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Le prove illegittimamente acquisite e processo tributario

2015

Corso di Laurea magistrale in Amministrazione, finanza e controllo Tesi di Laurea Le Prove Illegittimamente acquisite ed il processo tributario Relatore Prof. Loris Tosi Prof. Antonio Viotto Laureanda Ludmila Drumea Matricola 808472 Anno Accademico 2013 / 2014 INDICE INTRODUZIONE Pag. 3 CAPITOLO 1: LE PROVE NEL PROCESSO TRIBUTARIO Pag.6 1. L’acquisizione delle prove nel processo tributario Pag. 6 2. Il problema della inutilizzabilità delle prove irritualmente Pag. 10 acquisite 3. Divieto delle prove testimoniale (giuramento e prove Pag. 13 testimoniale) nel processo tributario 3.1 La sentenza n. 18/2000 della Corte costituzionale sulla Pag. 17 ammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario. 4. Utilizzabilità o inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai Pag. 19 terzi. 4.1 Il punto di vista della Corte di Cassazione che delle Pag. 20 Commissioni tributarie. 4.1.1 Valore indiziario delle dichiarazioni rese dai terzi Pag. 22 nell’ambito del processo tributario. 5. La posizione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Pag. 25 6. (segue) L’opinione della dottrina. Pag. 27 Pag. 30 CAPITOLO 2:IRREGOLARITA’ DELL’ATTIVITA’ ISTRUTTORIA E UTILIZZABILITA’ DELLE PROVE IRRITUALMENTE ACQUISITE. 1. Irregolarità commesse nella fase istruttoria e invalidità Pag. 30 derivata del successivo atto di accertamento: il principio di illegittimità derivata nell’ambito del diritto tributario. Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. 2. Attività istruttoria tributaria, violazione di norme Pag. 39 costituzionali poste a tutela di diritti fondamentali e inutilizzabilità 1 delle prove. 3. Valore probatorio nel processo tributario della Pag. 43 documentazione irritualmente acquisita. 3.1 Il contesto normativo di riferimento ed i poteri istruttori Pag. 43 dell’amministrazione finanziaria. 3.2 La posizione della dottrina. Pag. 48 3.3 I principi espressi dalla Suprema Corte: Utilizzabilità e Pag. 52 inutilizzabilità nelle sentenze della Corte di Cassazione. Pag. 65 CAPITOLO 3:UTILIZZABILITA’ DELLE PROVE ASSUNTE NEL PROCEDIMENTO PENALE E DI QUELLE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE. 1. Utilizzabilità delle prove acquisite in altri processi. Pag. 65 2.Utilizzabilità delle prove acquisite nel processo penale. Pag. 71 2.1 Utilizzabilità delle decisioni penali. 3.Il problema della applicabilità Pag. 76 dell’art. 191 c.p.p. Pag. 84 all’accertamento tributario e sua interpretazione in ambito penalistico. 3.1Utilizzabilità di atti di provenienza illecita. Pag. 86 4.La trasmissione di documenti, dati e notizie agli uffici Pag. 87 finanziari e l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. 4.1 La mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria Pag. 92 prevista per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o di un processo penale. 5. Ruolo dell’amministrazione finanziaria, costituitasi parte Pag. 93 civile, nel processo penale. CONCLUSIONE Pag. 98 BILBIOGRAFIA E SITOGRAFIA Pag. 101 2 Introduzione Il presente lavoro sarà dedicato all’analisi delle prove nel processo tributario, ed in particolare all’utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite e delle prove assunte nel procedimento penale . Il primo capitolo denominato “Le Prove nel processo tributario”, tratterà il tema dell’acquisizione delle prove nel processo tributario e la questione della inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite. Si vedrà come nel processo tributario vige il divieto di prova testimoniale, e, al riguardo, si analizzerà la sentenza n. 18/2000 della Corte Costituzionale, dove si evidenzia che, mentre in altri ordinamenti giurisdizionali (quali il civile od il penale) la parte può ricorrere a prove testimoniali, nel processo tributario sussiste il divieto, che sarebbe lesivo del principio di uguaglianza e di quello di ragionevolezza, non essendo in alcun modo giustificabile tale previsione normativa a seconda del tipo di contenzioso instaurato. Verrà affrontata la questione della utilizzabilità o meno delle dichiarazioni rese da terzi. Si parlerà del valore indiziario delle stesse nel procedimento tributario e si rileverà come la giurisprudenza di legittimità è concorde nell’attribuire al l e dichiarazioni rese al di fuori della vicenda processuale, un’efficacia meramente indiziaria. Quindi, sarà il giudice tributario a valutare gli elementi forniti da terzi, in base al proprio libero convincimento. Il secondo capitolo intitolato “Irregolarità dell’attività istruttoria e utilizzabilità delle prove irritualmente acquisite”, invece, sarà dedicato alle conseguenze derivanti dalla irregolarità dell’attività istruttoria e della utilizzabilità delle prove irritualmente acquisite. Dopo una attenta analisi del principio presente nel diritto tributario di illegittimità derivata, che prevede la nullità dell’atto finale emanato sulla base di prove acquisite contra legem, si parlerà della nullità degli avvisi di 3 accertamento basati su prove irritualmente acquisite. Si analizzerà il valore probatorio della documentazione irritualmente acquisita nel processo tributario. Non essendoci nel procedimento tributario, così come previsto dalla normativa vigente, una espressa regolamentazione del sistema probatorio, né tanto meno una previsione di quali siano o possano essere i mezzi di prova utilizzabili, si vedrà come sembra esserci la possibilità di avvalersi di qualunque informazione sia in possesso dell’Amministrazione Finanziaria. A tale riguardo si esamineranno le posizioni contrastanti della dottrina e della giurisprudenza. Il terzo e l’ultimo capitolo, “Utilizzabilità delle prove assunte nel procedimento penale e di quelle illegittimamente acquisite”, affronterà la questione della utilizzabilità delle prove assunte nel processo penale e ci si soffermerà, in particolare, sulle decisioni penali. Si vedrà come la dottrina ritiene che l'efficacia di argomento di prova valga soltanto per le prove liberamente valutabili costituite nel processo estinto, mentre non valga sia per i documenti - i quali hanno l'efficacia di prove raccolte in senso proprio, e sia per le prove legali costituite nel processo estinto, per le quali la valutazione è fatta dal Legislatore. Verrà esaminata la questione dell’applicazione dell’articolo 191 del codice di procedura penale all’accertamento tributario e della sua interpretazione in ambito penalistico. Si affronterà la questione della utilizzabilità degli atti di provenienza illecita, e, delle conseguenze derivanti in caso di mancata autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o processo penale. Si vedrà come, sia la giurisprudenza, che la dottrina, ammettono il trasferimento delle risultanze penali nel procedimento tributario anche nel caso di mancanza dell’autorizzazione indicata dalla normativa, in quanto 4 tale atto è posto esclusivamente a tutela delle indagini penali e del segreto istruttorio e non già a garanzia dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o dei terzi, inoltre si evidenzierà come non è necessaria l’allegazione di tale autorizzazione all’atto impositivo. Infine, si parlerà del ruolo dell’amministrazione finanziaria, costituitasi parte civile, nel processo penale. 5 CAPITOLO PRIMO LE PROVE NEL PROCESSO TRIBUTARIO 1. L’acquisizione delle prove nel processo tributario. È necessario esaminare l’acquisizione dei mezzi di prova in maniera diversa a seconda che si tratti di prove precostituite, ovvero prove che si formano al di fuori del processo come i documenti, o prove costituende, cioè quelle che si formano all’interno del processo, come la testimonianza 1. La prova precostituita tipica è la prova documentale, e l’acquisizione della prova avviene mediante la semplice produzione o esibizione 2 della traccia, quindi queste sono di regola sottratte al giudizio di ammissibilità e rilevanza 3; nella seconda ipotesi l’ingresso della prova avviene attraverso un complesso procedimento articolato in tre momenti: l’istanza di assunzione, il provvedimento di ammissione e l’assunzione della prova 4. Per quanto riguarda la materia tributaria occorre rilevare che non vi è molto spazio per le prove costituende, poiché la legge non ammette il giuramento e la testimonianza 5, e di regola la causa viene decisa dopo una sola udienza di trattazione; quindi, la decisione del giudice si basa su prove, fornite dalle parti, precostituite, fatta salva la possibilità di acquisirne altre attraverso i poteri istruttori. Essendo il processo tributario tendenzialmente di tipo dispositivo, 1 cfr. CAVALLONE, Oralità e disciplina delle prove nella riforma del processo civile, in Riv. Dir. proc., p. 720, per il quale ciò comporta la necessità che si disciplinino per le prove costituende modalità di assunzione articolate e rigorose. 2 RUFFINI, Produzione ed esibizione dei documenti, in Riv. Dir. proc., 2006, p. 437. 3 In tal senso CAVALLONE, Oralità e disciplina delle prove, op. cit., p. 727. Si veda sul punto anche RUFFINI, Produzione ed esibizione, op. cit., pp. 432 ss., 4 Riguardo alle prove costituende occorre rilevare che l’assunzione presuppone il giudizio di rilevanza: il mezzo di prova è rilevante quando è idoneo a provare un fatto principale o secondario. Il giudizio di rilevanza è collegato al principio di economia processuale. 5 Art. 7 comma 4 del Decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 del; (Per una critica all’esclusione della testimonianza tra i mezzi di prova del processo, la quale comporterebbe seri dubbi di costituzionalità della norma che la sancisce si veda, TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. Trib., p. 37; DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, pp. 227 ss). 6 l’acquisizione delle prove viene demandata in via principale alle parti 6, e all’Amministrazione finanziaria, che acquisisce il supporto probatorio nel corso dell’attività istruttoria. Quindi spetta a ciascuna parte indicare i fatti a sé favorevoli: L’Amministrazione finanziaria deve provare e allegare i fatti costitutivi della pretesa fiscale, il contribuente, invece, deve provare e allegare i fatti modificativi o estintivi della pretesa fiscale formulata dall’ufficio finanziario. Bisogna sottolineare che, le prove devono 7 essere necessariamente allegate all’atto impositivo dell’Amministrazione e al ricorso del contribuente; il loro deposito può essere effettuato all’atto della costituzione in giudizio 8, inserendole nei fascicoli di parte, o depositandole separatamente entro il termine libero di venti giorni prima della trattazione della controversia 9, giorni che nel silenzio della norma, la giurisprudenza ritiene perentori 10, oppure con atti di intervento. E’ stato evidenziato che la scansione temporale non concerne solo l’attività processuale di una parte, ma assume preciso significato di tutela della controparte stabilendo dei termini precisi entro i quali possa espletarsi LA ROSA, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina del processo tributario, in Boll. trib, 1993, p. 873. 7 La produzione della prova unitamente all’atto di accertamento è condizione indispensabile affinchè si instauri il contraddittorio in sede procedimentale, il quale è finalizzato al perfezionamento di un accertamento con adesione, ovvero all’ottenimento del ritiro dell’atto in autotutela per infondatezza della pretesa. Occorre evidenziare che il differimento della produzione del supporto probatorio al momento del processo potrebbe legittimare un contraddittorio su prove diverse da quelle considerate al momento della notifica dell’atto. 8 Per approfondimenti si veda, D’AYALA VALVA, La costituzione in giudizio della parte resistente ed il diritto al contraddittorio nel processo, in Riv. Dir. trib., 2005, II, pp. 690 ss; RUSSO, Manuale di diritto tributario: Il processo Tributario,Milano, 2005, p. 924. 9 Si veda a riguardo, TROMBELLA, La produzione di documenti,in Riv. Dir. trib, pp. 138 ss. 10 Si veda, Cass. 13 gennaio 1988, n. 177; Cass. 6 giugno 1997, n. 5047, in base alla quale, sebbene l’art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorietà del termine, perché nulla vieta di indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato. Nel senso della perentorietà si veda anche Cass. 23 aprile 2003, n. 138, in Dialoghi di dir. trib., 2004, p. 692, con il commento di SCARLATA, Perentorietà dei termini per il deposito dei documenti e delle memorie e tutela del diritto di difesa 6 7 l’attività difensiva avversa 11. L’obbligo di produzione della prova, prima della trattazione della controversia, è previsto per assicurare il contraddittorio processuale. Bisogna rilevare che, il deposito spontaneo di una prova dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 32 del D.lgs n. 546/92 12 non dovrebbe essere consentito nemmeno nell’ipotesi in cui la controparte ne accetti l’acquisizione, ovvero non abbia eccepito nulla 13. Non assume nessuna rilevanza il comportamento processuale della parte, vista la natura perentoria dei termini di deposito, in quanto la possibilità di sanatoria a seguito di acquiescenza è ammessa solo riguardo alla forma degli atti processuali e non all’inosservanza dei termini perentori 14. Oltre alle prove documentali conferite dalle parti, l’art. 7 comma 1 del D.Lgs. n. 546/92 15, prevede che, tramite il potere di accesso, le Commissioni Cfr., Cass. 30 gennaio 2004, n. 1771, in Riv. Dir. trib., 2004, II, p. 284. In dottrina si veda, GLENDI, L’estinzione del processo per inattività delle parti, in Dir. prat. Trib., 1975, I, p. 489; FRANSONI, La costituzione in giudizio, in Giur. Sist. Dir.trib.-Il processo tributario, Torino, 1998, pp. 410 ss.; RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, op. cit., p. 147. 12 L’art. 32 del dlgs 546/92 “deposito di documenti e memorie”prevede che: 1. Le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'art. 24, comma 1. 2. Fino a dieci giorni liberi prima della data di cui al precedente comma ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti. 3. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio 13 Di opinione contraria LUPI, Manuale giuridico, XXX, p. 798, per il quale la tardività deve essere eccepita da controparte e non dovrebbe essere rilevata dal giudice. L’autore si sofferma a valutare possibili sfasamenti tra il deposito e la disponibilità delle prove dovuti alla cattiva organizzazione delle Commissioni tributarie. 14 Cfr., Cass. 14 giugno 2001, n. 8022; Cass. 30 gennaio 2004, n. 1771; Cass. 11 dicembre 2006, n. 26345. 15 L’art. 7 del dlgs 546/92 dispone: 1. Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all'ente locale da ciascuna legge d'imposta. 2. Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre di consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla L. 08/07/1989, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni. 3. E' sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. 4. Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale. 5. Le commissioni tributarie, se ritengono 11 8 tributarie, possono acquisire ulteriori e diversi elementi di prova: mediante l’accesso a luoghi nella disponibilità del contribuente o di terzi è possibile effettuare verifiche o ricerche e ispezioni di persone e cose. Tramite la richiesta di dati, di informazioni e di chiarimenti, i giudici possono richiedere notizie al contribuente o ad altri soggetti tassativamente indicati dalle leggi d’imposta. Le su citate facoltà di accesso devono essere esercitate da parte dei giudici tributari, “a fini istruttori”, il che significa che gli organi giurisdizionali tributari non possono svolgere compiti di amministrazione attiva, avendo gli stessi esclusivamente poteri di controllo dei fatti dedotti dalle parti . 16 L’art. 7 al comma 2 attribuisce ai giudici tributari altri due poteri istruttori, quello di “ richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre di consulenza tecnica”. Il presupposto comune che sta alla base di entrambi i poteri, è la necessità di acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità 17. Naturalmente le prove devono essere prodotte in caso di richieste di deposito della Commissione tributaria 18, quando siano ritenute rilevanti ai fini della decisione, anche se alla parte sarebbe stato precluso di produrli spontaneamente 19. In questa ipotesi la deroga all’art. 32 è prevista dalla norma in tema di poteri istruttori del giudice 20. Infatti, non vi è violazione del illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente. 16 Alessandra Palumbo e Maurizio Villani “Il potere istruttorio dei giudici tributari si avvale di sei strumenti tra tipici e atipici” in Guida Normativa il Sole 24 ore n. 32/2007 pag. 38 e ss. 17 A.Palumbo e M. Villani in Guida Normativa il Sole 24 ore n. 32/2007 op. cit. p. 38. 