto con
l’Organizzazione Franchi di Edgardo Sogno per contrastare le brigate comuniste
jugoslave nel secondo conflitto mondiale. Smobilitata ufficialmente a fine guerra, in
realtà rimane attiva tanto che nel 1946 comprendeva 2130 effettivi e due anni dopo
era più che raddoppiata55. Cambiato nome in «Volontari Difesa Confini Italiani VII», si
trasforma progressivamente in un organismo militare segreto, con propri reparti
militari. Il 6 aprile 1950 diventava organizzazione «O»56, costituita da 256 ufficiali, 496
sottufficiali e 5728 uomini: è di fatto una brigata dell’esercito come forza militare.
Resterà attiva per 6 anni, con compiti praticamente informativi in opposizione a
possibili infiltrazioni slave. Alla fine del 1956 cambierà di nuovo nome e trasformata
nella «Stella Alpina», la quale deve essere considerata ormai parte dell’organizzazione
Gladio. I suoi compiti in tempo di pace sono il controllo e la neutralizzazione
dell’attività slavo-comunista, in caso di insurrezione interna la antiguerriglia e
l’antisabotaggio57.
L’esistenza di Gladio, che va ricordato è un’operazione e non un’organizzazione, da
anni paventata da storici e giornalisti, verrà rivelata dal premier Giulio Andreotti il 24
ottobre del 1990, costretto dalla valanga di interpellanze parlamentari dopo fatti
ancora oggi non chiariti come la strage di Ustica e dall’inchiesta veneziana dei giudici
Felice Casson e Carlo Mastelloni: «Sì, c’è una Nato segreta», dirà un Andreotti
53
Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, Laterza, 1993 Bari, p. 288 e seg.
54
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 8.
55
Ivi, p. 17.
56
Ibidem.
57
Appunto n. H/57/O del 26.3.58 citato in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 20.
22
«stranamente compiaciuto»58. Il leader della DC, nel suo discorso alla Camera,
afferma in sintesi che:
1. La struttura esiste nel quadro NATO ed è ancora attiva;
2. Era stata creata in caso di occupazione da parte di forze nemiche come rete di
salvaguardia;
3. Vi appartengono anche neofascisti;
4. Era armata ma poi col tempo si è deciso di togliere le armi;
5. Nel nuovo clima di distensione post caduta del muro di Berlino è possibile la
sua soppressione.
Dichiarazioni palesemente banalizzanti che ancora oggi lasciano dubbi: è stato un
succoso piatto dato in pasto all’opinione pubblica per mantenere nascosto il vero
volto della struttura clandestina NATO di cui Gladio sarebbe solo una parte, una delle
Stay Behind attiva in Italia ma non l’unica come negli ultimi trenta anni si è voluto far
passare. Su Gladio stessa inoltre la versione ufficiale parla di 622 persone reclutate, i
cosiddetti gladiatori, negli anni di attività dell’organizzazione. Un numero ridicolo se
si considera che: 1) solamente la precedente nominata «O», sua progenitrice, contava
6000 effettivi, 2) Gladio ufficialmente è stata attiva per 34 anni, significherebbe 18
persone reclutate all’anno, 3) infine come Gladio aveva potuto avere così poche
reclute se il suo scopo dichiarato era aiutare l’intera Italia in caso di invasione?
Similmente si può dire per la vicenda dei cosiddetti Nasco, ovvero i nascondigli per le
armi dell’organizzazione: il numero dichiarato ufficialmente è di 139, peccato però
che due di questi, scoperti casualmente, abbiamo numerazione 203 (Aurisina) e 677
(Villa Santina). Molto strano, considerato che la numerazione di tutti gli altri era
invece sequenziale59.
La base operativa di Gladio era sulla costa ovest della Sardegna a Torre Poglina, vicino
Alghero, ed è nota come il Centro Addestramento Guastatori. La sua costruzione
avviene nel 196360, non prima che il terreno su cui viene edificata subisca un curioso
iter. Non sarà infatti direttamente l’esercito ad acquistarlo ma una società privata di
nome “Torre Marina” i cui tre soci sono però Ettore Musco, capo del SIFAR, Antonio
Lanfaloni, capo del SIOS61-esercito, e Felice Santini, dirigente dell’ufficio
amministrativo del SIFAR62. La vicenda Gladio è rilevante in questa trattazione poiché,
secondo l’opinione autorevole di Giuseppe De Lutiis, spiega perché i gruppi eversivi
58
Giorgio Frasca Polara, «La struttura occulta esiste ancora», “l’Unità”, 25.10.1990.
59
Ugo Dinello, La via delle armi, Laterza, Bari 2022, p. 39.
60
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 140.
61
Servizio informazioni operative e situazione. Era il servizio informativo all’interno dell’esercito, chiamato a definire il
potenziale militare di un determinato paese.
62
Paolo Ojetti, Il SIFAR comprava terreni in Sardegna, “L’Europeo”, 28.05.1976.
23
degli anni settanta avevano tante caratteristiche comuni: i membri di questi erano
stati addestrati nello stesso posto, da medesimi uomini, con gli stessi fini63. Sono stati
da più fonti ritenuti dei gladiatori per esempio Delfo Zorzi e Gianfranco Bertoli,
terroristi neofascisti veneti che segneranno la cronaca successiva con stragi nelle quali
verrà spesso usato un esplosivo, il T4, disponibile solo negli ambienti militari NATO. I
gladiatori venivano infatti addestrati all’uso di esplosivi al plastico di ogni tipo, tra cui
la famigerata gelignite che verrà usata a Piazza Fontana. A questo punto viene quasi
logico chiedersi se tra i civili addestrati negli anni ‘60 ci sarà chi prenderà parte al
golpe Borghese o ad altri tentativi eversivi. Domanda senza risposta alla storia di un
servizio segreto che con il denaro pubblico ha addestrato per anni migliaia di persone
alla sovversione delle istituzioni.
1.5 Un sistema politico fragile
«La strategia della tensione in Italia non avrebbe avuto lo stesso svolgimento, o, forse
non si sarebbe verificata affatto, se il sistema politico avesse avuto caratteristiche
diverse64». Tutti i fattori nominati in precedenza hanno favorito in Italia una forma di
governo debole che prestava il fianco all’intervento sia di potenze straniere sia di
ingerenze interne non regolari. D’altro canto la ricostruzione del Paese dopo la guerra
a livello economico procedeva a un ritmo nettamente inferiore rispetto alle altre
nazioni europee come la Germania, che pur avendo pagato un prezzo salatissimo in
termini di vite e di distruzione, rispetto all’Italia avevo uno sviluppo industriale ben
più avanzato. In Italia, per la già nominata mancata epurazioni di elementi fascisti, era
stata possibile la fondazione il 26 dicembre 1946 del Movimento Sociale Italiano per
opera di Pino Romualdi, Arturo Michelini e Giorgio Almirante. Un partito apertamente
neofascista, nato grazie ai contatti dei suoi fondatori «con ambienti dei servizi segreti
americani, con ambienti ecclesiastici, con settori massonici, con gruppi monarchici,
con rappresentanti dei servizi del futuro Stato di Israele65». Un quadro ben poco
edificante.
Escludendo le elezioni per l’Assemblea Costituente del 1946 che già comunque
avevano mostrato l’egemonia del partito cattolico e di due forti partiti a sinistra, dal
1948 per quasi mezzo secolo la politica nostrana sarà dominata da otto partiti: 1.
Democrazia Cristiana (DC), 2. Partito Comunista Italiano (PCI), 3. Partito Socialista
Italiano (PSI), 4. Movimento Sociale Italiano (MSI), 5. Partito Nazionale Monarchico
(PNM), 6. Partito Liberale Italiano (PLI), 7. Partito Repubblicano Italiano (PRI), 8.
Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI). La quasi impossibilità che un partito
63
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 141.
64
Aldo Giannuli, La strategia della tensione, Ponte alle Grazie, Milano 2018, p. 56.
65
Giuseppe Parlato, Fascisti senza Mussolini, Il Mulino, 2006 Bologna, p. 252.
24
raggiungesse da solo la maggioranza assoluta causò la necessità di dar vita a varie
coalizioni di governo, caratterizzate da un’ampia autonomia dei ministri: un fattore
che «costituirà uno dei principali varchi alle ingerenze militari e di polizia66». Il sistema
politico di fatto era a tre: un centro che governava, una sinistra antisistema filo
sovietica e una destra reazionaria. Era una formula che tutto sommato andava bene
ai due principali protagonisti: la DC aveva nel PCI la miglior garanzia del suo monopolio
di potere, e viceversa, in quanto il PCI aveva nella DC il garante della sua esistenza.
partito comunista escluso, tutti gli altri schieramenti politici furono interessati da un
forte correntismo interno, un fenomeno tipicamente italiano. Sarà uno dei fattori
decisivi del dominio della DC in quanto permetterà «la raccolta del consenso in un
largo ventaglio di direzioni e una relativa flessibilità politica67». I democristiani
avranno perciò per anni in mano i ministeri fondamentali come Interni, Finanze,
Difesa e gli apparati di sicurezza.
66
Aldo Giannuli, op. cit., p. 62.
67
Aldo Giannuli, op. cit., p. 70.
25
Capitolo II: i primi anni ‘60, dal governo Tambroni al Piano Solo
2.1 L’esperimento tambroniano
Dopo le elezioni del ‘48 l’Italia per un decennio si era retta su coalizioni centriste che,
pur essendo caratterizzate dalla breve durata, avevano tutto sommato funzionato e
permesso al Paese di varare importanti riforme. Sono gli anni del boom economico
che consentono, pur tra evidenti contraddizioni sociali che troveranno sfogo dal ‘68
in poi, alla Penisola di vivere il cosiddetto “Miracolo italiano”. A livello politico dopo i
ben otto governi di coalizione guidata da Alcide De Gasperi fino al 1953, negli anni
seguenti ci sono i brevi esecutivi di Giuseppe Pella, Antonio Segni, Mario Scelba,
Adone Zoli e Amintore Fanfani: sono in ogni caso tutti espressione del centro.
Nel ‘60 cambia qualcosa in quanto viene messo a capo del governo Fernando
Tambroni, ex centurione della milizia fascista68 ed esponente della sinistra DC. Dal
26 marzo al 27 luglio Tambroni resse una maggioranza monocolore della
Democrazia Cristiana, passata per pochissimi voti alla Camera (300 sì e 293 no)
grazie all’appoggio decisivo del MSI e di quattro monarchici indipendenti tra cui il già
nominato Alliata di Montereale e l’ex generale Raffaele Cadorna. Stessa cosa al
Senato dove Tambroni ottenne la fiducia con una ventina di voti di scarto. Ritenuto
da più parti il governo più orientato a destra dal secondo dopoguerra in poi, verrà
definito un «esperimento autoritario e criptofascista69». Il governo Tambroni infatti,
l’unico di centrodestra durante la Prima Repubblica, sarà come detto accusato di
simpatie con il fascismo e ricordato per i morti sulle piazze. Nell’estate del ‘60 si
ebbero infatti undici vittime e centinaia di feriti a seguito di manifestazioni in tutto il
paese, innescate dalla decisione dell’MSI di convocare il proprio congresso nazionale
a Genova, città partigiana e medaglia d’oro della Resistenza, facendolo presiedere
all’ex prefetto repubblichino Carlo Emilio Basile. Dopo ulteriori violenze a Roma il
culmine si tocca con la Strage di Reggio Emilia del 7 luglio in cui perirono cinque civili
inermi, uccisi dalle forze dell’ordine durante i disordini. Come purtroppo si vedrà
anche in vicende successive, nessun agente e dirigente di polizia verrà mai
condannato: solamente nel 1978 il ministero dell’Interno sarà riconosciuto
colpevole e costretto a pagare un pesante risarcimento ai parenti delle vittime70.
Detto ciò quella di Tambroni è una provocazione programmata nei tre anni
precedenti in cui era stato ministro dell’Interno nei governi Segni, Zoli e Fanfani,
periodo nel quale grazie al sostegno del vice capo della CIA in Italia Robert Driscoll71
aveva organizzato a Roma una centrale spionistica incaricata di infiltrare il PCI e di
68
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 49
69
Ivi, p. 63.
70
Il tribunale di Bologna nel 1978 condannerà il Ministero a un risarcimento di 178 milioni di lire a favore dei parenti
delle vittime. La precedente sentenza della Corte d’assise di Milano del 1964 aveva assolto i 63 imputati, dei quali solo
due erano poliziotti.
71
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 39.
26
schedare svariate personalità politiche tra cui Segni e Andreotti con il servizio di
personaggi già nominati come Walter Beneforti. Su quest’ultimo forse due parole in
più vanno fatte: vice commissario aggiunto, ex capo dei servizi politici della polizia
del Territorio Libero di Trieste, è in contatto con i servizi americani fin dal
dopoguerra e infatti sarà un elemento di fondamentale importanza nei rapporti tra
l’UUAAR e la CIA durante gli anni di De Nozza72. Sarà in seguito coinvolto nello
scandalo intercettazioni del 1973 insieme a Tom Ponzi, entrambi come già detto
legati al Noto Servizio. Il vizio per la schedatura non era una novità: Scelba, il
predecessore di Tambroni all’Interno, aveva iniziato questa procedura grazie al
lavoro del già nominato Pièche73. A Tambroni dà un importante sostegno economico
la Edison, nei cui registri anni dopo sarà trovato l’appunto «Estate 1960-operazione
Ippocampo»74: un piano per un colpo di stato? Non impossibile, considerato che nel
periodo si svolse un grande mobilitazione delle truppe NATO di stanza in Italia, una
costante che accompagnerà il Paese nei momenti di tensione. Fatto sta che il 19
luglio Tambroni sarà costretto alle dimissioni dal segretario della DC Aldo Moro,
sancendo la sua fine politica. L’esperimento tambroniano viene spazzato via sia dalla
piazza sia dalle lotte interne alla DC ma non la sua ispirazione: la schedatura diviene
pratica sempre più comune e secondo Ferruccio Parri i fascicoli di Tambroni
finiscono al SIFAR che proprio in quegli anni sotto la guida Giovanni De Lorenzo inizia
l’attività che lo porterà ad avere dossier su centinaia di migliaia di italiani. Infine la
vicenda tambroniana permette di aprire una piccola parentesi ma importante:
durante il suo periodo al ministero e al governo nell’UUARR c’era un gruppo di
persone a lui fedeli, una cordata per così dire. Infatti quando noi facciamo
riferimento ai vari apparati dello stato, per esempio il SIFAR, non sarebbe proprio
corretto citarlo in toto ma invece far riferimento a determinate cordate e
determinati personaggi che si fanno la guerra tra di loro. Sarà da capire di volta in
volto la mano, ovvero i politici di riferimento, che muove le pedine sullo scacchiere.
2.2 Federico Umberto D’Amato
C’è un uomo che con Tambroni aveva avuto a che fare, ricattandolo per una relazione
extraconiugale75, manovra che gli era costata il trasferimento a Firenze. Ora però sta
rapidamente scalando le gerarchie: si chiama Federico Umberto D’Amato, lo spione
per eccellenza. Figlio d’arte in quanto il padre Federico era stato questore, da tempo
ha intessuto una rete di contatti impressionanti, in primis con gli americani e in
particolare con James Jesus Angleton fin dai tempi della guerra. Giovane commissario
di pubblica sicurezza, nelle fasi finali del conflitto mondiale aveva consegnato agli
72
Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, Memoriale del Pubblico Ministero, Procedimento Penale n. 03/08 Corte
d’Assise di Brescia, Procura della Repubblica presso il tribunale di Brescia, 01.11.2011, p.40-42.
73
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 53.
74
Panorama, 26.11.74, citato in Gianni Flamini, Il partito del golpe, tomo primo, p. 56.
75
Tambroni era amante dell’attrice Sylva Koscina.
27
Alleati la lista delle spie naziste a Roma76. Un gesto che non verrà dimenticato dagli
americani.
Tre anni prima dei fatti del 1960, quando Tambroni era ministro dell’Interno, D’Amato
era stato spostato alla Divisione Affari Riservati dall’ufficio politico della questura di
Roma. Giocano nella sua squadra informatori prezzolati come il giornalista Lando
Dell’Amico e il frate belga Felix Morlion, Mario Tedeschi de “Il Borghese” e presunti
comunisti come Margherita Ingargiola77. Pur essendo l’UAARR una diretta figlia se non
una sorellastra dell’OVRA, D’Amato non è mai stato un fascista: è un uomo
spregiudicato che segue semplicemente la propria morale, al di sopra dei discorsi
politici, e che ha giocato su più tavoli con un ruolo sempre personale. Aldo Giannuli
lo definisce proprio così: «un uomo geniale ma assolutamente amorale e privo di
principi di qualsiasi sorta»78, dietro l’aspetto di piccolo napoletano gaudente troviamo
un uomo potentissimo che aveva la sovrintendenza alla segreteria speciale del Patto
Atlantico79. D’Amato dalla seconda metà degli anni ‘60 è di fatto il capo dell’UAARR,
non potendolo essere a tutti gli effetti in quanto non era ancora stato promosso a
questore. Vice di capi ormai a fine carriera come Elvio Catenacci, dirigerà l’ufficio nella
sostanza insieme al suo braccio destro Silvano Russomanno e poi a tutti gli effetti dal
1971. Nel 1974 dopo i fatti di Piazza della Loggia verrà trasferito a comandare la polizia
di frontiera mentre ovviamente il suo nome comparirà tra gli iscritti alla P2. Infine,
per capire quanto a lungo la sua figura ha pesato nell’ambiente, D’Amato ancora a
metà anni ‘90 aveva un ruolo di primo piano nella polizia, nonostante fosse da dieci
anni in pensione. Nel 2020 sarà riconosciuto come uno dei mandanti della strage della
stazione ferroviaria di Bologna del 1980.
2. 3 Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale
«Fin dal 1964 tutte le varie organizzazioni di destra venivano immancabilmente
strumentalizzate dalle forze del potere [...]. Le armi che vennero sequestrate a un
certo punto ci erano state date dai carabinieri80». Questa dichiarazione, resa
dall’ordinovista veronese Marcello Soffiati al giudice Giovanni Tamburino, serve a
delineare il quadro introduttivo delle due principali organizzazioni di estrema destra
presenti in Italia nel dopoguerra, ovvero il Centro Studi Ordine Nuovo e Avanguardia
76
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, min. 29.
77
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 103-104.
78
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, min. 30.
79
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 96.
80
Gianni Barbacetto, Il grande vecchio, Baldini & Castoldi, Milano 1993, p. 72.
28
Nazionale. ON è una costola del MSI che si stacca per protesta dopo la nomina a
segretario di Arturo Michelini nel 1956, in quanto ritenuto troppo morbido. La guida
è il giornalista Giuseppe Rauti, detto Pino, altri elementi di primo piano sono Paolo
Signorelli e Clemente Graziani. La sua struttura è solida e organizzata, con una propria
ideologia ben precisa formata sulle teorie del filosofo e ideologo dell’estrema destra
Julius Evola. AN, ufficialmente Avanguardia Nazionale Giovanile, vede invece la luce
nel 1960, fondata simbolicamente il 25 aprile da un gruppo di ex ordinovisti guidati
da Stefano Delle Chiaie, detto “Er caccola” per la sua bassa statura, Adriano Tilgher e
i fratelli Di Luia. Sciolta formalmente da Delle Chiaie dal 1965 al 1970, sarà nei fatti
sempre attiva e il gruppo dirigente coeso. Pur essendo entrambe politicamente del
medesimo stampo, ben diversa è la loro struttura: ON è formato da giornalisti,
avvocati, professionisti e ha una struttura pianificata, AN è invece costituito da
persone del ceto medio-basso che si potrebbero definire in modo semplice degli
squadristi di piazza.
Per entrambe sorgono fin da subito sospetti di collusioni ad alto livello, voci che in
varie sedi sono state confermate: per ON con il SIFAR/SID dal 1964, per AN con il
ministero dell’Interno dal 1962. Dirà a proposito il professor Aldo Giannuli:
«Avanguardia Nazionale porta sempre alla polizia, Ordine Nuovo ai carabinieri e al
servizio militare»81. Per questo motivo le due organizzazioni, pur avendo medesima
fede politica, sono in rivalità a causa dei loro “referenti” nella pubblica
amministrazione e anche negli scopi finali. Delle Chiaie nel 1997 dirà infatti davanti
alla Commissione Stragi che l’ambiente di ON riteneva che «la conquista del potere
doveva essere la conclusione della rivoluzione»82 mentre per AN un atto tecnico da
cui partire. Per inquadrare ON è interessante la deposizione del suo ex membro
Graziano Gubbini: «Ordine Nuovo era già in origine legato ad ambienti militari, tutti i
suoi componenti venivano da esperienze belliche e soprattutto Rauti aveva contatti
con importanti militari83». ON era un’organizzazione molto potente, legata in modo
organico al SIFAR che procurava finanziamenti e agganci politici a tal punto che
sarebbe stato inimmaginabile che il gruppo potesse fare una qualsiasi operazione se
non tacitamente autorizzata dal servizio84. Sarà così capace di influenzare la storia
italiana che verrà definita in sede giudiziaria «l’anello portante della strategia della
81
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, min. 25.
82
Commissione Stragi, audizione di Stefano Delle Chiaie del 16.07.1997. Consultabile all’indirizzo
https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno25.htm
83
Tribunale di Bologna, esame testimoniale di Guido Giannettini dinanzi al giudice Mastelloni del 24 gennaio 1994.
84
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:33.
29
tensione»85. ON inoltre è legata fin dagli esordi con due centri internazionali: il gruppo
estremista europeo Nuovo Ordine Europeo dello svizzero Guy Amaudruz e
soprattutto con l’OAS86 e la sua diretta erede Aginter Press. AN come si è detto è
diverso in quanto il rapporto con l’UAARR era meno organico: mentre «ON era un
reparto di fiancheggiatori, AN era piuttosto un gruppo di corsari»87. Per AN è
interessante la dichiarazione di Guido Giannettini secondo il quale «dagli anni
sessanta in poi era arcinoto negli ambienti politici e giornalistici che il D’Amato
manipolava Delle Chiaie e la struttura di Avanguardia Nazionale»88. Una voce che
confermerà anni dopo anni anche Antonio Labruna, precisando in modo
inequivocabile che “Er caccola” era un agente dell’UAARR. Un giovane militante di AN,
tale Antonino Aliotti, dove aver mosso le medesime accuse a Delle Chiaie nel 1967,
venne trovato morto nella sua auto piena di esplosivi davanti alla questura di Roma,
ucciso da un colpo di pistola alla tempia89. Una condanna a morte, da monito per gli
altri militanti. AN era inoltre sostenuta economicamente da Mario Tedeschi, direttore
del settimanale del MSI “Il Borghese” e membro della P2, il quale passava
mensilmente un assegno da 300 mila lire90. Delle Chiaie smentirà sempre queste voci,
professando l'autonomia del suo gruppo e di essere stato strumentalizzato da una
catena che passando da Mario Tedeschi e Federico Umberto D’Amato giungeva a
Mariano Rumor e Giulio Andreotti91.
Entrambe le organizzazioni, come similmente si vedrà poi il Fronte Nazionale, erano
caratterizzate da una struttura su due livelli. Un primo piano palese che si occupava
di attività politica e giornalistica, un secondo clandestino destinato alla guerriglia, al
reclutamento e in generale alle attività sovversive. Per ON in tale struttura operavano
elementi come Carlo Maria Maggi, Franco Freda, Delfo Zorzi, Carlo Digilio, Marcello
Soffiati e Paolo Signorelli, tutti a vario titolo legati ai servizi segreti e ad ambienti
militari italiani e stranieri. Su questo aspetto per AN è significativa la recente
testimonianza di Vincenzo Vinciguerra, il terrorista responsabile della strage di
Peteano del 1972, il quale ha definito il gruppo come «una struttura spionistica contro
gli ambienti dell’estrema sinistra per conto del ministero dell’Interno» e che Delle
85
Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del giudice istruttore dottor Guido Salvini nei confronti di
Nico Azzi e altri, 18.03.1995, p. 46. Nota: da ora in poi la fonte verrà citata solo come S.O. Salvini, 1995.
86
Organisation Armée Secrète, organizzazione paramilitare francese attiva durante la guerra d’Algeria.
87
Aldo Giannuli, op. cit., p. 290.
88
Tribunale di Venezia, Ufficio istruzione, interrogatorio di Graziano Gubbini dinanzi al giudice istruttore dottor
Leonardo Grassi del 19 febbraio 1990.
89
Dinamitardo fascista s’uccide nella «1100» carica di bombe, “l’Unità”, 25.02.1967.
90
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:32.
91
Aldo Giannuli, op. cit., p. 284.
30
Chiaie aveva «una mole di informazioni che non potevano provenire solo da
Avanguardia»92. AN era una struttura a comparti stagni, specializzata nell’infiltrazione
nei movimenti di sinistra, sia comunisti che anarchici: Mario Merlino docet come si
vedrà.
Per entrambi i gruppi neofascisti era in conclusione fortissimo il connubio con i centri
di potere dello stato, i quali hanno per anni usato i gruppi estremisti di destra come
manovalanza per atti violenti che avrebbero dovuto portare all’intervento delle forze
armate. È questo il filo rosso che lega gli anni ‘60 e ‘70, caratterizzando l’eversione di
destra che è nei fatti “istituzionale” in quanto «alimentata e armata anche da apparati
dello Stato e da alcune strutture dell'Alleanza Atlantica, in particolare quelle
riconducibili agli USA»93. Infatti per anni si è usata l’espressione “controllo senza
repressione” riguardo al comportamento tenuto dai servizi nei riguardi del terrorismo
nero ma dalla seconda metà degli anni ‘90 nuovi sviluppi processuali hanno accertato
che «da parte di strutture di sicurezza alleate c’è stato un contributo tecnico alla
capacità e alla possibilità della struttura occulta di Ordine Nuovo a compiere
attentati»94, in pratica un incoraggiamento e un aiuto a delinquere.
Certamente le mani dei neofascisti sono sporche di sangue ma ancor più gravi sono le
colpe di chi dai piani alti tirava i fili, al sicuro dentro la consueta rete di protezioni e
connivenze che caratterizzava e caratterizza tuttora gli apparati statali. Io cittadino da
un terrorista posso aspettarmi della violenza, è un dato di fatto, ma non posso
accettare che lo Stato e i suoi funzionari che dovrebbero difenderci dai primi ne siano
invece i burattinai. Non è certamente casuale che Ordine Nuovo poco prima dei fatti
di Piazza Fontana rientri nel MSI, quasi con una certa preveggenza, in modo da avere
una copertura politica per gli eventi successivi che coinvolgeranno Rauti in prima
persona. Chi resterà in autonomia e non rientrerà nel MSI sarà il Movimento Politico
Ordine Nuovo di Clemente Graziani (uno dei due italiani a cui l’OAS concesse la sua
tessera95), fondato il 21 dicembre del ‘69: è un frazionamento più simbolico che reale
in quanto la divisione tra Rauti e Graziani avrebbe infatti permesso di mantenere una
facciata rispettabile del Centro Studi e una più aggressiva e rivoluzionaria nel
Movimento Politico. Il MPON resterà attivo fino a quando il 23 novembre del 1973
con decreto ministeriale verrà sciolto, non prima che un processo già falsato in
partenza, in quanto vedeva indagati solo i componenti dal ‘69 in poi, faccia il suo
92
Guido Mesiti (a cura di), “Processo a carico di Paolo Bellini ed altri”.
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105
93
Commissione stragi, Appunti per una relazione conclusiva, vol. primo, tomo secondo, 2001, p. 156.
94
Commissione stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02 .1997. Consultabile a
https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno9.htm
95
Aldo Giannuli, op. cit., p. 267.
31
corso. I principali protagonisti saranno così condannati per pene dai 5 anni a 6 mesi
di reclusione ma tutti questi resteranno tranquillamente in libertà: qualcuno fugge
all’estero come Clemente Graziani e nel complesso il movimento continuerà a vivere,
rinascendo come “Ordine Nero”, nel quale entrano anche elementi del neofascismo
milanese (Squadre Azioni Mussolini, La Fenice, sanbabilini). Avanguardia Nazionale
invece dopo uno scioglimento fittizio del 1964 finirà ufficialmente l’8 giugno del 1976
per un altro decreto ministeriale dopo che tre giorni prima il tribunale di Roma aveva
espresso la propria sentenza: due anni di carcere per gli esponenti principali come
Delle Chiaie e Tilgher, pochi mesi agli altri. Nessuno di questi farà un minuto in carcere
in quanto benevolmente i giudici scriveranno che «tenuto conto del comportamento
processuale che denota ravvedimento, può allo stato presumersi che si asterranno
dal commettere ulteriori reati, per cui si concede agli stessi il beneficio della
sospensione condizionale della pena» 96. Una farsa piuttosto prevista per
un’organizzazione che è riuscita, chissà come, per tanti anni a restare ai margini delle
vicende giudiziarie. Infatti Avanguardia a lungo è stata ritenuta una fiancheggiatrice
esterna della strategia della tensione ma non così coinvolta direttamente e in prima
persona come invece è realmente avvenuto.
2.4 Guerriglia in Alto Adige
Nei primi anni ‘60 l’Alto Adige fu teatro di violenti attentati compiuti dal BAS
(Befreiungsausschuss Südtirol), il movimento di liberazione sudtirolese fondato nel
1956 da Sepp Kerschbaumer. Come è noto la regione, a nettissima popolazione
tedescofona, fu ceduta all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e sottoposta durante
il Ventennio a un processo forzato di italianizzazione. Nonostante le prime aperture
all’autonomia negli anni ‘50 i malumori rimasero, ebbero una spinta decisiva con il
discorso di Silvius Magnago nel 195797 e iniziò così una guerriglia con l’obiettivo
dichiarato di un distacco dall’Italia e la riunificazione all’Austria.
In una notte di giugno del 1961, la cosiddetta “Notte dei fuochi” partono gli attentati:
«Il SIFAR era perfettamente al corrente dell’imminente inizio delle azioni di guerriglia
e ne avvertì il generale Beolchini che predispose un piano d’emergenza. Ma il piano
non ebbe alcun seguito»98. Succede così che esponenti del BAS nella notte tra l’11 e il
96
Atti Tribunale di Roma, sezione VII, citati in Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume quarto, tomo secondo,
Bovolenta Editore, 1983 Ferrara, p. 259.
97
Il 17 novembre del 1957 Silvius Magnago, presidente della provincia autonoma di Bolzano, tenne un comizio a
Castel Firmiano a cui parteciparono circa 35000 persone. Si veda Davide Leveghi, Silvius Magnago guida di un popolo.
62 anni fa la manifestazione di Castel Firmiano dava avvio alla lotta per l'autonomia dell'Alto Adige, ildolomiti.it,
17.11.2019,
https://www.ildolomiti.it/societa/2019/silvius-magnago-guida-di-un-popolo-62-anni-fa-la-manifestazione-di-castel-
firmiano-dava-avvio-alla-lotta-per-lautonomia-dellalto-adige.
98
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 117.
32
12 giugno fanno saltare oltre 40 tralicci e un cantoniere che tentava di disinnescare
uno degli ordigni rimane vittima dell’esplosione. È l’inizio della prima fase del
terrorismo altoatesino, quello dei “bravi ragazzi della Valle Aurina”99, non indirizzato
a fare vittime ma più che altro a creare confusione e panico abbattendo i tralicci. A
dar man forte agli altoatesini arrivano però elementi neonazisti dall’Austria e dalla
Germania, come Norbert Burger e Charles Joosten, i quali soffieranno sul fuoco e
daranno un impulso diverso alle azioni.
Alois Amplatz e Georg Klotz, due dei fondatori del BAS, la notte del 6 settembre 1964,
per pochi mesi incarcerati in Austria e sulla via del ritorno per l’Italia, sono vittime di
tale Christian Kerbler. Questi, dopo averli ospitati in una baita in Val Passiria, sparò a
entrambi, uccidendo Amplatz e ferendo Klotz, il quale poco prima aveva rinfacciato al
già citato Burger di lavorare per il SIFAR100. Kerbler, «un doppiogiochista che lavorava
per i servizi segreti italiani»101, una volta arrestato riesce, grazie a un incidente
dell’auto su cui viaggiava, a scappare e a far perdere le proprie tracce per anni tra
Svizzera e Sudafrica: condannato in contumacia, verrà arrestato anni dopo in
Inghilterra ma dall’Italia non arriverà mai la richiesta di estradizione. Un po’ di luce
arriva negli anni ’90 con la testimonianza dell’ex generale Federico Marzollo,
personaggio che si rivedrà negli anni della Rosa dei venti ma all’epoca comandante
dei carabinieri di Bolzano. Interrogato dal giudice Mastelloni nel 1991 dirà che:
«Quando ci fu il «fatto» di Amplatz ad Altusio - 6 settembre 1964 -, com.te del gruppo di Bolzano
era Ferrari. Seppe dopo la morte di Amplatz da Peternel, nonché dal col. Ferrari e da Pignatelli che
Kerbler, come infiltrato aveva collaborato con il Sid e con la questura di Bolzano per eliminare
Amplatz e Klotz, che l'operazione era stata concordata tra il questore Allitto Buonanno, il Peternel,
capo dell'ufficio politico della questura, il col. Monico, capo centro CS di Verona, e Pignatelli, capo
del sottocentro di Bolzano. Il Monico gli disse poi che l'operazione era fallita perché non erano
riusciti ad eliminare anche Klotz»102.
L’episodio servì a tagliare fuori il gruppo più moderato e segnò un netto taglio nelle
operazioni del BAS che diventarono nettamente più violente: sono necessari i morti
per convincere l'opinione pubblica che è in atto un programma diretto a minare
l'ordine politico dell'occidente. Gli attentati negli anni seguenti causarono infatti
99
Letizia Tortello, Alto Adige, nella valle che invoca la secessione e invoca la grazia per i terroristi, lastampa.it,
11.10.2019, https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/10/18/news/in-alto-adige-la-banda-negli-anni-60-
ha-compiuto-attentati-ai-tralicci-e-agguati-1.37756926/
100
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 65.
101
Roberto Bianchin, Quel killer fu pagato dai servizi, “La Repubblica”, 07.11.1991.
102
Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori
Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 78.
33
diversi morti, su tutti i fatti di Malga Sasso e San Martino in Valle di Casies103. Il picco
probabilmente viene raggiunto a Cima Vallona il 25 giugno del 1967, a due passi dal
confine austriaco: un traliccio viene fatto saltare, il sentiero che conduce alla zona è
tutto minato e causa la morte di quattro persone (un alpino, un sergente, un capitano
e un sottotenente) accorse per quantificare il danno. Nel caso furono implicati i
terroristi austriaci Norbert Burger e Peter Kienesberger, il primo come l’ideatore
dell’attentato e il secondo come artificiere, entrambi condannati in contumacia dalla
corte d’assise di Firenze nel 1970 all’ergastolo. I due, nonostante anche di recente
fonti austriache104 li assolvono dai fatti, di sudtirolese avevano solo il “braccio armato”
ed erano «agenti dell'organizzazione clandestina di sicurezza NATO»105. Infine un
episodio emblematico: il 30 agosto del ‘67 viene trovata una valigetta sospetta su un
treno alla stazione di Trento, città non secondaria nell’eversione sia rossa che nera: vi
studiano alla locale università di sociologia Renato Curcio e Mara Cagol, futuri leader
brigatisti, Marco Boato e Pietro Rostagno, tra i fondatori di Lotta Continua. Nella
galassia nera invece il faro è Cristiano De Eccher di AN, oltre a due elementi in odore
di SID come Sergio Zani e Claudio Widmann106, protagonisti nel gennaio del ’71 della
tentata strage davanti al tribunale di Trento. I due agenti la portano in un luogo sicuro
ma quando tentano di aprirla saltano in aria con essa. È un precedente che farà storia
in quanto la bomba sul treno sarà un classico degli anni seguenti.
La guerra in Alto Adige vede in estrema sintesi il debutto dell’organizzazione
clandestina di sicurezza NATO nota poi in Italia come Gladio: «Furono attivati i
guastatori addestrati ad Alghero»107, dirà anni dopo il generale Manlio Capriata al G.I.
Carlo Mastelloni. Va necessariamente ricordato che in Alto Adige si trovavano in quel
momento alcuni dei protagonisti degli anni successivi come Federico Marzollo, Angelo
Pignatelli, Carlo Ciglieri, Elio Massagrande, Carlo Fumagalli, Sandro Rampazzo,
Eugenio Rizzato ed Amos Spiazzi. Proprio quest’ultimo, all’epoca capitano degli Alpini,
dirà anni dopo «di aver arrestato due carabinieri che si stavano accingendo a
compiere un attentato e di aver poi dovuto, per ordine superiore, rilasciare gli stessi
senza ulteriori conseguenze giudiziarie»108. Altra personalità rilevante in zona
all’epoca è il generale dei carabinieri Giorgio Manes, non proprio l’ultimo arrivato, il
103
Il 9 settembre del 1996 viene fatta saltare con della dinamite una caserma della Guardia di Finanza in località
Malga Sasso, vicino a Bressanone: restano uccisi tre finanzieri. A San Martino erano periti in un agguato due finanzieri
il 25 luglio.
104
Si veda nello specifico Hubert Speckner, La strage del passo di Cima Vallona, Verlas Gra & Vis, 2015 Vienna.
105
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 30.
106
Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori
Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, pag. 22.
107
Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano…, p. 51.
108
Ivi, p. 21.
34
quale scriverà sui suoi rapporti che «la pistola con cui fu ucciso Amplatz apparteneva
ad un sottufficiale di Bressanone» e di come «molti attentati in Alto Adige furono
simulati dal CS (controspionaggio)»109.
In conclusione parecchie fonti segnalano il conflitto altoatesino come un «grande
campo sperimentale»110, la prova generale di qualcos’altro. L'irredentismo e la guerra
quasi romantica degli altoatesini, inizia con attentati senza vittime, in pochi anni
subiscono una virata violenta dovuta all’infiltrazione nel BAS di elementi terroristici
neonazisti come Norbert Burger, quasi certamente manovrati dall’alto. Un modus
operandi che si ripeterà negli anni seguenti con altri gruppi e altri protagonisti ma con
modalità molto simili. L’Alto Adige diventò così «un laboratorio di sperimentazioni
politico-militari reazionarie»111: vede infatti la luce quel fenomeno che sarà il
terrorismo internazionale. Un fatto è certo: il terrorismo altoatesino finì di colpo,
quasi che «ad un accenno convenuto, il nazionalismo sudtirolese avesse rinunciato ad
ogni velleità autonomistica»112. Come se qualcuno avesse deciso di dirottare altrove
l’apparato terroristico che per anni aveva seminato il panico in Alto Adige.
2.5 Il caso Mattei
Nel 1962, in contemporanea con la fase iniziale del terrorismo altoatesino, perde la
vita il presidente dell’ENI Enrico Mattei. Nato nel 1906 nel piccolo paese di
Acqualagna nelle Marche, è stato un caso clamoroso di self made man: figlio di un
sottoufficiale dei carabinieri,
Verzotto, dopo la morte di Mattei, farà carriera: nel 1967 sarà nominato presidente
dell’Ente minerario siciliano (EMS) e l’anno dopo sarà eletto con la DC al Senato.
Ritenuto molto vicino ai capimafia, nel 1975 viene coinvolto nello scandalo «fondi
neri»: enti pubblici come l’EMS depositavano cifre miliardarie nelle banche di Michele
Sindona (un personaggio che analizzeremo meglio più avanti), il quale garantiva
interessi in nero. Per tali motivi a fine gennaio Verzotto si dimette dalla carica di
presidente dell’EMS e pochi giorni dopo subisce un tentativo di sequestro nei pressi
della propria abitazione a Siracusa, al quale riesce a fuggire dopo aver respinto con la
forza i malviventi. Verrà arrestato come responsabile tale Berardino Andreola, uno
dei tanti personaggi sfuggenti che compariranno in queste pagine:
109
Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori
Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 74.
110
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 33.
111
Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano..., p. 49.
112
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 117.
35
Il 27 ottobre Mattei sale a bordo di un piccolo aereo partito da Catania e diretto a
Milano: il velivolo però precipita a Bascapè, nella campagna pavese, a una decina di
chilometri dall’aeroporto di Linate. Nell’impatto periscono anche il pilota e il
corrispondente del “Time Magazine”, William McKay. Le condizioni metereologiche,
nonostante quanto detto per parecchio tempo, sono buone e non avverse. Sul luogo
del disastro accorrono in molti, tra cui un personaggio come Tom Ponzi e soprattutto
Eugenio Cefis113, ex braccio destro di Mattei e futuro presidente dell’ENI. Nel 1994 il
procuratore di Pavia Vincenzo Calia riaprì le indagini dopo. La conclusione
inequivocabile è che l’aereo sui viaggiava Mattei fu certamente sabotato.
2.6 Il Piano Solo
Nel 1964 l’Italia è sull’orlo del collasso politico: a fine giugno il Governo Moro I, il
primo esecutivo della storia repubblicana composto anche da forze del Partito
Socialista Italiano grazie all’apertura a sinistra decisa due anni pria all’VIII congresso
nazionale della DC, è ufficialmente caduto. Le trattative per la formazione di un nuovo
esecutivo non trovano soluzione e in questo clima di grande incertezza il presidente
della Repubblica Antonio Segni il 15 luglio convoca inspiegabilmente al Quirinale il
generale Giovanni De Lorenzo, massone della loggia di Piazza del Gesù114, dal 1956 al
1962 a capo del SIFAR e in quel momento comandante generale dell’Arma dei
carabinieri. La visita fu annunciata pubblicamente con un ampio comunicato stampa.
De Lorenzo, un rigido filo atlantista tanto da essere definito «quinta colonna
americana all’interno degli apparati di sicurezza italiani»115, dopo Segni incontrò due
giorni dopo Moro e di fatto lo convinse a formare un nuovo esecutivo: le proposte
riformatrici del governo Moro I furono riviste in una prospettiva più conservatrice e il
nuovo esecutivo, il Moro II, pur prevedendo ancora la presenza dei socialisti, ne
ridusse le proposte più riformiste. Tutto questo avvenne ovviamente all’insaputa
dell’opinione pubblica, informata dei fatti solo tre anni dopo grazie all’inchiesta del
giornalista de “L’Espresso” Lino Jannuzzi. Il periodico, all’epoca diretto da Eugenio
Scalfari, il 14 marzo del 1967 titolò «Finalmente la verità sul SIFAR. Il 14 luglio 1964 il
complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato». La reazione
generale fu di minimizzazione e De Lorenzo arrivò a querelare il periodico che
noncurante aprì il numero successivo con il titolo emblematico «Fatti del luglio '64.
Ecco le prove». Va precisato come lo stesso generale, nel 1966, era passato dai
carabinieri al comando dell’esercito ma ad aprile dell'anno seguente era stato
113
Andrea Purgatori (a cura di), Atlantide-storie di uomini e mondi, 1962 il caso Mattei, missili e petrolio,
https://www.la7.it/atlantide/rivedila7/atlantide-1962-il-caso-mattei-missili-e-petrolio-27-10-2022-457520, min. 14 e
seg., 26.10.2022.
114
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 63.
115
Sandro Provvisionato, op. cit., p.52.
36
destituito dopo che il ministro dell’Interno Roberto Tremelloni aveva ammesso che si
erano verificate “deviazioni dei servizi segreti”. Verrà istituita una commissione
parlamentare solo a marzo del 1969, la cosiddetta “Commissione Alessi”, che
affermerà come nel 1964 non sia successo praticamente niente: «Nessun pericolo ha
mai corso il regime democratico repubblicano [in quanto, nda] un tale pericolo non si
è nemmeno profilato»116. Va detto che i documenti consultati dalla Commissione,
nello specifico il cosiddetto “Rapporto Manes”, erano pieni di omissis e di parti
fondamentali mancanti117 che alteravano così la vicenda in modo decisivo. A ciò si
aggiunse la morte improvvisa di alcuni testimoni chiave della vicenda: il 27 giugno del
1968 verrà trovato morto nel suo ufficio, pagato dalla FIAT118, il colonnello Renzo
Rocca, ex comandante dell’Ufficio REI (Ricerche Economico Industriali) e uomo a
strettissimo contatto con gli ambienti dell’altissima finanza italiana e americana in
quanto per anni aveva gestito il collegamento tra i servizi segreti e Confindustria. Ad
ucciderlo un colpo di pistola secondo gli inquirenti partito dalla pistola dello stesso
Rocca nonostante il test del guanto di paraffina dica che la sua mano non abbia
sparato119. Personaggio potentissimo, il suo ufficio venne successivamente svuotato
da ufficiali dei servizi alla scoperta del cadavere che classificheranno la morte come
semplice suicidio. Un clamoroso «suicidio di stato»: settantadue ore prima era stato
consegnato al premier Moro il rapporto con le conclusioni sull’inchiesta sui fatti del
‘64, nel quale erano molti i riferimenti all’Ufficio REI. Non a caso il giorno della sua
morte Rocca avrebbe dovuto incontrarsi con Nicola Falde, suo successore nel SIFAR e
inoltre aveva «insistentemente cercato di parlare al telefono con Taviani»120 che però
non si era fatto trovare. Un’altra morte rilevante è quella del generale Carlo Ciglieri,
successore di De Lorenzo alla guida dell’Arma e autore dei precedentemente nominati
omissis sui documenti, avvenuta il 27 aprile del 1969 a Curtarolo (PD). Stando alle
ricostruzioni la sua auto sarebbe prima sbandata in un rettilineo e poi andata a
sbattere contro due platani, causandone il decesso praticamente sul colpo. Il fatto
sconcertante è che all’arrivo dei soccorsi l’uomo fu trovato privo di qualsiasi
documento121. Il 25 giugno del 1969 invece moriva dopo aver bevuto un caffè nel bar
di Montecitorio Giorgio Manes, vice di De Lorenzo al comando dei carabinieri e autore
del primo rapporto sullo scandalo SIFAR del 1967. Quel giorno avrebbe dovuto recarsi
dal presidente della Commissione parlamentare Giuseppe Alessi per deporre. Infine il
116
Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del SIFAR, Relazione di
maggioranza del senatore Giuseppe Alessi, 15.01.1970.
117
Sono per la precisione censurate le quattro pagine del rapporto e i sette allegati con 72 omissis.
118
La misteriosa morte del colonnello Renzo Rocca alias Pino Renzi, “l’Unità”, 29.06.1968.
119
Sandro Provvisionato, op. cit., p. 67.
120
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 195.
121
Il gen. Ciglieri muore in un incidente, “l’Unità”, 28.04.1969.
37
braccio destro di Manes, il tenente Remo D’Ottavio, un mese dopo la morte del suo
superiore, tenta il suicidio ingerendo dei barbiturici e sparandosi un colpo di pistola122.
Sopravviverà, nonostante a lungo lo si ritenga morto. Morti strane, piene di lati oscuri,
che lasciano un’ombra inquietante sui fatti avvenuti.
La vicenda non è stata «un innocuo balocco destinato ad ammazzare il tempo nelle
stanze degli alti comandi dei carabinieri»123 come per anni e anche oggi124 in alcune
sedi si fa passare, affermando che nell’Arma i piani insurrezionali erano previsti per
legge: dando questa ipotesi per vera ce ne passa però da un piano di difesa a un colpo
di stato. Il piano infatti non era una farsa ma era stato progettato da un certo tempo
attorno a tre figure fondamentali: il presidente della Repubblica Antonio Segni, il
comandante generale dell’Arma dei carabinieri Giovanni De Lorenzo e l’ex ministro
della Difesa Randolfo Pacciardi. Segni nel febbraio del ‘64 compie un viaggio
diplomatico in Francia e si compiace di come De Gaulle abbia fatto un repulisti dei
comunisti: l’ex ministro Paolo Emilio Taviani ricorderà 30 anni dopo che al primo
incontro dopo il ritorno gli chiese «cosa avessimo previsto in caso di insurrezione
armata comunista. Pensava a un governo monocolore, accennò a una mia presidenza
con Pacciardi alla difesa o all’interno»125. Lo stesso Taviani aggiunge che Segni dal suo
ritorno «riceveva soltanto il generale De Lorenzo», confermando quindi che era ormai
diventato «il punto di riferimento delle alte gerarchie militari»126. Il già nominato
Pacciardi, per anni esponente di punta del PRI, a inizio anno aveva fondato l’Unione
Democratica per la Nuova Repubblica (UDNR). Era un partito che puntava a
trasformare l’Italia in uno stato presidenziale su modello della Francia gollista,
annunciato da un appello firmato dai generali Raffaele Cadorna e Giuseppe Mancinelli
e da personalità politiche come Ivan Matteo Lombardo127. Per quanto riguarda De
Lorenzo è necessario ricordare che durante il suo mandato il SIFAR era diventata una
macchina impazzita che sfornava fascicoli su politici, dirigenti industriali, sindacalisti,
giornalisti e perfino ecclesiastici riguardo a qualsiasi loro comportamento pubblico e
privato. Il loro numero verrà stimato in 157000128. Una massa enorme di dati, spesso
frutto di manipolazioni ad arte, da sfruttare per ricattare questo o quello a seconda
122
Il colpo al cuore non uccise D’Ottavio, “La Repubblica”, 14.11.1990,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/14/il-colpo-al-cuore-non-uccise.html
123
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 79.
124
Si veda a proposito Mario Segni, Il colpo di stato del 1964. La madre di tutte le fake news, Rubbettino, 2021. Il
saggio, scritto dal figlio dell’ex presidente Antonio, tenta di scagionare il padre dall’accusa di aver progettato il colpo di
stato.
125
Commissione stragi, audizione del senatore Taviani, 01.07.1997. Consultabile a
https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno24.htm.
126
Aldo Giannuli, op. cit., p. 173.
127
Archivio storico della Camera dei Deputati, fondo di Randolfo Pacciardi.
128
Per maggiori approfondimenti sul caso si vedano gli atti della Commissione Beolchini consultabili a
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907520.pdf.
38
dell’opportunità. È in questo modo che De Lorenzo per un quindicennio è tra gli
uomini più potente d’Italia, avendo a disposizione una vera centrale del ricatto: nel
1961 ottenne la promozione a generale di corpo d’armata con una legge ad personam
in previsione del suo passaggio al comando dei carabinieri, nel 1962 lasciò
formalmente il comando a Egidio Viggiani, in realtà suo fedelissimo. Alla morte di
questi nel 1965 riuscì a imporre la nomina di Giovanni Allavena, altro suo fidato.
Ma cos’era allora il Piano Solo in sostanza? Il 13 marzo il progetto vide la propria
nascita ufficiale quando alla presenza di De Lorenzo si ritrovarono nella sede centrale
dell’Arma i comandanti di varie divisioni per programmare le mosse future:
l’attuazione sarebbe stata giustificata alla popolazione per reprimere una sommossa
se non un’insurrezione, dei “rossi”129. Il piano prevedeva in estrema sintesi:
1. il richiamo dei carabinieri in congedo, nome in codice Piano Sigma, da utilizzare
in caso di sommosse di piazza;
2. l’uso di forze di supporto reclutate dal colonnello Renzo Rocca tra ex
repubblichini, picchiatori fascisti ed ex componenti della X MAS, ovvero
«squadre di sopravvivenza della NATO, addestrate alla guerriglia interna130»;
3. la deportazione in Sardegna nella base di Torre Poglina (centro di
addestramento Gladio) di 731 “enucleandi”, ovvero personalità politiche e
sindacali ritenute scomode;
4. l’occupazione delle sedi di partito, dei giornali di sinistra, dell’ANPI e della Rai;
5. la trasformazione della Repubblica dalla forma parlamentare a una
presidenziale forte.
Supporto decisivo era dato da Confindustria e in particolare dalla FIAT, il cui
presidente dell’epoca, Vittorio Valletta, finanziava i nuclei di supporto reclutati da
Rocca131. Va ricordato che la stessa FIAT aveva da tempo, su modello SIFAR iniziato a
schedare illegalmente tutti i dipendenti e potenziali, arrivando alla cifra assurda di
357000 persone registrate. Un appunto: le squadre di sopravvivenza della NATO
ricordano molto i gladiatori. Non ci è sempre stato detto che la funzione di Gladio era
prettamente difensiva contro invasioni straniere? Usarne i membri per un’operazione
interna sarebbe giusto un po’ differente.
Due mesi dopo lo stesso generale informa l’ambasciata americana del progetto,
spiegando come il PCI dovesse essere «eliminato per sempre»132. Il 2 giugno nella
129
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 79.
130
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 42.
131
Sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del SIFAR, Relazione di minoranza della commissione
parlamentare d’inchiesta, Feltrinelli, Milano 1971, p. 177.
132
Telegramma dell’ambasciata USA a Washington del 26-05-1964, Atti commissione stragi.
39
classica parata per la festa della Repubblica a Roma si verifica un’insolita
concentrazione di truppe che vengono in modo anomalo trattenute nella capitale per
un mese intero. Non a caso infatti il 14 sempre a Roma si svolge una grande parata
per festeggiare i 150 anni dell’Arma nella quale sfila una inedita brigata meccanizzata
dei carabinieri costituita da «novecento uomini con 32 mezzi corazzati, 20 cingolati e
50 autoblindo. Perfino qualche generale ne resta impressionato e preoccupato»133.
Il 25 il comandante delle forze NATO di Verona spedisce un telegramma in cui afferma
che «nel futuro prossimo è possibile che in Italia avvenga un colpo di stato. L'individuo
scelto per coordinare i piani è Randolfo Pacciardi»134. Il giorno dopo Moro sale al
Quirinale e presenta le dimissioni al presidente Segni. Per tre settimane si susseguono
le consultazioni per formare il nuovo esecutivo, peccato che il SIFAR d’accordo con
Segni abbia piazzato microfoni ovunque per registrare i colloqui135. Come detto in
precedenza il presidente convocò poi a metà luglio sia De Lorenzo che il generale Aldo
Rossi, capo di Stato maggiore della Difesa per delle consultazioni palesemente
anomale. È l’apice della crisi. Il settimanale “Epoca”, nel numero del 5 luglio, aveva
pubblicato una copertina tricolore con l’immagine del presidente Segni e un titolo
eloquente: «L’Italia che lavora chiede al capo dello stato un governo energico e
competente che affronti subito con responsabilità la crisi economica e il malessere
morale che avvelena la nazione»136. De Lorenzo, dopo aver parlato con Segni, incontra
Moro e i vertici della DC: il contenuto della conversazione non verrà mai chiarito. Fatto
sta che l’ex premier il 17 luglio torna al Quirinale e accetta la formazione di un governo
molto meno riformista del precedente. Pietro Nenni, a cui si deve la celebre
espressione «tintinnare di sciabole» riguardo al momento storico, scriverà su
«L’Avanti!» del 26 luglio che «era apparsa l’alternativa di un governo di emergenza
nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito»137. Sarà l’unico fugace
accenno sul Piano Solo fino all’inchiesta di Jannuzzi.
Alla prova dei fatti il Piano Solo, funzionando come spauracchio, aveva avuto
completo successo: la minaccia del “tintinnare delle sciabole” servì a svuotare lo
spirito dell'alleanza PSI-ala sinistra della DC e riportarla a idee più moderate. Un
ammonimento sia per il presente sia per il futuro. Particolarmente rilevante la
versione che ne dà Aldo Moro nel suo memoriale di 14 anni dopo: «Segni ottenne di
frenare il corso del centrosinistra. L’apprestamento militare, caduto l’obiettivo
133
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 48.
134
Claudio Gatti, Rimanga tra noi. L’America, l’Italia, la questione comunista: i segreti di 50 anni di storia, Leonardo,
Milano 1990, p. 73.
135
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 82.
136
Allegato n° 1. Si rileva che lo stesso settimanale in questione nel dicembre 1969, alla vigilia della strage di Piazza
Fontana, pubblicherà una copertina simile. Una coincidenza piuttosto sinistra e inquietante.
137
Citazione in Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 83.
40
politico che era quello perseguito, fu disdetto dallo stesso capo dello Stato 138».
Diverse storici infatti definiscono l’operazione di De Lorenzo e Segni come intentona,
termine spagnolo che designa un colpo di stato usato a scopo di avvertimento per fini
politici. Tra i due alla fine chi era il vero regista era proprio il capo dello stato che
realizza una fine operazione politica che ha completo successo, motivo per cui
definirlo “tentato golpe” è erroneo. Antonio Segni però il 7 agosto verrà colpito da
una trombosi cerebrale mentre teneva un acceso colloquio con Moro e Saragat,
all’epoca ministro degli Esteri, il quale gli avrebbe detto «Basta con queste
prepotenze. So tutto del 14 luglio. C’è abbastanza per mandarti dinanzi all’Alta
Corte»139.. Morirà il successivo dicembre e il 28 dicembre proprio Saragat sarà eletto
presidente.
Come detto in precedenza la vicenda verrà conosciuta dall’opinione pubblica nel
1967, la quale saprà in un sol colpo anche dell’illegale schedatura effettuata dal SIFAR
negli anni precedenti. Nel processo intentato da De Lorenzo, Eugenio Scalfari e Livio
Jannuzzi, direttore de “L’Espresso” e autore dell’inchiesta, furono condannati
rispettivamente a 15 e 14 mesi di carcere. Tenuto dal p.m. Vittorio Occorsio, il
processo vedrà la sconfitta della giustizia in nome della ragione di Stato. Tutti i
colonnelli e i generali negheranno, evocando il segreto di stato e il silenzio. Jannuzzi
e Scalfari eviteranno la galera grazie all’immunità parlamentare, in quanto eletti alla
Camera nel 1968 con il PSI.
La commissione d’inchiesta invece, istituita dal ministro della Difesa Tremelloni e
presieduta dal generale Aldo Beolchini, sarà volutamente rapida e durerà appena tre
mesi: tanta celerità per uno scopo ben preciso, ovvero eliminare qualsiasi
responsabilità politica per scaricare De Lorenzo e i suoi sodali in un modo comunque
morbido. Beolchini in realtà aveva fatto un lavoro onesto, accertando irregolarità
gravissime, ma che non porterà a nulla. La sua relazione infatti, dalle 81 pagine iniziali,
quando arriverà in parlamento ne contiene metà e senza nessuno dei 32 allegati che
la completavano. Dirà anni dopo lo stesso generale: «L’inchiesta ha accertato vere e
proprie malefatte e un costume politico inaccettabile. Erano e sono così trasparenti
le personalità politiche compromesse che fa comodo che non si sappia nulla»140.
Ridimensionando artificiosamente i fatti non si parlerà infatti di colpo di stato,
definito irrealizzabile, ma di una «deviazione deprecabile» la cui responsabilità ricade
esclusivamente sui capi del SIFAR. Un ruolo decisivo nell’insabbiamento lo svolge il
premier Aldo Moro che con una marea di omissis nasconde le parti più
138
Francesco M. Biscione, Il delitto Moro. Strategie di un assassinio politico, Editori Riuniti, Roma 1998. p. 16.
139
Lino Jannuzzi, Complotto al Quirinale, “L’Espresso”, 14.05.1967, http://temi.repubblica.it/espresso-
il68/1967/05/14/complotto-al-quirinale/?printpage=undefined
140
“Il Mondo”, 25.07.74, cit. in Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 79.
41
compromettenti dell’inchiesta, in modo particolare sul rapporto stilato dal generale
Manes, con la classica scusa del segreto politico-militare: il potere come sempre fa
quadrato e regola i conti al proprio interno. Qualche voce isolata provò ad innalzarsi
ma senza esiti: il 29 gennaio del ‘68, Luigi Anderlini, esponente della Sinistra
indipendente alla Camera lesse al premier parti del rapporto Manes senza gli omissis,
al quale Moro reagì in maniera «scomposta, quasi isterica»141. Una reazione insolita
per uomo di solito calmo, che evidentemente ha qualcosa da nascondere.
Come detto la vicenda a livello processuale non porterà a nulla di concreto: De
Lorenzo infatti era già stato ufficialmente destituito come capo di stato maggiore
dell’Esercito il 15 aprile del 1967 nell’ambito dello scontro per i vertici militari con
Aloia di cui si dirà meglio più avanti. Il generale sarà comunque eletto alla Camera tra
le fila dei monarchici pochi mesi dopo. Gli oltre 150000 fascicoli illegali del vecchio
SIFAR, sorprendentemente fino a un certo punto, non verranno subito distrutti ma
collocati in una stanza blindata del SID. Sarà costretto ad ammetterlo Andreotti nel
1974, precisando che «le chiavi della stanza sono in possesso del ministro della Difesa
e del capo di stato maggiore delle tre forze armate142», in quel momento Mario
Tanassi ed Eugenio Henke. La distruzione arriverà a fine anni ‘80, non prima che Licio
Gelli ne abbia portati parecchi con sé in Uruguay nella sua villa di Montevideo dopo
averli ricevuti “in dono” nel 1967 all’ingresso nella P2 dell’ex comandante del SIFAR
Allavena (tessera n° 505).
141
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 83.
142
“Il Mondo”, 20.06.1974.
42
Capitolo terzo: la strategia della tensione
3.1 Introduzione
Negli anni ‘60 prende piede quel momento storico che è noto come strategia della
tensione, un fenomeno complesso che innanzitutto non riguarda solo l’Italia ma
l’intera Europa, per esempio la Germania Ovest. Nel nostro Paese però assume delle
caratteristiche peculiari e raggiunge un livello di violenza che non ha eguali nel
Vecchio Continente. In estrema sintesi la strategia vive una prima fase teorica (1960-
1965), una seconda di infiltrazione e propaganda (1966-1968) e una terza di stragismo
vero e proprio (1969-1974). La data d’inizio del fenomeno la possiamo far coincidere
con il convegno anticomunista tenuto a Parigi nel 1960 e la fine nel 1974 con la strage
di Brescia. È chiaro che le due date sono per certi versi opinabili e discutibili, però per
altri versi abbiamo dei dati certi: nel ‘60 inizia la teorizzazione di un anticomunismo,
per così dire militante, e non è un caso che avvenga in Francia in contemporanea alla
guerra d’Algeria. La fine della strategia della tensione invece viene posta nel ‘74: nel
quinquennio precedente le varie stragi venivano sistematicamente attribuite a
militanti di sinistra, dal ‘75 in poi i neofascisti rivendicheranno apertamente le proprie
azioni, per quella che diventa una strategia del terrore e non della tensione. Il
fenomeno del terrorismo più in generale in Italia durerà fino ai primi anni ‘80 con le
ultime azioni delle Brigate Rosse, passando attraverso l’omicidio di Aldo Moro nel
1978 e tutto ciò che ha comportato.
3.2 Convegno sulla guerra rivoluzionaria
Dal 18 al 22 febbraio 1962 a Roma si tenne un convegno organizzato da Suzanne
Labin, politologa francese, e dai ministri dell’Interno Randolfo Pacciardi e Ivan Matteo
Lombardo, dal titolo “La minaccia comunista sul mondo”. Aperto da un messaggio
augurale del segretario della NATO Dirk Stikker143, vide la presenza di esponenti
politici italiani e non solo di altissimo profilo: i ministri Guido Gonella (giustizia) e
Giuseppe Spataro (trasporti), 8 ex ministri, il generale Bonelli (responsabile CASM),
molti esponenti del Comitato Atlantico. Un convegno dal profilo atlantista e
politicamente di centro, chiaramente anticomunista. La stessa Labin aveva
organizzato in precedenza una conferenza dal tema pressoché uguale nel novembre
del 1960 a Parigi, dal titolo «Conferenza internazionale sulla guerra politica dei
soviet».
Nel 1962 il Centro Alti Studi Militari144, insieme al nucleo “Guerra Psicologica” del
SIFAR di cui era responsabile Adriano Magi Braschi, produce il testo «La guerra
143
Aldo Giannuli, op. cit., p. 49.
144
Il CASM, oggi CASD, è il massimo organo di formazione degli ufficiali delle forze armate.
43
psicologica nel campo nazionale e nel quadro dell’Alleanza Atlantica. Sua
organizzazione negli aspetti difensivo e offensivo»145, firmato dai generali di Esercito,
Marina e Aviazione. In estrema sintesi questi i principali argomenti: il dominio
sovietico non è più militare ma politico e ideologico ovvero psicologico, la classe
governante è cieca e inadeguata, è perciò imperativo agire subito per arrestare
l’infiltrazione dei comunisti, rei di essersi «posti contro la legge», con «operazioni
psicologiche a carattere difensivo ma anche offensivo». L’anno dopo Pino Rauti, come
detto in strettissimo contatto con gli alti ambienti militari, scrive non a caso sulla
rivista di ON che «bisogna impostare in termini diversi la battaglia anticomunista», in
quanto è venuta l’ora di applicare «le nuove tecniche della guerra rivoluzionaria»146.
L'opera appena citata anticipa di tre anni alcuni dei temi che verranno affrontati tra il
3 e il 5 maggio del 1965 all’Hotel Parco dei Principi a Roma, dove si tenne a il
famigerato “Convegno sulla guerra rivoluzionaria”. Organizzato dall’Istituto di studi
militari e storici Alberto Pollio, ebbe come organizzatori i giornalisti di estrema destra
Enrico De Boccard, Giancarlo Finaldi ed Edgardo Beltrametti. Dietro di loro la mente
occulta era il capo di stato maggiore della Difesa Giuseppe Aloia, del quale Beltrametti
era informatore e collaboratore, mentre il SIFAR e in particolare l’Ufficio REI del
colonnello Renzo Rocca fece da finanziatore. Al convegno tennero degli interventi
personalità come i giornalisti di estrema destra Pino Rauti, Giorgio Pisanò, Giano
Accame e Guido Giannettini o addirittura ex comunisti come Renato Mieli, militari
come il colonnello Adriano Magi Braschi e il generale Osvaldo Roncolini, l’ex ministro
Ivan Matteo Lombardo e padre Roberto Brusa, responsabile dell’ufficio guerra
psicologica dei gesuiti. Tra i partecipanti Carlo Maria Maggi, gli studenti Stefano Delle
Chiaie e Mario Merlino, convocati appositamente insieme ad altri 18 giovani
universitari neofascisti per condurre future ricerche. La maggior parte di questi
saranno i protagonisti della stagione di sangue degli anni successivi. Magi Braschi farà
rapporto, riferendo di aver partecipato in borghese al convegno «per ordine di S.E. il
capo di stato maggiore dell’esercito»147. I lavori del convegno si articoleranno
principalmente sulle relazioni tenute da Giannettini, De Boccard e Beltrametti che di
seguito saranno approfondite.
Quello che succede nel 1965 non poteva essere avvenuto senza la premessa del 1962
di cui poco fa si è fatto menzione, in quanto vengono in questo momento tradotte a
livello italiano le istanze internazionali. La conferenza tenuta in quei tre giorni è un
momento storico di assoluto rilievo: il Deep State che prende il nome di partito del
145
Aldo Giannuli, op. cit., p. 148 e seg.
146
Ordine Nuovo, giugno 1963, cit. in Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 115.
147
Aldo Giannuli, op. cit., p. 179.
44
golpe definisce concretamente il paradigma della strategia italiana dell'eversione e
del terrorismo. Al Parco dei Principi c’erano parecchi uomini dell’estrema destra,
quattro anni prima di centro: c’è una netta scala gerarchica che vede questi ultimi
sempre davanti agli intransigenti neofascisti che saranno manovalanza “usa e getta”
nelle azioni violente. Inizia la strategia della tensione propriamente detta, una guerra
psicologica che fino al 1974 consisterà in estrema ratio nel far scoppiare ordigni e
attribuirne la colpa alla sinistra. Poi la strategia cambia e si tramuta in un attacco
diretto allo stato.
L’assunto fondativo del convegno era che una terza guerra mondiale era già in atto,
non nelle forme classiche ma secondo procedimenti inediti sperimentati dai
comunisti su scala mondiale. La relazione infatti si apre così:
Se volgiamo lo sguardo attorno a noi, vicino e lontano, constatiamo l'estensione e la globalità delle
iniziative comuniste in tutto il mondo. Per quanto riguarda l'Italia dobbiamo anche aggiungere che
l'iniziativa comunista si estende a quasi tutti i settori della vita pubblica e la sua infiltrazione ha
carattere galoppante. In questo quadro sta la ragione per cui il primo convegno di studio promosso
dall'istituto Alberto Pollio di studi storici e militari ha destato un vasto interesse, riconoscendo che
la guerra, la terza guerra mondiale, è già in atto. Gli organizzatori del convegno si proponevano
appunto di promuovere lo studio critico della guerra rivoluzionaria, cioè dell'offensiva planetaria del
comunismo, avendo lo scopo di denunciare l'estensione e l'urgenza del pericolo che essa
rappresenta e di cercare i mezzi più idonei per un'efficace difesa. Vi è quindi la speranza che le idee
enunciate e i suggerimenti proposti durante il primo convegno possano essere accolti e sviluppati e
che possano essere di sprone a qualche pratica iniziativa.148
Al convegno si tocca un discorso fondamentale, il quale come s'è già visto appare nei
documenti americani fin dal 1948 (dottrina Truman): i comunisti in Italia non possono
governare. È questo il nocciolo duro attorno al quale per mezzo secolo ruota l’attività
di strutture militari e organizzazioni occulte. Lo dice in maniera palese Enrico De
Boccard nella sua relazione intitolata “Lineamenti e interpretazione storica della
guerra rivoluzionaria”: «Qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, come per
esempio inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora penetrare in un
gabinetto ministeriale, costituirebbe un atto di aggressione talmente grave da
rendere necessaria l’attuazione di un piano di difesa totale. Vale a dire l’intervento
diretto delle Forze Armate»149.
Beltrametti nel suo “La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti;
accenni ad una prasseologia per la risposta” afferma chiaramente che i nostri sistemi
democratici sono inadeguati a contrastare il comunismo e l’unica risposta possibile è
148
Edgardo Beltrametti (a cura di), La guerra rivoluzionaria. Atti del primo convegno di studio promosso e organizzato
dall'istituto Alberto Pollio, Giovanni Volpe Editore, Roma 1965, p. 9.
149
Ivi, p. 42.
45
radicalizzare la lotta. In che modo? Creando «gruppi permanenti di autodifesa che
sappiano contrastare la penetrazione avvolgente, clandestina o palese, della guerra
rivoluzionaria e non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con
l'energia e la spregiudicatezza necessarie»150.
Particolarmente significativo l’intervento di Guido Giannettini, uomo in contatto da
tempi con servizi stranieri151, che nella relazione “La varietà delle tecniche nella
condotta della guerra rivoluzionaria” specifica come il terrorismo possa essere o
indiscriminato o selettivo. Il primo consiste in ordigni fatti esplodere in uffici, locali
pubblici o strada, il secondo invece eliminando determinati uomini per una certa serie
di motivi. Emerge così, in modo profetico, «la suddivisione dei compiti che i due
terrorismi, “nero”, e “rosso” sembrano essersi assegnati negli anni settanta152», i
primi colpendo nel mucchio indistintamente (strage) mentre i secondi con obiettivi
precisi (attentato). Per Giannettini inoltre siamo agli sgoccioli: «Attenzione è tardi,
molto tardi. Siamo arrivati agli ultimi cinque minuti153». È ora di muoversi.
Ultimo, ma forse più importante di tutti gli altri, l’intervento del professore Pio
Filippani Ronconi154 che propone un piano di contrattacco articolato su tre livelli in
“Ipotesi per una controrivoluzione":
1. primo piano composto da individui capaci di compiere solo azioni passive ma
comunque buoni per una conta;
2. secondo piano composto da ex militari, membri di associazioni d’arme e
irredentistiche adatti a compiere azioni di pressione come manifestazioni in
difesa dello stato. Questi dovrebbero affiancare come difesa civile le forze
dell’ordine nel caso di rivolte di piazza;
3. terzo piano altamente qualificato e in pieno anonimato composto da «nuclei
scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contro terrore e di rotture
eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa
costellazione di forze al potere. Questi nuclei, ben coordinati da un comitato
direttivo, potrebbero essere composti «in parte da quei giovani che
attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio
150
Ivi, pp. 57 e seg.
151
Giannettini nel 1962 aveva tenuto una lezione ai Marines ad Annapolis, cfr. L’Europeo, 11. 07.1974; inoltre aveva
rapporti dai primi anni ‘60 sia con la Legione Portoghese che l’Aginter Press.
152
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 170.
153
Eggardo Beltrametti (a cura di), op. cit., p. 152.
154
Si tratta di una figura decisamente curiosa. Volontario nelle SS italiane durante la guerra, in seguito è professore di
indologia ed esoterista.
46
ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative, che non riescono a
scuotere l'indifferenza della massa»155.
L’intervento di Ronconi è rilevante perché nello specifico preannuncia la formazione
dei Nuclei di difesa dello stato (NDS) che, come a breve si vedrà, si formeranno dal
1966, un anno dopo il convegno di Roma e più in generale il piano che propone si
potrà facilmente identificare negli atti terroristici del prossimo futuro.
Terminati i lavori, gli atti del convegno saranno raccolti nel volume “La guerra
rivoluzionaria” che più volte è stato citato in queste pagine. Copie dell’opera saranno
inviate tra gli altri al capo della polizia Ciro Vicari, a Junio Valerio Borghese e a Gilberto
Bernabei156, segretario di Andreotti.
3.3. L’Aginter Press
L’intervento di Giannettini di cui si è fatto poc’anzi menzione, riprende temi già visti,
per la precisione nel 1961 con l’appello ai francesi dell’OAS nel quale si leggeva
testualmente: «Non c’è più un minuto da perdere. Ciascuno deve decidere perché con
il comunismo internazionale non è possibile alcuna neutralità. Nessuno può ormai
sperare di restare fuori dalla lotta. Non esiste altra via di salvezza che nell'ordine
nuovo». L’OAS, una delle strutture Stay Behind attive in Europa seppur responsabile
di oltre 2500 morti in Algeria, finisce ufficialmente nel 1962 ma la lotta al comunismo
per un uomo in particolare deve continuare. Si chiama Yves Guillou, è un ex legionario
e oltre che in Algeria ha combattuto in Corea e Indocina. Conosciuto con i nomi in
codice Guérin-Sérac e Ralf, trova una nuova casa in Portogallo, all’epoca governato
dal dittatore Antonio de Oliveira Salazar. Qui fonda, ufficialmente nel 1966, l’agenzia
stampa internazionale nota come Aginter Press. Quest’ultima in realtà fungeva da
copertura per la vera attività di Guérin-Sérac, il quale con la collaborazione del PIDE
(servizio segreto portoghese) e della CIA aveva organizzato «una specie di lavanderia
internazionale per sbiancare il nero delle efferate imprese di bande terroristiche e
ribaltarne le responsabilità politiche»157. Guérin-Sérac, abbandonata l’attività
terroristica e avvicinatosi a movimenti neotemplari ed esoterici, muore il 9 marzo del
2022 in una casa di cura in Provenza158 dopo essere stato latitante per decenni.
L’Aginter Press, internamente comprendente anche una struttura quasi esoterica
nota come Ordre e Tradition, era in estrema sintesi:
155
Edgardo Beltrametti (a cura di), op. cit., p. 242 e seg.
156
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 94.
157
Gianni Flamini, Il libro che lo stato italiano non ti farebbe mai leggere, p. 62.
158
Andrea Sceresini, Le trame nere di Guerin Serac, ilmanifesto.it, 20.08.2022, https://ilmanifesto.it/le-trame-nere-di-
guerin-serac
47
1. un’agenzia di stampa e propaganda per la diffusione di idee e programmi
anticomunisti;
2. un’agenzia di reclutamento e addestramento per mercenari, terroristi e
sabotatori;
3. una centrale di spionaggio legata a diverse agenzie nazionali;
4. un centro strategico per operazioni di intossicazione politica e provocazione
tramite l’uso di infiltrati.
Il programma ad ampia prospettiva dell’agenzia ci è oggi noto grazie a un documento
datato 1968 e pubblicato sul settimanale “L’Europeo” nel 1974, appena dopo la
caduta del regime portoghese, del quale vengono qui riportati i punti salienti.
Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire
l'installazione del caos in tutte le strutture del regime. È necessario cominciare a minare l'economia
dello Stato per giungere a creare confusione in tutto l'apparato legale. [...] Questo porterà a una
situazione di forte tensione politica, di paura nel mondo industriale, di antipatia verso il governo e
verso tutti i partiti: in questa prospettiva deve essere pronto un organismo efficace capace di riunire
attorno a sé gli scontenti di ogni classe sociale: una vasta massa per fare la nostra rivoluzione. [...] A
nostro avviso la prima azione che dobbiamo lanciare è la distruzione delle strutture dello Stato sotto
la copertura dell'azione dei comunisti e dei filocinesi. Noi, d'altronde, abbiamo già elementi infiltrati
in tutti questi gruppi; su di loro dovremo evidentemente adattare la nostra azione: propaganda ed
azioni di forza che sembreranno fatte dai nostri avversari comunisti e pressioni sugli individui che
centralizzano il potere ad ogni grado. Ciò creerà un sentimento di antipatia verso coloro che
minacciano la pace di ciascuno e della nazione; d'altra parte ciò peserà sull'economia nazionale 159.
Gli elementi dell’eversione nera italiana ebbero costanti e continui contatti con la
pseudo agenzia e il suo direttore per un decennio: Guido Giannettini, negli
interrogatori del 1991, confessò di aver incontrato Guérin-Sérac già nel 1964, un anno
prima del convegno. Il leader ordinovista Clemente Graziani, nel suo saggio “La guerra
rivoluzionaria” pubblicato sul Quaderno n. 1 del gruppo, così scriveva: «Per la
conquista totale delle masse la dottrina della guerra rivoluzionaria prevede il ricorso
a forme di terrorismo spietato e indiscriminato. Si tratta di condizionare le folle non
solo attraverso la propaganda ma anche agendo sul principale riflesso innato: la
paura, il terrore[...] Questo concetto implica ovviamente la possibilità di uccidere, o
far uccidere, vecchi, donne e bambini. Queste forme di intimidazione terroristica sono
oggi non solo ritenute valide ma a volte assolutamente necessarie»160. I rimandi al
manifesto programmatico dell’Aginter Press sono evidentissimi e permettono di
rivelare una comune strategia, un comune sentire. Attenzione però: l’origine di tali
strategie va cercata altrove, in «elevati centri studi di elevata qualificazione che nulla
159
Vincenzo Vinciguerra, Stato di emergenza. Raccolta di scritti sulla strage di Piazza Fontana, lulu.com, 2014, p. 120.
160
Ordine Nuovo, Quaderno n. 1, cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 38.
48
hanno a che vedere con il talora infantile estremismo nostalgico degli aderenti ai
nominati gruppi161». Il punto di partenza è, come da prassi, oltreoceano, nel piano di
destabilizzazione europea che rientrava nel più vasto «Piano Chaos». Si tratta del
piano americano nato negli ambienti della CIA a metà anni ‘60 per colpire il
movimento pacifista e poi allargato su scala globale, la cui finalità sono semplici:
destabilizzare i paesi europei alleati per stabilizzarne la dipendenza dalla NATO162. Le
assonanze con il già citato Field Manual 30-31 sono talmente palesi che ogni discorso
aggiuntivo sarebbe superfluo.
Secondo diverse testimonianze, tra cui quella dell’ex avanguardista Paolo Pecoriello,
membri di alto livello dell’agenzia nel periodo delle stragi erano in Italia con una certa
frequenza. Pecoriello infatti affermò di aver partecipato a un corso sulla preparazione
degli esplosivi nel 1966, tenuto da un certo “Jean”, rivelatosi poi Jean-Marie Laurent,
numero due dell’agenzia. Esponenti di ON, a loro volta, si recarono in Spagna per
seguire corsi di addestramento163. L’Aginter Press, come già detto, si occupava anche
di infiltrazione: Robert Leroy, ex Waffen SS e braccio destro di Serac, aveva
organizzato gruppi filocinesi a Torino e Aosta nel medesimo periodo in cui Mario
Merlino fonderà il circolo anarchico “22 marzo”. L’Aginter Press si può quindi dire che
ha avuto una non indifferente capacità ispiratrice degli attentati in Italia in quanto
uno dei suoi fini è stabilire un protocollo d’intervento che poi veniva adattato alla
situazione del singolo Paese.
I nostri servizi sapevano dell’Aginter Press? La risposta è piuttosto ovvia. L’UAARR ha
un proprio informatore in zona, il giornalista Armando Mortilla alias Aristo, che
informa i piani alti di come sotto la copertura di un’agenzia giornalistica vi sia una
«potente organizzazione di estrema destra internazionale che ha come obiettivo la
lotta al comunismo in qualunque parte del mondo164». Di contatti in Italia ovviamente
nessuna menzione nonostante sarà lo stesso Aristo a favorire gli incontri tra i vertici
dell’agenzia e Pino Rauti nel 1967-68.
3.3 Dalla teoria alla pratica
Appena dopo il convegno dell’Istituto Pollio scatta la prima azione pratica di
intossicazione politica, ovvero l’operazione “manifesti cinesi”. Nel 1965 vengono
affissi un po’ in tutta Italia manifesti firmati da fantomatici movimenti filocinesi
inneggianti alla Cina maoista che volevano staccarsi dal PCI. Responsabile della loro
scrittura era Giuseppe Bonanni, giornalista del quotidiano “Il Borghese”, nell’ambito
161
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 39.
162
Aldo Giannuli, op. cit., p. 116.
163
Commissione Stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02.1997.
164
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 119.
49
di un’operazione orchestrata dal direttore della testata Mario Tedeschi e dall'UAARR
di Federico Umberto D’Amato. Furono coinvolti nell’affissione giovani neofascisti
come Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino a Roma e Delfo Zorzi in Veneto. In
particolare l’operazione promossa da quest’ultimo e dal gruppo veneto di ON che
faceva riferimento al dottor Carlo Maria Maggi avvenne a Mestre ma in un momento
leggermente successivo, ovvero il 1968 secondo la testimonianza di Martino
Siciliano165. Nello stesso periodo un’analoga operazione la svolse Paolo Pecoriello a
Terni, il quale con altri neofascisti imbrattò le chiese della città con falci e martello e
scritte blasfeme. Molto interessante cosa dirà anni dopo sull’operazione lo stesso
Delle Chiaie davanti alla commissione parlamentare nel 1987: avvicinato dal già citato
Bonanni, il quale si presentò come esponente di un gruppo di «camerati restati in
contatto fra loro dopo la seconda guerra mondiale», decide con gli altri giovani di
accettare la sua proposta di diffondere i manifesti. L’operazione, che passava
attraverso il Ministero degli Interni, «era finanziata dalla CIA»166. Riguardo che cosa
fosse la struttura di Bonanni riportata da Delle Chiaie c’è da un lato parecchio buio
(che cos’era? chi vi faceva parte?) ma dall’altro vi è una conferma che in Italia c’erano
all’epoca più di una Stay-Behind. In ogni caso l’operazione creò divisioni all’interno
della sinistra e impaurì l’opinione pubblica. L’operazione manifesti cinesi è ritenuta in
modo unanime dagli storici la prima manovra tangibile della strategia della tensione,
nella quale si possono vedere messe in pratica i principi dell’Aginter Press.
Nel gennaio del 1966167 vengono riformati i servizi segreti e le forze armate italiane,
un aggiornamento generale voluto dal ministro della Difesa Andreotti. Il vecchio
SIFAR, prossimo a essere travolto dagli scandali di cui si è detto, viene sostituito dal
SID (Servizio Informazioni Difesa), alla cui guida viene posto l’ammiraglio Eugenio
Henke. Diversi comandanti cambiano squadra: Aloia è il nuovo capo dello stato
maggiore della difesa, De Lorenzo lo va a sostituire al comando dell’esercito, lasciando
il posto alla guida dei carabinieri a Carlo Ciglieri, il quale come si è visto non farà una
bella fine. Il nuovo servizio segreto militare, pur essendo posto alle dirette dipendenze
di Aloia, è plenipotenziario: è autorizzato a «svolgere qualsiasi indagine per la
sicurezza dello stato nei confronti di qualsiasi potenziale o supposta minaccia
interna»168. Il nuovo ordinamento dei servizi segreti è in ogni caso molto di facciata e
poco reale, tanto che infatti il SID iniziò le attività il 1° luglio con una banale circolare
del ministero della difesa169, retto da febbraio dal socialista Roberto Tremelloni.
165
S.O. Salvini, 1998, p. 174 e seguenti.
166
Commissione Parlamentare Monocamerale sulle stragi in Italia, Resoconto audizione Delle Chiaie, 09.04.1987.
167
Gazzetta ufficiale n° 11 del 15.01.1966.
168
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 105.
169
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, pp. 91-92
50
È in questo clima che di lì a poco vede la luce un opuscolo, dal titolo «Le mani rosse
sulle forze armate», scritto da tale Flavio Messalla. Uno pseudonimo dietro il quale si
celavano Rauti, Giannettini e Beltrametti, lautamente pagati da Aloia per la
pubblicazione di tale volumetto che sarà poi rapidamente ritirato dalla circolazione
dopo un pagamento milionario al SID170. In esso veniva duramente attaccato De
Lorenzo, dal 1° febbraio passato alla guida dell’esercito, etichettato come neutralista
e per tale motivo colpevole nell’infiltrazione dei comunisti nelle forze armate. Aloia
invece, vittima di una campagna diffamatoria dagli ambienti fedeli all’ex comandante
dei carabinieri, era lodato per aver introdotto i corsi di ardimento nelle caserme. Si
segnala che uno dei promotori di detti corsi era il tenente Adriano Magi Braschi, uno
dei relatori del convegno dell’Istituto Pollio: i corsi appaiono perciò «la realizzazione
pratica delle teorizzazioni prodotte durante il convegno171». Proprio in concomitanza
con la diffusione del libretto venivano spediti agli ufficiali dell’esercito e della polizia
dei volantini, firmati “Nuclei per la Difesa dello Stato”172, nei quali venivano esortati a
combattere «la sovversione interna». Due domande sorgono spontanee: innanzitutto
chi ha spedito i volantini? Il centro di controspionaggio di Padova in una nota al SID
indicava come responsabili Pino Rauti e Giulio Maceratini173, si scoprirà anni dopo che
vi hanno collaborato anche due personaggi per ora ignoti ai più, Giovanni Ventura e
Franco Freda. Un fatto di rilievo, perché i due poco più che ventenni, erano quindi
«già in contatto con il gruppo Rauti-Giannettini, installatosi nel SID per segnalazione
dello stato maggiore e che per conto di questo gruppo spedirono i manifestini dei
Nuclei di difesa dello stato174». In secondo luogo cosa sono questi Nuclei? A lungo si
è ritenuto fossero una struttura parallela simile a Gladio, ramificata in 36 legioni su
tutto il territorio nazionale e collegata all’esercito, attiva dal 1966 al 1973. Secondo
Carlo Digilio consistevano
Nell'approntamento di gruppi di civili destinati ad affiancare, in caso di necessità e come supporto,
le strutture militari ufficiali. [...] Erano formate da persone che si erano tenute sempre in contatto
con l'Esercito, come ex sottufficiali, ex Carabinieri, ex combattenti delle varie Armi e costituivano
dei piccoli plotoni che facevano addestramento anche con militari in servizio. [...] Il suo fine era la
difesa del territorio in caso di invasione e se necessario aveva anche compiti anti insurrezionali in
caso di sommosse da parte di comunisti. [...] Questa struttura seguiva la linea ortodossa della
NATO175.
170
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 126.
171
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, Editori Riuniti, 1996, p. 42.
172
Allegato n° 3 in appendice.
173
Aldo Giannuli, op. cit., p. 183.
174
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 132.
175
S.O Salvini, 1995, p. 272.
51
Il professor Aldo Giannuli, consulente tecnico di varie procure, afferma però di non
aver trovato nessun indizio nei vari archivi consultati (UAARR, SISDE, SIOS, ecc.)
sull’esistenza di tale struttura, né di organigrammi o elenchi. La sua ipotesi è che i NDS
non siano stati un’organizzazione ma piuttosto un’operazione, in quanto non
sarebbero altro che «gli apparati militari di diversi gruppi dell’estrema destra,
cooptati nel sistema organizzativo del servizio militare»176. Un’ipotesi plausibile
perché di fatto racchiude il discorso tenuto dal professor Ronconi al convegno del
Pollio nel 1965, il quale come si visto poc’anzi parlava di creare dei nuclei «composti
in parte da quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il
loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative».
Sempre nel 1966 viene attuata sul suolo friulano, dal 15 al 24 aprile, la più vasta
esercitazione militare sul suolo europeo del dopoguerra: l’Operazione Delfino. Si
trattò di un’enorme esercitazione nella quale gli appartenenti a Gladio simulavano
un’invasione delle truppe jugoslave, al quale rispondevano con la controinsorgenza:
venivano effettuate azioni violente, per esempio contro il clero, la cui responsabilità
veniva fatta ricadere sugli avversari. Sarà un cliché che la storia italiana vedrà spesso:
le stragi di Piazza Fontana (12.12.1969), Peteano (31.05.1972) e questura di Milano
(17.11.1973) saranno tutte attribuite a persone di sinistra/anarchiche. Inoltre, fatto
particolare, tale esercitazione sarà svolta da un servizio che ormai non esiste più: il
SIFAR era stato sostituito dal SID a inizio anno ma il nuovo servizio segreto sarà
operativo dal 1° luglio. È quindi nei mesi in mezzo, in una “terra di nessuno” che
avviene l’Operazione Delfino.
3.4 Guido Giannettini
Due righe di approfondimento sono necessarie per inquadrare la figura di Giannettini,
una persona che si autodefinisce «contro la democrazia. Sono fascista, da sempre.
Meglio, sono nazifascista. Uomini come me lavorano perché in Italia si arrivi a un
colpo di Stato militare. O alla guerra civile»177. Quattro mesi dopo il convegno del
Parco dei Principi il generale Aloia in persona lo ringrazierà per lo studio svolto, in
quanto «la sua opera merita di essere conosciuta e meditata da tutti coloro che hanno
a cuore le sorti della democrazia e delle sue istituzioni»178. Il 18 aprile del ‘66 viene
ufficialmente assunto dal SID179, nello specifico nel reparto R (spionaggio estero) e
come si è appena visto sarà uno dei curatori del libello “Le mani rosse sulle forze
armate”. Come riconoscimento passerà al reparto D (controspionaggio) con uno
176
Aldo Giannuli, op. cit., p. 185.
177
Al servizio del SID pure chi tramava contro la Repubblica, “l’Unità”, 21.06.1974.
178
Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio.
179
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 125.
52
stipendio aumentato uno che si vantava di appartenere a uomini che «lavorano
perché in Italia si arrivi a un colpo di stato militare». Ma da dove arriva costui? Nel
1962 aveva tenuto un corso di tre giorni ad Annapolis (Maryland) per le forze
americane dal titolo emblematico «Tecniche e possibilità di colpo di stato in
Europa»180. La sua attività all’interno del SID viene giudicata negativamente dai vari
ufficiali interrogati dai giudici nell’ambito dei vari processi in cui Giannettini stesso era
coinvolto, quasi come una strategia comune per ridimensionare il suo operato
all’interno dei servizi segreti. Eppure lui stesso ha dichiarato di aver spesso
rappresentato l’esercito italiano se non addirittura il governo in ambienti
internazionali181. Un esempio su tutti: nel settembre del ‘69 è insieme a Rauti alla
scuola di guerra psicologica della Bundeswehr a Euskirchen182. Siamo di fronte a un
personaggio molto potente, in contatto con ambienti internazionali che vanno oltre il
semplice SID, altrimenti non si spiegherebbe tutta la storia della sua latitanza pagata
dopo Piazza Fontana e il lunghissimo silenzio prima di rivelare che fosse un agente dei
servizi segreti. Come si vedrà sarà Andreotti, una coincidenza curiosa, a svelarlo con
un’intervista a un settimanale nel ‘74: un fatto che già di per sé dovrebbe
quantomeno far riflettere e di cui se ne riparlerà più avanti. La figura di Giannettini
permette una riflessione su un certo tipo di personaggio più o meno ricorrente in
quegli anni: il giornalista-informatore. Luigi Cavallo, Lando Dell’Amico o Giorgio Zicari
sono solo alcuni dei funzionari d’appoggio ai servizi segreti che hanno sguazzato per
anni nel fango tra eversione, mondo politico ed economico. Sia ben chiaro: sono solo
alcuni in quanto di molti altri si ignorerà forse per sempre l’esistenza poiché inseriti a
livelli talmente alti da renderne complicata solo l’identificazione.
3.5 Golpe in Grecia, perché non uno da noi?
È necessario per un breve istante alzare la visuale oltre i confini nazionali e guardare
alla Grecia. Qui il 21 aprile 1967 avviene il famoso putsch di colonnelli che, guidati da
Georgios Papadopoulos, prendono il potere e costringono il re Costantino II all’esilio.
Inizia così la dittatura dei colonnelli, un colpo di stato sul quale l’ombra dei servizi
americani è palesemente visibile: il golpe viene infatti realizzato con il cosiddetto
“Piano Prometeo”, uno dei piani di controinsorgenza teorizzati una quindicina d’anni
prima dalla NATO183. Dato che le coincidenze non esistono giusto in quel periodo la
Continental Bank di Illinois, di proprietà di un siciliano di nome Michele Sindona,
aveva girato un prestito di 4 milioni di dollari a un’impresa edile controllata dallo
180
Scheda di Guido Giannettini, archivio900.it, http://www.archivio900.it/it/nomi/nom.aspx?id=1557
181
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 165.
182
Indagini del governo tedesco sulle armi ai fascisti italiani, “l’Unità”, 27.10.1974.
183
Aldo Giannuli, op. cit., p. 293.
53
stesso Papadopoulos184. Nato nel 1920 a Patti in provincia di Messina, Michele
Sindona aveva costruito dal nulla un impero finanziario grazie senza dubbio a una
capacità finanziaria brillante ma agevolata dal ricorso a mezzi più o meno leciti,
all’aiuto del Vaticano e della mafia. Amico personale già all’epoca del futuro
presidente americano Richard Nixon, sarà sempre uno dei principali finanziatori dei
gruppi anticomunisti in Italia. Membro della P2, è coinvolto negli anni successivi nelle
torbide vicende dello IOR e del crack del Banco Ambrosiano, con l’omicidio di Giorgio
Ambrosoli e il “suicidio” di Roberto Calvi. Sindona è un esponente del secondo livello
della strategia della tensione, quello che agisce a livello principalmente finanziario e
industriale, non sporcandosi direttamente le mani. Sotto ci sono i terroristi, come già
ripetuto utili per un certo periodo di tempo e scaricabili una volta esaurito il compito,
mentre sopra di lui ci sono gli esponenti politici. La carriera di Sindona una volta
arrivata al suo apogeo avrà un crollo verticale totale che lo porterà a una condanna
innanzitutto per bancarotta fraudolenta e poi all’ergastolo nel 1986 per la vicenda
Ambrosoli: due giorni dopo la condanna Sindona muore nel carcere di Voghera dopo
aver bevuto un caffè avvelenato al potassio in circostanze ovviamente mai chiarite.
Tornando al 1967 un mese prima del golpe greco si era tenuto ad Abbiategrasso (MI)
un congresso del Nouvel Ordre Européen (NOE), movimento internazionale di
estrema destra nato nel 1951 con cui da tempo erano in contatto sia Rauti gli
ordinovisti sia Delle Chiaie. Vi partecipa questa volta un personaggio singolare, Robert
Leroy dell’Aginter Press, del quale già si è fatta menzione. Dirà anni dopo che ad
Abbiategrasso «Si è parlato di presa del potere e si è arrivati alla conclusione che
l'Italia fosse pronta per una dittatura. Personalmente sostengo che l'Italia potrebbe
essere risollevata dalle disastrose condizioni economiche e sociali in cui si trova con
un putsch militare»185. Leroy conosce bene i leader di ON e AN ma anche Valerio
Borghese186. La situazione complessiva si sviluppa favorevolmente a progetti di
questo genere: è proprio in questo periodo infatti che il generale Vito Miceli, viene
nominato nuovo capo del servizio segreto dell’esercito, il SIOS-Esercito. Nato a
Trapani nel 1916, durante la guerra era stato impegnato nei combattimenti in Etiopia
e, seriamente ferito, era stato fatto prigioniero in India. Di simpatie non troppo
velatamente fasciste, è stato poi allievo del NATO Defense College e arriva da
esperienze come addetto militare a Parigi e Bonn187. Sarà Miceli a fare da elemento
di contatto tra le varie istanze coinvolte nella strategia della tensione e non a caso è
184
Jack Greene e Alessandro Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Mondadori, Milano 2008,
p. 226.
185
Sandro Ottolenghi, “L’Europeo”, 04.07.1974.
186
Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume primo, p. 143.
187
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 371-372.
54
membro della P2. Qualche anno più tardi emergerà che era utilizzato dagli americani
per finanziare l’estrema destra: per esempio l’11 febbraio del ‘72 riceverà più di otto
milioni di dollari dall’ambasciatore statunitense Graham Martin188.
188
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di stato, p. 130.
55
Capitolo quarto: chi è Junio Valerio Borghese?
4,1 Giovinezza e primi anni di servizio
Prima di procedere ulteriormente nella ricostruzione storica è necessario mettere a
fuoco la figura di Borghese, un atto necessario per capire i fatti del dicembre 1970.
Junio Valerio Borghese, all’anagrafe Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria
dei Principi Borghese, nasce ad Artena il 6 giugno 1906, secondo dei quattro figli del
Principe Livio Borghese e di Valeria Keun. Apparteneva alla nobile famiglia dei
Borghese, principi di Sulmona, signori di svariate città in passato e storico casato
romano. Vi apparteneva Papa Paolo V, al secolo Camillo Borghese (1552-1621). Junio
Valerio decide di entrare in Marina e nel 1922 viene ammesso ai corsi della Regia
Accademia Navale. Termina l’Accademia sei anni dopo con il grado di guardiamarina
e nel giro di pochi mesi scala le gerarchie militari. Nel 1937 assume il comando del
sommergibile Iride nella guerra civile spagnola, distinguendosi tanto da meritare la
medaglia di bronzo al Valor militare. Proseguì la sua carriera al comando di
sommergibili negli anni seguenti fino all’entrata in guerra dell’Italia.
4.2 Seconda Guerra Mondiale
Promosso capitano di corvetta nel 1940, fu designato al reparto incursori della 1^
Flottiglia MAS e al comando del sommergibile Scirè. A ottobre, scoperta la presenza
della corazzata inglese HMS Barham a Gibilterra, Borghese si diresse lì con il suo
sommergibile e nonostante l’operazione militare nel complesso fallì, fu premiato il 2
gennaio del 1941 con la medaglia d’oro al Valor militare. Il 15 marzo del ‘41 viene
ufficialmente formata la X Flottiglia MAS (Motobarca Armata Silurante): a guidarla il
capitano di fregata Vittorio Moccagatta, a Borghese era affidato il comando dei mezzi
subacquei. A luglio la flotta tentò l’assalto alla base inglese di Malta ma si concluse in
un disastro totale: tutti gli incursori furono intercettati, Moccagatta fu ucciso e il
comando passò ad interim a Borghese. A settembre si organizzò una nuova missione
a Gibilterra, la quarta per la precisione, terminata con l’affondamento di due navi
cisterna inglesi e il grave danneggiamento di una motonave armata. Borghese per
questi motivi fu promosso capitano di fregata. Galvanizzata dal successo, la X MAS a
dicembre attaccò il porto di Alessandria d’Egitto: furono danneggiate gravemente le
corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth e altre due navi britanniche. L’operazione
passò alla storia come “L’Impresa di Alessandria” e Borghese fu nominato Cavaliere
dell’Ordine militare di Savoia. In seguito lasciò il comando dello Scirè e si incontrò più
volte con l’ammiraglio Karl Donitz, Oberbefehlshaber della marina nazista, per
pianificare un possibile attacco al porto di New York.
56
4.3 La X MAS
Il 1° maggio del 1943 Borghese assunse ufficialmente il comando della X MAS ma la
caduta di Benito Mussolini il 25 luglio cambiò tutti i programmi. Dopo l’armistizio
dell’8 settembre Borghese radunò gli uomini che non erano scappati dalla caserma di
La Spezia e prima ancora della nascita della RSI strinse un accordo personale con le
forze tedesche. In pratica la Decima combatteva come corpo franco sotto formale
giurisdizione della Wehrmacht: era in gergo tecnico un Freikorps. Il gruppo di
Borghese da marino diventa anche un reggimento di terra, uno dei tanti operativi nel
nord Italia nel periodo ma con una caratteristica da tenere in conto: era l’unico corpo
nella RSI che non aveva il fascio sulle mostrine ma la scritta X MAS in caratteri
romani189. Questo dettaglio permette di inquadrare meglio la figura di Borghese che
non è un banale caporione fascista ma qualcosa di diverso: prima di tutto è un
patriota, filomonarchico innanzitutto e poi fedele al Duce in seconda battuta. Non a
caso uno degli ufficiali a lui più vicini è Aimone di Savoia, duca d’Aosta. In ogni caso la
MAS inglobò in breve tempo forze di vario genere, contando al momento di massima
potenza circa 20000 elementi. Aveva un'autonomia totale di manovra e reclutava
volontari di ogni genere, i quali non erano tenuti a prestare giuramento alla RSI190.
Tale libertà non piaceva a tutti e sarà uno dei motivi che porterà Borghese in persona
ad essere arrestato per un breve periodo tra. Le accuse a Borghese erano varie:
innanzitutto dall’antifascismo ad aver avuto contatti con partigiani e alleati, passando
persino ad aver pronto un piano per rovesciare il Duce. Sarà scarcerato dopo una
decina di giorni sebbene la seconda voce alla lunga si dimostrerà veritiera. Fino allo
scioglimento del corpo avvenuto il 26 aprile 1945, la X MAS sarà protagonista di
operazioni sia contro gli americani, per esempio nel fronte di Anzio, sia contro i
partigiani. Nello specifico gli uomini della Decima si macchiarono dei consueti crimini
di guerra: torture, fucilazioni sommarie, rappresaglie e saccheggi. Ma c’era comunque
un atteggiamento quantomeno ambiguo: erano note le trattative tra il CLN (Comitato
Liberazione Nazionale) e Borghese fin dall’estate del ‘44 e nello specifico durante i
combattimenti in Friuli la MAS infatti entrò in contatto con i partigiani bianchi della
Osoppo per un’alleanza antislava ma sia il CLNAI sia gli Alleati non accettarono
l'accordo191. Veniamo ora a un punto fondamentale: Borghese viene letteralmente
tratto in salvo dagli americani. Come detto in precedenza il 26 aprile la X MAS si
arrende, non ai partigiani ma agli Alleati, decisamente meno pericolosi e ritenuti dagli
189
Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri,
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, minuto 59.30.
190
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 166.
191
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 187.
57
stessi i veri rivali: Borghese scioglie ufficialmente il corpo presso la caserma milanese
di Piazzale Fiume, non prima che lo stesso comandante avesse avuto delle trattative.
La sera stessa si trasferisce a casa del capitano Guido Del Giudice sotto sorveglianza
della polizia partigiana. Nel frattempo gli americani si erano già adoperati per dargli
una mano, ufficialmente perché «interessati alla X MAS perché pensavano di utilizzare
i suoi famosi maiali per la guerra contro i giapponesi»192, e in modo più semplice
perché l’ammiraglio Ellery Stone, comandante delle truppe alleate, è un amico di
famiglia e in contatto con la nobiltà romana193 di cui Borghese è un esponente non
secondario. Stone perciò gli manda in soccorso un uomo, James Jesus Angleton, capo
delle operazioni speciali dell’OSS194, in modo da evitargli una sicura fucilazione se
fosse finito in mano ai partigiani. Dopo un primo colloquio infruttuoso Borghese l’11
maggio viene convinto da Angleton a seguirlo a Roma dove lo attendeva l’ammiraglio
Raffaele De Courten, ministro della Marina del governo Badoglio. Dettaglio: Angleton
si è portato come assistente il commissario di polizia Federico Umberto D’Amato195,
un giovane che farà strada. Borghese, vestito come un partigiano, arriva nella capitale
dove viene arrestato il 19 maggio dagli americani196. Come raccontò lo stesso
comandante nei suoi diari trascorrerà i due anni seguenti in carcere tra Procida,
Poggioreale, Regina Coeli e Forte Boccea. Oltre agli americani anche gli inglesi
provano a dargli una mano: il 19 giugno del ‘45 il generale Harold Alexander,
comandante supremo delle forze armate Alleate nel Mediterraneo, lo visitò per
sincerarsi delle sue condizioni e si prodigò per le sorte dei suoi famigliari197. È proprio
legato alla Marina britannica un episodio rilevante accaduto a fine guerra: una nave
che trasportava dalla Jugoslavia armi per gli ebrei di Palestina fu fatta saltare dai
membri della Decima.
4.4. Post guerra
Il 15 ottobre del 1947198 inizierà il suo processo davanti alla Corte d’assise di Roma e
non a Milano dove si sarebbe dovuto legittimamente tenere in quanto la Decima
aveva operato al Nord. Si tratta di una sede palesemente di comodo: 1. Borghese è di
casa e ha il sostegno dell’alta società, 2. può godere dell’appoggio di giudici
accondiscendenti, dei vecchi burocrati fascisti rimasti al loro posto. La storia ci
192
Renzo De Felice, Rosso e Nero, Baldini e Castoldi, Milano 1995, p. 133.
193
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 197.
194
Office of strategic services, servizio segreto americano attivo durante la 2^ guerra mondiale e antesignano della
CIA.
195
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani, p. 117.
196
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 200.
197
Marco Valle, Il processo a Borghese e il dopoguerra, insidover.com, https://it.insideover.com/storia/vita-
avventurosa-di-j-v-borghese-il-processo-e-il-dopoguerra.html, 21.07.2022.
198
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 204.
58
insegnerà che praticamente tutti i processi contro fascisti e neofascisti che si
svolgeranno nella capitale finiranno, come si suol dire, a tarallucci e vino. La sentenza
per il Principe Nero che arriverà il 17 febbraio del ‘49 sarà infatti morbidissima: 12
anni di prigione per «collaborazione militare»199 con i tedeschi, escludendo così i
crimini di guerra. Avendo già passato i tre anni di condanna rimanenti in stato di
carcerazione preventiva, Borghese sarà scarcerato il giorno stesso200. Una sentenza
palesemente scandalosa che però era in linea con i principi dell’amnistia Togliatti e
della politica “volemose bene” di quel momento. Il Principe Nero aderì poi al
Movimento Sociale Italiano nel novembre del 1951 ma la sua partecipazione durò
pochissimo: pur essendone stato nominato per acclamazione presidente onorario,
lasciò il partito pochi anni dopo, nel ‘57 per la precisione. Alla base della decisione vi
erano due motivi: era un acceso sostenitore della NATO, elemento non comune a
parecchi missini al tempo, e in generale la vita politica non era adatta a lui, uomo del
fare e non del compromesso. È in questo contesto che prova per la prima volta a
fondare un movimento, in occasione della crisi di Trieste, senza grande fortuna201. Gli
andrà meglio più avanti.
4.5 Il ritorno in scena
È nei primi anni ‘60 che a Borghese, in una condizione economica non molto florida,
viene offerta la carica di presidente della Banca di Credito Commerciale e Industriale
(Credilcomin): è un incarico all’apparenza formale ma che nei fatti permette al
principe di riallacciare rapporti con gli ambienti industriali e politici. C’è un dettaglio
rilevante: la banca è stata fondata da Michele Sindona e nell’affare sono coinvolti
elementi dell’Opus Dei spagnola, della DC e soprattutto Rafael Trujillo, figlio dell’ex
dittatore della Repubblica Dominicana202. Sembra una spy story internazionale da
cinema ma è in questo modo che miliardi di lire entrano nelle casse dell’estrema
destra e di Borghese in particolare. La banca farà crack nel ‘68 e Borghese stesso sarà
incriminato a inizio marzo del 1971 insieme ad Alfonso Spataro203 per appropriazione
indebita e falso in bilancio204, giusto prima che la notizia del golpe venisse diffusa dalla
stampa. Nel 1963 muore in un incidente stradale la moglie Daria Olsoufieva, nobile
di origine russa: l’evento fece riemergere Borghese dal torpore e grazie alla fama
eroica di cui godeva tornò a un ruolo politico attivo. Infatti il 10 settembre del 1966
199
Atti del processo contro Junio Valerio Borghese e altri, Corte di Assise di Roma, 21-22 gennaio 1949.
200
Il criminale fascista Borghese è stato rimesso ieri in libertà!, “l’Unità”, 18.2.1949.
201
Aldo Giannuli, op. cit., p. 346.
202
I soldi: da dove venivano, chi li procurava, “L’Espresso”, 10.11.1974,
https://4agosto1974.wordpress.com/2018/08/29/i-soldi-da-dove-venivano-chi-li-procurava-lespresso-10-11-1974/
203
Figlio del senatore della DC Vincenzo Spataro, più volte ministro tra gli anni ‘50 e all’epoca vicepresidente del
Senato.
204
Crack bancario: Valerio Borghese incriminato con Alfonso Spataro, “l’Unità”, 05.03.1971.
59
presiedette una manifestazione al cinema Cristallo di Roma a cui parteciparono tra gli
altri Randolfo Pacciardi e un nome ancora sconosciuto ai più, Remo Orlandini. Al
centro della discussione la situazione in Alto Adige: secondo il comandante «ormai
era giunta l'ora, in nome della patria, di agire. Anche Trieste è in pericolo»205. Parla
anche della situazione ellenica: «Il colpo di stato in Grecia è stato positivo perché ha
prevenuto il passaggio della Grecia al regime popolare, al fronte popolare. L'averlo
impedito, secondo me, è vantaggioso perché il passaggio ad un regime comunista è il
peggiore dei mali che possano gravare sopra un popolo».
205
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 122.
60
Capitolo quinto: prima del golpe, preparazioni e minacce incombenti
5.1 Il ‘68
Il governo Moro decide un rimpasto dei vertici militari: viene silurato l’ormai
compromesso capo della difesa Giuseppe Aloia e sostituito con Guido Vedovato, Enzo
Marchesi va al comando dello stato maggiore dell’esercito, Luigi Forlenza sostituisce
il futuro incidentato Ciglieri ai carabinieri e Duilio Fanali assume il comando
dell’Aeronautica. Fanali lo ritroveremo protagonista due anni dopo nella notte di
Tora-Tora.
Il 1968 è l’anno che passerà alla storia per le rivolte studentesche in buona parte del
mondo occidentale. Un ciclone inatteso e incomprensibile per la classe governante
che pensò a una guerra coperta da parte delle forze nemiche. Si è trattato in estrema
sintesi di una rivolta generazionale di cui ben pochi compresero le ragioni: dopo
vent’anni di Guerra Fredda «la società recuperava una sua autonomia dalle istituzioni
e reclamava più diritti civili, più equità distributiva, più libertà politiche»206. L’ondata
venne riassorbita in un quindicennio in quanto ovunque i centri di potere impedirono
che da essa potesse nascere una nuova società, ricorrendo anche a mezzi violenti
come in Cecoslovacchia in occasione della tristemente nota Primavera di Praga207.
L’Italia in questo contesto internazionale si inserisce con gran forza in quanto le rivolte
arrivarono fino alle città più piccole e coinvolsero tutti gli strati della popolazione. Nel
dopoguerra il Paese aveva registrato il famoso “miracolo” economico: l’Italia è
industrializzata da un lato ma da un altro ha uno stato sociale poco efficiente, ha i
salari tra i più bassi d’Europa e in generale è una nazione molto premoderna. Lo
sviluppo economico nazionale creò naturalmente aspettative di un benessere più
diffuso, poco soddisfatte dalle riforme, e un aumento della popolazione scolastica e
universitaria. La generazione dei giovani è diversa dal passato, non ha conosciuto la
guerra, è più informata e insofferente all’autoritarismo. A ciò le istituzioni opposero
una dura risposta fatta di «grettezza barona, disciplina autoritaria e morale
bacchettona»208, con l’effetto di ottenere i risultati che poi sono passati alla storia.
Il 1° marzo avvengono scontri durissimi tra polizia e studenti nei pressi della facoltà di
architettura a Roma: è quella che è passata alla storia come la Battaglia di Valle Giulia.
Gli studenti, dopo aver occupato a fine febbraio l’università, avevano subito lo
sgombero forzato e tentavano di riprenderne il possesso. Davanti alla facoltà si
206
Aldo Giannuli, op. cit., p. 234.
207
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del ‘68, 250000 truppe sovietiche, bulgare, polacche, ungheresi e tedesche
orientali invadono la Cecoslovacchia nell’ambito dell’Operazione Danubio. Ben 137 civili saranno uccisi e circa 500
gravemente feriti.
208
Aldo Giannuli, op. cit., p. 238.
61
trovarono però davanti un notevole numero di forze dell’ordine e lo scontro fu
inevitabile. In prima fila, assieme ai giovani di sinistra, ci sono anche i giovani missini
del FUAN-Caravella209 e di AN, guidati da Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie, in quel
momento studente di 31 anni fuori corso di giurisprudenza. I giovani di destra al
termine degli scontri occupano Giurisprudenza, quella di sinistra la facoltà di Lettere.
La situazione resta calda fino al 16 marzo quando esplode la crisi tutta interna alla
destra: il segretario del MSI Arturo Michelini critica l’operato dei giovani del
movimento, disconoscendo la loro azione in quanto coinvolti in azioni esclusive dei
“rossi”. Gli inviti ad abbandonare l’occupazione restano vani, espressione di una
classe dirigente anche a destra che non ha capito per nulla le rivendicazioni giovanili
e tale è la decisione che prende a quel punto. Vengono infatti mandate due squadre
di picchiatori guidate dai leader del partito Giorgio Almirante, Giulio Caradonna e
Massimo Anderson per ristabilire l’ordine: succede il finimondo perché parecchi
giovani di destra si schierano con quelli di sinistra, Delle Chiaie e i suoi restano neutrali
e in pratica i missini da assalitori diventano gli assediati e si arroccano dentro
Giurisprudenza. L’intervento della polizia ristabilirà successivamente l’ordine. Il
bilancio immediato di Valla Giulia è di centinaia di feriti e oltre duecento fermi; il
risultato nel tempo la scomparsa dei giovani di destra dall’università per anni e il
passaggio alla lotta armata contro il “sistema”. Quel sistema che pensavano di
combattere ma che invece con le loro azioni contribuiranno invece a rafforzare.
Ad aprile una cinquantina di esponenti di ON, AN ed Europa Civiltà partecipano a un
viaggio premio in Grecia finanziato dal regime ellenico e organizzato dalla Lega degli
studenti greci in Italia (ESESI). Europa Civiltà è un piccolo gruppo nato nel 1966 dalle
cenere del Movimento Integralista: tradizionalmente legato alla destra
democristiana, ad ambienti cattolici reazionari, a settori delle forze armate e ai servizi
segreti, vi appartenevano membri di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale.
Europa Civiltà, il cui leader è Loris Facchinetti, manterrà i rapporti con gli stessi
ambienti a cui era collegato il Movimento. Specializzato nell’organizzazione di campi
paramilitari, dal ‘69 stamperà anche una propria rivista. Tra i nomi di un certo rilievo
che si imbarcano per la Grecia vi sono Adriano Tilgher, Giuseppe Schirinzi, Elio
Massagrande, Mario Merlino, Roberto Besutti, Loris Facchinetti, Aldo Pardo e Stefano
Serpieri210. Tra di essi secondo alcuni c’era anche Delle Chiaie, notizia che lo stesso
leader di AN ha più volte smentito. In Grecia saranno addestrati alle tecniche di
guerriglia e infiltrazione dal servizio segreto locale. Al loro rientro in Italia alcuni di
questi si riscopriranno anarchici: è il caso di Merlino, fondatore del circolo 22 Marzo,
nel quale finiranno Serpieri, informatore del SID, e il capro espiatorio di Piazza
209
Fronte Universitario d’Azione Nazionale, era il movimento universitario dei giovani dell’estrema destra.
210
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 189-190.
62
Fontana Pietro Valpreda. Analoga mossa verrà provata da Schirinzi a Reggio Calabria,
il quale però avrà meno fortuna211. Le tattiche teorizzate dall’Aginter Press venivano
così messe in pratica, gli effetti si vedranno a breve.
5.2 Il Fronte Nazionale
Il 13 settembre 1968, «con il proposito di sovvertire le istituzioni dello stato attraverso
un golpe»212, Junio Valerio Borghese, «conservato in salamoia da un quarto di secolo
per ordine dei servizi segreti americani»213, fonda ufficialmente presso un notaio di
Roma il Fronte Nazionale, organizzazione neofascista i cui scopi programmatici sono
piuttosto semplici:
1. Costituzione di uno stato forte;
2. Esclusione dei partiti dalle attività di governo;
3. Creazione di un’assemblea legislativa nazionale.
In pratica Borghese propone per l’Italia un modello di governo molto simile a quello
che si è instaurato in Grecia l’anno precedente, ovvero un regime retto
esclusivamente dai militari. Il braccio destro del principe nel FN è Remo Orlandini:
nato nel 1908, originario del reggiano, ha aderito alla RSI dopo il 1943. Trasferitosi a
Roma, ha avviato con discreto successo un’impresa edile. È il braccio operativo
dell’organizzazione ed è da tempo in contatto con gli ambienti militari: emblematico
il suo possesso di un dossier sulle forze NATO in Italia, sulla loro forza e dislocazione,
talmente ben fornito che il giudice Filippo Fiore anni dopo lo definirà «da fare invidia
anche al più alti comandi, oltre che, naturalmente, ai più agguerriti servizi di
spionaggio»214. Secondo elemento di spicco del FN è Mario Rosa, ex maggiore della
MVSN215 e poi comandante della RSI, il quale assume l’incarico di segretario. Altri
personaggi di un certo interesse che gravitano nella formazione sono:
● Filippo De Jorio, avvocato, andreottiano, deputato per la DC nel consiglio
regionale del Lazio e consigliere politico del premier Mariano Rumor;
● Eliodoro Pomar, ingegnere al centro nucleare di Ispra;
● Giacomo Micalizio, medico palermitano in probabile contatto con ambienti
mafiosi e sotto il comando di Borghese ai tempi della Decima216;
211
S.O. Salvini, 1995, p. 250.
212
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
213
Gianni Flamini, Il libro che i servizi segreti italiani…, p. 58.
214
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
215
Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, servizio di gendarmeria attivo durante il fascismo con il nome popolare
“camicie nere”.
216
Fabia Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008,
https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min.8.
63
● Luciano Berti, ufficiale della forestale, in passato «condannato dalla corte
d'assise di Roma per apologia del collaborazionismo»217 con le forze naziste
durante la seconda guerra mondiale;
● Sandro Saccucci, dirigente dell’associazione nazionale dei parà e da tempo in
contatto sia con Delle Chiaie sia con Ordine Nuovo;
● Adriano Monti, agente segreto della rete Gehlen218 e prima ancora volontario
nelle SS, ufficialmente un chirurgo;
● Carlo Benito Guadagni, impresario edile ed ex marò della Decima219.
Altre persone nell’organizzazione ma di secondo piano sono Armando Calzolari,
Tommaso Adami Rook, Torquato Nicoli, Maurizio Degli Innocenti, Dante Ciabatti,
Enrico Bonvicini, Felice Costantini, Mario Pavia, Leopoldo Parigini, Pietro Paoletti,
Gavino Matta e Stelio Frattini. Nicoli e Degli Innocenti saranno poi regolari informatori
del SID dal 1974. Molto vicino all’organizzazione seppur non membro effettivo è
Salvatore Drago, un altro personaggio molto singolare: medico della polizia, Orlandini
lo considera «introdotto e benvoluto nell'ufficio affari riservati del ministero
dell'interno»220. Il giornalista Guido Paglia, collaboratore del SID, in una sua nota
definirà infatti Drago un fedelissimo di Federico Umberto D’Amato. C’è un dato
quantomeno rilevante da segnalare: Borghese si circonda di personaggi di varia
estrazione come ex repubblichini, militari e tanti massoni, ma quasi nessun ex
componente della X MAS, suoi assoluti fedelissimi, è nel direttivo del FN. Perché? Una
bella domanda.
Il Fronte Nazionale, come le due principali organizzazioni neofasciste dell’epoca,
Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, era formato su due livelli:
1. Livello A. Palese, destinato all’opera di proselitismo in ambiente civile;
2. Livello B. Occulto, formato da un nucleo di persone armate che si muovono su
un livello paramilitare.
L'organizzazione a livello locale è basata su delegati provinciali e prevede più in alto
dei responsabili nazionali. Il Fronte, guidato da una figura come il principe Borghese
che negli ambienti di estrema destra godeva di enorme prestigio, riuscì in breve
tempo ad agganciare sia i gruppi extraparlamentari principali ovvero AN e ON, sia
quelli minori come Fronte Delta221 ed Europa Civiltà. Tutti e quattro aderiscono alle
217
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
218
Servizio spionistico americano attivo nell’Europa orientale dopo il 1945 diretto dall’ex colonnello della Wehrmacht
Reinhard Gehlen, poi fondatore del BND, il servizio segreto estero dell’allora Germania Ovest. Per approfondire si
veda Solange Manfredi (a cura di), Cia e Nazisti uniti per destabilizzare l’Italia, autopubblicato, 2014.
219
Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970.
220
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
221
Piccolo gruppo neofascista attivo a livello universitario. Il leader è il presidente del FUAN romano Marco Pirina.
64
trame eversive. Con Ordine Nuovo, nello specifico, c’era «un preciso accordo tra il
comandante Borghese e Pino Rauti, segretario generale di ON, per una collaborazione
politica. È opinione che il Fronte voglia proporre un'alter
nativa al sistema. Fronte Nazionale e Ordine Nuovo sono collegati»222. Quanto ad AN
un ruolo di tramite viene svolto da Saccucci che come detto conosce da tempo Delle
Chiaie e porterà nell’orbita del FN elementi come Bruno Stefano e Flavio Campo.
Valerio Borghese dal 1969 inizia a girare l’Italia alla ricerca di tre cose fondamentali
per il suo progetto eversivo: capitali, appoggi (quasi sempre a braccetto) e camerati.
Il SID racconterà come la prima uscita pubblica del FN avvenne il 19 marzo del 1969
all’Hotel Royal di Viareggio mentre un’altra nota sarà nell’estate dell’anno successivo
quando Borghese terrà una conferenza stampa all’Hotel Treviso. Fra i primi aderenti
al FN, la notizia si saprà oltre vent’anni dopo, c’è il capo della loggia P2 Licio Gelli223. Il
suo ruolo, e in generale quello della massoneria nel tentato golpe, verrà chiarito più
avanti ma è eloquente notare come il suo nome, benché sconosciuto ai più all’epoca,
fosse presente fin dagli esordi del gruppo eversivo. Come si vedrà nel dettaglio più
avanti molti dei golpisti erano non a caso affiliati alla massoneria.
5.3 I finanziamenti di Borghese e dell’estrema destra
Borghese sa bene che organizzare il golpe, oltre alle forze militari e paramilitari,
servono fondamentali appoggi economici. Una nota dei carabinieri datata 16 giugno
1969 racconterà come:
«Il 12 aprile ultimo scorso a Genova, in una villa appartata a picco sul mare, sita in via Capo Santa
Chiara 39, il noto comandante, Valerio Borghese si è incontrato con l'armatore Cameli Alberto, con
l'avvocato Meneghini Gianni, con il presidente Lagorio Serra Gian Luigi e con proprietario della villa,
l'industriale Canale Guido. Scopo della riunione è stato quello di costituire in Genova una sezione
provinciale del Fronte Nazionale»224.
Il citato Cameli possiede alcune società armatrici in compartecipazione con l'IFI
(Istituto finanziario italiano) della famiglia Agnelli e con le Assicurazioni Generali di cui
è presidente Cesare Merzagora225. Il rapporto dei servizi finirà in un cassetto e verrà
ritrovato quasi per caso nel 1973, a giochi già fatti, da un’inchiesta giornalistica:
ovviamente nessuno pagherà per questa e tante altre “disfunzioni”. Nello stesso
luogo si terranno altre due riunioni a cui parteciperanno petrolieri, armatori,
industriali di vario genere come il presidente del Genoa Giacomo Berrino. Il rapporto
dell’Arma si chiude in modo piuttosto vago: «In sintesi si può affermare che fino a
222
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore
223
S.O. Salvini, 1995, p. 180
224
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
225
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 30. Merzagora è stato presidente del Senato dal 1953 al 1967.
65
questo momento una quarantina circa di persone dell'ambiente economico-
industriale della città ha aderito al movimento, che si considera apartitico. Infatti gli
elementi sono di idee liberali, democristiane, repubblicane, missine, monarchiche e
socialdemocratiche»226. Viene quasi naturale chiedersi a questo punto se il SID fosse
a conoscenza delle attività del FN: la risposta è affermativa. Una nota, anche questa
“dimenticata” dirà che «Il comandante Borghese, nel corso di una riunione con
esponenti del mondo armatoriale genovese, ha deciso la costituzione di «gruppi di
salute pubblica» per contrastare - anche con l'uso delle armi - l'ascesa al potere del
PCI»227. Inoltre è proprio in questo periodo che Vito Miceli, all’epoca guida del SIOS-
Esercito e futuro capo del SID, nella primavera-estate incontrata più volte Remo
Orlandini, come lui stesso ammetterà:
Nella primavera o estate del 1969, presentandosi la possibilità di un contatto con Remo Orlandini,
incontrai lo stesso, assistito dal colonnello Pace del SIOS-Esercito, per conseguire validi risultati
informativi. Da certi aspetti della conversazione, intonata dall’Orlandini ad ammirazione per le forze
armate e ad amore per la patria - e dalla posizione che l'interlocutore occupava nell'ambito del
Fronte, trassi la convinzione che era opportuno considerare il «personaggio» quale obiettivo
informativo e pertanto ordinai al colonnello Pace di prolungare il contatto228.
Guido Giannettini invece, in un rapporto per il SID datato 4 maggio, arriva a scrivere
che «ambienti politici ed economici italiani, appoggiati anche da ambienti stranieri,
hanno deciso la sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula
sostanzialmente centrista». Ma chi sono gli esponenti di questi ambienti economici?
Lo stesso Giannettini precisa che «gli ambienti industriali del nord Italia disposti a
finanziare attentati siano costituiti principalmente dal gruppo Monti». Il Monti citato
dall’agente del SID è Attilio Monti: fascista fin dalle origini, partendo dal nulla ha
creato un impero finanziario che comprende petrolio (Sarom), zucchero (Eridania) e
carta stampata (Il Resto del Carlino e La Nazione). Nel settembre del 1969 il giornalista
ed ex volontario della X MAS Lando Dell’Amico, scrivendo una lettera a Bruno Riffeser,
genero di Monti, dirà di aver versato oltre 18 milioni di lire «al giornalista Pino
Rauti»229. Nonostante le risposte sdegnate di Monti e dei suoi avvocati, Dell’Amico
prima smentisce poi nel 1974 confermerà tutto: «L'operazione c'è stata. È avvenuta
nel settembre 1969, proprio alla vigilia della strage di piazza Fontana. [...] È autentica
la lettera che inviai al direttore generale della SAROM Bruno Riffeser, genero di Monti,
per dargli atto dell'avvenuto versamento di 18 milioni e mezzo»230.
226
ibidem.
227
Ibidem.
228
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
229
Atti inchiesta del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz.
230
Ibio Paolucci, Giannettini conferma legami fra SID e fascisti padovani, “l’Unità”, 19.10.1974.
66
E così le grandi industrie italiane finanziano i neofascisti: non è una sorpresa se si
considera che nel Ventennio i maggiori sostenitori economici del Duce erano i
ricchissimi imprenditori. Enrico Mattei, fondatore dell’ENI (Ente Nazionale
Idrocarburi) diceva infatti che «Mi servo anche dei fascisti, quando occorre, ma allo
stesso modo in cui uso il tassì. Finita la corsa, pago e scendo»231. Oltre alla stessa ENI
per anni colossi come Montedison e FIAT a vario titolo avevano foraggiato l’attività
dei neofascisti in vario modo. Altri da non tralasciare sono stati Demetrio Mauro della
Caffè Mauro, Carlo Pesenti della Italcementi, l’armatore Amedeo Matacena, il già
citato presidente del Genoa Giacomo Berrino, Andrea Mario Piaggio (patrimonio
stimato 1500 miliardi di lire232) e Achille Talenti della Tudini & Talenti solo per fare
alcuni nomi di industriali italiani di un certo peso. In special modo Piaggio, tramite il
suo braccio destro Attilio Lercari che era l’amministratore delegato di una sua
azienda, sarà molto vicino al futuro progetto della Rosa dei venti.
5.4 Il calendario del terrore
Senza rischiare grossolani errori possiamo in questa sede definire il 1969 come l’anno
del terrore, il momento esatto in cui la strategia della tensione inizia a entrare nel
vivo. Sono 365 giorni che, partendo dall’eccidio di Avola alla strage di Piazza Fontana,
conducono il Paese a una precisa direzione: il colpo di stato. Non saranno
direttamente uomini del FN a mettere le bombe prima sui treni e poi a Roma e Milano
ma la paura e l’attacco alle forze di sinistra sono tutti fattori che ai golpisti non
potevano che essere di fondamentale aiuto per creare un clima favorevole a un
intervento autoritario che fosse di fatto richiesto naturalmente da una popolazione
italiana in preda al panico. Nel 1969 parte quello che è stato denominato dal
giornalista Gianni Flamini «il calendario del terrore»: prima di Piazza Fontana gli
attentati totali saranno circa duecento233. Di questi per venticinque sono responsabili
esponenti di ON234. In questa sede, non essendo il principale argomento di trattazione
ma necessariamente contingente, la trattazione avverrà per sommi capi, citando i
fatti più significativi.
Avola, 2 dicembre 1968. Il sangue inizia a scorrere dalla Sicilia: dopo giorni di scioperi
generali, sulla statale 115 i braccianti effettuano un blocco stradale, in contestazione
agli agrari che non vogliono aumentare gli stipendi da fame dei contadini. La polizia
ordina lo sgombero, il niet dei manifestanti porta alla rivolta: le forze dell’ordine
sparano ad altezza uomo sulla folla, uccidendo due persone, Giuseppe Scibilia e
231
Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 87.
232
L’impero di Piaggio, “l’Unità”, 26.08.1974.
233
Aldo Giannuli, op. cit., p. 318.
234
Mirco Dondi, L’eco del boato: storia della strategia della tensione, Laterza, 2016 Bari, p. 107.
67
Angelo Sigona, e ferendone una cinquantina. Il ministro dell’Interno Franco Restivo,
riferendo dei fatti in Parlamento, afferma che «priorità assoluta è il mantenimento
dell’ordine pubblico»235. Delle richieste sindacali per il ministro costituivano quindi
una minaccia per la nazione.
Nella notte di Capodanno allo stabilimento “La Bussola” vicino Viareggio ci sono degli
scontri tra giovani di sinistra e i clienti di questo lussuoso locale, la polizia è presente
ed assiste. La situazione in breve tempo degenera: Soriano Ceccanti, un giovanissimo
manifestante di 16 anni, viene colpito con un colpo di pistola alla schiena. Resterà
tetraplegico. Chi sia stato effettivamente ad esplodere il colpo non verrà mai chiarito
anche se Ceccanti dirà che da un cellulare della polizia «un uomo mi prendeva di
mira»236. Nella stessa zona, il 31 gennaio viene rapito il dodicenne Ermanno Lavorini,
figlio di un commerciante. I rapitori chiedono un riscatto di 15 milioni, qualcosa va
però storto e il ragazzino viene ucciso. Il suo corpo, sepolto sotto la sabbia, sarà
trovato per caso il 9 marzo, dopo oltre un mese di vane ricerche che avevano coinvolto
l’intera penisola. Per questo delitto inizialmente viene battuta la pista legata
all’omosessualità e alla pedofilia: nella pineta si incontrano ragazzini e uomini di ogni
genere, e proprio lì Lavorini era stato visto nei giorni precedenti. Nel frattempo il FN
aveva iniziato a cavalcare l’onda, facendo pubblicare dei manifesti nei quali un
bambino, chiedendo aiuto a mamma e papà, veniva stretto da una mano, sui cui artigli
era scritto «Corruzione, droga, pornografia, omosessualità, prostituzione»237.
Vengono sentiti conoscenti del ragazzo tra cui Marco Baldisseri, sedicenne già
accusato di stupro e frequentatore della pineta, il giovane missino 238 Rodolfo Della
Latta e Andrea Benedetti. Tra gli indagati finisce tal Ermanno Zacconi, il quale è del
tutto estraneo ma subisce la pubblica umiliazione: un anno dopo muore d’infarto. Il
secondo nome è quello dell'imprenditore Adolfo Meciani, il quale la sera del 31
gennaio si era appartato in pineta proprio con Baldisseri: arrestato e quasi linciato
dalla folla, si impiccherà in carcere a fine maggio. Dopo depistaggi, calunniose
campagne della stampa e rimbalzi di colpa emerge, grazie al lavoro del “pistarolo”
Marco Nozza239, la responsabilità della locale sezione giovanile del Fronte Monarchico
del quale Baldisseri era il tesoriere mentre il segretario è Pietro Vangioni: vent'anni,
si dirà solo anni dopo che «investigava per i Carabinieri». Baldisseri parla e ammette
che il sequestro era stato una loro idea per autofinanziarsi e comprare
successivamente degli esplosivi con il bottino. Nel primo processo del ‘74 Baldisseri e
235
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 15.
236
“Corriere della Sera”, 02.07.1975.
237
Federazione Comunista Versiliese (a cura di), La trama nera in Versilia, 1974.
238
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 21.
239
Andrea Di Consoli, Il caso Lavorini, tra pedofilia e strategia della tensione, Il Sole 24 Ore,
https://www.ilsole24ore.com/art/il-caso-lavorini-pedofilia-e-strategia-tensione-AFCkO7C, 31.01.2019.
68
Della Latta vengono condannati nell’ordine a 19 e 15 anni per un movente ancora
legato alla sfera sessuale, è assolto invece Vangioni per insufficienza di prove. La corte
d'appello di Firenze tre anni dopo metterà ordine: il delitto è avvenuto a scopo di
estorsione, le condanne vengono però diminuite ma Vangioni, ritenuto il cervello,
viene condannato a 9 anni di carcere. Siamo davanti al primo caso artigianale di una
strategia della tensione che inizia a svilupparsi sul piano pratico dopo una lunga
gestazione.
Molto più a sud, a Battipaglia (Salerno) il 9 aprile è in corso uno sciopero generale per
la programmata chiusura di due importanti fabbriche. La polizia decide di caricare i
manifestanti: restano uccisi Carmine Citro, un tipografo di 19 anni, e Teresa Ricciardi,
un’insegnante, affacciata dalla finestra di casa sua. Le proteste divampano e
infiammano l’intero Paese, scoppiano anche delle rivolte nelle carceri di Torino e
Genova.
69
Capitolo sesto: la tensione sale vertiginosamente
6.1 La cellula terroristica del nordest
Sul finire degli anni ‘60 si formano nel nordest diverse centrali terroristiche a vario
modo riconducibili a Ordine Nuovo e che saranno protagoniste di tutte le stragi degli
anni seguenti. A Padova i componenti sono il legale Franco “Giorgio” Freda, noto ai
servizi fin dal 1963240, l’editore Giovanni Ventura, il bidello Marco Pozzan,
Massimiliano Fachini e Gianni Casalini, stabile informatore del SID241. Sempre nella
città del Santo abita Dario Zagolin, informatore del SID, in contatto anche con i servizi
americani e greci, il quale faceva da elemento di raccordo tra loro e i gruppi
neofascisti242. A Venezia ci sono il coordinatore regionale Carlo Maria Maggi, medico,
Martino Siciliano, Carlo Digilio e Delfo Zorzi, dal 1968 cooptato nell’UAARR dal
questore di Padova Elvio Catenacci243. A Verona Elio Massagrande, Marcello Soffiati e
Roberto Besutti, a Udine Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, a Trento Cristiano De
Eccher (di AN però). Altre centrali sono presenti a Trieste (Manlio Portolan e
Francesco Neami), a Vicenza e una particolare a Vittorio Veneto con il professor Lino
Franco: ex repubblichino della X MAS, gestiva una rete di reduci e volontari nota come
gruppo Sigfried, uno dei gruppi di supporto a un’eventuale insurrezione, ed era al
contempo informatore della CIA244. Infine c’è un personaggio molto ambiguo nella
zona del Montello, in provincia di Treviso: stiamo parlando di Pietro Loredan, detto il
Conte Rosso ma che di sinistra aveva ben poco. Loredan infatti era in contatto con la
cellula di ON tanto che finanziava la piccola casa editrice di Giovanni Ventura245. Un
terrorismo “made in Veneto” con la regia americana alle spalle: nella regione hanno
sede due installazioni NATO notevoli ovvero la caserma Ederle a Vicenza e il centro
FTASE (Comando delle forze terrestri alleate per il Sud Europa) a Verona. Non è un
caso che nel ‘66 a casa di Besutti sia stato trovato un vero e proprio arsenale e per
tale motivo denunciato: dirà di essere un collezionista e di aver comprato le armi da
due militari americani della base246, uno dei due è tale Theodore Richards, il quale dal
‘74 sarà il comandante della stessa247. C’è inoltre un fattore non da poco: dal ‘56 grazie
a Gladio esisteva nel nordest un’enorme disponibilità di armi ed esplosivi difficilmente
240
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 100.
241
S.O. Salvini, 1995, p. 70.
242
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 35.
243
Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri,
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, min. 30.
244
S.O. Salvini, 1995, p. 288.
245
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 171.
246
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. primo, p. 118.
247
S.O Salvini, 1998, p. 285. Il capitano Richards nelle indagini del ‘66 ovviamente non viene toccato dalla procura.
70
controllabili, del quale potevano usufruire persone addestrate a usare ordigni
esplosivi e inneschi non convenzionali. Uno di questi è Carlo Digilio, il bombarolo di
tutta la cellula terroristica veneta: sarà lui infatti a sovrintendere agli ordigni che
verranno fatti esplodere in futuro. La sua figura, per anni in secondo piano, è
emblematica: non è un ordinovista vero e proprio ma viene fatto infiltrare nel gruppo
dalla rete informativa americana che aveva sede alla FTASE di Verona della quale
faceva parte anche Soffiati. Nome in codice Erodoto, Digilio entra in quella che lui
definirà «una struttura informativa della CIA» per via del padre, informatore degli
americani durante la seconda guerra mondiale. Tale compito lo avrà anche Digilio
junior che sarà il tecnico degli ordinovisti veneti e in contemporanea informatore
stabile degli americani dal ‘66 all’’82248. Questo squarcio di verità emergerà solo dal
1995 quando questi confesserà parte delle sue azioni al giudice Guido Salvini, il quale
scriverà che «per la prima volta in un ambito strettamente processuale e con elementi
di prova via via più solidi è emerso, all’interno degli avvenimenti noti come strategia
della tensione, il quadro quasi intero di una rete informativa statunitense»249, la quale
era non solo perfettamente al corrente delle attività della cellula terroristica ma
metteva dei suoi uomini all’interno di essa come Soffiati e Zagolin, i quali daranno un
contributo decisivo al successo delle operazioni. Uno dei referenti di tale rete era il
capitano David Carret, il quale da superiore di Digilio con queste parole lo tranquillizzò
dopo Piazza Fontana: «Non ti preoccupare, ricordati che noi americani qui in Italia
teniamo la situazione in pugno, noi sappiamo come direzionare questa tua piccola
Italia»250. Fantascienza per tanti, inquietante realtà alla prova dei fatti. C’è inoltre un
militare, non membro di ON ma in ottimi rapporti con i suoi membri, che arriva nel
veronese nel 1965: si tratta di Amos Spiazzi di Corte Regia, capitano, monarchico
come il padre251, è di stanza alla caserma “Duca” di Montorio ed è ufficiale “I”
(Informazioni). In parole semplici è l'uomo formalmente collegato con i servizi segreti.
Per almeno 15 anni il suo nome tornerà costantemente in evidenza riguardo a tentati
golpe e atti terroristici.
La città di Padova è suo malgrado protagonista del calendario delle bombe che parte
esattamente il 15 aprile quando un ordigno esplode nello studio del rettore
dell’università, Enrico Opocher, all’incirca alle 22.30252. È un atto dimostrativo: non ci
sono vittime se non un incendio che danneggia la biblioteca di giurisprudenza. Due
giorni dopo, mentre la seduta del consiglio comunale si svolgeva in un clima infuocato,
248
Commissione stragi, audizione di Guido Salvini, 12.02.1997.
249
Ibidem.
250
Deposizione di Carlo Digilio, Atti Corte d’Assise di Milano, 16.06.2000.
251
Eugenio Spiazzi di Corte Regia, parlamentare dal ’48 al ’53 con la DC, presidente dal ‘52 al ’57 dell’Istituto del
Nastro Azzurro fra combattenti decorati al valore militare.
252
Scoppia una bomba nello studio del Rettore, “Il Gazzettino”, 16.04.1969.
71
si verificarono violenti scontri in strada tra neofascisti arrivati da tutto il Veneto e
studenti di sinistra. Tra i neofascisti era presente il futuro responsabile dell'attentato
alla questura di Milano del 1973 Gianfranco Bertoli253. La responsabilità dell’attentato
al rettore sarà attribuita cinque anni dopo a Franco Freda, Marco Pozzan e Giovanni
Ventura, rinviati a giudizio dal giudice Gerardo D’Ambrosio. Tutti e tre per il momento
possono agire indisturbati. Sempre a Padova, un anno prima circa, c'era stata un’altra
esplosione dimostrativa: una bomba era stata fatta brillare davanti all’abitazione del
questore Ferruccio Allitto Bonanno. Tornando al ‘70, appena tre giorni dopo la bomba
all’università, il 18 aprile, avviene quella che verrà poi definita come la «famigerata
riunione» tra Freda, Ventura e il segretario di ON Pino Rauti, incontro che come dirà
il giudice di Treviso Giancarlo Stiz «costituisce l'inizio dell'attività terroristica»254. Vi
parteciperebbe anche Guido Giannettini, nonostante secondo i giudizi di Catanzaro
non si sarebbe mosso da Roma. La stessa presenza di Rauti è stata più volte messa in
dubbio, in quanto l’unico a fare il suo nome è stato Marco Pozzan che poi ritratterà in
parte: nel processo infatti Rauti sarà assolto grazie agli alibi forniti dai colleghi de “Il
Tempo” secondo i quali l’uomo al momento non era Padova ma nella redazione del
quotidiano. In ogni caso la riunione di Padova segna il futuro del Paese in quanto si
stabilisce un calendario che ha come obiettivo «il compimento di una serie di attentati
terroristici progressivamente più gravi e come scopo ultimo quello di sovvertire
l’ordinamento della Repubblica»255. Lo stesso giorno il quotidiano romano “Il Tempo”
coniò il titolo «Autunno caldo in arrivo»: una stagione difficile era alle porte.
L’unico che indaga sull’attività della cellula terroristica di Padova è il locale
commissario della polizia Pasquale Juliano che tramite Alberto Muraro, portiere del
condominio dove abita Massimiliano Fachini, viene a conoscenza di un traffico di armi
e di movimenti sospetti. La speranza è vana perché Muraro il 13 settembre del ‘69, il
giorno prima di essere sentito per verbalizzare, muore di «morte accidentale» dopo
un volo nel vano dell'ascensore. «Trattasi indubbiamente di infortunio»256, verrà
scritto nel rapporto. Mancando il teste decisivo le accuse di Juliano cadono nel vuoto
e il commissario verrà addirittura trasferito “per punizione” a Ruvo di Puglia in quanto
accusato di aver fabbricato prove false per incastrare i “neri”257. Un esempio pratico
di quali copertura avesse la cellula padovana ancora prima degli attentati più cruenti.
6.2 Bombe alla fiera campionaria
253
Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 154.
254
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 37.
255
Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D’Ambrosio.
256
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 84.
257
Antonio Maria Mira, Piazza Fontana. Il poliziotto che aveva capito: «Non mi hanno ascoltato», avvenire.it,
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-poliziotto-che-aveva-capito-non-mi-hanno-ascoltato
72
Nella sera del 25 aprile del 1969 scoppiano tre bombe a Milano, provocando nel
complesso 20 feriti. La prima esplode presso lo stand della FIAT alla fiera campionaria
e causa i suddetti feriti, le altre due invece nell’ufficio cambi della Banca Nazionale
delle comunicazioni all’interno della stazione centrale. Per gli attentati la questura si
lanciò subito, curiosamente come farà anche qualche mese più tardi, sulla pista
anarchica: poche ore dopo gli scoppi il capo dell’ufficio politico Antonino Allegra invia
un rapporto alla magistratura in cui afferma che sono loro i responsabili. Si arriva così
a identificare ufficialmente un sospettato: «L’autore degli attentati è stato
identificato dalla polizia [...], si tratta di un giovane anarchico milanese, Angelo Pietro
Della Savia»258, a cui farà seguito l’arresto per altri cinque giovani. Il responsabile è
invece di nuovo la cellula terroristica padovana di Pozzan, Ventura e Freda: nello
specifico quest’ultimo ha personalmente deposto le bombe259. A maggio invece,
sempre gli stessi, saranno responsabili di tre attentati nei palazzi di giustizia di Torino
e Roma che si dirà falliranno per «motivi tecnici»: come a Padova e Milano anche
queste erano bombe di fatto dimostrative. In occasione delle bombe alla fiera Guido
Giannettini, con lo pseudonimo Adriano Corso, pubblicherà sulla rivista «Lo Specchio»
l’inchiesta dal titolo «Rapporto sui commandos rivoluzionari italiani» mentre lo stesso
settimanale titolerà «Abbiamo scoperto le centrali della sovversione»260che
ovviamente sono a sinistra. L'operazione è chiara: l'organizzazione terroristica, che ha
fondamentali riferimenti nel Veneto, funziona perfettamente oliata secondo i compiti
stabiliti. Mette le bombe e costruisce le delazioni giornalistiche che orienteranno sia
le future indagini sia il senso comune.
6.4 Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale
Nella primavera-estate del ‘69 due rapporti del SID testimoniano che sta per
succedere qualcosa di grosso. Il primo, compilato da Giannettini, è ricco di
informazioni piuttosto interessanti:
Ambienti politici ed economici italiani, appoggiati anche da ambienti stranieri (fra cui sicuramente
americani) hanno deciso la sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula sostanzialmente
centrista. L'operazione «ritorno al centrismo» verrebbe effettuata attraverso i passi seguenti: 1)
frattura del PSU con uscita della corrente socialdemocratica (Tanassi) dal partito; 2) successo della
corrente di Flaminio Piccoli al congresso della DC; 3) creazione di un'opinione pubblica favorevole
al ritorno al centrismo (mutamento al vertice della RAI-TV, acquisto di organi di stampa da parte del
gruppo economico Monti); 4) eventuale ondata di attentati terroristici, per convincere l'opinione
pubblica della pericolosità di mantenere l'apertura a sinistra (gruppi industriali del nord Italia
258
Luigi Mazzoldi, Identificato il terrorista di Milano Roma e Padova, “Il Gazzettino”, 03.05.1969.
259
Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio.
260
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 42.
73
finanzierebbero gruppetti isolati neofascisti per far esplodere alcune bombe); 5) lavoro psicologico
sulle forze armate che sarebbe condotto personalmente da Saragat e da Pertini.261
ll documento come da prassi del SID mischia notizie vere ad altre inventate: il
riferimento a Pertini è assolutamente privo di fondamento mentre su Monti c’ha
azzeccato: il petroliere dal ‘66262, acquisendo il gruppo Eridania, era diventato
proprietario de “La Nazione” e “Il Resto del Carlino” e proprio nel ‘69 de “Il Telegrafo”
e “Il Giornale d’Italia”. Altrettanto vera è la divisione nei socialisti che avverrà a luglio
quando i socialdemocratici di Tanassi abbandonano il comitato centrale provocando
una scissione e costituendo subito dopo il PSU263, causando la caduta del governo
Rumor. Nel complesso il rapporto è quindi molto interessante: la fine del
centrosinistra in Italia era dal Piano Solo un obiettivo palese di certe forze politiche e
non, in più con la classica preveggenza si parla di attentati terroristici i cui responsabili
non sono però dei banali «gruppetti isolati».
La seconda nota, datata 16 giugno 1969, confermava come il SID fosse a piena
conoscenza dei piani del FN. «Un esponente del Fronte Nazionale ha informato alcuni
dirigenti della Società Metallurgica Italiana (SMI) che il movimento ha in programma
di attuare, nel periodo da giugno a settembre 1969, un colpo di stato per porre fine
alla precaria situazione politica che travaglia la vita del paese. L'uomo di Borghese
vorrebbe trattare l'acquisto di munizioni prodotte negli stabilimenti della SMI ma
riceve un rifiuto»264. Una nota carica di significato: il golpe Borghese bolliva in pentola
ben da prima del dicembre ‘70 e poteva essere anticipato di oltre un anno ma non
succederà. La domanda è ovviamente perché? Come si vedrà meglio più avanti i
golpisti non erano ancora pronti.
Che i tempi siano molto particolari qualcuno a sinistra se ne rende conto. In primis lo
storico senatore del PCI Pietro Secchia che a un convegno dell’ANPI (Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia) parlò di
Una situazione divenuta ormai intollerabile che, se dovesse perdurare, metterebbe a grave
repentaglio non soltanto i valori della resistenza ma l'avvenire del nostro paese. Un paese non può
vivere permanentemente sotto il rischio, la minaccia e il ricatto di colpi di stato, siano essi orditi,
tenuti pronti e aggiornati da qualcuno dei mille generali o sognati da uomini politici che credono di
poter abbattere le dighe al malgoverno, alla corruzione sfrenata, all'asservimento allo straniero,
eliminando ogni legalità costituzionale e accantonando di fatto la Costituzione.265
261
Atti del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz.
262
Michele Smargiarssi, Addio al petroliere nero imperatore di giornali, “La Repubblica”, 28.12.1994.
263
https://www.rivoluzionedemocratica.it/IL-PARTITO-SOCIALISTA-UNITARIO-1969-1971-3A.htm
264
S.0. Salvini, 1995, p. 221.
265
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 59.
74
Un altro ad avere sentori pericolosi è l'editore Giangiacomo Feltrinelli, che scrive e
diffonde un opuscolo dal titolo emblematico «Estate 1969. La minaccia incombente
di una svolta radicale e autoritaria a destra, di un colpo di stato all'italiana». Questo
golpe, secondo Feltrinelli sarebbe «ideato e attuato con la compiacente
collaborazione della CIA, della NATO e delle forze reazionarie nazionali» durante i
mesi estivi in quanto facilitato «dall'esodo estivo, dal generale disinteresse, dalla
impreparazione delle tradizionali organizzazioni operaie (PCI e sindacati)»266.
Feltrinelli, editore di sinistra inviso però sia alla base perché erede di una famiglia
ricchissima e neanche comunque troppo simpatico alle alte sfere del PCI. Fondatore
dell’organizzazione paramilitare di estrema sinistra nota come GAP (Gruppi d’Azione
Partigiana) nel 1970, morirà due anni dopo a Segrate in circostanze mai del tutto
chiarite.
Già a fine aprile un articolo molto audace de L’Unità aveva tentato di scoperchiare il
vaso di pandora: il giornale ufficiale del PCI riferisce infatti di speciali squadre di polizia
che
Per iniziativa e su pressioni di alcuni ambienti militari e di certi settori politici ed industriali, hanno
avuto l’incarico di entrare a far parte di organizzazioni studentesche e politiche con compiti di
spionaggio e, soprattutto, di provocazione. [...] Si delinea così un disegno per cui ambienti fascisti e
neo fascisti, reazionari e moderati soffiano sul fuoco nel tentativo di creare una psicosi di paura e la
conseguente necessità di "restaurare l’ordine". II tentativo di arrestare la marcia a sinistra dell'Italia
è portato avanti da certi ambienti politici, militari ed industriali strettamente legati alla politica dei
«blocchi» e dell'imperialismo americano che esasperano ad arte, da un lato la «spirale della
violenza», e dall'altro si preparano a sfruttava le conseguenze della psicosi della paura. [...] Non vi
sono pericoli immaginari, il disegno è chiaro: si pensa anche a una soluzione di tipo «greco» per
l'Italia.267
C’è qualcun’altro oltre a Borghese che trama qualcosa. Nuovamente protagonista la
città di Padova: il 7 giugno viene perquisita l’abitazione di Eugenio Rizzato, un noto
fascista ed ex comandante delle Brigate nere ai tempi della RSI268, ora ispettore per
l’Italia di una fantomatica Confederazione mondiale per il commercio e il turismo al
cui vertice vi erano un altro ex repubblichino come Mario Campolmi e soprattutto il
principe Alliata269. Nel suo rapporto il commissario Saverio Molino menziona il ritrovo
di una pistola carica e dimentica una notizia importante. A Rizzato viene infatti trovata
della documentazione di un gruppo noto come CARN (Comitato d’azione risveglio
266
Giangiacomo Feltrinelli, Estate 1969. La minaccia incombente di una svolta radicale ed autoritaria a destra, di un
colpo di stato all'italiana, Libreria Feltrinelli, Milano 1969.
267
All’opera una nuova polizia segreta, “l’Unità”, 29.04.1969.
268
Condannato a 30 anni di prigione dalla corte di Padova nel 1946 per collaborazionismo e omicidio volontario, ne
sconterà solo 7.
269
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 145.
75
nazionale), il quale pianifica la formazione di gruppi d'assalto, pronti a qualsiasi
evenienza e disposti a qualsiasi impiego, che saranno a tempo opportuno attrezzati
in pieno assetto di guerra: scopo finale la neutralizzazione di circa 1500 politici,
sindacalisti e giornalisti di sinistra270. Questa organizzazione e Rizzato in particolare
saranno protagonisti quattro anni dopo nel progetto della Rosa dei venti che quindi
almeno già dal 1969 muove i primi passi.
6.5 Disintegrare il sistema
Nella notte tra l’8 e il 9 agosto si verificano in tutta Italia una serie impressionante di
attentati: sono complessivamente otto, su altrettanti treni. Inoltre altri due erano
previsti ma falliscono per motivi tecnici. Il bilancio finale è di molti danni e di una
decina di feriti. Una pista che viene battuta dagli inquirenti subito è quella del
terrorismo altoatesino: «La polizia ritiene che l’azione terroristica sia stata compiuta
da elementi estremisti sudtirolesi [in quanto, nda] molti degli orologi sono di
fabbricazione tedesca»271. Nonostante un alto numero di interrogatori gli inquirenti
abbandoneranno la pista per assenza di indizi. La responsabilità, per una volta anche
in sede giudiziaria, verrà in seguito assegnata a Franco Freda, Giovanni Ventura e alla
cellula veneta di ON. Per ora le loro azioni non hanno alcuna conseguenza.
II 17 agosto infatti Franco Freda è a Ratisbona per un congresso di
nazionalrivoluzionari europei. Il suo intervento, dal titolo emblematico «La
disintegrazione del sistema», sarà pubblicato dalla sua piccola casa editrice (Edizioni
di Ar). Freda, critico a tal punto con il mondo borghese da definirlo «squallido»,
sostiene un nuovo stato, la cui condizione è «l’eversione di tutto ciò che oggi esiste
come sistema politico. Occorre propiziare esasperare, accelerare i tempi di questa
distruzione, intensificare l'opera di rottura del presente equilibrio e dell'attuale fase
di assestamento politico»272. L'unico modo per disintegrare il sistema è in extrema
ratio la violenza. Poco righe per inquadrare una personalità complessa, non un banale
teppista neofascista (Freda non è mai stato formalmente iscritto a Ordine Nuovo) ma
bensì un neonazista con contatti a livello europeo. Questo per sottolineare come il
sottobosco dell’estrema destra italiana sia molto variegato e non composto solo,
come a torto tante volte si è detto, da quattro balordi a cui bastava menare i
comunisti. Certamente c’erano, così però anche delle teste pensanti.
6.6 Nuove bombe e alleanze
270
Ivi, p. 5.
271
Renato Moretti, Piano terroristico in tutta Italia. Bombe su otto treni da Venezia a Caserta, “Il Gazzettino”,
10.08.1969.
272
Franco Freda, La disintegrazione del sistema, Edizioni di Ar, Padova 1969.
76
Il 4 ottobre, in occasione di un previsto viaggio diplomatico del presidente Saragat in
Jugoslavia, una bomba inesplosa di quasi 6 chili di gelignite (quattro volte la quantità
che sarà usata per Piazza Fontana) viene ritrovata da un bidello su una finestra della
scuola materna slovena di Trieste assieme a dei volantini di un fantomatico “Fronte
antislavo”. La paternità dell’ennesimo atto dimostrativo verrà attribuita alla cellula
ordinovista veneziana ma senza nessun esito processuale in quanto saranno assolti i
due indagati Martino Siciliano e Delfo Zorzi. Sarà solo nel 1996 che Siciliano
racconterà i fatti nel dettaglio:
Il 2 ottobre 1969 Zorzi mi parlò della necessità di effettuare un atto dimostrativo al confine orientale
in funzione di contestazione alla preannunciata visita di Saragat a Tito. [...] Zorzi, poiché glielo chiesi,
mi disse che gli ordigni erano stati preparati dallo Zio Otto che ribadisco essere Digilio. Saliti in
macchina andiamo a Trieste dove abbiamo appuntamento con dei locali e cioè Neami e Portolan.
[...] Prendo atto che il congegno non esplose in quanto la batteria era quasi del tutto scarica e che
ciò è stato accertato dalla perizia. In merito non so cosa dire; io ero convinto che il congegno
esplodesse tanto è vero che ho avuto paura di saltare in aria innescandolo, ma evidentemente
qualcuno aveva programmato l'azione in modo diverso perché mi sembra difficile che possa
avvenire un errore del genere. Preciso che sui quotidiani locali apparve la notizia che la bomba
avrebbe dovuto esplodere intorno a mezzogiorno causando vittime tra i bambini che frequentavano
la scuola. Ciò non è assolutamente esatto perché l'ora prevista di scoppio non era certo
mezzogiorno, ma intorno a mezzanotte273.
La sera stessa il gruppo piazza anche un’altra bomba al confine tra Gorizia e
Jugoslavia: anche questa non esplode e sarà ritrovata per caso un mese dopo e fatta
brillare. Si sottolinea che sono atti che non devono fare vittime ma generare una
paura diffusa: secondo lo stesso Zorzi «Il senso di questi attentati non era tanto
antislavo, quanto di creare tensione all'interno del nostro Paese con un ripetersi di
episodi, magari non gravi ma diffusi, che colpissero l'opinione pubblica e provocassero
disagio ed una richiesta comunque di maggior autorità e ordine»274.
Il FN nel frattempo continua a lavorare sottotraccia, cercando accordi e alleanze in
Toscana. Come scriverà il SID in un rapporto postumo
Nel quadro delle attività divulgative delle idee, nell'ottobre 1969 vengono indette altre riunioni. Una
ha luogo a Fiesole, con partecipazione, di circa 300 persone tra cui il generale della riserva Marini,
medaglia d'oro dell'Aeronautica militare, e dello staff del Fronte (Borghese, Guadagni, Rosa) che, al
termine dell'assemblea, incontra i primi responsabili provinciali della Toscana e della Liguria nella
hall dell'albergo Savoia per una messa a punto organizzativa. Una seconda, più ristretta, viene
tenuta presso il Circolo forze armate di Firenze275.
273
S.0. Salvini, 1998, p. 117 e seguenti.
274
Ivi, p. 121.
275
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
77
Il 7 novembre a Viareggio, nello studio dell’avvocato pacciardiano Giuseppe Gattia,
nasce la Lega Italia Unita, movimento che raggruppava al suo interno una quindicina
di organizzazioni di destra al quale avevano dato in un certo modo il patrocinio
Pacciardi e Amintore Fanfani. Alla riunione sono presenti l’avvocato Adamo Degli
Occhi276, Carlo Fumagalli, Gaetano Orlando, rappresentanti del FN ed elementi del
combattentismo. Lo scopo della riunione è la formazione di un fronte anticomunista
unitario per realizzare la repubblica presidenziale: nonostante le proposte per
arrivarci siano differenti tutti sono desiderosi di gettarsi nella mischia.
Rapporti dell'UAARR segnalano rapporti e contatti tra il MSI e il FN in vista di una
possibile aggregazione finché una nota datata 18 novembre ‘69, autore il già citato
Armando Mortilla, riporta come ogni possibile accordo fosse fallito per decisione di
Borghese. Inoltre, punto molto importante, il rientro del gruppo di Rauti all’interno
del movimento missino ufficializzato da un articolo su “Il Secolo d’Italia“ il 14
novembre, faceva troncare ogni rapporto con gli ordinovisti277, colpevoli agli occhi del
Comandante di essere andati avanti lo stesso nonostante il suo parere sfavorevole. In
contemporanea si saldava definitivamente il rapporto con Avanguardia che, dopo lo
scioglimento del ‘65, come detto più formale che reale, è ora tornata ufficialmente
operativa. Come scriverà il SID:
Nell'autunno 1969 i rapporti tra Avanguardia Nazionale e Fronte Nazionale divennero sempre più
stretti. I rapporti erano curati personalmente da Borghese e, in sua assenza, da fidati collaboratori.
Verso la fine dell'anno 1969 tra le file di Avanguardia Nazionale cominciò a correre la voce sulla
possibilità di effettuare un «golpe» con l'intervento delle forze armate. Alle riunioni organizzate dal
Fronte Nazionale per la messa a punto del «piano eversivo», partecipavano solitamente Stefano
Delle Chiaie, capo riconosciuto di Avanguardia Nazionale, e i suoi più stretti collaboratori: Flavio
Campo e Cesare Perri278.
Delle Chiaie è quindi perfettamente inserito nei quadri del FN, il cui leader Junio
Valerio Borghese, sempre in questo periodo, incontra con nonchalance Vito Miceli. Il
generale si giustificherà affermando che tali meeting avvenivano solo per «scopi
informativi aderenti a compiti istituzionali del SIOS-Esercito»279.
6.7 L’Autunno Caldo
I mesi autunnali del 1969 fino alla strage del 12 dicembre per la popolazione italiana
passeranno alla storia come l'Autunno Caldo: gli scioperi si propagano a macchia
d’olio in tutta Italia, coinvolgendo decine di migliaia di manifestanti. Pisa è la prima
276
Milanese, filo monarchico, sarà il leader nei primi anni ‘70 del movimento della “Maggioranza silenziosa”. Verrà poi
condannato per il reato di cospirazione.
277
Aldo Giannuli, op. cit., p. 276 e seguenti.
278
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
279
Ibidem.
78
città dove la bagarre ha un tragico esito: dopo giorni di violenza, il 27 ottobre resta
ucciso Cesare Pardini, uno studente di 22 anni, a causa di un candelotto lacrimogeno
sparato dai carabinieri280: le indagini non porteranno mai a nessuna condanna. La
seconda è Milano: il 19 novembre, in occasione di uno sciopero nazionale indetto da
CGIL, CISL e UIL per il caro affitti, negli scontri tra polizia e manifestanti resta ucciso
l’agente della Celere Antonio Annarumma, alla guida di una camionetta durante i
tafferugli. Mentre le indagini sono ancora agli esordi il presidente Saragat la sera
stessa con un comunicato ufficiale già emette la sua sentenza:
Il barbaro assassinio del giovane ventiduenne agente di pubblica sicurezza Antonio Annarumma,
ucciso a Milano mentre faceva il suo dovere di difensore della legge democratica, non soltanto
offende la coscienza degli italiani ma è una sfida assurda e selvaggia alle manifestazioni dei
lavoratori. Questo odioso crimine deve ammonire tutti ad isolare e mettere in condizione di non
nuocere i delinquenti281.
La versione ufficiale confermerà la tesi dell’omicidio, stabilendo che la morte sia stata
causata da un tubo d’acciaio che, lanciato da un manifestante, ha colpito in pieno
volto il povero agente, causandone il decesso immediato. La versione alternativa,
sviluppata negli ambienti di sinistra, afferma che Annarumma sarebbe rimasto vittima
di uno scontro tra la sua camionetta e un’altra della Celere. A prova di ciò ci sarebbero
dei filmati di tv svizzere e francesi, mai però ritrovati. La giornata milanese si chiuderà
con 66 feriti tra le forze dell’ordine e una ventina di manifestanti fermati. Le indagini
per la morte di Annarumma saranno archiviate cinque anni dopo senza colpevoli282.
La tensione nel Paese continua nel frattempo a salire e l’occasione è al funerale di
stato dell’agente il 21 novembre: la folla è tantissima e la situazione è bollente.
Militanti neofascisti si mischiano nel corteo e si sfiora la guerriglia quando un ragazzo
getta verso di loro un fazzoletto rosso mentre il leader del Movimento Studentesco
Mario Capanna rischia il linciaggio283. Il 29 novembre un'altra grande manifestazione
dei lavoratori si svolge in tutto il paese: dopo la rottura delle trattative per il rinnovo
del contratto di lavoro, 50000 metalmeccanici scendono in sciopero a Roma
appoggiati da altre categorie di lavoratori284. La giornata sarà tranquilla e senza
scontri. Il nuovo accordo sindacale verrà ratificato l’anno seguente in un clima di
grande tensione: dirà anni dopo Giorgio Benvenuto, all'epoca segretario generale
dell’UILM, che il ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin lo invitò a firmare con una
280
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 93.
281
Saragat: «Il barbaro assassinio offende la coscienza degli italiani», “Il Gazzettino”, 20.11.1969.
282
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 107.
283
Annarumma, morte senza colpevoli di un poliziotto solo, La Repubblica, 02.09.2019,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/09/02/annarumma-morte-senza-colpevoli-di-un-
poliziotto-soloMilano07.html
284
Senza incidenti la marcia dei metalmeccanici, “Il Gazzettino”, 29.11.1969.
79
velata minaccia: «Fate il contratto con noi sennò qua lo dovrete fare con i
colonnelli»285. Il tentativo di golpe di Borghese era appena successo.
6.8 Il signor P e oscuri presagi
Si è già visto in occasione del viaggio in Grecia del ‘68 che tra il regime ellenico dei
colonnelli e l’estrema destra italiana ci sono dei solidi legami. Il 7 dicembre, ad appena
cinque giorni dalle bombe di Milano e Roma, il settimanale inglese «The Observer»
pubblica un servizio nel quale l’autore Leslie Finer sostiene che l’estrema destra,
insieme a ufficiali dell’esercito italiano e con l’aiuto del governo greco, stia
preparando un golpe militare. La tesi è confermata da un rapporto redatto da Michael
Kottakis, direttore dell’ufficio diplomatico del ministero degli Esteri, e indirizzata al
premier Papadopoulos, basato sui rapporti fatti a Kottakis da un agente del KYP286 in
Italia. La fonte riferisce di colloqui con tale signor “P”, il quale avrebbe parlato con le
forze armate e i vertici dei carabinieri per una svolta autoritaria in Italia come in
Grecia. Nel rapporto si fa menzione inoltre di concentrare gli attacchi sul PSI e
soprattutto della bomba alla fiera campionaria del 25 aprile, la quale come detto era
stata attribuita agli anarchici. Ma chi è questo signor “P”? Per Finer è Pino Rauti
mentre un’altra ipotesi lo identifica con Randolfo Pacciardi; entrambi ovviamente
smentirono con minacce di querela ma guarda caso tutti e due erano stati in Grecia
non molto tempo prima. Pacciardi nello specifico era stato ad Atene nella primavera
del ‘69287. L’identità dietro lo pseudonimo non verrà mai svelata: i servizi segreti greci
diranno che il documento era un falso e per tale motivo la magistratura, in modo
affrettato, decise di non approfondire le indagini. Giusto un mese prima della strage
di Piazza Fontana Konstantinos Plevris, estremista di destra e collaboratore del KYP,
era stato a Roma tra l’8 e il 10 novembre288.
Il settimanale Epoca, già protagonista nell’estate del ‘64 con una copertina tricolore
in occasione del momento più caldo del Piano Solo, è pronto a uscire con un’edizione
molto simile. Il numero che si potrà comprare nelle edicole domenica 14 è di nuovo
con i colori della bandiera italiana e titola «Che cosa può accadere in Italia»289.
All’interno del settimanale si leggono non tanto velati presagi di ciò che sta per
succedere, o meglio, ciò che una certa parte politica desidera:
285
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Piazza Fontana”, 27.12.1989, raiplay.it,
https://www.raiplay.it/video/2016/09/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-12121989-24299485-faf0-4759-828d-
5309b24f2124.html, min. 141.
286
Kentrikì Ypiresia Pliroforiòn, è il servizio segreto greco.
287
Aldo Giannuli, op. cit., p. 314.
288
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 118.
289
Allegato n° 3 in appendice.
80
Se nell'ipotesi di nuove elezioni la sinistra non accettasse il risultato delle urne, le forze armate
potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana. Questo non
sarebbe un colpo di stato ma un atto di volontà politica a tutela della libertà e della democrazia. [...]
Perché non ci poniamo seriamente il problema della repubblica presidenziale, l'unica capace di dare
forza e stabilità al potere esecutivo? Vi sono giorni in cui la storia impone riflessioni di questo tipo.
Forse questi giorni sono venuti. Questi giorni, forse, noi li stiamo già vivendo290.
6.9 12-12-1969
Milano. Alle ore 16.37 di venerdì 12 dicembre 1969 nel salone della Banca nazionale
dell’agricoltura, situata a Piazza Fontana, l’esplosione di un ordigno causa l’uccisione
di 17 persone e il ferimento di oltre cento. Una seconda bomba viene trovata da un
impiegato della Banca commerciale italiana in Piazza della Scala, la quale viene presa
in consegna alla polizia: gli artificieri la fanno brillare, facendo così perdere l’occasione
per trovare informazioni utili sugli attentatori. Entrambe le bombe erano all’interno
di valigette. Altri due ordigni vengono trovati nella caserma dei carabinieri e in un
grande magazzino291.
Roma. Alle ore 16.55 esplode una seconda bomba nel sottopassaggio della Banca
nazionale del lavoro di via San Basilio, causando 16 feriti. Tra le 17.22 e le 17.30 altri
due ordigni scoppiano nei pressi dell’Altare della Patria senza creare grossi danni.
Questi i fatti di quel tragico 12 dicembre del 1969 che ha segnato in modo
inequivocabile la coscienza nazionale. Una vicenda sulla quale si è detto e scritto di
tutto, alla ricerca di una verità che dopo oltre cinquant'anni pare quasi aver perso di
significato per come è stata trattata. Negli anni si sono viste dichiarazioni come quella
di Taviani che cercando di dare “dignità” alla tragedia dirà: «Quella bomba è stata
messa con la copertura dei servizi segreti ma non avrebbe dovuto esserci la strage
perché all’ora dello scoppio la banca avrebbe dovuto essere chiusa»292. La verità
storica è però ormai emersa con un certo dettaglio e va ribadita in questa sede: a
colpire è stata la cellula terrorista veneta guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura
con l’importante aiuto del gruppo milanese di Giancarlo Rognoni; a mettere a punto
l’ordigno di Piazza Fontana è stato l’”americano” Carlo Digilio mentre a trasportarlo
sul luogo è ancora incerta l’assegnazione del ruolo a Delfo Zorzi o a Marcello Soffiati.
Il giorno prima, poco distante e venuto a fare un ultimo sopralluogo, ritroviamo l’auto
del già nominato Dario Zagolin293: l’operazione del 12 dicembre non poteva fallire.
Per i fatti di Roma la responsabilità è stata attribuita, pur con qualche dubbio
maggiore, a uomini di Avanguardia Nazionale, forse calabresi. Di tutto questo gli
290
Federazione milanese del PCI (a cura di), op. cit., p 13.
291
Mirco Dondi, op. cit., p. 139.
292
Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Ponte alle Grazie, Milano 2009, p. 86.
293
S. O. Salvini 1995, p. 354.
81
apparati di sicurezza erano perfettamente al corrente e ostacoleranno a lungo le
indagini. Questo per quanto riguarda i fatti spicci, il punto fondamentale è “perché”?
L’eccidio mirava a quattro obiettivi concentrici: 1. gettare il Paese nella paura, 2.
screditare la sinistra, 3. creare in tal modo un clima di terrore da far richiedere alla
popolazione maggior autorità, 4. costringere Saragat o Rumor a dichiarare uno stato
d’emergenza. Se il primo obiettivo è subito raggiunto e sul secondo chi di dovere se
ne occupa a stretto giro, il terzo non verrà mai realmente raggiunto e neanche il
quarto: nonostante il sangue versato non si leverà mai dal popolo la richiesta di un
governo forte, neanche nei momenti più bui della nostra storia. Sul quarto punto, la
dichiarazione di uno stato d’emergenza, è fondamentale il fatto secondo cui il 14
dicembre era prevista una manifestazione nazionale del MSI a Roma già programmata
da alcuni giorni: secondo Vincenzo Vinciguerra294 sarebbe stata la miccia per far
scattare qualcosa di grosso, in quanto in quel clima post strage i disordini anche gravi
sarebbero stati pressoché inevitabili. La manifestazione, per via del lutto nazionale
proclamato dal presidente Saragat, viene però annullata.
Ritornando al secondo punto le indagini puntano subito a sinistra: la prima pista porta
a Giangiacomo Feltrinelli, seguita da carabinieri e SID, la seconda agli anarchici ed è
guidata dalla polizia. Le indagini relative all’editore che viene sospettato di essere il
mandante della strage, tra l’altro all’estero dal 5 dicembre295, non portano a nulla
perché il magistrato incaricato Ugo Paolillo prima nega il mandato di perquisizione
agli uffici e all’abitazione296, poi lo concede ma gli inquirenti non trovano nulla di
concreto. La pista degli anarchici è più semplice: sono il perfetto capro espiatorio per
la vicenda in quanto settore della sinistra debole e disorganizzato, già ritenuti
responsabili degli attentati del 25 aprile e di quelli sui treni di agosto. I circoli “Ponte
della Ghisolfa” e “22 marzo” sembrano fatti apposta, specialmente il secondo:
fondato da Mario Merlino, il già citato collega di Delle Chiaie, è frequentato da
persone tutt’altro che anarchiche come il poliziotto Salvatore “Andrea” Ippolito e il
confidente del SID Stefano Serpieri o da sbandati come Pietro Valpreda che ben si
prestano a fare da vittima ideale. A quanto risulta inoltre Valpreda era seguito con
attenzione da tempo e la pista anarchica era in cottura almeno da aprile297. Le indagini
a Milano, coordinate dal commissario Luigi Calabresi e dal capo dell’ufficio politico
Antonino Allegra, portano all’arresto di alcuni anarchici, tra cui il ballerino Pietro
294
Piazza Fontana, la rivelazione di Vincenzo Vinciguerra: "Mariano Rumor doveva morire per non aver firmato lo
Stato di emergenza", la7.it, 12.12.2019, https://www.la7.it/atlantide/video/piazza-fontana-la-rivelazione-di-vincenzo-
vinciguerra-mariano-rumor-doveva-morire-per-non-aver-12-12-2019-298241
295
Va di fatto in clandestinità giusto in tempo, sarebbe interessante sapere chi lo ha avvisato in modo provvidenziale.
296
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p 123-124.
297
Aldo Giannuli, Le origini della pista anarchica, canale YouTube di Aldo Giannuli, 14.12.2021, min. 15,
https://www.youtube.com/watch?v=aU3x5j-X74c&ab_channel=AldoGiannuli
82
Valpreda e il ferroviere Luigi Pinelli, già indagato per gli le bombe sui treni di agosto.
Pinelli sarà vittima di una delle più scandalose morti di stato: alle ore 23.15 del 15
dicembre l’uomo, illegalmente in stato di fermo da due giorni, vola dalla finestra dello
studio di Calabresi, situato al quarto piano della questura e muore poco dopo in
ospedale. Il commissario, probabilmente assente in quel momento298, sarà investito
da una pesantissima ondata di odio da sinistra che porterà alla sua uccisione il 17
maggio del ‘72 ad opera di un commando del gruppo estremista Lotta Continua. I
presenti nella stanza diranno che Pinelli, dopo aver scoperto di essere in trappola in
quanto Valpreda aveva confessato, si sarebbe gettato dopo aver gridato «Mio Dio è
la fine del movimento anarchico internazionale»299. È un’ipotesi che tuttavia non ha
senso per una serie di motivi: perché mai avrebbe dovuto essere aperta una finestra
alle 11 di sera del 15 dicembre? Un padre di famiglia si getterebbe nel vuoto solo per
un ideale politico? Fatto sta che la sentenza del 1975 del G.I. D’Ambrosio stabilirà che
la sua morte è stata causata da un «malore attivo». Ogni ulteriore commento sarebbe
superfluo. Valpreda invece viene identificato quasi subito con un identikit tutt’altro
che certo fornito da un tassista, Cornelio Rolandi, che infatti cambiò leggermente i
tratti del sospettato tra una deposizione e l’altra. Inoltre a lungo si parlerà di un
possibile sosia di Valpreda, tale Nino Sottosanti300, fatto salire apposta sul taxi per
incastrare l’anarchico. Rolandi, in buona fede e senza rendersene conto funzionale
all’inchiesta preconfezionata, muore un anno e mezzo dopo per motivi di salute301.
Già in quel momento al Viminale si aveva notizia di un secondo identikit di un
sospettato dai capelli «biondo-ossigenati»302, curiosamente gli stessi che aveva
Franco Freda, visto uscire di fretta dalla banca. Valpreda diventerà il mostro da
sbattere in prima pagina: il 16 dicembre il suo nome viene conosciuto in tutta Italia
come il colpevole303, “Il Gazzettino” il giorno dopo pubblicherà una sua gigantografia
in prima pagina su cui campeggia il titolo «I criminali ormai sono scoperti»304. Com’è
noto era completamente innocente ma non importa, l’Italia aveva bisogno di un volto
su cui gettare la propria rabbia e Valpreda è perfetto per questo. Emerge così il ruolo
non secondario ma primario che ha la stampa nella strategia della tensione: la notizia
sovrasta l’attentato, stabilendone il significato. Diventa fondamentale il primo flusso
298
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Piazza Fontana”, 27.12.1989, raiplay.it,
https://www.raiplay.it/video/2016/09/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-12121989-24299485-faf0-4759-828d-
5309b24f2124.html, min. 57.
299
Gianpiero Rizzon, Il suicidio di Milano, “Il Gazzettino”, 17.12.1969.
300
Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista. Ex membro della legione straniera, si avvicina poi a movimenti anarchici
nonostante fosse ritenuto un provocatore se non un infiltrato dell’estrema destra.
301
Mirco Dondi, op. cit., p. 202.
302
Aldo Giannuli, op. cit., p. 321.
303
Telegiornale del 16.12.1969, https://www.youtube.com/watch?v=mY1S5BSFt8Q
304
Un anarchico denunciato per la strage. I criminali ormai sono scoperti, “Il Gazzettino”, 17.12.1969.
83
di informazioni, «un prodotto pianificato da parte delle autorità politiche e militari
per influenzare gli orientamenti dell’opinione pubblica»305.
Guido Lorenzon diventa suo malgrado il protagonista della vicenda: 28 anni,
insegnante, di Maserada sul Piave (Treviso), conosce da tempo Giovanni Ventura.
Questi, ritenendolo suo amico, gli ha fatto il 14 dicembre delle confidenze
inequivocabili sugli attentati di due giorni prima. Lorenzon, al quale Ventura aveva già
fatto discorsi che pensava dei folli deliri, capisce che è tutto reale e si reca dal suo
avvocato per vuotare il sacco. Dice che Ventura «gli aveva confidato di essere a capo
di un'organizzazione paramilitare con scopi e programmi eversivi, intesi a fiaccare la
borghesia e a rovesciare l'ordinamento statuale; tale organizzazione, che contava
numerosi adepti nella zona di Treviso, aveva i suoi nuclei più consistenti in Milano e
Roma e disponeva di armi e di esplosivi»306. È la pista nera che però scatterà con una
falsa partenza e necessiterà di oltre due anni per partire realmente con il giudice di
Treviso Giancarlo Stiz.
Il SID nel frattempo lavora sottotraccia e inizia il consueto lavoro di depistaggio
attraverso due note informative come da prassi mezze vere e mezze false. La prima,
breve e scarna, è del 16 dicembre, la seconda, più completa, del 17:
L'esecutore materiale degli attentati dinamitardi a Roma sarebbe l'anarchico Merlino Mario per
ordine del noto Stefano Delle Chiaie. Il Delle Chiaie avrebbe disposto che l'esecuzione a Roma fosse
effettuata dal Merlino, avendo avuto ordine per tali attentati da tale Serac. La fonte ha riferito che
gli attentati avrebbero un certo collegamento con quelli organizzati a Parigi nel 1968 e la mente
organizzatrice degli stessi sarebbe tale Y. Guerin Serac cittadino tedesco, il quale risiede a Lisbona
ove dirige l'agenzia «Ager Interpress»; Viaggia spesso in aereo e viene in Italia attraverso la Svizzera;
è anarchico ma a Lisbona non è nota la sua ideologia; ha come aiutante tale Leroy Roberto, residente
a Parigi; a Roma ha contatti con lo Stefano Delle Chiaie. Merlino e Delle Chiaie avrebbero commesso
gli attentati per farne ricadere la responsabilità su altri movimenti307.
La fonte citata nella nota è il già nominato Stefano Serpieri. Merlino non è anarchico
ma fascista; Yves Guerin Serac non è tedesco ma francese né è anarchico ma nazista,
a Lisbona non dirige l'«Ager Interpress» ma l'«Aginter Press», sempre a Lisbona (ma
anche in Italia) la sua ideologia è notissima essendo in strettissimi contatti con la PIDE.
Senza procedere ulteriormente nell’analisi sui fatti di Piazza Fontana e sull’iter
giuridico della vicenda è necessario fare due considerazioni. Il 12 dicembre del 1969
è una data che cambia per sempre la storia italiana, “un punto di non ritorno che
lascia crepe permanenti sulla vita politica e sociale»308. È la data in cui lo Stato agli
305
Mirco Dondi, op. cit., p. 63.
306
Atti inchiesta del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz.
307
Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio.
308
Mirco Dondi, op. cit., p. 206.
84
occhi di tanti cittadini diventa colpevole e perde la propria aura di purezza. Basterà
ricordare che il SID, per mano del comandante del reparto D Gianadelio Maletti, farà
fuggire in Spagna il suo agente Guido Giannettini e Marco Pozzan, collaboratore di
Freda, provando in seguito anche a far evadere Giovanni Ventura dopo il suo arresto.
O ancora, che Pietra Valpreda resterà in carcere fino al 1972, oltre tre anni di galera
per non aver fatto niente: una sorte identica è riservata ai cinque anarchici accusati
di aver piazzato le bombe del 25 aprile 1969. Oggi, a distanza di 53 anni, nella comune
vulgata si parla ancora di misteri e dubbi nonostante ormai ce ne siano decisamente
pochi sugli esecutori materiali, sugli organizzatori e anche sui mandanti. C’è dietro il
partito del golpe, quel coacervo di politici e militari atlantisti che, pur andando
dall'estrema destra più fascista ai socialisti saragattiani, è animato da un comune e
quasi fanatico anticomunismo. Saragat, Taviani, Andreotti, Rumor, Forlani e Moro
hanno detenuto i poteri più importanti dello stato negli anni delle stragi: forse, sotto
sotto, un motivo ci sarà. È uno J’accuse ovviamente debole, senza prove certe, però
grattando qualcosa emerge. Giuseppe Saragat qualche anno dopo sarà infatti
accusato di essere il vero capo del partito del partito presidenzialista (PRI, PSDI, destra
DC) che puntava ad elezioni anticipate sfruttando il clima provocato dalla strage. Un
acceso incontro con Moro lo avrebbe portato a fare marcia indietro con un accordo:
il primo avrebbe rinunciato a una svolta centrista-autoritaria, il secondo, a conoscenza
che gli autori della strage erano “neri”, a far continuare il teatrino sulla pista
anarchica309. C’è infine un dato su cui vale la pena riflettere per un attimo: 18 persone
in totale (Pinelli compreso) sono morte il 12 dicembre del 1969. Nessuno di loro ha
avuto giustizia in quanto in sede giudiziaria tutti i responsabili o presunti tali, pur
avendo ricevuto una condanna storica, non sono più processabili perché o assolti in
via definitiva (principio ne bis in idem) o perché i reati sono prescritti. L’ultimo iter
giudiziario, datato 2005, assolse in appello Maggi e Zorzi, condannando i parenti delle
vittime al pagamento delle spese processuali310. Non serve aggiungere altro se non un
sentimento di nausea verso questo Stato che uccide due volte.
Il 13 giugno, a neanche sei mesi dai fatti, esce «La strage di stato»: si tratta di una
pubblicazione molto importante perché porta alla ribalta la presenza della
controinformazione. Autori un gruppo di giornalisti e militanti di sinistra, divisi in due
redazioni a Milano e Roma: i loro nomi per anni sono rimasti ignoti. Quel che conta è
che l’opera, pur con inevitabili limiti, mette già in chiaro che le bombe di Milano sono
di destra. È una controinchiesta rispetto alla verità ufficiale di procura e mass media
generali, la quale ha un appoggio fondamentale nel SID. Va da sé chiedersi il perché
309
Si veda Walter Rubini, Il segreto della Repubblica, FLAN, Milano 1978. Rubini è uno pseudonimo dietro cui si celava
Fulvio Bellini, giornalista prima a L’Unità e poi a Candido.
310
Maristella Iervasi, Piazza Fontana, pagano le vittime, “l’Unità”, 04.05.2005.
85
di questa mossa: innanzitutto il servizio segreto militare punta a mettere in cattiva
luce i rivali dell’UUARR, facendo emergere i loro legami con Avanguardia Nazionale,
fulcro dell’inchiesta. In secondo luogo il SID passa solo alcune informazioni311,
deformando così la verità verso una versione per loro più comoda.
Sarebbe infine da menzionare la tesi sostenuta negli ultimi anni dal giornalista Paolo
Cucchiarelli312, ripresa anche nel film del 2012 di Marco Tullio Giordana «Romanzo di
una strage», secondo cui le bombe nella Banca nazionale dell’agricoltura sarebbero
state due e non solo una come si è sempre detto. Un tema sicuramente interessante
e che ha riacceso il dibattito: qui per logiche ragioni di spazio non può però essere
approfondito. Riguardo al film in una scena compare il principe Borghese insieme ad
altre persone del Fronte, non proprio contento per gli esiti delle bombe: un conto è
fare dei danni e ferire qualcuno, un altro uccidere degli innocenti.
311
Mirco Dondi, op. cit., p. 235.
312
Si veda Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Ponte alle Grazie, Milano 2009.
86
Capitolo settimo: 1970, si fa sul serio
7.1 - Il caso Calzolari
Il Fronte Nazionale fa sul serio e il piano eversivo non può essere assolutamente
ostacolato da anelli deboli. Armando Calzolari, detto Dino, 43enne di Genova, è tra i
primi aderenti al FN in quanto da giovanissimo si era arruolato nella Decima. Ex
ufficiale di coperta nella marina mercantile, ora è il cassiere dell’organizzazione ma
medita di abbandonare il gruppo fin da novembre313. Litiga furiosamente con gli altri
camerati poiché non è d’accordo con la svolta violenta che sta prendendo
l’organizzazione. La mattina di Natale esce di casa insieme al proprio cane per fare
una passeggiata ma non farà mai ritorno. La moglie ne denuncia la scomparsa nei
giorni seguenti. Qualcuno a quanto pare lo ha messo a tacere: il suo corpo viene
ritrovato a fine gennaio dentro un pozzo nei pressi di un cantiere edile insieme a
quello del cane. È apparentemente annegato in un metro e mezzo d’acqua,
nonostante per anni sia stato in marina. Secondo gli inquirenti la tesi, pressoché
immediata, è quella dell’incidente: «E’ disgrazia»314. Calzolari si sarebbe calato nel
pozzo per salvare il cane ma poi non sarebbe più riuscito a uscire. La prima inchiesta
infatti bollerà la morte come disgrazia accidentale. Dante Baldari, conoscente di
Calzolari negli ambienti neofascisti, è uno dei pochi a nutrire dubbi sulla sua morte315.
Un “opportuno” colpo di fucile lo farà passare a miglior vita durante una battuta di
caccia in Tanzania qualche mese dopo. Solamente nel 1976 il sostituto procuratore
della Repubblica Enrico Di Nicola sentenziò che Calzolari era stato ucciso «perché
parlava troppo»316. In contemporanea, durante le testimonianze per il processo del
golpe, il dirigente del FUAN Biagio Pirina parlò di un colloquio avuto anni addietro con
Mario Rosa, nel corso del quale questi gli avrebbe rivelato che lui e altri avevano
sistemato una persona che parlava troppo: il riferimento a Calzolari è piuttosto
evidente. Quanti ai responsabili diretti questi verranno identificati solo nel 1994.
Angelo Izzo, noto ai più per i fatti del Circeo317, era stato da giovane un estremista
destra di un certo livello: interrogato dal giudice Salvini nel 1994, affermerà che «il
responsabile della morte di Calzolari era (Roberto, nda) Balzerani del Fronte», in
compartecipazione a Roberto Zebbi il quale gli disse di «aver sorpreso il Calzolari
mentre portava a spasso il cane e di averlo annegato tenendogli la testa sott'acqua,
313
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 99.
314
Ora dicono «E’ disgrazia», “l’Unità”, 30.01.1970.
315
Baldari: un incidente di caccia molto opportuno, “l’Unità”, 02.04.1972.
316
«Caso Calzolari: per il giudice un delitto commesso dai fascisti», “l’Unità”, 13.05.1976.
317
Angelo Izzo, Andrea Guida e Gianni Ghira il 29 settembre del 1975 seviziano, violentano e massacrano per svariate
ore Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. La prima miracolosamente riuscì a sopravvivere mentre la seconda venne
uccisa per annegamento.
87
in un giardino, in un luogo poco distante dal pozzo in cui poi lo avevano
abbandonato»318.
7.2 - Il golpe di centro e il MAR di Fumagalli
L’8 marzo 1970319, nella sede del circolo giuliano-dalmata di Milano si tiene la prima
assemblea nazionale della già nominata Lega Italia Unita. Quest’organizzazione,
classificata dal SID come un «fronte anticomunista intransigente nello spirito del
1948»320, rappresenta l’ala presidenzialista del partito del golpe. È un aspetto
fondamentale perché a differenza di Borghese e dei neofascisti in generale l’obiettivo
di questo progetto è un golpe non militare ma politico e che porti a una repubblica
presidenziale. L’anticomunismo resta un tema che accomuna entrambe le parti, un
elemento che le porterà negli anni a mischiarsi e a renderle non sempre facilmente
distinguibili. È un progetto istituzionale-legalitario, totalmente atlantista, meno
eversivo e che prende le distanze dal fascismo estremo. Non a caso il futuro capo del
raggruppamento sarà Edgardo Sogno: partigiano bianco medaglia d’oro della
Resistenza, fervente monarchico e membro della P2 (tessera n° 786).
Un mese dopo la riunione entra ufficialmente in scena un gruppo che farà molto
parlare, il Movimento di azione rivoluzionaria (MAR), alla cui guida c’è l’ex partigiano
bianco Carlo “Jordan” Fumagalli. Figura alquanto particolare in quanto nella
Seconda Guerra Mondiale guida la formazione partigiana bianca dei «Gufi della
Valtellina», tramite la quale era stato in contatto con i servizi americani dell’OSS321,
facendo molto probabilmente il doppio se non il triplo gioco con repubblichini e
Alleati. Viene decorato con la bronze star dagli americani alla fine del conflitto che
poi addirittura lo recluteranno per un’operazione coperta nello Yemen durante la
guerra civile dello stato mediorientale322. In seguito aveva fondato il MAR con
Gaetano Orlando, altra figura molto particolare, nei primi anni ‘60 anche se la
datazione resta piuttosto incerta. Il MAR costituisce il braccio armato della Lega
Italia Unita, operando al sicuro grazie a una rete di alte protezioni nei carabinieri, in
modo specifico con la Divisione “Pastrengo” di Milano, comandata dal generale
piduista Giovan Battista Palumbo. Alla Pastrengo in quegli anni erano di casa
personaggi legati alla destra radicale come Adamo Degli Occhi, Giorgio Pisanò e lo
storico senatore del MSI Franco Servello323. In questo periodo iniziarono i primi
attentati in Valtellina: la notte dell’11 aprile a Tirano venne fatto saltare in aria con
la dinamite un traliccio mentre la notte del 14 aprile 1970 altre cariche esplodono
318
S. O. Salvini, 1995, pp. 344-345.
319
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 148.
320
Atti inchiesta del giudice istruttore di Brescia dottor Gianni Simoni.
321
S.O. Salvini, 1995, p. 139.
322
Ibidem.
323
Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Giuliano Turone.
88
nel comune di Valdisotto324. La strategia operativa del MAR era stata decisa con
delle riunioni apposite tenute a Padova fin dalla primavera del 1969 alla presenza di
ufficiali italiani e americani della base di Vicenza, al termine delle quali erano state
cedute delle armi al gruppo. Inoltre, come dirà il numero due di Fumagalli Gaetano
Orlando, «nei primi mesi del 1970 sia a Livigno sia a Cancano vennero degli ufficiali
americani per sincerarsi della nostra operatività»325. Si può notare quindi come il
MAR fosse un’organizzazione terroristica chiaramente illegale sulla carta ma de
facto legalizzata in quanto supportata da apparati dello stato (carabinieri e SIFAR-
SID). Ciò sarà ben evidente nei fatti degli anni successivi, periodo nel quale il gruppo
impunemente compie rapine e sequestri per autofinanziarsi, intrecciandosi anche
con la mafia, e sarà accostato a fatti mai del tutto spiegati come la morte di
Giangiacomo Feltrinelli326. Il MAR non è un gruppo neofascista ma
fondamentalmente anticomunista e per una repubblica presidenziale: dopo tre anni
di sonno ritornerà protagonista con i progetti golpistici della Rosa dei venti. L’attività
degli esponenti del MAR finirà definitivamente nel maggio del ‘74 a partire
dall’arresto di Kim Borromeo e Giorgio Spedini a marzo del medesimo anno: sono
due giovani neofascisti lombardi che vengono catturati in una complessa operazione
dal nome in codice Basilico in cui vi erano coinvolti il provocatore Gianni Maifredi e il
capitano dei carabinieri di Brescia Francesco Delfino. L’operazione fu «un sostanziale
“tradimento” dei carabinieri, o quantomeno un fatto assolutamente non atteso, per
la bontà dei rapporti esistenti»327 tra le due parti: il vento è ormai cambiato e le
attività del gruppo non sono più tollerate.
Infine il 30 maggio a Biumo di Varese, in curiosa contemporaneità con il consiglio della
NATO a Roma, il cui segretario generale è l’italiano e massone328 Manlio Brosio, una
trentina di partigiani bianchi guidati dal già citato Sogno si riuniscono e fondano i
Comitati di resistenza democratica (CRD). Un’organizzazione creata «per acquisire
consensi e appoggi da utilizzare per Il programma eversivo»329.
7.3 - I preparativi
A fine aprile, nella sua villa pisana, Tommaso Adami Rook
convoca i responsabili delle bande armate del FN ed espone loro di predisporre
uomini e armi per l'occupazione di un obiettivo a Roma, lasciando intendere che
324
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo p. 157.
325
S.O. Salvini, 1995, p. 142.
326
Il traliccio dove viene trovato il cadavere di Feltrinelli è a poche centinaia di metri da un’autodemolizioni di
proprietà di Fumagalli.
327
Roberto Di Martino e Francesco Piantoni, Memoriale del Pubblico Ministero, 01.11.2011, p. 957.
328
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 193.
329
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
89
l'azione sarà condotta il successivo 24 maggio330. Quella di cui parla il responsabile
toscano del Fronte è una simulazione del golpe, la cui data non è ancora stata fissata.
Secondo il SID il 1° giugno, in una riunione del direttivo del FN tenuta presso lo studio
di Mario Rosa, il comando dei gruppi B viene ufficialmente affidato da Borghese a
Stefano Delle Chiaie331. Quest’ultimo racconterà così il rapporto che si era instaurato
tra AN e Borghese: «Ho ritenuto che il comandante Borghese rappresentasse una
speranza e un’ipotesi politica importante, Avanguardia Nazionale era stata messa a
sua disposizione. Abbiamo avuto l’onore di essere stati considerati in modo
particolare dal comandante e noi l'abbiamo considerato in modo particolarissimo»332.
Quel che è certo è che tra AN e FN non ci sarà fino alla notte dell’Immacolata alcuna
differenza sostanziale, le due organizzazioni saranno nella sostanza una
complementare all’altra.
È tempo inoltre di elezioni amministrative: il voto del 7 e dell’8 non porta grandi
novità, il centrosinistra appare consolidato ma è solo un’apparenza. Il governo Rumor
infatti un mese dopo cadrà: il 6 luglio il premier in modo del tutto inatteso si dimette,
motivando il gesto con lo sciopero generale previsto per il giorno dopo. La stampa di
sinistra parlò di un pesante ricatto subito: «Il partito della crisi e dell'avventura tenta
ancora di imporre la sua volontà e la sua prospettiva di un’involuzione verso destra
della politica italiana»333.
La crisi di governo aperta da Rumor coincide, chissà se per caso, con una decisa
accelerazione del programma golpistico tanto che viene stabilita la data X: scrive il SID
in un rapporto postumo che «l'attuazione del golpe viene fissata per la notte dell'8
dicembre 1970»334. La decisione è stata presa con una riunione del direttorio nella
sede del FN il 4 luglio, il piano eversivo del Fronte Nazionale è oramai praticamente
completato e nello stesso mese alcuni membri del gruppo effettuano un sopralluogo
conoscitivo a Roma. Scrive infatti il SID che:
Per quanto specificamente riguarda i gruppi B, Tommaso Adami Rook deve fornire uomini per
l'occupazione del ministero dell'interno e la costituzione di una riserva da impiegare a seconda delle
esigenze. Per la prima necessità, nell’ultima domenica del luglio 1970, convergono in Roma una
ventina di elementi dei gruppi di La Spezia e Genova (tra cui Gaetano Lunetta, federale del MSI) per
una ricognizione del dicastero. La ricognizione, condotta per nuclei di 3-4 uomini, è diretta da
Salvatore Drago. Nei primi giorni di agosto la ricognizione viene ripetuta a beneficio del capo gruppo
330
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore
331
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 178.
332
Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.2005,
https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 16.
333
Ufficio politico del PCI, Unità per battere il partito della crisi e dell’avventura, “l’Unità”, 07.07.1970.
334
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
90
B di Genova (SteIio Frattini) e del suo aiutante (soprannominato «la Bestia») che durante il soggiorno
romano mettono a punto con Salvatore Drago un piano di occupazione del ministero335.
Inoltre si muove di persona lo stesso Junio Valerio Borghese che continua a tastare il
terreno e in questo periodo tiene una conferenza pubblica all’Hotel Treviso
nell’omonimo capoluogo della Marca, alla presenza di reduci, curiosi e ufficiali della
Marina336.
7.4 - I campi paramilitari
La preparazione del golpe passa attraverso la creazione di diversi campi paramilitari
di addestramento in tutta Italia che non a caso hanno il proprio apice nel 1970. Già
l’anno precedente vi è testimonianza di movimenti: l’ancora poco noto Pierluigi
Concutelli il 25 ottobre del 1969 viene arrestato insieme ad altri neofascisti vicino
Palermo mentre si esercitava nell’uso di armi ed esplosivi. Dirà che a fornire loro il
materiale era stato Remo Orlandini337. Esponenti di Europa Civiltà ai primi di
novembre del 1969 avevano invece organizzato un campo paramilitare vicino al Parco
d’Abruzzo338. Nel gennaio del ‘70 girava la voce di «esercitazioni a fuoco sulle colline
di Cornuda, nell’alto trevigiano; nella zona Valerio Borghese aveva fatto più di
un’apparizione»339.
A dare notizie ufficiali in merito è Ordine Nuovo che tramite una circolare annunciava
nel periodo luglio-agosto quattro campi-scuola sui soliti temi esplicitati al Parco dei
Principi nel ‘65. Sandro Saccucci in primis aveva allestito dei campi di «parasoccorso»
ai quali l’esercito aveva concesso sia attrezzature sia istruttori: come riportato
all’epoca dal settimanale di destra “Lo Specchio” «Sull’appoggio al campo dato dallo
Stato Maggiore dell’esercito non vi sono dubbi. Circa venti ufficiali appartenenti alle
varie armi avevano chiesto di prestare la loro opera come istruttori»340. Un fatto che
prova bene come anche Saccucci, come Orlandini e Borghese, godeva della
protezione di «enti militari speciali»341. Una velina del SID datata 19 settembre 1970
afferma come:
Dal 4 al 20 agosto presso Bardonecchia in località Fort Foin si è svolto un campo d’istruzione all’uso
delle armi individuali e di reparto. Sono stati effettuati tiri con pistole, mitra e fucili mitragliatori. Il
gruppo torinese del Fronte Nazionale, forte di 510 uomini, dispone di un completo armamento
335
Ibidem.
336
Paolo Girardi, I "lanciafiamme". 50 anni di storia del MSI nella marca trevigiana, Arti Grafiche, Conegliano 2021, p.
189.
337
Antonella Beccaria, Fabio Repici, Mario Vaudano, I soldi della P2, Paper First, Roma 2021, p. 24.
338
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 23.
339
Paolo Girardi, op. cit., p. 273.
340
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 36.
341
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 102.
91
individuale. Qualora il Pci dovesse inserirsi nell’area di governo l’armamento del gruppo dovrebbe
essere integrato facendo ricorso alle caserme locali342.
È un’informativa pesante per due motivi: innanzitutto da questi campi paramilitari
partirà l’inchiesta del giudice Luciano Violante che porterà a Edgardo Sogno e al
dirigente ordinovista Salvatore Francia, in secondo luogo l’attività del FN viene
inserita in un contesto paraistituzionale palesemente illegale nel quale le armi
arrivano da forze armate ufficiali. Su questo argomento parlerà oltre vent’anni dopo
Carlo Digilio al giudice Guido Salvini precisando che il campo d’addestramento era
noto come “Sigfrido” e avveniva alla presenza di 40 capigruppo che addestravano i
nuclei in vista del golpe343. Infine a Tropea, in Calabria, proprio nel periodo della
rivolta di Reggio, sarebbe stato organizzato un campo di addestramento noto come
“Mussolini”, al quale avrebbe fatto più volte visita il comandante Borghese e da cui
partivano i giovani volontari. Il campo avrebbe avuto per lunghi mesi una vera e
propria organizzazione militare con armi in dotazione che sarebbero state «fornite da
ex agenti dell'OAS»344. Un’ipotesi suggestiva ma non campata in aria e che trova
conferma nelle parole del pentito Carmine Dominici, il quale ha affermato che l’ex
legionario francese Jean (nome completo Jean-Marie Laurent) «nei primi anni '70
teneva lezioni per militanti a Reggio Calabria sull'uso degli esplosivi»345.
Il 7 maggio una nave partita da Barcellona arriva in Calabria e scarica 200 casse,
contenente ognuna 10 fucili “Mauser”346: sono armi che servono a scopi più
importanti della rivolta di Reggio, la miccia per far esplodere il caos nazionale. Il SID
che come sempre sa tutto, prende nota e dimentica. Scriverà il servizio in un suo
rapporto datato 9 agosto che «Il Fronte Nazionale è stato più volte segnalato come
organizzazione diretta a creare le condizioni per attuare un colpo di stato; ha delegati
provinciali in diverse città d'Italia; è collegato con Ordine Nuovo e Avanguardia
Nazionale; è ritenuto il sodalizio più idoneo a influenzare in proprio favore le forze
armate e di polizia»347. Questo ancora una volta per sottolineare come i servizi segreti
fossero perfettamente aggiornati sui movimenti dei golpisti e non come affermato
anche recentemente che «la preparazione del colpo di stato sfuggì a qualsiasi analisi
dei servizi segreti, di polizia, carabinieri e magistratura»348. Niente di più falso.
7.5 - Il quadro politico e militare della vigilia
342
Atti processo c.d. Borghese cit. in Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 36.
343
Interrogatori di Carlo Digilio del 27 novembre 1994 e del 26 giugno 1997, cit. in S.O. Salvini, 1998, p. 351-352.
344
Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine su un movimento al centro di ogni complotto, 1973, pp. 108-109.
345
S.O. Salvini, 1995, p. 81.
346
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 184.
347
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
348
Ugo Dinello, op. cit., p. 105.
92
Il 6 agosto Emilio Colombo, già più volte ministro (Tesoro, Bilancio, Agricoltura e
Industria), è ufficialmente il nuovo presidente del Consiglio: appena prima di
Ferragosto si forma il nuovo governo, al cui interno restano Tanassi e Restivo come
ministri di Difesa e Interni, Moro invece va agli Esteri. È un governo nato dalla
coalizione tra DC, PSI, PSDI e PRI, un centrosinistra organico. Colombo vince il duello
con Andreotti poiché a quanto pare la candidatura di quest’ultimo era stata
osteggiata in primis dal generale Miceli ma anche da Tanassi e Saragat349. Andreotti
fa finta di niente ma non tarderà a vendicarsi.
A fine mese si verifica una tentata strage che avrebbe anticipato di 10 anni quella di
Bologna: nella stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova nelle prime ore del 28
agosto il brigadiere Mario Casagrande nota una valigia di cartone abbandonata da cui
proviene un ticchettio. Ha un passato da artificiere, capisce che è una bomba e la
porta in un luogo isolato dove esplode alle 4 senza conseguenze. Le piste che vengono
battute sono quella altoatesina e quella neofascista ma tutt’oggi la responsabilità è
ignota. Resta inoltre un altro dubbio: voleva essere un atto dimostrativo o si volevano
fare morti? A suffragio della prima ipotesi il fatto che la bomba fu messa nella notte,
le cronache dell’epoca riportano però che la stazione a quell'ora era colma di
pendolari350.
Il 18 ottobre Vito Miceli dal SIOS-Esercito succede all’ammiraglio Eugenio Henke alla
direzione del SID su raccomandazione del generale dell’esercito Siro Rosseti, tesoriere
della P2, a Licio Gelli, il quale dirà: «Il generale Miceli fu iniziato alla massoneria prima
che egli andasse al SID. Egli fu da me conosciuto intorno al 1968-1969. In quel tempo
ministro della Difesa era l'onorevole Tanassi ed io ero amico del suo segretario dottor
Bruno Palmiotti. Mi recai da quest'ultimo e raccomandai Miceli per la designazione a
capo del SID»351. Fa carriera anche l’ammiraglio Giuseppe Roselli Lorenzini,
comandante delle forze navali alleate del Sud Europa a Malta, nominato ora capo di
stato maggiore della Marina. Il suo posto viene occupato dall’ammiraglio Gino
Birindelli, vecchio compagno in Marina del principe Borghese. Le trame eversive si
concentrano da questo punto non a caso: è in questo periodo (capo dello stato
Saragat, presidente del Consiglio Colombo, Restivo all'interno e Tanassi alla difesa,
Marchesi capo di stato maggiore della Difesa, Mereu dell'esercito, Fanali
dell'Aeronautica) che si raggiunge un massimo di concentrazione di neo fascisti
dichiarati o di uomini sospetti di infedeltà alla repubblica negli alti gradi delle forze
armate.
349
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 188.
350
Giulio Ardinghi, Allucinante la freddezza degli attentatori di Verona, “Il Gazzettino”, 30.08.1970.
351
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella.
93
Infine un fatto secondario ma con un risvolto interessante: il 27 novembre Papa Paolo
VI mentre è in visita a Manila nelle Filippine è vittima di un attentato a opera di un
pittore boliviano che con un coltello lo ferisce leggermente. Il presidente Saragat invia
al pontefice un telegramma di solidarietà, nel quale parla di «atmosfera di odio che si
leva dal mondo degli opposti estremisti»352. Un’espressione molto particolare che
forse in questo caso viene usata per la prima volta: la teoria degli opposti estremismi
condizionerà notevolmente la discussione dei primi anni ‘70, mettendo in
contrapposizione terrorismo nero e rosso.
7.6 - Gli americani
Amara e arcinota verità: in Italia non si muove foglia senza che Washington lo approvi.
Per tale motivo i golpisti puntano su un appoggio americano al colpo di stato o
quantomeno su un tacito assenso ed entrano in contatto sia con i servizi segreti che
con gli organi di stato statunitensi. Il presidente americano è dal gennaio del ‘69 il
repubblicano Richard Nixon, il quale sceglie come consigliere per la sicurezza
nazionale Henry Kissinger. Con quest’ultimo gli Stati Uniti cambiano notevolmente
politica estera e vanno a influenzare in modo pesante la politica interna degli stati
alleati: il picco massimo verrà toccato nel 1973 in Cile con la deposizione del governo
regolarmente eletto del socialista Salvador Allende e l’instaurazione del regime
militare di Augusto Pinochet tramite l’operazione Condor. Kissinger, responsabile
dell’uccisione di circa cinquantamila civili in Cambogia, sempre nel 1973 sarà insignito
del premio Nobel per la pace353. A quanto risulta Borghese non aveva mai tagliato i
ponti con il vecchio salvatore James Angleton che nel frattempo era diventato uno dei
più importanti analisti della CIA in quanto Capo dei Servizi Americani per l’area
mediterranea: l’ex agente dell’OSS lo mette in contatto con gli apparati americani,
favorendo alcuni incontri con i responsabili del Dipartimento di Stato statunitense e
delle forze NATO354. L’ambasciatore americano in Italia in questo momento si chiama
Graham Martin ed è nel nostro Paese con questo incarico dall’ottobre del ‘69. A lui
vicino è James Clavio, addetto militare e uno dei principali tramiti dei rapporti tra il
generale Miceli e l’ambasciatore355.
Borghese entra in contatto con l’ambasciata ma i primi contatti sono infruttuosi: già
il 26 gennaio 1970 avviene un primo incontro tra il comandante e Charles Strout,
secondo segretario dell’ambasciata a Roma, il quale però si dimostrò scettico e
352
“L'Espresso”, 23.2.1975.
353
Quando Kissinger visse il Nobile per la Pace, ilpost.it, https://www.ilpost.it/2023/11/30/kissinger-nobel-pace/,
30.11.2023.
354
Solange Manfredi, op. cit., p. 38.
355
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 220.
94
politicamente freddo356. A questo punto si erge a protagonista Adriano Monti, il già
citato medico/spia/ex SS: secondo il suo racconto, di conseguenza da prendere con le
pinze perché unica voce senza contraddittorio, ad agosto del ‘70 vola fino a Madrid
per incontrare Otto Skorzeny, l’ufficiale delle SS che aveva liberato Mussolini nel 1943
dal Gran Sasso e che poi a fine guerra si era riciclato come altri ex nazisti nella rete
Gehlen di cui, come detto, Monti faceva parte. Sembra ancora una volta un film
fantasioso, quasi folle, ma non lo è affatto. «Andai a parlare con Skorzeny per sapere
se lui poteva dare al principe Borghese la conferma che da parte di certi ambienti
dell'intelligence si guardava con rispetto a un’iniziativa del genere. Dopo un
ponderato pomeriggio di attesa la risposta fu sì, a condizione che un personaggio
politico italiano avrebbe fatto da presidente in pectore»357.
Il FN, oltre a Monti, ha un altro uomo che può fare da contatto con i vertici
statunitensi: si tratta di Pier Talenti, industriale italo-americano e nipote del già citato
Achille Talenti che da tempo finanziava i gruppi neofascisti italiani. Questo Talenti,
«amico personale di Nixon, nel 1968 aveva costituito il comitato italiano per l’elezione
alla Casa Bianca»358 del politico repubblicano. Di tale comitato faceva parte tal Hugh
H. Fenwick, ingegnere per la ditta Selenia e uomo di contatto con la CIA, con il quale
per il tramite di Talenti il FN entra in contatto. Avvengono così dei colloqui tra Fenwick
e Orlandini in primis359 e poi soprattutto con Adriano Monti. Secondo quanto ha
ammesso il medico reatino, Fenwick si impegnò a girare la domanda a Herbert Klein,
assistente di Kissinger, e tornò con due richieste specifiche: 1. costituzione di un
governo presieduto da un politico appartenente alla DC che godesse della fiducia degli
USA; 2. indizione di elezioni entro l’anno escludendo le liste comuniste360. Monti gira
la proposta a Borghese che a sua volta lo invita a risentire Fenwick per capire quali
fossero i politici graditi: il nome unico proposto è quello di Giulio Andreotti361.
Borghese lo giudica il minore dei mali e «l’unico alleato in posizione chiave e
disponente di mezzi e potere»362. Entra nella partita anche Gilberto Bernabei, braccio
destro del Divo Giulio, di cui il Comandante ha un’opinione ambigua: scriverà infatti
che «Non potevo certo dimenticare il suo voltafaccia da gerarca della RSI ad
esponente della parte avversa, ad ogni modo era il meno peggio e sul piatto pesavano
356
Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della tensione, in Dimensioni e problemi della storia,
Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2/2020,
p.51.
357
Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.05,
https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 44.
358
Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della tensione, p. 51-52.
359
Ibidem.
360
Adriano Monti, ll ”golpe Borghese”: un golpe virtuale all'italiana, Lo Scarabeo, Bologna 2006, p. 55.
361
Adriano Monti, op. cit., p. 69.
362
Solange Manfredi, op. cit., p. 40.
95
di più i pro»363. I tre si incontrano, Andreotti capisce che il Principe è disposto a
giocarsi il tutto per tutto e propone di fare il colpo di stato per agosto o settembre al
massimo: Borghese si prende del tempo, non è convinto delle date.
L’ambasciatore Martin non è molto convinto del golpe, o meglio, di questa tipologia
e con queste persone, perciò invia una lettera al segretario di stato William Rogers, il
quale gli risponde così il 10 agosto: «Noi rimaniamo scettici come voi sulle possibilità
di un effettivo colpo di stato questa settimana. Il vostro rapporto correttamente
indica che ci sono gruppi in Italia i quali potrebbero tentare qualche azione
irresponsabile dai risultati potenzialmente disastrosi. Concordo con la linea che state
tenendo nei confronti del principe Borghese»364. È una lettera che conferma i rapporti
del SID secondo cui inizialmente il golpe doveva tenersi in estate. Inoltre a questo
punto viene da sé chiedersi se Fenwick avesse parlato realmente con Klein,
considerato che il segretario di stato Rogers era di tutt’altro avviso. L’assenso
americano al golpe c’è o no? La risposta in modo semplice è nì: per una certa parte
dell’establishment sì, per altri no. Sarebbe infatti sbagliato ritenere gli Stati Uniti
un’unità compatta e con una sola voce: una parte della CIA senza dubbio spinge nella
direzione del golpe Borghese365, il quale porterebbe a un Mediterraneo interamente
governato da dittature militari. Altri ambienti, come appena visto, giudicano il golpe
rischioso in quanto potrebbe avere un effetto boomerang e avvantaggiare le sinistre
a livello italiano e più in generale creare una crisi internazionale con i sovietici. In
sostanza è un no più di opportunità che di principio. Un evento rilevante avviene a
fine settembre quando giunge a Roma il presidente americano Richard Nixon,
accompagnato dal segretario di stato William Rogers e dal super consigliere Henry
Kissinger. Il 28 arriva in una Roma blindata, con grandi proteste di piazza e anche nel
resto del Paese, e si incontrerà prima con Saragat e poi con il Papa. Nixon motiverà la
visita perché preoccupato dalla situazione sud europea: «Vogliamo la pace nel
Mediterraneo»366, disse il presidente americano. L’occasione di trovare in Italia Nixon
e il suo seguito è ghiotta per i golpisti, anche per quelli bianchi di Sogno, che
sicuramente illustrano ai dignitari americani i propri progetti367. La frangia estremista,
come si vedrà nel piano di politica estera del futuro governo, offre come contropartita
agli americani una partecipazione italiana alla guerra in Vietnam368. Alla fine
363
Ibidem.
364
Relazione sui documenti concernenti l’Italia rinvenuti negli archivi degli Stati Uniti, 05.12.2000, Atti Commissione
Stragi.
365
Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.05,
https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 42.
366
Franco Venturini, Nixon a Roma: «Vogliamo la pace nel Mediterraneo», “Il Gazzettino”, 28.09.1970.
367
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 196.
368
Ivi, p. 220.
96
l’ambasciatore Martin, il quale ha già più volte incontrato il braccio destro di Andreotti
Gilberto Bernabei, pone un ultimatum: si deve fissare la data entro la fine del ’70369.
A fine ottobre Enzo Marchesi, capo di stato maggiore della Difesa, incontra
Westmoreland, il generale autore dell’omonimo rapporto di cui si è fatto menzione a
inizio trattazione, al quale dirà papale papale: «Normalmente i militari italiani non si
immischiano nella politica ma con la minaccia di una partecipazione comunista al
governo è necessario per i capi militari schierarsi con i politici democratici per dare
loro la forza di opporsi al comunismo»370. Ora, bisogna capire bene come leggere
queste dichiarazioni: Marchesi non vuole un colpo di stato militare in Italia, anzi spera
che gli Stati Uniti neghino l’aiuto ai golpisti.
369
Solange Manfredi, op. cit., p. 41.
370
Gianni Flamini, L’amico americano, Editori Riuniti, Roma 2005, p. 73.
97
Capitolo VIII: il patto con la mafia
8.1 - I primi abbocchi
Il progetto eversivo che si svolgerà a dicembre ha nei mesi precedenti una lunga
gestazione che vede la stretta collaborazione tra l’estrema destra di Borghese e la
mafia, nello specifico calabrese e siciliana. Secondo il super pentito Giacomo Lauro i
primi contatti tra la mafia calabrese e Borghese avvennero a inizio del 1969: «A me
risulta che la stipula del patto e quindi la richiesta che la mafia aiutasse la Destra
eversiva che intendeva fare un colpo di stato avvenne a inizio ‘69 o più di lì»371. Fascisti
e mafiosi collaborano attivamente? Sembra una follia, se si considera che almeno a
parole la lotta alla mafia fu uno dei capisaldi del fascismo, ma non lo fu.
Il 23 ottobre del 1969 a Montalto sull’Aspromonte avviene un importante summit
della 'ndrangheta alla presenza di vari boss locali come Giuseppe Nirta, Giovanni De
Stefano e Antonio Macrì. Il fatto straordinario è che tra oltre i 150 mafiosi presenti
trovano posto Junio Valerio Borghese, Sandro Saccucci, Stefano Delle Chiaie e Pierluigi
Concutelli372. La presenza di tutti questi è stata più volte messa in dubbio ma di sicuro
in quei giorni Borghese era realmente in Calabria: il 25 ottobre, ovvero due giorni
dopo, tenta infatti di organizzare un comizio a Reggio Calabria che però alla fine non
si fa. Ne scaturisce una rivolta cittadina di cui la questura scrive «È noto che lo Zerbi
fu il capeggiatore»373. Chi è questo Zerbi? Si tratta del marchese Felice “Fefè” Genoese
Zerbi: piduista, dirigente di Avanguardia Nazionale e uomo di fiducia di Borghese nella
Calabria, faceva da tramite tra i gruppi neofascisti e la criminalità organizzata locale.
Era inoltre «cliente» della libreria padovana di Franco Freda374. È Zerbi a mettere in
connessione la ‘ndrangheta e il gruppo di Borghese in quanto godeva di
incondizionate protezioni presso l’ambiente mafioso. Altro personaggio di rilievo
nella vicenda è Paolo Romeo: avvocato, massone, è l’eminenza grigia della
‘ndrangheta375. Si sviluppa quindi in questo ambito un patto tra tre soggetti
(‘ndrangheta, massoneria ed estrema destra) con la seconda che in realtà funziona da
camera di compensazione e punto di contatto. È la stessa mafia calabrese di quel
tempo a mutare e l’ascesa di famiglie come i De Stefano e i Piromalli ne cambierà il
volto: da organizzazione malavitosa locale e arretrata a potentissima cosca con
agganci in mezzo mondo. L’accordo con l’estrema destra va visto in questa ottica,
371
Claudio Cordova, Gotha: il legame indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi deviati, Paper First, Roma 2019,
p. 49.
372
Claudio Cordova, op. cit., p. 42.
373
Rapporto Questura di Reggio Calabria 23.12.1969, n. 3961012° cit. in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol.
secondo, p. 114.
374
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 115.
375
Ex parlamentare del PSDI, è stato condannato dal Tribunale di Reggio Calabria nel luglio del 2021 a 25 anni di
carcere a conclusione del processo “Gotha”.
98
ovvero di fare un salto di qualità, sfruttando l’azione di personaggi come l’appena
citato Romeo. Nell’estate del ‘70, in piena rivolta a Reggio, sarà proprio questi a farsi
promotore di un importante incontro fra Junio Valerio Borghese e i De Stefano. Come
dirà anni dopo al giudice Guido Salvini il pentito Giacomo Lauro: «Più volte alla
'ndrangheta fu richiesto di aiutare i disegni eversivi portati avanti da ambienti della
destra extraparlamentare fra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte
era sempre l'avvocato Paolo Romeo, sostenuto da Carmine Dominici. I De Stefano
erano favorevoli a questo disegno ed in particolare al programmato golpe Borghese,
mentre invece furono contrari le cosche della Ionica tradizionalmente legate ad
ambienti democristiani»376.
8.2 - L’attentato alla questura di Reggio
Il 7 dicembre 1969, a cinque giorni da Piazza Fontana, una bomba lanciata in corsa da
una macchina esplode davanti a una finestra della questura di Reggio Calabria.
L’esplosione provoca notevoli danni alla struttura e il ferimento grave di un agente.
Le indagini porteranno alla denuncia e all’arresto dieci giorni dopo di Aldo Pardo e
Giuseppe Schirinzi377, due elementi di estrema destra reduci dal viaggio in Grecia del
‘68. Pardo durante gli interrogatori fa il vago e smentisce la sua partecipazione
all’attentato, Schirinzi idem ma fa delle interessanti dichiarazioni agli inquirenti: scrive
la questura che «rivelava di essere a conoscenza che in questo capoluogo, così come
in altre città d'Italia, opera un'organizzazione politica di estrema destra, facente capo
al comandante Valerio Borghese, che si prefigge la conquista del potere per via
rivoluzionaria. Di tale movimento, capeggiato in Reggio Calabria da Genoese Zerbi
Felice, fanno parte Dominici Carmelo, Sembianza Benito, Barletta Giuseppe, Pardo
Aldo, Ligato Francesco»378. Un altro allarme inascoltato sui piani del Principe.
8.3 - La rivolta di Reggio Calabria
Il Consiglio per le Regioni stabilisce nel gennaio del ‘70 che il capoluogo della Calabria
sarà Catanzaro e non Reggio. Una decisione sorprendente se si considera il netto
divario storico tra le due città e che genera il malcontento popolare. A metà luglio
iniziano le proteste a Reggio che, partendo da questa causa accidentale, inglobano le
tradizionali rivendicazioni sociali del meridione. In brevissimo tempo i moti assumono
caratteristiche eversive, come se qualcuno avesse acceso un cerino nel posto giusto
al momento giusto. Assalti agli edifici pubblici, barricate e spari porteranno il conto a
5 morti e centinaia di feriti negli scontri che dal fatidico 14 luglio, giornata in cui i
376
S.O. Salvini, 1995, p. 218-219.
377
Due fascisti arrestati per la bomba di Reggio C., “l’Unità”, 18.12.1969.
378
Rapporto Questura di Reggio Calabria 23.12.1969, n. 3961012° citato in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol.
secondo, p. 113.
99
manifestanti tentano l’assalto alla prefettura, arriveranno fino al febbraio del 1971.
La rivolta parte da sinistra ed è infatti inizialmente schifata con atteggiamento
classista dalla destra che chiama i rivoltosi «teppisti, canaglie, cialtroni». Viene poi, da
un punto di non semplice identificazione, cavalcata in pieno dalla destra al grido di
«Boia chi molla» e da volantini del tipo «Reggio è il primo passo della rivoluzione
nazionale in cui si brucia questa oscena democrazia»379. Dalla massa emerge la figura
di Ciccio Franco, esponente della CISNAL380, salito a capo popolo con il Comitato
d’azione per Reggio capoluogo. La piazza di Destra mostra all’Italia cosa è in grado di
fare: il futuro slogan sarà infatti «L’Aquila, Reggio, a Milano (o Roma in alternativa)
sarà peggio». Franco per i fatti di Reggio sarà ricompensato dal MSI con un seggio in
Senato nel 1972.
8.4 - La strage di Gioia Tauro e i giovani anarchici della Baracca
Il 22 luglio, a otto giorni dall’inizio della rivolta, il Treno del Sole, il direttissimo
Siracusa-Torino, deraglia a pochi metri dalla stazione di Gioia Tauro: siamo ad appena
50 chilometri da Reggio Calabria. Intorno alle 17 il macchinista dirà di aver sentito un
forte sobbalzo della locomotiva381 e di aver di conseguenza azionato il freno
d’emergenza. La manovra inizialmente andò bene ma poco dopo provocò la
fuoriuscita di alcune carrozze dai binari e la divisione del treno in tre parti. Il bilancio
è di 6 morti e di 72 feriti. Le prime indagini misero in accusa le ferrovie italiane tanto
che quattro dipendenti vennero rinviati a giudizio382 e per un ventennio con i consueti
depistaggi, come riconoscerà il tribunale di Palmi, la vicenda cadrà nell’oblio. Un ruolo
importante in tale senso viene svolto da Elvio Catenacci, successore di D’Amato
all’UAARR, il quale si reca personalmente a Gioia Tauro e avalla la tesi dell’errore del
personale383. Per avere una sentenza si dovrà attendere il 1993: verranno riconosciuti
colpevoli i militanti di Avanguardia Nazionale Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e
Giuseppe Scarcella. Decisiva la testimonianza del già nominato Giacomo Lauro, il
quale con Silverini aveva condiviso il carcere: «Mi raccontò che aveva portato la
bomba insieme a Vincenzo Caracciolo sulla moto ape di quest'ultimo e che lui stesso
aveva confezionato l'ordigno, composto da candelotti di dinamite con accensione a
mezzo miccia. [...] Mi disse ancora che la bomba aveva provocato la distruzione di
circa 70 metri di linea ferrata e che l'incarico gli era stato conferito dal "Comitato
379
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990,
raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-
4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 13.
380
Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori, era il sindacato del MSI.
381
Cinque anarchici del Sud. Una storia negata, lsdi.it, http://www.lsdi.it/dossier/anarchici/cap9.html
382
Verranno assolti nel 1974.
383
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 95.
100
d'Azione"»384. Tra i componenti di questo comitato vanno tenuti a mente, oltre al già
citato Ciccio Franco, due persone come Paolo Romeo e Fefè Zerbi.
Due mesi dopo i fatti di Gioia Tauro cinque giovani reggini del circolo anarchico
“Baracca” trovano la morte sull’Autostrada del Sole vicino a Ferentino. È il 26
settembre del 1970 quando Giovanni Aricò, Angelo Casile, Annelise Borth385, Luigi Lo
Celso e Francesco Scordo sono vittime di un tremendo incidente stradale nel quale la
loro auto sbanda e va a cozzare contro un camion fermo, causando il decesso dei
cinque quasi sul colpo. Si scoprirà che i giovani erano diretti a Roma per consegnare
alla Federazione Anarchica dei documenti scottanti sui fatti di Reggio e la strage di
Gioia Tauro: avevano scoperto con anni di anticipo l’accordo tra estrema destra e
mafia, «cose che faranno tremare l’Italia»386. Tragica fatalità od omicidio? La prima
ipotesi è quella che verrà certificata dall’indagine che nel 1971 archivierà il caso come
incidente stradale. Non sarà così per i familiari e i compagni anarchici che porteranno
avanti per anni le loro controinchieste: i due camionisti coinvolti sarebbero
dipendenti di Borghese387, il rapporto della Polstrada sull’incidente è sparito e poco
dopo l’incidente la Digos era già sul posto. Si scoprirà che il padre di Lo Celso aveva
ricevuto poco prima una chiamata di un conoscente che lo invitava a non far partire
il figlio. L’ipotesi di omicidio sarà confermata dal già citato Carmine Dominici:
«Personalmente ritengo che si sia trattato di un omicidio e non di un incidente e tale
opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti»388. Sugli esecutori della
presunta azione omicida Dominici però non farà nomi. Il caso non sarà mai riaperto,
lasciando tuttora parecchi interrogativi.