18 Occorre precisare che la possibilità di ordinare il deposito dei documenti ai sensi dell’art. 7, 3° comma, D.Lgs. n. 546/92 è stata soppressa con la legge n. 248/05, ma l’acquisizione di documenti su richiesta della Commissione potrebbe sopravvivere in applicazione dell’art. 210 c.p.c. ovvero in virtù dell’art. 7, 1° comma, D.Lgs. 546/02. 19 Si veda, SCHIAVOLIN, Le prove, in AA VV., p. 511. 20 Si veda sul tema, COLLI VIGNARELLI, I poteri istruttori delle Commissioni Tributarie,Bari, 2002 , p. 155. 9 contraddittorio perché la controparte, in base all’art. 24, 2°comma D.lgs. 546/92 21, può ottenere il differimento della discussione e depositare motivi aggiunti. I poteri istruttori attribuiti alla Commissione Tributaria vengono concessi solo in via integrativa o sussidiaria e non sostitutiva 22. 2. Il problema della inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite. Un tema di grande rilevanza è quello dell’utilizzabilità delle prove acquisite od assunte con metodi illegali, illeciti ovvero incostituzionali. Nel sistema tributario italiano, la presenza di un principio generale e di una sanzione di inutilizzabilità delle c.d. prove illecite, non è pacifica 23. Con il termine prove illecite, si intende riferire a quelle prove che sono state formate, acquisite od assunte, attraverso atti illegittimi e/o illeciti, o Art. 24 D.lgs 546/92 : Produzione di documenti e motivi aggiunti. 1. I documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti. 2. L'integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito. 3. Se è stata già fissata la trattazione della controversia, l'interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso la trattazione o l'udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente. 4. L'integrazione dei motivi si effettua mediante atto avente i requisiti di cui all'art. 18 per quanto applicabile. Si applicano l'art. 20, commi 1 e 2, l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 5, e l'art. 23, comma 3. 22 In giurisprudenza cfr. Cassazione, sentenza 16 maggio 2005 n. 10267: i poteri istruttori sono meramente integrativi dell’onere probatorio principale e vanno esercitati soltanto per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte ; cfr. Cass. 6 novembre 2006, n. 23661; Cass. 17 novembre 2006, n. 24464: In base a questo orientamento le prove acquisite, sopperendo alla carenza di una delle due parti, non possono essere utilizzate ai fini probatori. 23 Ancora oggi, la carenza di una norma processuale generale, che, al pari di quanto sancisce l’art. 191 c.p.p., configuri come inutilizzabili le prove acquisite od assunte in violazione delle leggi speciali tributarie od in violazione dei diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti (cfr. artt. 13-14-15 Cost.), induce a ritenere che essa rappresenti motivo sufficiente per non riconoscere in determinati tipi di processo la configurabilità di divieti probatori ricavabili per implicito dai principi costituzionali (ed, in particolare, dalle garanzie del “giusto processo”, ex art. 111, commi 1-2, Cost., dopo la riforma del 1999).. 21 10 comunque attraverso strumenti che determinano una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo, garantiti da norme costituzionali 24. Con il principio costituzionale del “giusto processo”, il quale prevede che in ogni procedimento giurisdizionale vi debba essere il pieno ed incondizionato rispetto dei “diritti umani” inviolabili 25, prevede un divieto generale di inammissibilità (o di inutilizzabilità e di esclusione) di tutte quelle prove che siano state acquisite od assunte con mezzi incostituzionali, ovvero attraverso la violazione dei diritti fondamentali 26. Per tale motivazione, non è condivisibile la tesi 27 che sostiene la mancanza, nel processo tributario, di “un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite” e quindi la loro inutilizzabilità, in mancanza di una specifica previsione a riguardo 28, perché questo divieto è ricavato direttamente dalle norme costituzionali, anche in mancanza di un analogo divieto espresso dalle norme processuali ordinarie. Occorre rilevare che non può definirsi giusto un processo nel quale non venga stabilito che “attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito” 29. Aderendo ad una tesi da tempo sostenuta in dottrina, ultimamente, si sta iniziando ad ammettere, anche nel processo tributario, la presenza di questo COMOGLIO La prova tra procedimento e processo tributario, in www.odcec.torino.it, pp. 12 ss. 25 In particolare la libertà personale o domiciliare dell’individuo - Cfr., in correlazione fra di loro, gli artt. 2, 13 e 14 Cost. Si veda sul tema, COMOGLIO, Il “giusto processo” civile nella dimensione comparatistica, in Riv. dir. proc., 2002, pp. 702-758, sp. pp. 739-758. 26 La menzionata inutilizzabilità delle prove documentali o reali reperite si desume, anche dalla motivazione di Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16424, in Foro it., 2003, I, 123128, con riferimento all’inviolabilità del domicilio, ex art. 14 Cost., nell’ipotesi di un accesso e di una perquisizione ritenuti illegittimi, in conseguenza della dichiarata illegittimità del decreto di autorizzazione del procuratore della Repubblica, emesso ai sensi dell’art. 52, 1°-3° comma, d.p.r. n. 633/1972, sulla base di indizi tratti da fonti anonime. 27 Si è espressa in questi precisi termini, Cass., 1 aprile 2003, n. 4987, in Guida al dir., 2003, n. 19, 17 maggio 2003, pp. 72-75 28 Cfr., Cass., 16 marzo 2001, n. 3852 in Foro it., 2002, I, 727-739 29 Corte cost., 6 aprile 1973, n. 34, in Foro it., 1973, I, 953-957, sp. 956 24 11 principio e la previsione di una sanzione di inutilizzabilità, derivante dai precetti costituzionali 30, tenendo sempre conto fermo delle garanzie fondamentali su cui si basa il giusto processo (ex art. 111, 1°-2° comma, Cost. 31). La Cassazione riguardo ad un caso di accesso domiciliare eseguito dalla Guardia di finanza o dagli Uffici tributari in forza di un decreto illegittimo di autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 33 del d.p.r. n. 600/1973 o dell’art. 52 del d.p.r. n. 633/1972, ha stabilito che “…importa la inutilizzabilità, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile; peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 vigente c.p.p.,” 32. Cfr., ancora, COMOGLIO, Le prove civili, cit., pp. 27 ss., 51 ss art. 111 Cost.: 1. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. 2.Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. (…) 32 In questi termini., Cass., 1 ottobre 2004, n. 19689, in Rep. Foro it., 2004, voce Tributi in genere, n. 1045. Da ultimo, per una decisa riaffermazione del divieto di utilizzazione di prove derivanti da operazioni illegittime di accesso o di perquisizione, senza le necessarie autorizzazioni, ed a prescindere dalla mancata opposizione dell’interessato, cfr. Cass., 19 ottobre 2005, n. 20253, Foro.it 2005, n. 959. Nel medesimo senso, con riguardo al superamento dei termini massimi stabiliti per gli accessi in loco, si aggiunga, ad es., Comm. trib. prov. Catania, 4 maggio 2004, Foro.it, 2004, n. 1056, e, per esteso, in Corriere trib., 2004, 2935, con nota di CAPOLUPO la cui massima così afferma : “L’art. 12, 5º comma, l. 27 luglio 2000 n. 212 (statuto dei diritti del contribuente) dispone che la permanenza degli 30 31 12 Occorre, quindi, verificare in ogni singolo caso la legittimità delle operazioni di ricerca e di reperimento delle prove . Il suddetto controllo è delicato, soprattutto quando, per gli accessi ai luoghi abitativi sia necessaria la preventiva autorizzazione del magistrato inquirente o di organi superiori dell’Amministrazione finanziaria e della Guardia di Finanza. Certamente, ad ogni possibile violazione potrà equivalare, un determinato vizio di legittimità ed la probabile inutilizzabilità di alcune prove acquisite, da trarre come motivi espliciti a fondamento del ricorso giurisdizionale di impugnazione del relativo atto impositivo 33. 3. Divieto della prova testimoniale (giuramento e prova testimoniale) nel processo tributario. Il legislatore italiano ha previsto all’art. 7, comma 4°, del d.lg. del 31 dicembre 1992, n. 546 l’inammissibilità della prova testimoniale recependo quanto previsto dall’art. 30 1° comma, lett. d) della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413 e confermando quanto stabilito dall’art. 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. Il suddetto divieto caratterizza l’istruzione probatoria del processo tributario che diventa un processo scritto e documentale 34. operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovute a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio; da tale disposizione emerge chiaramente che ogni elemento raccolto, dagli operatori della guardia di finanza o degli uffici impositori, oltre il limite temporale di giorni trenta prorogabili di altri trenta giorni con provvedimento motivato, è frutto di attività posta in essere in violazione della norma espressa; la conseguenza di questa violazione, anche se non comminata espressamente, è l’inutilizzabilità degli elementi di prova raccolti oltre il limite fissato dall’art. 12, 5º comma”. 33 In tal senso COMOGLIO, La prova tra procedimento e processo tributario, op. cit., p. 13. 34 La Corte costituzionale ha asserito che “Il processo tributario è conformato dal legislatore, sia sotto l’aspetto probatorio che difensivo, come processo documentale. E ciò nel senso che si svolge attraverso atti scritti mediante i quali le parti provano le rispettive pretese o spiegano le relative difese (ricorsi, memorie) (…) D’altra parte, questa Corte ha affermato che il principio di pubblicità può avere differenti modalità di attuazione in relazione alla 13 Questo divieto costituisce attualmente un principio generale dell’ordinamento tributario anche se in passato vi erano delle norme (art. 39, r.d. 24 novembre 1919, n. 2169; art. 2, r.d. 19 giugno 1934; art. 73, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270) che regolavano positivamente il giuramento nella fase di accertamento 35. La dottrina ritiene l’esclusione del giuramento, in ambito processuale tributario, coerente con la struttura e il fine dello stesso 36. Infatti, una regola differente non si concilierebbe con un procedimento avente carattere inquisitorio 37, inoltre, risulterebbe incompatibile in un giudizio che è sottratto alla disponibilità delle parti, vista anche la sfiducia del Legislatore a questo mezzo di prova. L’inammissibilità della prova testimoniale deriva dall’esigenza che i fatti di rilevanza tributaria devono trovare un proprio fondamento documentale 38. L’art. 7, comma 4°, del d.lg. 546/1992, conferma il contenuto positivo di norme di leggi tributarie sostanziali, che asseriscono l’esclusività della prova documentale. Tra queste occorre menzionare l’art. 61 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, il quale, riguardo l’accertamento delle imposte sui redditi, asserisce che : “ I contribuenti obbligati alla tenuta di scritture contabili non possono provare circostanze omesse nelle scritture stesse o in contrasto con le loro risultanze. Tuttavia è ammessa la prova, sulla base di elementi certi e precisi, delle spese e degli oneri di cui all’art. 75 comma 4°, terzo periodo del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ferma restando la disposizione del comma 6° dello stesso articolo.”. Anche in altre leggi tributarie è possibile rilevare la stessa regula natura particolare del processo”. Corte cost.,23 aprile 1998, n. 141, in FI, 99, I, p. 767. 35 CAPOLUPO, Manuale dell’accertamento delle imposte, Milano, 2003, p. 1499. 36 In tal senso, ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino,1969, p. 361; MICHELI, Il contraddittorio nel processo tributario, in RDF, 1975, p. 536. 37 Così, FINOCCHIARO,Commentario al nuovo processo tributario,Milano, 1996, p. 123. 38 In tal senso, TESAURO, Giusto processo e processo tributario, op. cit., p. 889. 14 iuris, basti pensare al d.lg. 31 ottobre 1990, n. 346 che all’art. 21, richiede la prova scritta per la dimostrazione di passività fiscalmente rilevanti 39. Occorre rilevare che il divieto di prova testimoniale è apparso criticabile in dottrina 40, sia perché non sempre la legislazione fiscale richiede che i fatti aventi rilevanza tributaria siano documentati per iscritto, ma anche per la sua dubbia costituzionalità in relazione all’accertamento della reale capacità contributiva del soggetto. In particolare il suddetto divieto risulta incoerente con la previsione costituzionale di cui agli artt. 3, 24 e 53. Uno degli aspetti che deve essere ben vagliato è la differenza di trattamento del medesimo istituto riguardo il procedimento tributario 41. Se da una parte la prova testimoniale è ammessa ad iniziativa dell’amministrazione finanziaria, attraverso l’audizione di terzi e attraverso dei processi verbali di sommarie informazioni testimoniali, non si comprende la ragione per cui una simile prova non possa essere ammessa di fronte alle Commissioni tributarie con le conseguenti garanzie in fatto di contraddittorio 42. Ammettendo il valore probatorio delle informazioni raccolte da terzi da parte dell’amministrazione durante la fase procedimentale amministrativa, non ammettere l’ingresso di questo strumento in ambito processuale, viola l’art. 3 43 e 24 44 della Costituzione 45. “I debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo” Art. 21, d.lg 31/10/1990, n. 346. 40 Si veda, MOSCETTI, Profili costituzionali del nuovo processo tributario, in RDT,1994, p. 837. 41 Così MOSCHETTI, Profili costituzionali del nuovo processo tributario, op. cit., p. 852. 42 Si veda, MOSCHETTI, Profili costituzionali del nuovo processo tributario, op. cit. 1994, p. 852; BASTIONI FERRARA, Processo tributario, op. cit., 1983, p. 1633. 43 L’art. 3 della Costituzione italiana dispone:1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fattola libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. 44 L’art. 24 della Costituzione italiana dispone: 1. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. 2. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. 3. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e 39 15 Occorre evidenziare che l’art. 2729, comma 2° del c.c. dispone che le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni. Quindi, o vengono ammesse entrambe o vengono escluse entrambe. Tutto questo comporta che non ammettere la prova testimoniale quando l’amministrazione può accertare presuntivamente l’obbligazione d’imposta, comporta la violazione del diritto di difesa, perché significa porre le parti del processo tributario su piani differenti 46. Quando la prova per presunzioni è ammessa, non si può escludere la prova per testimoni. Infatti, se l’Ufficio può avvalersi delle presunzioni e il contribuente non può difendersi attraverso la prova testimoniale, si viene a creare una disparità tra accusa e difesa, parità garantita dall’art. 111 della Costituzione nell’ambito del giusto processo. E’ stato asserito che negare alla giustizia tributaria la possibilità della prova per testimoni, significa porre la Commissione in una condizione deteriore rispetto a quella attribuita alla amministrazione che pure può avvalersene durante la fase procedimentale 47. difendersi davanti ad ogni giurisdizione. 4. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. 