8.5 - Cosa nostra
Grazie al racconto di due pentiti d’eccezione come Tommaso Buscetta e Antonino
Calderone, pur arrivati a distanza di parecchi anni, è comprovata l’adesione di alcune
cosche siciliane al golpe Borghese. Come ben ha sintetizzato il giudice Salvini
Pippo Calderone, fratello di Antonio, e Giuseppe Di Cristina erano stati messi in contatto, tramite
l'esponente massone Carlo Morana, con un emissario del Principe Borghese ed era stato loro chiesto
di mettere a disposizione gli uomini delle cosche mafiose per un colpo di Stato anticomunista in fase
di avanzata preparazione. Compito degli elementi mafiosi sarebbe stato quello di controllare, al
momento del golpe, alcune zone della Sicilia, collaborare alla sostituzione dei Prefetti con uomini di
fiducia del Principe Borghese, impedire contrattacchi di civili o comunque di forze fedeli al Governo
384
S.O Salvini 1995, p. 247.
385
Detta Muki, tedesca, era stata arrestata e poi rilasciata per i fatti di Piazza Fontana.
386
Giovanni Maria Bellu, Cinque anarchici morti e una strage. Scoprirono la verità, li uccisero, “La Repubblica”,
10.04.2001.
387
Mirco Dondi, op. cit., p. 250.
388
Claudio Cordova, op. cit., p. 71.
101
legittimo e rastrellare gli oppositori politici. Nel corso dell'azione, gli elementi mafiosi sarebbero
stati muniti di un bracciale verde in segno di riconoscimento. In cambio sarebbe stata alleggerita la
posizione processuale di alcuni importanti esponenti mafiosi detenuti e sarebbe stata forse
concessa dal nuovo Governo un'amnistia. [...] Erano sorte alcune perplessità, sia di carattere per
così dire storico/politico (molti capi mafiosi ricordavano ancora l'invio al confino di loro affiliati
durante il regime fascista) sia di carattere più concreto, in quanto non era stata gradita la richiesta
avanzata dall'emissario del Principe Borghese di fare avere ai golpisti una lista di affiliati alle varie
"famiglie", circostanza questa che in un momento successivo avrebbe potuto ritorcersi contro i
gruppi mafiosi stessi. Alla fine era stata decisa un'adesione tiepida al progetto, senza consegnare
liste e promettendo ai golpisti un impegno di carattere più generico 389.
L’esponente di Borghese citato dal giudice va identificato con una buona dose di
sicurezza o con Salvatore Drago, il medico di origine catanese in servizio al ministero
dell’Interno o con Giacomo Micalizio. Quest’ultimo, pochi anni fa, ha proposto un
terzo nome, di fatto mai noto: Ferdinando Mistretta. Segnalato insieme a Concutelli
perché provava delle armi nel 1969 vicino Palermo e per tale motivo arrestato390,
secondo Micalizio era lui «a occuparsi delle relazioni»391. Infine va posto l’accento sul
fatto che l’elemento di contatto tra Cosa Nostra e l’entourage di Borghese è un
massone, il citato Morana: come si vedrà nel dettaglio più avanti il golpe è
innanzitutto un affare delle logge, in particolare della P2.
In quanto a Tommaso Buscetta nel 1996, durante il famoso processo a Giulio
Andreotti per i suoi rapporti con la mafia, fece diverse dichiarazioni rilevanti riguardo
al colpo di stato. «La massoneria era interessata affinché gli uomini prendessero parte
al golpe Borghese. Io stesso insieme a Salvatore Greco tornai dall’America a Catania
per incontrare Giuseppe Calderone e Luciano Liggio»392. L’incontro secondo Buscetta
si tenne in coincidenza con i Mondiali di calcio in Spagna, ovvero nella prima parte del
mese di giugno. Si fa notare che viene posto nella dichiarazione l’accento sul fatto che
la massoneria volesse i mafiosi nel golpe, non si parla di gente di estrema destra, come
se fossero loro i veri registi dell’operazione e non Borghese. In ogni caso quali erano
le richieste di Borghese? Spiega sempre Buscetta che consistevano «o in un elenco di
tutti gli uomini d’onore che partecipavano al golpe o se tutti gli uomini d’onore al
momento dell’insurrezione si mettessero una fascia verde alla manica della giacca in
modo da essere riconosciuti»393. In cambio Borghese offre la scarcerazione di
389
S.O. Salvini, 1995, p. 194.
390
Tribunale di Venezia, sentenza-ordinanza del G.I. Carlo Mastelloni nei confronti di Zvi Amir e altri, 1998, pag. 1391-
1393, https://4agosto1974.wordpress.com/2014/12/25/concutelli-le-armi-e-i-contatti-con-orlandini-del-1970/
391
Fabio Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008,
https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min 24.
392
Buscetta e Leggio: il golpe Borghese 2° parte, Dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Luciano Liggio durante gli
interrogatori per il processo Andreotti del 1995 (Buscetta) e per il Maxiprocesso del 1986 (Liggio), canale YouTube
Italia Mistero, https://www.youtube.com/watch?v=_K2AiTOP2jY&ab_channel=italiamistero, min 1.
393
Ivi, min. 1.50.
102
Vincenzo e Filippo Rimi, due mafiosi condannati all’ergastolo: rispettivamente padre
e figlio, Filippo era il cognato del super boss Gaetano Badalamenti. L’interesse di Cosa
Nostra nel colpo di stato era piuttosto semplice: noi vi aiutiamo con il golpe, voi in
cambio una volta al comando dell’Italia effettuerete una revisione dei processi a
nostro carico in modo favorevole. Sempre Buscetta racconta che dopo il primo
incontro a Catania lui e Greco effettuano un secondo meeting fuori Milano alla
presenza dei boss Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calderone e Totò Riina. La risposta
dei boss fu un secco no, in quanto le richieste erano state giudicate troppo umilianti:
«Quello che chiede il principe Borghese non fa al caso nostro»394. La partecipazione
dei mafiosi siciliani al golpe verrebbe quindi meno. Non è proprio così perché Buscetta
racconta con certezza che Natale Rimi, figlio del già citato Vincenzo, partecipa
all’azione nella notte dell'Immacolata395. Nel suo racconto l’ex boss aggiunge un
particolare inquietante: dopo l’incontro di Milano ritornò negli Stati Uniti da dove da
anni dirigeva i suoi “affari”. All’arrivo in aeroporto agenti dell’FBI gli chiesero se il
colpo di stato avrebbe avuto luogo396: come si vedrà la CIA, il servizio segreto
americano per l’estero, sapeva del golpe e fin qua nulla tutto sommato di scandaloso.
È strano invece che lo sappia l’FBI, l'intelligence interna americana. Il che apre la
discussione se del golpe sapessero altre agenzie potenti come KGB, MI6 e Mossad: la
risposta è un punto di domanda enorme in quanto la storiografia nostrana su questo
punto non ha mai detto nulla. Infine Buscetta, nella sua dichiarazione, afferma che il
golpe non andò in porto a causa di una flotta russa nel Mediterraneo che aveva
preoccupato gli americani: per tale motivo il colpo di stato era stato rinviato a nuova
data e mai più effettuato.
Luciano Liggio durante il Maxiprocesso del 1986, dieci anni prima delle rivelazioni di
Buscetta, aveva già dichiarato alla Corte d’assise di Reggio Calabria che aveva ricevuto
la proposta di partecipare al golpe ma vi aveva rinunciato: «Non me la sono sentita di
portare il Paese in un regime totalitario. Luciano non accetta, non si piega a nessun
ricatto né con la libertà né con il denaro»397. Il vecchio boss Liggio voleva darsi un'aura
di democraticità, aggiungendo che la sua rinuncia aveva causato una vendetta politica
in quanto il ministro dell’Interno Franco Restivo, a sua detta, aveva forzato il tribunale
di Bari per condannarlo. Va detto che però Liggio era già stato assolto dalla Corte
d’assise il 10 giugno del ‘70 nonostante le gravissime accuse. Infine Liggio fa delle
dichiarazioni rilevanti: «Quello che si doveva creare era un clima per cui il colpo di
394
Ivi, min, 5.40.
395
Ivi, min. 8.50.
396
S. O. Salvini, 1995, p. 195.
397
Buscetta e Leggio: il golpe Borghese 2° parte, Dichiarazioni di Tommaso Buscetta e Luciano Liggio durante gli
interrogatori per il processo Andreotti del 1995 (Buscetta) e per il Maxiprocesso del 1986 (Liggio), canale YouTube
Italia Mistero, https://www.youtube.com/watch?v=_K2AiTOP2jY&ab_channel=italiamistero, min. 14.
103
stato venisse giustificato, uno stato di bisogno»398. In sostanza il boss di Cosa Nostra
propone una delle varie tesi attorno al golpe Borghese, ovvero che fosse un finto
golpe per uno reale da attuare reprimendo il rischio artificiosamente creato dal primo.
La medesima idea che verrà sostenuta a lungo dalla stampa di sinistra.
8.6 - Il caso De Mauro
Mercoledì 16 settembre scompare nel nulla vicino a Palermo Mauro De Mauro,
giornalista del quotidiano locale «L’Ora». De Mauro, 49 anni, ex fascista, si era
arruolato volontario nella X MAS di Borghese e in memoria del vecchio comandante
chiamerà le figlie Junia e Valeria399. Pochi giorni prima di sparire aveva confidato a
colleghi che aveva tra le mani qualcosa di molto grosso, «roba da far tremare l’Italia».
Le piste che seguono gli inquirenti sono diverse ma puntano formalmente verso
elementi della mafia locale. Fin qua nulla di strano, considerando che De Mauro in
precedenza aveva indagato a fondo sulle operazioni delle cosche. Quel che conta è
però la motivazione: c’è chi parla di traffici internazionali di droga e soprattutto c’è la
“pista Mattei”: De Mauro avrebbe scoperto notizie scottanti sulla morte dell’ex
presidente dell’ENI Enrico Mattei, scomparso nel 1962 in un incidente d’aereo in
circostanze che per anni e tuttora fanno discutere. Ci vorranno anni per far venire a
galla la verità: De Mauro fu ucciso perché era venuto a conoscenza del patto tra
Borghese e i mafiosi in vista del golpe. Ad affermarlo il pentito Francesco Di Carlo,
boss corleonese di rilievo negli anni ‘70 e poi collaboratore di giustizia dal 1996.
Un’ipotesi non calcolata inizialmente ma che trova senso per due fattori: 1. Di Carlo è
riconosciuto come una fonte affidabile, 2. De Mauro da ex fascista e giornalista non
aveva mai tagliato i ponti con i vecchi ambienti dell’estrema destra. Confermerà
questo punto Giacomo Micalizio, durante il processo per l’omicidio di De Mauro
tenuto a Palermo nel 2008: afferma che lo conosceva fin dal 1955, che erano buoni
amici e che De Mauro per la sua attività con la Decima avrebbe avuto una condanna
a morte ma l’amnistia Togliatti lo avrebbe salvato400. Ritornando a Di Carlo l’ordine
«di chiudere la bocca al giornalista»401 sarebbe arrivato direttamente da Roma e poi
pianificato in una riunione tra i boss Stefano Bontade e Totò Riina. Le dichiarazioni di
Di Carlo porteranno alla riapertura del caso, conclusosi però con l’ennesimo nulla di
fatto in quanti l’unico accusato ovvero Riina sarà assolto per insufficienza di prove402.
398
Ivi, min. 17.
399
Sandro Provvisionato, op. cit., p. 45.
400
Fabio Arena (a cura di), Processo per l’omicidio di Mauro De Mauro, radioradicale.it, 13.02.2008,
https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min. 11.
401
Attilio Bolzoni, Grasso: sul caso De Mauro mai sentiti personaggi chiave, “La Repubblica”, 28.1.2001.
402
De Mauro, sequestro senza colpevoli, lastampa.it, 27.01.2014,
https://www.lastampa.it/cronaca/2014/01/27/news/de-mauro-sequestro-senza-colpevoli-1.35939553/
104
Capitolo nono: nome in codice «Tora-Tora»
9.1 - Il piano
Inizia il conto alla rovescia per il golpe, chiamato con il nome in codice “Tora-Tora” in
ricordo dell’attacco giapponese su Pearl Harbour avvenuto lo stesso giorno del 1941.
Il piano è definito:
Il ministero dell'interno, quello della difesa, la televisione, gli impianti telefonici e di
radiocomunicazione devono essere occupati. Attraverso i canali dei due ministeri sarà possibile
impartire adeguati ordini ai contingenti di forza pubblica dislocati nei vari distretti ed avvantaggiarsi
della capillare organizzazione dell'arma dei carabinieri. La radio e la televisione saranno utilizzate
per lanciare proclami403.
Uno di questi è quello presentato nella primissima parte di questa analisi che
probabilmente lo stesso Borghese avrebbe dovuto leggere dagli studi RAI. All’interno
degli studi della Radio Televisione Italiana i golpisti hanno come alleato interno il
conduttore Febo Conti404, nell’orbita del Noto Servizio e l’ennesimo massone405
coinvolto nella vicenda. Il piano ha inoltre due obiettivi molto particolari: l’arresto del
presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, del quale se ne occuperà Licio Gelli in
persona, e l’uccisione del capo della polizia Angelo Vicari. Tutto è pronto per un golpe
che è già in partenza destinato a fallire in quanto i partecipanti secondo le indagini
del dottor Salvini sarebbero stati circa 20000 in tutta Italia406, di cui un terzo di AN. È
un numero inadatto per lo scopo ma comunque non irrilevante; Borghese non lo sa o
fa finta di non sapere e va avanti. Riguardo ad Avanguardia Nazionale il suo compito
prefissato inizialmente è duplice: una parte minore degli uomini farà saltare le strade
che permetterebbero l’arrivo di militari «fedelissimi a Saragat» di stanza ad Anzio
mentre il grosso degli avanguardisti andrà ad occupare il ministero degli Esteri407. Il
giorno dopo verrebbero sostituiti dai carabinieri, elemento fondamentale per la
riuscita del golpe, per occuparsi del rastrellamento di personalità scomode come i
sindacalisti e i politici di sinistra. Il piano proposto non soddisfa AN in quanto gli
obiettivi sono considerati minori e gli stessi membri temono che il golpe venga usato
403
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
404
Guido Mesiti (a cura di), processo a carico di Paolo Bellini ed altri,
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, minuto 1:07.
405
Scuola a distanza. La tv lancia i palinsesti didattici e il pensiero va a due mitici fratelli, il maestro Manzi e il
conduttore di Chissà Chi lo sa Febo Conti, grandeoriente.it, 19.04.2020,
https://www.grandeoriente.it/scuola-a-distanza-la-tv-lancia-i-palinsesti-didattici-e-il-pensiero-di-tutti-va-al-maestro-
manzi-il-libero-muratore-che-dal-1960-al-1968-fece-lezione-agli-italiani-dal-piccolo-schermo/
406
Guido Giannuli, op. cit., p. 346.
407
Relazione riservata su Avanguardia Nazionale e gruppi collegati, senza data [novembre 1972], Documentazione
sequestrata presso la sede di “OP”, in Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla
relazione, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, Vol. III, Tomo IV, Parte I, 23.09.1981, p. 766.
105
come trappola per degli arresti di massa. Delle Chiaie protesta e con l’appoggio del
dottor Drago riesce ad avere il compito di occupare il ministero degli Interni.
Gli americani come detto dovrebbero essere a favore: da Roma a golpe inoltrato
partirà secondo il piano una chiamata prima al comando di Napoli, contando molto
probabilmente sull’aiuto dell’ammiraglio Roselli Lorenzini, e da qui al comando NATO
di Malta dove come detto c’è l’ammiraglio Birindelli che a sua volta la girerà a
Washington per comunicare l’avvenuto successo. L’11 dicembre inoltre è prevista a
Roma la visita ufficiale del presidente della Jugoslavia Josip Broz Tito 408, si vocifera di
proteste previste in città per l’occasione e con questo pretesto i movimenti verso la
capitale passerebbero inosservati. Tito rinvierà all’ultimo la visita in protesta alle
dichiarazioni di Moro in parlamento di un paio di giorni prima riguardo la “Zona B”.409
Su che posizioni internazionali dovrà avere la nuova Italia Borghese pare avere le idee
piuttosto chiare:
Mantenimento dell'attuale impegno militare e finanziario nella NATO e messa a punto di un piano
per incrementare la partecipazione italiana all’alleanza atlantica. Presa di contatto coi governi della
Grecia, Spagna e Portogallo per stabilire un patto economico-militare di mutua assistenza e di tutela
degli interessi nel Mediterraneo. Apertura immediata di relazioni diplomatiche con la Rhodesia e il
Sud Africa e avviare preliminari per accordi economico-politici. Nomina di un inviato speciale del
presidente con mansioni di contatto continuo col presidente degli USA allo scopo di concretare con
rapidità i momenti di una partecipazione militare italiana ai problemi del sud-est asiatico410.
9.2 - L’intervista a “La Stampa”
Il 4 dicembre, ad appena tre giorni dal previsto golpe, Borghese si rende protagonista
di un gesto insolito: concede un’intervista a Giampaolo Pansa, inviato del quotidiano
torinese “La Stampa”. Nel suo studio romano411, in compagnia di Benito Guadagni,
viene ritratto come un vecchio fascista che ormai farnetica tanto che il titolo
dell’articolo è emblematicamente «Deliri del principe nero»412. Borghese
nell’intervista dichiara che alcuni deputati e senatori sono affiliati al FN, così come
militari, industriali e sindacalisti. Sui loro nomi preferisce però il silenzio. Il
comandante pare guardare alla Francia: «Manca l’idea di Patria, che è stata abolita.
Parlo di quell’idea che dopo il maggio francese ha consentito a Parigi una sfilata di un
milione di persone sui Campi Elisi. [...] Il Fronte sta preparando una struttura nazionale
per sfruttare questo corteo di un milione di persone»413. Borghese, definito da Pansa
408
Franco Venturini, Comincerà giovedì a Roma la visita ufficiale di Tito, “Il Gazzettino”, 08.12.1970.
409
Zona in amministrazione jugoslava del mai realmente costituito Territorio Libero di Trieste.
410
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
411
Allegato foto.
412
Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970.
413
Ibidem.
106
anni dopo «L’uomo della CIA»414 mantiene un tono piuttosto vago riguardo la
struttura del FN e come funzionasse se non che puntava in un certo modo a creare
uno stato ombra. Il comandante non esita però a scagliarsi sullo stato italiano: «Lo
stato di oggi è talmente marcio che forse non servirà nemmeno dargli un colpetto.
L’attuale classe dirigente si è già arresa, tutti sanno che esegue rigidamente gli ordini
del PCI. [...] Fra breve si porrà di nuovo il dilemma: o Roma o Mosca»415. Pansa chiede
poi a Borghese cosa ne penserebbe di un colpo di stato: «Se fosse a breve termine e
inteso a ristabilire l’ordine o per impedire l’avvento dei comunisti lo riterrei positivo,
risponde il comandante»416. Questo in sintesi il contenuto dell’intervista che apparirà
però il 9 dicembre. Ciò che bisogna chiedersi è perché Borghese rilasci tali
dichiarazioni a poche ore dall’azione: di lui tutto si può dire ma non che fosse un
militare mediocre. In un momento così delicato, in cui la logica imporrebbe il basso
profilo, perché esporsi mediaticamente su un quotidiano nazionale? Le stesse
domande se le pone lo stesso Pansa il quale dirà:
Uno che sta per attuare un colpo di Stato riceve un giornalista del campo avverso? Parla per tre ore
davanti a un registratore acceso? Si lascia fotografare in pose tanto poco marziali? Forse sì, forse
no. A quel tempo mi dissi: no, è assurdo che lo faccia. Sono rimasto della stessa idea. Per me quel
golpe non c' è mai stato. Ma forse sono l’unico a pensarla così417.
9.3 - Gli ultimi preparativi
Il 5 dicembre negli uffici del cantiere di Remo Orlandini a Montesacro si intensificano
le visite dei delegati provinciali del FN al quale il braccio destro di Borghese mostra le
cianografie del piano d’azione. Va sempre necessariamente tenuto a mente che
Orlandini «da almeno due anni dialoga con il generale Miceli»418 e che un appunto
confidenziale datato 17 novembre segnalava tutti i movimenti e nomi del gruppo
eversivo. È un punto ovviamente fondamentale perché testimonia, a scanso di
qualsiasi equivoco, che i vertici del SID erano a perfetta conoscenza delle trame
eversive.
Il giorno dopo a Roma si incontrano all’Hotel Commodore i siciliani Giacomo Micalizio,
Eliodoro Pomar e Francesco Muscolino. A Milano in contemporanea in un’armeria di
via Moscova vengono comprate delle armi: l’acquisto è finanziato da «un ristretto
comitato genovese419». Inoltre è proprio in questo giorno che si decide di affidare ad
414
Giampaolo Pansa, Io e il Principe nero insieme alla vigilia, “La Repubblica”, 19.12.2004,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/io-il-principe-nero-insieme-alla-vigilia.html
415
Giampaolo Pansa, Deliri del principe nero, “La Stampa”, 09.12.1970.
416
Ibidem.
417
Giampaolo Pansa, Io e il Principe nero insieme alla vigilia, “La Repubblica”, 19.12.2004,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/io-il-principe-nero-insieme-alla-vigilia.html
418
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
419
Fulvio Mazza, Il golpe Borghese: quarto grado di giudizio, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2021, p. 146.
107
Avanguardia il compito di occupare il Viminale420, vicenda di cui si è detto poche righe
sopra. Il dottor Drago consegna ai golpisti una mappa della struttura, spiegando quali
erano i punti nevralgici del ministero e che «sarebbe stato senz’altro necessario far
uso delle armi»421.
9.4 - La notte della Madonna
È arrivato il giorno del «tanto atteso colpo di stato». Per seguire meglio gli
avvenimenti verrà usato nelle prossime righe un elenco numerato, una notazione
forse non bellissima da vedere ma necessaria per rendere meglio comprensibile ciò
che è successo tra il 7 e l’8 dicembre del 1970.
1. La mattina inizia l’afflusso a Roma dei gruppi B del FN, quelli formati dagli
elementi clandestini e paramilitari: quello di La Spezia si raduna al Motel Agip
sull’Aurelia, quello di Grosseto a Pomezia presso la Tipografia Rotoprint di
Federico Bonvicini, quello di Genova al cantiere di Orlandini in zona
Montesacro. Qui sono anche custodite le armi acquistate il giorno prima a
Milano e trasportate a Roma da Salvatore Drago;
2. Vengono preparati bracciali e dischetti metallici per le auto con la scritta
“Fronte Nazionale-governo provvisorio";
3. All’ingegner Eliodoro Pomar è stato assegnato il compito di sabotare gli
impianti telefonici di Roma422;
4. A mattina inoltrata membri di AN, tra i quali Pierluigi Concutelli e Guido
Paglia423, guidati da Stefano Delle Chiaie vengono introdotti clandestinamente
nel Viminale dall’ingresso sul retro grazie alla talpa interna Enzo Capanna,
capitano di pubblica sicurezza. Il loro compito è prelevare dei mitra
dall’armeria, circa 200, e portarli sia da Orlandini che da Saccucci con un
camion. Delle Chiaie ha sempre asserito di non aver partecipato all’operazione
in quanto latitante in Spagna per i fatti di Piazza Fontana: ciononostante il
leader di AN ha sempre dimostrato di essere informatissimo sui fatti, fin troppo
per una persona assente. Il secondo compito degli avanguardisti è
l'occupazione della centrale radio telefonica del ministero;
5. Il successo dell’operazione galvanizza i due centri di comando del golpe. Il
primo, politico, è nell’ufficio di Mario Rosa in via S. Angela Merici dove vi sono
Borghese (inizialmente), il generale a riposo Giuseppe Casero e il colonnello
420
Relazione riservata su Avanguardia Nazionale e gruppi collegati, senza data [novembre 1972], Documentazione
sequestrata presso la sede di “OP”, in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Allegati alla
relazione, Serie II: Documentazione raccolta dalla Commissione, Vol. III, Tomo IV, Parte I, p. 767.
421
Ibidem.
422
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 221.
423
Commissione Stragi, Doc. XXIII n. 64, vol. primo, tomo secondo, 2001, p. 157.
108
Giuseppe Lo Vecchio424, entrambi dell’Aeronautica. Casero a tempo opportuno
scorterà il generale Duilio Fanali, capo di stato maggiore dell’Aeronautica e
l’ufficiale più alto in grado coinvolto nel golpe, nel ministero della Difesa per
ufficializzare il colpo di stato ai militari. Qui arriva anche il colonnello della
forestale Luciano Berti per pianificare le ultime manovre. ll comando operativo
è però a Montesacro da Orlandini: presenti Ciabatti, Pomar, Drago, Micalizio,
Monti e l’americano Fenwick;
6. Continua la penetrazione degli uomini di AN all’interno del Viminale, i quali
come detto conoscevano il luogo grazie a una pianta disegnata da Salvatore
Drago. Qui si impadroniscono anche di alcuni fascicoli che poi saranno
consegnati a Borghese;
7. Nel pomeriggio arrivano altri gruppi B del FN, compreso quello genovese a cui
appartiene il futuro collaboratore del SID Torquato Nicoli. Questi si presenta
«rivestito della divisa di maggiore dei carabinieri e a capo di una pattuglia di
uomini pure con la divisa dei militi dell’arma425». Nel frattempo comincia a
piovere a dirotto;
8. Un centinaio di attivisti di AN sono nella sede del movimento in via Arco della
Ciambella in attesa del via. Pronti all’azione anche gli esponenti di Europa
Civiltà in Largo Brindisi e gli universitari del gruppo Fronte Delta, guidati da
Dalmazio Rosa (figlio di Mario)426;
9. Diversi golpisti in attesa nel cantiere di Orlandini salgono su dei pullman messi
a disposizione da Achille Talenti della società “Sira”. Nella sede del FN in viale
XXI Aprile sono pronti altri cinquanta uomini circa. A fare da osservatori gli
esponenti missini Giulio Caradonna, Adalberto Monti e Gaetano La Morte: i tre
informano il segretario Almirante, il quale in tutta risposta «fa finta di rimettersi
a dormire427». Nessuno lo chiamerà mai in causa per questo;
10. Circa 300428 persone attendono nella palestra dell’Associazione nazionale
paracadutisti d’Italia in via Eleniana, associazione di cui era segretario Saccucci.
La riunione è giustificata con la proiezione del film “Berlino, dramma di un
popolo”, prevista per le ore 20. Tra i presenti, oltre a parà e anche ufficiali dei
carabinieri, è significativa la presenza di Stefano Serpieri, confidente del SID429
e già infiltrato nel circolo anarchico XXII Marzo. Altri congiurati sono concentrati
nelle palestre di via Diana e viale delle Milizie. A un certo punto Saccucci lascia
424
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 223.
425
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
426
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 224.
427
Ivi, p. 226.
428
Fulvio Mazza, op. cit., p. 151.
429
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 224.
109
la palestra di via Eleniana, in quanto deve prendere parte all’arresto di
parlamentari e uomini politici come previsto dal piano;
11. Arrivano le prime defezioni a quanto risulta, e non sono di poco conto: non si
fanno trovare il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Duilio Fanali, nuovo
ministro della Difesa nel governo nel piano dei golpisti, e il generale Mario
Vendola, comandante dei carabinieri in Piemonte, il quale avrebbe dovuto
prendere possesso del comando generale dell’Arma430. Due assenze
pesantissime che condizioneranno giocoforza la riuscita del golpe.
12. In contemporanea arriva a Roma una colonna di circa 200 guardie forestali
partite da Cittaducale e guidate da Luciano Berti, ufficialmente per
un’esercitazione. Peccato che con loro vi siano «14 automezzi e perfino un
lanciafiamme431» e che lo stesso Berti abbia comprato parecchie manette nei
giorni precedenti. Il loro scopo è piuttosto preciso: occupare gli studi della Rai
in via Teulada e da lì leggere alla nazione l’indomani mattina il proclama. L’aiuto
dall’interno sarebbe dovuto arrivare come detto dal popolare conduttore Febo
Conti;
13. Parte da Montorio in direzione di Sesto San Giovanni, città simbolo
dell’antifascismo e della classe operaia tanto da essere chiamata “Stalingrado
d’Italia”, il colonnello Amos Spiazzi. Nonostante avesse un grado militare non
elevatissimo, Spiazzi era in possesso del Nos Cosmic432, la più alta qualifica di
sicurezza nell’ambito dell’Alleanza atlantica. Un fatto decisamente non banale,
in quanto grazie a questo pass aveva accesso al massimo livello di segretezza
della NATO. Spiazzi afferma di aver ricevuto un ordine particolare, nome in
codice “Esigenza triangolo”433: si tratta di un piano anti insurrezionale che
prevede l’arresto di sindacalisti, politici e militari, contenuto in ogni base
militare. Secondo Spiazzi l’ordine gli arriva in modo piuttosto confuso e, non è
chiaro come, dirà di aver avvertito telefonicamente Borghese che qualcosa non
andava. Su questo punto i dubbi sono pressoché totali.
14. Da Firenze, 800 allievi carabinieri della scuola diretta dal colonnello Dino
Mingarelli sono trasferiti nella caserma della Cecchignola a Roma dove,
430
Fulvio Mazza, op. cit., p. 149.
431
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 225.
432
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 63.
433
«Un piano predisposto dall’autorità politica con l’avvallo di quella militare che prevedeva la selezione nelle
caserme di ufficiali e truppe di provata fede anticomunista da inviare nei punti nevralgici del Paese per evitare
sommesse o per contrastare un’eventuale esercito invasore», intervista di Sergio Zavoli ad Amos Spiazzi in La notte
della Repubblica, puntata del 16.01.1990, minuto 125.
110
secondo la testimonianza del brigadiere Renato Olino, è ordinato loro di
dormire vestiti434;
15. Un altro movimento strano viene segnalato da Angelo Tornaghi, all’epoca dei
fatti in servizio militare di leva nel 183° reggimento Nembo della Divisione
Folgore di stanza a Gradisca d’Isonzo. Secondo Tornaghi la mattina del 7
dicembre 200 militari armati, lui compreso, prendono il treno in direzione
Lamezia Terme. Il convoglio però si ferma a Roma per diverse ore fino a notte
inoltrata prima di ripartire435;
16. Vengono segnalati movimenti di civili e militari in Veneto. Si muove qualcosa a
Verona e a Venezia, in particolare riferirà Carlo Digilio anni dopo che in laguna
«per la notte del 7 dicembre era concordato il concentramento in punti
determinati. Il concentramento effettivamente ci fu. Erano presenti sia militari
che civili come del resto credo in altre città d'Italia. Posso precisare che a
Venezia il punto di concentramento era l'Arsenale cioè lo spiazzo dinanzi al
Comando della Marina Militare»436.
17. In Calabria, grazie agli accordi già nominati si è pronti a intervenire. Gli
appartenenti alla 'ndrangheta, armati e mobilitati per l'occasione
sull'Aspromonte, erano stati messi a disposizione dal boss Giuseppe Nirta. A
Reggio invece, come dirà Carmine Dominici, «eravamo in piedi tutti pronti per
dare il nostro contributo. Zerbi disse che aveva ricevuto delle divise dei
carabinieri e che saremmo intervenuti in pattuglia con loro, anche in relazione
alla necessità di arrestare avversari politici che facevano parte di certe liste che
erano state preparate. Restammo mobilitati fin quasi alle due di notte, ma poi
ci dissero di andare tutti a casa»437.
18. Altri movimenti vengono registrati in Umbria sul Lago Trasimeno e a Trento;
19. A Civitavecchia sono inoltre già pronte delle navi per trasportare a Ponza o
nelle Eolie personalità politiche e sindacali scomode, gli enucleandi già visti nei
Piano Solo.
20. Al tentativo di golpe in corso assistono gli americani: l’addetto militare James
Clavio, Edward Fenwick e l’«Ambasciatore prudente» Graham Martin
controllano l’attività, i loro Servizi sono tutti mobilitati. Come scriverà Borghese
non è un problema in quanto era previsto438.
434
Fondazione Luigi Cipriani (a cura di), cronologia della storia d’Italia, fondazionecipriani.it, eventi del 07.12.1970,
https://www.fondazionecipriani.it/home/index.php/storia-d-italia/crono
435
Una testimonianza sul golpe Borghese, guidosalvini.it, http://guidosalvini.it/wp-content/uploads/2022/12/golpe-
borghese-e-gruppo-tattico-Nembo.pdf
436
S.O. Salvini, 1995, p. 218.
437
Ivi, p. 219.
438
Solange Manfredi, op. cit., p. 59.
111
21. Alle 22 e 30 dalla palestra di via Eleniana escono i due nuclei.
22. Parte la famosa chiamata che tramite una lunga catena (Roma-Napoli-Malta-
Washington) doveva arrivare fino a Nixon. La comunicazione si blocca però a
Napoli per motivi mai chiariti e non arriva così a destinazione;
23. Franco Antico, esponente di Europa Civiltà e informatore dei servizi439, riferisce
dei fatti in svolgimento ai suoi interlocutori prima telefonicamente e poi alle
undici si incontra di persona con il tenente Giorgio Genovesi del centro
controspionaggio, informandolo dell’occupazione del Viminale. Genovesi,
all’oscuro dei fatti, informa i suoi superiori e anche la polizia giudiziaria;
24. L’obiettivo dell’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari viene affidata a
un gruppo di mafiosi siciliani ma la drammaticità del momento si trasforma in
tragicommedia. Il gruppo infatti innanzitutto sbaglia indirizzo e resta addirittura
bloccato nell’ascensore. A quanto pare inoltre Vicari stesso era a Palermo e non
a Roma in quel momento440;
25. La fuga di notizie continua, in quanto il generale Renzo Apollonio, un reduce di
Cefalonia decisamente antifascista, riceve numi da uno sconosciuto capitano
del SIOS che qualcosa di grosso sta succedendo e informa Arrigo Boldrini,
responsabile militare del PCI;
26. Berti con i suoi forestali è nel frattempo in difficoltà: «E’ attestato da troppo
tempo e i suoi uomini non sono certamente temprati. Imprecano sotto
l’acqua»441.
27. Licio Gelli è sulle scale del Quirinale con un commando apposito per arrestare
il presidente Saragat ma il sentore di bruciato gli fa fare marcia indietro in
extremis;
28. Borghese riceve una prima telefonata442 nella quale un alto militare lo avvisa
che importanti reparti che avevano garantito l’appoggio si sono tirati indietro.
Ad effettuare la chiamata pare essere stato il colonnello Giuseppe Claudio
Condò443;
29. Intorno all’una di notte il già citato Genovesi informa il comandante del reparto
D Federico Gasca Queirazza e questi a sua volta riferisce a Miceli. Il capo del SID
temporeggia e gli ordina di non prendere iniziative perché lo avrebbe fatto lui
stesso: non lo farà per due ore. Il comportamento del generale è molto
439
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 225.
440
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 240-241 e https://www.radioradicale.it/scheda/247159/processo-
per-lomicidio-di-mauro-de-mauro, min. 39.
441
Solange Manfredi, op. cit., p. 59.
442
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 226.
443
Jack Greene e Alessandro Massignani, op. cit., p. 243.
112
semplicemente la chiave di volta per capire cosa avvenne quella notte:
lasciamoli fare;
30. Un emissario dei golpisti rientra nella base di via S. Angela Merici, di ritorno dal
comando dei Carabinieri. Il suo scopo era quello di carpire le intenzioni
dell’Arma ma viene respinto da una sentinella che, come raccontò lo stesso,
pareva fosse reduce da una zuffa. A quanto pare all’interno dei carabinieri c’era
stato uno “scambio di opinioni” vivace e aveva prevalso la linea dei contrari al
golpe;
31. Borghese riceve una seconda telefonata all’1.38: «Il dottore sconsiglia
l’operazione»444. Gli americani, così come importanti reparti militari, tolgono
l’appoggio a differenza di quanto era stato assicurato. Capito che il tentativo
era fallito, o forse sapeva che già in partenza quello era il destino, il comandante
dà il contrordine e richiama gli uomini. Chi ha chiamato Borghese? Per tanti
anni si è discusso a lungo del responsabile della telefonata e il nome oggi è
noto: Gilberto Bernabei, segretario di Giulio Andreotti, il quale avrebbe dato
l’ordine categorico di smobilitare al suo braccio destro445. L’altra tesi voleva
come responsabile della chiamata Licio Gelli come da più testimoniato. In ogni
caso un nome non escluderebbe l’altro.
A questo punto risulta difficile la narrazione a punti come si è fatto finora in quanto
la situazione si fa decisamente convulsa. I forestali a due passi dalla RAI in via Olimpica
vengono bloccati all’ultimo: ad assolvere il compito tali Francesco Lombardi e
Giovanni Saleri446, ispettore generale del ministero dell’agricoltura. Inizia la grande
fuga anche dalle palestre occupate e dalla sede del FN. Alle 2 del mattino Bruno
Stefano, altro elemento nero coinvolto nel golpe, dà con l'altoparlante l'ordine di
scioglimento. Dalla sede del Fronte Nazionale arriva anche Salvatore Pecorella, che
affretta l'operazione di sgombero con la pistola in pugno447. La rabbia dei golpisti si
riversa verso Borghese, il quale non dà spiegazione a nessuno del contrordine se non
che ha dovuto obbedire a ordini superiori. Dai più esagitati viene invitato a spararsi
un colpo di pistola come facevano gli ufficiali nazisti in caso di sconfitta: il comandante
porge la mano ma nessuno gli passa una pistola. Tra i più infuriati Sandro Saccucci che
parlerà di «maniche di buffoni, da accoppiare a tante altre piccole manichette, più o
meno in divisa»448. Solo verso le 3 la polizia, dopo l’informativa di Genovesi di cui si è
fatta menzione, manderà degli uomini al Viminale, nonostante scriva che:
444
Solange Manfredi, op. cit., p. 59.
445
Ibidem, p. 60.
446
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 226.
447
Ivi, p. 227.
448
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
113
Fonte fiduciaria introdotta ambienti estrema destra segnala aver appreso che piccolo gruppo
giovani appartenenti estrema destra extraparlamentare (Europa Civiltà, Fronte Nazionale, Ordine
Nuovo) intenderebbe effettuare in Roma corso volgente notte imprecisato gesto eclatante scopo
determinare scintilla per successivi eventi in contrapposizione a violente manifestazioni attuate
recentemente da estrema sinistra. Gesto potrebbe essere anche diretto contro sede ministero
interno449.
Verrà controllato però solo l’ingresso principale e gli agenti resteranno di guardia fino
alle cinque, senza tuttavia notare nulla di sospetto450. Gli uomini di Avanguardia
Nazionale nel frattempo con tutta calma rimettono al loro posto tutti i mitra
nell’armeria, tranne uno a futura memoria, ed escono senza essere visti da un
ingresso secondario. Il SID diventa nel momento successivo il protagonista della
narrazione, in una maniera decisamente tragicomica. L’indomani Miceli si presenta
da Enzo Marchesi, capo di stato maggiore della Difesa, per riferire di quanto successo
nella notte ma si tradisce clamorosamente. Il generale infatti fa menzione sia
dell’occupazione del Viminale sia del concentramento di persone nella palestra dei
parà451, della quale nessuna comunicazione gli era stata fatta dalle fonti. Evidente
quindi, ancora una volta, che Miceli sapeva tutto quello che stava succedendo ma in
sede giudiziaria come si vedrà finirà a tarallucci e vino per lui.
9.5 - L’immediato post golpe
L’indomani vengono registrate alcune telefonate di Saccucci, il quale racconta gli
avvenimenti della notte nonostante sappia benissimo di essere intercettato: «Chi
registra le sue telefonate è quello stesso servizio segreto con il quale egli è in stretto
contatto»452. Il giorno dopo Rosa, un altro di cui il SID aveva il telefono sotto controllo,
dice che l'azione è fallita perché sono stati traditi.
Già il 15 dicembre sul tavolo di Vito Miceli arriva un rapporto, in sigla Z/1138453
contenente una dettagliata descrizione dei fatti, a cui ne farà seguito un altro la
settimana successiva. A fornire la grande maggioranza delle notizie era stato il già
citato Franco Antico454. Come da prassi queste note informative finiranno dimenticate
in un cassetto e non saranno consegnate alla magistratura neanche dopo l’apertura
delle indagini ufficiali a marzo. Del tentativo golpista sono a conoscenza parecchi
centri del potere ma tutti tacciono per il momento, anche a sinistra. L’unica
informazione che trapela è un racconto dei fatti in chiave fantapolitica dal titolo
449
Ibidem.
450
Fulvio Mazza, op. cit. p. 160.
451
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
452
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 98.
453
Ivi, p. 99.
454
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 229.
114
“Fantasmi a Roma”, pubblicato sul periodico degli ex combattenti della RSI il 15
gennaio455 nel quale si parlava di un possibile complotto contro lo stato fallito a causa
della «pioggia e dell’impreparazione del capo»456.
Una nota SID, da fonte “Arrigo”, è datata 16 gennaio e segnala come
L’attività del Fn desta commenti ed anche preoccupazioni nel settore di estrema destra, dove è
variamente giudicata. Il Fronte ha eseguito una specie di “prova generale” con allertamento dei suoi
gruppi attivistici nella notte tra il 7 e l’8 dicembre a Roma. Una parte degli attivisti convocati ha
giudicato la cosa severamente e sta pensando di abbandonare l’organizzazione. Negli ambienti del
Msi si è giunti perfino a parlare di provocazione fortunosamente andata a vuoto. Gli interrogativi
che oggi si pongono sull’attività del Fronte sono molteplici e si concentrano sulle seguenti ipotesi:
1. Incapacità organizzativa e politica, 2. Azione provocatoria, 3. Necessità di giustificare i
finanziamenti fin qui ottenuti. Il Fn è assolutamente inidoneo a rappresentare un valido strumento
rivoluzionario457.
Il 17 gennaio i vertici del progetto appena sfumato si ritrovano tutti insieme per la
prima volta nella sede del FN: durante la riunione i convenuti si dividono in più fazioni,
praticamente tra i contrari e i favorevoli a Borghese. Il comandante «duramente
criticato e invitato a chiarire, a dare spiegazioni su tutte le questioni trattate, si
schermisce, tenta di giustificarsi, ma messo alle corde preferisce abbandonare la
seduta lasciando tutti scontenti e insoddisfatti»458. La figura di Borghese è piuttosto
compromessa, anche perché inizia a circolare una strage voce: il golpe sarebbe stata
tutta una messinscena per giustificare gli ammanchi di cassa del Fronte di cui lui stesso
si sarebbe appropriato. Come segnalato da un appunto della questura di Roma del
periodo
Sarebbe infatti convinzione comune, che il fatto che non ha trovato la sua genesi in un serio
proposito di sovvertire le istituzioni dello stato, ma in una subdola, pericolosa ed egoistica manovra
di interessi diretta a giustificare il bilancio del Fronte il cui ammanco ammonterebbe a decine di
milioni e le cui responsabilità verrebbero esclusivamente attribuite a Borghese e ai suoi più fidati
collaboratori459.
Chi tra i presenti inizia a prendere un certo peso è l’avvocato genovese Giancarlo De
Marchi, il quale si dichiara pronto a offrire ampi finanziamenti se però il progetto
prevedesse la certa partecipazione di alti ufficiali. De Marchi, classe 1926, è un noto
avvocato di Recco ed è affiliato al MSI. Inoltre da giovanissimo si era arruolato come
455
Paolo Mieli (a cura di), Passato e presente, “Il golpe Borghese”, 08.12.2020, raiplay.it,
https://www.raiplay.it/video/2020/12/Passato-e-Presente---Il-golpe-Borghese-48f6f1e4-509b-49e7-b319-
f93cbd8f2ca6.html, min 25.
456
Le forze antifasciste esigono una rapida azione, “l’Unità”, 20.03.1971.
457
Solange Manfredi, op. cit., p. 30.
458
Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
459
Appunto interno alla Questura di Roma del 28.01.1971, cit. in Solange Manfredi (a cura), Il golpe Borghese. In una
lettera-testamento a firma Junio Valerio Borghese la “verità” sul golpe, autopubblicato, 2014, p. 31.
115
volontario nella X MAS di Borghese460 che si era formata come forza militare di terra
proprio dalle sue parti a La Spezia. Il gruppo del FN inizia così a mutare, portandosi
verso una trasformazione interna che vedrà l’epilogo nella partecipazione al progetto
eversivo noto come Rosa dei venti. Stiamo parlando del piano che, partendo dai primi
mesi del ‘71, avrà un climax ascendente fino all’estate del ‘73: vecchi camerati già
passati per l'Alto Adige finiranno per incontrarsi di nuovo, silenzi e protezioni del
potere compromesso con l'eversione faciliteranno nuove congiure.
Proprio nella zona del Trentino-Alto Adige c’è grande fermento in questi giorni: nella
notte tra il 18 e il 19 gennaio viene rinvenuta una bomba nascosta in una sacca davanti
al tribunale dove sono in programma il processo a due operai e una manifestazione
studentesca di supporto. Dopo più di un anno e mezzo dall'episodio, "Lotta Continua"
rivelerà che la bomba era stata fatta collocare dalla polizia di Trento. Chi la comanda
è un volto noto come Saverio Molino, già visto a Padova nell’episodio di Rizzato del
1969, ora vicequestore, il quale finisce nell’inchiesta successiva insieme al colonnello
del SID Angelo Pignatelli, al parigrado dei carabinieri Michele Santoro, accusati di
essere i mandanti da Sergio Zani e Claudio Widmann, gli esecutori materiali461. Nel
successivo processo del ’77 saranno assolti, sentenza poi confermata in appello l’anno
successivo.
9.6 - Massoneria e golpe Borghese
La lista dei massoni coinvolti nel Golpe Borghese è alquanto esplicativa di come il
tentativo di colpo di stato fosse praticamente manovrato da personalità appartenenti
a logge di questo tipo, a partire ovviamente da Licio Gelli che come detto è uno dei
primi aderenti al FN. Oltre al Gran Maestro della P2 erano massoni o piduisti Remo
Orlandini462, Sandro Saccucci, Salvatore Drago, Giuseppe Casero (tessera P2 n° 488),
Filippo De Jorio (tessera P2 n° 411), Duilio Fanali, Giuseppe Lo Vecchio (tessera P2 n°
514), Maurizio Degli Innocenti e Giacomo Micalizio. Lo stesso Orlandini, duranti i suoi
colloqui con Labruna, anche lui iscritto alla P2 come i suoi superiori Vito Miceli e
Gianadelio Maletti, dirà che «sin dal periodo precedente al tentativo del 1970 almeno
3.000 ufficiali iscritti alla massoneria avevano aderito ai gruppi golpisti»463. Altro
personaggio coinvolto è Gavino Matta, membro della Gran Loggia d’Italia diretta da
Giovanni Ghinazzi, il quale seppur informato tramite una lettera dal proprio superiore
460
Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI Secolo, Sperling & Kupfer, Milano
2010, p. 141.
461
Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige presentate rispettivamente dai senatori
Boato e Bertoldi, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi, 1992, p. 14 e seg.
462
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 1983.
463
S.O. Salvini, 1995, p. 180.
116
di «annullare ogni precedente intesa con Borghese»464 sarà ugualmente presente a
Roma il giorno del tentato golpe. Lo stesso Ghinazzi era infatti ben al corrente dei
piani eversivi e verrà indagato sia per la Rosa dei venti che per il golpe bianco. Altro
massone di rilievo della lista è il già nominato marchese Felice Genoese Zerbi:
referente in Calabria di Avanguardia Nazionale, animatore della rivolta di Reggio e
ritenuto uno dei principali finanziatori del tentato colpo di stato465.
Va necessariamente ricordato che oltre ai fatti del 1970 esponenti celebri della P2
saranno coinvolti in eventi significativi: Edgardo Sogno (tessera 786) nel 1974 tenterà
il golpe di centro filo atlantico, Mario Tedeschi e Federico Umberto D’Amato saranno
giudicati nel 2020 i mandanti insieme a Gelli e Umberto Ortolani della strage di
Bologna466. Un coinvolgimento della P2 di Licio Gelli con Borghese veniva segnalato
fin dal 1974 da una nota del ministero dell’Interno: «Il Raggruppamento Gelli avrebbe
avuto rapporti con Borghese, l'avvocato Giancarlo De Marchi e Attilio Lercari»467. Licio
Gelli va ricordato che ha combattuto durante la guerra civile spagnola e poi per la RSI,
è lui stesso a dichiararsi «notoriamente anticomunista»468. La sua figura non è ben
vista dagli ambienti massonici meno oltranzisti e i suoi piani eversivi sono cosa nota,
come dichiarerà in una relazione di loggia il grande oratore Ermenegildo Benedetti:
«Un fratello (Gelli, nda) che non solo ha un triste passato fascista, ma che ancora vive
nelle concezioni di codesto regime fino ad invitare i fratelli [...] ad adoperarsi perché
l’Italia abbia una forma di governo dittatoriale469. In una lettera datata 23 settembre
1969 il massone di Grosseto Prisco Brilli scrive al “fratello” Francesco Siniscalchi che
recentemente il Gran Maestro Licio Gelli avrebbe iniziato 400 alti ufficiali dell’esercito
«al fine di predisporre un governo di colonnelli. [Inoltre] Sarebbero stati iniziati alcuni
grossi personaggi della DC»470. Un evento decisamente carico di significato,
considerando che gli eventi al centro di questa trattazione avverranno poco più di un
anno più tardi.
L’attività di Licio Gelli e della sua loggia massonica come è noto continuerà a fiorire
negli anni seguenti, cambiando però indirizzo: a metà anni settanta avviene un
464
Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere, p. 86.
465
I Moti di Reggio, una storia eversiva: il 1970 e la pietra tombale sul futuro della Calabria, ilreggino.it, 04.08.2020,
https://www.ilreggino.it/senza-categoria/2020/08/04/i-moti-di-reggio-una-storia-eversiva-il-1970-e-la-pietra-
tombale-sul-futuro-della-calabria/
466
Strage di Bologna, chiuse le indagini: "Bellini esecutore, Licio Gelli mandante", tg24.sky.it,
https://tg24.sky.it/cronaca/2020/02/11/strage-bologna-bellini-gelli. Nato a Roma il 31 maggio 1913, Ortolani è stato
un banchiere e faccendiere naturalizzato brasiliano. Finanziatore occulto con rapporti sia con il Vaticano sia con gruppi
della malavita, è ritenuto il vero capo della P2. Ricchissimo, aveva enormi proprietà in Sud America. Si veda:
https://www.youtube.com/watch?v=AKUbcjptPeA&ab_channel=italiamistero.
467
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella.
468
Ibidem.
469
Ibidem.
470
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 100.
117
cambiamento strategico ai vertici americani in coincidenza delle dimissioni del
presidente Nixon e la P2 in perfetta sintonia muta. Il golpe militare non è più attuabile
e si decide di passare a un progetto molto sofisticato, il cosiddetto Piano di Rinascita
Democratica del 1976: non più un intervento militare dopo una fase di
destabilizzazione pilotata ma una riforma istituzionale, con molto punti simili al
progetto di Edgardo Sogno, attraverso ministri, magistrati e militari della P2 piazzati
nei ruoli giusti. Questa manovra era già stata fatta nel SID, in modo specifico per Vito
Miceli, del quale come già detto Gelli si vantava di averne favorito la nomina a capo471.
Con la riforma del servizio segreto italiano nel 1977 e la nascita di SISMI e SISDE la
situazione sarà ancora in mano alla P2 in quanto vi apparterranno i due direttori
Francesco Santovito e Giulio Grassini oltre ad alti ufficiali.
La massoneria diventa inoltre elemento di raccordo tra estrema destra e mafia,
fenomeno che nel Golpe Borghese è ben visibile e che recenti processi (Gotha) ha
accertato in sede giudiziaria. Sarà infatti Carlo Morana, massone, a fare da emissario
di Borghese e a mettersi in contatto con i boss siciliani Giuseppe Di Cristina e Pippo
Calderone per «mettere a disposizione gli uomini delle cosche mafiose per un colpo
di Stato anticomunista in fase di avanzata preparazione»472. Per quanto riguarda la
Calabria ci aveva pensato il già citato marchese Fefè Genoese Zerbi a fare da anello di
congiunzione tra il terrorismo nero e le cosche locali, in particolare quella dei De
Stefano. In conclusione si può affermare che «il golpe, il suo rientro, il suo primo
occultamento e il suo successivo disvelamento siano stati un affare di famiglia della
loggia P2»473.
9.7 - I perché del fallimento e il senso profondo del golpe
Visti i fatti salienti della notte di Tora-Tora, è necessario ora capire le cause del
fallimento dell’operazione, a partire da quelle più semplici. Innanzitutto perché è
arrivato il contrordine: si dirà a causa della defezione dei carabinieri, di ampi settori
delle forze armate, di una insolita concentrazione di navi sovietiche nel Mediterraneo
e dell’immobilismo degli Stati Uniti. Per quanto riguarda questi ultimi è evidente come
parlare in modo generale di americani sia piuttosto fuorviante: come si è già detto i
centri di potere statunitensi sono innanzitutto molteplici e spesso in contrasto tra di
loro. È innegabile che ad alcuni di questi un’Italia autoritaria avrebbe giovato, ad altri
però uno spostamento eccessivamente a destra come si paventava non andava
proprio a genio. Perdipiù tale manovra, secondo il già citato William Rogers, avrebbe
471
Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia Massonica P2, documento XXIII n. 2, 1982, p.
97.
472
S. O. Salvini, 1995, p. 195.
473
Aldo Giannuli, op. cit., p. 355.
118
favorito addirittura la sinistra. Si deve infatti ricordare che secondo quanto racconterà
poi Adriano Monti, l’appoggio statunitense era dato in caso di un governo
emergenziale retto da Andreotti, non da Borghese o comunque da elementi di destra.
Come ipotesi piuttosto plausibile si ritiene inoltre che l’appoggio fosse stato in modo
vago, inducendo i golpisti a credere di avere gli americani dalla loro parte.
La lettura immediata dei fatti ci porterebbe a pensare che fortunatamente la
Repubblica italiana si è salvata da una svolta autoritaria grazie a questi motivi. Ciò
sarebbe vero se si considerasse il golpe Borghese nella maniera tradizionale e non in
una più complessa operazione politica, ovvero un’intentona. Infatti secondo Gianni
Flamini il golpe Borghese è stata un’operazione primariamente politica in quanto ha
bruciato la carta del colpo di stato alla greca: «Il vero golpe non poteva essere quello
del Fronte Nazionale. Per quanto filoamericano, la sua eccessiva qualificazione
fascista lo rendeva sgradito ai golpisti più seri, in cerca di una copertura di tipo
legalitario»474. La destra radicale viene mandata al macello politico da chi ha in mente
un programma eversivo meno rozzo e più sofisticato, per esempio la FIAT e la grande
industria, con la piena benedizione della NATO. Avviene «un regolamento di conti
all'interno del partito del golpe»475, silenzioso e senza spargimento di sangue. Chi
deve capire, capirà e dovrà tirarsi da parte per fare spazio al progetto della repubblica
presidenziale.
Una linea simile l’ha espressa, con un’integrazione rilevante, l’ex magistrato e poi
deputato Luciano Violante secondo il quale il golpe aveva due scopi: 1. dare un’altra
spallata al paese aggiungendo tensione, 2. mettere insieme i vari gruppi dell’estrema
destra, individuare un capo attendibile come Borghese per poi toglierli di mezzo,
poiché «si era capito che quel tipo di operazioni (golpe alla greca, nda) non serviva
più»476. L’estrema destra veniva in questo modo incoraggiata e poi fatta fuori,
sfruttando l’evento per dare un segnale alla sinistra e alla nazione intera: c’è un
pericolo golpe e solo un governo forte di centro poteva evitare questo rischio.
Secondo una vecchia intervista477 di Amos Spiazzi, personaggio da prendere con le
pinze sia per le giravolte nei suoi racconti negli anni sia per il ruolo importante che
spesso si è da solo attribuito, il progetto era in sintesi così: 1. spingere Borghese a fare
una manifestazione contro Tito, 2. rendere la manifestazione in qualche modo
474
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. secondo, p. 228.
475
Ivi, p. 222.
476
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”,
17.01.1990, raiplay.it,
https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-4461-9fae-
988fbd1eba72.html, min 148.
477
Ivi, min. 123.
119
violenta, 3. arrestare in flagranza i golpisti, 4. prendere benemerenza agli occhi del
paese con tale operazione e rafforzare così il regime. Sarebbe stata attuata in questo
modo la già citata «Esigenza Triangolo», un programma anti insurrezionale che
ricorda molto il Piano Solo, anche se non è in effetti chiaro contro chi doveva essere
attuata: contro i golpisti neri o politici e sindacalisti di sinistra? Probabilmente
entrambi, un bel repulisti generale avrebbe fatto comodo a tanti. Comunque come si
è detto in precedenza la visita del presidente jugoslavo Tito a Roma non verrà mai
effettuata e in ogni caso era prevista per l’11 dicembre, non per il 7. La tesi di Spiazzi
in ogni caso contiene una certa parte interessante, ovvero di come il golpe potesse
funzionare da specchietto per le allodole per una svolta vera: è di fatto l’ipotesi
sostenuta dallo storico Mirco Dondi secondo cui «il golpe Borghese avrebbe dovuto
essere un golpe civetta, inducendo una reazione dei militari per fare scattare un golpe
moderato, che mantenesse formalmente le vestigie democratiche»478. Tra i
protagonisti di questo possibile golpe atlantico gli ammiragli Birindelli, Roselli
Lorenzini e Torrisi. A supporto di tale tesi c’è la testimonianza di Paolo Aleandri, ex
membro di AN e quindi con un punto di vista interno alla vicenda, secondo cui a un
successo dei golpisti sarebbe scattato un piano di repressione con l’arresto di
esponenti politici e sindacali da parte dei carabinieri. L’attuazione di tale piano
avrebbe consentito l’instaurazione di un regime militare, sostenuto da forze
istituzionali: il promotore del coinvolgimento degli alti ufficiali sarebbe stato niente
meno che Guido Giannettini479.
Una linea interpretativa con elementi senza dubbio interessanti vedrebbe un
Borghese protagonista suo malgrado del golpe in quanto vittima di un ricatto. Tutto
parte negli anni ’60 quando Michele Sindona offre a Borghese la carica di presidente
onorario della Banca di Credito Commerciale e Industriale e, attraverso una serie di
intricate operazioni finanziarie, entrano nelle sue casse centinaia di milioni attraverso
il coinvolgimento di personaggi come Rafael Trujillo. Qualcosa però va storto e già nel
'68 arriva il crack per la banca, a cui farà seguito nei primi di marzo del ’71, a pochissimi
giorni dalla bufera del golpe, una comunicazione giudiziaria. Il giudice istruttore di
Roma Renato Squillante il 4 marzo contestò a Borghese e ad altre 18 persone, tra cui
José Maria Gil Robles480, reati che andavano dal falso nei bilanci all’appropriazione
indebita aggravata e alla illegale ripartizione degli utili per decine di miliardi481. Poco
più di un anno dopo, nel maggio del ’72, verrà disposto il rinvio a giudizio degli
478
Mirco Dondi, Golpe Borghese: un colpo di stato sotto lo sguardo di Giulio Andreotti, ilfattoquotidiano.it,
08.12.2020, https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/08/golpe-borghese-un-colpo-di-stato-sotto-lo-sguardo-di-
giulio-andreotti/6026417/.
479
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 102.
480
Legato all’Opus Dei spagnola.
481
Crack bancario: Valerio Borghese incriminato con Alfonso Spataro, "l'Unità", 05.03.1971.
120
amministratori dell’istituto finanziario, tra cui ovviamente Borghese. Alla vicenda
della bancarotta si lega non a caso la voce, già diffusasi all’epoca, secondo cui il golpe
fu tentato per coprire gli ammanchi di cassa del FN di cui si è già fatta menzione: il
Principe Nero si sarebbe appropriato dei soldi del Fronte per tentare di coprire i debiti
della sua banca. Può essere quindi che il comandante fosse stato ricattato per questa
vicenda, visti i personaggi potenti coinvolti, e costretto a organizzare un falso golpe
orchestrato su piani ben più alti? Lo scopo sarebbe stato mettere in atto una
provocazione contro l’estrema destra, Borghese ne sarebbe stato ben consapevole e
non un burattino: si spiegherebbe così ad esempio l’intervista concessa a Pansa a
pochissime ore dal tentativo di golpe, un’azione che come già detto appare del tutto
insensata.
Il fronte del golpe secondo Aldo Giannuli vedeva tre schieramenti coinvolti: 1. i fascisti
che credevano ingenuamente di poter instaurare un vero regime, 2. i doppio-golpisti
atlantici che avrebbero usato la vicenda Borghese come detonatore per un vero colpo
di stato, 3. i centristi che vi partecipavano un po’ per farlo fallire e un po’ per restarne
dentro nel caso fosse riuscito. A uscirne con le ossa rotte, furono, come detto più
volte, i primi: «Non è affatto irragionevole pensare che chi lo incoraggiò, per poi
ritrarsene, volesse proprio questo risultato»482. Capofila del terzo schieramento era
senza dubbio Andreotti che non poteva volere un governo emergenziale/autoritario:
in uno stato militare un politico puro come lui avrebbe avuto ruoli solo marginali.
Menzione merita anche il film del 1973 «Vogliamo i colonnelli», diretto da Mario
Monicelli, con riferimenti non troppo impliciti al Piano Solo e al Golpe Borghese. Nella
pellicola per esempio si fa riferimento a un piano, chiamato “Volpe Nera”, nel quale
si prevede di rapire il capo dello stato e occupare la sede della Rai. I congiurati
vengono ritratti in modo grottesco, sulla falsariga di come verrà percepito il golpe
Borghese per anni. Quel che è rilevante nel film è l’esito finale: anche qui il colpo di
stato non avviene ma dà il via a un contro-golpe che permette di isolare gli estremisti
e di instaurare uno stato autoritario. È in soldoni la medesima ipotesi di Spiazzi, del
professor Dondi e come si vedrà, degli ambienti comunisti, che però allo scrivente
risulta non attendibile tout court: perché non si è andati fino in fondo? Chi lo avrebbe
fatto? Siamo così sicuri che dopo un golpe reazionario riuscito le forze militari e le
forze dell’ordine, costituite da ampie frange fasciste, avrebbero arrestato il Principe
Nero e i suoi sodali? È piuttosto credibile che Borghese in caso di riuscita del tentativo
avrebbe dovuto poi comunque farsi da parte483 o con le buone o che le cattive ma si
commetterebbe un errore a giudicare così gli eventi: non si deve guardare al dettaglio
482
Aldo Giannuli, op. cit., p. 351.
483
Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, p. 102.
121
ma all’intero senso dell’operazione. Chi veramente contava non voleva un golpe
classico ma usarlo come arma di ricatto politico, un’intentona come si è detto, che
rientrava perfettamente nella strategia della tensione il cui fine ultimo va sempre
ricordato non è il colpo di stato ma uno stato costante di agitazione. Si avrà così infatti
negli anni seguenti il fenomeno del golpe strisciante in quanto il pericolo di un
governo dittatoriale si ripresenterà ciclicamente come uno spettro aleggiante,
tuttavia in forme più vaghe e senza mai più entrare nel vivo. La storia infatti ci dirà
che la carta del colpo di stato verrà agitata fino al 1974 ma con modalità diverse e
soprattutto nessuno dei tentativi successivi entrerà mai nella fase operativa.
La tesi sostenuta da Violante appare nel complesso la più fondata in quanto
comprende quella di Flamini e parte delle altre. Non c’è alcun spargimento di sangue,
il golpe funziona eccome e rivela che dietro ci sono dei disegni politici di una certa
complessità. I neofascisti fanno la figura degli allocchi in quanto sfruttati dalla politica
nelle lotte di potere interne a essa per poi essere messi fuori dai giochi:
I militanti che si proponevano il golpe armato erano strumento di una finalità più sofisticata rispetto
a cui rappresentano un attrezzo utile nelle mani di uno strato superiore ma non l’unico e soprattutto
non insostituibile484.
Il golpe viene arrestato a un minuto dall’ora X: è un segnale chiaro per una certa parte
politica, l’avvertimento per una svolta autoritaria che stavolta non è avvenuta ma in
futuro sì se non cambieranno certe situazioni. È piuttosto sintomatico sotto questo
aspetto che l’unico partito informato in tempo reale, ovvero il MSI, si limiti a osservare
cosa succede nella notte di Tora-Tora, senza prendere alcuna azione, come se già
sapesse che il progetto era destinato a fallire.
L’Italia dal ‘63 tende a spostarsi sul centro-sinistra, un fatto che una parte notevole
della classe dirigente non può accettare e fa di tutto per cambiare le regole del gioco
per tornare al centrismo o addirittura passare a un governo autoritario o quantomeno
presidenziale. Il progetto di golpe alla lunga in Italia si è rivelato peregrino in quanto
non c’è mai stato un colpo di stato tradizionale ma una serie di tentativi utilizzati come
avvertimenti politici e per impaurire la popolazione: ciò persegue infatti l’obiettivo
finale della strategia della tensione che non è il golpe ma uno stato costante di terrore
finalizzato a influire sugli equilibri politici. Quanto detto in ogni caso non esclude che
parecchie personalità rilevanti abbiano ininterrottamente fino al 1974 tentato il golpe
classico ma il fatto che non sia mai successo è sintomatico di quanto appena
affermato. La vicenda del ‘74 che più avanti si vedrà nel dettaglio confermerà
perfettamente questo punto in quanto la storia del golpe Borghese, ormai
484
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 108.
122
dimenticata, viene riesumata esclusivamente per lotte intestine sia nella DC sia tra i
generali del SID.
123
Capitolo decimo: la scoperta del golpe
10.1 - Le primissime reazioni
Il 17 marzo esplode il caso Borghese: le voci avevano iniziato a circolare a Roma già
dal primo pomeriggio dopo la pubblicazione di un dispaccio dell’agenzia Ansa in cui si
parlava di «gravissime responsabilità»485 riguardo un colpo di stato tentato da gruppi
della destra extraparlamentare l’anno precedente. La notizia veniva ripresa dal
giornale comunista «Paese Sera» di cui si è detto in apertura che parlava apertamente
di complotto fascista. Nel quotidiano, direttore all’epoca Giorgio Cingoli e vice Sandro
Curzi, si dava ampia notizia della vicenda: si menzionava di come l’ufficio politico della
questura di Roma fosse venuto a conoscenza delle attività del Fronte Nazionale di
Borghese, di depositi di armi e di un proclama alla nazione da diffondere dopo il golpe.
Si parlava anche di centinaia di perquisizioni che avevano permesso di rinvenire
«documenti compromettenti che dimostravano legami tra i cospiratori con ambienti
americani e greci»486.
Il polverone inevitabilmente scatenato dalle voci costrinse il ministro dell’Interno
Franco Restivo il giorno stesso a rispondere sia alla Camera sia al Senato alle varie
interrogazioni presentate. Con un discorso totalmente menzognero in quanto
«informato fin dall’inizio non solo dal concentramento di volontari nella palestra di S.
Croce e in un cantiere edile di Montesacro ma anche del fatto che il suo ministero era
stato occupato»487 Restivo disse:
Sono in grado di comunicare che le autorità di polizia hanno proceduto a perquisizioni nei domicili
di esponenti di movimenti extraparlamentari di estrema destra, dalla cui attività potevano dedursi
intendimenti eversivi. [...] Sono state eseguite complessivamente trentadue perquisizioni. In una
casa di campagna di Palestrina sono stati rinvenuti 11 chilogrammi di esplosivo vario. [...] Nel caso
presente non può ritrovarsi, a parte le responsabilità che vanno tutte rigorosamente accertate e
colpite, nulla che corrisponde agli allarmi che se ne sono dedotti488.
Nello stralcio del suo discorso alla Camera il ministro Restivo negava quindi l’ipotesi
di un colpo di stato, confermando quelle che Franco Venturini de “Il Gazzettino”
dichiarava «fantasiose illazioni»489. L’intervento del ministro chiaramente generò due
fronti politici: a sinistra grandi critiche per aver ridotto a nulla la portata del grave
episodio, al centro e a destra la classica accusa alla stampa per la «pubblicazione di
notizie allarmistiche che alimentano gli estremismi e intralciano le indagini della
485
Franco Venturini, Nessun colpo di stato, “Il Gazzettino”, 18.03.1971.
486
Ibidem.
487
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 100.
488
Franco Venturini, Nessun colpo di stato, “Il Gazzettino”, 18.03.1971. Il casolare in questione era di proprietà di tale
Filippo Francioli, conoscente di Junio Valerio Borghese.
489
Ibidem.
124
polizia». Le perquisizioni erano state svolte in varie città italiane, tra cui Milano e
Napoli, ma solo nella capitale parevano dare qualche esito: sulle stesse procura e
ministero mantenevano il classico «completo riserbo». All’estero la reazione era stata
piuttosto cauta e moderata. Degno di menzione ciò che scrisse il britannico
“International Herald Tribune” secondo cui i cospiratori sarebbero stati in contatto
con organizzazioni greche e americane490. Di nuovo dopo il caso del signor “P” si
riaffaccia il nome della Grecia mentre già qualcuno sapeva, con una trentina d’anni
d’anticipo, che a Washington il golpe era cosa nota.
Detto questo va puntualizzato necessariamente che le indagini ufficiali sul golpe
erano già partite qualche giorno prima: le telefonate dei principali protagonisti
venivano registrate infatti fin da dicembre mentre è per la precisione datata 11
marzo491 una nota dell’Ufficio politico della questura di Roma in cui veniva segnalato
che era successo qualcosa di clamoroso nella notte dell'Immacolata. È del 18 marzo
però l’avvio ufficiale del procedimento da parte del sostituto procuratore Claudio
Vitalone per «cospirazione politica mediante associazione»: venivano infatti fermati
e condotti a Regina Coeli Remo Orlandini, Sandro Saccucci e tale Giovanni Pinci,
guardiano di un casolare. Junio Valerio Borghese veniva invitato a presentarsi in
questura ma non lo faceva: al suo posto c’era invece il suo avvocato difensore Paolo
Appella, il quale affermava come non sapesse l’ubicazione dell’ex comandante della
X MAS. Il Principe Nero in realtà era ospite di Sigfrido Battaini492, uno dei principali
volti del Noto Servizio, e poi si trasferirà in Spagna. Nella casa di Borghese era stata
effettuata una settimana prima una perquisizione e in tale occasione erano stati
trovati tre proclami: uno, quello celebre che si è riportato in apertura, e altri due dei
quali praticamente non vi è più traccia che iniziavano con «Italiani, l’incapacità e
l’incertezza…» e «Italiani, nettamente ostili…»493. Lo stesso 18 marzo l’Ufficio politico
della questura di Roma inviava alla procura della Repubblica un sunto della vicenda
ottenuto grazie alle intercettazioni telefoniche dei protagonisti del tentato golpe che
come già detto erano sempre stati tenuti sotto osservazione:
All’indomani del 7 dicembre si è appreso che la sera precedente vari gruppi di aderenti
all’organizzazione erano stati convocati in diverse località del centro e della periferia di questo
capoluogo per un’imprecisata azione. L’operazione secondo alcuni avrebbe dovuto essere una
prova generale per un colpo di stato, secondi altri avrebbe dovuto essere un’azione di commandos,
490
Caute reazioni estere alle voci del complotto, “Il Gazzettino”, 20.03.1971.
491
Francesco M. Biscione, “Il partito del golpe nella strategia della tensione”, in “Dimensioni e problemi della ricerca
storica”, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n.
2, 2020, p. 55.
492
Renzo Paternoster, La brigata dell’Anello della Repubblica: “Impresa” per lavori sporchi, storiain.net, 01.05.2016,
http://www.storiain.net/storia/la-brigata-dellanello-della-repubblica-impresa-per-lavori-sporchi/. ,
493
Franco Venturini, Tre fermi di neofascisti primo risultato concreto, “Il Gazzettino”, 19.03.1971.
125
poi rinviata per inspiegabili motivi, motivi, diretta a rapire personalità (tra cui si indica il Ministro
dell’Interno e il capo dello Stato). [...] I proclami per un colpo di stato rinvenuti nella scrivania di
Orlandini, l'indicazione degli organi di un governo rivoluzionario e delle direttive dell’azione da
svolgere, hanno dato la riprova che i dirigenti del Fronte avevano organizzato effettivamente
un’azione diretta a sovvertire con la violenza i poteri costituiti dello Stato494.
Un rapporto abbastanza veritiero nel quale però non si fa menzione dell’occupazione
del Viminale che dura diverse ore e del prelievo dei mitra dall’armeria, un fatto
gravissimo del quale nessuno pare essersi accorto. Borghese, per cui viene emesso un
mandato di cattura per insurrezione contro lo Stato, è già fuggito in Spagna e a parlare
per lui sono i suoi avvocati Appella e Ungaro che con un comunicato affermano che
le riunioni di Roma della notte dell’Immacolata servivano solo a organizzare la
manifestazione in protesta alla visita del maresciallo Tito. Quanto al proclama per la
nazione Ungaro afferma che si tratti di una semplice «esercitazione retorico-
letteraria»495 mentre una lettera nello studio di Borghese scritta da Skorzeny veniva
sconcertatamente bollata come di nessuna importanza. È la prova di un contatto tra
l’ex Obersturmbannführer delle SS e il Principe Nero, di cui come detto si era occupato
Adriano Monti, che quindi c’è stato.
Il 2 aprile Bonaventura Provenza, questore di Roma, inviava al ministro Restivo una
relazione derivata dell'appena menzionato rapporto che però veniva drasticamente
ridimensionato: non si faceva cenno all’ipotesi di rapire Saragat, non si parlava più di
colpo di stato ma di «colpo di mano», «l’azione diretta a sovvertire con la violenza i
poteri costituiti» diventava una più blanda «azione a sovvertire le attuali istituzioni»
e infine l’indicazione sulle notizie apprese era data da un generico «nei giorni
successivi al 7 dicembre». I silenzi aumentano e le notizie più gravi vengono smorzate.
La discussione politica nel frattempo iniziava ad animarsi. Il primo ministro Colombo
non compare nelle voci, risultando di fatto esterno e di poco peso nella vicenda. Il
ministro della Difesa Tanassi cade dalle nuvole, così come il ministro dell’Interno
Restivo e il presidente della Repubblica Saragat. Quest’ultimo e Tanassi poi si
accuseranno a vicenda nelle classiche e meravigliose discussioni politiche nostrane
nelle quali pare si faccia a gara ad apparire più ignorante. Dirà infatti Tanassi,
informato già durante la notte di Tora-Tora dei movimenti dallo stesso Miceli496,
riferendosi a Saragat:
Se c'è uno che ha delle responsabilità è lui. Ricordo perfettamente che gli dissi tutto quello che
sapevo, almeno tutto quello che i servizi allora mi avevano raccontato. Gli chiesi se ritenesse
494
Lettera del vice questore di Roma, Bonaventura Provenza, alla procura della Repubblica di Roma del 18.03.1971,
cit. in Aldo Giannuli, op. cit., p. 347.
495
Franco Venturini, Ordinata la cattura di Borghese per insurrezione contro lo Stato, “Il Gazzettino”, 20.03.1971.
496
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 99.
126
opportuno che si prendesse pubblicamente posizione sulla faccenda. Mi rispose testualmente di no.
Che non valeva la pena di allarmare l'opinione pubblica per colpa di quattro straccioni497.
Il capo dello stato, nel suo primo intervento ufficiale dopo il clamore generale, mette
nello stesso calderone estremisti di destra e di sinistra, indicando che la salvezza è
solo in mezzo: in occasione del convegno nazionale dei maestri del lavoro dirà che
Di fronte alle indegne manovre di chi sogna ritorni impossibili ad un odioso passato reazionario che
ha gettato il nostro paese nel baratro di una guerra funesta [...] e di fronte alle illusioni di coloro che
pensano di poter raggiungere le mete della giustizia sociale soffocando la libertà politica, splende di
viva luce la nostra Costituzione498.
Quanto al ministro Restivo dirà di aver saputo dei fatti solo dopo le perquisizioni della
polizia, facendo finta di non sapere che decine di persone si erano introdotte al
Viminale a dicembre. Il suo operato verrà tranquillamente giudicato in sede
giudiziaria: nell’istruttoria il giudice Fiore scriverà che il ministro «fu tratto in errore e
fu indotto a rendere alla Camera delle dichiarazioni che poi la realtà processuale ha
rivelato inesatte499.
Se finora si è parlato di come reagì il potere politico e la magistratura alla notizia del
golpe, di cui sapeva in realtà parecchie cose fin da dicembre, due parole vanno fatte
riguardo alla risposta della popolazione italiana. I sindacati subito indissero uno
sciopero generale, cortei con la partecipazione di migliaia di persone si svolsero in
tutto il Paese: solo a Brindisi 10000 manifestanti scesero in piazza500. Le federazioni
del PCI e dei giornalisti di sinistra vennero presidiate dai militanti mentre l’Arci Caccia
fece cortei nei quali gli associati sfilarono con il fucile in spalla501. Una risposta molto
forte che fa capire perché a sinistra, nonostante si può dire con grande sicurezza che
gli ambienti comunisti fossero fin da dicembre a conoscenza del tentativo eversivo, si
preferì tacere per mesi: l’annuncio immediato del golpe avrebbe portato a una guerra
civile, testimoniata dal fatto che all’epoca pareva che il colpo di stato fosse in tempo
reale e non risalente a mesi prima. Tra i partiti democratici c’era stato un patto del
silenzio, stabilito dopo settimane di trattative tra opposizione e governo. C’era infine
anche la paura che i golpisti pensassero di non lasciare le cose a metà e portare a
termine quel che si era momentaneamente interrotto. Insomma, era stato meglio
mandare giù il boccone amaro.
10.2 - Il prosieguo delle indagini
497
Marco Sassano, SID e partito americano, Marsilio, Venezia 1975, p. 89.
498
Monito di Saragat contro l’eversione, “Il Gazzettino”, 21.03.1971.
499
Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
500
La risposta del Paese ai piani di destra scioperi cortei manifestazioni unitarie, “l’Unità”, 19.03.1971.
501
Aldo Giannuli, op. cit., p. 349.
127
Il 19 marzo502 lo stato di fermo di Mario Rosa, Sandro Saccucci e Remo Orlandini, già
in carcere a Regina Coeli, si tramuta in arresto come stabilito dal sostituto procuratore
della Repubblica di Roma Claudio Vitalone. Come già detto viene inoltre emesso un
ordine di cattura per Borghese, già fuggito in Spagna come un altro protagonista della
vicenda ovvero il massone Gavino Matta503, per il reato di insurrezione contro lo stato.
Vitalone alla stampa dichiara che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre si erano riuniti
centinaia di persone in tre palestre (Montesacro, Centocelle e via S. Croce in
Gerusalemme). Inoltre voci parlavano di liste di proscrizione trovate nelle
perquisizioni delle abitazioni dei tre arrestati. All’elenco dei fermati si aggiungerà poi
il 20 marzo Giovanni De Rosa.
In ogni caso fin da subito a sinistra ci si accorge che le indagini vanno avanti in modo
fiacco, minimizzando il più possibile quanto è accaduto. «L'atteggiamento di certe
autorità è tale da giustificare il sospetto che si sia lasciato volutamente trapelare
qualcosa per poi far mostra che si trattava di roba di poco conto»504. Infatti la
tendenza immediata sia della magistratura sia di una certa parte dell’opinione
pubblica è quella di limitare tutto al gruppo di Borghese o a qualche vecchio militare
in disarmo, senza mai salire di livello. Questa tendenza andrà avanti per decenni e
sarà sancita dalle sentenze giudiziarie. Lo stesso comandante viene dipinto dalla
stampa come un vecchio rimbambito: «La politica aveva determinato in Junio Valerio
Borghese una vera e propria astrazione dalla realtà»505.
Quanto al SID vengono in questo periodo prodotti due rapporti riguardo ai fatti di
dicembre. Il primo, redatto dal capo del reparto D Gasca Queirazza, segnalava
l’attività del FN come inesistente e che il golpe, se mai ci fosse stato, sarebbe stato
interrotto a causa dei contrasti e dei ripensamenti emersi tra i fautori dello stesso.
Nuovamente a Gasca Queirazza arriva invece ad aprile un rapporto molto
interessante, che poi si premurerà di far sparire, nel quale si segnalava l’ingresso dei
congiurati al Viminale. Riguardo questi avvenimenti «non sarebbero stati all'oscuro
l'ammiraglio Birindelli in funzione del suo incarico, il capo di stato maggiore della
Marina Roselli Lorenzini, il capo di stato maggiore dell’Esercito Mereu, il comandante
della III armata, il comandante delle fanterie del Sud Europa e alcune personalità del
Quirinale»506. I nomi di Birindelli, Roselli Lorenzini e Mereu come alleati dei golpisti
verranno sempre occultati o comunque mai processualmente coinvolti. Nello
specifico Birindelli, intervistato vent’anni dopo sui fatti del ‘70 da Sergio Zavoli, dirà
502
Franco Venturini, Ordinata la cattura di Borghese per insurrezione contro lo Stato, “Il Gazzettino”, 20.03.1971.
503
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 101.
504
Le dimensioni del complotto, “l’Unità”, 20.03.1971
505
La figura del capo del Fronte nazionale, “Il Gazzettino”, 20.03.1971.
506
Atti del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
128
in modo criptico: «Il golpe Borghese è stata un’ingenuità di alcuni, un’esaltazione di
altri, una montatura di altri ancora507». Alla domanda del giornalista su chi fermò i
congiurati rispose sorridendo «La pioggia».
Ritornando alle indagini il 22 marzo la procura di Roma emette un comunicato stampa
nel quale ridimensionava notevolmente il «presunto complotto»508: l’insurrezione
contro i poteri dello stato diventa una morbida accusa di cospirazione, da un possibile
ergastolo la pena massima diventava dodici anni per i responsabili principali e otto
per i secondari. Mentre all’elenco dei fermati si aggiungeva il colonnello Lo Vecchio,
Borghese si premurava di far pubblicare alla stampa una lettera difensiva: «La
montatura politica di tutta la storia è troppo evidente e andrebbe smascherata. Molto
bene è lumeggiata nelle illuminate e coraggiose dichiarazioni dell’on. Orlandi del PSDI.
La nostra organizzazione cercava di organizzarsi perché, se i comunisti fossero stati
sul punto di raggiungere il potere, non volevamo fare la fine dei polli»509. La lettera
viene letta a sinistra come prova che la congiura non era stata organizzata da quattro
pensionati ma da «gente che si è mossa e si muove tra persone che contano» 510.
Quanto all’Orlandi citato nella lettera si tratta di Flavio Orlandi, il quale in quei giorni
aveva reso dichiarazioni piuttosto oscure: minimizzando l’accaduto, si lamentava che
non ne fossero stati informati i carabinieri.
10.3 - Opposti estremismi
La stampa di sinistra comincia a rimuginare sui fatti, dando una visione del golpe che
poi più di qualcuno ha preso per buona: i 900 sediziosi riuniti tra Montesacro e le due
palestre avrebbero dovuto effettuare attentati contro le sedi dei partiti di destra in
modo da incolpare la sinistra. A quel punto sarebbe stato inevitabile un appello alla
restaurazione dell’ordine e approfittando della visita di Tito i militari avrebbero con la
forza preso il controllo511. Insomma, il golpe Borghese era un finto colpo di stato per
uno vero attuato dalle forze armate. Allo scrivente di nuovo questa ipotesi pare, se
non campata in aria quantomeno non del tutto veritiera, per una serie di motivi già
visti. Ciò che invece è evidente fin da subito è il fatto che gli arrestati sono pochissimi
e tali resteranno: Orlandini, Saccucci, Rosa, De Rosa e Lo Vecchio più il latitante
Borghese. Difficile quindi pensare di fare anche solo atti dimostrativi con sei persone,
di conseguenza a fronte di nessun arresto ulteriore nell’opinione pubblica la vicenda
507
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990,
raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-
4461-9fae-988fbd1eba72.html, min 22.
508
Franco Venturini, Molto ridimensionato il presunto complotto, “Il Gazzettino”, 23.03.1971.
509
Ibidem.
510
La magistratura conferma il complotto, “l’Unità”, 23.03.1971.
511
Marcello Del Bosco, Complotto: gravi interrogativi sui limiti posti all'inchiesta, “l’Unità”, 24.03.1971.
129
era destinata a sgonfiarsi. Dalle perquisizioni effettuate a casa di Borghese esce una
lista di diversi ammiragli che sarebbero stati dalla sua parte ma secondo il procuratore
generale di Roma Carmelo Spagnuolo erano solo vecchi compagni d’accademia del
comandante. Così tanto per dare una notizia l’appena citato Spagnuolo è membro
della P2, è a Roma da poco tempo e con il suo intervento bloccherà molti processi
scomodi per il potere (es. Cefis). Inoltre «L’Espresso» pubblica del materiale riservato
noto come “Operazione Atlantide”512: è un piano per l’occupazione del Paese
effettuato grazie all’appoggio totale delle forze armate e con il supporto di reparti
paramilitari di volontari, redatto in una forma dettagliata con la dislocazione delle
varie truppe e degli armamenti. Un piano del genere inevitabilmente non poteva che
arrivare da ambienti NATO ma la sua storia è quanto mai nebulosa. Va infine segnalato
che il 23 marzo arriva a “Paese Sera”, un volantino firmato Gersi, indirizzato a uno dei
giornalisti con la minaccia «Siete uno dei responsabili e come tale sarete colpito»513.
Messaggi simili sono inviati in varie parti d’Italia, con la medesima firma. Gersi,
acronimo di Giunta esecutiva riscossa sociale italiana, sarà una delle formazioni attive
nel futuro progetto della Rosa dei venti.
C’è una coincidenza inquietante con l’avanzare delle indagini: in contemporanea
emergono le Brigate Rosse. Non essendo di grande interesse per questa trattazione il
terrorismo di sinistra non è stato praticamente analizzato finora ma va detto che nello
stesso momento in cui le indagini fanno intravedere che il golpe Borghese non era
una farsa la teoria degli opposti estremismi diventa reale. Il 24 marzo infatti delle
perquisizioni a Milano fanno emergere il nome di «Renato C.»514 come il capo delle
fantomatiche Brigate Rosse. Si tratta ovviamente di Renato Curcio, primo storico capo
della BR, ritenuto a lungo il responsabile di un attentato alla pista di prova degli
pneumatici della Pirelli avvenuto a Linate due mesi prima515. Un tentativo di cercare
un piccolo contrappeso alle rivelazioni sul golpe? Tra l’altro lo stesso Curcio e l’altra
persona indagata, tal Enrico Castellini, vengono definiti «teppisti al servizio della
destra»516 dalla stampa di sinistra. Due giorni dopo a Genova viene rapinato l’Istituto
case popolari e nell’azione resta ucciso un usciere. L’azione è stata compiuta da due
componenti del gruppo XXII Ottobre che poco dopo vengono arrestati. La banda, il cui
capo Mario Rossi è il responsabile dell’omicidio, viene in breve sgominata dal
sostituto procuratore Mario Sossi: passerà come un gruppo di sinistra pur avendo tra
512
Marcello Del Bosco, Erano previste collusioni di militari, “l’Unità”, 25.03.1971.
513
Mirco Dondi, op. cit., p. 262-263.
514
Forse individuati i capi delle «Brigate rosse», “Il Gazzettino”, 25.03.1971.
515
L’attentato, avvenuto il 7 gennaio nel deposito copertoni della Pirelli-Bicocca, era stato realizzato da uomini del
MAR di Carlo Fumagalli ed era costato la vita a un operaio che era morto tentando di spegnere l’incendio. Si veda S.O
Salvini, 1995, p. 139.
516
Trovate due rivoltelle in abitazioni perquisite, “l’Unità”, 25.03.1971.
130
i membri filo fascisti e delinquenti comuni. Sossi sarà il P.M. nel processo che sancirà
l’ergastolo per Rossi e per questo vittima del celebre sequestro delle BR nel ‘74.
10.4 - “Indagini” per non scoprire niente
Tra gli arrestati il primo a dire qualcosa è Saccucci, o meglio il suo avvocato: dice che
il suo assistito non ha avuto contatti con il Fronte Nazionale né con Borghese e nella
notte del golpe era a letto517. Le indagini nel frattempo sono praticamente ferme e
tali resteranno: delle centinaia di partecipanti alle riunioni nelle palestre non si riesce
a sapere il nome mentre le prove agli atti restano piuttosto indiziarie e non
schiaccianti. L'unica sostanziosa, dieci chili di esplosivo «dello stesso tipo usato negli
attentati in Alto Adige»518, viene trovata in un casolare di Palestrina ma nonostante le
future perizie verrà ignorata. Nel frattempo l’ammiraglio Birindelli, molto tranquillo
da indagini che lo toccheranno solo di striscio anni dopo, in un’intervista dichiara che
in caso di un’entrata al governo dei comunisti tra le forze armate ci sarebbero
parecchi casi di crisi di coscienza519. Dichiarazioni gravi di minaccia non tanto velata
che arrivano da un personaggio di grande peso internazionale.
Le indagini come già detto più volte vanno avanti a singhiozzo e iniziano a emergere
le prime ipotesi sul perché del rinvio dell’azione nel momento decisivo. “l’Unità”,
sostenendo sempre la tesi del golpe civetta, oltre a possibili problemi tecnici parla di
contrasti tra i cervelli ovvero i finanziatori e gli esecutori:
I primi, appunto Ie idee Ie avevano ben chiare, il colpo si poteva tentare solo attraverso quella
strategia; gli altri forse si erano convinti di poter andare oltre, sognavano i colonnelli, fantasticavano
di prendere realmente loro le redini del gioco e di non dover invece passare subito la mano una
volta esaurito il loro compito di semplici guastatori.520
Tra le novità di rilievo emerge per la prima volta la voce di strani movimenti di uomini
nella notte del tentato golpe in Via Teulada mentre il 28 vengono arrestati Roberto
Besutti ed Elio Massagrande521, in quanto ritenuti appartenenti a un’organizzazione
paramilitare responsabile di attentati e in probabile contatto con Borghese.
L’inchiesta a livello nazionale è guidata dal P.M. Vittorio Occorsio e porta tre giorni
dopo all’arresto del capo del MPON Clemente Graziani, il quale a titolo di cronaca
abita in un lussuoso appartamento ai Parioli522, e al coinvolgimento di Giancarlo
Rognoni. La loro accusa non riguarda la partecipazione al golpe ma la ricostituzione
517
Aldo Zeri, Ora nell’«affare Borghese» anche un’operazione Antartide, “Il Gazzettino”, 26.03.1971.
518
Scarcerati i cinque «golpisti», “l’Unità”, 26.02.1972.
519
Casi di coscienza nelle Forze Armate, “Il Gazzettino”, 26.03.1971.
520
Aldo Tortorella, Bombe, complotti e moderatismo, “l’Unità”, 28.03.1971.
521
Altri due fascisti arrestati a Verona: sarebbero gli autori di vari attentati, “Il Gazzettino”, 30.03.1971.
522
Arrestato il capo di «ordine nuovo», “l’Unità”, 02.04.1971.
131
del PNF. Come una scure si abbattevano però le parole di Franco Restivo che alla
commissione del Senato forniva i risultati derivati dall’inchiesta della polizia fino a
quel momento: un ulteriore ridimensionamento di fatti che secondo il ministro
dell’Interno non erano proprio avvenuti. Riferendo che l’azione del FN era seguita fin
da agosto a causa di voci che segnalavano atti clamorosi in vista del 7 dicembre:
Venne acquisito il dato informativo che un gruppo di elementi della destra extraparlamentare
intendeva svolgere nella notte stessa un’azione dimostrativa. Gli organi di PS e i carabinieri
attuavano allora immediatamente adeguate misure preventive. Tuttavia nessuna azione esterna di
carattere eversivo si manifestò in quella circostanza. Nel corso di ulteriori accertamenti si è appreso
che un gruppo di aderenti al FN si era riunito verso le 22 del 7 dicembre in una palestra con l’asserito
motivo di assistere a una proiezione cinematografica. [...] Effettivamente detta riunione rientrava in
un programma di azione che il FN si proponeva di sviluppare523.
Confermando i collegamenti dei sospetti con varie zone d’Italia, Restivo smentiva
l’esclusione dei carabinieri dalle indagini, le quali portarono a 35 perquisizioni a fronte
delle migliaia di cui aveva mormorato la stampa. Il ministro chiudeva così il suo
intervento: «Non vi sono motivi di allarme». Non è successo quindi un bel niente
secondo la versione del Viminale, «nessuna azione esterna di carattere eversivo si
manifestò». L’intervento del ministro azzerava così il tentativo di dicembre,
derubricato all’azione di pochi singoli che, secondo lui, alla prova dei fatti non avevano
poi compiuto nulla di sostanzioso.
Nel frattempo le voci su movimenti strani di truppe della Forestale prendono
decisamente corpo: un intero battaglione, diretto dal comandante della scuola allievi
sottufficiali Luciano Berti, sarebbe partito verso le 23 da Cittaducale su diversi
automezzi alla volta della capitale:
La colonna, composta da 300 uomini con pullman, gipponi, un camion di viveri, sarebbe quindi stata
dirottata nella zona dello stadio Olimpico, alle spalle dell'edificio della RAI-TV. Dopo alcuni giri a
vuoto, alle 4 del mattino, la colonna sarebbe rientrata a Cittaducale. Insieme agli allievi sottufficiali
partirono alla volta di Roma due autoambulanze cariche di armi, fra cui anche un lanciafiamme 524.
Berti a questo punto usciva allo scoperto, rilasciando il giorno dopo delle dichiarazioni
all’agenzia di stampa Ansa: la notte dell’Immacolata confermava di aver effettuato
un’esercitazione a Roma ma si trattava esclusivamente di questo e le truppe che
dirigeva erano dirette ai Colli Albani, non agli studi RAI per aiutare Borghese nel golpe.
Inoltre Berti, tecnicamente non un colonnello ma un alto funzionario del ministero
523
Franco Venturini, Del tutto velleitari i propositi eversivi di Valerio Borghese, “Il Gazzettino”, 31.03.1971.
524
Marcello Del Bosco, Complotto: il giudice nella palestra dei parà usata per il raduno, “l’Unità”, 01.04.1971.
132
dell’agricoltura, aggiunge poi di non conoscere Borghese e il motivo
dell’annullamento dell’esercitazione era stata la pioggia torrenziale525.
Il giudice istruttore Marcello De Lillo, su richiesta del sostituto procuratore Claudio
Vitalone, il 4 aprile emette otto mandati di comparizione, non rendendo noti però i
nomi degli incriminati. Lo stesso De Lillo prende iniziativa e fa cadere l’alibi degli
indagati secondo la stampa: va a visionare il film “Berlino, dramma di un popolo”, che
sarebbe stato proiettato la notte del golpe ma a domande specifiche sulla trama
nessuno degli indagati sa rispondere526. In realtà però l’unico che avrebbe potuto
vederlo è Saccucci, gli altri fermati non erano nei fatti presenti nella palestra di via
Eleniana. De Lillo e Vitalone nel proseguimento dell’istruttoria si recano a Cittaducale
dove interrogano Luciano Berti, il quale conferma di non conoscere assolutamente
Borghese e che l’esercitazione del 7 dicembre era stata annullata a causa della pioggia
copiosa. Agli atti finiscono anche delle piantine degli studi Rai che un presunto
partecipante all’azione eversiva aveva consegnato al quotidiano “Paese Sera”. Il clima
delle indagini non pare comunque buono: «in certi ambienti è stata lamentata la
scarsa collaborazione di alcuni personaggi dell'apparato di sicurezza dello Stato, e che
inoltre sono state ventilate pressioni politiche per giungere a un insabbiamento
dell'inchiesta»527. Mentre alla lista dei fermati si aggiunge un pesce piccolo, l’ex parà
Alessandro D’Angelo, è molto più rilevante la notizia che emerga il nome di Stefano
Delle Chiaie, citato in una lettera trovata nello studio di Orlandini528. Quest’ultimo
viene perciò interrogato ma ovviamente disconosce la paternità dello scritto.
10.5 - Un clima in tutti i sensi nero
Il clima in cui si svolge l’indagine sul golpe come si è detto pareva già all’epoca non
del tutto sereno. A sostegno di tale ipotesi c’è un tema che si era sviluppato proprio
appena prima dell’esplosione del caso Borghese a metà marzo. L’11 marzo a Milano,
dopo una prova generale avvenuta a Torino pochi giorni prima, si era infatti svolta la
prima grande manifestazione di quel movimento che passerà poi alla storia come
Maggioranza Silenziosa. Il principale animatore è l’avvocato monarchico Adamo Degli
Occhi insieme a Massimo De Carolis, anche lui avvocato e capogruppo della DC in
consiglio comunale mentre il giornalista Luciano Buonocore ne era il segretario e
curava la rivista “Lotta Europea”. A comporla vi erano la destra clericale e
anticomunista, con una certa infiltrazione di elementi filofascisti. La manifestazione è
un successo poiché da poche centinaia di persone alla partenza la massa si gonfia fino
525
Arrestato a Roma un dirigente di «Ordine nuovo», “Il Gazzettino”, 02.04.1971.
526
Cade l'alibi agli arrestati per il complotto, “l’Unità”, 05.04.1971.
527
Marcello Del Bosco, Pressioni per insabbiare l’indagine sul complotto, “l’Unità”, 08.04.1971.
528
Marcello Del Bosco, Arrestato un ex parà, “l’Unità”, 17.04.1971
133
a raggiungere alcune migliaia. L’espressione “maggioranza silenziosa” non era una
novità in quanto usata in precedenza dal presidente americano Nixon529. Si tratta
comunque di molto più di un semplice movimento d’opinione in quanto era un
gruppo di potere agganciato alle istituzioni, all’editoria, alla massoneria e ai servizi
segreti530. Il 16 aprile, proprio alla vigilia della seconda grande manifestazione della
Maggioranza Silenziosa due quotidiani di destra rendono pubblico un rapporto
redatto dal prefetto di Milano Libero Mazza e inviato al ministro Restivo il 22
dicembre dell’anno precedente, nel quale era ben evidente la tesi degli opposti
estremismi. Secondo il prefetto a Milano i gruppi anarchici, maoisti e di estremista
sinistra in generale ammonterebbero in totale a 20000 unità, i quali secondo lui
disporrebbero di «organizzazione, equipaggiamento ed armamento che può
qualificarsi paramilitare. Non è da dubitare che ci si trovi di fronte ad associazioni che
perseguono finalità eversive elevando la violenza a sistema di lotta»531. Il fatto che
venga resa pubblico alla vigilia della manifestazione non appare casuale: nella notte
due sedi di PCI e PSI subiscono un attacco, la questura vieta lo svolgimento della
marcia all’ultimo secondo e di conseguenza ne nascono scontri violenti che portano a
84 fermi e 10 feriti532. Inoltre la sinistra reagirà duramente al rapporto Mazza, sia nella
stampa che alla Camera con tre interrogazioni parlamentari. Proprio a Milano
agiscono invece in grande numero organizzazioni neofasciste come “La Fenice” di
Giancarlo Rognoni e le famigerate SAM (Squadre Azione Mussolini) guidate da
Giancarlo Esposti, responsabili di decine di attentati dinamitardi in quel periodo.
Infine due fatti di contorno: è proprio in questo periodo che spunta la pista nera per i
fatti di Piazza Fontana: il giudice istruttore di Treviso Gianfranco Stiz emette un
mandato di cattura per Franco Freda, Giovanni Ventura e Aldo Trinco, commesso della
libreria di Freda. Inoltre, a fine marzo avviene la visita di Tito in Italia e per mettere
un po’ di pepe torna di moda una bomba ferroviaria: nella notte tra il 24 e il marzo
esplode un ordigno fra le stazioni di Latisana e Palazzolo della Stella nella bassa
friulana provocando medi danni. Un atto analogo avviene il giorno seguente quando
viene fatto saltare un binario a Basiliano, a 30 chilometri di distanza. La stampa scrisse
che era opera di «Un fanatico o di un esaltato avulso da un’organizzazione politica
529
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 21.
530
De Carolis era strettamente legato agli ambienti del Noto Servizio. Per approfondire la sua figura si veda Gianni
Barbacetto, L’uomo dal sorriso carnivoro, giannibarbacetto.it, http://www.giannibarbacetto.it/massimo-de-carolis-
luomo-dal-sorriso-carnivoro/.
531
22 dicembre 1970. Lo «scandaloso» rapporto sull’ordine pubblico redatto dal prefetto di Milano Libero Mazza,
spazio70.com, https://spazio70.com/media/documenti/22-dicembre-1970-lo-scandaloso-rapporto-sullordine-
pubblico-redatto-dal-prefetto-di-milano-libero-mazza/?cn-reloaded=1.
532
Guerriglia a Milano tra estremisti e forze dell’ordine, “Il Gazzettino”, 18.04.1971.
134
ben determinata»533. In realtà era l’esatto opposto in quanto i responsabili erano
Vincenzo Vinciguerra e gli ordinovisti di Udine.
10.6 - L’indagine si arena: tutti scarcerati
L’attività istruttoria sul caso Borghese procede nei mesi seguenti assolutamente a
rilento e non porta a nessuna novità sostanziale. La procura romana chiede lumi sul
tentato golpe a Vito Miceli che dall’alto del comando del SID qualcosa dovrebbe
sapere. Il generale risponde in modo elusivo, affermando come:
Il servizio venne a conoscenza, nella notte sull'8 dicembre 1970, da fonte fiduciaria, che un gruppo
di appartenenti all'estrema destra extraparlamentare avrebbe inteso effettuare, la notte stessa, un
imprecisato gesto clamoroso in contrapposizione alle recenti manifestazioni effettuate dall'estrema
sinistra extraparlamentare. Dai controlli immediatamente disposti non emerse alcuna conferma
della notizia riferita. Ciò nonostante, considerata la attendibilità della fonte, questo servizio
provvide ad informare subito i competenti organi di pubblica sicurezza e dell'arma dei carabinieri.
Ogni ricerca informativa in merito svolta dal servizio, nel quadro dei compiti istituzionali, ha portato
all'esclusione di collusioni, connivenze o partecipazioni di ambienti o persone militari in attività di
servizi534.
È lampante come le parole di Miceli siano assurde, in quanto nega le collusioni degli
ambiti militari con degli eventi che a suo dire non sono successi. La risposta
incredibilmente viene ritenuta affidabile dal giudice istruttore Marcello De Lillo. Solo
due anni dopo Vitalone la definirà un «assunto assolutamente capzioso ed elusivo»535.
Per ora però questa lettura va bene a tutti. Quanto agli arrestati Orlandini invece che
in carcere sta trascorrendo i giorni nella ben più confortevole “Villa Margherita”,
clinica romana dove era stato ricoverato per non meglio precisati motivi di salute.
Sempre ad agosto riceve la visita del capo del SID Miceli che, come spiega il giudice
istruttore Fiore, gli aveva in un certo modo manifestato la propria vicinanza:
Il Miceli lo incontrò in una sala della clinica e gli fece intendere che avrebbe voluto parlargli, ma non
fu possibile per la presenza di altre persone, gli fece allora un cenno con un dito sul naso, come per
fargli intendere che era opportuno tacere. Tale invito al silenzio non poteva che avere un inequivoco
significato: era quello il periodo più delicato dell'attività istruttoria seguita agli arresti del marzo
1971 e l'Orlandini, all'epoca detenuto e quindi non in condizioni di comunicare con l'esterno,
avrebbe potuto riferire agli inquirenti più di quanto sarebbe stato necessario dire. Un invito a tacere
ovvero anche un semplice gesto di intesa, di incoraggiamento, stava a significare che l'Orlandini non
doveva sentirsi solo e abbandonato; equivaleva, insomma, ad un invito a stare tranquillo, ché ad
aiutarlo ci avrebbe pensato lui, Miceli, in un modo o nell'altro536.
533
Dario Ferrazzi, Salta un binario nei pressi di Udine, “Il Gazzettino”, 27.03.1971.
534
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
535
Ibidem.
536
Ibidem.
135
Le indagini sono da tempo in secca: l’istruttoria, dopo un ricorso alla Cassazione da
parte degli avvocati degli indagati, viene clamorosamente tolta al giudice istruttore
De Lillo537 e rimane negli uffici di Piazza Cavour. C’è un dato abbastanza clamoroso
che fa capire la situazione: nei faldoni dell’inchiesta i testimoni vengono sentiti dal 2
aprile al 2 settembre 1971, dopodiché la testimonianza successiva arriva solo nel ‘74
con la riapertura delle indagini538. Insomma, già a settembre l’iter si era fermato. Il 25
febbraio del 1972, ormai decaduti i termini per la detenzione, per mancanza di indizi
vengono scarcerati dalla Corte d’Appello Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro
Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Giovanni De Rosa. Da notare che nessuno dei cinque
si trovava in carcere, bensì erano tutti “ricoverati” in lussuose cliniche della capitale,
tranne Saccucci, che aveva preferito farsi ospitare nell'ospedale militare del Celio539.
Alquanto singolari le parole della Corte: gli accusati «non avrebbero disdegnato il
ricorso alia violenza e alla sopraffazione pur di raggiungere le proprie finalità»540 ma
nonostante i sospetti non ci sono prove reali e quindi vanno liberati. La loro
scarcerazione, arrivata nonostante l’opposizione di De Lillo e Vitalone, era stata
richiesta da giorni dalla destra con manifestazioni pubbliche e volantini per le strade.
La notizia viene accolta con parole festanti dai giornali ultraconservatori, a cui si
aggiunge una critica verso la magistratura e la stampa: per esempio il «Giornale
d’Italia» parlerà di «undici e più mesi di reclusione inflitti a cinque cittadini, colpevoli
soltanto di reati d'opinione, in base alle fantasiose illazioni della stampa di sinistra»541.
L’unico per cui non cade il mandato di arresto è Junio Valerio Borghese ma anche per
lui sarà solo una questione di tempo.
10.7 - Virata a destra
La scarcerazione dei principali imputati per il golpe Borghese si inserisce in un clima
politico che ha il sapore di una evidente virata a destra della politica italiana. Finito il
mandato di Saragat è necessario eleggere il nuovo presidente della Repubblica: a
spuntarla è il democristiano Giovanni Leone, già premier in due governi “balneari”542
nel ‘63 e ‘68, eletto al 23° scrutinio (un record). C’è un fattore decisivo da far notare:
la sua candidatura è stata appoggiata in modo decisivo dal MSI che con 42 voti 543 fa
537
Paolo Gambescia, Vogliono scarcerare i golpisti di Borghese, “l’Unità”, 19.02.1972.
538
Francesco M. Biscione, “Il partito del golpe nella strategia della tensione”, in "Dimensioni e problemi della ricerca
storica”, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n.
2, 2020, p. 70.
539
Scarcerati i cinque golpisti. Si vuole far tornare Borghese, “l’Unità”, 26.02.1971.
540
I retroscena della scandalosa liberazione dei «golpisti», “l’Unità”, 27.02.1972.
541
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 117.
542
Nel gergo della cronaca parlamentare si intendono quegli esecutivi nati tra giugno e agosto con l'unico obiettivo di
durare fino ai primi freddi.
543
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 98.
136
pendere l’ago della bilancia verso Leone che supera di un soffio il quorum. Neanche
due mesi di tempo e cade il governo presieduto da Enrico Colombo a causa dell’uscita
del PRI dalla maggioranza. Da un moderato centrosinistra si passa a un monocolore
DC con una «linea di destra»544, retto da Giulio Andreotti; Mariano Rumor va agli
Interni mentre Franco Restivo alla Difesa. Passano dieci giorni e il presidente Leone
scioglie ufficialmente le Camere: il nuovo governo non riesce ad ottenere la
maggioranza e il capo dello stato opta per le elezioni anticipate a maggio, le prime
nella storia repubblicana. Appena prima, il 23 febbraio, si era aperto a Milano il
processo contro Pietro Valpreda e gli anarchici in un clima infuocato. Il Paese è
sull’orlo del baratro e una notizia di contorno, sempre di questo tremendo periodo,
con gli occhi di adesso viene riletta in ben altra ottica: ad Aurisina, vicino Trieste, viene
casualmente scoperto un deposito di armi ed esplosivi: «Tutte armi nuovissime, in
perfetto stato di efficienza. La provenienza delle pistole, di fabbricazione americana
e spagnola, dovrebbe essere una traccia consistente; le istruzioni in inglese e
francese»545. Si tratta di uno dei nascondigli di Gladio, noti in gergo come Nasco. È il
primo ad essere ufficialmente trovato.
544
Il PCI denuncia la svolta a destra DC e i pericoli per il Paese, “l’Unità”, 26.02.1972.
545
Deposito fascista di esplosivi scoperto dai carabinieri a Trieste, “l’Unità”, 26.02.1972.
137
Capitolo undici: il ritorno dello stragismo nel 1972
11.1 - Premessa
A questo punto l’analisi sul golpe Borghese potrebbe fare un salto di due anni
abbondanti fino alla consegna da parte di Giulio Andreotti del cosiddetto
“malloppone” alla procura di Roma nel settembre del ‘74. Sarebbe una via comoda e
veloce tuttavia superficiale in quanto si dimenticherebbero completamente degli
eventi di portata storica per il nostro paese, partendo dai primi atti violenti dei
brigatisti fino alla strage dell’Italicus, accaduti nel periodo in mezzo. Sono fatti
talmente importanti che non si può evitare di menzionarli: come detto in apertura la
vicenda del golpe Borghese può essere compresa appieno solo se inserita nel
complesso degli eventi di quegli anni.
Se il 1971 è stato un anno “interlocutorio” riguardo azioni violente e morti, l’anno
seguente sarà decisamente tragico e decisivo per la strategia della tensione. Il 1972 è
stato definito, forse non a torto, «l’anno più torbido della Repubblica546»: in 365 giorni
oltre alla scarcerazione degli imputati per il golpe avvengono il debutto ufficiale delle
Brigate Rosse e il memoriale Pisetta, la morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli,
l’attentato di Peteano, l’assassinio del commissario Luigi Calabresi, la pista nera per
Piazza Fontana si fa calda, il ritrovamento del finto arsenale di Camerino e si svolgono
le prime elezioni anticipate della storia repubblicana. E non va dimenticato che sullo
sfondo si sviluppano due progetti golpisti, quello presidenziale-legalitario di Edgardo
Sogno e quello militare legato all’organizzazione nota come Rosa dei venti, mentre un
terzo era andato a vuoto.
11.2 - Il mese di marzo
Il giudice trevigiano Giancarlo Stiz il 2 marzo 1972 ordina l’arresto di Pino Rauti: dopo
un anno dai mandati di cattura per Freda e Ventura la pista nera per Piazza Fontana
si è notevolmente allargata e comprende gli attentati alla Fiera Campionaria del 25
aprile ‘69 e quelli sui treni di agosto del medesimo anno. Il suo arresto arriva dopo le
dichiarazioni di Marco Pozzan, il quale ha ammesso che l’ex capo di ON era presente
alla riunione del 18 aprile in cui si era messa a punto la strategia stragista. Con l'arresto
di Rauti il clima che circonda l'istruttoria si fa pesantissimo: la paura prende il
sopravvento in alcuni imputati che come Pozzan ritratteranno in parte le loro
dichiarazioni. La reazione a destra sfiora l’isterismo e la magistratura è vittima di
attacchi durissimi: le minacce a Stiz si fanno innumerevoli, «lettere minatorie e
proiettili di avvertimento gli giungono quasi quotidianamente per posta»547. Il lavoro
546
Sandro Provvisionato, op. cit., p. 84.
547
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 123.
138
di scavo dei giudici e di ricostruzione dell'attività dell'organizzazione terroristica si fa
estremamente difficoltoso.
Nel mese di marzo Milano e la sua periferia sono il centro di tre fatti accaduti in
pochissimo tempo. Il 3 le BR fanno il loro esordio sulla scena con il rapimento di un
dirigente della SIT-Siemens: è il primo sequestro politico nella Prima Repubblica,
«Cominciano ufficialmente gli anni di piombo548». L’11 si concentrano dei gruppi di
estrema sinistra (Lotta Continua, Potere Operaio), nonostante il divieto della
questura: la polizia carica e resta ucciso un passante, il pensionato Giuseppe
Tavecchio, colpito da un candelotto sparato dalla Celere. Una tragica fatalità o «un
lancio fuori dalle regole che autorizza a pensare a un incidente cercato?»549. In un
climax ascendente l’episodio clou avviene il 14: a Segrate, periferia milanese, viene
trovato sotto un traliccio il cadavere dilaniato dell’editore e leader dei GAP
Giangiacomo Feltrinelli. Il traliccio è minato, così come un altro poco distante: sono
in realtà cariche innescate male che non avrebbero potuto esplodere, come se le
avesse messe qualcuno che doveva recitare una parte. Con sé ha dei documenti falsi
intestati a tale Vincenzo Maggioni ma anche la fotografia della moglie e del figlio
Carlo, un fatto a dir poco strano se non voleva farsi identificare. Così come la mezza
banconota da mille lire trovata in tasca, «il sistema adottato all’interno
dell’organizzazione Gladio per la distribuzione delle armi»550. A meno di 300 metri da
dove viene trovato Feltrinelli ha sede la Demolizione Industriale Autoveicoli, un
autodemolitore di proprietà di Carlo Fumagalli di cui quest’ultimo se ne disfece
curiosamente poco dopo. Una coincidenza alquanto sinistra che dà spazio a parecchie
voci, considerando che forse «Feltrinelli finanziava Carlo Fumagalli»551 e che i due
erano stati visti la sera prima in un albergo di Vimodrone. Il giudice istruttore milanese
Antonio Amati nella sua sentenza del 1976 accoglierà la tesi del pubblico ministero
Guido Viola dell'incidente sul lavoro, segnalando che Feltrinelli quel giorno era in
compagnia di altre due persone tuttavia mai identificate. A oggi quella dell’omicidio
di Feltrinelli rimane un’ipotesi non campata in aria: quella di una messinscena creata
ad arte per rilanciare il pericolo del terrorismo rosso è un’idea non proprio peregrina.
11.3 - Le elezioni politiche e la morte di un commissario
Il 7 maggio il popolo italiano si reca alle urne per le elezioni politiche, le prime svolte
in modo anticipato della storia repubblicana. La campagna elettorale dallo
scioglimento del parlamento era stata «all'insegna di una violenta guerra psicologica,
548
Sandro Provvisionato, op. cit., p. 90.
549
Mirco Dondi, op. cit., p. 267.
550
Sandro Provvisionato, op. cit., p. 95.
551
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 136.
139
della rincorsa a destra della DC in competizione col MSI, dei finanziamenti americani
ai partiti della “centralità”, della strumentalizzazione del terrorismo per calcoli politici
di parte»552. I missini si presentano alle elezioni con la nuova sigla MSI-Destra
Nazionale dopo l’unione con i monarchici del PDIUM ed eleggono personaggi già visti
come Saccucci, Rauti, Franco e Birindelli. I risultati elettorali nel complesso non
spostano di una virgola la situazione italiana, all’insegna di una totale incertezza: la
DC resta in pratica ferma, il PCI avanza un po’ e il PSI regge l’urto della scissione. Il
presidente Leone conferisce l’incarico nuovamente ad Andreotti che forma un
governo centrista con PLI, PRI e PSDI.
Sono le nove di mattina del 17 maggio. Il commissario Luigi Calabresi esce di casa, fa
per salire sulla sua auto ma viene freddato da un killer. Calabresi come si è visto era
legato alla morte di Pinelli: pur dicendo di non essere stato presente al momento della
sua morte, aveva sempre sostenuto la tesi del suicidio e per tali motivi era stato
oggetto di una violentissima campagna accusatoria dell’estrema sinistra, alimentata
anche da false informazioni sul suo passato553. Nelle indagini emerge che Calabresi
aveva scoperto un traffico internazionale di armi554 che da Monaco di Baviera
venivano girate agli ustascia jugoslavi e ai neofascisti nostrani. Una vicenda piuttosto
torbida, nella quale compare anche il nome di Feltrinelli che a quanto pare sapeva più
di qualcosa. Calabresi per seguire le indagini era stato a Trieste solo tre giorni prima
e dopo in Svizzera a Lugano dove aveva incontrato un anonimo confidente. Il 20
settembre al valico tra elvetica viene bloccata un'auto carica di armi con all’interno
una donna tedesca, Gudrun Kiess, il neofascista Bruno Stefano e il terrorista Gianni
Nardi, personaggio alquanto particolare e legato al Noto Servizio. L’identikit
dell’assassino di Calabresi somigliava proprio a Nardi e a casa sua viene trovato un
bossolo dello stesso calibro dell’arma che ha ucciso il commissario555. I tre però
finiranno in carcere solo per la vicenda delle armi dove la tedesca confiderà a una
compagna di cella che erano stati i due uomini a uccidere Calabresi556. Nardi verrà
comunque scagionato ma morirà a Palma di Maiorca in un incidente d’auto che per
anni è stato avvolto nel mistero. Ci vorranno anni prima che emergano nuovi fatti: nel
1988 Leonardo Marino, ex membro di Lotta Continua, confessò che il killer era Ovidio
Bompressi, lui aveva fatto da un autista e che i mandanti erano i due leader del
movimento Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Escluso Marino gli altri tre si sono
552
Ivi, p. 162.
553
Una nota dell’agenzia AIPE, vicina all’UAARR, lo segnala come persona in contatto con ambienti CIA. La notizia,
rimbalzata su tutti i giornali, è però del tutto falsa e basata su uno scambio di persona (Luigi Calabresi per Lorenzo
Calabrese).
554
Aldo Giannuli, op. cit., p. 371 e seg.
555
Ibidem.
556
Ibidem.
140
sempre dichiarati innocenti: dopo vari iter giudiziari i quattro sono stati condannati
per pene dagli 11 ai 22 anni di prigione ma per vari motivi sono state ben poco
scontate557. Il caso è risolto ma con un esito che tuttora non convince parecchi: le
indagini di Calabresi stavano andando troppo in là, il suo silenzio avrebbe fatto
comodo a parecchi.
11.4 - Peteano: attentato e non strage
A sole due settimane dalla morte del commissario Calabresi un altro fatto di sangue
sconvolge il Paese. Nella notte del 31 maggio una chiamata anonima alla caserma di
Gorizia segnala un’auto abbandonata con fori da proiettile sul parabrezza in località
Peteano. Si recano delle volanti sul posto: un carabiniere tira la leva che apre il cofano
della vettura e fa scattare l’innesco della bomba che lo uccide sul colpo insieme ad
altri due colleghi mentre un quarto resta dilaniato. L’esplosivo utilizzato era stato
rubato da una baracchetta del tutto incustodita di una ditta che stava effettuando
lavori di sbancamento in Piancavallo558. I responsabili del triplice omicidio hanno dei
nomi precisi: Vincenzo Vinciguerra, Ivano Boccaccio e Carlo Cicuttini, elementi di ON
della zona. La loro azione è strana poiché mai di base gli estremisti di destra
colpiscono le forze dell’ordine. Loro tre sono però dei «fascisti di sinistra»559, per i
quali con il potere non si poteva trovare alcun compromesso e i carabinieri erano una
diretta emanazione dello stesso. Per tale ragione quello di Peteano è un attentato e
non una strage, in quanto non si spara nel mucchio ma verso un obiettivo preciso. Le
indagini vengono guidate non dagli inquirenti locali ma dal comandante dei
carabinieri di Udine Dino Mingarelli, già coinvolto sia nel piano Solo in quanto
responsabile della lista degli enucleandi del nordest sia nel golpe Borghese. A dargli
manforte arriva il generale Giovanni Battista Palumbo, comandante della Divisione
“Pastrengo” di Milano e membro della P2 (tessera n° 135). Le indagini vengono svolte
solo dai carabinieri, già di per sé elemento non normale, e puntano subito la pista
dell’estrema sinistra e in particolare verso gli ambienti di Lotta Continua di Trento,
grazie alla spinta dei colonnelli Santoro e Pignatelli, già visti con l’episodio della
bomba davanti al locale tribunale. È «un’inchiesta che appare fin dall’inizio viziata da
depistaggi e inquinamenti»560 e infatti la pista rossa si sgonfia in poco tempo. Un
557
In particolare Pietrostefani, condannato a 22 anni (poi ridotti a 16) ne ha scontati solamente due grazie in quanto
esule in Francia dal 2000 e protetto dalla dottrina Mitterrand.
558
S.O. Salvini, 1998, p. 207. Secondo il giudice Felice Casson invece l’esplosivo era materiale NATO proveniente dal
Nasco di Aurisina, ipotesi che renderebbe Vinciguerra colluso con gli apparati segreti. L’indagine di Salvini ha però
negato del tutto quest’evidenza, nonostante qualcuno la ritenga ancora valida.
559
Aldo Giannuli, op. cit., p. 375.
560
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990,
raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-
4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 37.
141
depistaggio non da poco viene svolto da Marco Morin, perito balistico tra i massimi
esperti nazionali ma molto vicino agli ambienti di ON, il quale classifica l’esplosivo
usato come Semtex H di fabbricazione cecoslovacca, della stessa tipologia usata dai
brigatisti e dai palestinesi561. La matrice rossa per Peteano non funziona e allora gli
inquirenti la sostituiscono quella che è stata chiamata “pista gialla”: vengono accusati
di essere i responsabili dell’attentato sei esponenti della piccolissima malavita locale,
i quali andranno addirittura a processo ma poi saranno scagionati. Il 6 ottobre dello
stesso anno Ivano Boccaccio, nel tentativo di dirottare un aereo dalla pista di Ronchi
dei Legionari per ottenere un riscatto di 200 milioni di lire, viene ucciso dalla polizia.
L’arma che ha usato è dello stesso calibro di quella che ha sparato sul parabrezza
dell’auto di Peteano ma nessuno se ne accorge. La pista nera, pur tra mille reticenze
e depistaggi, comincia in seguito ad emergere e provoca la fuga all’estero di Carlo
Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra562. Il primo, autore della telefonata anonima e
segretario della sezione missina di Manzano del Friuli, sarà aiutato nella latitanza da
Almirante che gli invierà del denaro per pagare l’intervento alle corde vocali563. Sarà
poi Vinciguerra nel 1984, una volta tornato in Italia, ad assumersi la responsabilità
dell’azione e ad aprire con le sue dichiarazioni negli anni punti di vista unici
sull’eversione neofascista. Vinciguerra per esempio ha affermato di aver ricevuto
l’incarico di uccidere il premier Rumor nel 1971 in quanto non aveva dichiarato lo
stato d’emergenza dopo Piazza Fontana o anche di aver lasciato ON perché si era
accorto della collusione del movimento con i servizi di sicurezza. Il nuovo processo
affidato al giudice veneziano Felice Casson porta la condanna all’ergastolo per
Cicuttini e Vinciguerra mentre Mingarelli e altri due carabinieri ricevono una pena
(condonata) di tre anni e dieci mesi per il depistaggio564. Ciò che va rilevato infine è
che la vicenda di Peteano mostra il modus operandi tenuto dai servizi di sicurezza in
tutti gli attentati e le stragi di quegli anni: si creano piste false, si coprono gli accusati
in modo automatico, si riduce l’azione all’opera di qualche balordo. È il sistema che
reagisce per proteggersi, nonostante l’azione arrivi da qualcuno che vuole distruggere
questo sistema. Su Vinciguerra si è a lungo detto che fosse un depistatore
professionista ma le sue dichiarazioni invece quasi sempre sono state confermate nei
fatti tanto che ormai non si può fare «una storia della strategia della tensione
561
Gianni Barbacetto, Marco Morin, l’esperto di bombe amico dei bombaroli, giannibarbacetto.it, 26.06.2020,
http://www.giannibarbacetto.it/2020/06/26/marco-morin-lesperto-di-bombe-amico-dei-bombaroli/
562
Guido Mesiti (a cura di), Processo a carico di Paolo Bellini ed altri,
https://www.radioradicale.it/scheda/637937/processo-a-carico-di-paolo-bellini-ed-altri-strage-alla-stazione-di-
bologna-del-2?i=4281105, min. 35.
563
Almirante invierà circa 35.000 dollari al latitante Cicuttini ed eviterà il processo alla Corte di Venezia che lo
accusava di favoreggiamento grazie all’immunità parlamentare.
564
La cassazione su Peteano: «I generali depistarono», “La Repubblica”, 22.05.1992,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/05/22/la-cassazione-su-peteano-generali-
depistarono.html?ref=search.
142
prescindendo dal suo contributo»565. Resta pur sempre il fatto che si tratta di un
terrorista che non si è mai pentito delle proprie azioni.
11.5 - Il memoriale Pisetta
Pochi giorni prima che il gruppo friulano di ON tentasse il dirottamento di cui si è detto
poc’anzi, parecchi chilometri più a nord era successo qualcosa di significativo. A metà
settembre a Pochi di Salorno, borgo al confine tra Trentino e Alto Adige, due agenti
del SID stanno obbligando un uomo a copiare dei documenti che loro stessi gli hanno
fornito. L’uomo si chiama Marco Pisetta, è un elettrotecnico di Trento, appartiene alle
BR e ha partecipato a qualche piccolo attentato dimostrativo. A maggio, nelle indagini
nate dopo la morte di Feltrinelli, era stato catturato nei pressi del covo brigatista di
Via Boiardo a Milano ma era stato rimesso in libertà poco dopo dal giudice Viola in
cambio di alcune “cantate” su altri componenti delle BR. Visto questo precedente,
viene poi bloccato dal SID e utilizzato come provocatore per la stesura del memoriale
che sarà, per pura coincidenza sia chiaro, pubblicato nel gennaio del ‘73 da quotidiani
di destra come Il Secolo d’Italia, Lo Specchio e Il Borghese. Pisetta, il quale nel
frattempo era stato fatto fuggire dal SID in Spagna e Germania per evitare vendette
dei brigatisti, nel ‘74 dirà la verità sul memoriale in un'intervista a L’Espresso:
Mi portarono in un posto di montagna sopra Salorno, in provincia di Bolzano. Li mi mostrarono un
sacco di juta, dicendo che se non avessi collaborato mi avrebbero chiuso dentro e gettato nell' Adige.
Così, per quindici giorni in una casa dei paraggi, scrissi il memoriale citando alcuni fatti veri ma
soprattutto aggiungendo nomi e circostanze che mi suggeriva un colonnello dei carabinieri. AI
momento di firmare dissi però che l'avrei fatto soltanto all'estero, dopo avere avuto assicurazioni
sulla mia sorte. La firma del memoriale avvenne difatti da un notaio di Monaco566.
Ma chi è il colonnello dei carabinieri di cui parla Pisetta? È l’onnipresente Michele
Santoro, comandante dell’Arma a Trento. Il memoriale sarebbe poi stato consegnato
al capitano Antonio Labruna e poi pubblicato dai giornali precedentemente nominati,
i quali hanno avuto la soffiata da gente dei servizi. Sullo stesso Labruna nel ’76 arriva
un’accusa diretta, responsabile Stefano Delle Chiaie:
Provi a smentire di avere affittato per Pisetta, montando la vicenda delle Brigate Rosse, una casa vicina al
confine in località Pochi di Salorno a nome di Giancarlo Scannavini, fratello di un funzionario della squadra
politica della questura di Bolzano. Neghi le 45 mila d'affitto, i pattugliamenti del maresciallo Gandolfi di
Salorno e il telefono segreto e il ritorno di Pisetta dall' Austria, per scrivere con tutta calma il famoso
memoriale sotto la dettatura di un compiacente e non meno compromesso colonnello567
L’operazione è gravissima perché con questo falso memoriale il SID getta benzina sul
fuoco appena acceso del terrorismo rosso, contribuendo così a una vera e propria
565
Aldo Giannuli, op. cit., p. 379.
566
“L’Espresso”, 10.11.1974.
567
“lI Giorno”, 23.4.1976.
143
caccia alle streghe. Pisetta, il “protopentito”, vivrà a Friburgo in Germania fino al
1982, anno in cui si costituirà: condannato a quasi anni di carcere, sarà graziato nel
1986 dal presidente Cossiga568.
11.6 - All’insegna della trama nera
Come si è visto nel ‘72 succede veramente di tutto, l’aria a fine anno è pesante e lo
dirà anche il segretario della DC Arnaldo Forlani in un comizio a La Spezia, scelta che
appare non casuale569, con parole enigmatiche:
È stato operato il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato
avanti, nella nostra Italia dalla Liberazione ad oggi. [...] Questo tentativo disgregante che è stato
portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato
delle solidarietà probabilmente non soltanto di ordine interno ma anche di ordine internazionale,
non è finito. Noi sappiamo in modo documentato e sul terreno della nostra responsabilità, che
questo tentativo è ancora in corso. Vi è cioè una manovra diretta a respingere indietro il nostro
Paese, a respingerlo verso un passato dal quale siamo usciti con tante difficoltà verso una esperienza
che la nostra Italia ha vissuto e che noi abbiamo ereditato venticinque anni fa nei suoi risultati
fallimentari e catastrofici570.
Il suo è un ammonimento vago e «tra l’altro di tipo mafioso»571, di chi sa bene le trame
sotterranee e avvisa chi ha orecchie adatte a recepire. Ovviamente non chiarirà il
grido d’allarme in Parlamento nonostante le rimostranze, dando la colpa alla stampa
e alle sue solite illazioni. Due anni dopo il giudice Tamburino gli chiederà lumi in
merito, durante l’indagine sulla Rosa dei venti: sentito il 9 luglio del ’74 Forlani
minimizzerà, dicendo di essere stato frainteso e di riferirsi al fatto che l’MSI aveva
ricevuto finanziamenti anomali572.
Il 26 novembre su “Il Borghese” compare un documento anonimo di notevole
rilevanza, intitolato «Guerra tra democristiani. All’insegna della trama nera», ripreso
poi da altri quotidiani nei giorni seguenti. Secondo l’ignoto autore il destinatario del
discorso di Forlani è Andreotti, «il quale punta a manovrare la leva dei disordini da
destra, per garantire a se stesso, cioè all’uomo del “recupero a destra”, la possibilità
di restare a lungo a Palazzo Chigi». Più dettagliatamente:
Al vertice della Democrazia cristiana si è ormai certi che l’on. Andreotti sia da lungo tempo
invischiato, per il tramite di alcuni suoi fiduciari, con ambienti e personaggi della destra
extraparlamentare. L’on. Andreotti che è stato per lungo tempo Ministro della Difesa e che al
tempo del processo De Lorenzo-“Espresso” evitò di mettersi contro il Sifar, si è sempre servito per
i suoi fini personali del Servizio segreto: o meglio, di alcuni uomini all’interno del servizio. In
568
Grazia a Pisetta, il primo «pentito» br, “l’Unità”, 07.03.1986.
569
Sarà proprio un medico spezzino, Giampaolo Porta Casucci, a far partire l’inchiesta sulla Rosa dei venti.
570
Gravi dichiarazioni di Forlani sul complotto neo-fascista in atto, “l’Unità”, 6.11.1972.
571
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 245.
572
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 73.
144
particolare, questi uomini fanno capo al colonnello Jucci [il quale, nda] ha stabilito rapporti con il
mondo della destra extraparlamentare grazie alla collaborazione di un altro elemento del Sifar (poi
Sid): il colonnello Vicini. Questo colonnello, fino a poco tempo fa, comandava il reparto guastatori
del servizio che si addestra in Sardegna ed ha disponibilità illimitate di esplosivo. Si noterà a
questo proposito che in tutti i casi di attentati con matrice di destra, l’esplosivo non è risultato
quasi mai rubato. Il motivo è chiaro: il materiale alla destra veniva fornito dal Vicini, d’accordo con
lo Jucci che, per conto del suo padrone Andreotti, voleva alimentare il sovversivismo di destra.
Tutto il lavoro di questa gente fa capo all’ufficio di “Alti studi strategici” che è sistemato a Palazzo
Chigi e nel quale lavora un altro fiduciario di Giulio Andreotti: l’avvocato Di Jorio, consigliere
regionale del Lazio oltre che difensore dei “golpisti” di Junio Valerio Borghese. A Milano, questa
organizzazione fa capo al maggiore dei carabinieri Rossi, ufficiale di collegamento tra l’Arma e il
Sid. L’Arma però ignora tutto dell’attività che il Rossi svolge nel campo dell’estrema destra. Il Rossi
si serve dell’aiuto del costruttore Sigfrido Battaini. Sono questi due elementi che hanno arruolato il
Nardi, hanno organizzato la provocazione facendogli credere che bisognava liberare dal carcere i
suoi compagni di rapina, e quindi l’hanno fatto arrestare al confine, con l’esplosivo a bordo573.
Sono tantissimi gli spunti che offre questo documento decisamente esplosivo: si ha
in primis una conferma dei contatti tra Andreotti e l’estrema destra, il quale, ben
lontano da volere un golpe violento come già detto nei fatti della notte di Tora-Tora,
punta a sfruttare i neofascisti solo per rafforzare il suo potere personale. Attorno a
lui c’è il Noto Servizio, del quale vengono citati Rossi, Battaini e Nardi, il quale qui
appare come un apparato parallelo comandato direttamente da Andreotti. Lo stesso
ha disposizione l’avvocato De Jorio, già protagonista del golpe Borghese, e il
colonnello Roberto Jucci, promosso in seguito generale, comandante del SIOS-
Esercito nel 1974-1975 e dei carabinieri dal 1986 al 1989. Con Jucci viene nominato
un altro elemento delle forze armate, tale Vicini: da identificarsi con Mario Pompeo
Vicini, possibile membro della P2574, è piuttosto evidente il riferimento nel
documento a un suo servizio come addestratore dei gladiatori (di cui quasi vent’anni
prima delle dichiarazioni di Andreotti era nota l’esistenza a più di qualcuno) e grazie
a tale ruolo avrebbe fornito parecchio esplosivo ai neofascisti.
Nel 1972, a quanto risulta, c’era effettivamente stato un nuovo tentativo di golpe. I
protagonisti sono gli esponenti rimasti più in ombra del FN, retto ora da Dante Ciabatti
a causa della latitanza del Principe Nero. Troviamo infatti quella che è stata chiamata
la “ditta genovese” di cui facevano parte l’avvocato missino Giancarlo De Marchi e
Attilio Lercari, come già ricordato uomo di fiducia del ricchissimo industriale Andrea
Mario Piaggio, mentre il ruolo prominente nelle sfere militari viene svolto da
Giuseppe Roselli Lorenzini, nientemeno che capo di stato maggiore della Marina. Non
573
Ignoto, Guerra fra democristiani. All’insegna della trama nera, malastoria.wordpress.com,
https://malastoria.wordpress.com/2020/05/12/altri-documenti-4/, 12.05.2020.
574
Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, allegati alla relazione: riscontri sull’attendibilità
delle liste e sulle posizioni di affiliazione, tomo secondo, 11.08.1982, p. 17.
145
si parla proprio di quattro scappati di casa come più volte si è voluto far credere. Dirà
anni dopo Lercari che:
De Marchi mi contattò indicandomi che l’Ammiraglio Roselli Lorenzini - all'epoca Capo di Stato
Maggiore della Marina - aveva intenzione di contattare un grosso industriale per ottenere
finanziamenti a favore del Fronte Nazionale in vista di un pronunciamento militare. A De Marchi
questa notizia pervenne - secondo quanto lui stesso mi disse - tramite il Dr. Ciabatti, uno dei
responsabili dei Fronte Nazionale. Io rappresentai a De Marchi che sarebbe stato necessario che tale
richiesta fosse avanzata a Piaggio da persona diversa da me, io, dal canto mio, avrei potuto
adoperarmi presso l’industriale. In effetti, poco tempo dopo, Piaggio mi chiamò asserendo che io
avessi qualcosa di importante da dirgli. Capii che si trattava della questione a cui ho ora accennato
e riferii al Piaggio della richiesta di colloquio con lui che l’Ammiraglio aveva avanzato. Piaggio accolse
l’idea dell’incontro. [...] Effettivamente l’incontro vi fu, non prima, peraltro, che Piaggio ebbe
assunto altre informazioni sull’Ammiraglio, ed avvenne proprio in casa dello stesso Roselli Lorenzini,
a Roma, alla presenza del Dr. De Jorio, che all’epoca mi pare fosse consigliere provinciale. Non so
quale fosse la funzione di De Jorio, io non ho partecipato a quell’incontro. La presenza di De Jorio
mi fu indicata da Piaggio, il quale supponeva - come mi disse - che la presenza di De Jorio fosse da
mettere in relazione con i rapporti di quest’ultimo con l’On. Andreotti, parlamentare che Piaggio
peraltro conosceva575.
Il finanziamento che Piaggio fece pervenire al FN per il possibile golpe fu una cifra tra
i 50 e gli 80 milioni di lire. La domanda a questo punto è piuttosto semplice: perché
l’operazione non va in porto? Roselli Lorenzini, non più giovanissimo (classe 1910),
puntava a chiudere la carriera come capo di maggiore della Difesa: l’incarico era
detenuto al tempo da Enzo Marchesi, prossimo a lasciare e contrario a colpi di stato
militari. Nell’agosto del ‘72, in anticipo rispetto alle previsioni, Marchesi viene
sostituito dall’ammiraglio Eugenio Henke: Roselli Lorenzini viene battuto sul tempo e
perderà ogni incarico rilevante nel giro di un anno. Come conseguenza di tale
avvenimento si registra la fine nel ‘72 del FN come centro promotore del golpismo: il
tentativo dell’anno seguente, operato da una serie di organizzazioni note come Rosa
dei venti, fa capire che il gruppo di Borghese era ormai stato ridimensionato.
11.8 L’arsenale di Camerino e altri fatti
Inoltre altri due fatti rilevanti sono avvenuti nei precedenti mesi: il 4 agosto576
l’organizzazione terroristica araba Settembre Nero ha rivendicato un attentato agli
oleodotti di San Dorligo della Valle (Trieste), creando ingenti danni. La stessa
575
Lercari al p.m. P. De Crescenzo in data 29 aprile 1997, in Archivio del tribunale di Roma, n. 5105, procedimento
penale 17626/95, fald. 11, cc. 3772-3775. Cit. in Francesco M. Biscione, Il partito del golpe nella strategia della
tensione, in Dimensioni e problemi della storia, Rivista del Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte
Spettacolo della Sapienza Università di Roma, n. 2/2020, p. 59-60.
576
La stessa data dell’attentato sul treno Italicus due anni dopo e del movimento politico greco di estrema destra di
Konstantinos Plevris. Quando le coincidenze si sprecano…
146
organizzazione, in solida alleanza con ON e AN577, il 5 settembre compirà il
tristemente noto attentato alle olimpiadi di Monaco che causeranno la morte di
undici atleti palestinesi e un poliziotto. Il 22 ottobre invece si rischia una tragedia con
nuovi attentati sui treni: in occasione di una massiccia manifestazione sindacale a
Reggio Calabria vengono piazzati sette ordigni sulle linee ferroviarie che conducono
al Sud Italia. Per fortuna non tutte le bombe esplodono e quelle che lo fanno causano
solo lievi feriti, anche per motivi fortuiti. Cade il progetto di un’organizzazione
formata certamente da numerose persone che voleva provocare una strage per un
motivo preciso: «ci si aspettava una reazione dei 50 mila operai in corteo nella città
dei «boia chi molla» e una scintilla per una spirale della violenza che avrebbe potuto
portare a una vera e propria guerra civile»578.
Il 7 novembre Richard Nixon con una netta maggioranza viene rieletto presidente
degli Stati Uniti ma come dirà la storia durerà un anno e mezzo prima di venire
travolto dallo scandalo del Watergate. Tra i suoi principali sostenitori troviamo
Michele Sindona che lo finanzierà con una donazione di un milione di dollari 579: il
banchiere e faccendiere siciliano aveva realizzato con la sua azienda di costruzioni il
vasto complesso residenziale a Washington che travolgerà Nixon di lì a breve con il
notissimo scandalo. Cambia qualche mese dopo l’ambasciatore italiano: da Graham
Martin si passa all’italo-americano John Volpe. Nel ‘74 Volpe premierà Sindona come
«uomo dell’anno» per la stagione precedente.
La costruzione del pericolo rosso, in questo momento poco reale a differenza degli
anni futuri, dopo la morte di Feltrinelli e il memoriale Pisetta continua con un altro
fatto rilevante. Il 10 novembre vicino Camerino, in provincia di Macerata, viene
scoperto “per caso” dai carabinieri un arsenale di armi ed esplosivi insieme a una lista
cifrata e documenti d’identità. Si noti bene che siamo appena cinque giorni dopo il
discorso di Forlani a La Spezia. Da sottolineare come appena un giorno dopo la
scoperta dell’arsenale sul quotidiano «Il Resto del Carlino» il giornalista Guido Paglia,
ex AN passato a collaboratore del SID, scriveva subito che la responsabilità era dei
rossi in quanto la lista cifrata conteneva i nomi di militanti di sinistra. Peccato però
che il cifrario verrà decifrato solo il 15 novembre580. Le indagini della magistratura di
Camerino e dei locali carabinieri diretti dal capitano Giancarlo D'Ovidio (tessera P2 n°
569) si indirizzano verso alcuni giovani di sinistra, in modo specifico quattro contenuti
nella lista cifrata. I quattro il 28 aprile 1976 verranno assolti dal Giudice Istruttore di
577
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 207.
578
Federazione milanese del PCI (a cura di), op. cit., p. 113.
579
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 246.
580
S. O. Salvini, 1995, p. 151.
147
Macerata «per non aver commesso il fatto»581. Pochi giorni dopo Delle Chiaie,
latitante in Spagne, con un’intervista a «Panorama» lancia accuse precise: «Quelle
armi, quegli esplosivi e quel cifrario erano stati messi da Labruna per far scattare una
crociata anticomunista»582. A tali accuse nessuno risponderà e la vicenda non porterà
a nessun esito concreto per decenni. Ci vorranno più di 20 anni per arrivare a una
verità giudiziaria: il giudice Salvini nella sua sentenza del ‘95 certificherà che l’arsenale
era stato appositamente creato dai carabinieri di D’Ovidio e dal gruppo NOD del SID
di Labruna grazie anche a piccoli delinquenti locali: una provocazione bella e buona
con il generale Maletti come ispiratore e regista583.
581
Ivi, p. 154.
582
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 251.
583
S.O. Salvini, 1995, p. 170.
148
Capitolo XII: la Rosa dei venti
12.1 - Il quadro di inizio anno
Nei primi giorni di gennaio c’è un curioso viavai in un appartamento al numero 235 di
via Sicilia a Roma, sede di una fantomatica impresa cinematografica ma in realtà base
coperta del SID. Il 13 vi arriva Marco Pozzan, l’accusatore di Rauti, che dopo due giorni
verrà fatto espatriare a Barcellona dal capitano Labruna con un passaporto falso
intestato a Mario Zanella. Sempre nell’appartamento del SID c’è anche Guido
Giannettini che inizia a scrivere le sue verità su Piazza Fontana: «Ritengo possibile che
gli attentati del 1969 siano stati operati da sinistra, ambiente Brigate Rosse. Esiste poi
un'altra ipotesi e cioè che gli attentati di Milano non siano stati operati da sinistra, ma
dal centro. I fatti di Milano del dicembre 1969 hanno giovato soltanto al governo
Rumor, allora in carica»584.
Le trame eversive post golpe continuano in questi mesi a essere tessute: i progetti
sono essenzialmente due, ovvero Rosa dei venti e golpe bianco, e nonostante idee e
piani differenti ci sono dei punti di contatto. Il primo ruota ben di più su personaggi
dell’ambiente militare: su tutti il generale a riposo Francesco Nardella, dal ‘62 al 71’
direttore dell’Ufficio Guerra Psicologica del comando FTASE di Verona585 e poi
fondatore del Movimento Nazionale di Opinione Pubblica (MNOP), il potentissimo
principe Alliata di Montereale, già incontrato nella vicenda del bandito Giuliano, il
colonnello Amos Spiazzi e il falso sottotenente della giustizia militare Roberto
Cavallaro. Accanto a loro sia vecchi arnesi fascisti come il padovano Eugenio Rizzato
sia manovali di bassa lega come Sandro Rampazzo. Il secondo è più legato agli
ambienti industriali (FIAT) e provocatori di professione come Luigi Cavallo. Non per
questo però non ci sono contatti tra i due mondi: nei primi mesi del 1973 Edgardo
Sogno, per tramite di Adriano Monti, chiederà di avere un colloquio con Remo
Orlandini586. Per quanto riguarda nello specifico il Fronte Nazionale Dante Ciabatti
lascia l’incarico che passa all’avvocato genovese Giancarlo De Marchi, il quale come
detto rappresenta i finanziatori genovesi. Dietro di lui c'era soprattutto un gruppo di
generali, «che avrebbero, in un determinato momento, imposto al presidente della
Repubblica lo scioglimento del parlamento e del governo, affidando quest’ultimo ai
militari»587. Chi sarebbero questi generali? Uno di questi è senza dubbio Ugo Ricci,
fresco di nomina ad appena cinquant’anni. Il progetto del 1972 che come si è visto
584
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 265.
585
Tale ufficio era in diretto collegamento con le forze NATO e con la CIA. Le sue attività principali erano lo studio di
varie strategie psicologiche da usare in caso di colpi di stato e guerre civili. Si veda De Lutiis, Storia dei servizi civili in
Italia, p. 108-109.
586
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
587
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
149
non è andato in porto viene spostato solamente in avanti, pur con un ricambio di
personale.
A febbraio mutano le gerarchie militari e in particolare il capo di stato maggiore della
Marina Giuseppe Roselli Lorenzini viene sostituito da Gino De Giorgi. Roselli Lorenzini
passa a presiedere la flotta mercantile di stato, un incarico privo di valore militare che
segna il suo epilogo. L'UAARR inoltre cambia nome in nome e diventa SIGSI588, un atto
puramente formale considerando che a guidarlo resta sempre Federico Umberto
D’Amato.
12.2 - Labruna da Orlandini
Mentre la vicenda del golpe Borghese appare sul viale del tramonto, a fine novembre
verrà infatti revocato il mandato di cattura al Principe Nero589, un fatto collaterale
rimette tutto in moto. Il capitano dei carabinieri Antonio Labruna, responsabile del
Nucleo Operativo Diretto (NOD), nell’ambito di un’operazione coperta dei servizi
riguardante un traffico di armi svolta a metà del ‘72 al largo della Sardegna590, entra
in contatto con un armatore napoletano. Costui in confidenza con Labruna gli confida
che con la sua società nel 1970 aveva offerto la disponibilità delle sue navi nel porto
di Civitavecchia per il trasporto degli oppositori che sarebbero stati arrestati se
l'azione del 7 dicembre fosse riuscita. Tale armatore dice al capitano che può metterlo
in contatto con Orlandini. Tra il 16 e il 18 gennaio del 1973 Labruna, autorizzato dal
suo superiore Maletti, si incontra così con Remo Orlandini, all’epoca residente in
Canton Ticino, e riesce a infiltrarsi tra le file dei golpisti. Orlandini si fida del capitano
e «riprende il mai sopito discorso sulla necessità di un radicale mutamento della
situazione politica italiana, anche con metodi violenti e con il determinante intervento
delle forze armate, nell'ambito delle quali egli non aveva mai cessato di lavorare »591.
Orlandini, dopo il fallito golpe dell’Immacolata, non aveva più una posizione
prominente nel Fronte Nazionale, ma era comunque considerato all’interno del
gruppo come un’eminenza grigia: «un'istanza superiore alla quale occorreva riferirsi.
Egli metteva a contatto gli uni con gli altri e imponeva la ricerca di una soluzione ai
palleggiamenti dei generali: in particolare era molto considerato nel settore D del SID
per il suo ascendente»592. I colloqui tra Orlandini e Labruna saranno almeno una
588
Servizio Informazioni Generali e Sicurezza Interna.
589
Gianni Flamini, Il Partito del golpe, vol. secondo, tomo terzo, p. 436.
590
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, “Golpe Borghese ed eversione neofascista”, 17.01.1990,
raiplay.it, https://www.raiplay.it/video/2016/08/La-notte-della-Repubblica-Puntata-del-17011990-0b16ffb0-f615-
4461-9fae-988fbd1eba72.html, min. 58.
591
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
592
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
150
dozzina593 e dureranno oltre un anno, permettendo di fare luce sia sul golpe Borghese
che sul progetto della Rosa dei venti in quel momento in corso, grazie alla
partecipazione di due “pentiti” ovvero Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti:
quest’ultimo, avvocato di Pistoia, era inoltre un massone legato a Gelli sin dagli anni
del secondo conflitto mondiale594. A uno dei colloqui, precisamente quello del 21
marzo, avrebbe partecipato anche un personaggio già incontrato come Walter
Beneforti del Noto Servizio595. Sul contenuto dei colloqui si dirà più avanti.
12.3 - Dal tentato attentato di Nico Azzi al rogo di Primavalle
Il nuovo comandante del Fronte è l’avvocato genovese Giancarlo De Marchi, uomo in
contatto con i grandi industriali del capoluogo ligure. Lui stesso gestisce attività
economiche anche all’estero, come dei villaggi turistici in Spagna insieme al principe
Borghese596. È De Marchi a tirare le fila dell’ala radicale del gruppo golpista, gestendo
un’organizzazione che va oltre il FN, nettamente ridimensionato come si è già detto,
e include formazioni come “La Fenice” dei milanesi Giancarlo Rognoni e Nico Azzi,
arrivando alla cellula veneta di Ordine Nuovo. Come testimoniato da una lettera del
18 marzo 1973 indirizzata a Dario Zagolin si vuole dare una spinta decisiva in avanti:
Caro Dario, grazie per le notizie. C’è un aspetto importante, rappresentato dall’accenno della
concorrenza. Ritengo sia meglio accelerare i tempi, facendo magari leva sulle possibilità della ditta
di Genova. La interesso alla questione e Ti prego definire con la stessa i particolari per la
prosecuzione, liberamente conducendo avanti, senza ulteriori conferme, fino al punto d’arrivo 597.
A chi è indirizzata la lettera e soprattutto cos’è la concorrenza? È il gruppo golpista
bianco di Sogno o il terrorismo rosso? Si decide in ogni caso di passare dalla teoria alla
pratica: il 7 aprile del 1973 Azzi sale a Genova sul direttissimo Torino-Roma, passeggia
ostentando il quotidiano “Lotta Continua”. Ha con sé una bomba ma mentre la piazza
nella toilette di un vagone provoca lo scoppio del detonatore e rimane ferito. Portato
all’ospedale dovrà ammetterà le proprie colpe: «Ho fatto tutto questo per scatenare
il caos in Italia e permettere l'avvento di un governo militare di colonnelli»598.
L’attentato fallisce e viene sospeso il piano dinamitardo che «prevede attentati su
almeno altri due treni»599 ma non i progetti golpisti del gruppo che passerà alla storia
come Rosa dei venti.
593
S.O. Salvini, 1995, p. 175
594
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 139.
595
Solange Manfredi, op. cit., p. 91.
596
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo primo, p. 301.
597
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 22-23.
598
Federazione milanese del PCI (a cura di), Indagine sul movimento al centro di ogni complotto, 1973, p. 105.
599
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 318.
151
Il 12 aprile a Milano si tiene una manifestazione del MSI non autorizzata dalla
questura: il corteo parte lo stesso, reso numeroso dalla presenza di neofascisti da
tutta Italia come l’ex leader dei «Boia chi molla» Ciccio Franco e l’attuale presidente
del Senato Ignazio La Russa, in direzione della prefettura. In un crescendo di violenza
e teppismo vengono lanciate delle bombe a mano e una colpisce, uccidendolo sul
colpo, l’agente della Celere Antonio Marino. È il “Giovedì nero” di Milano. Per
l’omicidio saranno condannati a 18 anni di carcere nel ‘77 i giovani missini Maurizio
Murelli e Vittorio Loi, i quali avevano ricevuto le bombe da Nico Azzi600. È un elemento
non da poco che testimonia la particolare situazione del neofascismo milanese: MSI,
La Fenice, SAM e semplici teppisti di strada (nello specifico i giovani di Piazza San
Babila) sono in un rapporto di contiguità, pur tra dissidi. Inoltre è un avvenimento
unico: tra estremisti di destra e agenti c’era un tacito accordo di non belligeranza ma
ora la morte di Marino rischia di cambiare tutto.