45 “La prova assunta informalmente da una delle parti deve poter essere verificata in contraddittorio: alla possibilità di avvalersi di prova riducibile alla nozione di testimonianza del terzo non può che far riscontro analogo potere processuale dell’altra parte, senza di che il diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione riesce irrimediabilmente vulnerato (…) a meno di escludere il valore probatorio delle informazioni raccolte da terzi ad opera dell’ufficio tributario nel corso del procedimento amministrativo (il che , come si è veduto, vanificherebbe in buona misura i poteri dell’amministrazione), sembra perciò che il divieto della prova testimoniale, formulato in termini assolutio, non sia conciliabile con le previsioni dell’art. 3 e dell’art. 24 della Costituzione”. BASTIONI FERRARA, Processo tributario, op.cit., , pp. 1633 ss. 46 Si veda a riguardo CIARCIA, La prova testimoniale e le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, in Anuario de la faculdad de derecho, , n. 26/2008, pp. 237 ss. 47 Così, CAPOLUPO, Manuale dell’a.ccertamento dell’imposte, Milano, 2003, p. 1504. 16 3.1 La sentenza n. 18/2000 della Corte costituzionale sulla ammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario. Esaminiamo ora sentenza della Corte Costituzionale, n. 18 del 12 gennaio 2000. La Corte nella suddetta sentenza ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 4, del D.lgs. n. 546/92, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 48 della Costituzione, nella parte in cui rifiuta nel processo tributario l’ammissibilità della prova testimoniale 49. La Suprema Corte ha rilevato che “mentre in altri ordinamenti giurisdizionali (quali il civile od il penale) la parte può ricorrere a prove testimoniali, nel processo tributario, invece, sussiste il divieto che sarebbe lesivo del principio di uguaglianza e di quello di ragionevolezza non essendo in alcun modo giustificabile tale previsione normativa a seconda del tipo di contenzioso instaurato”. E’ stato rilevato che la disparità di trattamento, esistente ai fini dell’ammissibilità della prova testimoniale, tra processo tributario ed altri procedimenti giurisdizionali è un assurdo giuridico, soprattutto, muovendo dalla constatazione che, oggi, l’evasore fiscale il quale commette reati fiscali può difendersi davanti al giudice penale a mezzo di testimoni, mentre l’evasore fiscale , la cui condotta sia di più modesta entità da non realizzare un crimine tributario, non può difendersi davanti al giudice tributario con lo stesso mezzo di prova 50. L’art. 53 della Costituzione italiana dispone: 1. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 2. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. 49 Corte Costituzionale, sentenza n. 18 /2000, in Il fisco, , 1718. 50 In tal senso DE LUCA, La Consulta si pronuncia: Inammissibile la prova testimoniale anche nel nuovo processo tributario, in Il fisco, n. 6/2000, 1722, commento alla sent. della Corte Costituzionale n. 18 del 12 gennaio 2000. l’Autore condivide quanto sostenuto dalla Comm. prov. di Brescia con ord. n. 729 del 29 maggio 1997 (in Il fisco, n. 45/1997, 13343): sostenere che il diritto di difesa è garantito anche senza la prova testimoniale è un assurdo giuridico in quanto spesso la prova testimoniale è l’unico strumento di difesa della pretesa dell’una o dell’altra parte. Inoltre, la difesa dei diritti e degli interessi di chiunque deve 48 17 Occorre osservare che per i giudici della Corte Costituzionale, non esiste principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo, quindi il divieto della prova testimoniale trova, nella specie, una sua non irragionevole giustificazione, da un lato, nella spiccata specificità del processo tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata sia alla configurazione dell’organo decidente sia al rapporto sostanziale oggetto del giudizio, dall’altro, nella circostanza che il processo tributario è ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale 51. La Corte ha chiarito che queste limitazioni non costituiscono vizio di legittimità costituzionale, ma sono la conseguenza della scelta fatta sui limiti dell’ammissibilità dei mezzi di prova: in ogni processo, a partire da quello civile, possono esservi limitazioni ai mezzi di prova, quindi anche nel processo tributario. La suddetta impostazione della Corte è stata infatti criticata : è stato evidenziato che è una vera e propria tautologia, che non è solo un vizio logico, ma una forma di rifiuto a sindacare nel merito la scelta fatta dal legislatore con riguardo ai singoli processi 52. La Corte, in questa sentenza ha confermato il divieto della prova testimoniale riconoscendo però che il divieto in questione non esclude l’utilizzo nel processo tributario, di dichiarazioni scritte di terzi, a contenuto essenzialmente testimoniale, eventualmente raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale, dotate peraltro di un’efficacia probatoria minore (probativo inferior) della prova per testi, da considerarsi dunque meri argomenti di prova, strumenti da soli non sufficienti a fondare il essere esperita con tutti i mezzi probatori che possano consentire di accertare «il vero» ed al giudice, quale che sia la sua funzione, non può essere sottratta la valutazione di una prova, attraverso la quale possa maturare un sereno, oltre che libero, convincimento. 51 Così, CIARCIA, La prova testimoniale e le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, in Anuario de la facultad de derecho, n. 26/2008, p.281 52 Così, DE MITA, La Consulta non interviene sull’esistente, in Il Sole 24 Ore, del 26 gennaio 2000. 18 convincimento del giudice in mancanza di idonei riscontri obiettivi 53. 4. Utilizzabilità o inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai terzi. Le dichiarazioni sono delle prove atipiche, ovvero sono elementi di prova non previsti e regolati da alcuna norma di legge . Si è molto dibattuto relativamente all’utilizzabilità, in sede processuale, ai fini probatori, delle dichiarazioni di terzi acquisite in sede della procedura accertativa da parte dell’Amministrazione, ovvero, delle dichiarazioni di terzi acquisite nel processo verbale da parte della guardia di finanza, della loro efficacia probatoria, e, in particolare, di quale sia lo strumento di cui si può avvalere il contribuente per poter contestarne il contenuto. In base ad un primo orientamento giurisprudenziale, le Commissioni tributarie, parificando le dichiarazioni dei terzi alle prove testimoniali, avevano asserito l’inammissibilità delle dichiarazioni dei terzi rese nella fase di accertamento, per violazione del divieto contenuto nell’art. 7, comma 4, D.lgs. n. 546/92 54. Altre volte invece avevano attribuito alle dichiarazioni il valore di prove utilizzabili, ma solamente come semplici argomenti di prova o indizi del fatto 55. Alcuni in dottrina ritengono che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni non preclude che le stesse, come nel caso delle testimonianze raccolte in altri processi, possano venire ugualmente valutate dal giudice tributario, attribuendole una valenza, non decisoria, ma orientativo - propulsivo per la ricerca di fatti rilevanti ai fini della determinazione del presupposto d’imposta 56. Occorre osservare che detto orientamento assegna alle Per un approfondimento dul tema si veda, C. GOBBI, Il processo tributario, Milano, 2011, pp. 294 ss. 54 Cfr. Commisione tributaria di Venezia sez. V, n. 60 del 10 novembre 1997, in Dir. e prat. trib., 1999, II, 5, in Bancadati fiscovideo 55 Cfr. Comm. trib. prov. di Brescia, sez. V, n. 227 dell’11 giugno 1998, in Dir. e prat. trib., 1999, II, 7 56 Cfr. SCHIAVOLIN, L’utilizzazione fiscale delle risultanze penali, Milano, 1994, p. 539; 53 19 dichiarazioni del terzo, anche se sotto la forma di indizi o di argomenti di prova che possono coadiuvare il giudice nel proprio convincimento 57. 4.1 Il punto di vista della Corte di Cassazione che delle Commissioni tributarie. La Suprema Corte è intervenuta varie volte su questo argomento, asserendo che “la Commissione deve analizzare specificamente, con metodo critico, le dichiarazioni acquisite dalla guardia di finanza, nei limiti in cui sono state inserite nell’atto di accertamento. Superato questo vaglio critico, i contenuti possono essere utilizzati come elementi indiziari, ed essere inseriti con le altre risultanze probatorie, di cui si compone prima la motivazione dell’accertamento, e poi la sentenza. In questa maniera, il controllo giudiziario sulla correttezza del procedimento e delle motivazioni dell’accertamento e della pronuncia giudiziaria, diventa possibile, “senza incorrere nei sospetti di incostituzionalità ipotizzati dalla ricorrente, a causa della inutilizzabilità della prova testimoniale in sede contenziosa” 58. E’ stato inoltre evidenziato che non sussiste violazione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario per “le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria possono richiedere, anche a privati, nella fase amministrativa di accertamento sul conto di un determinato contribuente”, in quanto acquistano in sede processuale valore di elementi indiziari che il contribuente può sempre contestare nell’esercizio del suo diritto di difesa 59. La Cassazione ha anche affermato che, le dichiarazioni dei terzi acquisite dai verificatori e introdotte nel processo verbale di constatazione, non hanno natura di prove testimoniali, ma di mere informazioni acquisite BASTIONI FERRARA, Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, p. 63. 57 Cfr. MOSCHETTI, Utilizzo di dichiarazioni e divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in Dir. e prat. trib., 1999, II, p. 19. 58 Cfr. Cass. n. 3427 del 22 marzo 2000, in Bancadati fiscovideo. 59 ©fr. Cass. Sez. trib. Sent. N. 14774 del 15 novembre 2000, in Boll. Trib. N. 20/2001, 1505. 20 nell’ambito di indagini amministrative. Il loro valore probatorio è proprio degli elementi indiziari e, come tali, “devono essere valutate dal giudice, con la conseguenza che non possono costituire da sole il fondamento della decisione, potendo essere utilizzate quando trovino ulteriore riscontro nel contesto probatorio emergente dagli atti; quindi è viziata la sentenza che elevi a rango di piena prova le dichiarazioni rese alla guardia di finanza dai clienti di un esercizio commerciale” 60. Anche le Commissioni tributarie si sono pronunciate su tale argomento, esaminiamone due di particolare rilievo. La prima è la pronuncia della Commissione Regionale di Perugia, attraverso la quale è stato evidenziato che il principio della parità delle armi , nel processo tributario, prevede che i fatti possano essere provati anche attraverso le dichiarazioni di terzi rese in forma scritta ed attestate tramite atto notorio, perché questo strumento di prova può essere utilizzato dall’Amministrazione finanziaria. Il divieto di prova testimoniale, non è di ostacolo a tutto questo, perché, è diretto ad estromettere una particolare fase istruttoria in sede processuale, e non la validità ed efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dai terzi. È stato asserito che “la dichiarazione sostitutiva di atto notorio ha nel processo tributario l’efficacia propria delle prove indiziarie” 61. Per quanto riguarda la seconda pronuncia, che è quella della Commissione Regionale dell’Abruzzo, quest’ultima ha osservato che non possono essere utilizzate come prove le dichiarazioni testimoniali di terzi poste a fondamento dell’accertamento tributario, in quanto derivando dal contribuente, possono contenere affermazioni false o convincimenti errati. 62. 60 Cfr. Cass., sez. trib., sent. n. 20353 del 27 settembre 2007, in Boll. trib., n. 4/2008, 337. Cfr. Comm. trib. reg. di Perugia, n. 526, del 24 ottobre 2000, in Il fisco, 2001, 10132. 62 Comm. trib. regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, sez. IX, sent. n. 108 del 7 ottobre 2003, in Boll. trib., n. 22/2003, 1657. 61 21 4.1.1 Valore indiziario delle dichiarazioni rese dai terzi nell’ambito del processo tributario. Riguardo la rilevanza probatoria in sede tributaria delle dichiarazioni dei terzi, la giurisprudenza di legittimità è concorde nell’attribuire al l e suddette dichiarazioni rese al di fuori della vicenda processuale, un’efficacia meramente indiziaria. Quindi, il giudice tributario è tenuto a valutare gli elementi forniti da terzi, in base al proprio libero convincimento 63. Risulta coerente con il suddetto l’orientamento la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, in base alla quale la dichiarazione di un terzo, che ammette di aver emesso fatture per operazioni inesistenti, non basta a fondare un accertamento a carico del beneficiario del documento. Spetta all’Ufficio, infatti, produrre ulteriori elementi a conferma delle dichiarazioni e a sostegno della pretesa impositiva 64. La vicenda riguardava un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza. L’imprenditore sottoposto a verifica aveva dichiarato di aver emesso, durante l’anno d’imposta sottoposto a controllo, fatture per operazioni inesistenti a beneficio di una società terza. A seguito di queste dichiarazioni venivano contestati alla società beneficiaria (rectius: committente) la deduzione del costo e la detrazione dell’IVA relative alle fatture in questione. La società ricorreva al giudice tributario, in quanto, l’avviso di accertamento si basava esclusivamente sulle suddette dichiarazioni circa l’inesistenza delle prestazioni, inoltre veniva eccepito che l’Ufficio finanziario non aveva alcun ulteriore elemento di prova a sostegno della Si veda, Cass., 5 dicembre 2012, n. 21813, vedi A. COMELLI, Le dichiarazioni di terzi sono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice tributario, in C.T. n. 8/2013, p. 637. 64 Comm. Trib. re. Reggio Emilia, Sez. III, sent. 22 gennaio 2013, in Rivista di giurisprudenza tributaria. 63 22 pretesa e che la mera dichiarazione del fornitore non poteva, da sola, soddisfare l’onere probatorio previsto. Veniva accolta dalla Commissione l’impugnazione della ricorrente evidenziando che nel processo tributario la dichiarazione del terzo ha valore meramente indiziario, e può concorrere al convincimento del giudice, solo quando confortata da altri indizi. Occorre analizzare la procedura mediante la quale le dichiarazioni di terzi sono assunte e quindi introdotte prima in sede procedimentale e poi eventualmente in sede processuale 65. La Corte di Cassazione, ha asserito che “ il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta, dovendosi attribuire, alle medesime, valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale” 66 Occorre rilevare che mentre le dichiarazioni assunte nell’ambito di un giudizio penale o civile sono filtrate dalla presenza di un giudice, le dichiarazioni assunte nell’ambito di una verifica fiscale v e n g o n o sottratte da ogni controllo anche meramente formale 67. A differenza di quanto si verifica in sede contenziosa quindi non c’è il giudice terzo che - ad Cfr. P. RUSSO, Il divieto della prova testimoniale nel processo tributario: profili di illegittimità costituzionale, in Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone, C. Berliri, Napoli, 2006, pp.. 265 ss. 66 Cfr., Cass., Sez. trib., 10 giugno 2011, n. 12763, in Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 12/2011, pag. 1059, con commento di M. NUSSI, L’attività di supplenza del giudice tributario oltre i limiti dell’atto impositivo (nuovi paradossi nell’accertamento del reddito di società di persone, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. 67 È cioè evidente che, nell’ambito di una verifica fiscale, i verbalizzanti (siano militari della Polizia tributaria, ovvero funzionari dell’Amministrazione) mirano ad assumere tutte le informazioni utili e propedeutiche ai controlli in itinere. 65 23 esempio - garantisce sull’affidabilità ed attendibilità delle dichiarazioni 68. Bisogna rilevare che queste dichiarazioni, pur avendo effetti pregiudizievoli per il contribuente nei cui confronti vengono utilizzate, sono assunte senza alcun contraddittorio o senz’altra forma di garanzia 69. La giurisprudenza di legittimità si è dimostrata propensa a sostenere che è onere dell’Amministrazione provare l’insussistenza delle operazioni contestate 70. Quindi nel caso di specie essendo quest’ultima ad asserire che si era di fronte a fatture false, spettava ad essa dimostrare la fondatezza della propria tesi. E’ stato osservato che, l’esclusione della prova testimoniale (e del giuramento) nel processo tributario non risponde solo ad un’esigenza di speditezza, ma è il riflesso di una mancata armonizzazione tra forma civilistica e matrice amministrativa del processo tributario 71. La Corte di Cassazione non ha inoltre ritenuto necessario che la dichiarazione del terzo sia verbalizzata in contraddittorio con il contribuente che dalle dichiarazioni in parola ha tratto una conseguenza pregiudizievole 72. Si è ritenuto c h e il diritto di difesa del contribuente non sarebbe leso, visto che, in sede procedimentale o contenziosa, egli potrà produrre liberamente tutta la documentazione (compresi scritti contenenti dichiarazioni di terzi a proprio favore) a sostegno delle proprie ragioni 73. Questa impostazione appare rigida e rischia di recare gravi danni, quando non sia applicata dal giudice tributario con coscienza. Sul punto si veda F. GALLO, Contraddittorio procedimentale e attività istruttoria, in Dir. Prat.Trib., 2011, I, p. 467. 