I neofascisti milanesi erano stati protagonisti un mese prima di un episodio
spregevole: il 9 marzo l’attrice teatrale Franca Rame, moglie di Dario Fo, protagonista
dell’associazione Soccorso Rosso in aiuto ai carcerati di estrema sinistra, viene
sequestrata su un furgone, stuprata ripetutamente da cinque sconosciuti e poi
abbandonata in un parco. Per anni i responsabili, pur con il sospetto fondato di essere
elementi della galassia nera, resteranno ignoti finché nel 1987 il già citato Angelo Izzo
dirà di aver saputo che «il principale responsabile dell’aggressione a Franca Rame era
stato Angelo Angeli e che l’azione era stata suggerita da alcuni ufficiali dei carabinieri
della Divisione Pastrengo, nel quadro del sostanziale atteggiamento di
“cobelligeranza” esistente all’epoca fra alcuni settori di tale Divisione e gli estremisti
di destra nella lotta contro il “pericolo comunista”»601. La voce sarà confermata quasi
dieci anni dopo da Biagio Pitarresi, importante elemento dell’estrema destra milanese
negli anni ’70 e poi criminale comune: nel 1998, sentito dal giudice Salvini, dirà che la
Pastrengo aveva ispirato l’azione e con tale divisione sia lui sia Angeli «erano da
tempo in contatto in funzione sia informativa sia di supporto in attività di
provocazione contro gli ambienti di sinistra»602. Come già detto la Pastrengo all’epoca
era comandata dal generale Palumbo, già immischiato nel depistaggio di Peteano e
nella copertura al MAR: Nicolò Bozzo, futuro generale e all’epoca tenente, dirà anni
dopo che Palumbo, parlando in ufficio con il suo segretario personale, all’arrivo della
notizia, avesse detto «Finalmente!»603.
600
S.O. Salvini, 1995, p. 66.
601
S.O. Salvini, 1998, p. 442.
602
Ibidem.
603
Saverio Ferrari, Lo stupro e il sequestro di Franca Rame nel 1973, ilmanifesto.it, https://ilmanifesto.it/lo-stupro-e-il-
sequestro-di-franca-rame-nel-1973, 11.03.2021.
152
La tensione continua a salire. Appena tre giorni dopo viene appiccato il fuoco
all'appartamento di Mario Mattei, segretario della sezione missina di Primavalle a
Roma. Il rogo porta alla morte dei due figli. Torna in scena la violenza «rossa» per
contrapporla a quella «nera» appena manifestatasi a Genova e Milano: «La filosofia
degli opposti estremismi tornerà così a occupare molte fantasie politiche»604.
Vengono imputati Achille Lollo, Manlio Grillo e Marino Clavo, esponenti di Potere
Operaio, i quali però saranno assolti per insufficienza di prove in primo grado. In
secondo grado saranno però condannati a 18 anni di carcere a testa. Lollo si darà alla
latitanza e tornerà in Italia se non dopo l’avvenuta prescrizione di un reato per il quale
si è sempre dichiarato innocente:
Noi non abbiamo incendiato la casa dei Mattei. Ci sono troppe cose strane avvenute quella notte.
Nessuno fece scivolare la benzina sotto la porta. L'innesco non si accese. E poi loro non vennero
colti nel sonno, ci stavano aspettando. Da dietro la porta, prima di scappare, sentii una voce: " Eccoli,
arrivano..."605.
12.4 - Strani viaggi diplomatici
Il presidente americano Nixon ha proclamato il 1973 «anno dell'Europa», l'anno cioè
che deve portare alla stesura una nuova Carta atlantica. Come spiegato dal suo
braccio destro Henry Kissinger «Le necessarie forze americane verranno mantenute
in Europa come un contributo essenziale a una struttura della difesa europea che sia
condivisa da tutti e compresa da tutti. In cambio ci aspettiamo da ogni alleato che
esso condivida lo sforzo comune per la comune difesa»606. Il primo ministro Andreotti,
da sempre devoto agli americani, a metà aprile è a Washington e poi a Tokyo per un
viaggio diplomatico, nel quale riceve di fatto l’investitura ufficiale da Nixon che lo
definisce il «tipo di uomo di cui la sua nazione, il suo popolo e il mondo libero hanno
bisogno in questo momento»607. Andreotti resta lontano dall’Italia per ben 12 giorni,
un tempo lungo che sarebbe servito, secondo le dichiarazioni di Roberto Cavallaro, ad
attuare «un colpo di stato e che a questo scopo Andreotti aveva tardato il rientro di
12 ore per consentirne lo svolgimento». Nel progetto rientravano il generale Johnson
della base americana di Vicenza come supporto e l’arcinoto Sindona come
finanziatore608. Il piano però era stato abortito perché i golpisti neri «avevano avuto
il sospetto che Andreotti avrebbe dato un colpo a destra e un colpo a sinistra,
impadronendosi del potere senza spartirlo. [...] Il gobbo stava per fare un colpo
604
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 329.
605
Rocco Cotroneo, «A Primavalle eravamo in sei», “Corriere della Sera”, 10.02.2005.
606
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 331.
607
“Avvenire”, 19.04.1973.
608
Aldo Giannuli, op. cit. p. 424.
153
gobbo»609. Si tratta dell’ennesima conferma di un ruolo prominente del “divo Giulio”
nelle trame eversive e in contemporanea di una agguerrita concorrenza tra i fautori
di un golpe politico-istituzionale e quelli per un golpe militare. Ovviamente per tali
accuse ad Andreotti non succederà nulla in quanto nel ‘74 con il “malloppone” che
farà unire tutte le istruttorie, l’inchiesta generale sarà portata nella tranquilla procura
di Roma e annacquata. Il come lo si vedrà vedrà nel dettaglio più avanti.
12.5 - La strage della questura di Milano
Il gruppo Rosa dei venti non molla la presa e prosegue a lavorare sottotraccia. Ma di
preciso che significato ha il nome dell’organizzazione? Ancora oggi non sappiamo il
significato esatto di questa denominazione: pronti a colpire in ogni direzione
intendendo venti come plurale di vento oppure venti come il numero delle
organizzazioni facenti parte della trama. Va specificato che tecnicamente la Rosa dei
venti era solamente il gruppo padovano del comandante Rizzato e non l’intera
organizzazione golpista, di cui sulla carta facevano parte altre sigle come il CARN o i
Giustizieri d’Italia: si tratta però di etichette create ad arte per complicare le indagini
e creare confusione in quanto la sostanza era comune e il progetto unitario. Quel che
è certo è che la Rosa dei venti è stata una struttura organizzata in modo capillare che
ha agito sul territorio nazionale dal 1971 al 1973, giovandosi di personalità che
avevano avuto un certo ruolo nel tentato golpe Borghese. Il suo nome richiama inoltre
la NATO che ha nella sua bandiera proprio una rosa dei venti su sfondo blu: il controllo
dell’organizzazione infatti «appartiene al SID, ai carabinieri e ai vertici delle forze
armate»610. Riguardo quest’ultimo punto dalla parte dei golpisti vi sarebbero 87
ufficiali, «di cui quattro generali e un sottocapo di stato maggiore delle forze
armate»611. A un livello più alto, dietro tutti questi c’era quello che a cui è stata data
dalla stampa la definizione di SID parallelo, una organizzazione che come scriverà il
giudice Tamburino:
Definita di sicurezza, di fatto si pone come ostacolo rispetto a determinate modificazioni della
politica interna e internazionale: ostacolo che, limitando la sovranità popolare e realizzandosi con
modalità d'azione anormali, illegali, segrete e violente conferisce carattere eversivo
all'organizzazione che ha il compito di mantenerlo. Risulta che tale organizzazione parzialmente
coincida con la struttura «I» di forza armata e con il SID, e corra parallela a quella ufficiale 612.
Il piano dei golpisti era piuttosto semplice: alcuni gruppi armati, come quello del
padovano Eugenio Rizzato, il milanese “La Fenice” e il MAR di Carlo Fumagalli in
609
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
610
Mirco Dondi, op. cit., p. 338.
611
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
612
Ibidem.
154
Valtellina, avrebbero dovuto creare una situazione di tensione tale da rendere
necessario l’intervento dei militari che con la scusa della situazione di emergenza
avrebbero preso il potere. In tale luce va infatti letto il tentato attentato di Nico Azzi
già menzionato e quello precedente sui treni diretti a Reggio Calabria. La data per il
colpo di stato viene fissata per il 2 giugno, la festa della Repubblica, e non a caso il
piano prende il nome di "Operazione Patria”613. Gli uomini pronti a entrare in azione
vengono attestati in 6000 militari e circa 2000 civili di supporto dalle varie formazioni
nere. Potrebbe rientrare nel piano della Rosa dei venti un fatto rimasto ancora
nell’ombra. Il 29 aprile alla stazione ferroviaria di Mestre viene sventata una possibile
strage: un agente della Polfer trova in una toilette un astuccio dentro un giornale, si
insospettisce e lo porta in un luogo isolato dove lo apre e scopre che è un congegno
esplosivo; chiama perciò gli artificieri che riescono a disinnescarlo. Chi sarebbero i
responsabili di questo possibile atto violento? Nel bagno era presente un giovane
accanto a una ventiquattrore, subito dileguatosi, il quale aveva accento
marcatamente veneto: non sarà mai identificato. La notizia inoltre verrà comunicata
ufficialmente solo il 16 maggio dalle autorità con la motivazione di «non turbare
inutilmente l'opinione pubblica»614.
La trama golpista prosegue nella sua organizzazione e viene appositamente fatto
ritornare in Italia il veneziano Gianfranco Bertoli, ex collaboratore del SIFAR615,
espatriato dal ‘71 con un passaporto falso dopo una tentata rapina. Godendo degli
appoggi dei servizi ha vissuto negli ultimi tempi in Israele in un kibbutz, fa tappa a
Marsiglia e da lì si sposta a Recco per incontrare De Marchi616. Il suo compito è
semplice: compiere una strage che avrebbe scatenato una guerra civile, favorendo
l’intervento dei militari nel giorno della festa della Repubblica. Ad aiutarlo nel compito
il padovano Eugenio Rizzato617 che giusto due giorni prima, in modo da fargli sparire
qualsiasi dubbio, ha ricevuto un attentato intimidatorio in quanto viene fatta
esplodere una bomba sulla finestra di casa sua che provoca lievi danni618. La data
prefissata è il 17 maggio: alla questura di Milano alla presenza del ministro
dell’Interno Rumor e del capo della polizia Zanda Loy si sta inaugurando un busto in
memoria del commissario Calabresi, che giusto per coincidenza aveva aperto un
fascicolo proprio su Bertoli due anni prima nelle indagini dopo Piazza Fontana. Bertoli
lancia una bomba a mano, uccidendo 4 persone e ferendone 52. Viene
613
S.O. Salvini, 1995, p. 268 e seguenti.
614
Ordigno esplosivo trovato a Mestre nella stazione FS, “l’’Unità”, 17.05.1973.
615
Aldo Giannuli, op. cit., p. 432.
616
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 92.
617
Francesco Fornari, Dietro Bertoli si profila l’ombra del Sid per uno strano traffico d’armi a Venezia, “La Stampa”,
25.02.1975.
618
Misterioso attentato di notte a Padova, “Il Gazzettino”, 16.05.1973.
155
immediatamente catturato: sul braccio ha la “A” di anarchia tatuata e come tale viene
inizialmente qualificato dalla stampa619. Qualcosa però va storto: Rumor avrebbe
dovuto morire e il golpe previsto per il 2 giugno non si farà. Dirà infatti Cavallaro che
«Tutto era pronto, poi un incidente mandò tutto all'aria. Una persona fondamentale
ha fatto una mossa sbagliata»620. Dopo la strage Bertoli resta immobile, evitando di
un nulla il linciaggio della folla inferocita, facendo da vittima sacrificale nonostante
poco distante Sandro Rampazzo, altro uomo della Rosa dei venti, lo aspettasse in
auto621, forse però presente per assicurarsi della riuscita del piano. Nessuno però
crede al suo anarchismo, il suo travestimento non funziona in quanto emergono fin
da subito i dettagli sul suo turbolento passato e la sua personalità borderline. Bertoli
viene condannato all’ergastolo nel 1975 dalla Corte d’assise di Milano, senza che
vengano individuati eventuali mandanti e aiutanti, la cui presenza viene però
ammessa dallo stesso tribunale622.
Per capirci di più ci vorranno vent’anni. Il già citato Carlo Digilio dirà anni dopo che
Bertoli prima dell’attentato era stato di fatto sequestrato da Carlo Maria Maggi che
lo avrebbe convinto a compiere la strage, in modo da uccidere Rumor per non aver
dichiarato lo stato di emergenza nel ‘69. Le dichiarazioni di Digilio ampliano la portata
dell’evento: Bertoli prima della strage era rimasto per un mese nell’appartamento
veronese di Marcello Soffiati, ordinovista collegato alla struttura informativa del
locale comando FTASE, dove viene istruito sul da farsi. La bomba ad ananas che poi
lancerà sulla folla gli sarebbe stata consegnata da Sergio Minetto, altra persona legata
agli ambienti americani623. Verrà riaperto un nuovo processo, tra gli accusati Maggi,
Spiazzi, altri elementi di ON e l’ex generale Maletti: dopo una prima condanna
saranno tutti assolti dalla Cassazione nel corso degli anni624. Bertoli, un
tossicodipendente e alcolizzato, facilmente manovrabile, a livello processuale viene
stabilito che ha agito da solo. Forse era veramente un anarchico e in tale modo si è
sempre proclamato625 ma le mani che lo hanno spinto sono di ben altra matrice
politica. Chiosa finale: il nome di Bertoli comparirà negli anni ‘90 nei registri
dell’operazione Gladio ma si dirà ovviamente che era solo un caso di omonimia.
12.6 - La Rosa dei venti: apogeo e caduta
619
Gianpiero Rizzon, Bomba di un anarchico veneziano a Milano davanti la Questura: un morto e 43 feriti, “Il
Gazzettino”, 18.05.1973.
620
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
621
Mirco Dondi, op. cit., p. 316.
622
Francesco Fornari, Ergastolo per Bertoli, “La Stampa”, 02.03.1975.
623
S.O. Salvini, 1998, p. 257 e Mirco Dondi, op. cit., p. 312-314.
624
Assolti in appello per la bomba del ‘73, “La Stampa”, 02.12.2004.
625
Pino Corrias, «lo spia dei Servizi? Follia», “La Stampa”, 21.03.1995.
156
I piani vengono solo momentaneamente abortiti e spostati via via più avanti ma azioni
clamorose non si verificheranno più. La data per il golpe dal 2 giugno passa al 20
luglio626: il 10 giugno a Piadena, paesino del cremonese, si incontrano i massimi vertici
della Rosa dei venti ovvero De Marchi, Spiazzi, Nardella, Cavallaro e Lercari. La ditta
genovese promette un finanziamento di 400 milioni di lire627, a patto di risultati
concreti. Ma che cosa? «Governo nuovo e colpo di stato dovevano essere la stessa
cosa [...], il nostro tentativo del 20 luglio doveva porsi come continuazione ideale con
quello di Andreotti»628, dirà Cavallaro. Il governo cade due giorni dopo il summit di
Piadena: il premier il 12 si dimette ufficialmente dopo che il PRI di La Malfa toglie
l’appoggio esterno all’esecutivo629. C’è un vuoto di potere e Remo Orlandini,
eminenza grigia dei golpisti neri, nei suoi colloqui con Labruna dirà il 28 giugno che
«Questo è il momento. Siamo senza governo, senza niente. Doveva essere fatto in
questi giorni. Certo che Miceli sa, senz'altro. Ci mettiamo intorno a un tavolo, si lavora
giorno e notte e in tre giorni si fa, se necessario»630. Ma di preciso che sta facendo l’ex
braccio destro di Borghese? Ce lo dice Attilio Lercari:
Nel giugno 1973 il comandante OrIandini, che aveva collaborato con alti ufficiali dell'esercito alla
stesura dei vari piani alternativi per effettuare un colpo di stato militare, venne prudenzialmente
invitato dai militari ad uscire dal giro e a stabilirsi in una villa isolata dell'Appennino pistoiese, al
sicuro da occhi indiscreti e con la complicità dell'arma dei carabinieri. Successivamente, essendo
venuta meno la possibilità della copertura da parte dell'arma, fu inviato in Svizzera, dove dimorò
sino a tutto il luglio 1974. In questo periodo i contatti con i militari vennero tenuti dall'avvocato
Maurizio Degli Innocenti, e Torquato Nicoli fu incaricato di fare le navette tra Degli Innocenti e
Orlandini631.
Nel frattempo ai primi di luglio viene formato il nuovo governo, presieduto da Rumor:
si torna al centrosinistra e al quadripartito. Tanassi resta ministro della Difesa, Taviani
dopo cinque anni ritorna agli interni.
La data del 20 luglio per il golpe viene annullata e spostata al 4 o 5 ottobre: la
decisione arriva dopo una riunione a Firenze il 3 agosto al Motel Esso alle quale sono
presenti «Remo Orlandini e il generale Ugo Ricci, i genovesi De Marchi e Lercari, il
maggiore Spiazzi e il generale in pensione Nardella, i veneti Costantini e Zilio»632.
Quest’ultimo è Giovanni Zilio, di Bassano ed esponente di una struttura informativa
interna al MSI: in una lettera che gli verrà sequestrata nel 1974 e datata l’anno
626
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 362.
627
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 105.
628
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
629
Aldo Giannuli, op. cit., p. 398.
630
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
631
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
632
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 402.
157
precedente scriverà che «Noi abbiamo M»633 dalla nostra parte, da identificare senza
grandi dubbi con Miceli. Si punta perciò a organizzare una rivolta nelle carceri, in
modo da alzare il livello dello stato di emergenza «con l’intervento e la
strumentalizzazione dei delinquenti comuni»634. Il piano nuovamente non viene
attuato in quanto vengono arrestati in Versilia a metà ottobre due elementi di
secondo piano della Rosa dei venti come Sandro Rampazzo e Sandro Sedona, fermati
a bordo di un'auto zeppa di armi. Sono i primi scricchiolii che nel giro di poche
settimane causeranno una vera e propria frana. A scatenarla un personaggio strano,
il medico spezzino Giampaolo Porta Casucci, un mitomane che si fregiava di titoli
fasulli del Terzo Reich che incautamente i golpisti avevano messo al corrente dei loro
piani: il dottore consegna alla polizia un vasto dossier nel quale compaiono liste di
proscrizione, piani di attentati a sedi sindacali e di partiti, rapine a banche e istituti di
credito635. Escono i nomi grossi dell’ammiraglio Birindelli, del generale Nardella e del
suo successore, il colonnello Angelo Dominioni, oltre a personaggi ben noti
dell’estrema destra padovana come Eugenio Rizzato, indicato come il comandante: di
conseguenza tutto l’indagine di La Spezia viene passata alla procura di Padova per
competenza territoriale. L'Istruttoria giudiziaria viene affidata al giovane giudice
istruttore Giovanni Tamburino e al procuratore Aldo Fais che fa partire i primi arresti:
i nomi che finiscono subito nella rete della giustizia sono lo stesso Porta Casucci
(trovato a casa sua in compagnia del direttore di Candido Giorgio Pisanò), De Marchi
e Rizzato con l’accusa di associazione sovversiva. Tra le carte sottratte a quest’ultimo,
oltre a delle liste di proscrizione, vi è una lettera interessante datata 18 marzo 1973 a
indirizzata a “Caro Dario”: Dario è ovviamente Zagolin e soprattutto si menziona il
pericolo della concorrenza, motivo per cui l’autore consiglia di accelerare i tempi.
Cavallaro prima tenta una fuga in Cile e in Spagna, cambia però idea e resta in Italia:
viene arrestato a Verona il 19 novembre «con le tasche piene di materiale
interessante, tra cui lo schema del complotto e un lungo elenco di ufficiali»636. Nel
frattempo nell’inchiesta padovana è finita agli atti l’agenda di Gianfranco Belloni,
esponente missino che dirà di aver lavorato come informatore sia per i servizi italiani
che per quelli americani637, nella quale sono contenuti nomi molto interessanti: ci
sono Zagolin, Rizzato, Pisanò, Plevris, Skorzeny, il generale Enrico Mino e il colonnello
Giusti del comando NATO di Napoli638. Lo stesso Belloni, presentatosi come testimone
dal giudice Tamburino, dichiara di appartenere alla rete Gehlen e riferisce di una rete
633
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 83n.
634
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
635
Giorgio Sgherri, Dall’arresto di due fascisti veneti alla centrale eversiva in Lunigiana, “l’Unità”, 11.11.1973.
636
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 434.
637
S.I. Salvini 1995, p. 353.
638
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 458.
158
di informatori parallela formalmente non coincidente con il SID639. Chi invece riesce
a fuggire è Dario Zagolin, nonostante il mandato di cattura emesso dal giudice: chi
doveva eseguirlo, nientemeno che il comandante dei carabinieri di Padova Manlio Del
Gaudio, era affiliato alla P2 e lo farà scappare all’estero640. Un avviso di reato arriva
anche all’ex capo dell’ufficio politico della questura di Padova Saverio Molino, l’accusa
è omessa denuncia aggravata: come si è detto Molino nel ‘69 con una perquisizione a
casa di Rizzato aveva trovato materiale scottante come delle liste di proscrizione ma
non aveva avvertito la magistratura.
12.7 - Fine anno: i soliti misteri irrisolti
Anche il 1973 riserva avvenimenti scottanti nei mesi finali. Il 21 novembre Clemente
Graziani e altri 29 camerati vengono condannati per ricostituzione del PNF: tra questi
Elio Massagrande e Roberto Besutti ma non uno dei grandi capi come Paolo Signorelli,
neanche sfiorato dall’inchiesta in quanto “quadro coperto”. Il ministro dell’Interno
Taviani due giorni scioglie ufficialmente il Movimento Politico Ordine Nuovo,
procedendo alla confisca dei beni e alla chiusura delle sedi. I neofascisti dell’area si
riorganizzano e vanno a costituire Ordine Nero, un gruppo che mette insieme varie
cellule terroristiche di varia estrazione con esponenti di SAM (Squadre Azione
Mussolini), ex ON e MAR per esempio.
Lo stesso giorno, il 23 novembre, poco dopo il decollo dall'aeroporto di Tessera un
piccolo velivolo si schianta a Porto Marghera sullo stabilimento della Montedison,
causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio. Era diretto alla base
americana di Aviano641. È il caso Argo 16, una vicenda che è un vero buco nero in
quanto alle indagini è stato opposto il segreto di stato e dopo quasi cinquanta anni
vige ancora. Sulla vicenda le ipotesi sono state parecchie e ancora oggi non è chiaro
cos’è successo: errore umano o attentato? L’aereo era adibito al trasporto dei
gladiatori alla base di addestramento in Sardegna e secondo le indagini della procura
di Venezia aveva trasportato dei terroristi arabi per consegnarli al leader libico
Gheddafi. Per tale motivo il Mossad avrebbe voluto vendicarsi, sabotando il
velivolo642: il G.I. Mastelloni accusò l’ex capo del servizio segreto israeliano Zvi Zamir
di strage ma la Corte d’Assise di Venezia stabilì nel 1999 che l’aereo cadde per
un’incidente. Il fatto che ancora oggi resti il segreto di stato sulla vicenda pone
fortissimi interrogativi su quanto successo.
639
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 57.
640
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 29.
641
Tino Corradini, Aereo militare cade a Marghera: 4 morti, “Il Gazzettino”, 24.11.1973
642
Roberto Bianchin, «Fu il Mossad a sabotare l’Argo 16», “La Repubblica”, 18.04.1991,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/04/18/fu-il-mossad-sabotare-argo-16.html
159
Qualche settimana dopo il terrorismo di matrice araba colpisce direttamente in Italia:
il 17 dicembre un commando di fedayn compie un vero e proprio massacro
all’aeroporto di Fiumicino. Poco prima delle 13 in tre quarti d’ora assaltano un
terminal uccidendo due persone, lanciano delle bombe su un Boeing che provocano
un incendio e la morte di 30 passeggeri, uccidono un finanziere e si impadroniscono
di un altro aereo con alcuni ostaggi. È un altro Boeing e viene fatto decollare,
facendolo atterrare ad Atene. La richiesta dei terroristi è la liberazione di due
palestinesi rinchiusi nelle carceri elleniche ma le trattative si arenano anche per
l’uccisione di un ostaggio. L’aereo riparte, fa scalo a Damasco e poi atterra
definitivamente in Kuwait dove vengono liberati gli ostaggi. Il bilancio finale è di 34
vittime. Ma chi sono i terroristi? Gli autori si proclamano di Settembre Nero e
combattenti dell’OLP ma il leader palestinese Arafat li qualificherà come «agenti di
Israele»643. Pioveranno accuse sul ministro Taviani, reo di aver trascurato gli
avvertimenti del SID su un possibile attentato: le informative risulteranno però vaghe
e generiche alla prova dei fatti644. Una pista alternativa ma mai presa in serie
considerazione vedeva il coinvolgimento del gruppo Paladin, un’agenzia privata con
sede ad Alicante in Spagna fondata da ex nazisti e al servizio per azioni sporche di
varie nazioni filofasciste e antisioniste. A Roma vi era una società fittizia di elettronica,
sezione italiana della Paladin nei fatti, la quale aveva fatto varie chiamate in Spagna
appena prima dell’attentato: in una di queste tale Kadir dice «Facciamo conto di
viaggiare il 17 prossimo [...]. Ci incontreremo nella sala di transito»645.
Si chiude così, all’insegna del terrorismo di matrice internazionale, un anno che
oltretutto dal punto di vista sindacale era stato tutt’altro che pacifico. Il 1973 infatti è
stato l’anno con il numero maggiore di ore di sciopero dal dopoguerra646. Infine il 1°
dicembre viene revocato il mandato di cattura per Junio Valerio Borghese, libero di
tornare in Italia. Com’è noto però il principe non farà più ritorno dalla Spagna fino al
decesso.
643
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 451.
644
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 174.
645
Ibidem.
646
Aldo Giannuli, op. cit., p. 398.
160
Capitolo XIII: La svolta del ‘74
13.1 - Allarmi generali, prime confessioni e riorganizzazioni
L’anno 1974 è decisivo per la storia nazionale e per le vicende fin qui affrontate. Sono
365 giorni durissimi per la nostra democrazia, nuovamente intrisi di sangue, con
implicazioni politiche di gravità maggiore «persino rispetto agli avvenimenti del
1964»647. Cambia lo spartito delle stragi: da atti di provocazione (Piazza Fontana,
questura di Milano) si passa ad atti di intimidazione (Piazza della Loggia) nelle quali la
mano nera è subito evidente. La vecchia modalità di attacco ha ormai fatto il suo
tempo, diventando quasi controproducente per chi la sosteneva: infatti «dal 1974 la
parte compromessa nelle operazioni stragiste viene privata della copertura
istituzionale e la zona grigia che la proteggeva subì in una certa misura il contraccolpo
di tale cambio tattico»648. Il 1974 è a livello europeo un anno di cambiamenti
importanti: in Grecia dopo i fatti di Cipro649 finisce la dittatura dei Colonnelli e torna
un governo democratico con Konstantinos Karamanlis, in Portogallo dopo la
rivoluzione dei garofani con la conseguente caduta di Marcello Caetano il comando
passa alla Giunta di salvezza Nazionale con il generale Antonio de Spinola, in Francia
il centrista Valery Giscard d’Estaing è il nuovo presidente dopo aver battuto il
socialista Francois Mitterand, in Germania Over infine il primo ministro Willy Brandt
è costretto a dimettersi dopo uno scandalo di sicurezza interna650 e al suo posto
subentra il collega di partito Helmut Schmidt.
A gennaio le procure fanno partire due mandati di cattura rilevanti, quella di Milano
per Guido Giannettini sui fatti di Piazza Fontana il 19, quella di Padova per il colonnello
Amos Spiazzi il 12. Giannettini però, grazie al SID, era già stato fatto espatriare in
Spagna tempo addietro. Il nome di Spiazzi riesce ad emergere dopo un lavoro di scavo
non banale: tra i documenti di Rizzato vi era un cifrario militare segreto, sostituito più
di recente dalle divisioni che lo possedevano con uno più recente. Tutte hanno
restituito la versione più datata, tranne una: un reparto di artiglieria di Montorio
Veronese, il cui comandante era Amos Spiazzi. Il 12 gennaio Spiazzi, in contatto stretto
con gli ordinovisti scaligeri Massagrande e Soffiati, viene arrestato: nella sua
abitazione viene trovato un arsenale di armi ed esplosivi, da lui rivendicate come una
semplice collezione. La città di Verona non a caso è un centro nevralgico
dell’eversione: sono veronesi Spiazzi, Cavallero e Massagrande, era sede del centro
FTASE, di conseguenza dei comandi NATO di alto profilo con cui era in contatto Soffiati
647
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 460.
648
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 75.
649
650
Il suo stretto consigliere Gunther Guillaume era in realtà un agente della Stasi, il servizio segreto della Germania
Est.
161
e di una loggia massonica legata ai militari americani, infine aveva un Ufficio Guerra
Psicologica che per un decennio era stato diretto dal generale Francesco Nardella.
Proprio Nardella riesce a sottrarsi all’arresto, fuggito dal mandato del giudice
istruttore Giovanni Tamburino, responsabile dell’inchiesta insieme al P.M. Luigi
Nunziante. Nardella tra l’altro, come sempre solo per coincidenza, ha nominato come
suo legale difensore Adamo Degli Occhi. I due si erano incontrati a Verona il giorno
dopo l’arresto di Spiazzi651, sapendo che ormai stava per arrivare il loro turno.
A fine mese si verifica un episodio inquietante, una prova generale di mobilitazione:
la maggior parte dell’esercito, reparti NATO compresi, viene messa in stato d’allarme.
Durante la notte tra il 25 e il 26 gennaio «gli ingressi del Viminale vengono sbarrati
con cancelli anticarro e le strade della capitale sono sorvegliate da pattuglie rinforzate
di poliziotti»652. La notizia inizia a diffondersi negli ambienti di sinistra e il ministro
della Difesa Tanassi, come da prassi, smentirà subito la voce, qualificandola come
«assolutamente destituita da ogni fondamento»653. Nonostante le richieste in
parlamento l’episodio come previsto finirà a breve nel dimenticatoio: Tanassi si
smentirà, dicendo che era giunta voce di un possibile attacco palestinese. Ma anche
la questura di Roma si impegnerà a battere il record del ridicolo affermando che i
notati movimenti di polizia devono essere interpretati come misure necessarie a far
rispettare il divieto della circolazione domenicale delle auto. Qualche settimana prima
fonti socialiste avevano segnalato che a Bergamo a fine dicembre «reparti
dell’esercito avevano simulato l’occupazione della prefettura e del municipio [...]
Avevano raggiunto le abitazioni di sindacalisti ed esponenti della sinistra, calcolando
i tempi necessari a raggiungere il comando militare»654. Appare evidente come le
strutture golpiste siano ancora attive e perfettamente funzionanti.
Pochi giorni dopo qualcuno gioca la classica carta dell’attentato alle linee ferroviarie:
nella notte tra il 29 e il 30 gennaio viene posizionata una bomba di gelignite655 sui
binari in località Silvi Marina (Pescara). L’ordigno, destinato all’espresso «Freccia del
Sud» non esplode in quanto un passaggio casuale quanto provvidenziale di un treno
merci taglia la miccia, evitando così una strage. La strage sui treni avverrà comunque,
basterà attendere qualche mese. A Milano invece le SAM fanno esplodere tre bombe
davanti all’università statale, a un bar del centro e a un istituto di Crescenzago,
provocando notevoli danni.
651
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 145.
652
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 471.
653
Una smentita, alcuni fatti e molti interrogativi, “l’Unità”, 28.01.1974
654
Aldo Giannuli, op. cit., p. 491.
655
Walter Montanari, Criminale attentato alla «Freccia del Sud» vicino a Pescara, “l’Unità”, 30.01.1974
162
A metà febbraio arriva la svolta nell'inchiesta sul gruppo Rosa dei Venti: Roberto
Cavallaro, dal carcere di Belluno, sentendosi abbandonato, inizia a parlare. Viene fatto
il nome pesante del generale Vincenzo Lucertini, capo di stato maggiore
dell’Aeronautica, come uno della partita. Tempo una settimana e Lucertini lascia il
suo ufficio656, per pura coincidenza ovviamente. Cavallaro, giusto per far capire di che
appoggi avesse goduto, aveva girato mezzo nord Italia facendosi passare per
magistrato militare nonostante fosse appena ventitreenne. Va ricordato, ahinoi, che
siamo davanti a un progetto che a livello giudiziario tecnicamente non esiste ma che
è invece stato qualcosa di altamente pericoloso con il coinvolgimento di industriali,
servizi segreti italiani e NATO, reparti militari ed estremisti neri.
Il terrorismo nero, dopo lo scioglimento del MPON, vede la nascita del nuovo gruppo
denominato Ordine Nero, attorno a cui ruotano anche elementi di AN (ma anche
Carlo Fumagalli e il MAR): tra questi troviamo Giancarlo Esposti, Cesare Ferri, Fabrizio
Zani, Alessandro D’Intino, Augusto Cauchi e Massimo Batani. Il gruppo, nato al
momento opportuno, costituisce una delle tante formazioni armate predisposte in
vista di importanze scadenze eversive e nasce con il sospetto immediato di importanti
collusioni con i servizi segreti. Il perché è presto detto: la riunione costitutiva di Ordine
Nero avviene tra il 28 febbraio e il 3 marzo, all’albergo Giada di Cattolica, il cui titolare
Caterino Falzari è un collaboratore del SID657. Scriverà il settimanale “Il Mondo” che
l’iniziativa è partita da Carlo Fumagalli658, il quale però non risulta tra i partecipanti: a
lista completa dei presenti non è mai stata resa nota anche se di per certo tra questi
vi erano elementi di assoluto peso come Lello Graziani, Salvatore Francia e Paolo
Signorelli, il futuro protagonista dell’Italicus Luciano Franci, Luigi Falica659 e Maria
Crocco (moglie di Elio Massagrande). Francia, in un’intervista a “L’Europeo” avvenuta
alcuni mesi dopo la riunione, dirà che «il locale era tappezzato di microfoni del SID e
anche pieno di falsi ospiti, agenti del SID; per cui se abbiamo progettato degli attentati
il SID ne era al corrente e il SID è il nostro complice»660. Dettagli tutt’altro che di poco
conto che pongono fin da subito pesanti dubbi sulla genuinità di Ordine Nero.
13.2 - Dal referendum sul divorzio a nuovi sviluppi senza sosta
Il 28 febbraio cade il governo Rumor IV dopo l’uscita dalla maggioranza del PRI di La
Malfa. A metà marzo Rumor tornerà a capo della nuova coalizione di governo nel
quale è rilevante il ritorno di Andreotti come ministro della Difesa al posto di Tanassi.
656
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 487.
657
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 222.
658
“Il Mondo”, 13.06.1974.
659
Fondazione Luigi Cipriani (a cura di), cronologia della storia d’Italia, fondazionecipriani.it, eventi del 28.02.1974,
https://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/Archivio.php?DAANNO=1974&AANNO=1975&id=&start=210.
660
“L’Europeo”, 12.12.1974.
163
Una svolta sostanziale a livello nazionale potrebbe arrivare con il referendum
sull'abrogazione del divorzio, previsto per il 12 e il 13 maggio. A favore del SÌ ci sono
infatti la DC e il MSI-Destra Nazionale, e più in generale gli ambienti ultracattolici. Chi
tira le fila è il segretario della DC Amintore Fanfani che, nascondendosi dietro ragioni
religiose per l’abrogazione, aveva in mente ben altri progetti. Fanfani puntava infatti
a una larga vittoria per una svolta presidenzialista-gollista, attuando quel progetto a
cui stavano da tempo pensando Edgardo Sogno e ampi settori industriali. Già
all’epoca si teme questa deriva: Carlo Donat-Cattin accusa il segretario del suo stesso
partito di «preparare una svolta autoritaria», Pietro Nenni parla invece di
«un’involuzione a destra che mantenga le apparenze della costituzionalità»661.
In questo clima infuocato agiscono anche le Brigate Rosse che alzano sensibilmente il
tiro, passando dalle azioni volanti al primo vero e proprio sequestro di persona a
scopo di estorsione: il 18 aprile le BR rapiscono il sostituto procuratore di Genova
Mario Sossi, chiedendo in cambio della sua liberazione la scarcerazione di otto
componenti del gruppo XXII Ottobre. Sossi sarà liberato dopo 35 giorni di prigionia
nonostante la mancata scarcerazione dei terroristi. Dopo Silvi Marina si riprova la
carta dell’attentato ferroviario: all'alba del 21 aprile lo scoppio di una potente carica
di esplosivo danneggia gravemente i binari della linea ferroviaria Bologna-Firenze nei
pressi di Vaiano, vicino Prato. Il direttissimo Parigi-Roma viene bloccato in tempo ed
evita un deragliamento che avrebbe causato parecchie vittime: la carica esplosiva
aveva infatti divelto oltre mezzo metro di rotaie662. L’attentato, pur non riuscito,
venne comunque rivendicato da Ordine Nero con dei volantini.
Nonostante le strumentalizzazioni il referendum del 12 e 13 maggio finirà con una
batosta per Fanfani e soci: il fronte del NO vince con quasi il 60% dei voti e il progetto
golpista verrà posticipato ad agosto. Come infatti testimonia una nota del SID per il
colpo di stato «inizialmente era stata fissata la data del 12-14 maggio 1974 e,
successivamente, quella del 10-15 agosto 1974»663.
13.3 - SID parallelo
Il 9 maggio, appena prima del referendum era stato arrestato Carlo Fumagalli per
ordine della procura del Brescia insieme ad altri elementi del MAR: è un fatto carico
di significato in quanto l’ex partigiano Giordan per anni aveva goduto del totale
sostegno dei carabinieri ma ora però qualcuno in alto ha deciso che andavano recisi i
fili sia con lui e sia con i vecchi apparati in generale. Nonostante i duri colpi subiti l’ala
661
Mirco Dondi, op. cit., p. 332.
662
Saverio Ferrari, “Da Trento a Bologna, storia degli attentati sui treni italiani”, ilmanifesto.it,
https://ilmanifesto.it/da-trento-a-bologna-storia-degli-attentati-sui-treni-italiani, 02.08.2019.
663
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
164
radicale continua a lavorare. In quello stesso periodo Stefano Delle Chiaie e Junio
Valerio Borghese si recano in Cile dove incontrano Augusto Pinochet e la giunta
militare per cercare appoggi. Scriverà a riguardo sul suo diario lo stesso Delle Chiaie:
«L'incontro con il generale è stato di massimo interesse: l'uomo è rude e intelligente.
Le sue parole mi hanno dato la netta sensazione che è deciso ad aiutarci»664. La
strategia da attuare è sempre la medesima, ovvero creare una strategia del terrore
con attentati in modo da rendere necessario l’intervento dell’esercito, il quale
avrebbe poi eliminato i partiti e creato uno stato corporativo.
A fine maggio ai giudici padovani è ormai chiaro che la Rosa dei venti non è un gruppo
di poco conto formato da neofascisti ed ex repubblichini ma dietro vi è un qualcosa di
estremamente pericoloso: tale organizzazione, i cui vertici massimi si trovano negli
ambienti della NATO, passerà alla storia con la definizione giornalistica di SID
parallelo. Questo negli anni successivi verrà identificato con l’operazione Gladio ma
oggi possiamo del tutto escluderlo. Nei vari processi Miceli, Andreotti e i militari di
alto grado indirizzeranno le indagini proprio in tal direzione ovvero verso un qualcosa
di legato ad ambienti solo militari e tecnicamente legale. È necessario non confondere
le cose, evitando di buttare tutto dentro il calderone di Gladio come più di qualcuno
ha cercato di fare ma andare oltre. Ben altro infatti era il SID parallelo,
un’articolazione coperta molto più ampia e del tutto illegale che sul lato civile si può
identificare parzialmente con il Noto Servizio mentre su quello militare con una
struttura alternativa ai servizi e inserita nella NATO. Tale struttura continuerà ad
esistere negli anni, anche dopo la riforma dei servizi del 1977, cambiando nome in
Supersismi665 e risultando evidente con la strage di Bologna: mutano alcuni dei
protagonisti e le sigle delle organizzazioni ma non il potere sotterraneo. Il giudice
Giovanni Tamburino, a distanza di vent’anni dai fatti della Rosa dei venti, darà una
propria definizione sul cosiddetto “SID parallelo” in un’intervista a Radio Radicale nel
1993:
È un’espressione solo giornalistica senza riscontro giudiziario, è quel complesso di organizzazioni la
cui identità era determinata dal condividere la difesa di questa ipotesi politica e anche l’offesa. Il
personale era scelto su un assoluto ideale anticomunista, fortemente carico del radicalismo
neofascista e neonazista. Il fenomeno però è più ampio perché a mio parere vi è stata manipolazione
di gruppi di altro segno. Il fenomeno del reclutamento avveniva nel momento dell’immissione nelle
strutture militari grazie alla preselezione666.
664
Atti Procura della Repubblica di Roma, 1977.
665
Sandra Bonsanti, La banda dei ricatti e del tritolo, “La Repubblica”,
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/20/la-banda-dei-ricatti-del-tritolo.html,
20.10.1984.
666
Valentina Pietrosanti (a cura di), L'inchiesta giudiziaria sul "SID parallelo"; potere politico, servizi segreti e mafia,
intervista di Claudio Landi a Giovanni Tamburino, radioradicale.it, 01.06.1993,
165
Vi erano quindi diversi piani operativi, dei quali il SID parallelo o meglio, il già citato
Servizio Clandestino Italiano era «la struttura maggiormente prossima ai gruppi
operativi occulti dei quali la Rosa dei venti rappresentava il livello di raccordo»667. Il
27 maggio del 1974 la procura di Padova mette a confronto Amos Spiazzi e il generale
Angelo Alemanno, capo dell’ufficio sicurezza del SID. Il primo sta sempre più
mettendo allo scoperto la rete parallela:
Confermo alla presenza del generale Alemanno del SID quello che ho già ripetutamente chiarito al
giudice. E' accaduto che un mio superiore mi incaricò di prendere contatto con una persona e da ciò
si sono sviluppati quei fatti per cui oggi mi trovo coinvolto nel procedimento penale. Secondo quel
che mi disse la persona che mi diede l'incarico, un generale aveva già avuto contatti con i genovesi
e lo aveva incaricato di passarmi l'ordine. Quando i genovesi fecero delle richieste eccessive, quale
contropartita per i finanziamenti, il generale si ritirò, facendo pervenire a me \'incarico. Non mi
sento però in condizioni di fare il nome del generale. Quando ho parlato di gerarchia parallela
bisogna intendersi sui termini: intendevo dire che l'ufficiale I, se deve comunicare qualcosa, lo
comunica a un certo livello dell'arma dei carabinieri. Ho detto anche che abbiamo un sistema per
comunicare tra noi, convenzionale per non farci riconoscere668.
Alemanno ovviamente lo smentisce subito: «Non mi risulta l'esistenza di un simile
sistema per comunicare le notizie […]. Escludo che un carabiniere, anche se
interrogato dall'ufficiale I, dia le notizie»669. Spiazzi di conseguenza si arrende e anzi
ringrazia il generale per averlo rimproverato «di aver già parlato troppo».
La procura di Padova, prima del confronto Spiazzi-Alemanno, aveva sentito il 16
maggio il maggiore del SID e capo del centro controspionaggio di Verona Angelo
Pignatelli, lo stesso già visto con la tentata strage del tribunale di Trento del 1971, il
quale confermerà di conoscere bene alcuni degli imputati, bollandoli però con toni fin
quasi provocatori. Cavallaro è infatti semplicemente «un truffatore» mentre Spiazzi
«il classico fanatico militarista che partecipava alle manifestazioni patriottiche»670.
Per tali motivi secondo Pignatelli non era stato necessario riferire nulla all’autorità
giudiziaria sulle attività del gruppo, nonostante fosse anche stato messo sotto
controllo il telefono di Spiazzi, e in ogni caso «la riservatezza istituzionalmente
richiesta nel nostro servizio mi faceva ritenere di avere assolto al mio compito
riferendone alle superiori autorità»671. Il SID, come da tradizione consolidata, è ben
informato sul movimento dei gruppi eversivi, ampie frange ne condividono gli
https://www.radioradicale.it/scheda/54472/linchiesta-giudiziaria-sul-sid-parallelo-potere-politico-servizi-segreti-e-
mafia, min 10.
667
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 55.
668
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
669
Ibidem.
670
Ibidem.
671
Ibidem
166
obiettivi, non ne ostacolano l’attività se non attivamente lavorando a braccetto.
Ovviamente fa orecchie da mercante.
13.4 - Piazza della Loggia
Il 28 maggio a Brescia nella centrale Piazza della Loggia esplode una bomba dentro un
cestino portarifiuti, causando 8 morti e un centinaio di feriti. È una strage tremenda
che avviene a una manifestazione sindacale contro il terrorismo antifascista,
proclamata dopo che nella notte del 19 maggio il giovane di estrema destra Silvio
Ferrari era morto mentre tentava di mettere una bomba. Risulterà però che la morte
di quest’ultimo era tutt’altro che casuale: letteralmente saltato in aria in piazza del
Mercato con la vespa su cui trasportava una bomba a orologeria, a ucciderlo, secondo
le future conclusioni giudiziarie, sono stati i suoi camerati perché aveva deciso di
troncare l'attività politica e di recedere dall'organizzazione672. Lo hanno convinto a
compiere un ultimo attentato anticipandogli segretamente di un'ora il meccanismo a
orologeria della bomba. La strage di Brescia, fatto nuovo, viene preannunciata: nei
giorni precedenti al “Giornale di Brescia” era arrivato una lettera, firmata “Partito
fascista-sezione di Brescia-Silvio Ferrari” nel quale si annunciavano gravi attentati per
la fine di maggio. Poche ore dopo l’esplosione un volantino firmata «Ordine Nero,
Anno Zero, Brixien Gau» rivendica l’attentato, fatto come vendetta per Silvio Ferrari
ucciso dai “rossi”. È una strage che colpisce in pieno volto come un pugno, rimarcando
la tesi degli opposti estremismi: è la minaccia di una guerra civile per le autorità. Si
noti come è la prima strage apertamente rivendicata dall’estrema destra, tutte le altre
precedenti a partire da piazza Fontana si era sempre cercato di attribuirle alla sinistra
anarchico/comunista. Sarà l’ultimo tentativo di spallata dei golpisti neri che appena
due giorni dopo perderanno infatti il capo delle SAM Giancarlo Esposti, ucciso da un
commando di carabinieri e forestali a Pian del Rascino (Rieti). Il suo corpo è crivellato
di colpi e viene finito con un colpo alla testa673: è una palese esecuzione. In contatto
con Fumagalli, Esposti dopo l’arresto di questi aveva detto che i carabinieri li avevano
traditi. Tornado a Brescia subito dopo l’esplosione arriva il primo depistaggio: appena
dopo un’ora e mezza la questura ordina ai vigili del fuoco di sgombrare la piazza dai
detriti e, addirittura, di lavarla accuratamente. Avviene così la dispersione di preziosi
reperti, suscitando inquietanti interrogativi sulla fretta dell'operazione. La seconda
azione depistante avviene quando tal Ugo Bonati riferisce alle autorità che i
responsabili della strage sono Ermanno Buzzi, Angelino Papa e vi è coinvolto anche
Andrea Arcai, ragazzino vicino agli ambienti neofascisti bresciani ma in realtà del tutto
estraneo ai fatti. Arcai è però soprattutto il figlio del giudice Giovanni, titolare
672
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 548.
673
Ivi, p. 567.
167
dell’inchiesta sulla banda di Fumagalli. È un’operazione con duplice effetto: gettare
nel tritacarne personaggi minori come Buzzi, un neonazista pederasta e ladro di
quadri, e in più bloccare l’indagine di Arcai sul MAR, cosa che infatti avverrà in quanto
il giudice sarà trasferito a Milano e il processo affidato al collega Gianni Simoni. Per
Brescia abbiamo una verità già pronta, concordata in partenza, con il coinvolgimento
di personaggi come Giorgio Pisanò, vicino al Noto Servizio, e il comandante dei
carabinieri Francesco Delfino. La tesi di Bonati viene creduta: Buzzi in primo grado
riceve l’ergastolo ma sarà ucciso in galera a Novara da Mario Tuti e Concutelli nel
1981, giusto prima del processo di secondo grado: un personaggio scomodo in meno.
Nel 1984 si aprirà una seconda istruttoria che porterà all’assoluzione di tutti gli
imputati, tra cui il milanese Cesare Ferri. La terza e ultima istruttoria porterà al rinvio
a giudizio nel 2008 per il generale Francesco Delfino, Rauti, Maggi, Zorzi, Giovanni
Maifredi (provocatore al servizio del SID e responsabile della cattura di Fumagalli) e
di Maurizio Tramonte, collaboratore del SID. Nel 2015 la Corte d’assise di Milano in
appello ha condannato Maggi e Tramonte all’ergastolo674.
Una pista, palesemente depistante, vedeva Renato Curcio in Piazza della Loggia il
giorno della strage e ritratto in alcune foto. La bomba, secondo alcune ricostruzioni,
sarebbe stata riservata ai carabinieri e non ai manifestanti. Le BR, in ogni caso, poco
tempo dopo faranno un ulteriore salto di qualità successivamente al sequestro Sossi:
il 17 giugno un commando guidato da Roberto Ognibene entra nella sede del MSI a
Padova e uccide Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. È il primo fatto di sangue del
gruppo estremista rosso che uccide due persone semplici e politicamente
insignificanti. L’ufficio del giudice Tamburino è a un centinaio di metri dalla sede
missina dove avviene il fattaccio: coincidenza?
13.5 - Lavori di intelligence e guerra nel SID
Remo Orlandini, al sicuro a Lugano, nel maggio-giugno del 1974 viene raggiunto da
Labruna, con cui ha già avuto diversi incontri, e dal colonnello Sandro Romagnoli.
Questi ultimi, alla presenza anche di Maurizio Degli Innocenti e Torquato Nicoli,
convinti a collaborare col SID, iniziano quella che è in pratica è un’intervista: «Il
capitano Labruna ricorre al registratore, che pone sul tavolo senza che ciò susciti la
minima opposizione da parte dell'interlocutore675». Si ritiene in questa sede già
questo primo particolare indicatore di come Labruna non si sia un semplice infiltrato
del SID presso il golpista Orlandini, il quale dovrebbe sapere bene, visti i contatti e gli
674
Piazza della Loggia, condannati all'ergastolo Maggi e Tramonte 41 anni dopo la strage, repubblica.it, 22.07.2015,
https://milano.repubblica.it/cronaca/2015/07/22/news/milano_processo_per_la_strage_di_piazza_della_loggia_atte
sa_per_la_sentenza-119594855/
675
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
168
appoggi di cui godeva e gode, chi ha di fronte. Da segnalare che il 29 marzo a uno degli
incontri era stato presente anche Attilio Lercari676, finanziatore per conto della “ditta
genovese” sia del golpe Borghese che della Rosa dei venti. Dopo tre anni e mezzo dalla
notte di Tora-Tora e dopo una prima istruttoria a vuoto, su quella che Edgardo Sogno
aveva definito una «modesta e quasi grottesca esercitazione di attempati goliardi
elevata a scandalosa minaccia di colpo di stato»677 qualcuno decide che deve essere
fatta luce. Orlandini inizia a raccontare dell’occupazione del ministero dell’Interno,
nel quale i congiurati sono entrati fin dal primo pomeriggio e dal quale dovevano
uscire 200 mitra. Il primo nome importante che viene fatto è quello del generale
Duilio Fanali, definito colui che «dava le disposizioni a tutto l'apparato militare,
cosciente e volente»678. Viene confermato il contatto tra Borghese e il presidente
americano Nixon per tramite dell’ingegnere della Selenia Hugh Fenwick: riguardo le
richieste fatte dai golpisti Orlandini dice che «Nixon ne ha consentito una parte, cioè
quasi tutte, era d'accordo con noi679». Poi Labruna fa la domanda fatidica a Orlandini:
«Miceli è stato contattato da te, Remo, vero?», il quale risponde «Sì, nel 1968». Al
che l’agente del SID incalza: «Tu hai organizzato un incontro direttamente tra Miceli
e Junio Borghese?», Orlandini non può che confermare e ammette che è avvenuto «A
casa mia»680. Miceli quindi non solo ha avuto dei contatti con Orlandini ma con il
Principe Nero in persona.
Con queste dichiarazioni Orlandini dichiara la temporanea fine di Miceli: nei servizi è
da tempo che la sua fazione, filo araba e favorevole al golpe militare, è in guerra con
l’ala presidenzialista e filo israeliana che nel SID fa riferimento al comandante del
reparto D Gianadelio Maletti, del quale Labruna è un sottoposto. In quanto ad appoggi
politici Miceli non è mai troppo andato a genio ad Andreotti che invece preferiva di
gran lunga Maletti: questo è un punto focale da tenere a mente in quanto se non
vengono posti dietro i generali il rispettivo corrispondente politico la faccenda diventa
di difficile lettura. Dietro la lotta per il vertice del SID tra Maletti e Miceli c’è quella tra
la coalizione DC filo israeliana di Andreotti e quella filoaraba di Moro. La vicenda poi
si intreccia in modo decisivo con il processo di Piazza Fontana nel quale sono accusati
Maletti e Labruna. Quest’ultimo in particolare era responsabile della fuga in Spagna
di Marco Pozzan con un falso passaporto intestato a Mario Zanella. Labruna sarà per
tale motivo condannato a dieci mesi di carcere per favoreggiamento ma in realtà era
676
S.O. Salvini, 1995, p. 175.
677
Edgardo Sogno, La Seconda Repubblica, Sansoni, Firenze 1974, p. 90.
678
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
679
Ibidem.
680
Ibidem.
169
totalmente all’oscuro dell’identità di Pozzan e aveva solamente eseguito un ordine
diretto del suo superiore Maletti.
La vicenda di Brescia e i movimenti dei golpisti, sia neri sia bianchi, hanno sicuramente
il loro peso negli sviluppi successivi: il lavoro di Labruna porta alla produzione di un
primo rapporto a cui Maletti mette la freccia. In primis perché il nome di Miceli
compare eccome e il capo del reparto D non aspettava altro per scalzarlo dalla
poltrona. In secondo luogo perché l’inchiesta di Tamburino a Padova deve essere a
tutti i costi bloccata, sempre più a vicina a toccare segreti politico-militari: il 5 giugno
il giudice di Padova scrive una lettera al presidente della Repubblica Giovanni Leone:
«Da varie fonti probatorie è stata indicata l’esistenza di una organizzazione occulta
composta da elementi appartenenti alle forze armate»681. Tre giorni prima Leone, su
proposta di Andreotti682, aveva insignito Miceli del titolo di “grande ufficiale al merito
della Repubblica”. Il generale non sa che stanno per fargli le scarpe.
Andreotti proprio in quei giorni rilascia un’intervista clamorosa al giornalista del
settimanale “Il Mondo” Massimo Caprara nel quale innanzitutto annuncia che
l’ammiraglio Mario Casardi prenderà il comando del SID al posto di Miceli. Dirà poi
soprattutto che «del tentativo di golpe di Borghese ci siamo quasi dimenticati, senza
essere riusciti a sapere se davvero si voleva o poteva fare una nuova marcia su Roma.
Mi potrò sbagliare, ma io non credo che il pericolo maggiore venga da personaggi
come il colonnello Spiazzi che chiama in causa i servizi segreti»683. È una mossa che
conferma, se mai ce ne fosse bisogno, il ruolo di primo stratega del ministro della
Difesa: attacca il SID che ormai è compromesso, nello specifico la corrente di Miceli
che proseguiva la linea di gente come Di Lorenzo, rilanciando un’inchiesta, quella su
Borghese, che era morta da anni per ridimensionare una, quella di Padova, che si
stava facendo troppo ardita. Non sazio svela come Guido Giannettini sia a tutti gli
effetti un informatore regolare del SID, proteggerlo è stato un errore e che i famosi
fascicoli illegali del SIFAR non sono mai stati distrutti. Infine con parole sibilline, dice
che «Attentati come quelli sui treni non sono opera casuale allestita da dilettanti»:
un’accusa non secondaria sulla spontaneità del terrorismo nero, che passo purtroppo
in secondo piano rispetto al resto dell’intervista. È una vera bomba che scoppia
fragorosamente: i magistrati Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini, titolari
dell'istruttoria su Piazza Fontana, appena il giorno dopo vanno a interrogare per
diverse ore sia Miceli sia Andreotti684.
681
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
682
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 578.
683
“Il Mondo”, 20.06.1974.
684
Andreotti e il capo del SID ascoltati per quasi tre ore dai giudici milanesi, “l’Unità, 22.06.1974.
170
La guerra nel SID si fa durissima e inizia il classico scaricabarile nel quale tutti
dichiarano di voler “servire la giustizia” come da prassi. Romagnoli e Labruna
terminano il loro lavoro da infiltrati: il 3 luglio Gianadelio Maletti invia al suo superiore
Vito Miceli un rapporto di 56 pagine datato 27 giugno, il «malloppone» con oggetto
tutti i tentativi eversivi avvenuti in Italia dal 1970, compreso uno che si sarebbe
realizzato a inizio agosto: è il golpe bianco di Edgardo Sogno, previsto per il prossimo
ferragosto. La manovra ordita dall’ex comandante della Franchi e dai suoi alleati Luigi
Cavallo e Randolfo Pacciardi meriterebbe un approfondimento importante che buona
parte della storiografia ha a torto evitato: il golpe bianco non è stata una congiura di
qualche nostalgico ma pericolosa come i progetti dei neofascisti. Il colpo di stato
sarebbe avvenuto a ferragosto, data in cui si sarebbe instaurato
Un governo provvisorio, espressione delle forze armate, composto da tecnici e militari, presieduto
da Randolfo Pacciardi e avente come programma immediato, tra l'altro, lo scioglimento del
parlamento, l'instaurazione di un sindacato unico, l'istituzione di campi di concentramento,
l'abolizione dell'immunità parlamentare con effetto retroattivo e la successiva costituzione di un
tribunale straordinario per processare alte personalità politiche685.
Il progetto, sviluppandosi in contemporanea alla Rosa dei venti, vede di conseguenza
persone con il piede in due scarpe come il generale Ugo Ricci e Attilio Lercari.
Principali finanziatori la FIAT, a fianco di Sogni dai tempi di Pace e Libertà, e il
petroliere/editore Attilio Monti. Nel nuovo governo Sogno sarebbe stato il ministro
della Difesa, agli esteri l’ex segretario della NATO Brosio mentre Pacciardi come primo
ministro.
Miceli riceve da Maletti il rapporto di cui si è detto poc’anzi ma si rifiuta di girarlo ad
Andreotti perché lo ritiene infondato. Dirà Miceli rievocando il momento:
Allorché il generale Maletti mi presentò il rapporto espressi stupore in quanto, in relazione al
contenuto del rapporto, io avrei voluto essere avvertito molto prima per avere la possibilità di
approfondire le indagini e di esprimere una mia valutazione, prima di lasciare il SID, sui risultati delle
indagini a suo tempo da me ordinate. Il generale Maletti si giustificò asserendo che soltanto pochi
giorni prima era riuscito a cucire le varie notizie da lui raccolte al fine di formulare il rapporto. Chiesi
a Maletti da quali fonti provenissero le notizie. Mi parlò di fonti fiduciarie, di qualche registrazione
e poi mi fece anche il nome di Orlandini, senza assolutamente precisare che agenti del SID avevano
registrato una conversazione di quest'ultimo. Il mio disappunto nacque anche dal non essere
informato via via dei risultati delle indagini. Gli esternai anche le mie perplessità sulla fondatezza
delle notizie che riguardavano l'interessamento del presidente Nixon e taluni movimenti della flotta
NATO e la corresponsabilità di taluni alti gradi militari686.
685
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
686
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
171
Il suo mandato al SID stava comunque per scadere e una settimana dopo Maletti,
d’intesa con il nuovo capo del SID Mario Casardi, invia il rapporto al ministro e
all’ammiraglio Henke, capo di stato maggiore della Difesa. Andreotti a questo punto
indice il 14 luglio un vertice a Montecitorio alla presenza di Casardi, Maletti, Labruna,
dell’ammiraglio Henke per la Marina, dei generali Mino per l’Arma dei Carabinieri e
Borsi di Parma per la Guardia di Finanza per valutare i dati forniti dal SID. Al termine
del meeting Andreotti invitava ad alleggerire il rapporto, tacendo nomi come
Birindelli, Gelli e Torrisi687. Riguardo al possibile golpe di agosto l’indicazione è di
tenere gli occhi aperti e nulla di più.
13.6 - Italicus
La situazione pare precipitare il 4 agosto quando nella notte esplode una bomba in un
vagone del treno “Italicus”, partito da Roma alle 17.30 e diretto a Monaco di Baviera,
all’altezza di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), causando 12 morti. È l’ennesima
strage, la seconda a distanza di due mesi da quella di Brescia, che dovrebbe servire a
scatenare il caos e la guerra civile. Bisogna però prima fare un passo indietro di alcuni
giorni: Il 15 luglio Giorgio Almirante e Alfredo Covelli, i due leader del MSI-DN, si
recano dal capo dell’antiterrorismo Emilio Santillo con scottanti informazioni: un
avvocato ha girato loro una confidenza, a sua volta ricevuta da un impiegato
dell’Università di Roma, che avrebbe visto all’ateneo di fisica un gran quantitativo di
esplosivi e una cartina della città con un cerchio sulla stazione Tiburtina e le indicazioni
5,30 e Palatino688. Scattano delle perquisizioni all’università che non portano a nulla
mentre emerge che l’avvocato coinvolto è Aldo Basile, legato a Mario Tedeschi,
mentre il suo confidente è Francesco Sgrò, bidello. La Tiburtina viene posta sotto
sorveglianza speciale per le settimane successive, finché il 1° agosto, appena 72 ore
prima, viene abolita per ordine del nuovo comandante della polizia di frontiera
Federico Umberto D’Amato: le coincidenze non sono poche. L’attentato sarà
inizialmente rivendicato con un rozzo comunicato da Ordine Nero: «Abbiamo voluto
dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere bombe dove vogliamo, in
qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e quando ci pare. La bandiera nazista non è
morta a Berlino nel lontano 1945. Giancarlo Esposti è stato vendicato»689. L’autore è
un giovane di nome Italo Bono, ritenuto un mitomane e che sarà trovato morto dieci
anni dopo con una siringa su un braccio, per una classica overdose da eroina 690.
Ordine Nero smentirà subito Bono, ciononostante qualcuno che afferma di parlare a
687
Aldo Giannuli op. cit., p. 493.
688
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 615. Se per 5,30 si intendono 17.30 l’orario di
partenza del treno, l’Italicus e non il Palatino, è corretto.
689
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella.
690
Muore un personaggio dell’inchiesta sull’Italicus: eroina, “l’Unità”, 09.02.1984.
172
nome dell’organizzazione chiama la redazione del quotidiano locale “Il resto del
Carlino” e rivendica l’attentato, promettendone un altro a Padova con 200 morti691.
Le indagini, gestite dalla procura di Bologna, come da prassi vanno a rilento e si tenta
come sempre una pista rossa, ovvero quella che aveva lanciato giorni prima
Almirante. Viene infatti sentito il superteste Sgrò, il quale prima accusa il giovane
ricercatore e iscritto al PCI David Ajò di essere dietro l’attentato, ma poi
clamorosamente si rimangia tutto: dirà al quotidiano Paese Sera di aver inventato
tutto e che «L'avvocato Basile mi ha consegnato un milione e mi ha promesso altri
dieci milioni per quello che ho fatto»692. Quanto al SID arriva a Bologna Maletti, il
quale afferma che c’è una pista che porta alla Baviera: la pratica di esportare all’estero
il terrorismo la città emiliana lo rivedrà bene nel 1980. Il giudice istruttore del primo
processo, Angelo Vella, scriverà nel ‘78 che «nel corso del procedimento più volte è
stata richiesta l'Autorità nazionale per la sicurezza (capo del SID) di fornire ogni utile
notizia senza conseguire che risposte insoddisfacenti con la pretesa di accreditare la
non convincente versione dell'incompetenza del citato servizio per indagini della
specie»693. Riguardo ai servizi segreti è legato un altro aspetto inquietante della
vicenda con protagonista la giovane Claudia Ajello, collaboratrice del SID di un centro
di controspionaggio a Roma intestato a Mauro Venturi, capitano dei carabinieri legato
a doppio filo a Federico Marzollo e alla Rosa dei venti. Il 31 luglio la Ajello si reca in
una ricevitoria e fa una chiamata, dicendo secondo la testimonianza di un’impiegata
che «Le bombe sono pronte. Da Bologna c'è il treno per Mestre. Là trovi la macchina
per passare i confini. Stai tranquillo. I passaporti sono pronti»694. Sentita, la Ajello dirà
di aver parlato solo con sua madre e di essere iscritta al PCI mentre lo stesso SID,
travolto da faide intestine clamorose, non sa che pesci pigliare: Marzollo dirà di non
aver avuto idea che lei fossa una militante comunista. La giovane è realmente iscritta
al partito comunista ma in realtà, essendo di madre greca, era una tattica di
infiltrazione per controllare la rete degli studenti ellenici di sinistra in Italia. Sull’Ajello
calerà poi il silenzio considerando che nel 1982 il premier Spadolini oppose il segreto
di stato agli atti, il quale sarà rimosso solo nel 2014.
Ma allora chi sono i responsabili? Le rivelazioni, come si vedrà più avanti, arrivano in
modo clamoroso nel dicembre del 1975 grazie a un evaso di carcere che racconta le
confessioni ricevute da alcuni personaggi legati all’estrema destra toscana, nello
specifico al gruppo noto come Fronte Nazionale Rivoluzionario (FNR). Nato un paio di
anni prima dei fatti dell’Italicus, vi ruotano attorno Augusto Cauchi, Piero
691
Mirco Dondi, op. cit., p. 386.
692
Paese Sera, 13.08.1974.
693
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella
694
Ibidem.
173
Malentacchi, Margherita Luddi, Mario Tuti, Luciano Franci, Marco Affatigato e Luca
Donati. Di questi Cauchi è legato al SID, Affatigato ai servizi americani695 mentre
l’ombra omnicomprensiva è quella della P2 come si vedrà tra poche righe: basta
ricordare che Gelli è a pochi chilometri. Il 4 agosto, l’Italicus parte regolarmente da
Roma in direzione Monaco e in tarda serata fa tappa a Firenze a Santa Maria Novella
per sedici minuti. Luciano Franci lavora alla stazione come carrellista e osserva con
nonchalance Piero Malentacchi che deposita effettivamente la bomba sul treno. A
confezionare l’ordigno lo stesso Malentacchi insieme a Mario Tuti e Margherita Luddi,
la quale aveva fatto da corriere con la sua auto. Malentacchi scappa insieme alla Luddi
dopo aver compiuto la sua missione mentre Franci per non destare sospetti resta in
servizio ma nei giorni successivi si darà malato696.
A oggi la verità giudiziaria è distante anni luce da quella storica: il 1° agosto 1980,
alla vigilia della strage alla stazione, la prima istruttoria sulla strage dell’Italicus si
chiude con il rinvio a giudizio per strage per Tuti, Franci, Malentacchi e Luddi, di
calunnia per Sgrò. Il primo processo presso la Corte d’Assise di Bologna si concluse il
20 luglio 1983 con l’assoluzione degli imputati. Su di loro un’accusa pesante era
arrivata in contemporanea dall’ex generale Luigi Bittoni, il quale ricordando il ‘74
affermò:
«Nel 1974 io ero comandante della quinta brigata carabinieri di Firenze. Un giorno si presentò nel
mio ufficio l'onorevole Gino Birindelli, già ammiraglio della marina. Questi mi disse che non voleva
che il suo partito, MSI-Destra nazionale, fosse coinvolto in azioni delittuose. Con ciò riferendosi al
tragico episodio dell'attentato all'Italicus, avvenuto pochi giorni prima. Mi disse che tale attentato
era opera di delinquenti e che nell'ambiente del MSI di Arezzo correvano voci che tra gli autori
dell'attentato vi fossero tali Franci, Malentacchi e una terza persona, che mi sembra ricordare per
Batani ma non sono sicuro»697.
Nel 1984 la Commissione Parlamentare presieduta da Tina Anselmi sulla P2 mise
nero su bianco che: 1) la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione
terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; 2) la Loggia
P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei
gruppi della destra extraparlamentare toscana 3) la Loggia P2 è quindi gravemente
coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in
termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico,
organizzativo e morale698. Ciononostante il 18 dicembre 1986 la prima sentenza
695
Giovanni Bianconi, Arrestato in Costa Azzurra il latitante Marco Affatigato, corriere.it,
https://www.corriere.it/cronache/16_giugno_13/arrestato-costa-azzurra-latitante-marco-affatigato-8fc5c9dc-3145-
11e6-a677-1493abad1a34.shtml, 16.06.2013.
696
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 627.
697
Interrogatorio giudice istruttore di Roma, 18.11.1981 cit. in Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo
secondo, p. 628.
698
Relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2, documento XXIII n. 2, Roma
11.07.1984, p. 93.
174
d’appello annulla le assoluzioni di Tuti, Franci e Sgrò. Il 16 dicembre 1987 la Corte di
Cassazione presieduta dal magistrato Corrado Carnevale annulla la sentenza della
Corte d’Assise. Il 4 aprile 1991 la Corte d’Appello di Bologna assolve Tuti e Franci,
sentenza confermata in Cassazione il 24 marzo 1992.
Quella dell’Italicus in breve è forse la storia che più somiglia a buco nero nella
strategia della tensione: zero condanne, una verità storiche acclarata ma dimenticata
ed elementi di contorno inquietanti. Nel 2004 invece, a distanza di 40 anni dai fatti,
Maria Fida Moro in una trasmissione televisiva dichiarò che il padre Aldo doveva salire
su quel treno ma fu fatto scendere all’ultimo secondo con un pretesto699: l’ennesimo
elemento oscuro di questa vicenda. Va infine ricordato che nel medesimo tratto
ferroviario si compirà esattamente dieci anni dopo la strage del Rapido 904 (16 morti
e oltre 250 feriti).
13.7 - La svolta Giannettini
Il golpe bianco di Edgardo Sogno, Luigi Cavallo e Randolfo Pacciardi, presidente del
governo provvisorio post colpo di stato, non avviene. Previsto per la metà di agosto,
viene abortito principalmente per un motivo: l’8 si è ufficialmente dimesso il
presidente americano Richard Nixon, travolto dallo scandalo Watergate. Lo stesso
giorno si consegna all’ambasciata italiana a Buenos Aires il latitante Guido
Giannettini; nel viaggio aereo che lo porta dall’Argentina all’Italia, in attesa di essere
sentito per i fatti di Piazza Fontana, scrive un interessante resoconto riguardo gli
avvenimenti italiani degli ultimi anni:
Prima fase (1967-1970): i principali ambienti extraparlamentari strumentalizzati da forze occulte
erano di sinistra, poiché la destra non esisteva politicamente. Per quanto riguarda i contatti esteri
c'è da segnalare: Rauti aveva contatti con la Grecia e con ambienti militari italiani, Graziani aveva
contatti con ambienti militari italiani, Avanguardia Nazionale aveva contatti con la Grecia e il
ministero dell'interno. Seconda fase (1970-1973): il fatto saliente era il fallito colpo di stato del
principe Borghese del 7 dicembre 1970. Ambienti esteri collegati: fra i più impegnati gli inglesi (il
servizio DI-6, le banche Barclays e Hambros) e sembra il servizio informazioni militari israeliano
AMAN, diretto allora dal generale Yariv. Terza fase (1973-1974): hanno operato sia gruppi di destra
sia di sinistra: i primi sono i MAR e le SAM; Ordine Nero (linea Graziani), tra i gruppi di sinistra le
Brigate Rosse. Non è esclusa una manipolazione parallela da parte di una sola centrale dei gruppi
clandestini di destra e di sinistra. Le tecniche usate sono atte a provocare il caos e la guerra civile700.
Il ritorno a sorpresa di Giannettini getta nel panico i vertici militari e dei servizi. La
procura di Milano sente le alte sfere militari, presenti e passate, le quali si passeranno
la patata bollente rivelando gravissime compromissioni con progetti e personale
dell'eversione. Il SID si mostrerà per quello che è sempre stato, anche quando si
699
«Moro salì sull’Italicus ma fu fatto scendere», “Il Corriere della Sera”, 19.04.2004.
700
Atti corte d’assise di Catanzaro, processo per la strage di Piazza Fontana, 1979.
175
chiamava SIFAR: un «centro di complotti reazionari al servizio di ambizioni politiche
autoritarie»701. Nessuno conosce l’agente Zeta, sulla cui figura si è già detto a
sufficienza, che invece conosce tutti.
13.8 - La morte di Borghese e i movimenti del vecchio FN
Il 24 agosto del 1974, mentre si trova nel suo bungalow in Andalusia in compagnia di
una donna mai identificata, il Principe Nero è colpito da violenti dolori. Ricoverato in
una clinica privata a Cadice, morirà due giorni dopo. La causa del decesso viene
diagnosticata in “pancreatite acuta emorragica” ma dei dubbi sono tuttavia rimasti.
Secondo chi sostiene la tesi dell’omicidio Borghese sarebbe stato ucciso perché stava
per tornare in Italia a vuotare il sacco sulla notte del golpe. Il generale Ambrogio
Viviani, tessera P2 n° 828 e capo del controspionaggio dal ‘70 al ‘74, parlerà a
proposito dell’«opportuna morte di Borghese». Di altro avviso è lo storico Aldo
Giannuli, il quale in recenti dichiarazioni ha affermato come la causa quasi certa della
dipartita sia di origine naturale: «La pancreatite acuta gli fu fatale perché difficile da
pronosticare all’epoca e fu curato con pillole di acqua e zucchero per tale motivo»702.
Quel che è certo in ogni caso è che capitò in un momento propizio perché in
contemporanea il “malloppone” stava subendo gli ultimi ritocchi prima di essere
consegnato alla magistratura romana da Andreotti. Un ritorno di Borghese avrebbe
decisamente creato non pochi grattacapi. Va aggiunto che il Comandante, alcuni mesi
prima, aveva mandato una lunga lettera al settimanale “Il Borghese” che la
pubblicherà poi postuma: in estrema ribadiva di essere vittima di una congiura ordita
dalle sinistre, non vi era assolutamente stato un tentato colpo di stato, Calzolari era
morto per caso, la riunione dei parà era solo per assistere a un film e le indagini
venivano riaperte solo per motivazioni politiche.
Il Principe Nero torna in Italia ma in un modo che non dà fastidio. Il 3 settembre si
svolge infatti il suo funerale a Roma a Santa Maria Maggiore alla presenza di tanti volti
noti: Birindelli, Rosa, De Rosa, Lo Vecchio, Saccucci, Micalizio, Pomar, Degli Innocenti
e Nicoli703. Il giorno prima la maggior parte di questi noti cospiratori e recenti
collaboratori del SID si era incontrato a Roma per mettere a punto il programma del
progetto eversivo la cui data di attuazione è stata spostata all'autunno, con loro c’è
anche il latitante di lungo corso Stefano Delle Chiaie. Tra i presenti anche personaggi
non del golpe ma della galassia nera come l’avvocato modenese Leopoldo Parigini e
l’industriale torinese Mario Pavia. Il successivo incontro avviene il 12 settembre e si
701
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 638.
702
Aldo Giannuli, Le morti opportune nella storia d’Italia, aldogiannuli.it, 28.08.2015,
d’Italiahttps://aldogiannuli.it/morti-opportune-nella-storia-repubblicana.
703
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. terzo, tomo secondo, p. 644.
176
mette a punto un piano articolato che prevede in sintesi: 1. l’uccisione di politici come
Taviani, Andreotti e Berlinguer, del sindacalista Lama704 e dei giudici Tamburino,
Vitalone e Violante, 2. attentati a ferrovie, porti e centrali, 3. l’avvelenamento
dell’acquedotto del Peschiera con materiale radioattivo705 (Pomar è ingegnere del
centro nucleare di Ispra). Sarebbe il caos e i militari non potrebbero non usare la forza
per ripristinare l’ordine. In ogni caso anche stavolta non avverrà nulla di quanto
ipotizzato. Due giorni dopo il meeting viene reso noto dalla stampa un documento
riservato della questura di Milano, risalente al 27 agosto, in cui si invitava ad
intensificare i servizi preventivi in quanto:
Fonte qualificata ha segnalato che noti gruppi della destra extraparlamentare avrebbero deciso di
effettuare nei prossimi mesi (settembre-ottobre) attentati a treni, sedi tribunali, personalità e
parlamentari, nonché attuare il rapimento di un ministro706.