69 Sull’argomento, cfr., diffusamente, R. LUPI, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, 2011, p. 415. Secondo l’Autore, infatti, anche se tali dichiarazioni non sono certamente manipolate o falsificate sono sempre e per loro natura raccolte in maniera orientata pro fisco. 70 Cfr. Cass., Sez. trib., 4 febbraio 2011, n. 2692, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; Id., 26 settembre 2008, n. 24201, ivi; Id., 6 ottobre 2009, n. 21317, in C.T. n. 43/2009, pag. 3542, Id., 18 gennaio 2008, n. 1023, ivi, Id., 19 ottobre 2007, n. 21953, in C.T. n. 2/2008, pag. 138, 71 Cfr. R. LUPI, Manuale,op. cit., p. 414. 72 Cfr. Cass., Sez. trib., 5 dicembre 2012, n. 21813, in Banca Dati BIG Suite, 73 In tal senso si veda Cass., Sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707, in Banca Dati BIG Suite 68 24 La sentenza della Commissione tributaria di Reggio Emilia ha giustamente precisato che la dichiarazione di un terzo, che ammette di aver emesso fatture per operazioni inesistenti, non basta a fondare un accertamento a carico del beneficiario del documento. Infatti, compete all’Ufficio, produrre ulteriori elementi a conferma delle dichiarazioni e a sostegno della pretesa impositiva. 5. La posizione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Esaminiamo ora la posizione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo. Nella la sentenza Corte Europea dei Diritti dell’uomo depositata il 23 novembre 2006 74, viene asserito che “l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo, solo se, da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale dei ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile”. Il caso riguardava un cittadino finlandese, il quale proponeva ricorso alla Corte, sostenendo che non era stato in grado di difendersi in modo adeguato perché il sistema tributario in vigore in Finlandia non prevedeva, di norma, un’udienza pubblica, e quindi la possibilità di ricorrere alla prova testimoniale; secondo il contribuente, questo unico mezzo di prova gli avrebbe consentito di difendersi in maniera giusta, perché avrebbe potuto controinterrogare i funzionari che avevano curato l’accertamento. La Corte ha asserito che la mancanza della pubblica udienza e quindi l’impossibilità di ricorrere alla prova testimoniale nel processo tributario, sono da ritenersi compatibili con il principio dell’equo processo stabilito dalla Convenzione, solo questi divieti, non comportino un grave Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’uomo, sent. del 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01, in Rass. trib., n. 1/2007, 216. 74 25 pregiudizio della posizione processuale del ricorrente-contribuente sul piano probatorio, non rimediabile diversamente. La Corte asseriva che, nel caso concreto, non vi era stato il pregiudizio, e che in generale, l’eventuale divieto generalizzato e irrimediabile si pone in contrasto con il principio del giusto processo previsto dall’art. 6 della Convenzione. Quanto affermato dalla Corte europea contrasta con quanto asserito dalla Corte Costituzionale. Infatti, mentre quest’ultima 75, ritiene, il divieto della prova orale legittimo (anche quando fosse l’unico strumento per contrastare la pretesa tributaria), a seguito della specificità del processo tributario, la Corte europea, invece, asserisce che l’impossibilità di ricorrere alla prova testimoniale è in contrasto con l’equo processo europeo, a meno che il pregiudizio sia rimediabile diversamente (con altre prove o ragioni). In entrambe queste due motivazioni vi è il confronto con il principio del processo giusto, in base al canone europeo per la Corte europea di giustizia, e secondo quello nazionale per la Consulta. Occorre inoltre rilevare che l’art. 111 della Costituzione costituisce, proprio ed esattamente, la traduzione normativa sul piano nazionale dell’art. 6 della Convenzione 76. Sia per la Convenzione che per la Costituzione italiana, la parità delle parti, soprattutto in riferimento alla prova, è una prerogativa importante, irrinunciabile e invalicabile, e proprio per questo motivo dovrebbe trovare adeguata tutela da parte di entrambe le Corti Supreme 77. Si veda, Corte Costituzionale, sentenza n. 18 /2000, in Il fisco, , 1718 Così, CIARCIA, La prova testimoniale e le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, op. cit., p. 286. 77 Cfr. FORTUNA, Il divieto della prova testimoniale e il giusto processo tributario, in Il fisco, n. 19/2007, 1-2715, secondo il quale, poi, ragionando sullo schema della Corte europea, la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del principio dell’equo processo integra certamente anche la lesione di un diritto umano assoluto, identificabile sul piano nazionale nel quadro dell’art. 2 della Costituzione, aspetto questo neppure sfiorato dalla motivazione della pronuncia n. 18 del 2000 della Corte Costituzionale. 75 76 26 6. (segue) L’opinione della dottrina. Vi è una parte della dottrina, che non è concorde con l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, in quanto quest’ultima, senza esprimersi sull’efficacia delle dichiarazioni e senza procedere alla loro classificazione, ritiene che non sarebbe violato il principio del contraddittorio quando vengono utilizzate le dichiarazioni rese da terzi contenute nel verbale della guardia di finanza, se “tutti gli elementi raccolti dall’Amministrazione finanziaria fanno capo all’avviso di accertamento, che il contribuente deve essere posto in grado di contestare”, e che quindi il diritto di difesa non viene violato. In questa maniera la Corte ha implicitamente opinato che quelle dichiarazioni possano fondare il giudizio e quindi abbiano una certa (non qualificata) efficacia. La dottrina ritiene che, in questa maniera, non si tiene conto della difficoltà di effettuare un controllo effettivo sulle dichiarazioni testimoniali rilasciate da terzi nel corso dell’indagine, violando palesemente il principio del contraddittorio. Inoltre, nella sentenza non viene menzionata la irresponsabilità dei terzi nei confronti del soggetto passivo per le dichiarazioni rese, od allo stato particolare in cui il terzo si viene a trovare quando viene escusso durante le indagini (per non menzionare le ipotesi in cui il terzo possa avere convenienza a rilasciare dichiarazioni che sollevino la propria responsabilità, a carico di altri) 78. Un’altra parte della dottrina asserisce, invece, che questa sentenza della Corte Costituzionale offre due alternative: o alle dichiarazioni di terzi si nega qualsiasi valore probatorio, oppure, si accoglie che queste prove sono, al pari delle altre, liberamente valutabili dal giudice, e quindi possono essere, anche da sole, sufficienti a fondarne il convincimento, specialmente quando queste dichiarazioni sono numerose e tutte conducono alla ricostruzione dei fatti effettuata dall’Amministrazione finanziaria a 78 Cfr. MULEO, Diritto alla prova, in Rass. trib., n. 6/2002, 1999. 27 sostegno della sua pretesa 79. Occorre evidenziare che non appare condivisibile la prima tesi, in quanto la legge, anche se consente alla finanza, nell’espletamento dell’istruttoria amministrativa, la facoltà di avvalersi delle dichiarazioni basandole a fondamento dei propri atti impositivi, non attribuisce nessun valore probatorio alle stesse all’interno del processo istaurato dal contribuente. Inoltre, questa tesi non è applicabile alle dichiarazioni di terzi, in quanto il giudice tributario può acquisire le suddette dichiarazioni anche d’ufficio ai sensi del 1.º comma dell’art. 7 del D.lgs. n. 546/92. Bisogna rilevare che se si ammette che le dichiarazioni di terzi hanno un valore probatorio pieno ed autonomo, facendo salvo il potere di valutazione del giudice, risulta evidente che l’esigenza di celerità del processo tributario e la tutela degli interessi sostanziali nello stesso coinvolti, non sono sufficienti al eliminare ogni perplessità di legittimità costituzionale, questo soprattutto in merito al profilo della ragionevolezza di una disciplina che vieta la prova testimoniale nel processo tributario. Nella sentenza n. 18 del 12 gennaio 2000 la Corte di Cassazione è intervenuta in merito al principio di uguaglianza tra le parti nel processo, escludendo che l’ammissibilità delle dichiarazioni inserite nel verbale potessero pregiudicare la posizione di parità della parti processuali e il diritto di difesa del contribuente. Una parte della dottrina 80, in merito al principio della parità delle armi tra le diverse parti del processo tributario, ha asserito che il contribuente non può produrre in giudizio dichiarazioni di terzi perché non vi è nessuna norma che permette al contribuente di produrre, a suo favore, dichiarazioni di scienza provenenti da soggetti terzi, non acquisite all’interno del processo. Cfr. RUSSO, Il divieto , op. cit., p. 574; RUSSO-FRANSONI, Il limitato valore probatorio delle dichiarazioni di terzi raccolte dalla Finanza, in Il fisco, n. 43/2002, 6911, commento alla sent. della Cass., sez. trib., n. 3526 dell’11 marzo 2002. 80 Cfr., RUSSO, Il divieto, op. cit., p. 580. 79 28 L’art. 7 del D.lgs.546/92 prevede, al primo comma, la possibilità per il contribuente di chiedere al giudice di procedere all’acquisizione di dichiarazioni di terzi, ritenute utili ai fini dell’accertamento della verità dei fatti. Bisogna osservare che la suddetta norma, come anche le singole leggi d’imposta perettono alle Commissioni e agli uffici di rivolgersi soltanto a soggetti individuati in base all’interesse dell’Amministrazione finanziaria, avendo riguardo o alla particolare veste del terzo o all’esistenza di un rapporto tra questo ed il contribuente rilevante ai fini dell’imposizione. Questa possibilità, quindi, non può risultare idonea ad assicurare in sede processuale un’assoluta parificazione delle posizioni del contribuente e dell’Amministrazione finanziaria, in quanto il contribuente potrebbe non essere in grado di contestare validamente il peso probatorio che vengono ad assumere nel giudizio le dichiarazioni di terzi raccolte dall’Amministrazione finanziaria, a sostegno della propria pretesa, durante l’istruttoria amministrativa 81. In tal senso, R. CIARCIA, La prova testimoniale e le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, op. cit, pp. 286 ss. 81 29 CAPITOLO SECONDO IRREGOLARITA’ DELL’ATTIVITA’ ISTRUTTORIA E UTILIZZABILITA’ DELLE PROVE IRRITUALMENTE ACQUISITE. 1. Irregolarità commesse nella fase istruttoria e invalidità derivata del successivo atto di accertamento: il principio di illegittimità derivata nell’ambito del diritto tributario. Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. Il principio di illegittimità comporta la nullità dell’atto finale, emanato sulla base di prove acquisite contra legem. Il D.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, che ha per oggetto le disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n 413, non considera questo principio. Il principio di illegittimità derivata, deriva dal diritto romano, ed è presente in altri campi dell’ordinamento giuridico italiano. In particolare, si parla di illegittimità derivata nel campo del diritto amministrativo, dove, l’illegittimità è derivata quando l’atto amministrativo valido, sopporta le conseguenze d’invalidità di un altro atto, precedente o presupposto, al quale sia legato da un nesso di natura procedimentale o da un rapporto di presupposizione. Occorre evidenziare che l’invalidità derivata dei provvedimenti amministrativi, si divide, tra : - effetto caducante che si concretizza, automaticamente, attraverso l’annullamento di un altro atto amministrativo che risulta essere collegato con l’atto invalido da un rapporto di interdipendenza; - ed, effetto viziante, quando non vi è un rapporto forte tra atto 30 presupposto e successivo, e quindi in caso di invalidità dell’atto presupposto, per invalidare gli atti successivi, quest’ultimi devono essere impugnati in maniera autonoma. Il Consiglio di Stato ha richiamato il principio di illegittimità derivata dell’atto, in merito ad una questione di diritto amministrativo delicata, asserendo che” Quando l'amministrazione attivi una nuova procedura ablatoria (rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità e vincoli decaduti), deve indefettibilmente comunicare l'avviso di inizio del procedimento, per stimolare l'eventuale apporto collaborativo del privato. La comunicazione di avvio del procedimento deve avvenire non al momento dell'adozione del decreto di occupazione di urgenza, ma in relazione ai precedenti atti di approvazione del progetto e di dichiarazione della pubblica utilità dell'opera. Quando ciò non avviene, anche il decreto di occupazione di urgenza è viziato per illegittimità derivata, essendo necessario che la partecipazione degli interessati sia garantita già nell'ambito del pregresso procedimento autorizzatorio, in cui vengono assunte le determinazioni discrezionali in ordine all'approvazione del progetto dell'opera e alla localizzazione della stessa” 82. Anche nel diritto processuale civile è previsto il principio di illegittimità derivata, infatti, l’art. 159 c.p.c.,1° primo comma stabilisce che ”La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, nè di quelli successivi che ne sono indipendenti”, prevede la nullità di un atto finale quando sia nullo un atto precedente allo stesso, con il quale sia legato, da un rapporto di dipendenza. Attraverso la sentenza n.5042 del 1991 83 la Cassazione civile evidenzia che ”Nel rito del lavoro, l’assunzione delle testimonianze da parte di un membro del collegio, e non dal collegio intero, costituisce atto nullo in modo assoluto, perché compiuto da un Magistrato sfornito uti singulus della relativa potestà ed il vizio si propaga alla sentenza che utilizza la prova nulla”. 82 83 Si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 8688, del 9 dicembre 2010. Cfr. Cass. civ., 1991, n. 5042. 31 Riguardo l’aspetto dell’inutilizzabilità di prove acquisite contra legem, non avendo il D.lgs. 546/92 stabilito nulla al riguardo, occorre richiamare un altro ramo dell’ordinamento giuridico. L’art. 191 del c.p.p. (Prove illegittimamente acquisite), stabilisce che” Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate”; e che ”L' inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento”. Il suddetto principio punendo con la sanzione della inutilizzabilità le prove acquisite in maniera illegittima ( cioè senza rispettare i precetti o i divieti previsti dalle norme penali di natura sostanziale), tutela la posizione dell’indagato/imputato. Al riguardo, sia la dottrina, che la giurisprudenza 84, hanno evidenziato che l’inutilizzabilità non consente di valutare l’atto, sia nella fase del dibattimento per scopi probatori e nell’ambito dei riti alternativi, nonchè nell’ambito delle indagini preliminari, come elemento da tenere presente per l’adozione di provvedimenti cautelari. Negli ultimi tempi, si è venuto a determinare un inteso dibattito in dottrina riguardo il riconoscimento del principio di illegittimità derivata nell’ambito del diritto tributario, ed, in particolare, riguardo l’utilizzabilità o meno delle prove acquisite in vioazione della legge. La dottrina ha elaborato tre indirizzi interpretativi principali. Il primo indirizzo 85 ha avviato il principio della illegittimità derivata in campo tributario, asserendo che l’atto finale, nell’ipotesi in cui vi siano delle irregolarità durante la fase di emanazione, deve essere annullato. Il citato indirizzo (pro contribuente) pone in rilievo la natura procedimentale dell’accertamento tributario, che viene compreso come una concatenazione di Cassazione, Sez.Un., 25.3.1998; Cassazione, Sez.Un., 31.10.2001, Policastro; Cassazione, Sez.Un., 27.3.1996. 85 E’ stato confermato da una serie di sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione; Sentenza del 4 marzo 2008 n. 5791 e sentenza n. 16412 del 15 luglio 2007. 84 32 atti diretti a salvaguardare l’applicazione delle imposte dovute 86. Il secondo orientamento è stato ritenuto, da alcuni , una evoluzione del precedente orientamento 87. La dottrina dominante ritiene che l’atto di accertamento pronunciato sulla base di prove acquisite nel corso di indagini condotte illecitamente o illegittimamente, nel rispetto del principio di legalità, deve essere considerato nullo 88 ; infatti, rappresenta un principio generale dell’ordinamento l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite 89. Il suddetto orientamento, modificato dal diritto amministrativo, prevede la possibilità per i contribuenti di impugnare l’avviso di accertamento e altresì prevede l’emanazione di sanzioni nel caso in cui la precedente attività non sia stata condotta a norma di legge 90. Riguardo all’inutilizzabilità delle prove, viene evidenziato che nell’ordinamento giuridico italiano, attraverso l’art. 191 del c.p.p., non verrebbero puniti gli illeciti penali gravi, pur di evitare che nel processo penale vengano acquisite prove in maniera illegittima; nel campo tributario, invece, al fine di prelevare le imposte, lo stesso principio non sarebbe ammesso, 91. Pur aderendo al principio delle Sezioni Unite 92, in base al quale non sono utilizzabili, ai fini dell’accertamento, tutte quelle prove acquisite irregolarmente, una parte della dottrina (orientamento intermedio) non lo ritiene applicabile a tutte le ipotesi di irregolarità (come nel caso dei vizi più lievi). E’ stato infatti asserito che non sarebbero soggette al principio di illegittimità derivata, ad esempio, le prove acquisite durante una verifica iniziata in un giorno differente da quello indicato sulle istruzioni del capo dell’Ufficio, questo perché sussistono degli aspetti di irregolarità che non Si veda, VILLANI MARSELLA, Il principio di illegittimità derivata nel processo tributario, in www.altalex.com, 04.03.2011, p.2. 87 Così, LIPARI, Inutilizzabilità di elementi probatori irritualmente acquisiti, in Il Fisco, 2007, n. 18; 88 In tal senso, RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano 2002, pp. 321 ss. 89 Così, LUPI, Manuale professionale di diritto tributario, cit.,pp. 277 ss. 90 Così, LUPI, Diritto tributario, Milano, 2000, p. 68; RUSSO, Manuale di diritto tributario, op. cit. 91 In tal senso, R. LUPI, Diritto tributario, op. cit..pp.278 92 Corte costituzionale, Sezioni Unite, sentenza n. 16424, in Foro it., 2003, I, p. 23. 86 33 riguardano la tutela di interessi del contribuente, ma il regolare svolgimento dell’azione amministrativa, alla salvaguardia del controllo del capo dell’Ufficio sull’utilizzazione delle risorse disponibili, la cui violazione potrebbe non ledere gli interessi del contribuente 93. Il terzo orientamento (pro fisco), invece, sostiene che l’acquisizione di prove in maniera irregolare/illegittima non determina come conseguenza l’inutilizzabilità delle stesse, in quanto non esiste nel diritto tributario una norma, come l’art. 191 c.p.p., che sanzioni l’illegittima acquisizione delle prove. Infatti, nel D.gs. 546/92 non è previsto in maniera specifica una norma che sanzioni con l’inutilizzabilità tutte le prove acquisite in divieto di legge; inoltre, viene criticata la teoria in base alla quale l’illegittimità degli atti presupposto della fattispecie procedimentale inficia la validità degli atti successivi e dell’atto finale (l’avviso di accertamento), causando l’illegittimità derivata, perché, tra gli atti di indagine tributaria e l’atto finale non vi sarebbe quella connessione diretta e consequenziale che dovrebbe rappresentare la particolarità di un procedimento di natura amministrativa 94. In base al suddetto orientamento, l’omessa autorizzazione dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 63, comma 1 del D.P.R. 633/72 95, non causerebbe la inutilizzabilità delle prove in campo tributario, in quanto la richiesta della preliminare autorizzazione è prevista a tutela solo dell’indagine Così, SCARLATA, Vizi dell’istruttoria e inutilizzabilità delle prove: si rafforza l’illegittimità derivata, in, Dialoghi tributari n. 1/2004. 94 Si veda, LA ROSA, Irregolarità delle indagini e validità degli accertamenti tributari, in Il Fisco, n. 1, pp. 5711 ss.; LIPARI, Inutilizzabilità di elementi probatori irritualmente acquisiti, op. cit. 95 art. 63 dpr 633/72- Collaborazione della guardia di finanza : comma 1: La Guardia di finanza coopera con gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto per l'acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento della imposta e per la repressione delle violazioni del presente decreto, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici, secondo le norme e con le facolta' di cui agli articoli agli articoli 51 e 52, alle operazioni ivi indicate e trasmettendo agli uffici stessi i relativi verbali e rapporti. Essa inoltre, ((previa autorizzazione dell'autorita' giudiziaria, che puo' essere concessa anche in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale)), utilizza e trasmette agli uffici documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.(…). 93 34 penale, e non anche del contribuente indagato 96. Anche la Cassazione, sezione tributaria ha disposto che “La mancata autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un processo penale, a parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare a carico del trasgressore, non rende invalido l’atto di accertamento che si fonda sulla conoscenza di tali elementi probatori” 97, ed ancora ”(…) non sarebbe giusto che una prova oggettivamente ammissibile, non possa essere utilizzata a causa della negligenza di chi l’ha acquisita, soprattutto in mancanza di una previsione in tal senso” 98. Riguardo al problema della applicabilità o meno, nel processo tributario, del principio di illegittimità derivata, occorre rilevare che ci sono state una serie di sentenze della Corte di Cassazione che lo riconoscono ( e quindi favorevoli alla posizione del contribuente ). Con la sentenza delle Sezioni Unite n. 16412 del 3 luglio 2007, depositata il 25 luglio 2007, viene asserito che “La correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa”, ed inoltre ”Nella predetta sequenza, l'omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per tale semplice vizio, l'atto consequenziale notificatogli, rimanendo esposto all'eventuale successiva In tal senso, SCREPANTI, Irrituale acquisizione di elementi probatori. Utilizzabilità ai fini dell’accertamento e responsabilità dei verificatori, in Il Fisco, 2001, n. 33, pp. 11046 e ss 97 Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza del 16 marzo 2001, n. 3852, in Banca Dati Big Suite, IPSOA. 98 Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza del 10 aprile 2001, n. 8344, con commento di CAPUTI, in Il fisco, n. 27/2001 p. 9367. 96 35 azione dell'amministrazione, esercitabile soltanto se siano ancora aperti i termini per l'emanazione e la notificazione dell'atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quest'ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria: con la conseguenza che spetta al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata non sarà censurabile in sede di legittimità, interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di verificare se egli abbia inteso far valere la nullità dell'atto consequenziale in base all'una o all'altra opzione” 99. Tutto questo, quindi, determina che la presenza di una fase istruttoria illegittima (verbali della Guardia di finanza illegittimi, questionari illegittimi), può condizionare l’atto finale (l’avviso di accertamento, il ruolo, la cartella di pagamento), provocandone anche il suo annullamento. Il suddetto orientamento è stato superato, però, da alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione. La Quinta Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza numero 4741 depositata il 26 febbraio 2010 100, riguardante l’utilizzabilità di elementi acquisiti a seguito di indagini bancarie effettuate dalla Guardia di Finanza, ha asserito che ”(…) l’operato dell’Ufficio, nell’avvalersi delle risultanze bancarie accertate presso terzi, nel rettificare i ricavi aziendali, è pienamente legittimo”. In particolare, la società contribuente evidenziava che l’Ufficio, per l’emanazione degli avvisi di accertamento, avesse utilizzato degli elementi che erano stati acquisiti sulla base di indagini bancarie eseguite in violazione degli artt. 32 comma 1, punto 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 comma 2, punto 2 del D.P.R. 633 del 1972, rilevando che gli atti di indagine erano coperti da segreto istruttorio. In questo caso, La Corte, però, riteneva che non occorreva alcuna autorizzazione da parte dell’A.G. perché l’Amministrazione Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 16412 del 25 luglio 2007, in www.cortedicassazione.it. 100 Cassazione, Quinta Sezione Civile, sentenza n. 4741, depositata il 26 febbraio 2010, in www.cortedicassazione.it.. 99 36 Finanziaria non si era avvallata di elementi acquisiti nell’ambito di un procedimento penale, bensì, di indagini eseguite in sede amministrativa, le quali non abbisognavano, quindi, di alcun tipo di autorizzazione. Viene inoltre asserito che “La questione della natura (solo fiscale od anche penale) delle indagini esperite dalla Guardia di Finanza, nel corso della quale sono stati compiuti gli accertamenti bancari i cui risultati sono stati poi trasfusi dell’atto impositivo, peraltro ed infine, è del tutto priva di rilievo pratico valendo comunque il principio (…) secondo il quale la necessità dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o un processo penale, disposta dall’art. 63, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, il cui contenuto è stato riprodotto ad litteram, nell’art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973, è prevista a salvaguardia del segreto delle indagini penali”, ed ancora, “l’eventuale mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi” 101. Il suddetto orientamento viene confermato più tardi dalla sentenza della V Sezione Civile, n. 22984 del 12 novembre 2010, la quale chiarisce che, riguardo l’eccezione di inutilizzabilità degli elementi raccolti dagli agenti verificatori, non avendo questi osservato le garanzie difensive prescritte per il procedimento penale, ”non costituisce ragione di inutilizzabilità degli stessi nel procedimento di accertamento fiscale, tenuto conto del principio di autonomia del procedimento penale rispetto alle procedure dell’accertamento tributario, già sancito, in linea di principio, nel D.L. n. 429 del 1982, art. 12 e Con la suddetta sentenza viene stravolto l’orientamento pro-contribuente, il quale considerava: 1) inutilizzabili tutte le prove acquisite irregolarmente/illegittimamente e, di conseguenza, 2) anche invalido l’atto di accertamento basato sulle stesse. Confermando, quindi, il principio secondo cui gli elementi acquisiti contra legem sono utilizzabili ai fini dell’emanazione dell’atto impositivo finale e le conseguenze sanzionatorie (responsabilità di natura disciplinare, civile ed, eventualmente anche di natura penale) vi saranno solo nei confronti dell’agente trasgressore. 101 37 confermato dal D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20 in armonia con le disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p.” 102. Viene previsto, quindi, il principio di autonomia dei diversi procedimenti (civili, penali o tributari), espressamente previsto dall’art. 220 disposizioni di attuazione del c.p.p., che impone ”l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale”. Quindi il giudice potrà valutare, anche in sede penale, il materiale probatorio acquisito liberamente, rispettando naturalmente le norme che disciplinano il processo tributario. Infine occorre citare la sentenza n. 25617, Cassazione, Sezione Tributaria, depositata il 17 dicembre 2010 103 la quale stabilisce l’utilizzabilità delle prove acquisite in sede penale, nel processo tributario, dal momento che ”costituiscono fonte legittima di prova presuntiva”, ed inoltre afferma che” le prove acquisite in sede penale, sono utilizzabili dal Fisco anche in assenza dell’autorizzazione del Magistrato Penale”. Questa autorizzazione è indispensabile per tutelare la riservatezza delle indagini penali e, non, dei soggetti che sono coinvolti o di terzi. Nella su citata sentenza, viene evidenziata sia l’utilizzabilità delle prove assunte contro legge, sia la validità dell’avviso di accertamento emanato sulla base delle stesse, in quanto, le sole conseguenze sanzionatorie che possono derivare dalla mancata autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, interesseranno il soggetto che ha inviato i dati al Fisco. Cassazione, V Sez. Civ., sentenza n. 22984 del 12 novembre 2010,in www.cortedicassazione.it. 103 Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 25617, depositata il 17 dicembre 2010, in www.ilsole24ore.com. 102 38 2. Attività istruttoria tributaria, violazione di norme costituzionali poste a tutela di diritti fondamentali e inutilizzabilità delle prove. L’Amministrazione finanziaria, nello svolgimento della propria attività ispettiva, si trova spesso ad incidere su posizioni giuridiche soggettive di particolare importanza, oggetto di tutela costituzionale. Queste sono la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di comunicazione e la segretezza delle comunicazioni medesime. Naturalmente, l’Amministrazione è legittimata a comprimere autoritativamente tali situazioni nei soli casi e nei modi previsti dalla legge. E’ quindi il legislatore a determinare ogni volta il sacrificio dell’una o dell’altra posizione, in base ad esigenze la cui valutazione è riservata allo stesso in base a quanto stabilito dall’art. 23 Cost.. E’ stato asserito che, la violazione, da parte dell’Amministrazione, delle regole de quibus, comporta l’inidoneità degli elementi, per tale via raccolti, a costituire prova nel processo tributario 104. Nella sentenza della Cassazione, Sez. tributaria, del 19 ottobre 2005 n. 2025, viene asserita la sindacabilità, da parte del giudice tributario, dell’attività di ricerca e di raccolta degli elementi posti a fondamento dell’accertamento e, riafferma le conseguenze nel processo, derivante dalla sua impugnazione, dell’eventuale violazione delle regole poste dalla legge a tutela delle richiamate posizioni soggettive 105. In tal senso Cass., SS.UU., 21 novembre 2002, n. 16424, in Rivista giurisprudenza italiana, n. 3/2003, p. 138, con commento di A. GRASSOTTI e in C.T. n. 4/2003, p. 301, con commento di P. CORSO; Cass., 3 dicembre 2001, n. 15230, in Rivista giurisprudenza italiana n. 6/2002, p. 518, con commento di C. Grimaldi; Id., 17 dicembre 2001, n. 15913, in Banca Dati Big, IPSOA; Id., 29 novembre 2001, n. 15209, in Rivista giurisprudenza italiana, n. 6/2002, p. 518, con commento di C. GRIMALDI; Id., 27 novembre 1998, n. 12050, in Banca Dati Big, IPSOA; Id., 27 luglio 1998, n. 7368, in Rivista giurisprudenza italiana, n. 2/1999, p. 97, con commento di S. STUFANO; Id., 8 novembre 1997, n. 11036, in C.T. n. 17/1998, p. 1309, con commento di G. PORCARO. Contra vedasi Cass., 19 giugno 2001, n. 8344, in Rivista giurisprudenza italiana n. 4/2002, p. 351, con commento di S. STUFANO; Id., 16 marzo 2001, n. 3852, in Boll. trib., 2001, p. 624; spunti nel medesimo senso in Cass., 21 luglio 2000, n. 9611, in Boll. Trib. 2000, p. 1506 105 Si veda anche P. CORSO, Non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento le prove 104 39 Il caso riguardava un accesso compiuto da parte della Guardia di finanza, regolarmente autorizzata, nei locali dove una società di persone esercitava l’attività imprenditoriale. La stessa aveva eseguito una perquisizione personale nei confronti di un soggetto estraneo alla società sottoposta a verifica 106: Da questa perquisizione si scopriva, nelle tasche del perquisito, la presenza di una contabilità “nera”, e di conseguenza veniva operato il disconoscimento delle risultanze delle scritture contabili e l’accertamento di un maggior reddito. Avverso la suddetta sentenza, veniva proposto appello, e, il Giudice d’appello riteneva ogni questione riguardante la legittimità della suddetta perquisizione personale superabile, in quanto mai contestata sia al momento del suo svolgimento, sia nel verbale, sia con atto successivo. La Suprema Corte, ha invece asserito che la mancata contestazione della perquisizione personale non ha alcuna rilevanza, sulla sua illegittimità, che rimane ferma. Occorre evidenziare che, l’art. 52, comma terzo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 107 stabilisce che: “è in ogni caso necessaria l’autorizzazione, del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina, per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali” e che la stessa è necessaria anche per procedere “all’apertura coattiva di plichi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale.”