Riguardo il gruppo Borghese il giudice Tamburino, nelle sue indagini, sente sia Maletti
che Labruna: escono il nome del colonello Federico Marzollo, braccio destro di Miceli
in quanto a capo dei centri SID a Roma e comandante dei carabinieri di Merano negli
anni del terrorismo altoatesino, e del capitano Mauro Venturi, segretario di Marzollo.
Venturi, secondo quanto aveva già raccontato Spiazzi, comandava la compagnia dei
carabinieri di Conegliano e gli avrebbe dato l’ordine di prendere contatto con i
padovani della Rosa dei venti707. Infine fa capolino un altro nome, al momento
sconosciuto ai più ma poi protagonista negli anni delle stragi di mafia: è quello di
Mario Mori, anche lui collaboratore di Marzollo grazie al fatto che il padre Francesco
ne era stato l’istruttore in accademia708. Mori verrà allontanato dal servizio per motivi
poco chiari nel gennaio del 1975 e vi rientrerà, giusto per coincidenza, il 16 marzo del
1978709, data del golpe di via Fani.
704
Luciano Lama, segretario della CGIL dal 1970 al 1986.
705
“L’Europeo”, n° 1/2, 1975.
706
“Il Gazzettino”, 14.09.1974.
707
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 77.
708
Carmelo Catania, Mori, il Sisde e quelle operazioni criminali, isiciliani.it, https://www.isiciliani.it/mori-il-sisde-e-
quelle-operazioni-criminali/, 12.09.2014.
709
Giovanni Tamburino, op. cit. p. 85.
177
Capitolo XIV: l’unificazione delle tre istruttorie e l’inevitabile fine
14.1 - L’operazione di Andreotti
Il 15 settembre del 1974 il ministro della Difesa Giulio Andreotti invia una lettera al
procuratore della Repubblica di Roma Elio Siotto. Andreotti annuncia che:
Il SID aveva condotto a termine una vasta raccolta informativa sui temuti fatti eversivi del dicembre
1970. Nel corso di questa ricerca il servizio aveva raccolto anche la voce che nell'imminente mese
di agosto sarebbe stata tentata nuovamente qualcosa del genere. L'ammiraglio Casardi mi consegna
ora l'accluso fascicolo, con tre memorie che analiticamente riassumono il frutto dell'operazione
condotta dal servizio [...]. Le fonti del SID continuano ad accreditare la notizia di una sia pur parziale
occupazione del ministero dell'interno il giorno 7 dicembre 1970. AI riguardo si è ritenuto doveroso
richiamare l'attenzione sia del ministro dell'epoca onorevole Restivo, che del ministro attuale
onorevole Taviani. L'onorevole Restivo, che già in parlamento aveva smentito categoricamente il
fatto, conferma che i suoi uffici esclusero senza tema di equivoci che ciò fosse avvenuto. D'altra
parte il capo della polizia attuale, incaricato dal ministro Taviani, ha rinnovato riservate indagini al
termine delle quali è pervenuto alla medesima conclusione. Specificamente ha escluso che
manchino le armi di cui secondo gli informatori del SID si sarebbe dovuto evidenziare la scomparsa
(un certo numero di moschetti automatici). [...] Non si è avuta la minima conferma del
coinvolgimento della persona dell'ammiraglio Roselli Lorenzini. La guardia di finanza, incaricata di
questo, non ha raccolto anche il più remoto indizio di veridicità. [...] Mi auguro che in qualche modo
l'opera del servizio riesca comunque utile al compito della procura e del giudice istruttore per far
luce su avvenimenti dei quali la coscienza democratica della nazione attende da tempo di conoscere
la realtà e la consistenza710.
Alla lettera Andreotti allega i tre fascicoli relativi al Golpe Borghese, alla Rosa dei venti
e ai fatti dell’estate appena vissuta. È quello che passerà alla storia con il nome
improprio di “malloppone”. Il fascicolo del SID ripropone nomi di militari già noti da
tempo come Berti, Capanna, Lo Vecchio, Casero, Pecorella, Ricci, Spiazzi, Nardella;
accenna molto fuggevolmente a personaggi come Sogno, Pacciardi e Fanali; ignora
completamente l'esistenza di altri come Sindona e Cavallo. Per quanto riguarda il
Golpe Borghese nello specifico i nomi tagliati più rilevanti sono come già detto quelli
di Giovanni Torrisi, Gino Birindelli e Licio Gelli. Sulla posizione di quest’ultimo è
interessante l’analisi fatta parecchi anni dal giudice Tamburino, secondo cui se fosse
uscito il suo nome si sarebbe arrestata l’avanzata della massoneria all’interno dello
stato:
Porre allo scoperto la figura di Gelli in quel 1974 avrebbe comportato non soltanto una lettura
diversa dei fenomeni sui quali si stava indagando, ma soprattutto una storia diversa, meno
sanguinosa e sporca della nostra Repubblica. [..] L’omaggio fatto a Gelli da chi volle ometterne o
710
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
178
cancellarne il nome fu essenziale affinché la loggia potesse prosperare nella fase successiva della
strategia iniziata dal 1974 e giunta sino alla strage di Bologna del 1980711.
Andreotti, in un’intervista di parecchi anni dopo, giustificherà la sua azione e darà la
versione personale dell’intera vicenda:
Maletti viene da me e mi dice che dalle indagini risulta un colloquio tra Miceli e il principe Borghese.
Si trova che il suo superiore è coinvolto, non glielo può dire e viene da me. Sentimmo la registrazione
e Miceli si giustificò dicendo che doveva prendere delle informazioni. L’errore era stato di chi lo
aveva messo a capo dei servizi, non aveva né la professionalità né quel tanto di malizia che serve
per quel lavoro712.
Andreotti sa ovviamente quello che fa: mentre si autoprotegge sul piano giudiziario
visto che il suo nome compare qua e là, si rilancia politicamente a sinistra come
salvatore delle istituzioni e interpreta anche la nuova aria che, in materia di servizi di
sicurezza, ha cominciato a soffiare negli Stati Uniti: il vecchio apparato, compromesso
e inefficiente, ha fatto il suo tempo. La strategia della tensione teorizzata nel ‘65 al
Parco dei Principi è ormai obsoleta.
La vicenda più grave prodotta dai fascicoli del SID è l’unificazione a Roma di tutte e
tre le istruttorie: l’indagine sulla Rosa dei venti, pericolosamente arrivata al SID
parallelo e ai nomi “grossi” (il 10 settembre era stata perquisita la sede
dell’Accademia del Mediterraneo di Gianfranco Alliata di Montereale713) viene
bruscamente interrotta e così quella sul Golpe Bianco. L’unificazione avrebbe avuto
senso se fosse stata attuata per identificare un possibile centro occulto di
coordinamento dell’intera strategia eversiva. Lo scopo per cui avvenne fu ovviamente
invece l’esatto contrario, ovvero impedire che si scoprisse il centro coordinatore, «il
servizio segreto parallelo dipendente dalla NATO»714, il già nominato SID parallelo di
cui l’indagine padovana ne parla troppo mentre invece si concentra tutta l’attenzione
su Borghese. Non ci si chiede perciò chi aveva controllato realmente le operazioni, chi
aveva dato il contrordine e soprattutto chi era in grado di condizionare la politica
italiana da decenni. Già quando si diffonde la notizia del dossier consegnato da
Andreotti la stampa avverte che «la magistratura romana si troverebbe ad essere la
sola ed esclusiva autorità giudiziaria competente»715, come se a Padova e Torino non
fossero in grado di fare il loro lavoro. D’altronde la procura di Roma è nota come «il
711
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 78.
712
Giovanni Minoli (a cura di), La storia siamo noi, “Il golpe Borghese”, 05.12.2005,
https://www.youtube.com/watch?v=EzfGHni7l4U&ab_channel=PIRRO, min. 24.
713
Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume terzo, tomo secondo, p. 656.
714
Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti, p. 124.
715
“Corriere della Sera”, 27.09.1974
179
porto delle nebbie», il posto ideale per insabbiare fatti e personaggi compromettenti
per lo Stato.
La consegna del dossier di Siotto era stata preceduta da una novità fondamentale
nella lotta al terrorismo rosso pochi giorni prima: l’8 settembre i due capi storici delle
prime BR, Renato Curcio e Alberto Franceschini, vengono arrestati a Pinerolo dal
nucleo speciale dei carabinieri di Dalla Chiesa grazie alla collaborazione di un
personaggio quantomeno particolare come Silvano Girotto716. Potrebbe e dovrebbe
essere la mazzata definitiva per i brigatisti («Sgominata la banda?»717) che invece con
il nuovo leader Mario Moretti saranno ancor meglio strutturate: le BR diventano
organizzatissime e inafferrabili, altamente professionali e sanguinarie. Quel che è
certo è che con Moretti le BR diventano «di servizio»718, perfettamente funzionali al
potere costituito. Se come si è visto nelle organizzazioni di estrema destra gli infiltrati,
doppio o triplogiochisti, erano parecchi, lo stesso infatti si può dire sul versante
politico opposto dove però le operazioni furono più sofisticate e complesse. Maletti
in un’intervista nel ’76 dirà che «Destra e sinistra sono denominazioni utili per il
grande pubblico così come il termine terrorismo. Per noi esistono soltanto i
professionisti»719.
Tanto per cambiare il 4 ottobre si è dimesso il presidente del consiglio Rumor,
aprendo l’ennesima crisi politica in un momento delicatissimo. Il 9 ottobre il giudice
di Torino Violante firma cinque mandati di cattura per il reato di cospirazione politica
mediante associazione contro Micalizio, Parigini, Scolari, Pavia e Pomar. I primi tre
raggiungono in carcere Pavia, che già vi si trova; Pomar si sottrae alla cattura
rifugiandosi in Spagna. Dopo quasi un mese la magistratura romana traduce in
provvedimenti giudiziari le informazioni fornite dai fascicoli. Il 10 ottobre vengono
emessi venti mandati di cattura per reati che vanno dalla cospirazione politica
all’insurrezione armata. Solo otto persone però vengono effettivamente arrestate: il
tenente della Forestale Luciano Berti, il medico Salvatore Drago, il tenente colonnello
dei carabinieri Salvatore Pecorella, il maggiore Enzo Capanna, gli esponenti del FN
Francesco Lombardi, Vito Pace, Gino Arista e Giacomo Micalizio. Lungo l’elenco dei
latitanti che comprende solo per citarne alcuni Remo Orlandini, Eliodoro Pomar (già
716
Noto anche come Frate Mitra. Giovanissimo volontario nella Legione straniera, viene poi coinvolto in un furto e
incarcerato. Aveva in seguito preso il saio ed esercitato il sacerdozio nella zona di Omegna. Si era quindi trasferito
nell'America Latina dove partecipò alla guerriglia in Bolivia. Riparato in Cile, da quest'ultimo Paese era rimpatriato,
dopo essersi rifugiato nell'ambasciata italiana di Santiago, a seguito della presa del potere da parte dei militari. Infine
si avvicina alle BR pur senza entrarvi effettivamente, che poi tradisce diventando fonte per i carabinieri.
717
Galliano Fantini, Due capi delle Brigate rosse catturati: sgominata la banda?, “Il Gazzettino”, 10.09.1974.
718
Giovanni Tamburino, op. cit., p. XXI. Su Moretti si veda Sergio Flamigni, La sfinge delle Brigate rosse, Kaos, Milano
2014.
719
Lino Jannuzzi, 7 anni di stragi. Chi pagava l’affitto delle prigioni del popolo?, “Tempo Illustrato”, 20.06.1976.
180
ricercato dalla procura di Torino), Stefano Delle Chiaie, Mario Rosa, Giuseppe Lo
Vecchio, Flavio Campo, Giovanni De Rosa e Giuseppe Casero. Caso particolare Sandro
Saccucci, per il quale nonostante il mandato non si può procedere senza
l’autorizzazione del Parlamento in quanto deputato720. Vengono inoltre recapitate
comunicazioni giudiziarie anche all'ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Duilio
Fanali, all’informatore dei servizi Stefano Serpieri e all'ex capo del SID Vito Miceli, al
quale i giudici romani rivolgeranno solo l'accusa di favoreggiamento personale721. Il
14 ottobre Violante emette un mandato di cattura per Nicoli, collaboratore del SID
come si è già visto ma accusato di «cospirazione politica mediante associazione e di
detenzione illegale di armi da guerra»722. La notizia mette in allarme Labruna che si
reca da Vitalone a Roma per informarlo che Nicoli è un confidente del SID, accusato
ingiustamente in quanto «si è infiltrato nelle file di congiurati al solo scopo di
sventarne i programmi delittuosi»723. Peccato però che l’odontotecnico di La Spezia
fosse da tempo coi golpisti e ha cambiato squadra in corsa: risulterà irrilevante.
14.2 – La posizione di Vito Miceli
Il generale Miceli, sentendosi attaccato, minaccia di fare rivelazioni sui segreti di stato
e soprattutto accusa Andreotti e Maletti di aver tagliato parti del “malloppone”, un
fatto poi storicamente acclarato. Alle minacce di Miceli risponde con durezza
Andreotti, emettendo un comunicato in cui lo accusa di aver nascosto le prove sul
golpe del 1970 e di aver avuto contatti con Borghese:
Il generale Miceli, che è sotto inchiesta, condotta dal Capo di Stato Maggiore della Difesa ed ha
ricevuto una comunicazione giudiziaria dal Tribunale di Roma, ritiene forse con pubbliche
dichiarazioni di alleggerire la sua posizione mettendosi in una condizione che sarà nella sede propria
vagliata anche sotto il profilo della disciplina militare. Il ministero non può certo scendere in
polemiche giornalistiche. Poiché, peraltro, in interviste ai giornali l'ex capo del SID afferma che una
parte del dossier da lui presentato ai superiori non sarebbe stato inoltrato ai magistrati si deve
precisare sin d'ora: 1) che anche gli ultimi giorni del giugno scorso il generale affermava nel modo
più categorico ai superiori e ai magistrati che non esisteva alcun timore di iniziative eversive di
destra; 2) che agli inizi di luglio presentò un dossier riassuntivo in senso nettamente opposto,
facendolo però precedere dalla dichiarazione scritta che "di quanto riferito non si potevano
produrre prove materiali". Poiché i riassunti si riferivano anche a registrazioni in possesso del SID fu
necessario procedere ad una verifica completa del materiale e ad un vaglio critico fatto ai massimi
livelli militari, compresa l'Arma dei carabinieri, la Guardia di finanza e lo stesso generale Miceli. Si
vide così che una parte della presunta documentazione non poggiava su alcun fondamento ed era
anzi contraddetta da riscontri ineccepibili: trasmettere questa parte al magistrato sarebbe stato
irresponsabile e calunnioso. Purtroppo si dovette anche constatare che nel dossier presentato dal
720
Eletto nel 1972 alla Camera nelle fila del MSI-DN.
721
Gianni Flamini, Il partito del golpe, volume terzo, tomo secondo, p. 683.
722
Ivi, p. 678.
723
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
181
generale Miceli erano stati invece omessi tutti i riferimenti che riguardavano contatti del generale
stesso col principe Borghese e con un altro dei principali indiziati per i fatti del '70. È chiaro che
questa parte, superiormente conosciuta dopo il cambio di comando al SID, non poteva non essere
trasmessa al magistrato724.
Inoltra poi una lettera al procuratore Siotto:
Il generale Miceli portò a conoscenza del Capo di Stato Maggiore Henke e mia un documento di
lavoro datato 26 giugno. Constava di 14 pagine e di undici allegati, aveva in epigrafe lo sconcertante
avvertimento di quanto riferito non si possono produrre prove materiali. Per di più lo stesso
generale Miceli non nascondeva perplessità e scetticismo, del resto in continuità con quanto fino a
quel momento mi aveva sempre detto, sulla irrilevante consistenza di movimenti del tipo Rosa dei
venti. [...] A questo punto sopravviene la richiesta del generale Miceli di vedere trasmesso alla
giustizia il documento iniziale, che sotto alcuni aspetti era carente (menzione dei nastri Orlandini e
di tutto il loro contenuto che non so se fosse conosciuto dal generale Miceli) e sotto altri aspetti è
risultato infondato al vaglio critico operato. Non le nascondo la preoccupazione per vedere esposti
ad una immeritata notorietà negativa ufficiali risultati estranei allo stesso SID. A parte questa mia
doverosa preoccupazione, rassegno alla sua competente valutazione le ragioni giuridiche costituenti
ostacolo alla pura e semplice ricezione di notizie, già riscontrate prive di attendibilità e comunque
non confermate da fonti individuate, comprese in quel materiale di lavoro per il quale lo stesso
generale Miceli, come si è detto, manifestava ampie riserve e aperto scetticismo.725
Qual è il problema di fondo? Ci sono dentro, ovviamente con modalità diverse, sia
Andreotti sia Miceli e i loro sodali: ne consegue una bella pulizia di nomi per un
rapporto che come detto mette in risalto gli elementi ormai troppo compromessi.
Quasi in perfetta coincidenza un fatto di sangue ripresenta il ricorrente tema degli
opposti estremismi. A Robbiano della Medaglia, vicino Milano, viene segnalata la
presenza di un covo delle BR. L'appartamento viene trovato vuoto ma ricco di
documenti e di armi. I carabinieri restano comunque in appostamento finché vi entra
il brigatista Roberto Ognibene nella notte del 15 ottobre. Nello scontro a fuoco che
nasce viene ucciso un carabiniere, Felice Maritano, mentre resta ferito Ognibene726.
Il 24 ottobre, in giornata, Miceli giungerà una comunicazione giudiziaria per
complicità nell’associazione sovversiva. È un’accusa decisamente grave per un
generale e il meglio deve ancora venire. In primis perché la sera stessa, nell’ufficio di
Henke a Roma, Tamburino e Nunziante mettono a confronto direttamente Miceli e
Maletti. I due prima si rimpallano eventuali omissioni o reticenze, per poi scaricare la
colpa sui rispettivi sottoposti: gli inferiori sbagliano, i capi mai. Alla fine del confronto
i due magistrati sono convinti della versione di Maletti:
724
Paolo Gambescia, Il ministero della Difesa accusa Miceli d’aver nascosto le prove sul golpe del ‘70, “l’Unità”,
18.10.1974.
725
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
726
Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 689.
182
Da un lato Miceli aveva tentato di giustificare la protratta reticenza attribuendo a Maletti una
giustificazione che riversava la responsabilità sui sottoposti […], dall’altro si doveva leggere l’esito
del confronto collegandolo ai restanti elementi probatori, a cominciare dalle dichiarazioni di Spiazzi
e dei coimputati, secondo cui il gruppo veneto aveva agito all’interno di un consenso nelle forze
armate con un’operazione coperta di tale portata da implicare il più alto livello del SID 727.
Tra l’altro un’annotazione autografa del SID, in risposta alle richieste di Tamburino,
terminava con «Dire sempre il meno possibile» ed era firmata «M»728: chi sarà mai
questo M se non Miceli, il quale sapeva tutto e aveva ordine di insabbiare il più
possibile.
Miceli, sentendosi ormai braccato, prepara la fuga e chiede aiuto a un paio di amici:
uno è il già noto ambasciatore Graham Martin che in precedenza lo aveva
cospicuamente finanziato mentre un nome nuovo è quello di Gianfranco Ghiron, un
classico personaggio borderline729. Sarà però tutto vano: il 31 ottobre Miceli è
nell’ufficio di Achille Gallucci, capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Roma, a
colloquio con il giudice Fiore e i procuratori Siotto e Vitalone per la vicenda del golpe
del 1970. Miceli aveva riproposto le proprie tesi difensive: ha incontrato Orlandini e
Borghese, tramite il suo collaboratore, il colonnello Cosimo Pace, solo nel 1969
quando non era ancora a capo del SID; a Roma, nell'estate 1970, ebbe tra l'altro
«contatti con il capo della CIA, il quale mi segnalò che era bene tenere d'occhio il
Fronte Nazionale di Borghese. Dell'operazione Orlandini e del colloquio con Borghese
ho informato a suo tempo il capo di stato maggiore dell'Esercito generale Enzo
Marchesi»730. Quando ormai l’interrogatorio è finito si presenta il maggiore dei
carabinieri Antonio Varisco, comandante del nucleo traduzioni e scorte del tribunale
di Roma, per notificare a Miceli un mandato di cattura del giudice Tamburino per le
seguenti accuse:
Avere promosso, costituito ed organizzato in concorso con altre persone un'associazione segreta di
militari e civili mirante a provocare un’insurrezione armata e, quale conseguenza di ciò, un illegale
mutamento della costituzione dello Stato e della forma di governo attraverso lo intervento
provocato, dall'attività dell'associazione medesima e in parte guidato dalla stessa, delle forze
armate dello stato e ciò servendosi di vari gruppi armati a struttura gerarchica collegati tra loro alla
base da "ufficiali di collegamento" e al vertice attraverso i capi diffusi in varie località, tra cui il
727
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 127-128.
728
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 125.
729
Ufficialmente giornalista, era un collaboratore del SID sin dalla fine degli anni ’50 con il nome di copertura
“Crocetta”: sospettato di fare il doppio gioco in quanto faceva da infiltrato oltre cortina, era in stretta familiarità con il
chiacchierato generale Mario Mori (gli farà da testimone di nozze). Si veda L’ambiguo avvocato dei Ciancimino, un
ambiguo personaggio con legami nei “servizi”, editorialedomani.it, https://www.editorialedomani.it/trattativa-stato-
mafia-nv66yndc, 11.11.2022 e le dichiarazioni dello stesso Ghiron all’autorità giudiziaria di Brescia nel terzo processo
per la strage di Piazza della Loggia Ghiron Gianfranco-dichiarazioni 13.01.1986, 4agosto1974,
https://4agosto1974.wordpress.com/2014/10/09/ghiron-gianfranco-dichiarazioni-13-01-1986/, 09.10.2014.
730
Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 697.
183
Veneto (Padova e Verona), la Liguria (Genova. La Spezia, Recco), la Toscana (Versilia), con varie
denominazioni (CARN, GERSI, Rosa dei venti, Giustizieri d'Italia, eccetera) finanziati per fomentare
disordini, commettere attentati, svolgere attività intimidatorie e violente; organizzando gruppi
fiancheggiatori; predisponendo un proprio servizio informativo; approntando gerarchie parallele
militari e civili; ed in particolare per avere, quale capo del SID e servendosi della collaborazione di
militari dipendenti, fatto intervenire Spiazzi Amos ufficiale «I» di Verona, allo scopo di procurare
finanziamenti al gruppo eversivo padovano «GERSI - Rosa dei Venti» facente capo a Rizzato731.
Miceli viene portato via ma accusa subito un “malore” che lo porta al ricovero presso
l’ospedale militare del Celio, non prima di aver fatto diffondere una dichiarazione alla
stampa in cui dichiara di essere vittima di una macchinazione politica e giudiziaria732.
È in ogni caso una giornata storica per l’Italia: dai tempi dell'imprigionamento di Mario
Roatta nel 1944733 nessun militare di così alto grado era stato arrestato. La speranza
di chiudere il cerchio sulle trame eversive e smantellare le organizzazioni sottostanti
grazie alle contemporanee inchieste a Torino e Milano sembra reale. Finalmente si è
vicini ad avere un quadro esauriente sulla “strategia della tensione”. I poteri enormi
che tirano i fili mostreranno però a breve tutti i loro muscoli.
L’arresto di Miceli provoca un inevitabile caos a livello politico, coinvolgendo chi era
al potere nel 1970. Parte per primo l’ex presidente Saragat che accusa Tanassi di non
averlo informato: «Quando ero capo dello Stato, il ministro della Difesa Tanassi non
mi avvertì di quanto stava accadendo nel paese e di quello che era stato scoperto sulle
trame nere e sui tentativi eversivi compiuti contro la Repubblica». Tanassi risponde,
scaricando in primis la colpa su Restivo, in quanto «Delle notizie raccolte dal SID
furono puntualmente informati il ministero dell'Interno e l'autorità giudiziaria», non
specificando però quando e come, aggiungendo poi che «Nessuno potrà convincermi
che il rifiuto da parte del PSDI di aprire la maggioranza di governo ai comunisti possa
costituire un tentativo di golpe bianco»734. Il gioco dello scaricabarile non è affatto
finito: l’ex ministro dell’Interno Restivo rivolge l’attenzione all’ex capo della polizia
Vicari, il quale gli avrebbe assicurato che nessuno nella notte dell’Immacolata di
quattro anni prima era entrato al Viminale. Quest’ultimo dirà che la mattina dell’8
dicembre aveva ricevuto il questore Parlato e il capo dell’ufficio politico Provenza, i
quali riferirono che i servizi di vigilanza predisposti non avevano rilevato nulla di
anormale. Un bel quadro d'insieme fatto di apparente inettitudine, di maldestre
coperture e di palleggiamento delle responsabilità.
731
Paolo Gambescia, Arresto il generale Miceli, l’accusa è di cospirazione, “l’Unità”, 01.11.1974.
732
Arrestato Miceli, “Il Gazzettino”, 01.11.1974.
733
Ex capo del SIM (Servizio Informazioni Militari) e capo di stato maggiore dell’Esercito, venne accusato della
mancata difesa di Roma dopo l’8 settembre del 1943 e di essere coinvolto nell’omicidio dei fratelli Rosselli. Prima della
sentenza nel 1945 evade dal carcere e si rifugia in Spagna, al sicuro da una condanna in contumacia all’ergastolo.
734
Confermato il colpevole silenzio di Tanassi sul complotto del ‘70, “l’Unità”, 08.11.1974.
184
14.3 - Nuovi arresti e affossamento
La procura romana il 6 novembre emette nuovi mandati di cattura: vengono arrestati
elementi come Tommaso Adami Rook, Benito Guadagni e il contatto con gli ambienti
americani Adriano Monti735. Poco dopo si apriranno le porte del carcere per Enrico
Bonvicini ed esponenti del gruppo genovese. Il giudice istruttore di Roma Fiore il 13
chiede formalmente alla cassazione di essere dichiarato competente a proseguire
anche l'istruttoria di Padova e parte di quella di Torino, di cui sollecita la sottrazione
ai loro giudici naturali. Contemporaneamente firma anche altri 17 mandati di cattura,
alcuni dei quali colpiscono imputati delle due inchieste come De Marchi e Lercari.
Torquato Nicoli, da inizio anno ufficialmente collaboratore del SID, fatto rientrare in
Italia dai servizi dopo l’emissione del mandato di cattura di cui s’è già fatta menzione,
inizia a parlare sui fatti avvenuti, fermandosi come da prassi al momento opportuno:
fa i nomi del gruppo genovese e del loro piano di golpe, dell’attentato di Nico Azzi,
dell’adesione di Fumagalli al piano e delle coperture politiche garantite da Pacciardi e
Degli Occhi. Tacerà però su due “menti raffinatissime”: «Non mi è mai stato fatto il
nome dell'onorevole Andreotti né del finanziere Sindona quali presunti
programmatori di un intervento anti istituzionale»736. La procura di Padova continua
imperterrita la propria attività, facendo arrestare il generale Ugo Ricci e interrogando
alcuni personaggi importanti. Uno di questi è il generale Siro Rosseti, dal ’70 al ’74 in
orbita SID, il quale affermò che l’organizzazione delineata nel mandato di cattura a
carico di Miceli «non solo poteva esisteva ma sarebbe stato assurdo pensare che non
esistesse»737.
La richiesta della procura di Roma il 30 dicembre viene accolta dalla cassazione, la
quale sottrae l’intera istruttoria a Tamburino e Nunziante, affidandola alla procura di
Roma che la unirà a quella sul Golpe Borghese, così per il lavoro di Violante a Torino.
Una decisione che ormai purtroppo la procura di Padova si aspettava nonostante gli
appelli del P.M. Nunziante:
Tra le varie inchieste giudiziarie che procedono parallele sulle cosiddette trame nere e la prima volta,
anche indubbiamente per una serie di fortuite circostanze che sono stati individuati non solo gli
esecutori materiali ma di anello in anello si è riusciti a risalire a livelli notevoli, onde è estremamente
probabile che possa aversi finalmente la chiave di volta degli innumerevoli attentati e delle stragi
che si sono susseguite in questi ultimi cinque anni. Un arresto improvviso dell'attività istruttoria,
giunta peraltro alla fase risolutiva, rischierebbe di compromettere il lavoro sin qui svolto e
soprattutto consentirebbe ai cervelli operativi oggi in parte colpiti, in parte disorientati e impauriti,
di riorganizzarsi e di riproporre in termini ancor più brutali e sanguinosi quella cosiddetta strategia
735
Gianni Flamini, op. cit., tomo terzo, p. 704.
736
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
737
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 138.
185
della tensione, mezzo ignobile di condizionamento politico e sociale, che costituisce In fondo la vera
attività eversiva e che troppe vittime innocenti è già costata al nostro Paese738.
Ciò che una certa parte politica prospettava, ovvero l’insabbiamento dei fatti eversivi,
avverrà puntualmente nei mesi successivi nonostante una certa stampa dica il
contrario: «Sono infondate le voci secondo le quali una volta riunite le inchieste a
Roma tutto sarebbe stato insabbiato»739. Il quadro di Tamburino verrà spezzato, le
varie connessioni e il “SID parallelo” velocemente dimenticate con la conseguente
Affermazione di clientelismi e nepotismi, del familismo amorale, delle cosche massoniche e delle
consorterie mafiose, dell’economia fasulla, della finanza opaca, del corrompimento delle istituzioni
politiche, educative e finanche giudiziarie740.
Idem succederà per il lavoro di Violante, a cui saranno tolte le parti più importanti
dell’istruttoria. Nello stesso clima va segnalato come la stessa Cassazione poco prima
avesse deciso di spostare l’inchiesta sui fatti di Piazza Fontana da Milano a Catanzaro.
Si chiude così il 1974, l’anno del definitivo tramonto dei piani golpistici e del
terrorismo nero. A fine novembre inoltre, dopo cinquanta giorni di vuoto, nasce il
nuovo governo presieduto da Moro formato da DC e PRI. Resta fuori da incarichi
ministeriali, per sempre, Taviani, mentre Andreotti passa al bilancio. Con il Moro IV
calerà il silenzio su buona parte dei nervi scoperti emersi dalle inchieste che a Roma
verranno ridotte all’azione di qualche vecchio residuato fascista mezzo rimbambito,
di singole mele marce dei servizi segreti, di militari a fine corsa e di mitomani. I piani
di comando dei livelli superiori come sempre resteranno nell’ombra e il potere
costituito, tagliati in modo indolore i rami secchi ancora ancorati a idee reazionarie,
si rigenererà senza seri danni. Il 1975 sarà infatti l’anno in cui la violenza diventerà
principalmente rossa e sulla spontaneità di tale tipo di terrorismo c’è ben più di
qualche ombra. Dirà infatti qualche anno in un’intervista lo stesso Giovanni
Tamburino:
Ci sono motivi per credere che l’incarico di formare il progresso della democrazia sia stato trasmesso
a una nuova leadership del terrore dalle stesse centrali che hanno visto chiudersi la produttività del
terrorismo nero. Effettivamente dal 1974 l'eversione nera ha un brusco declino e inizia l'irresistibile
ascesa di quella rossa. Le attività terroristiche sviluppatesi fino al 1974 non erano opera di isolati,
ma si inquadravano in un progetto e in una struttura di potere ad alto livello. Quelle iniziative hanno
certamente consentito di varare un sistema operativo più avanzato che all'infiltrazione dentro
gruppi genuini sostituisce la costituzione originaria di gruppi inquinati741.
738
Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino.
739
Chiesta l’unificazione delle inchieste sui golpe, Il Gazzettino, 15.11.1974.
740
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 155.
741
Ibio Paolucci, «Illegale è la violenza, non le idee», “l’Unità”, 15.04.1979.
186
I vecchi arnesi del golpismo e del terrorismo nero più in generale hanno esaurito il
compito, si passa perciò direttamente all’altro estremo politico per svuotare
direttamente dall’interno la lotta comunista.
14.4 - Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più
Nonostante le indagini a Roma siano ancora agli albori c’è chi è ben informato: Guido
Paglia, futuro direttore Comunicazione e Relazioni esterne per la RAI nel 2004, scrive
infatti come «Il golpe Borghese si sgonfia sempre di più»742. Miceli, trasferito da
Padova a Roma all’ospedale militare del Celio, viene sentito dai giudici Fiore e Vitalone
nei primi giorni di gennaio ed è accusato di favoreggiamento aggravato, in quanto non
riferì il fatto agli organi di polizia che avrebbero dovuto intervenire o comunque lo
fece con un ritardo ingiustificato. Una contestazione ben più lieve di quella fattagli da
Tamburino. Inoltre viene arrestato per «favoreggiamento personale e falsa
testimonianza» Franco Antico, il segretario di Europa Civiltà che nella notte di Tora-
Tora aveva fatto riferito dei fatti in corso al generale Marchesi.
La posizione di Vito Miceli, come già previsto ampiamente, si fa molto tranquilla con
il passare delle settimane. Il 27 marzo 1975 infatti il tribunale di Roma fa cadere
ufficialmente le accuse di cospirazione «essendo venuti a mancare indizi sufficienti»,
restano così quelle di favoreggiamento personale per il golpe Borghese. Per i giudici
capitolini il capo del SID, non proprio l’ultimo arrivato, ha fatto in sostanza da palo in
una rapina. Il balletto della procura era iniziato nelle settimane precedenti e diventa
fin ridicolo quando per verificare l'esistenza del SID parallelo chiede conferme a colui
che Tamburino accusava di esserne l’utilizzatore a fini eversivi. L’organizzazione
occulta non esiste, o meglio esiste ma non ha finalità eversive, dirà Miceli, il quale
incalzato ulteriormente dirà di non poter rispondere maggiormente in quanto
«l'argomento verte in materia di politica di sicurezza». I giudici romani a questo punto
si presentano il 21 marzo dal premier Moro il quale negherà che esista «una
organizzazione che ha per compito la sovversione dello Stato»743.
A fine aprile Miceli è un uomo libero: il giudice Fiore ne stabilisce la scarcerazione
dopo i sei mesi di fermo. Il generale in ogni caso li ha praticamente tutti trascorsi
all’ospedale del Celio. L’istruttoria padovana sulla Rosa dei venti è definitivamente
affossata e i segreti di stato che stava per scoprire resteranno nell’ombra. Un dato
molto significativo si verifica quando la magistratura romana scopre che le
registrazioni effettuate da Labruna a Orlandini sono una copia e non le originali,
incriminandolo per occultamento di prove. Tutta si risolve in un nulla di fatto e la
742
Giustizia e Civiltà, anno l, n. 2, 1975.
743
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
187
vicenda finisce nel dimenticatoio. Le bobine mancanti riemergeranno negli anni ‘90
quando l’ormai capitano in congedo Antonio Labruna, caduto in disgrazia, le
consegnerà al giudice istruttore di Milano Guido Salvini dall’estate del 1991 in poi.
Volendo pur ammettere la buona fede della procura romana, non può lavorare
degnamente: il “malloppone” consegnato da Andreotti è stato ridotto
considerevolmente prima dal generale Maletti e poi dallo stesso ministro e in più
manca un numero consistente delle bobine contenenti le registrazioni effettuate da
Labruna e Romagnoli. Ci sono tutti gli ingredienti necessari per far naufragare
l’inchiesta, cosa che ovviamente avverrà con perfetta puntualità.
Ritornando alle vicende processuali del Golpe Borghese a giugno vengono scarcerati
Adriano Monti e il principe Alliata mentre scappa a Parigi l’avvocato andreottiano
Filippo De Jorio per il quale era scattato il mandato di cattura. Il 21 giugno Luciano
Violante, giudice istruttore di Torino, chiude l’inchiesta partita nel 1972 dopo la
scoperta dei campi d’addestramento paramilitari in Val di Susa. Partendo da questi,
organizzati dall’ordinovista Salvatore Francia, era risalito fino al golpismo bianco di
Sogno e Cavallo e quello nero di Micalizio e Pomar. Questa parte, con la sentenza della
Cassazione di cui si è già accennato, era passata alla procura romana. Gli imputati,
tutti di Ordine Nuovo/Nero, sono squadristi di poco conto per i quali però l’accusa, è
aver commesso «fatti diretti a mutare la forma di governo e la costituzione dello
Stato»744. La destra neofascista in questo clima dove a farlo da padrone è il terrorismo
rosso, prova il grande passo: dopo una riunione a Frascati, alla presenza dei principali
rappresentanti come Graziani, Signorelli, Tilgher e Delle Chiaie, ON e AN provano a
fondersi ufficialmente. Come scrive il SID in una nota datata 17 settembre, la riunione
avvenne «allo scopo di costituire il nuovo movimento estremista di destra Milizia
Rivoluzionaria; i fondi per sovvenzionare Il prefato movimento dovevano essere
reperiti mediante sequestro di persone dell'alta finanza»745. La fusione non in ogni
non avverrà mai.
Il 9 settembre il P.M. Vitalone deposita la requisitoria sulle trame eversive nella quale
si legge testualmente che:
È certo che molto l’imputato (Miceli, nda) ha fatto per addensare su di sé sospetti di più gravi
coinvolgimenti. Tuttavia la serena e meditata analisi delle risultanze acquisite al processo
consentono di affermare che gli incontri del Miceli con Orlandini e Borghese prima degli eventi del
1970 e l’opera svolta dal capo del SID in favore degli insorti non sono espressione dell’adesione del
primo alle iniziative degli altri e neppure di un’unitaria determinazione delittuosa. [...] Se nelle
competenti sedi politiche si fosse tempestivamente avvertita l’esigenza di confrontare la serietà
744
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
745
Atti corte d’assise di Catanzaro, processo per la strage di Piazza Fontana, 1979.
188
dell’azione giudiziaria con le addomesticate versioni del capo del SID, la conclusione sarebbe stata
una sola: Miceli doveva essere immediatamente rimosso dal suo incarico746.
È evidente che il generale doveva essere rimosso dal suo incarico perché pappa e
ciccia con i golpisti ma Vitalone fa finta di dimenticare che alcuni degli imputati del
processo come Nicoli e Degli Innocenti fossero legati al SID e le sue accuse a Miceli,
gravi a parole, lo sollevavano però dalle accuse più gravi. Insomma, tanto fumo e
niente arrosto. Il 30 ottobre, esattamente un anno dopo l’arresto di Miceli, Maletti
viene trasferito dal comando del reparto D del SID alla divisione granatieri di
Sardegna747. Non è un caso perché nel giro di un mese su di lui e sul servizio segreto
in generale sta per abbattersi una tempesta a Catanzaro in quanto Giovanni Ventura
dal carcere accuserà il SID, e in particolare Giannettini, di avergli proposto l’evasione
e di farlo scappare all’estero come fatto a suo tempo con Marco Pozzan. Il 5 novembre
il giudice istruttore Filippo Fiore deposita la sua sentenza-ordinanza sul Golpe
Borghese: dei 147 imputati, tolti i defunti Borghese ed Esposti, ne vengono rinviati a
giudizio 78. Scrive il giudice che:
L'istruttoria non ha consentito di scoprire i nomi degli appartenenti alle forze armate, investiti di
responsabilità operative, che in modo inequivoco o condizionato assicurarono a Borghese il loro
apporto determinante alla causa eversiva. Qualche nominativo è stato fatto ma si è trattato di voci,
che non possono assurgere a dignità di prova in mancanza di concreti e attendibili riscontri e che
non meritano adeguata credibilità. [...] Non si vuole porre in dubbio l'assoluta dedizione delle forze
armate alle istituzioni dello Stato. Un caso isolato non si ritiene possa in alcun modo scalfire il
prestigio e la correttezza della nostra classe militare748.
Nessuna sorpresa, non c’è responsabilità politica né appoggio americano. Il SID
parallelo ovviamente non esiste: «Relativamente alla organizzazione occulta più volte
richiamata dallo Spiazzi basterà osservare che nessun elemento è stato raccolto
perché se ne debba riconoscere l'esistenza, ovvero possa identificarsi con organismi
operanti all'interno del SID o comunque creati o diretti da Miceli»749.
Nelle vicende è sì coinvolto qualche militare ma non si sa bene chi, ovviamente si
tratta solo di casi isolati: le solite mele marce che non mettono in dubbio «l'assoluta
dedizione delle forze armate alle istituzioni dello Stato». Viene così archiviata la
posizione di tanti “pezzi grossi” come Alliata di Montereale, Fumagalli, Fanali, Roselli
Lorenzini, Piaggio, Degli Innocenti, Guadagni, Pacciardi, Sogno e Miceli. Il generale,
nello specifico, viene dichiarato «non partecipe delle trame criminose».
746
Requisitoria sul golpe Borghese, p. 169 e 171; cit. in Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, p. 105.
747
Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo primo, p. 157.
748
Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore.
749
Ibidem.
189
14.5 – Il FNR e i processi
Detto delle vicende del golpe Borghese nel 1975, è opportuno allargare lo sguardo a
ciò che succede nel resto del Paese in questo anno nel quale si fa sempre più aspro lo
scontro tra rossi e neri.
Dalla notte di Capodanno il gruppo noto come Fronte Nazionale Rivoluzionario (FNR)
di Mario Tuti e Augusto Cauchi, quello dell’Italicus giusto per capire, compie tre
attentati in sei giorni sulla linea ferroviaria tra Arezzo e Chiusi che per pura
coincidenza non provocano feriti. Tre attentati che presentano una progressiva
potenzialità e che rientrano in un piano eversivo più vasto «la cui attuazione deve
protrarsi nel tempo e interessare vaste zone dell'Italia centrale e settentrionale e,
gradatamente, tutto il territorio nazionale750. Il FNR ha però i giorni contati: il 22
gennaio un anonimo informatore avverte la questura di Arezzo che, all’interno di una
cappella sconsacrata a Castiglion Fiorentino, troverà armi ed esplosivi751. La soffiata è
corretta, la polizia si apposta nelle vicinanze, arrestando la sera stessa Malentacchi e
Franci che lì si erano recati. Franci fa il nome della Luddi, sua fidanzata, e di Tuti. La
prima viene arrestata il 24 dello stesso mese, dopo il ritrovamento di altro esplosivo
nella sua abitazione. Lo stesso giorno a casa di Tuti, geometra al comune di Empoli, si
presentano tre poliziotti per arrestarlo con l’accusa di associazione a delinquere. Tuti,
sentendosi braccato, spara e uccide due agenti, ferendo anche il terzo prima di
scappare. Grazie a una rete di complicità tra polizia e camerati, Tuti resterà latitante
in Francia fino all’estate salvo poi essere arrestato e condannato all’ergastolo. Sorte
più fortunata avrà Cauchi, informatore del SID fin dal 1974752, il quale fuggirà in
Argentina e morirà recentemente da uomo libero. Nella vicenda va inserirsi la figura
di Licio Gelli, cospicuo finanziatore del FNR753 di cui era di fatto “vicino di casa”, il
quale può facilmente manovrare le indagini sul gruppo: il sostituto procuratore di
Arezzo è Mario Marsili, suo genero e ovviamente membro della P2 con la tessera 506.
Marsili, come ricorderà il commissario Ennio De Francesco, inviato dall’ispettorato
antiterrorismo dopo i fatti di Empoli,
Ci rimproverò aspramente per il nostro comportamento e cioè in sostanza di aver fornito delle
indicazioni sia pure informali al giudice istruttore di Bologna dottor Zincani. Durante il colloquio mi
disse che avrebbe dovuto procedere nei nostri confronti per il reato di violazione del segreto
istruttorio. Io gli feci notare piuttosto decisamente che stavamo lavorando con ogni energia per
risalire quanto più possibile alla vera dimensione della cellula terroristica aretina che a mio avviso si
irradiava almeno per tutta la Toscana. Che non ritenevo che agire per tale finalità, sia pure per conto
750
Atti Corte d’assise di Firenze.
751
Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo uno, p. 19.
752
Ibidem, p. 22.
753
S.O. Guido Salvini, 1995, p. 215.
190
di giudici diversi, potesse costituire il reato che ci si voleva addebitare. Dopo alcuni giorni ricevetti
l'ordine perentorio di rientrare a Roma. Non riuscii a spiegarmi il motivo di tale trasferimento anche
perché avevo la sensazione che il lavoro svolto non avrebbe potuto, con l'andare del tempo, non
dare i suoi frutti. Anche a Roma non ebbi alcuna spiegazione da parte del dottor Emilio Santillo,
dirigente dell'Ispettorato, se non la laconica affermazione che volevano dall'alto che io fossi
trasferito. Infatti il mattino successivo giunse il telegramma del mio trasferimento, immotivato, a
firma direttamente del ministro dell'interno Gui.754
Nel frattempo stanno iniziando o vanno avanti i processi per le stragi degli anni
precedenti. Il 27 gennaio riprende a Catanzaro il terzo procedimento per Piazza
Fontana nel quale sono contemporaneamente imputati i neofascisti e gli anarchici.
Invece le indagini di Brescia sulla strage di Piazza della Loggia puntano nell’esclusiva
direzione di Ermanno Buzzi, in carcere da inizio anno e definito dalla stampa di destra
«un folle criminale comune che ha agito a titolo personale»755. Il 31 arrivano i primi
rinvii a giudizio per Buzzi e Papa, oltra a una lista di piccoli delinquenti e neofascisti
locali. La stessa cosa si vede poco dopo a Milano quando inizia il processo a Gianfranco
Bertoli, unico imputato per la strage della Questura del 1973. Bertoli, fedele fino in
fondo alla sua “missione”, verrà condannato all’ergastolo senza batter ciglio e senza
fare nomi di possibili complici. La serie delle singolari coincidenze terrorismo nero-
rosso si verifica quando «a cinque ore esatte dall'inizio del processo a Bertoli»756 Mara
Cagol, insieme ad altri cinque brigatisti, riesce a liberare in modo facile il marito
Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato.
14.6 Da Ramelli alle giornate di aprile: scorre il sangue
Il terrorismo rosso aveva invece mietuto una vittima innocente nel mese di marzo: il
giorno 13 un gruppo di appartenenti a Potere Operaio aggredisce selvaggiamente
Sergio Ramelli, studente milanese di diciotto anni appartenente al Fronte della
Gioventù. Lo picchiano con brutalità con delle chiavi inglesi mentre Ramelli stava
tornando a casa da scuola: entrerà in coma e morirà il 29 aprile. Le indagini per
scoprire i colpevoli non porteranno a nulla per parecchi anni: solo nel 1985 arrivò una
svolta con le deposizioni di alcuni pentiti di Prima Linea e il processo iniziò due anni
più tardi. Il 16 maggio del 1987 la II Corte d’assise di Milano condannò a 15 anni di
prigione per omicidio preterintenzionale Giuseppe Ferrari Bravo e Marco Costa, i quali
colpirono materialmente Ramelli, stessa pena per Claudio Colosio, accusato anche per
754
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella.
755
“Secolo d’Italia”, 10.04.1975.
756
Gianni Flamini, op. cit., vol. quarto, tomo primo, p. 44. Alle 4 del pomeriggio una donna (che poi verrà
identificata In Mara CagoI) suona il campanello al portone del carcere di Casale Monferrato, dove è tenuto prigioniero
Renato Curcio. Il portone viene aperto, le guardie immobilizzate sotto la minaccia delle armi e Curcio liberato. Se ne va
insieme ai cinque brigatisti che hanno compiuto l'azione. Così come per certi versi sembrò una parata pubblicitaria la
sua cattura altrettanto sensazionale è la sua fuga.
191
altri fatti, mentre furono minori per gli altri imputati757. In secondo grado le pene
furono ridotte a 11 anni per Ferrari Bravo, a 10 per Costa e a 7 abbondanti per Colosio,
sentenza poi confermata in Cassazione il 23 gennaio 1990. Il fatto violento non fece
altro che alzare sensibilmente la tensione a Milano: nel capoluogo lombardo il 16
aprile Claudio Varalli, studente di diciotto anni, insieme ad altri giovani del
Movimento studentesco, aggrediscono con spranghe e sassi tre coetanei del FUAN
che appendevano volantini758. Due scappano mentre un terzo, Antonio Braggion, si
rifugia nella sua auto da cui spara verso gli aggressori: viene colpito e ucciso Varalli.
Per il gesto Braggion, il quale inizialmente si darà alla latitanza, sarà in seguito
condannato a cinque anni di carcere per eccesso di legittima difesa più altri cinque
per porto abusivo d’armi. La sera stessa viene assalita la sede de “Il Giornale”, diretto
all’epoca da Indro Montanelli, la protesta continua il giorno dopo in maniera
violentissima: . Arriva così la seconda vittima: durante una manifestazione di protesta
per l’omicidio di Varalli viene travolto mortalmente da una camionetta dei carabinieri
Giannino Zibecchi, professore di ventotto anni. Finiscono a processo per aver, in
concorso colposo tra di loro, aver cagionato la morte di Zibecchi Giannino per colpa
aggravata dalla previsione dell’evento759 l’autista del veicolo, il diciottenne Sergio
Chiarieri, il tenente Aldo Gambardella, capo macchina del mezzo, e il capitano Alberto
Gonella, responsabile della colonna blindata: nel processo del 1980 Gonella e
Gambardella saranno assolti per non aver commesso il fatto, Chiarieri per
insufficienza di prove. In pochissime ore abbiamo così tre giovani vite spezzate e due
segnate per sempre che sono accumunate da un atroce destino, «figlio di una perversa
stagione di sangue, determinata da una follia ideologica che aveva preso il sopravvento
su ogni senso dell’umano»760. Purtroppo non è finita qui
Le BR invece tornano a colpire il 4 giugno quando un commando rapisce l’industriale
Vittorio Gancia a scopo di estorsione. La vicenda finisce nel sangue: i carabinieri di
Acqui Terme, una volta scoperto il nascondiglio, danno il via al conflitto a fuoco con i
terroristi. Restano a terra l’appuntato Giovanni D’Amico e Mara Cagol mentre il
tenente Umberto Rocca viene reso invalido a causa delle ferite riportate. Oltre ai
brigatisti le forze di sinistra possono contare su una nuova formazione, i Nuclei Armati
Proletari (NAP). Attivi principalmente al Sud dalla primavera del ‘74 da fuoriusciti
757
Susanna Marzolla, Ramella, otto condannati, La Stampa, 17.05.1987.
758
Zita Dazzi, Milano, morto Antonio Braggion, l’estremista di destra che uccise lo studente Claudio Varalli,
repubblica.it,
https://milano.repubblica.it/cronaca/2018/09/03/news/morto_braggion_uccise_claudio_varalli_milano-205514539/,
03.09.2018.
759
La sentenza Zibecchi, pernondimenticare.net, https://www.pernondimenticare.net/documenti/i-processi/285-la-
sentenza-zibecchi.
760
Paolo Nizzola, Vite spezzate. Claudio Varalli e i giorni dell’odio, bollateoggi.it, https://bollateoggi.it/vite-spezzate-
claudio-varalli-e-i-giorni-dellodio/.
192
dell’ala radicale di Lotta Continua, «vi confluiscono studenti ed ex detenuti comuni
giunti al terrorismo attraverso una pratica politica affrettata e sommaria»761.
La morte di Pasolini
Roma. È la mattina del 2 novembre e una donna, nella zona dell’Idroscalo al Lido di
Ostia, trova il cadavere di un uomo brutalmente assassinato: è quello del notissimo
scrittore e registra Pier Paolo Pasolini, il quale un anno prima aveva lanciato delle
pesanti accuse, pur senza fare direttamente nomi762. Un’uccisione che non può che
essere in ogni caso politica763.
Luciano Franci, uno degli arrestati del FNR toscano, evade dal carcere di Arezzo il 15
dicembre insieme agli altri due compagni di cella. Uno di questi, tale Aurelio Fianchini,
fa la mossa strana di andare da un quotidiano locale e parlare delle rivelazioni che
aveva avuto sull’Italicus. «Franci ci disse che la bomba era stata messa alla stazione di
Firenze, lui era in servizio quella sera alla stazione; fu messa da Piero Malentacchi ed
era stata confezionata da Malentacchi insieme a Tuti e Franci stesso. La bomba era
stata portata a Firenze con la Fiat Cinquecento di Margherita Luddi. Materialmente la
bomba sul treno la collocò Malentacchi, poi scappato insieme alla Luddi. Franci restò
in stazione»764. Poco ore dopo, ancor più clamorosamente, Fianchini e Franci si
costituiscono e rientrano in carcere.
Da oltreoceano arriva un uragano quando una commissione d’inchiesta sulle attività
segrete della CIA, la cosiddetta “Commissione Pike”, certifica che la DC e diverse
esponenti politico-militari avevano ricevuto svariati milioni di dollari di finanziamento
dal dopoguerra in poi. Pur non comparendo ufficialmente, il nome di Miceli lo si
poteva chiaramente leggere tra le righe, così come quello di Rauti: nel ‘72
l’ambasciatore Martin fornì secondo l’accusa un finanziamento di 800 mila dollari a
Un alto funzionario del servizio segreto, chiaramente legato a elementi della destra
antidemocratica. Successivamente il funzionario del servizio segreto venne coinvolto in un
complotto di estrema destra per rovesciare il governo. Egli è stato incriminato per una cospirazione
politica che avrebbe dovuto culminare in un colpo di stato che non ebbe mai luogo. Il funzionario
del servizio segreto userebbe soprattutto, come suo collaboratore principale, un giornalista che
761
Sergio Zavoli (a cura di), La Notte della Repubblica, 1974-1977: le BR e i NAP, 07.02.1990,
https://www.youtube.com/watch?v=mKmzP6ubWMA&ab_channel=CarloCortesi, min. 18.
762
Pier Paolo Pasolini, Cos'è questo golpe? Io so, “Corriera della Sera”, 14.11.1974,
https://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html
763
Si vedano le recenti pubblicazioni: Andrea Speranzoni e Paolo Bolognesi, Pasolini. Un omicidio politico: viaggio tra
l’Apocalisse di Piazza Fontana e la notte del 2 novembre 1975, Castelvecchi, Roma 2022; Simona Zecchi, L’inchiesta
spezzata di Pier Paolo Pasolini. Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso, Ponte alle grazie,
Roma 2020.
764
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Velia.
193
risulta essere stato legato a un gruppo giovanile di estrema destra ed è oggi membro del comitato
centrale del movimento politico di estrema destra765.
Verrà poi acclarato che la somma totale dei finanziamenti elargiti in quegli anni dagli
americani, in una catena che partiva dalla CIA passando per l’ambasciata di Roma e
Miceli, alle forze di estrema destra ammonti a quasi dodici milioni di dollari. Infine
l’anno si chiude con il numero record di 65 sequestri di persona766. Una cifra
esorbitante, considerato che tutti questi sono stati ufficialmente compiuti da
terroristi di sinistra. Appare quindi quasi inevitabile vederne dietro un certo utilizzo in
chiave politica. L’anno seguente, il 1976, vede il definitivo tramonto di qualsiasi
progetto golpistico in chiave tradizionale. Sia ben chiaro, non sparisce l’idea che ha
segnato da dietro le vicende nazionali da un decennio ma viene rimodulata e
aggiornata per una società che non è più la stessa e per un piano internazionale ben
diverso. Passerà alla storia come “Piano di rinascita democratica” e vedrà dietro la
firma di Licio Gelli e della P2. Checché se ne dica entrerà a regime negli anni successivi,
non prima però di aver effettuato l’unico golpe realizzato con successo in Italia: quello
di Via Fani. Basta ricordare che nel settembre del 1974, in occasione di un viaggio
diplomatico negli Stati Uniti, Moro era stato pesantemente minacciato dal segretario
di stato Kissinger il quale gli avrebbe detto: «Onorevole deve smettere di perseguire
il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare
direttamente. Onorevole o lei smette di fare queste cose o la pagherà cara, molto
cara. Veda lei come la vuole intendere, noi l’abbiamo avvisata»767. Questa però è
un’altra storia.
765
Paolo Gambescia, La magistratura italiana chiede il rapporto Pike sui finanziamenti e l’attività CIA, “l’Unità”,
03.02.1976.
766
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo primo, p. 190.
767
Gianluca Ferrara, Aldo Moro fu vittima del pensiero unico, “il Fatto Quotidiano”,
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/15/aldo-moro-fu-vittima-del-pensiero-unico/4228121/15.03.2018.
194
Capitolo quindici: Piombo rovente
I due anni successivi nella nostra ricostruzione storica sono ancor più intrisi di sangue
e di violenza: siamo nel momento decisivo degli Anni di piombo. È in questo clima
infuocato che si sta definendo il Compromesso Storico, poi ovviamente bloccato in
modo violento, e per ciò che ci riguarda più da vicino, è in fase di "lievitazione" la
sentenza sul golpe Borghese. La narrazione seguirà ora un rigido andamento
temporale: il modo migliore per riassumere schematicamente le vicende,
innanzitutto, e inoltre per far capire al lettore come i fatti violenti si succedano senza
soluzione di continuità.
15.1 - Processi e scandali
8 gennaio. Renato Curcio, a undici mesi dalla sua facilissima fuga dal carcere di Casale
Monferrato, dopo una sparatoria viene catturato in un appartamento di Milano
insieme a Nadia Mantovani, studentessa di Padova. Il suo arresto, unito a quello di
Franceschini, avrebbe dovuto in teoria essere un duro colpo per le BR se non proprio
portarle alla fine768 ma non sarà così, anzi tutt’altro. Qualche anno dopo un’ipotesi
viene formulata dal procuratore padovano Pietro Calogero:
Curcio è uno dei capi militari, è uno dei vertici militari, ma non di più. Si pone perciò la necessità sul
piano investigativo di ricercare quella parte superiore con la quale si identifica il livello politico
dell'organizzazione. Quel livello politico che ha lanciato verso il cielo politico le Brigate Rosse
nonostante l'arresto dei capi storici769.
27 gennaio. Alcamo Marina, provincia di Trapani. Due carabinieri vengono uccisi nel
sonno e a rivendicare l'impresa si farà avanti un misterioso «Nucleo armato Sicilia».
Una montatura grossolana, sufficiente tuttavia al generale Dalla Chiesa per
denunciare da Torino la responsabilità delle Brigate Rosse. L'indicazione verrà ripresa,
sul posto, dal tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, comandante del
nucleo investigativo di Palermo e braccio destro di Dalla Chiesa quando operava in
Sicilia. Dietro il duplice omicidio sarà invece evidente l'intervento della mafia, che
forse avrà inteso lanciare un avvertimento: all'arma dei carabinieri in generale o al
tenente colonnello Russo in particolare? Quest’ultimo verrà ucciso dai corleonesi il 20
agosto del 1977.
10 febbraio. Esplode in Italia lo scandalo Lockheed, uno dei più gravi della Prima
Repubblica visto il numero di alte personalità coinvolte. Tutto nasce con una nuova
commissione d’inchiesta americana, la commissione Church, che indaga gli affari
esteri della compagnia aerea Lockheed: emerge un vastissimo giro di corruzione che
768
“Il Gazzettino”, 20.01.1976.
769
"L'Espresso», 22.6.1980.
195
coinvolge Italia, Giappone, Germania Ovest e Olanda. Specificamente nel nostro
Paese la Lockheed avrebbe pagato enormi tangenti per oltre un miliardo e mezzo di
lire al ministero della Difesa per favorire l’acquisto degli aerei da trasporto Hercules
C-130. Nello scandalo vengono coinvolte personalità rilevanti come gli ex ministri
della Difesa Luigi Gui e Mario Tanassi, il presidente della repubblica Giovanni Leone e
l’ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica Duilio Fanali oltre al misterioso Antelope
Cobbler, uno nome in codice che secondi alcuni indicava Aldo Moro. Lo scandalo apre
uno squarcio su ciò che la Lockheed era veramente: «rappresentava in realtà il braccio
operativo di quel governo e dei suoi servizi segreti, cioè lo strumento usato per
finanziare uomini politici e partiti amici»770.
23 marzo. Inizia a Torino il processo contro i 42 appartenenti all'organizzazione
piemontese di Ordine Nuovo e a un gruppo toscano di Ordine Nero, rinviati a giudizio
in giugno dal giudice Violante. Il presidente della corte d'assise è Guido Barbaro,
tessera P2 n° 851 tanto per cambiare. Vengono chieste 28 condanne, alla fine saranno
solo 9: la pena massima spetta a Salvatore Francia, condannato a 4 anni. La sentenza
del 4 maggio stabilirà infatti che il gruppo «Non appare certo valido a fare insorgere
preoccupazioni per la saldezza delle istituzioni»771. Niente di nuovo.
28 marzo. Vengono arrestati su mandati di cattura della procura di Catanzaro
Gianadelio Maletti e Antonio Labruna. Le accuse sono piuttosto pesanti: 1. avere
aiutato Marco Pozzan, pur colpito da mandato di cattura, a espatriare con passaporto
falso, 2. aver tentato, insieme a Giannettini, di far evadere Giovanni Ventura dal
carcere di Monza, 3. di avere aiutato Guido Giannettini a eludere le investigazioni
dell'autorità giudiziaria, procurandone l'espatrio in Francia, mantenendo con il
latitante reiterati contatti. Saranno entrambi scarcerati neanche un mese dopo.
28 aprile. Il giudice istruttore di Brescia Gianni Simoni deposita l’istruttoria relativa al
processo al MAR e Carlo Fumagalli, terminata dopo due anni abbondanti di indagini
iniziate dal collega Giovanni Arcai. Coinvolti 81 imputati, vengono rinviati a giudizio in
59. Secondo la ricostruzione del giduce, il fine ultimo della cospirazione era scatenare
un’azione armata partendo dalla Valtellina, immediatamente dopo il referendum del
maggio del ‘74. Ovviamente però il livello operativo sopra Fumagalli resta
sconosciuto, come da tradizione:
Sono rimasti sostanzialmente in ombra i legami con esponenti o forze dell'esercito, del mondo
politico e di quello economico. Né hanno ricevuto riscontro i richiami a supposti legami di Carlo
Fumagalli con esponenti politici italiani e stranieri e con operatori economici772.
770
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo primo, p. 202.
771
Atti Corte d'Assise di Torino.
772
Atti inchiesta del giudice istruttore di Brescia dottor Gianni Simoni.
196
30 aprile. Si dimette ufficialmente il presidente del consiglio Aldo Moro: il governo è
durato appena 80 giorni.
5 maggio. Il giudice istruttore torinese Violante firma un mandato d’arresto
provvisorio per Edgardo Sogno e Luigi Cavallo per il golpe bianco. Sono accusati di
aver tentato di:
Mutare la costituzione dello Stato e la forma di governo; in particolare mediante un'azione violenta
progettata come «spietata e rapidissima» diretta a limitare la libertà personale del presidente della
Repubblica per costringerlo a sciogliere il parlamento e a nominare un governo provvisorio, espresso
dalle forze armate, composto da tecnici e militari, presieduto da Pacciardi e avente come
programma immediato, tra l'altro, lo scioglimento del parlamento, l'instaurazione di un sindacato
unico, l'istituzione di campi di concentramento, l'abolizione dell'immunità parlamentare con effetto
retroattivo e la successiva costituzione di un tribunale straordinario per processare alte
personalità773.
Violante, dichiarando l’incompetenza territoriale a procedere ulteriormente, invia gli
atti alla procura di Roma dove però faranno una brutta fine.
28 maggio. Sandro Saccucci, candidato nelle fila del MSI-DN alle elezioni politiche e
golpista a piede libero, è protagonista di un fatto di sangue. Durante un suo comizio
elettorale a Sezze Romano succede un tumulto, Saccucci e i suoi si ritirano e Pietro
Allatta, un uomo della sua scorta, spara a un giovane comunista che resta ucciso. Nel
processo Allatta sarà condannato a 16 anni di prigione in quanto materiale esecutore
e Saccucci a 12 per responsabilità morale. L’ex parà fuggirà prima in Francia e poi in
Argentina dove tutt’ora risiede.
15.2 - Il terrorismo colpisce al cuore
8 giugno. Avanguardia Nazionale, dopo la sentenza farsa di cui si è già detto nel
secondo capitolo, viene ufficialmente sciolta per decreto ministeriale. Nelle stesse
ore, per una drammatica quanto sorda coincidenza le BR sparano e uccidono a
Genova. È l’una e mezzo, il procuratore generale Francesco Coco sta rientrando a casa
accompagnato da cinque elementi della scorta. Tre se ne vanno con la loro auto, Coco
scende dalla propria per compiere a piedi pochi passi, accompagnato dal brigadiere
Giovanni Saponara mentre l'appuntato Antioco Dejana resta al posto di guida. Coco
e Saponara non fanno molta strada: tre sicari sbucati all’improvviso li uccidono, altri
due fanno lo stesso con l’autista. I killer si dileguano: è stato un lavoro svolto
freddamente e a viso scoperto, con estrema efficienza, «da assassini
professionisti»774. L’azione, rivendicata inizialmente dagli sconosciuti Nuovi Partigiani
e anche da AN, è stata compiuta dai brigatisti. Ancora oggi restano dei dubbi su chi
773
Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante.
774
Gianni Flamini, Il partito del golpe, tomo quarto, vol., secondo, p. 261.
197
fosse effettivamente presente quel giorno: uno dei cinque è senza dubbio Mario
Moretti.
20 giugno. Nelle elezioni politiche restano stabili DC e PCI con il 38,8 % e il 34.3.
Scendono nettamente socialdemocratici e missini.
25 giugno. Il giudice bolognese Vito Zincani dopo due anni di indagini arriva alla
sentenza per l’indagine su Ordine Nero, la quale come scrive lo stesso Zincani riguarda
quasi esclusivamente persone con un passato o ancora una militanza nel MSI. Dei 38
imputati sono in 19 a essere rinviati a giudizio. In ogni caso a Bologna avremo la stessa
sentenza emessa poco prima a Brescia per il MAR: c’è una «trama oscura, spesso
impalpabile, ma sicuramente avvertibile»775. Parimenti di finanziatori e ispiratori
dell’attività non vi è traccia, nonostante la riunione del gruppo in un albergo a
Cattolica gestito da un collaboratore del SID.
10 luglio. Il terrorismo nero torna a colpire e, replicando quanto fatto dalle BR un
mese prima, viene ucciso un giudice. Pierluigi Concutelli, volto noto di Ordine Nuovo
da poco rientrato in Italia dopo aver vissuto in Spagna e Francia, alle otto e mezza di
mattina uccide Vittorio Occorsio mentre stava andando in ufficio in auto. Concutelli
lo blocca a un incrocio e lo fredda con due raffiche di mitra. Prima di fuggire su un'auto
guidata lascia dei volantini a terra:
Il tribunale speciale del MPON ha giudicato Vittorio Occorsio e lo ha ritenuto colpevole di avere, per
opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine
Nuovo e le idee di cui questi sono portatori. [...] La sentenza emessa dal tribunale del MPON è di
morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo776.
Dietro l’omicidio Occorsio c’è qualcosa di più degli ordinovisti: Concutelli è un killer
professionista innanzitutto, freddo ed efficiente, e il mitra utilizzato arrivava dalla
Spagna dove Delle Chiaie gestiva i fuoriusciti neri italiani. La centrale occulta parte sì
dai neofascisti ma si allarga notevolmente per comprendere la criminalità organizzata
(Anonima Sequestri e n’drangheta), la massoneria e la finanza sporca. Occorsio, giusto
il giorno prima di essere ucciso, aveva confidato al giornalista Franco Scottoni di aver
tra le mani «qualcosa di clamoroso»777 riguardo l’organizzazione criminosa nota come
“Clan dei marsigliesi”, guidata dell'italo francese Albert Bergamelli che recentemente
lo aveva minacciato («Me la pagherete»). Con Bergamelli si rischia di aprire uno
squarcio incredibile sui rapporti che vanno sempre più stringendosi tra la criminalità
organizzata e il potere occulto: arrestato a fine marzo, aveva detto di essere protetto
775
Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Vito Zincani.
776
Guido Dell'Aquila Gianni Palma, Il giudice Occorsio ferocemente ucciso da un gruppo di sicari fascisti a Roma,
“l’Unità”, 11.7.1976.
777
Franco Scottoni, Venerdì mi aveva detto: «Ho tra le mani qualcosa di clamoroso», “l’Unità”, 11.07.1976.
198
da una grande famiglia778. Che sia la P2? Il riferimento è piuttosto evidente: la
motivazione dell’omicidio non sarebbe infatti una vendetta per lo scioglimento di ON
ma l’indagine che Occorsio stava svolgendo sulla criminalità romana e che lo stava
portando direttamente a Gelli. Gli omicidi politici anche successivi, come per esempio
quello del giudice Mario Amato compiuto da elementi del NAR il 23 giugno 1980,
restano infatti inspiegabili se ci ferma alla versione degli autori e soprattutto «non
rispondono mai a una logica di vendetta. Essi guardano avanti» 779: bisogna sempre
guardare la mano e non il dito, altrimenti avremmo sempre delle mezze verità.
29 luglio. Andreotti giura come nuovo presidente del Consiglio: ne fanno parte
rispettivamente Cossiga e Forlani come ministri di Interni e Difesa. Restano esclusi gli
ex primi ministri Rumor e Colombo: per loro la politica di rilievo è finita.
31 luglio. Arriva la sentenza-ordinanza del giudice Migliaccio a Catanzaro che rinvia a
giudizio 8 dei 17 imputati per Piazza Fontana: tra questi Maletti, Labruna. Giannettini
e Fachini. Non compaiono Freda, Ventura e Pozzan in quanto hanno i reati già
addebitati. Tra gli assolti Pino Rauti «per non aver commesso il fatto». Dopo sei anni
e mezzo non risultano perciò i nomi dei padrini politici della strage e del progetto
eversivo collegato; inoltre viene annullata la riunione di Padova del 18 aprile ‘69.
8 settembre. Viene arrestato a New York Michele Sindona, ricercato sia dalle autorità
americane per il fallimento della Franklin Bank che dalle nostre, le quali ne chiedono
l’estradizione. Sindona si dichiara perseguitato per motivi politici e in suo favore
arrivano delle deposizioni scritte (affidavit), firmate da personalità già note: il
procuratore di Roma Carmelo Spagnuolo, Gelli, Sogno e l’ex segretario
socialdemocratico Flavio Orlandi.
2 novembre. Il democratico Jimmy Carter è il nuovo presidente americano, il quale
batte il candidato uscente Gerald Ford repubblicano. Era sostenuto dalla
Commissione Trilaterale.
14 dicembre. Viene teso un agguato al vice questore di Roma Alfonso Noce da un
commando dei NAP. Restano a terra uccisi un uomo della scorta, Prisco Palumbo, e
uno dei guerriglieri, Martino Zicchitella.
15 dicembre. Strage nella Stalingrado d’Italia, ovvero Sesto San Giovanni: la polizia fa
irruzione nell’appartamento dove abita il giovane brigatista Walter Alasia. Nel
778
Per approfondire https: Da Albert «bocca piena» alla P2, iltempo.it, 25.05.2014,
//www.iltempo.it/cronache/2014/05/24/news/da-albert-bocca-piena-alla-p2-940659/.
779
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 132.
199
conflitto a fuoco restano a terra il vicequestore Vittorio Padovani, il maresciallo Sergio
Bazzega e lo stesso Alasia, ucciso nel cortile dopo aver tentato la fuga dalla finestra.
16 dicembre. Si rischia una nuova strage a Brescia. Un ordigno costituito da una
pentola a pressione riempito di polvere nera esplode in piazzale Arnaldo, uccidendo
un'anziana e ferendo una decina di passanti. Come accaduto nel ‘72 per Peteano si
batte la pista nera, poi quella rossa e infine quella della malavita. Verranno
condannati per concorso in strage i piccoli malavitosi locali Italo Dorini e Giuseppe
Piccini, il quale ammetterà che la bomba doveva servire da diversivo per una rapina.
Peccato che a Brescia rapine quel giorno non ne siano state fatte780.
15.3 Il ‘77
Nel 1977 la sinfonia generale non cambia: evasioni, sequestri, guerriglie urbane e la
violenza in generale sono la normalità. Appena il 2 gennaio Prospero Gallinari era
riuscito a evadere dal carcere di Treviso insieme ad altri 12 detenuti: di Reggio Emilia,
tra i membri fondatori, dopo una breve uscita rientrò all’interno delle BR nel ’74, sarà
tra i protagonisti dell’agguato di Via Fani e del sequestro Moro. Inoltre già a inizio
anno era partita la stagione dei rapimenti, vittima l’armatore genovese Pietro Costa
che resta nelle mani delle BR per quasi tre mesi: sarà liberato dopo il pagamento di
un riscatto di un miliardo e mezzo di lire. Siamo a pieno titolo nel picco degli Anni di
Piombo e infatti non a caso è datata 14 maggio la celebre foto in cui il terrorista rosso
Giuseppe Memeo punta una pistola verso la polizia durante degli scontri a Milano. È
una situazione che non accenna a migliorare, anzi, c’è l’impressione di una regia
occulta: «Si mira a tenere lontano dal potere il PCI e a mantenere vivo uno stato di
«ansia» sociale e politica immediatamente sfruttabile nel caso la situazione
economica precipiti o ci sia qualche segnale di cambiamento nei rapporti
internazionali»781. Il mondo politico, travolto dallo scandalo Lockheed, è ormai
ritenuto stantio e servo della DC soprattutto a sinistra con il mondo universitario in
prima fila, stanco dell’immobilismo perenne non solo del mondo accademico. Nasce
così il cosiddetto Movimento del ‘77. Celebre l’episodio del 17 febbraio del quale è
protagonista lo storico segretario della CGIL Luciano Lama. Alla Sapienza di Roma i
giovani di Autonomia Operaia bloccano un comizio di Lama, il quale è costretto a
lasciare la facoltà sotto la scorta del servizio d’ordine.
13 febbraio. A Roma in via Foraggi viene arrestato Concutelli, nascosto in un
appartamento, il quale si arrende senza grossi problemi. Vengono trovati sia la
mitraglietta con cui ha sparato a Occorsio sia 11 milioni di lire. La cifra arriva dal
780
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo secondo, secondo, p. 324.
781
Ibidem, p. 335.
200
riscatto pagato dalla famiglia Trapani per la liberazione della giovane Emanuela, rapita
dalla banda di Renato Vallanzasca a fine anno. Cosa ci fanno quei soldi a casa di
Concutelli? Lo stesso Vallanzasca verrà arrestato due giorni più tardi.
3 marzo. Un C-130 Hercules, uno degli aerei protagonisti dello scandalo Lockheed,
precipita sul Monte Serra vicino a Pisa, causando la morte di 44 persone tra militari
ed equipaggio. Fatale un errore del pilota dovuto alla scarsa visibilità.
11 marzo. Negli scontri tra studenti dell’università di Bologna e forze dell’ordine resta
ucciso Pier Francesco Lorusso. La reazione violenta si allarga a macchia d’olio a Milano
e Roma, portando il giorno dopo all’assassinio del brigadiere Giuseppe Ciotta a Torino:
responsabili esponenti di Lotta Continua, nuova formazione del terrorismo rosso nata
nell’autunno dell’anno precedente. Un fatto che comunque verrà in seguito accertato
è che quanto avviene in Italia in quei giorni di fuoco «è il risultato di una strategia
eversiva pianificata»782. Lotta Continua, Prima Linea e le BR di Moretti saranno
protagoniste negli anni successivi degli omicidi di magistrati come Emilio Alessandrini,
Girolamo Minervini e Vittorio Bachelet o di giornalisti come Walter Tobagi, persone
di stampo decisamente riformista: azioni sulla carta insensate se non facendole
rientrare nella logica del regresso reazionario di una «fasulla e manipolata
concorrenza rossa»783.
5 aprile. Viene rapito a Napoli Guido De Martino, figlio del tre volte segretario del PSI
Francesco De Martino. Sarà liberato 40 giorni dopo il pagamento di un riscatto di un
miliardo di lire. Un rapimento dal profilo politico rilevante ed è questa la causa
principale dell’azione, eseguita da personaggi locali reclutati non tanto per il
guadagno. Lo stesso De Martino 40 anni dopo dirà che con il suo rapimento volevano
colpire il padre, reo di essere favorevole a un’apertura del partito al PCI784.