. Quindi, mentre per questi ultimi atti ispettivi, ovvero l’apertura coattiva di borse, mobili etc., l’autorizzazione è necessaria solo nel caso in cui l’interessato si rifiuti di consentire spontaneamente l’intervento, per la perquisizione personale l’autorizzazione è sempre necessaria, e, l’eventuale mancata opposizione alla stessa non la rende legittima. illegittimamente acquisite, in C.T. n. 1/2006, p. 47. 106 Si trattava del coniuge dell’amministratore della società. 107 Espressamente richiamato - quanto all’accertamento delle imposte sui redditi -, dall’art. 33, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. 40 L’autorizzazione giudiziale è imposta dalla necessità d’informare la disciplina legislativa dell’attività ispettiva al precetto contenuto nell’art. 13 della Cost. 108. Infatti, la Cassazione nella suddetta sentenza ha asserito che “la libertà personale è inviolabile e non ammette alcuna forma di perquisizione personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Quindi, nell’ipotesi in cui vi sia l’esecuzione di una perquisizione personale in assenza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, vi è la lesione di un diritto soggettivo fondamentale, riconosciuto e tutelato direttamente dalla Costituzione, e a difesa del quale la legge ha posto una norma di carattere imperativo, che non rientra nella libera disponibilità delle parti, e di conseguenza, neppure il consenso del soggetto cui l’azione è rivolta può valere a sanare i vizi della stessa 109. Bisogna evidenziare che varie volte la Corte costituzionale ha messo in rilievo il principio in base al quale “le attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito” 110. In caso contrario, “un diritto riconosciuto e garantito come inviolabile dalla Costituzione sarebbe davvero esposto a gravissima menomazione” 111. Cfr. A. VIOTTO, I poteri d’indagine dell’amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla costituzione, Milano, 2002, p. 190. 109 Si vedano in proposito le osservazioni di VIOTTO, I poteri d’indagine dell’amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla costituzione, op. cit., pp. 423 e ss. Cfr. anche G. VANZ, Indagini fiscali irrituali e caratteri della “spontanea” collaborazione del contribuente o di terzi ai fini dell’utilizzabilità del materiale probatorio acquisito, in Rass. trib., 1998, p. 1387. 110 Così testualmente Corte cost., 6 aprile 1973, n. 34, in Foro it., 1973, I, col 956; nello stesso senso è la sentenza 11 marzo 1993, n. 81, in Giur. cost., 1993, p. 731. 111 Sempre Corte cost., 6 aprile 1973, n. 34, op. cit. 108 41 Questo è un principio cardine dell’ordinamento che è stato anche formalizzato nel codice di procedura penale 112 e che la Corte di Cassazione a sezioni Unite ha fatto proprio 113. Appare, quindi, condivisibile quanto asserito dai Giudici di legittimità nella sentenza che si sta esaminando, ovvero, che “ per vedere applicato questo principio al diritto tributario non è necessaria alcuna specifica previsione a riguardo” 114; infatti viene asserito che “Occorre, prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente codice di diritto penale, o dalla possibilità di estendere, per il suo carattere di norma generale di civiltà, anche all’ordinamento fiscale questo ultimo principio, in quanto 1’inutilizzabilità in discussione discende, nel caso, dal valore stesso dell’inviolabilità della libertà personale solennemente consacrato nell’art. 13 Cost.” 115. Quindi siamo in presenza di un limite probatorio non espressamente previsto dall’ordinamento processuale, ma che è dallo stesso desumibile, in forza dei presupposti normativi che condizionano la legittimità intrinseca del procedimento formativo o acquisitivo della prova. Quando il Giudice tributario, valuta gli elementi forniti dalle parti (e in particolare dall’Amministrazione, cui fa carico l’onere probatorio), deve verificare la loro Nell’art. 191, in base al quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. L’inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento”. 113 Cass., SS.UU., 16 maggio 1996, n. 5021, in Foro it., 1996, II, col. 473. 114 Ciò che invece costituiva l’argomento normalmente utilizzato nell’orientamento che è stato richiamato prima in base al quale l’irregolare svolgimento dell’indagine tributaria non importa l’inutilizzabilità degli elementi per tale via acquisiti: cfr. Cass. 19 giugno 2001, n. 8344, cit. 115 In tal senso, la sentenza è più esplicita di Cass., 27 luglio 1998, n. 7368, cit., che nella sostanza faceva applicazione del medesimo principio. Sulla possibilità di fare applicazione dell’art. 191 c.p.p. al settore tributario si vedano comunque le condivisibili considerazioni di VANZ, op. cit., p.. 1392. 112 42 utilizzabilità, e dunque la loro legittima acquisizione, ed evitare di porre a fondamento della decisione quelli che risultino illegittimamente acquisiti. E’ stato evidenziato in dottrina 116 che una simile scelta può implicare in alcuni casi la perdita di materiale probatorio interessante o anche decisivo per l’accertamento tributario, ma è condivisibile la conferma di una scelta particolarmente garantista, in considerazione della rilevanza del diritto di cui si tratta. 3. Valore probatorio nel processo tributario della documentazione irritualmente acquisita. 3. 1 Il contesto normativo di riferimento ed i poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria. Il D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 introduce, nell’ordinamento italiano, le disposizioni sul processo tributario, in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge n° 413/91. Il suddetto decreto, però non prevede una definizione di mezzi probatori utilizzabili, risultando così pregiudicata la tutela giurisdizionale del contribuente, nell’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria dovesse produrre prove che, pur risultando rilevanti al fine del perfezionamento della richiesta tributaria, siano state tuttavia acquisite con modalità irrituali, ossia contra legem. Occorre rilevare che, la tutela giurisdizionale del contribuente ha importanza, non solo riguardo alla fase del procedimento di formazione dell’atto impositivo (impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992), ma anche nella fase istruttoria, che precede l’esercizio vero e proprio della potestà impositiva, ed i cui vizi possono essere denunciati solo attraverso il Si veda, P. CORSO, Sindacabilità dell’autorizzazione all’accesso ed inutilizzabilità di prove acquisite “contra legem”, in C.T. n. 4/2003, p. 311. 116 43 ricorso contro il successivo atto autonomamente impugnabile, comportando di fatto una difesa differita 117. Non essendo regolamentato nel procedimento tributario, così come tracciato dalla normativa in vigore, una espressa previsione del sistema probatorio, e nemmeno una previsione di quali siano o possano essere i mezzi di prova utilizzabili, sembra esserci la possibilità, per l’Amministrazione Finanziaria, di avvalersi di qualunque informazione sia in possesso 118. Tutto ciò ha comportato la presenza di posizioni contrastanti della dottrina e della giurisprudenza sulle conseguenze prodotte nel processo tributario dall’utilizzazione, ai fini dell’accertamento, di elementi probatori acquisiti in maniera irrituale. Mentre nel diritto penale la fattispecie è contemplata nell’art. 191 c.p.p., nel diritto civile, invece, viene rimesso al giudice il potere discrezionale di valutare l’ammissibilità delle prove, salvo che disposizioni speciali prevedano diversamente: pertanto, l’inutilizzabilità non è una conseguenza automatica dell’assunzione di una prova assunta contra legem. L’Amministrazione finanziaria, in materia di esercizio dei poteri istruttori, ha emanato diverse circolari dirette a fornire istruzioni operative da osservare nello svolgimento dei controlli, ritenuti invasivi della sfera personale del soggetto ispezionato, poiché, questi controlli vengono attuati mediante accessi, verifiche finanziarie ed utilizzo della documentazione acquisita in sede penale. Relativamente alle indagini finanziarie, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006, Direzione Accertamento, al capitolo 117 Così, VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, in www.altalex.com, 25.03.2011. Le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633/1972 e nel D.P.R. n. 600/1973 che, regolamentando l’accertamento in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sui redditi, e le modalità di esercizio dei poteri a tal fine attribuiti agli uffici, non possono essere di aiuto in quanto non hanno previsto le conseguenze che deriverebbero dalla inosservanza delle regole in esse stabilite in termini di validità dell’atto di accertamento successivamente emesso sulla scorta dell’attività istruttoria, viziata ab origine in quanto espletata contra legem. 118 44 quarto intitolato “garanzie a tutela del soggetto sottoposto a indagini”, sottolinea l’importanza della fase istruttoria in vista di una eventuale emanazione del provvedimento di effettivo esercizio della pretesa tributaria e, ricordando quanto già disposto dalla circolare n. 116/E/III/5/1093 119, viene evidenziato“(…) il carattere discrezionale dell’autorizzazione, la sua funzione di valutazione preventiva e di legittimazione all’uso dello strumento istruttorio e di controllo del corretto uso dello stesso” ; inoltre viene asserito che “l’autorizzazione, quale atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assume rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua immediata impugnabilità, in quanto non immediatamente né certamente lesiva, sotto il profilo tributario, della posizione giuridica del contribuente interessato, che non ha ancora subito o potrebbe addirittura non subire alcun atto impositivo (…) . Detta temporanea limitazione, anche nella previgente normativa, non attenuava il valore di garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito di indagini così penetranti, atteso che, quale atto amministrativo preparatorio, consente al contribuente di valutarne l’iter logico-giuridico, con la connessa documentazione (…) a conclusione dell’intero procedimento di formazione dell’atto di accertamento”. Viene inoltre affermato che, se la motivazione dell’autorizzazione a supporto delle richieste di indagini bancarie e creditizie deriva da precise disposizioni di legge, “(…) interpretate anche in modo assolutamente garantista delle esigenze difensive del contribuente sottoposto a controllo”, l’obbligo che detto atto sia allegato alla richiesta appare superato dalla considerazione che, ove contenente espliciti riferimenti agli esiti dell’attività ispettiva in precedenza In detta circolare, al paragrafo 3, è in particolare richiamata l’attenzione sulla necessità che il rilascio dell’autorizzazione sia subordinato ad una preventiva e necessaria valutazione dei requisiti di legittimità e di merito, anche con riferimento alla proficuità dell’indagine. E’altresì ribadita la natura discrezionale, con la conseguente possibilità per gli Organi competenti di opporsi al rilascio, qualora emerga l’insussistenza dei presupposti. 119 45 operata, potrebbe rivelarsi “(…) inaffidabile sul piano della tutela dei diritti del soggetto verificato” 120. Nella suddetta circolare al paragrafo 5.3 si parla dell’utilizzo degli esiti delle indagini effettuate nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria. Dopo un breve richiamo alle disposizioni legislative in materia, ed in particolare alla possibilità di utilizzo della documentazione in oggetto previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, viene rilevato che la valenza probatoria dei suddetti documenti non sarebbe comunque compromessa dalla mancanza dell’atto autorizzativo, in considerazione delle pronunce espresse dalla corte di Cassazione. Con una successiva circolare n. 6/E del 6 febbraio 2007 emanata dall’Agenzia delle Entrate, Dir. Centrale Accertamento, in materia di accertamento ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, dove al paragrafo 2.2, viene evidenziata la necessità che gli accessi in luoghi diversi da quelli indicati al primo comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 siano eseguiti solo mediante autorizzazione del procuratore della Repubblica, e solo in caso di gravi indizi di violazione della normativa di riferimento. Invece, per le indagini finanziarie, richiama l’autorizzazione prevista dall’art. 32, comma 1 numero 7) del D.P.R. n., 600/1973, la cui applicazione si estende anche ai controlli ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali. Gli principi di cui sopra sono previsti anche nella Circolare del Comando generale della guardia di finanza n. 250400 del 17 agosto 2000 121. Richiamando quanto stabilito nella circolare 1/1998 122, ed in applicazione delle specifiche statuizioni previste in materia di “diritti e Riguardo invece all’utilizzo degli esiti delle indagini effettuate nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, la stessa circolare al paragrafo 5.3 dopo aver richiamo la disposizione che prevede la possibilità di utilizzo della documentazione in oggetto previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, evidenzia che la valenza probatoria dei predetti documenti non sarebbe comunque compromessa dalla mancanza dell’atto autorizzativo, in considerazione delle pronunce espresse dalla corte di Cassazione. 121 La Circolare del Comando generale della guardia di finanzia n. 250400 del 17 agosto 2000, deriva della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge n. 212 del 27 luglio 2000 di approvazione dello “Statuto dei diritti del contribuente”. 120 46 garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, viene delimitata la discrezionalità nell’esercizio dei poteri istruttori, e del potere di accesso della guardia di finanzia presso i locali destinati all’esercizio dell’attività di impresa, alle “effettive esigenze di indagine e di controllo sul luogo”, mediante una manifestata previsione dei casi in cui queste situazioni ricorrano. Se questi requisiti vengono a mancare, si prevede che le finalità ispettive possano essere eseguite attraverso l’esercizio di altri poteri istruttori, che non comportino l’effettuazione di accessi 123. Il suddetto documento inoltre precisa che, riguardo ai poteri attribuiti dall’art. 63 comma 1, prima parte del D.P.R. n. 1972/633 e dall’art. 33 comma 3 del D.P.R. n. 600/1973, “(…) già con la circolare n. 1/360000 del 20 ottobre 1998 si era previsto la subordinazione dell’utilizzo dei documenti, dati e notizie acquisiti, alla preventiva autorizzazione, facendola divenire un elemento che legittima la medesima utilizzazione, in relazione alle ragioni che giustifica le verifiche effettuate, da rinvenirsi “ (…) nell’adempimento dei compiti istituzionali assegnati per l’accertamento dell’imposta e la repressione della violazione delle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie”. Questi poteri investigativi, sono specifici e, possono essere esercitati solo nei casi previsti dalla legge, quindi, “ove l’atto ispettivo fosse adottato non allo scopo preminente di controllare l’osservanza degli obblighi dei contribuenti, bensì, per motivi extrafiscali, non pertinenti, allora la verifica sarebbe illegittima perché viziata per eccesso di potere (…). In questi casi, non sussistendo le ragioni giustificative della verifica, il contribuente ha pieno Cfr. Circolare n. 1/360000 del 20 ottobre 1998 del Comando generale guardia di finanza , su Big online. 