5 maggio. Infuria la polemica su un eventuale accordo tra DC e PCI che apra la strada
ad un ingresso dei comunisti nell'area della maggioranza: il compromesso storico non
è più utopia. Iniziano infatti proprio in questo giorno i primi colloqui tra i due partiti
alla presenza dei segretari Enrico Berlinguer e Benigno Zaccagnini: «Confronto non
facile ma utile»785 scrive L’Unità. Giusto un anno dopo sarà ucciso Aldo Moro.
30 maggio. Parte finalmente il processo Borghese.
782
Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol. quarto, tomo secondo, p. 374.
783
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 98.
784
Redazione Adnkronos, 40 anni fa il rapimento di Guido De Martino: "Così colpirono mio padre per l'apertura al Pci",
adnkronos.com,
https://www.adnkronos.com/40-anni-fa-il-rapimento-di-guido-de-martino-cosi-colpirono-mio-padre-per-lapertura-al-
pci_Tzy9qarpqX1jb5ap3cYUv, 05.04.2017.
785
Primo incontro fra DC e PCI Confronto non facile ma utile, “l’Unità”, 06.05.1977.
201
3 giugno. Inizia a Reggio Calabria il processo per la rivolta avvenuta nel 1970. Gli
imputati sono 15 e le pene richieste nel complesso arrivano ai 30 anni: avranno vita
facile.
15 agosto. Fuga di Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio grazie al supporto
di uomini del Noto Servizio.
24 ottobre. Dopo 12 anni pieni di scandali viene abolito il SID e avviene nel complesso
una profonda riforma dei servizi segreti. Nascono così infatti il SISMI e il SISDE, il primo
relativo alla sfera militare e il secondo a quella civile, con un comitato esecutivo di
raccordo e coordinamento noto come CESIS. Alla guida dei due nuovi organismi
verranno posti rispettivamente Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, entrambi guarda
caso membri della P2. Un ruolo rilevante spetta al presidente del consiglio che grazie
al CESIS esercita «l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il
coordinamento»786 dell'intero apparato.
31 ottobre. Sul Monte Covello, in provincia di Catanzaro, precipita un elicottero, al
suo interno il comandante dei carabinieri Enrico Mino e altri cinque militari. Tutti e
sei periscono nello schianto, provocato ufficialmente dalle cattive condizioni
metereologiche. Il generale, in odore di P2, un mese prima si era incontrato con il
leader dei radicali Marco Pannella in via non ufficiale. Questi, ricordando l’episodio
alla Commissione Stragi, affermò come Mino gli avesse detto: «Non userò più
l’elicottero per qualsiasi ragione»787.
9 novembre. Sulle vetrine delle filiali milanesi del Banco Ambrosiano vengono affissi
manifesti in cui si accusa pesantemente il direttore Roberto Calvi di truffa e
appropriazione indebita. L’autore di tale manovra ricattatoria era Michele Sindona,
che servendosi di un altro personaggio già ben visto come Luigi Cavallo con una
campagna di stampa offensiva, sperava di ottenere un riscatto per salvare le sue
banche in crisi. È il primo scricchiolio palese che porterà al crack della banca e alla
morte di Calvi nel 1982 in circostanze quantomeno sospette.
16 novembre. Un commando di brigatisti entra nell’androne di casa di Carlo
Casalegno, vicedirettore de “La Stampa”, mentre rientra per il pranzo e gli spara a
bruciapelo. Ferito in modo gravissimo, perirà dopo 13 giorni di agonia in ospedale.
Responsabile principale dell’omicidio è Raffaele Fiore, poi tra i protagonisti
dell’agguato di Via Fani.
786
L’Unità, 24.06.1977.
787
Commissione Stragi, audizione dell’onorevole Marco Pannella, 28.01.1998,
https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno29.htm.
202
20 novembre. Su “l’Unità” esce un interessante articolo nel quale il presidente del PCI
Luigi Longo attacca i brigatisti e la lotta armata in generale, ritenuta strumento al
soldo dei potenti:
C'è in questi atti - non importa in nome di che cosa e sotto quale etichetta vengono compiuti - una
logica che ci è nota, un modus operandi che reca, inconfondibile, il marchio del tentativo
reazionario. Di questa strategia, coloro che compiono materialmente l'attentato non sono che tristi
esecutori. In ben altre sedi, italiane e straniere, si elaborano i piani eversivi, si prepara con evidente
intelligenza politica l'attacco alla Repubblica e· alla costituzione788.
7 dicembre. Il P.M. Alberto Dell’Orco della procura di Roma chiede al giudice istruttore
Francesco Amato il proscioglimento per Edgardo Sogno in quanto «al collegamento
inizialmente intravisto tra i cospicui finanziamenti erogati a Sogno dalla Società per
azioni FIAT e da altri ambienti industriali e i progetti eversivi dell'imputato, è mancato
ogni dato di seria e univoca significazione al riguardo»789. Quanto a Cavallo è sì un
provocatore certificato ma poco importa, mentre su Pacciardi non c’è niente di
concreto: per tutti gli imputati arriverà l’assoluzione il 12 settembre dell’anno
seguente perché il fatto non sussiste nonostante si legga nella sentenza che «Il
segreto di Stato ha impedito al giudice di conoscere e verificare le notizie in possesso
del SID e di approfondire la ventilata ipotesi di un'attività eversiva di Sogno»790. Una
sentenza che arriverà nel quasi silenzio generale.
14 dicembre. Nel processo Borghese Vito Miceli ammette davanti alla corte che il SID
parallelo non è un’invenzione: «Un tale organismo segretissimo esisteva già prima che
io assumessi il comando del SID e funziona tuttora. È una struttura che, se vista dal di
fuori da un profano, può anche dare l'impressione di un organismo non propriamente
regolare»791. Alla richiesta di maggiori informazioni dirà ovviamente di chiedere alle
massime autorità statali. E ciò in effetti avverrà a gennaio quando si presenterà come
teste Giulio Andreotti, il quale dirà che «In periodo di pace non esiste un servizio del
genere»792.
788
Luigi Longo, Basta con il terrorismo e l’inefficienza, “l’Unità, 20.11.1977.
789
Requisitoria del pubblico ministero di Roma dottor Alberto Dell'Orco.
790
Sentenza del giudice istruttore di Roma dottor Francesco Amato.
791
Atti Corte d'Assise di Roma.
792
Ibidem.
203
Capitolo XVI: le tre sentenze, l’appendice Salvini e il memoriale
Veniamo ora alla parte finale di questo lungo viaggio che nel luglio del 1978 porta alla
sentenza della Corte d’Assise di Roma. Non può essere dimenticato che tale
provvedimento arriva a poco più di due mesi dall’assassinio di Aldo Moro e a tre
dall’agguato di Via Fani: un evento di una portata storica incommensurabile e che ha
cambiato la storia italiana in modo decisivo, di cui ovviamente si è detto di tutto e di
più. Come già dichiarato, all’avviso di parecchi studiosi e dello scrivente, parliamo del
primo golpe riuscito della storia italiana.
16.1 - 1978
«Non ci fu nessun golpe Borghese»793. Il 15 luglio del 1978 la prima Corte d’Assise di
Roma esprime il suo primo verdetto, una verità ovviamente sconcertante alla luce di
ciò che è visto in queste pagine ma non per i giudici romani. Dopo 54 ore e mezzo di
camera di consiglio i giudici hanno emesso la loro sentenza: su 75 imputati i
condannati in totale sono 46, cade la grave accusa di insurrezione armata, sostituita
da quella più blanda di associazione sovversiva. Per la Corte i cospiratori si
mobilitarono solo per una manifestazione violenta ma di per sé «inidonea a realizzare
l’evento previsto». In pratica la notte dell’Immacolata nessuno di AN era entrato nel
Viminale, nessuno si era riunito nel cantiere di Orlandini, nessuno aveva progettato
di uccidere il capo della polizia Vicari e i parà nella palestra di via Eleniana era lì solo
per vedere un film. Quanto ai quasi duecento forestali erano a Roma solo per
un’esercitazione, rinviata poi per la pioggia.
Le condanne di conseguenza non poterono essere che minime: per quanto riguarda
le personalità di prim’ordine Orlandini ricevette dieci anni, Rosa otto, Lo Vecchio otto,
Saccucci quattro, Delle Chiaie cinque, Pomar quattro, Micalizio quattro, Drago tre,
Spiazzi cinque. Assolto «per non aver commesso il fatto» Miceli: se il golpe Borghese
non esiste l’ex capo del SID non può aver aiutato nessuno e omesso informazioni.
Stessa sentenza venne espressa per Berti, Monti, Capanna, Pecorella e De Jorio. Tra i
condannati legati al progetto della Rosa dei venti vennero stabiliti cinque anni di
carcere per Zagolin, Rampazzo, De Marchi e Cavallaro, quattro per Nardella. Quanto
al SID parallelo come previsto ampiamente viene ridotto a un’invenzione dovuta a
«eclatanti insinuazioni frutto di avventati, deprecabili espedienti diretti a confondere
il lavoro degli inquirenti»794.
Claudio Vitalone, pubblico ministero nel processo, annunciò subito la volontà di
presentare ricorso contro le sentenze, in primis per le assoluzioni. «Destano a dir poco
793
Aldo Zeri, Cospiratori, non golpisti, “Il Gazzettino”, 15.07. 1978.
794
Sentenza della Corte d’Assise di Roma, 14.07.1978.
204
stupore le assoluzioni con formula ampia decretate a favore del generale Vito Miceli
e del colonnello Luciano Berti. Per comprendere appieno il significato di una sentenza
di tale portata occorre attendere il deposito in cancelleria della motivazione»795, dirà
il magistrato il giorno dopo. Riguardo alle condanne annunciò ugualmente di voler
fare ricorso, avendo in effetti chiesto pene complessive ben più gravi, per esempio 25
anni per Orlandini, ma si dirà comunque soddisfatto. La sentenza costituisce per
Vitalone una «sonora smentita per quanti avevano voluto vedere nel processo una
montatura politica». Un atteggiamento piuttosto ambiguo, quello tenuto dal PM, in
seguito senatore della DC fino al 1994 e fedelissimo di Andreotti. Se da una parte dice
di voler fare ricorso per le condanne lievi e le assoluzioni, dall’altra si dichiara
soddisfatto per le pene inflitte. Come nella requisitoria del ‘75 Vitalone di nuovo fa
tanto rumore per nulla.
Tornando a Miceli, per l’ex capo del SID erano stati richiesti tre anni di carcere per
favoreggiamento, in quanto era caduta l’accusa di cospirazione contro lo stato chiesta
dalla procura di Padova. Un fatto già detto in questa sede ma su cui vale la pena
insistere, poiché per i giudici di Roma Vito Miceli, generale e comandante dei servizi
segreti, avrebbe fatto da palo a una banda di rubagalline. I suoi difensori e quelli di
Berti riguardo alla sentenza si dichiararono ovviamente soddisfatti, in quanto i giudici
della Corte d’Assise avevano dimostrato «coraggio e scrupolosità nel loro operato». I
legali dei condannati infine dichiararono come Vitalone di voler far ricorso ma per
motivazioni chiaramente diverse, in quanto i loro assistiti erano stati perseguiti per
un motivo ideologico. In quanto alla stampa comunista come logico accolse la
sentenza con una certa amarezza, evidenziando giustamente che, secondo i giudici,
«gli uomini del Fronte Nazionale hanno cospirato per quasi cinque anni contro le
istituzioni ma all’atto pratico non hanno mai realizzato niente»796. Complottavano in
pratica solo sulla carta, secondo la procura: non è andata proprio così.
16.2 - 1984
Se la sentenza di primo grado era stata molto prevedibile, ancor più è quella d’appello
dove si conferma la tradizione italiana di trasformare in secondo grado le condanne
in assoluzioni in una non banale percentuale dei casi. La Corte d’Assise di Roma infatti
il 27 novembre del 1984 assolve dal reato di cospirazione tutti i 46 imputati
condannati in primo grado in quanto «il fatto non sussiste»797.
Nella sentenza si legge che:
795
Il pm Vitalone ha appellato la sentenza Borghese, “Il Gazzettino”, 16.07.1978.
796
Fulvio Casali, Il PM contro la sentenza per il golpe di Borghese, “l’Unità”, 16.07.1978.
797
Nessuno golpe di Borghese, tutti assolti in appello i 46 imputati, “Il Gazzettino”, 28.11.1984.
205
I clamorosi eventi della notte in argomento si siano concretati nel conciliabolo di quattro o cinque
sessantenni nello studio di commercialista dell'imputato Mario Rosa, nella adunata semipubblica di
qualche decina di persone nei locali della sede centrale del Fronte Nazionale, nel dislocamento di
uno sparuto gruppo di giovinastri in una zona periferica e strategicamente insignificante
dell'agglomerato urbano, nel concentramento di un imprecisato numero di individui, alcuni
certamente armati ma i più sicuramente non molto determinati, nella zona di Montesacro, in un
cantiere impiantato dall'impresa di Remo Orlandini, e, da ultimo, nella riunione di cento o duecento
persone, fra uomini e donne, senza armi in una palestra gestita dall'associazione paracadutisti nella
via Eleniana di Roma798.
Inoltre veniva letteralmente minimizzata e messa in toni pateticamente ridicoli
l’attività del FN, i cui membri venivano definiti «esaltati, se non mentecatti, di ogni
risma» in preda a «fantasie apparse subito comiche». I toni della sentenza della
sentenza sono irridenti a tal punto da aprire un’ipotesi non del tutto campata in aria:
La motivazione è a tal punto paradossale da autorizzare anche l’interpretazione secondo cui i giudici
di secondo grado compresero che i congiurati erano controllati dall’alto e che l’artificio del
trasferimento del processo aveva tagliato fuori l’organizzazione cui tale controllo era imputabile799.
In questo modo vengono prosciolti da ogni accusa Orlandini, Rosa, Saccucci, Delle
Chiaie, Spiazzi e compagnia. Una sentenza assurda se si considera che siamo nel 1984
e si è reduci da ulteriori eventi tragici che hanno visto coinvolti molti dei protagonisti
del golpe Borghese: «Prove contrarie, testimonianze, ammissioni gravissime da parte
di molti imputati anche negli anni successivi, non hanno evidentemente convinto i
giudici»800. Perdipiù nel 1981 era stata istituita una specifica commissione
parlamentare presieduta dall’Onorevole Tina Anselmi, la commissione P2, che aveva
dimostrato, tra le altre cose, come i tentativi eversivi degli anni ‘70 fossero reali e non
la fantasia di qualche giudice o giornalista di sinistra. Si legge infatti che nel golpe
Borghese «Appare sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio
Gelli e di uomini della loggia»801, ricordando sempre che quello del Gran Maestro della
P2 è uno dei nomi spariti dal “malloppone” nel 1974 dopo la revisione di Andreotti. Il
punto rilevante non è qui la massoneria di per sé ma molto semplicemente che un
atto ufficiale dello stato, prodotto quasi in contemporanea, non sia stato
minimamente preso in considerazione dai giudici romani. Nonostante gli atti della
Commissione documentino con precisione i fatti grazie alla testimonianza di
personaggi coinvolti direttamente, per la Corte d’Assise nella notte tra il 7 e l’8
dicembre 1970 non è successo assolutamente niente, né prima né dopo. Nonostante
una sfilza di documenti, intercettazioni e confessioni, organizzazioni come il FN o la
798
Documento XXIII n. 64, volume I, tomo II, Atti della Commissione stragi, 2001, p. 158.
799
Giovanni Tamburino, op. cit., p. 80n.
800
Golpe Borghese «Il fatto non sussiste»: tutti assolti, "l'Unità", 28.11.1984.
801
Relazione parlamentare sulla loggia massonica P2, documento XXIII n. 2, 1982, p. 87.
206
Rosa dei venti non avevano mai cospirato contro lo Stato ma erano banali bande di
esaltati. Gli unici condannati sono personaggi di secondo piano della Rosa dei venti
come Giampaolo Porta Casucci o Sandro Rampazzo, per i quali è confermata l'accusa
di detenzione e porto d’armi da fuoco.
16.3 - 1986
«Il golpe Borghese non c’è mai stato»802. Il 24 marzo del 1986 la Cassazione chiude
definitivamente il processo per il tentativo di colpo di stato del 1970. La suprema corte
infatti conferma la sentenza emessa un anno e mezzo prima dalla Corte d’Assise che
assolveva tutti i 46 imputati condannati in primo grado. Lievi pene vengono
confermate a cinque protagonisti ritenuti minori: alcuni sono veramente tali, come
Ignazio Cricchio, altri invece come Dario Zagolin, la cui figura verrà approfondita
parecchi anni dopo803, non lo sono del tutto. Zagolin, così come Saccucci, Delle Chiaie,
Lercari, Pomar e altri protagonisti del terrorismo nero, da anni era latitante all’estero.
L’aiuto e la protezione che questi ricevevano sia in Sudamerica sia in Francia e Spagna
è un punto molto interessante che qui non può essere trattato per logiche
motivazioni. Resta il fatto che parecchi di questi terroristi all’estero servivano i vari
regimi e governi spesso per azioni sporche e di repressione804. La sentenza in
conclusione mette la parola fine ad anni di indagini giudiziarie e giornalistiche che
secondo detto quanto dalla Cassazione erano basate praticamente sul nulla poiché
non era di fatto successo niente quella famosa notte di sedici anni prima. La parte più
assurda è che vengono assolte persone come Cavallaro che aveva confessato di tutto
e di più ma ciononostante resta un cittadino libero: il potere, piuttosto che ammettere
le proprie colpe, preferisce mettere la polvere sotto un tappeto e andare avanti
facendo finta che non sia successo niente. Forse non è un caso che in quel momento
a presiedere la Cassazione vi sia Corrado Carnevale, giudice quanto mai controverso,
detto «l'ammazzasentenze» e accusato di concorso esterno in associazione
mafiosa805. Come uno scherzo del destino due giorni dopo a Milano verranno celebrati
i funerali di Michele Sindona, morto il 22 marzo in carcere a Voghera dopo aver bevuto
802
“La Repubblica”, 26.03.1986.
803
La figura di Zagolin meriterebbe un approfondimento ad hoc che in questa sede è impossibile. Secondo la
testimonianza raccolta dal giudice Salvini di un altro informatore dei servizi, Gianfranco Belloni, nel 1972 Zagolin si era
incontrato sia con Clemente Graziani sia con Licio Gelli. Due anni dopo il giudice Tamburino emetterà un mandato di
cattura nei suoi confronti ma fuggirà a Parigi grazie alla complicità del comandante dei CC di Padova Manlio Del
Gaudio, piduista.
804
Rilevante in tale contesto la figura di Delle Chiaie, al servizio dei servizi spagnoli per la repressione dell’ETA (Euskadi
Ta Askatasuna), al servizio della CIA in Nicaragua e dei regimi cileno e boliviano.
805
Si veda, a titolo esemplificativo, Antonio Palma, “Falcone esaltato oltre i suoi meriti, voleva fare carriera”, le parole
dell’ex giudice Carnevale, Fanpage.it, https://www.fanpage.it/https://www.fanpage.it/attualita/falcone-esaltato-
oltre-i-suoi-meriti-voleva-fare-carriera-le-parole-dellex-giudice-carnevale/, 23.05.2022 o Il curriculum di Corrado
Carnevale, 19luglio1992.com, https://www.19luglio1992.com/il-curriculum-di-corrado-carnevale/.
207
un caffè corretto al cianuro di potassio. Un altro personaggio che ha portato con sé
nella tomba la maggior parte dei segreti sull’Italia e non solo.
16.4 - L’appendice di Guido Salvini
Il giudice istruttore di Milano Guido Salvini nel 1995 e nel 1998 emette due sentenze-
ordinanze di portata storica inusitata. Partendo dall’indagine sulle attività del gruppo
terroristico milanese La Fenice di Giancarlo Rognoni, il giudice riuscirà a far luce sugli
episodi centrali della strategia della tensione che per anni sono rimasti celati o
nascosti. Piazza Fontana, il gruppo Freda, i MAR, la Rosa dei venti e il golpe Borghese:
tutti verranno approfonditamente scandagliati, per arrivare a una verità storica di
indubbio valore. Riguardo ai fatti del 1970 nella sentenza-ordinanza vi è dedicata
l’intera quinta parte, intitolata “La testimonianza del capitano Antonio Labruna e la
consegna dei nastri magnetici concernenti il golpe Borghese e la Rosa dei Venti”806.
Antonio Labruna, detto Tonino, entra nel 1950 nei carabinieri. Dal 1967 è al SID, prima
al centro tecnico e poi dal 1971 al NOD, facendo per anni da braccio destro al
comandante del reparto D Maletti. È coinvolto nei fatti di piazza Fontana in quanto
aveva favorito l’espatrio di Marco Pozzan e contribuito economicamente alla fuga di
Guido Giannettini: per tali motivi sarà condannato a 10 mesi di reclusione nel 1987.
Ormai caduto in disgrazia, andrà in congedo nel 1990 con il grado di colonnello. Dal
1991 inizia a collaborare con il giudice Salvini, un modo per riabilitare la propria figura
ormai compromessa presso l’opinione pubblica. Possiamo dire che vi riesce, in quanto
Labruna si dimostrò nelle operazioni sotto copertura decisamente capace e usato
invece come capro espiatorio di tutte le malefatte del SID delle quali si era macchiato
in vari casi il suo superiore Maletti.
Labruna all’ufficio di Salvini nel 1991 consegna una sfilza di materiale che dimostra la
classica prassi del SID: sanno tutto e di tutti, peccato però che all'autorità giudiziaria
consegnino ciò che più aggrada. In sintesi si tratta:
1. dei nastri magnetici del 1974 (dieci per la precisione), consegnati all’epoca
dopo essere stati manipolati e oltretutto non completi;
2. di una relazione di Giannettini sul golpe Borghese dalla quale era sparita la nota
relativa all’ammiraglio Torrisi;
3. di un’altra relazione, autore Guido Paglia, relativa al coinvolgimento di AN nel
golpe, trasmessa a Maletti e da questi cestinata807.
806
S.O. Salvini, 1995, p. 170.
807
Ivi, p. 173.
208
Labruna disse a Salvini di essersi infiltrato da Orlandini dal 1973 tramite il contatto di
un armatore napoletano che nel 1970 avrebbe messo a disposizione le sue navi per il
trasporto in Sardegna degli oppositori. Una volta entrato in confidenza, Orlandini gli
aveva rivelato «pressoché ogni cosa sui progetti golpisti precedenti e su quelli ancora
in corso e, all'insaputa dell'Orlandini, tutti gli incontri, ad eccezione del primo che
aveva avuto solo carattere interlocutorio, erano stati registrati dall'ufficiale808».
L’anno dopo Labruna afferma di aver convinto a collaborare Torquato Nicoli e
Maurizio Degli Innocenti, nonostante affermi che entrambi sapessero che le
informazioni ricavate sarebbero state usate contro il FN. Quanto ai nastri, una volta
dattiloscritti, venivano consegnati a Maletti e al colonnello Romagnoli. Una volta
terminata l’indagine, ovvero il luglio 1974, si tenne una riunione nell’ufficio di
Andreotti a cui parteciparono il nuovo direttore del SID Casardi, il comandante
dell’Arma Mino, Maletti, Romagnoli e in un secondo momento Labruna. Andreotti al
termine dell’incontro consigliò di «sfrondare il malloppo» e in un appunto interno del
SID vi era scritta la necessità di evitare «l'ingiusto discredito ad alcuni ufficiali e alle
FF.AA. come tali809». A settembre il rapporto verrà trasmesso all’autorità giudiziaria
di Roma molto alleggerito come già detto nei capitoli precedenti. I nastri di cui si è
fatta menzione contengono una serie di rivelazioni decisamente pesanti, alcune già in
ogni caso note:
● I contatti tra i golpisti e i gli stati maggiori americani erano tenuti dal costruttore
romano Gianfranco Talenti e dall’ingegnere Hugh Fenwick, direttore della
Selenia810;
● Sin dal periodo precedente al tentativo del 1970 almeno 3.000 ufficiali iscritti
alla massoneria avevano aderito ai gruppi golpisti, pronti al "momento x" a
essere al fianco del tentativo di mutamento istituzionale;
● A Malta era presente la flotta americana che avrebbe fornito supporto;
● L’elevato numero di alti ufficiali dell'esercito e dei carabinieri, di funzionari di
polizia, di professionisti, di diplomatici e di magistrati militari aderenti al
progetto di golpe.
Il quadro delineato dalle registrazioni è significativo perché dimostra la volontà dei
responsabili del Reparto D di potare i rami secchi proteggendo invece i personaggi di
maggior rilievo, sia civili sia militari, da una incriminazione o quantomeno da una
indesiderata pubblicità. Una scelta dovuta al mutamento dei tempi: la caduta dei
regimi fascisti in Portogallo, Grecia e Spagna aveva segnato la fine di un’epoca e il
808
Ivi, p. 176.
809
Ivi, p. 177.
810
Incarico di copertura in quanto Fenwick era legato alla CIA ed era il legale rappresentante del partito repubblicano
in Italia.
209
favoreggiamento se non il supporto ai gruppi terroristici di estrema destra in Italia
andava rimodulato. Si tratta, ancora una volta, di uno dei motivi per il quale il golpe
Borghese fu fatto appositamente fallire.
16.5 Il memoriale Borghese
Il più volte citato Aldo Giannuli negli anni ‘90 e nei primi 2000 è stato in diverse
occasioni perito per le procure che indagavano sulle stragi degli anni di piombo, tra
cui quella di Brescia nel 2003. Ebbene, al professore, viene chiesta la perizia per un
presunto testamento di Borghese ritrovato per una serie di coincidenze fortuite in un
cassetto di un mobile appartenuto a Enrico De Boccard, personaggio dell’estrema
destra già trovato al tempo del convegno dell’Istituto Pollio nel 1965 in quanto uno
degli organizzatori dell’evento e legato ai servizi811. Oltre alla lettera-testamento,
nello stesso luogo venivano ritrovati degli appunti e una lettera datata 1976 a firma
“Isla”. La lettera di Borghese può essere datata tra il 1970 e il 1978812, quella a firma
Isla tra la morte di Borghese e il ’78, idem il brogliaccio. Tale materiale non è stato
vergato a mano ma dattiloscritto e perdipiù è interamente fotocopiato, con
cancellature e di basse qualità813: per tutti questi motivi stabilirne con certezza
l’autenticità è pressoché impossibile. Va sottolineato che Borghese pubblicamente
non aveva mai ammesso di aver tentato il golpe, idem i suoi legali, però nel suo
ambiente è invece plausibile che giustificasse le proprie azioni soprattutto per il fatto
di riabilitare la sua figura ampiamente compromessa dopo il clamoroso dietrofront
nella notte di Tora-Tora. In conclusione, per il professor Giannuli
L’ipotesi più plausibile è che il testo provenisse effettivamente da Borghese o da persona a lui molto
vicina, così da poter essere ritenuto autentico, e come tale è stato passato in copia a poche persone
e De Boccard per la sua passata militanza nella RSI e per la sua appartenenza al gruppo dirigente
della destra radicale aveva ottime probabilità di essere fra i pochi destinatari di quella confidenza.814
Il memoriale, caricato per intero nella sezione allegati, presenta innanzitutto quattro
tipi di segni: 1. Quelli dattiloscritti dell’autore, 2. Quelli scritti a mano dall’autore, 3.
Quelli dell’intermediario che ha consegnato il documento a De Boccard (cancellature
dei nomi), 4. Quelli forse di De Boccard stesso o di altri lettori (es. le sottolineature).
Si evidenziano parecchi errori, sia di battitura sia ortografici, segno che l’autore aveva
limitate capacità dattilografiche.
811
Ex agente del Sid il giornalista arrestato per le “trame nere”, “La Stampa”, 18.02.1975.
812
Nel 1978 Enrico De Boccard viene colpito da un ictus che lo ridurrà in stato pressocché vegetativo, morendo dieci
anni più tardi. Non vi motivo per cui i documenti gli siano stati mandati in data successiva, considerata la sua
situazione fisica.
813
Allegato n. 8
814
Solange Manfredi, op. cit., p. 29.
210
Sul piano del contenuto, oltre ad alcune parte già citate in queste pagine, è
interessante la parte nella quale Borghese racconta dei contatti presi prima del golpe
con il Vaticano, nei cui ambienti il Principe Nero affermò di aver trovato parecchia
ostilità eccezion fatta «della benevolenza e della comprensione del Cardinale
Tisserant che, con il Santo Sepolcro, poteva contare su di una rete capillare con
sviluppo mondiale»815. Il riferimento è a Eugene Tisserant, cardinale decano che
presiedette due conclavi (1958 e 1963) e dal 1960 fino alla morte nel 1972 Gran
Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Altrettanto
rilevante la parte finale, nella quale un ormai rassegnato Borghese lancia le ultime
invettive:
Unicamente all’ingenuità di un Capitano del SIOS, al suo Generale e al Colonnello Genovesi, l’Italia
deve il suo progressivo soccombere a la sua sistematicità spogliazione. Il mio spirito spirito ha
cessato di essere dalla mattina del dicembre 1970 mentre, alla 1,49, riappoggiavo la cornetta del
telefono. Il prosieguo non è stato che un’inutile sopravvivenza del corpo.816
La lettera a firma “Isla” porta la data del 18 gennaio 1976: in questa l’omonima
autrice, si rivolge a un “Comandante” che però non Borghese, in quanto quest’ultimo
viene chiamato “Principe” poche righe più sotto. Il contenuto della lettera può essere
così riassunto:
1. Borghese poca prima di morire aveva subito un tentativo di investimento;
2. Dopo questo fatto il marito della sorella di Isla in quanto ufficiale di sicurezza lo
convince a disfarsi di alcuni documenti scottanti;
3. In Italia qualcuno è pronto a fare dei ricatti a personaggi politici e pubblici di
notevole peso, utilizzando del materiale che ha Borghese nel suo archivio
personale. Vengono citati Mariano Rumor, Mario Tanassi, Enrico Colombo,
Giovanni Pieraccini, Gianni Santacatterina (genero di Saragat), Luigi Gui, Italo
Viglianesi, Filippo Carpi De Resmini (presidente ACI817), Flaminio Piccoli, Athos
Valsecchi, Cesare Bensi, Francesco Forte (vicepresidente ENI) e Paolo Emilio
Taviani. Si legge che questi avevano fatto di tutto, «dalla truffa allo stato
all’usura, alla violenza carnale, al traffico della cocaina e delle armi, ai falsi titoli
di dottore e all’uccisione di partigiani per interesse e invertizione»818;
4. Oltre a Isla insieme a Borghese c’è spesso una donna, italiana, il cui nome viene
però regolarmente cancellato nella lettera;
5. Sul Principe c’è una taglia segreta a causa del suo archivio, Isla parla di strani
movimenti a Cadice dove Borghese soggiornava. Il Principe nel frattempo dal 2
815
Ibidem, p. 40.
816
Ibidem, p. 43.
817
Automobile Club d’Italia.
818
Solange Manfredi, op. cit., p. 45-46.
211
agosto ha iniziato a stare male e inizia a dettare a lei una lettera per evitare
essere coinvolto nei ricatti di cui si è detto prima;
6. Borghese fa promettere a Isla di far avere il memoriale ai suoi amici italiani;
7. Borghese muore il 26, Isla viene fatta espatriare in Brasile con un passaporto
falso. Nel frattempo aveva consegnato ai servizi segreti spagnoli il suo speciale
archivio.
La lettera sarebbe stata completata ma non il memoriale a causa dell’improvvisa
morte del Principe, le cui condizioni di salute avevano condizionato la parte finale
della dettatura.
212
Conclusione e giudizi finali
In sede finale partiamo dai servizi segreti, probabilmente l’elemento più ricorrente in
questa analisi storica che parte dalla fine della guerra e arriva alla fine degli anni ‘70,
nei fatti il trait d’union di questo periodo. Innanzitutto si ritiene doveroso fare una
considerazione: è assurdo come nella vulgata comune sui fatti di sangue e sulle stragi
degli anni ‘70 si senta ancora usare, troppo per la verità, l’espressione «le stragi sono
un mistero» e concetti simili: niente di più falso. Pur rimanendo delle zone d’ombra si
è riusciti a far emergere una buona parte di verità, che pur non portando quasi mai a
condanne effettive, sia per la prescrizione dei reati sia per il decesso degli imputati,
ha quantomeno creato ampi coni di luce. Così come definire i servizi segreti come
“deviati”, espressione tanto cara alla narrazione nazionalpopolare che per anni ha
cercato di ridurre le malefatte dei servizi all’operato di singole mele marce. Non è
necessario scavare molto a fondo per notare come tutti i capi dei vari SIFAR, SID,
SISMI, UAARR e SISDE siano stati implicati in tutte le torbide vicende italiane dal
dopoguerra in poi, è una serie talmente lunga di fatti e operazioni che non si può
ridurre il comportamento all’azione dei singoli. Come infatti afferma uno dei principali
esperti in materia, il professor Aldo Giannuli, «non ha senso parlare di servizi segreti
deviati in quanto la loro esistenza è di per sé una deviazione da qualunque percorso
democratico»819. Se c’è infatti una verità assoluta emersa in tutti i processi per strage
è il depistaggio costante compiuto da uomini dei servizi segreti che alterando la verità
hanno impedito che si arrivasse a una verità giudiziaria. Ritengo pertanto che chi nel
2023 usi ancora questa espressione o è male informato o è in malafede, dispiace
scriverlo ma è così: non si può ancora oggi essere così ingenui. Per esempio, il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ricordare la strage di Bologna del 2
agosto 1980, ha parlato di «agenti infedeli di apparati dello Stato»820: una
dichiarazione quanto meno banalizzante perché in quel momento i capi dei tre servizi
segreti italiani (CESIS, SISDE, SISMI) erano affiliati alla P2, non parliamo proprio di
semplici agenti. La stessa magistratura, come già detto nell’introduzione, non è in ogni
caso esente da responsabilità.
Si sono visti durante queste pagine tre diversi livelli operativi: la zona bianca ovvero
quella della politica, la zona nera dei terroristi e a metà via la fantomatica zona grigia.
Si tratta di quella terra di mezzo la cui esistenza spiega sia i meccanismi che per
cinquanta anni hanno permesso di realizzare la strategia terroristica sia perché gli
esecutori l’abbiano quasi sempre fatta franca. E’ una strategia anticomunista
internazionale che nasce appena terminato il secondo conflitto mondiale, se non
819
https://www.youtube.com/watch?v=tVsatcQVdao, min.
820
https://www.quirinale.it/elementi/93815.
213
prima, e che termina solamente con la caduta del muro di Berlino e il successivo crollo
dell’Unione Sovietica. Il punto di partenza generale lo si può fissare con il discorso
tenuto dal presidente americano Harry Truman il 12 marzo 1947 davanti al Congresso
nel quale annunciava un poderoso piano di aiuti economici per Grecia e Turchia.
Truman dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero aiutato ogni popolo in caso di tentativi
di asservimento, operati da forze interne o straniere, con riferimento implicito ai
sovietici: è la nuova politica estera americana, la cosiddetta “Dottrina Truman”, la
guerra fredda è iniziata. Pochissimo tempo dopo in Italia abbiamo la prima strage
politica, a Portella della Ginestra, della quale se all’epoca si fossero scoperti i
mandanti molto probabilmente la storia italiana avrebbe avuto un’altra direzione. La
fine della strategia terroristica in Italia, a differenza del resto del mondo occidentale,
avviene qualche anno dopo in quanto le stragi mafiose del 1992 e 1993 non possono
essere lette in modo autonomo ma vanno a inserirsi in questo contesto come colpo
di coda. Come ribadito più volte in queste pagine la spiegazione arriva allargando lo
sguardo: se la guerra fredda è ormai finita, in Italia in quel momento si era nel bel
mezzo della bufera di Tangentopoli che avrebbe segnato di lì a breve la fine della
Prima Repubblica e la nascita della Seconda. Già nel ’93 era arrivata la prima spallata
con il referendum che introdusse il sistema elettorale maggioritario e la seconda,
devastante, arriva con le elezioni politiche del marzo ’94 che segnano la fine del
dominio della DC durato mezzo secolo.
Un altro punto importante da mettere in luce riguarda il ruolo che hanno avuto le
forze armate in tutte queste vicende: se dei servizi segreti si è detto molto, l’esercito
pare avere un ruolo rilevante solo nella fase teorica della strategia della tensione. Il
più volte menzionato convegno dell’Istituto Pollio del 1965 era stato infatti finanziato
direttamente dal generale Aloia, protagonista poi della diatriba con il collega De
Lorenzo dalla quale entrambi usciranno perdenti. Dopo di loro però i vertici militari
sembrano aver avuto un ruolo più marginale nelle vicende dei primi anni ’70, a cui
risultano collegati personaggi più di secondo piano. Non è proprio così ma è un’idea
che non a caso per lungo tempo si è voluta far passare: è sufficiente ricordare il
coinvolgimento nel golpe Borghese dei vertici della Marina e dell’Aeronautica
Militare. I nomi di Birindelli, Torrisi, Roselli Lorenzini e Fanali nelle varie inchieste
giudiziarie sono stati a lungo occultati, permettendo loro di continuare
tranquillamente a far carriera. Il problema a grandi linee è sempre lo stesso, un disco
rotto che non si riesce a far funzionare: i tentativi eversivi di Borghese e della Rosa dei
venti sono stati ridotti a livello giudiziario ad aria fritta e più in generale il golpismo
italiano è stato a lungo ritenuto «da operetta», per citare D’Amato. Nei primi anni ‘70
e non solo si è sempre sostenuta infatti la tesi che i tentativi eversivi italiani erano
solo opera di quattro pensionati nostalgici e quasi patetici. La realtà dei fatti è stata
214
ben diversa altrimenti non si spiegherebbe l’impegno tenuto da tribunali, autorità e
mondo politico per ridurlo a poca cosa: se erano veramente quattro straccioni perché
adoperarsi tanto? Quanto al ruolo tenuto dai vertici militari nei tentativi eversivi esso
è stato senza dubbio primario, un perno fondamentale in quello che è stato chiamato
partito del golpe. Infatti la tattica usata a lungo dai gruppi dell’estrema destra,
numericamente insufficienti per una svolta autoritaria, era affidarsi all’esercito: si
puntava così a innalzare il livello del terrore e della violenza con attentati e lo scontro
sistematico con i militanti di sinistra, in modo da rendere ingovernabile il Paese e
favorire il pronunciamento militare. C’è una domanda da farsi in ogni caso: generali e
colonnelli si sarebbero veramente sollevati in un’avventura golpista dai rischi
incalcolabili? Va considerato infatti che sarebbe una semplificazione ritenere tutti gli
apparati delle forze armate favorevoli a una soluzione autoritaria, seppur parecchi
elementi dei vertici però sicuramente lo erano. Non tutti apprezzavano l’idea del
golpe armato, per esempio Marchesi, ritenendo probabilmente non a torto che l’Italia
sarebbe piombata in una guerra civile o che da una situazione simile le sinistre ne
sarebbero uscite rinforzate.
Questo ultimo discorso dà l’assist per una questione dibattuta che va affrontata: la
strategia della tensione ha funzionato? All’apparenza si potrebbe dire di no in quanto
il PCI dal 1963 in poi ha praticamente sempre aumentato il numero dei voti,
raggiungendo nel 1976 tra Camera e Senato oltre 23 milioni di preferenze, sfondando
la fatidica quota del 30%: più di un italiano su tre votava comunista. Tutto questo
nonostante sia avvenuta in contemporanea quella che è stata definita una guerra
civile a bassa intensità: la strategia della tensione se non a livello elettorale raggiunge
il proprio fine nel cambiare radicalmente faccia all’Italia; inevitabilmente dopo una
decina d'anni di vicende cruente il Paese non può per forza essere più lo stesso. Piazza
Fontana è la rottura totale con il 25 aprile e il miracolo economico nazionale del
ventennio precedente. È da allora che l’Italia è una scheggia impazzita, vittima di un
viaggio allucinante che ancora risente degli echi degli anni ‘70 e che ci porta sempre
più in basso: fino a dove staremo a vedere. Sicuramente però al popolo italiano va
riconosciuto il merito di non aver perso la bussola, neanche nei momenti più difficili:
la stragrande maggioranza della popolazione non ha mai richiesto un governo
autoritario, dimostrando una così grande fermezza, per esempio dopo Piazza
Fontana, che sicuramente gli eversori non si aspettavano. Dopo la fine dello stragismo
si è spesso sentito dire che le istituzioni democratiche hanno retto e che la strategia
della tensione è stata battuta: è vero solo in parte. Come già detto in precedenza dopo
la svolta del ‘74 prende un ruolo sempre più rilevante la P2 che, dopo aver lavorato a
fianco degli estremisti neri, con il Piano di rinascita democratica diventa il vero centro
della lotta eversiva. Era ormai infatti evidente che le istituzioni non si potevano
215
rompere con un attacco frontale ma conveniva svuotarle dall’interno, andando ad
occupare i ruoli nevralgici (ministeri, forze armate, servizi segreti, editoria, ecc.).
Quanto al terrorismo di estrema destra esso invece si evolve in qualcosa di diverso
dal passato, non c’è più quell’ideologia di base e delle guide carismatiche com’era
stato per ON e AN ma nell’enorme vuoto provocato dalla fuga all’estero dei
protagonisti si inseriscono nuovi giovani attori che avranno il loro momento di
massima risonanza con la strage di Bologna. Chi mette però il cappello è Gelli, come
già ricordato mandante riconosciuto dell’attentato. In ogni caso se la strategia della
tensione tecnicamente ha perso, ha senza dubbio vinto quella della paura o del
terrore.
Detto questo, torniamo alla vicenda centrale del golpe Borghese, della quale credo si
sia detto molto in questa trattazione e di cui una certa valutazione è già stata data.
Per arrivare alla formulazione di questo giudizio e permettere una ricostruzione
storica di quegli anni è stata a dir poco fondamentale l’opera di Gianni Flamini, capace
di ricostruire a poco più di dieci anni di distanza le vicende che hanno cambiato la
storia italiana. Il lavoro del giornalista bolognese, esponente di quei cronisti da prima
linea noti come «pistaroli», è la base di partenza necessaria e imprescindibile per
qualsiasi studioso in quanto dà una prima ricostruzione ancora a caldo ma già
dettagliata e precisa. È chiaro che «Il partito del golpe» è uscito quarant'anni fa e che
ora abbiamo a disposizione nuove informazioni che all’epoca non c’erano: nella
vicenda di Borghese sono state però confermate buona parte delle ricostruzioni di
Flamini, ampliando il numero di persone coinvolte e la trama eversiva, non alterando
nella sostanza la sua versione dei fatti. Insomma, era ancora peggio di quanto
pensava. Altrettanto importanti sono state due fonti giornalistiche molto semplici,
ovvero i quotidiani “l’Unità” e “Il Gazzettino”. Si tratta di due testate differenti per
tantissimi motivi: innanzitutto la prima di tiratura nazionale e la seconda locale, in
secondo luogo uno era l’organo ufficiale del PCI mentre l’altro vicino alla DC. La
consultazione de l’Unità è facilissima in quanto online vi è tutto l’archivio storico della
testata fondata da Gramsci quasi 100 anni fa mentre per “Il Gazzettino” lo scrivente
ha avuto un aiuto rilevante dal caso. Nella piccola biblioteca comunale di Meduna di
Livenza (TV) è infatti conservato un archivio straordinario del giornale con tutti i
numeri dal dopoguerra alla metà degli anni ‘90, un patrimonio culturale clamoroso
che è stato possibile consultare in quanto residente in zona. Una cosa accomuna i due
giornali: le notizie pubblicate sono “pure”, fonti di prima mano e non citazioni di
citazioni, scritte direttamente dai reporter del tempo. Infatti un problema che senza
alcun dubbio esiste nella ricostruzione storica di quegli anni è che tantissime delle
pubblicazioni nuove o comunque recenti usano fonti che sono la citazione di altre,
incappando così nel rischio di riportare non al meglio il messaggio originario. In
216
quest’opera si è invece voluto fare diversamente, cercando un mix tra notizie vecchie
come appena detto e ricostruzioni più recenti come quelle degli storici Mirco Dondi e
Aldo Giannuli. A metà via esatta negli anni ‘90 si inserisce l’opera di Giuseppe De
Lutiis, il maggior storico dei servizi segreti italiani, che con un’opera minuziosa da
perito ha ricostruito quarant’anni di nefandezze dei nostri 007. Infine non è da poco
il lavoro di Giovanni Tamburino che a distanza di 50 anni ha voluto dare una propria
versione dei fatti da un punto di vista decisamente interno.
Una considerazione personale quasi in chiusura: perché in così tanti anni la
produzione storico-letteraria ha approfondito ripetutamente solo alcuni eventi degli
anni della strategia della tensione e in generale del terrorismo in Italia mentre altri
sono stati lasciati nel dimenticatoio? In primis il tema del golpe Borghese stesso per
anni è sparito, ritornando di recente per i 50 anni della notte di Tora-Tora grazie alla
trasmissione televisiva “Atlantide” del compianto Andrea Purgatori e in passato è
stato trattato solo in programmi televisivi specifici (per esempio “La storia siamo
noi”). La medesima cosa si può dire per le stragi dell’Italicus, di Gioia Tauro, della
questura di Milano o ancor di più del terrorismo altoatesino, un fenomeno ancora
oggi completamente ignorato dagli storici. Invece al contrario su Piazza Fontana, Via
Fani e Bologna abbiamo di tutto e più, dai libri ai film. Perché? Non è possibile che sia
uscito l’anno scorso l’ennesimo film su Aldo Moro821: di per sé è un'iniziativa lodevole
ma siamo sicuri che altri accadimenti degli anni ‘60 e ‘70 non meritino l’attenzione
mediatica dovuta? Viene da pensare che forse fa più comodo che certi eventi restino
fuori dalla memoria collettiva nazionale, già di suo scandalosamente corta,
dimenticati nel luogo della non memoria. Fatti e persone di cui ricordarsi solo in
occasione di circostanze particolari, come per esempio la morte di un terrorista
coinvolto nei fatti dell'epoca, con un trafiletto sui giornali o con un servizio di pochi
secondi nel telegiornale. Inevitabile poi la nascita di polemiche politiche, in quanto
ancora dopo anni entrambi gli estremi politici spesso e volentieri rievocano i terroristi
come degli eroi o delle vittime del sistema. La memoria italiana è piuttosto scadente,
o meglio, ricorda quello che più le fa comodo. Infatti, come già ribadito in più
occasioni, i personaggi da buttare in pasto alla stampa sono sempre stati menzionati
e ricordati; chi invece lavorava più a livello di apparati è sempre stato lambito di
striscio se non proprio neanche toccato. Nomi come Concutelli o Delle Chiaie sono
diventati così di dominio pubblico mentre altri come Zagolin o Monti sono rimasti ben
lontani dalla massa. Per non parlare poi dei cittadini americani coinvolti, sia militari
come Richards o Carret sia civili come Fenwick, ovviamente mai processati in Italia.
Su questo tema, la sudditanza italiana agli amici statunitensi, si è già detto parecchio
821
Esterno Notte, regia di Marco Bellocchio.
217
e non vale la pena aggiungere altro se non ricordare sempre che noi abbiamo perso
la seconda guerra mondiale con tutte le conseguenze che ne derivano.
Infine il lettore potrà obiettare allo scrivente di aver citato tantissimi nomi, anche
secondari, di personaggi legati alle vicende storiche descritte. Non sono troppi e
rispondono a una domanda di cura del dettaglio: come detto nei paragrafi precedenti
ormai sappiamo molto di ciò che è successo negli anni della strategia della tensione.
Oltre ai vari Freda, Borghese e Miceli, nomi già noti ai più, vi sono tante altre
personalità che per svariati motivi sono rimaste in ombra ma non per questo sono
meno importanti. Solo citandoli si può diradare la nebbia sugli eventi descritti in
questa trattazione, altrimenti si rischia di restare a un livello meramente superficiale
e non si capisce la ragnatela incredibile di rapporti che parte dal livello dei manovali e
arriva alla zona grigia, cosa che per anni è ahinoi avvenuta.
218
Appendice
Allegato n. 1: la nota informativa riguardo la creazione del Noto Servizio
219
Allegato n. 2: la prima pagina del settimanale «Epoca» durante i giorni cruciali del
Piano Solo
220
Allegato n. 3: i volantini firmati Nuclei per la Difesa dello Stato
221
Allegato n. 4: la copertina di «Epoca» alla vigilia dei fatti di Piazza Fontana
222
Allegato n. 4: Pansa intervista Borghese nel suo studio
Allegato n. 5: lo scoop di «Paese Sera» che informa per primo la popolazione del Golpe
Borghese
223
Allegato n. 6: Saccucci e altri camerati ai funerali di Borghese
Allegato n.7: imputati del processo Borghese (in prima fila da sinistra verso destra
Sedona, Rampazzo e Micalizio, dietro Spiazzi).
224
Allegato n. 8: la lettera-testamento di Borghese
225
226
Elenco delle sigle citate
AIL: Armata Italiana della Libertà
AN: Avanguardia Nazionale
ANPI: Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
BAS: Befreiungsausschuss Südtirol
BR: Brigate Rosse
CARN: Comitato d’Azione Risveglio Nazionale
CASM: Centro Alti Studi Militari
CC: Carabinieri
CESIS: Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza
CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro
CIA: Central Intelligence Agency
CISL: Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori
CISNAL: Confederazione Italiana Sindacati Nazionali dei Lavoratori
Cit.: citato in
CLN: Comitato di Liberazione Nazionale
CRD: Comitati di resistenza democratica
CS: controspionaggio
DC: Democrazia Cristiana
DIGOS: Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali
EMS: Ente Minerario Siciliano
ENI: Ente Nazionale Idrocarburi
ESESI: Ethnikos Syndesmos Ellinon Spudastòn Italias (Lega studenti greci in Italia)
FBI: Federal Bureau of Investigation
FTASE: comando delle Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa
MAS (X Flottiglia): Motobarca Armata Silurante
MI6: servizi segreti esteri britannici
MVSN: Milizia volontaria per la sicurezza nazionale
FF.AA.: Forze Armate
FIAT: Fabbrica Italiana Automobili Torino
FN: Fronte Nazionale
FNR: Fronte Nazionale Rivoluzionario
FUAN: Fronte Universitario d’Azione Nazionale
GAP: Gruppi di Azione Patriottica (1943-1945), Gruppi d’Azione Partigiana (1970-
1972)
227
Gersi: Giunta Esecutiva Riscossa Sociale Italiana
G.I.: giudice istruttore
Ibidem: nello stesso punto
IFI: Istituto Finanziario Italiano
Ivi: nella stessa opera
KGB: Komitet gosudarstvennoj bezopasnosti (servizio segreto sovietico)
KYP: Kentrikì Ypiresia Pliroforiòn (servizio segreto greco)
OLP: Organizzazione per la Liberazione della Palestina
ON: Ordine Nuovo
Op. cit.: opera citata
OVRA: Opera Vigilanza Repressione Antifascismo
PAI: Polizia dell’Africa Italiana
PCI: Partito Comunista Italiano
PIDE: Polícia Internacional e de Defesa do Estado (polizia politica del regime
portoghese tra il 1945 e il 1969)
PNF: Partito Nazionale Fascista
PSU: Partito Socialista Unitario
MAR: Movimento di Azione Rivoluzionaria
MNOP: Movimento Nazionale di Opinione Pubblica
MPON: Movimento Politico Ordine Nuovo
MSI: Movimento Sociale Italiano
NATO: North Atlantic Treaty Organization
NDS: Nuclei di Difesa dello Stato
NOD: Nucleo Operativo Diretto
NOE: Nouvel Ordre Européen
OAS: Organisation Armée Secrète
OSS: Office of Strategic Services
P2: Loggia Massonica Propaganda Due
PLI: Partito Liberale Italiano
PNM: Partito Nazionale Monarchico
PRI: Partito Repubblicano Italiano
PSDI: Partito Socialista Democratico Italiano
PSI: Partito Socialista Italiano
Rai: Radiotelevisione Italiana
REI (Ufficio): Ricerche Economico Industriali
RSI: Repubblica Sociale Italiana
228
SAM: Squadre d’Azione Mussolini
SID: Servizio Informazioni Difesa
SIGSI: Servizio Informazioni Generali e Sicurezza Interna
SISDE: Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica
SIFAR: Servizio Informazioni Forze Armate
SIM: Servizio Informazioni Militari
SIOS: Servizio informazioni operative e situazione
SISMI: Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare
SMI: Società Metallurgica Italiana
S.O.: Sentenza-ordinanza
SS: Schutzstaffel
UAARR: Ufficio Affari Riservati
UDNR: Unione Democratica per la Nuova Repubblica
UIL: Unione Italiana del Lavoro
UILM: Unione Italiana Lavoratori Metalmeccanici
229
Indice dei nomi citati
Accame, Giano: 44.
Adami Rook, Tommaso: 64, 89, 90, 183.
Affatigato, Marco: 172.
Ajello, Claudia: 171.
Ajò, David: 171.
Alasia, Walter
Alessandrini, Emilio
Alessi, Giuseppe: 37.
Aliotti, Antonino: 30.
Allavena, Giovanni: 38, 42.
Allatta, Pietro
Allegra, Antonino: 73, 82.
Allende, Salvador: 94.
Alliata di Montereale, Gianfranco: 16, 26, 75
Allitto Bonanno, Ferruccio
Almirante, Giorgio:
Aloia, Giuseppe:
Amati, Antonio
Amato, Francesco
Amato, Mario
Amaudruz, Guy:
Amplatz, Alois:
Anderlini, Luigi:
Anderson, Massimo:
Andreola, Berardino
Andreotti, Giulio:
Angleton, James Jesus:.
Annarumma, Antonio
Anselmi, Tina
Antico, Franco
Appella, Paolo
Appollonio, Renzo
Arafat, Yasser
230
Arcai, Andrea
Arcai, Giovanni
Aricò, Giovanni
Arista, Gino
Azzi, Nico
Bachelet, Vittorio
Badalamenti, Gaetano
Baldari, Dante
Baldisseri, Marco
Balzerani, Roberto
Barbaro, Guido
Barletta, Gesualdo: .
Barletta, Giuseppe: .
Basile, Aldo
Basile, Carlo Emilio:.
Batani, Massimo
Bazzega, Sergio
Beltrametti, Eggardo: .
Benedetti, Andrea
Benedetti, Ermenegildo
Beneforti, Walter: .
Benvenuto, Giorgio
Beolchini, Aldo: .
Belloni, Gianfranco
Bensi, Aldo
Bergamelli, Albert
Berlinguer, Enrico
Bernabei, Gilberto: .
Berrino, Giacomo: .
Berti, Luciano:.
Bertoli, Gianfranco:
Besutti, Roberto:.
Birindelli, Gino
Bittoni, Luigi
Boccaccio, Ivano
Boldrini, Arrigo
231
Bompressi, Ovidio
Bonanni, Giuseppe: 44.
Bonati, Ugo
Bono, Italo
Bonvicini, Enrico: 55, 95, 154,
Boothe Luce, Clare: 16.
Borghese, Camillo (Paolo VI): 49.
Borghese, Junio Valerio: 7, 8, 10, 11, 13, 41, 48, 49, 50, 51, 54, 55, 56, 64, 65, 66, 68,
69, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 98, 99, 101,
102, 103, 104, 106, 108, 109, 111, 112, 113, 114, 115, 116, 119, 130, 140, 143, 147,
148, 152, 153, 158, 170, 171, 176, 177.
Borghese, Livio: 48.
Borsi di Parma, Vittorio Emanuele
Borth, Annelise
Braggion, Antonio
Brilli, Prisco
Broccoli, Umberto: 17, 18.
Brosio, Manlio
Broz, Josip (detto Tito)
Brusa, Roberto: 38.
Buonocore, Luciano
Burger, Norbert: 29, 30.
Buscetta, Tommaso
Buzzi, Ermanno
Cadorna, Raffaele: 23, 33.
Cagol, Margherita
Calabresi, Luigi
Calderone, Antonino
Calderone, Giuseppe (detto Pippo)
Calogero, Pietro:
Calvi, Roberto
Calzolari, Armando: 55, 76, 77.
Cameli, Alberto: 56, 57.
Campo, Flavio
Campolmi, Mario
Canale, Guido: 56.
232
Capanna, Enzo
Capanna, Mario
Capriata, Manlio: 30.
Caracciolo, Vincenzo
Caradonna, Giulio: 53, 96.
Carpi de Resmini, Filippo
Carret, David
Carter, James Earl (detto Jimmy)
Casagrande, Mario
Casalegno, Carlo
Casalini, Gianni
Casardi, Mario
Casero, Giuseppe
Casile, Angelo
Casson, Felice: 20, 123, 124.
Castellini, Enrico
Catenacci, Elvio: 25, 60, 82.
Cauchi, Augusto
Cavallaro, Roberto
Cavallo, Luigi: 17, 127, 142, 145, 147, 155.
Ceccanti, Soriano: 59.
Cefis, Eugenio
Chiarieri, Sergio
Ciabatti, Dante: 55, 96, 129.
Cicuttini, Carlo
Ciglieri, Carlo: 32, 44, 52.
Cingoli, Giorgio
Ciotta, Giuseppe
Citro, Carmine: 59.
Clavio, James
Clavo, Marino
Coco, Francesco
Colombo, Enrico
Colosio, Claudio
Condò, Giuseppe Claudio
Concutelli, Pierluigi
233
Conti, Febo
Costa, Marco
Costa, Pietro
Costantino II di Grecia: 44.
Costantini, Felice: 55, 135.
Cricchio, Ignazio
Curcio, Renato
Cucchiarelli, Paolo
Curzi, Sandro
D’Amato, Federico: 24.
D’Amato, Umberto Federico: 12, 22, 23, 25, 42, 49, 54, 81, 100, 127.
D’Amico, Giovanni
D’Angelo, Alessandro
De Boccard, Enrico: 38, 39.
De Carolis, Massimo
De Courten, Raffaele: 50.
De Eccher, Cristiano
De Gasperi, Alcide: 14, 16.
De Gaulle, Charles: 33.
Degli Innocenti, Maurizio: 55, 130, 135, 142, 148, 158, 164.
Degli Occhi, Adamo
Dejana, Antonio
De Jorio, Filippo: 55, 101, 157, 161.
Delfino, Francesco
Del Giudice, Guido: 50.
Dell’Amico, Lando: 17, 23, 56.
Della Savia, Angelo Pietro: 63.
Della Latta, Rodolfo
Delle Chiaie, Stefano: 25, 26, 27, 28, 38, 43, 44, 47, 53, 54, 55, 68, 72, 73, 78, 80, 92,
95, 115, 127, 140, 147, 151, 157, 160, 162, 163, 176.
Dell’Orco, Alberto
De Lillo, Marcello
De Marchi, Giancarlo
De Martino, Francesco
De Martino, Guido
De Mauro, Junia
234
De Mauro, Mauro
De Mauro, Valeria
De Lorenzo, Giovanni: 9, 16, 22, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 43.
De Lutiis, Giuseppe: 10, 19, 157, 172.
De Nozza, Domenico: 12.
De Rosa, Giovanni
De Stefano, Giovanni
Di Carlo, Francesco
Di Cristina, Giuseppe
Digilio, Carlo: 27, 45, 60, 61, 66, 71, 87, 97, 133, 176.
Di Luia, Bruno e Serafino: 25.
D’Intino, Alessandro
Di Savoia, Aimone: 49.
Dominici, Carmine
Donat-Cattin, Carlo
Dondi, Mirco
Donitz, Karl: 49.
Dorini, Italo
D’Ottavio, Remo: 32.
D’Ovidio, Giancarlo
Drago, Salvatore: 55, 79, 84, 93, 95, 96, 101, 151, 160.
Driscoll, Robert: 23.
Esposti, Giancarlo
Facchinetti, Loris: 53.
Fachini, Massimiliano
Falde, Nicola: 32.
Falica, Luigi
Falzari, Caterino
Fanali, Duilio: 52, 89, 96, 97, 101, 143, 150, 151, 158.
Fanfani, Amintore: 23, 67, 138, 139.
Feltrinelli, Carlo
Feltrinelli, Giangiacomo
Fenwick, Hugh H.
Ferrari Bravo, Giuseppe
Ferri, Cesare
Filippani Ronconi, Pio: 40, 45.
235
Finaldi, Gianfranco: 38.
Finer, Leslie
Fiore, Filippo: 8, 53, 108, 116, 150, 151, 153, 154, 156, 174.
Fiore, Raffaele
Flamini, Gianni: 7, 10, 57, 102, 104, 173.
Ford, Gerald Rudolph
Forlenza, Luigi: 52.
Forte, Francesco
Franceschini, Alberto
Franco, Francesco (detto Ciccio)
Franco, Lino
Francia, Salvatore
Frattini, Stelio: 55, 79.
Freda, Franco (detto Giorgio): 27, 45, 60, 62, 63, 66, 71, 72, 74, 80, 116, 120, 175.
Ferrari, Silvio
Franci, Luciano
Fumagalli, Carlo (alias Jordan): 30, 67, 77, 78, 113, 121, 132, 140, 141, 153, 158.
Juliano, Pasquale
Gallinari, Prospero
Gallucci, Achille
Gambardella, Aldo
Gancia, Vittorio
Gattia, Giuseppe
Gasca Queirazza, Federico
Gehlen, Reinhard
Gelli, Licio: 10, 17, 35, 55, 87, 91, 97, 99, 100, 101, 143, 147, 153, 157, 159, 161, 173.
Gelli, Maria Grazia: 17.
Genoese Zerbi, Felice (detto Fefè)
Genovesi, Giorgio
Giannettini, Guido (alias Adriano Corso): 26, 38, 40, 41, 42, 44, 45, 46, 57, 62, 63, 74,
104, 128, 137, 144, 146, 147, 158, 163, 164.
Giannuli, Aldo: 10, 11, 23, 24, 44, 103, 146, 163, 173.
Giuliano, Salvatore: 13, 14.
Giusti,
Gheddafi, Mu’ammar
Ghinazzi, Giovanni
236
Gonella, Alberto
Gonella, Guido: 37.
Grassini, Giulio
Graziani, Clemente: 23, 26, 41, 113, 145, 155, 160.
Graziani, Rodolfo: 13.
Greco, Salvatore
Grillo, Manlio
Gronchi, Giovanni: 16.
Guadagni, Carlo Benito: 55, 67, 94, 154.
Gubbini, Graziano: 26.
Gui, Luigi
Guida, Marcello: 13.
Guillou, Yves (alias Guérin Sérac e Ralf): 41, 42, 43, 73, 74
Henke, Eugenio: 36, 44, 89, 145, 151.
Ingargiola, Margherita: 24.
Ippolito, Salvatore (alias Andrea)
Izzo, Angelo
Jannuzzi, Lino: 31, 35, 36.
Joosten, Charles: 29.
Kappler, Herbert
Kerbler, Christian: 29.
Keun, Valeria: 48.
Kienesberger, Peter: 29.
Kissinger, Henry
Klein, Herbert
Klotz, Eva: 29.
Klotz, Georg: 29.
Kottakis, Michael
Labin, Suzanne: 38.
Labruna, Antonio: 7, 25, 99, 124, 125, 126, 127, 128, 132, 140, 141, 142, 143, 149,
154, 161, 162.
Lagorio Serra Gian Luigi: 56.
Lama, Luciano
La Malfa, Ugo
La Morte, Gaetano
Lanfaloni, Antonio: 21.
237
La Russa, Ignazio
Lavorini, Ermanno: 59.
Laurent, Jean-Marie: 43, 87.
Lauro, Giacomo
Leone, Giovanni
Lercari, Attilio: 58, 102, 134, 135, 143, 145, 154, 163.
Leroy, Robert: 43, 47, 73,
Liggio, Luciano
Lo Celso, Luigi
Loi, Vittorio
Lollo, Achille
Lombardi, Francesco
Lombardo, Ivan Matteo: 33, 37, 38.
Longo, Luigi
Lorenzon, Guido
Lo Vecchio, Giuseppe
Lucertini, Vittorio
Luciano, Charlie (detto Lucky): 11.
Luddi, Margherita
Lunetta, Gaetano
Maceratini, Giulio: 45.
Macrì, Antonio
Maifredi, Gianni
Malentacchi, Piero
Maletti, Gianadelio
Mancinelli, Giuseppe: 30.
Manes, Giorgio: 30, 32, 36.
Magi Braschi, Adriano: 38, 45.
Maggi, Carlo Maria: 27, 38, 43, 60, 75, 133, 141.
Marino, Antonio
Marino, Leonardo
Maritano, Felice
Marras, Efisio, 17.
Marchesano, Leone: 14.
Marchesi, Enzo: 52, 89, 92, 100, 153.
Marini, Piergiorgio
238
Martin, Graham
Marzollo, Federico:
Massagrande, Elio: 30, 54, 60, 114.
Mastelloni, Carlo: 20, 30, 135.
Matacena, Amedeo: 58.
Matta, Gavino: 55, 101, 111.
Mattarella, Bernardo: 14.
Mattarella, Sergio
Mattei, Enrico: 17, 56, 86.
Mattei, Mario: 129.
Mauro, Demetrio: 58.
Mazza, Libero
Meciani, Rodolfo
Memeo, Giuseppe
Mereu, Francesco
Merlino, Mario Michele: 27, 38, 43, 53, 54, 72, 73, 74.
Merzagora, Cesare: 57.
Moccagatta, Vittorio: 48, 49.
Monicelli, Mario
Morlion, Felix: 24.
McCarthy, Joseph: 14.
Micalizio, Giacomo: 55, 84, 88, 95, 96, 101, 148, 151, 157, 160, 172.
Miceli, Vito: 48, 57, 68, 89, 90, 95, 99, 100, 101, 103, 110, 117, 118, 134, 139, 143,
144, 145, 150, 151, 152, 153, 155, 156, 158, 159, 161.
Michelini, Arturo: 21, 25, 53.
Mieli, Renato: 38.
Minervini, Girolamo
Minetto, Mario
Mingarelli, Dino
Mino, Enrico
Mistretta, Ferdinando
Molino, Saverio
Montanelli, Indro
Monti, Adalberto: 96
Monti, Adriano: 55, 90, 91, 96, 103, 129, 154, 157, 160.
Monti, Attilio: 57, 64, 145.
239
Morana, Carlo
Morin, Carlo
Moro, Aldo: 23, 31, 34, 35, 36, 52, 74, 88, 93, 143, 154, 156, 159, 174, 175,
Mortilla, Armando: 43, 67.
Muraro, Alberto
Murelli, Maurizio
Musco, Ettore: 15, 21.
Muscolino, Francesco
Mussolini, Benito: 12, 48, 89,
Mussolini, Edvige: 12.
Nardella, Francesco
Nardi, Gianni
Neami, Francesco
Nenni, Pietro: 35, 138.
Nicoli, Torquato: 55, 96, 130, 135, 142, 148, 151, 154, 158, 164,
Nirta, Giuseppe
Nixon, Richard: 8, 46, 88, 90, 96, 100, 115, 125, 129, 141, 143, 145.
Noce, Alfonso
Nunziante, Carmelo
Occorsio, Vittorio: 35, 114.
Ognibene, Roberto
Olino, Renato
Opocher, Enrico
Orlandini, Remo:
Orlando, Gaetano
Orlandi, Flavio
Ortolani, Umberto
Pacciardi, Randolfo:.
Pace, Cosimo: 57.
Pace, Vito
Padovani, Vittorio
Paglia, Guido: .
Paolillo, Ugo
Palmiotti, Bruno
Palumbo, Giovanni Battista
Palumbo, Prisco
240
Pannella, Marco
Pansa, Giampaolo
Papa, Angelino
Papadopoulos, Georgios: 47, 70.
Pardini, Cesare
Pardo, Aldo: 54, 81, 82.
Parigi, Leopoldo
Parlato, Giuseppe
Parri, Ferruccio: 24.
Pasolini, Pierpaolo
Pavia, Mario
Pecorella, Salvatore
Pecoriello, Paolo: 43, 44.
Perri, Cesare
Pertini, Sandro.
Pesenti, Carlo: 58.
Piaggio, Andrea: 58, 159.
Piccoli, Flaminio
Piccini, Giuseppe
Pièche, Giuseppe: 12, 15, 22.
Pieraccini, Giovanni
Pignatelli, Angelo
Pinci, Giovanni
Pinelli, Giuseppe (detto Pino)
Pinochet, Augusto
Pisanò, Giorgio: 38, 135, 141.
Pisciotta, Gaspare: 13.
Pisetta, Marco
Plevris, Konstantinos
Pomar, Eliodoro: 55, 95, 96, 148, 151, 157, 160, 163.
Ponzi, Tom
Porta Casucci, Giampaolo
Portolan, Manlio
Pozzan, Marco
Provenza, Bonaventura
Provvisionato, Sandro
241
Ragno, Gino
Ramelli, Sergio
Rampazzo, Sandro:.
Rauti, Giuseppe (detto Pino):
Re, Giovanni Carlo: .
Restivo, Franco:
Ricci, Ugo
Ricciardi, Teresa:.
Richards, Theodore
Riffeser, Bruno:.
Riina, Salvatore (detto Totò)
Rimi, Filippo
Rimi, Natale
Rimi, Vincenzo
Rizzato, Eugenio: 30, 65, 132, 135.
Roatta, Mario: 11, 150.
Rocca, Renzo: 32, 34, 38,
Rocca, Umberto
Rogers, William
Rognoni, Giancarlo
Rolandi, Cornelio
Romagnoli, Sandro
Romeo, Paolo
Romita, Giuseppe: 12.
Romualdi, Pino: 14, 21.
Roncolini, Osvaldo: 38.
Rosa, Dalmazio: 96
Rosa, Mario:.
Roselli Lorenzini, Giuseppe
Rossi, Aldo: 34.
Rossi, Mario
Rumor, Mariano:.
Russo, Giuseppe
Russomanno, Silvano: 25.
Saccucci, Sandro.
Salazar de Oliveira, Antônio: 41.
242
Saleri, Giovanni
Santini, Felice: 21.
Santovito, Francesco
Saponara, Giovanni
Saragat, Giuseppe:
Scarcella, Giuseppe
Scelba, Mario: 12, 14, 22.
Schirinzi, Giuseppe: 54, 82.
Scibilia, Giuseppe: 59.
Scolari,
Scordo, Francesco
Scottoni, Franco:
Secchia, Pietro:
Sedona, Sandro
Segni, Antonio: 9, 22, 29, 30, 31, 33, 34
Sembianza, Benito
Serpieri, Stefano: 54, 72, 74, 97, 151.
Siciliano, Martino: 44, 60, 66.
Signorelli, Paolo: 25, 27, 157.
Sigona, Angelo: 59.
Silverini, Vito
Simoni, Gianni
Sindona, Michele: 47, 51, 127, 132, 150, 154.
Siniscalchi, Francesco
Siotto, Elio
Skorzeny, Otto
Soffiati, Marcello: 25, 27, 60, 61, 71, 133.
Sofri, Adriano
Sogno, Edgardo:
Sossi, Mario
Sottosanti, Nino
Spadolini, Giovanni
Spagnuolo, Carmelo
Spataro, Giuseppe: 37.
Spiazzi, Amos:
Stefano, Bruno
243
Stern, Michael: 14.
Stikker, Dirk: 37.
Stone, Ellery: 13, 49.
Talenti, Achille: 58, 96.
Talenti, Gianfranco: 165.
Talenti, Pier
Tambroni, Fernando: 22, 23, 24.
Tamburino, Giovanni:
Tanassi, Mario:.
Tavecchio, Giuseppe
Taviani, Carlo Emilio: 32, 33, 71, 74, 134, 136, 147, 149, 154.
Tedeschi, Mario: 24, 26, 27, 43, 101.
Tilgher, Adriano: 25, 28, 54, 157.
Tisserant, Eugene
Titta, Adalberto
Tobagi, Walter
Togliatti, Palmiro: 12, 50, 87.
Torrisi, Giovanni
Tramonte, Maurizio
Tremelloni, Roberto: 31, 36, 44.
Trinco, Aldo
Trujillo, Rafael: 51.
Truman, Harry: 14, 15.
Tuti, Mario
Ungaro, Filippo
Valletta, Vittorio: 34.
Valpreda, Pietro
Valsecchi, Athos
Vangioni, Pietrino: 59.
Varalli, Claudio
Varisco, Antonio
Vedovato, Guido: 52.
Vella, Angelo
Vendola, Mario
Ventura, Giovanni
Venturi, Angelo
244
Venturini, Franco
Verzotto, Graziano
Vicari, Ciro: 41, 92, 98, 153, 160.
Viglianesi, Italo
Viola, Guido
Violante, Luciano
Vinciguerra, Vincenzo: 27, 60, 71, 123, 124, 175.
Viviani, Ambrogio
Vitalone, Claudio
Volpe, John
Westmoreland, William: 17, 90.
Yariv, Aharon
Zaccagnini, Benigno
Zagolin, Dario
Zamir, Zvi
Zavoli, Sergio: 7, 110.
Zebbi, Roberto
Zibecchi, Giannino
Zicari, Giorgio
Zilio, Giovanni
Zincani, Vito
Zoli, Adone: 23.
Zorzi, Delfo: 21, 27, 43, 60, 66, 67, 71, 75, 141.
Zucca, Enrico
Zucconi, Ermanno:
245
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● Archivio de “l’Unità”: https://archivio.unita.news/
Atti giudiziari e parlamentari
● Atti Corte d’assise di Catanzaro, processo per la strage di Piazza Fontana, 1979;
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Bologna dottor Angelo Vella (P2);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Brescia dottor Gianni Simoni (MAR);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Milano dottor Gerardo D'Ambrosio
(Strage di Piazza Fontana);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Padova dottor Giovanni Tamburino (Rosa
dei venti);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Roma dottor Filippo Fiore (Golpe
Borghese);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Torino dottor Luciano Violante (Golpe
bianco);
● Atti inchiesta del giudice istruttore di Treviso dottor Giancarlo Stiz (cellula
eversiva veneta);
● Commissione Parlamentare Monocamerale sulle stragi in Italia, Resoconto
audizione Delle Chiaie, 09.04.1987;
● Corte d’Assise di Bologna, Sentenza-ordinanza Italicus bis, 03.08.1994;
● Corte d’Assise di Milano, deposizione di Carlo Digilio, 16.06.2000;
● Corte d’Assise di Roma, Atti del processo contro Junio Valerio Borghese e altri,
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● Documento XXIII n. 64, volume I, tomo II, Commissione parlamentare
d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei
responsabili delle stragi, 2001.
● Procura della Repubblica di Brescia, Relazione di consulenza del dottor Aldo
Sabino Giannuli, Procedimento penale n. 91/97 mod. 21, 11.11.2003.
● Gazzetta ufficiale n° 11 del 15.01.1966;
● Relazione di maggioranza del senatore Giuseppe Alessi, Commissione
parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del
SIFAR, 1970;
● Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica
P2, 1982;
● Relazione sui documenti concernenti l’Italia rinvenuti negli archivi degli Stati
Uniti, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla
mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 5 dicembre 2000;
● Relazione riservata su Avanguardia Nazionale e gruppi collegati, senza data
[novembre 1972], Documentazione sequestrata presso la sede di “OP”, in
Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, 23.09.1981;
248
● Relazioni sull'inchiesta condotta su episodi di terrorismo in Alto Adige
presentate rispettivamente dai senatori Boato e Bertoldi, Commissione
parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata
individuazione dei responsabili delle stragi, 1992;
● Relazione sulle vicende connesse all’operazione Gladio, Atti della Commissione
parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione
dei responsabili delle stragi, 1992;
● Sentenza della Corte d’Assise di Roma per il Golpe Borghese, 14.07.1978
● Tribunale civile e penale di Milano, Sentenza-ordinanza del giudice istruttore
dottor Guido Salvini nei confronti di Nico Azzi e altri, 18.03.1995;
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dottor Guido Salvini nei confronti di Giancarlo Rognoni e altri, 03.02.1998.
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https://www.radioradicale.it
https://www.raiplay.it/programmi/lanottedellarepubblica
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https://www.youtube.com/watch?v=tVsatcQVdao
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