123 Viene previsto nella suddetta circolare che “ L’individuazione dei confini concreti della condizione imposta dalla norma in esame è strettamente legata alla definizione della ratio legis, la quale deve essere individuata nella necessità di contemperare l’interesse del contribuente a non subire limitazioni del proprio diritto al normale esercizio dell’iniziativa economica, con l’interesse dell’Amministrazione Finanziaria di ricercare in modo efficace le prove di eventuali violazioni alla normativa fiscale che andrebbero altrimenti disperse, ovvero di procedere a rilevamenti fisici sul posto diversamente non eseguibili”. 122 47 titolo a pretendere il rispetto assoluto dei diritti individuali fondamentali, quali, la libertà personale, l’inviolabilità del domicilio e la segretezza della corrispondenza” 124. 3.2 La posizione della dottrina. La dottrina, è intervenuta varie volte sul tema delle conseguenze che possono derivare da una condotta dell’Amministrazione Finanziaria non conforme al dettato legislativo. La mancanza di una norma, così come previsto per la giurisdizione penale, che disciplini la materia, ed inoltre, la necessità di contemperare due interessi contrapposti, ossia di assicurare il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, ed al tempo stesso di non limitare l’attività dell’Amministrazione finanziaria, anch’essa tutelata dalla Costituzione (1° comma dell’art. 53 della Costituzione), ha comportato la formulazione di interpretazioni contrastanti; principalmente si evidenziano due orientamenti : quello contrario all’utilizzazione delle prove irritualmente acquisite e l’orientamento favorevole all’utilizzo (parziale o totale) della documentazione probatoria acquisita in maniera irrituale. In base al primo orientamento, richiamando nel processo il principio di illegittimità derivata presente nel diritto amministrativo, è stata asserita l’inidoneità degli elementi probatori comprovanti situazioni evasive o comunque irregolari a fondare legittimamente una pretesa tributaria 125, nel caso in cui gli stessi siano stati acquisiti nell’inosservanza delle regole dettate dal legislatore 126. 124 Circolare n. 250400 del 17 agosto 2000 Si veda VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, op. cit. 126 La suddetta tesi è stata criticata da alcuni autori per il richiamo all’illegittimità derivata in ambito tributario. Si veda, a riguardo C. GLENDI, Indagini tributarie e tutela giurisdizionale, in Corriere tributario n. 44/2009, p. 3616. 125 48 La dottrina appartenente a questo orientamento, parte dal presupposto che il legislatore abbia stabilito le norme procedurali in ambito tributario allo scopo di regolamentare quelle attività che potrebbero comportare delle limitazioni significative ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, che sono il diritto all’inviolabilità della persona (art. 13 Costituzione), del domicilio (art. 14 Costituzione), alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza (art. 15 Costituzione) e il diritto di difesa (art. 24 Costituzione). E’ stato asserito che la mancanza nell’ordinamento tributario di una norma che sancisca espressamente l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge, non legittima l’ammissione di prove conseguite per effetto di comportamenti che integrino gli estremi di una violazione di legge o di un eccesso di potere. “Simili comportamenti non possono sfuggire al sindacato giurisdizionale tributario, il quale, investendo i profili di validità del provvedimento impugnato, non può mancare di rilevare i vizi istruttori incidenti sulla formazione dello stesso provvedimento” 127. Quindi, la inutilizzabilità degli elementi acquisiti con modalità illecite o illegittime ai fini dell’accertamento deriva dall’applicazione dei criteri di legalità, imparzialità e buon andamento 128. Altri autori 129 ritengono che le disposizioni procedurali, siano state dettate dal legislatore allo scopo di regolamentare tutte le fasi di cui si compone l’attività ispettiva, le quali potrebbero essere idonee a comportare una limitazione a diritti costituzionalmente garantiti. Lo scrupoloso rispetto di queste disposizioni è requisito essenziale affinché alle prove raccolte possa essere conferita la rilevanza prevista dalla legge. Viene evidenziato inoltre che questa interpretazione, non è in contrasto con la formulazione adottata dal Cfr. S. STUFANO, Sulla utilizzabilità delle prove illecite o illegittime, in Corriere Tributario n. 39/2002, p. 3534 128 Si veda VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, op. cit 129 Cfr. M. PISANI, La valenza delle prove irrituali nell’accertamento tributario, in il fisco n. 11/2005, p. 1570. 127 49 legislatore nella stesura dell’articolo 39, 2° comma, del D.P.R. n. 600/1973 130, il quale prevede l’accertamento induttivo, in quanto deve intendersi riferita all’ampiezza dei poteri istruttori, e non anche quale implicita deroga al principio di legittimità nell’acquisizione. La dottrina prevalente ha confermato questo orientamento, richiamando il principio pronunciato dalla giurisprudenza di legittimità attraverso la sentenza n. 16424/2002 131, individuando nella regola generale della invalidità derivata degli atti di un procedimento amministrativo, la legittimazione al principio di inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite. Quindi l’atto non può essere utilizzato perché essendo atto finale di un procedimento amministrativo, soggiace al principio generale in base al quale i vizi di atti prodromici di un procedimento, non autonomamente impugnabili, si traducono in vizi dell’atto finale che, conseguentemente, deve essere annullato 132. E’ stato asserito che “la dichiarazione di inutilizzabilità dei risultati acquisiti in modo irrituale consente non già di ristabilire l’equilibrio giuridico violato dall’atto illegittimo, ma piuttosto quello di impedire che i risultati acquisiti in violazione delle norme (…) possano essere utilizzati contro il contribuente, che è pure il soggetto leso” 133. L’art. 3°, 2° comma, D.P.R. 600/1973 prevede che in presenza di contabilità inattendibile l’Ufficio può prescindere in tutto ed in parte dalle risultanze contabili e determinare il reddito mediante presunzioni anche non dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. 131 Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza 12 novembre 2002, n. 16424, in Riv. Giur. Tributaria, n. 2/2003, p. 138. “Il giudice tributario, in sede d’impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal Procuratore della Repubblica, ha il potere-dovere, oltre che di verificare la presenza nel decreto autorizzativo di motivazione(sia pure concisa, o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente), circa il concorso di gravi indizi nel verificarsi d’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria, e, nell’esercizio di tale compito, deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, conseguenzialmente valutando il fondamento della pretesa fiscale senza tener conto di quelle prove”. 132 Maurizio VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, op. cit 133 Cfr. S. GALLO, Utilizzo di prove irregolarmente acquisite nel corso di accessi domiciliari, in il fisco n. 36/2007, p. 5307. 130 50 Il secondo orientamento invece riconosce l’applicazione nel processo tributario del principio della piena utilizzabilità dei mezzi probatori acquisiti in maniera irrituale, e favorisce, in assenza di una disposizione di legge che espressamente disponga in senso contrario, l’aspetto sostanziale dell’indagine 134. A tale riguardo è stato asserito che la formulazione adottata dal legislatore italiano nella stesura degli artt. 39, comma 2, 41, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 55 comma 1 del D.P.R. n. 633/1972, deve intendersi quale autorizzazione implicita all’utilizzo di elementi comunque acquisiti, e quindi anche all’esercizio di attività istruttorie attuato con modalità diverse da quelle indicate negli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972. In realtà, la dottrina, seguendo gli orientamenti giurisprudenziali, si è collocata su una posizione intermedia, asserendo l’applicazione del principio di inutilizzabilità della prova successivamente alla verifica della sussistenza di ulteriori condizioni, diverse dal mancato rispetto delle sole norme procedimentali stabilite dal legislatore. Nello specifico, l’applicabilità del principio di inutilizzabilità della prova si riduce ai casi in cui vengono eventualmente alla violate le posizioni di diritto soggettivo garantite costituzionalmente. Alcuni in dottrina, rispettando l’orientamento della Suprema Corte 135, asseriscono che il principio di inutilizzabilità troverebbe applicazione non solo nel caso in cui le prove fossero oggettivamente vietate, ma anche nell’ipotesi in cui le stesse venissero acquisite in violazione dei diritti soggettivi costituzionalmente tutelati, come nel caso degli artt. 13,14 e 15, in cui la prescrizione di inviolabilità consente la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge 136. Si veda VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, op. cit. Cfr. Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 5021 del 27 marzo 1996. 136 Si veda, Cfr. S. GALLO, Utilizzo di prove irregolarmente acquisite, in il fisco n.36/2007. 134 135 51 Quindi, per il suddetto orientamento, il principio di invalidità dell’atto finale dovrebbe escludersi in tutti quei casi in cui l’acquisizione probatoria avviene nell’inosservanza, non di un interesse generale, ma di disposizioni di minore gravità che riguardino ad esempio l’organizzazione degli uffici 137. Occorre per ultimo menzionare la tesi di alcuni autori che affermano un principio di parziale utilizzabilità del mezzo probatorio. Viene asserito che, se nel corso della attività ispettiva fosse possibile discriminare tra risultati emersi nel corso di un accesso viziato rispetto ad altre prove regolarmente acquisite, l’inutilizzabilità si riscontrerebbe “soltanto alle prove acquisite illegittimamente e non anche alle altre lecitamente raccolte e poste a fondamento della pretesa impositiva oggetto di contenzioso; sicché dovrà considerarsi ancora pienamente legittima l’attività istruttoria conseguente all’accesso regolarmente effettuato in altri luoghi appartenenti al medesimo contribuente e pur sempre basata su elementi probatori comunque lecitamente acquisti: in tal caso, qualora la portata ed il valore delle fonti di convincimento reperite in modo legittimo fossero sufficienti a motivare la pretesa impositiva, l’avviso di accertamento non dovrebbe essere ritenuto passibile di annullamento” 138. 3.3 I principi espressi dalla Suprema Corte: Utilizzabilità e inutilizzabilità nelle sentenze della Corte di Cassazione. Un tema molto dibattuto a livello giurisprudenziale è stato quello della tutela dei contribuenti da attività istruttorie attuate in violazione di legge, perché gli interessi costituzionalmente garantiti erano importanti e vi era la necessità di mediare il diritto di difesa ad un giusto processo con l’interesse ad una equa imposizione. Così, A. MARCHESELLI, Ai fini tributari è limitata l’utilizzazione di materiale proveniente da indagini penali, in Corriere tributario, n.35/2006, p.2787 138 Cfr. S. GALLO, Utilizzo di prove irregolarmente acquisite, in il fisco n.36/2007, p. 5311 137 52 In più occasioni vi è stato l’intervento della Corte di Cassazione per definire le controversie sull’argomento. Attraverso queste pronunce si è riempito il vuoto normativo in quanto vi è stata l’affermazione di principi di carattere generale, che hanno permesso di disciplinare i casi in cui le attività di indagine condotte in violazione alle disposizioni di legge comportino l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito irritualmente, a fondamento di una pretesa tributaria. Occorre evidenziare che, in linea di massima, l’orientamento della Corte di Cassazione è stato diretto a riconoscere l’inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito in violazione delle norme stabilite dal legislatore nel regolamentare l’attività ispettiva dell’Amministrazione Finanziaria, soprattutto nel caso in cui l’attività svolta dal’Ufficio finanziario abbia comportato una violazione di posizioni giuridiche costituzionalmente garantite : un esempio è dato dal materiale probatorio acquisito durante un accesso domiciliare illegittimo 139 o all’interno di un’autovettura privata di una dipendente della società verificata, in carenza della prescritta autorizzazione del procuratore della Repubblica 140. La Corte di Cassazione 141, con la sentenza n. 11036/97 ha asserito l’illegittimità, prevedendo quindi l’annullamento, di un avviso di rettifica della dichiarazione Iva di una società, fondato sulla documentazione contabile acquisita durante un controllo da parte della Guardia di Finanza, senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, all’interno di un’autovettura appartenente ad una dipendente della società stessa. Nella suddetta sentenza, la Corte, dopo aver analizzato la disciplina contenuta nell’art. 52 del D.P.R. 633/1972, ha rilevato che: “Una volta accertato invero che i documenti si trovavano al di fuori dell’ambito spaziale (locali destinati all’esercizio dell’impresa) entro cui sono consentite le attività 139 Cfr. Cass., Sez.I, 27 luglio 1998, n.7368 Cfr. Cass., Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11036 141 Cfr. Cass. Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11036, cit. 140 53 di ricerca senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica (o all’occorrenza, dell’autorità giudiziaria più vicina), la mancanza di questa non appare certo superabile col porre l’accento sulla spontaneità dei vari comportamenti della dipendente (omissis)”. Concludendo la Corte afferma che, “È innegabile che, in assenza della prescritta autorizzazione, la detentrice non potesse validamente acconsentire all’acquisizione, in quanto, fermo restando che la spontaneità denota un concetto più pregnante di quello della mera volontarietà dell’atto, non appare superabile il rilievo dell’indisponibilità giuridica della documentazione, da parte di lei, al di fuori dell’ambito dell’impresa e senza alcuna possibilità, ai fini dell’incidenza sull’accertamento, di opporre un producente rifiuto” 142. In una successiva sentenza del 1998 143, viene riaffermato il principio della irrilevanza giuridica della mancata opposizione del contribuente all’attività del fisco nel caso in cui , quest’ultima, risulti illegittima. Viene asserito in questa sentenza, che tutta la fase di ricerca ed acquisizione dei documenti, all’interno di una borsa del contribuente, da parte della Guardia di Finanza “appare avvenuta senza né l’autorizzazione della Procura della Repubblica, né il consenso del contribuente e, quindi, in violazione dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972; la conseguente nullità travolge la successiva acquisizione, anche se è sopravvenuto il consenso dell’interessato, in quanto la procedura irregolare non è stata interrotta attraverso la restituzione del plico e, quindi, si è trattato di un insieme di operazioni non scindibili” 144. Analizzando i due dispositivi, occorre rilevare che, mentre con sentenza n. 11036/97 la Cassazione afferma il principio secondo il quale il l’illegittimità di un accesso non autorizzato non può essere mai sanato dal 142 Sentenza Cass., n, 11036/97 cit. Cfr. Cass. Sez. I, 2 febbraio 1998, n. 1036. In questa sentenza la Corte è stata chiamata a decidere un caso analogo al precedente esaminato, e concernente l’acquisizione da parte della Guardia di Finanza di documenti contenuti in una borsa posta all’interno di un’autovettura privata del contribuente. 144 Cfr. Sentenza Cass., n. 1036/98 cit. 143 54 consenso del contribuente, vista l’indisponibilità giuridica del bene per la cui acquisizione si esprimerebbe il consenso, nella sentenza n. 1036/1998 sembra invece essere attribuito al consenso da parte del contribuente il valore di presupposto necessario e sufficiente a regolarizzare una condotta irrituale. Successivamente, nella sentenza n. 7368/1998 145 perde rilevanza il riferimento alla spontanea collaborazione da parte del contribuente quale presupposto necessario e sufficiente a rimediare un’acquisizione irrituale dei mezzi probatori. In questa pronuncia, inoltre, si conferma la natura amministrativa dell’avviso di accertamento ( di rettifica o di irrogazione delle sanzioni), atto che, come avviene per ogni atto amministrativo, può essere “affetto dal vizio che va sotto il nome di violazione di legge, oltre che di inutilizzabilità processuale, ove acquisito in violazione di diritti costituzionalmente garantiti”. Inoltre, la Corte, nella su citata sentenza, asserisce, che l’assenza dell’autorizzazione da parte del magistrato, fa decadere la “prevalenza dell’interesse fiscale, anch’esso costituzionalmente garantito dall’art. 53 della Costituzione, sul diritto del contribuente alla inviolabilità del proprio domicilio (...); le attività compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio, non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazione delle sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito” 146. Cfr. Cass. Sez. I, 27 luglio 1998, n. 7368. La Suprema Corte in questa sentenza, chiamata a decidere sulla legittimità di un accesso domiciliare eseguito senza la prescritta autorizzazione, ha affermato che “non può valere il rilievo per cui il difetto di autorizzazione sarebbe stato sanato dalla consegna spontanea operata dal contribuente, in quanto l’accesso ai locali adibiti ad abitazione è illegittimo senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. 146 Anche nella sentenza della. Cass. Sez. I, 27 novembre 1998, n. 12050 viene ribadita la natura amministrativa dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica. Richiamate le precedenti pronunce n. 11036/1997 e 1036/1998 in riferimento alla portata della disposizione legislativa, la Suprema Corte evidenzia la necessità che detta autorizzazione sia imprescindibilmente motivata, sebbene anche in maniera concisa, disponendo conseguentemente l’inutilizzabilità della documentazione acquisita a seguito di un accesso illegittimo. 145 55 La Corte di Cassazione nel 2001 147, chiamata ad esprimersi riguardo ad un caso di autorizzazione, da parte del procuratore della Repubblica, non congruamente motivata, a seguito del riferimento all’esistenza di fonti confidenziali anonime denuncianti gravi indizi di violazione fiscali richiesti dal D.P.R. n. 633/1972, oltre a riaffermare il principio di inutilizzabilità, a sostegno di una pretesa tributaria, dei documenti acquisiti a seguito di accessi in luoghi adibiti ad abitazione privata non o illegittimamente autorizzati, conferma la natura di atto amministrativo condizionante la legittimità dell’accertamento dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica (già disposta con la sentenza n. 12050 del 27 novembre 1998 dalla Cassazione Civile, I Sez.) sindacabile in sede di contenzioso tributario. Quindi l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, al pari di ogni atto amministrativo, necessita di motivazione e “ … l’assenza, l’abnormità, l’insufficienza e l’incongruenza della motivazione addotta per supportarlo, consequenzialmente, si riflettono, escludendola, sulla legittimità dell’atto in argomento e comportano, perciò, il potere – dovere del giudice tributario che le rilevi di dichiarare l’invalidità, dedotta, dell’atto medesimo, e derivatamente, dell’intero procedimento di accertamento basato su prove acquisite a seguito della relativa esecuzione, atteso che attività compiute illegittimamente ed in ingiustificata violazione del diritto, costituzionalmente garantito, alla inviolabilità del domicilio non possono essere assunte a basamento di atti impositivi a carico di chi quelle attività illegittime abbia suo malgrado subito”. Infine viene asserito che costituisce principio generale quello per il quale il giudice “… prima di utilizzare ai fini della decisione qualsiasi emergenza probatoria, deve verificare la regolarità della relativa acquisizione, restando tenuto a non porre a base della sua pronuncia prove che riscontri indebitamente raccolte” 148. Cfr. Cass. Sez. Tributaria, 3 dicembre 2001, n. 15230, in Rass. Trib., 2002, p. 641ss., con nota di R. LUPI, Vizi dell’indagini fiscali e inutilizzabilità delle prove; un difficile giudizio di valore. 148 Cass. Sez. Tributaria, Sentenza n. 15230/2001 cit. 147 56 La Cassazione a Sezioni Unite nel 2002 149 si sono pronunciati sulla legittimità di un provvedimento di autorizzazione diretto all’accesso domiciliare, richiesto dalla polizia tributaria, motivato in base a notizie acquisite da una fonte anonima, e quindi sulla utilizzabilità della documentazione acquisita, attraverso l’accesso medesimo, a fondamento dell’atto impositivo emesso successivamente. A seguito del contrasto giurisprudenziale emerso tra le pronunce espresse dalla Sezione Tributaria, con sentenza n. 15230/2001 e con sentenza n. 1344/ 2002, riguardo la sindacabilità della motivazione assunta a fondamento dell’autorizzazione ex art. 52 D.P.R. n. 633/1972, la Suprema Corte ha asserito il potere-dovere del giudice tributario di verificare la presenza nel decreto autorizzativo di motivazione “ circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che” faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria ”. La Suprema Corte asserisce che l’autorizzazione richiesta dal 2° comma dell’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 richiede un elemento aggiuntivo rispetto alle situazioni disciplinate dal 1° comma, conferendo “…all’autorizzazione medesima la portata di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione (non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore)” e che, “la presenza di detto requisito di legge, che condiziona la validità dell’accesso nell’abitazione e dei connessi atti di acquisizione di documenti ed altre prove, non può sfuggire alla verifica del giudice deputato al sindacato della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva, in quanto coinvolge la regolarità del procedimento accertativo su cui si fonda tale pretesa” 150. 149 Cfr. Cass. Sez. Unite, 21 novembre 2002, n. 16424, in Corr. Trib., 2003, 301. Nelle conclusioni della sentenza della Cass. Sez. Unite, 16424/2002, viene ribadito che detto principio dell’inutilizzabilità “non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento 150 57 Nella sentenza 19689/ 2004 151, la Corte, a sostegno dell’accertamento tributario ribadisce l’inutilizzabilità 152 delle prove rinvenute nel corso di un accesso illegittimo, in quanto il suddetto principio deriva “…dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della Costituzione”. Inoltre, viene asserito che la possibile mancata opposizione da parte del soggetto sottoposto a verifica, non solo non significa che esso abbia acconsentito l’acceso, ma non ha importanza ai fini della legittimità di un accesso originariamente viziato “ non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge”. Esaminiamo ora la sentenza n. 20253 del 19 ottobre 2005 153 pronunciata dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte. In questa sentenza sono stati richiamati i principi espressi nella sentenza n. 16424/2002 della Cassazione a Sezioni Unite, e viene asserito che il principio della inutilizzabilità deve essere preferito in quanto deriva dal valore stesso dell’inviolabilità della libertà personale costituzionalmente garantito dal secondo comma dell’art. 13 della Costituzione, che ne prevede una limitazione, ma solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. Questo comporta che la mancanza dell’autorizzazione determina l’inutilizzabilità, a fondamento dell’accertamento tributario, delle prove rinvenute nel corso della perquisizione illegittima, in quanto, la mancata opposizione non assume nessuna rilevanza, e non potrà mai sanare una attività amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”. Afferma altresì che il compito del giudice di vagliare le prove offerte presuppone la preventiva verifica della rituale assunzione e che l’acquisizione di un documento attuata in seguito ad una violazione di legge “non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente od indirettamente responsabile”. 151 Cfr., Cass. 19689 del 1 ottobre 2004, in Banca Dati Big Suite, IPSOA. 152 A tale riguardo si può vedere il diverso principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con sentenza n. 8344 depositata il 19 giugno 2001. 153 Cfr. Cass. civ., Sez. tributari, del 19 ottobre 2005, n. 20253. In questa sentenza si conferma il principio dell’ inutilizzabilità a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso di una perquisizione illegale, in ragione della inviolabilità della libertà personale a norma dell’art. 13 della Costituzione. 58 compiuta in violazione di legge, in quanto, non essendo richiesta da nessuna norma di legge, è priva di rilievo giuridico,. Questo orientamento viene confermato in altre due pronunce successive ovvero nella sentenza n. 26454/2008 e la n. 21974/2009 154. Nella prima pronuncia viene evidenziata la natura amministrativa dell’autorizzazione rilasciata per l’accesso nell’abitazione del contribuente, l’invalidità della documentazione acquisita a seguito di un accesso non autorizzato o autorizzato illegittimamente e la conseguente inutilizzabilità alla base di una pretesa tributaria. Nella seconda invece viene analizzato il problema del sindacato di legittimità assegnato al giudice tributario in ordine alla verifica della correttezza della valutazione operata dal procuratore della Repubblica a fondamento del rilascio dell’autorizzazione in merito al concorso di gravi indizi di violazione di norme tributarie; nella sentenza de quo viene asserita l’illegittimità dell’autorizzazione, in quanto emessa esclusivamente sulla scorta informazioni anonime. Nella sentenza 21974/2009 viene effettuato il richiamo alla natura di provvedimento amministrativo dell’autorizzazione, asserendo che “…ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario ( o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti di collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare i gravi indizi (…)”. Attraverso un ulteriore sentenza, la n. 6836/2009 155, la Corte oltre a richiamare i principi contenuti nella sentenza n. 16424/2002 in merito alla necessità che detta autorizzazione trovi giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione di norme tributarie, viene posto in rilievo il potere-dovere da parte del giudice tributario di verificare la presenza nel decreto autorizzativo della motivazione, nonchè di controllare la correttezza in diritto Cfr., Cass. civ., Sez. tributaria, del 4 novembre 2008, n. 26454; Cass. civ., Sez. tributaria, del 16 ottobre 2009, n. 21974. 155 Cfr. Cass. civ, Sez. tributaria, del 20 marzo 2009, n. 6836. 154 59 del relativo apprezzamento espresso, al fine di “conciliare la rilevanza di diritti costituzionalmente garantiti con l’esigenza di acquisire elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale”. Invece, nella sentenza n. 10137/2010 156 viene ribadito il principio in base al quale la motivata autorizzazione del P.M. condiziona l’utilizzabilità dei dati acquisiti e posti a sostegno dell’accertamento tributario e che “ai sensi dell’art. 35 della legge n.4/1929, la Guardia di Finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, (…) non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria”. Un secondo orientamento giurisprudenziale invece è favorevole all’utilizzo del materiale probatorio irritualmente acquisito, in quanto il principio di utilizzabilità ai fini fiscali deriva dalla mancanza di disposizioni che prevedano il contrario. La Corte attraverso la sentenza n. 8344/2001 157 dopo aver asserito il “principio di autonomia delle regole di accertamento tributario rispetto alle regole che disciplinano le indagini ed il giudizio di responsabilità penale” chiarisce che “gli elementi di conoscenza raccolti secondo le regole che vincolano l’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria ben possono essere impiegati ai fini dell’accertamento tributario se non ne derivi pregiudizio alle esigenze interne al processo penale (onde la necessità della previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria che di quegli elementi di prova abbia la disponibilità funzionale)“. 156 Cfr. Cass. civ., Sez. tributaria, del 28 aprile 2010, n. 10137. Cfr. Cass. civ, Sez. tributaria, 19 giugno 2001, n. 8344. Nella suddetta sentenza il supremo collegio è stato chiamato a pronunciarsi sull’utilizzo ai fini dell’accertamento fiscale, di documentazione acquisita in sede penale senza la prescritta autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente. Nel caso in esame gli elementi relativi alla società nei cui confronti era stato poi notificato avviso di rettifica delle dichiarazioni, erano stati acquisiti nel corso di un accesso domiciliare regolarmente autorizzato nell’ambito di un’indagine di polizia giudiziaria, a carico del legale rappresentante della società medesima. 157 60 Viene documentazione inoltre prevista acquisita in l’utilizzabilità sede penale ai “ fini in fiscali quanto della utilizzata nell’accertamento tributario, va giudicata sulla base delle norme disciplinanti i modi di tale accertamento e non di quelle che disciplinano il procedimento penale”. Riguardo la violazione delle disposizioni contenute nell’ art. 52 del D.P.R. n. 633/1973, i giudici, nella sentenza n. 8344/01, evidenziano che la normativa non disciplina le indagini penali e che, proprio la lettura degli artt. 54 commi 2 e 3 e 63, comma 1 del suddetto D.P.R., consente di affermare che gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti di cui siano venuti in possesso “salvo la verifica dell’attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico. La violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti. ( …). Non esiste cioè nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite; tale principio è stato introdotto nel nuovo codice di procedura penale, e vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale”. La Corte ritiene che l’unica sanzione prevista in questo caso è da ravvisarsi sul piano disciplinare ai danni di chi ha commesso il comportamento illegittimo 158. La particolarità di questa pronuncia consiste nell’aver stabilito un principio di carattere generale di utilizzabilità della documentazione acquisita irritualmente in un contesto in cui l’oggetto della controversia riguardava di Nell’esprimere questo principio, la Corte riporta l’esempio dell’acquisizione di elementi determinanti ai fini dell’accertamento avvenuta il trentunesimo ( o sessantunesimo) giorno lavorativo dall’inizio della verifica, per confermare che dall’inosservanza delle disposizioni statuite dal quinto comma dell’articolo 12 comma 5 della Legge n. 212/2000, non può discendere l’inutilizzabilità degli elementi probatori, trattandosi di una prova oggettivamente valida. Si attribuisce in questa maniera natura ordinatoria al termine stabilito dal suddetto articolo 158 61 fatto l’utilizzabilità ai fini fiscali di elementi acquisiti in sede penale, normativamente regolamentate dagli art. 33, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. Attraverso la sentenza n. 4001/2009 159 il principio di utilizzabilità dei mezzi probatori irritualmente acquisiti si conferma nell’ipotesi in cui la violazione appaia di “minore entità” 160. Il caso riguardava l’utilizzabilità della documentazione bancaria acquisita previa autorizzazione da parte del procuratore della Repubblica carente di motivazione e, veniva asserito che “la mancanza (e a maggior ragione, l’eventuale illegittimità) dell’autorizzazione (da parte dell’autorità giudiziaria) ai fini dell’acquisizione di documentazione bancaria (ovvero dell’utilizzazione di quella acquisita nell’ambito di un processo penale), non incide sul valore probatorio dei dati acquisiti, né sulla validità dell’atto impositivo adottato sulla scorta dei suddetti dati”. Viene evidenziato che detta autorizzazione ”attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico”. Inoltre, viene precisato che l’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria necessaria per la trasmissione dei dati e notizie acquisite in ambito penale è prevista solo a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non anche dei soggetti coinvolti nel procedimento, comportando che “la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi.” 159 Cfr. Cass.civ., Sez. tributaria, 19 febbraio 2009, n. 4001. Cfr. Sentenza Cassazione Civile, sezione Tributaria, n. 4987 depositata in data 1 aprile 2003. 160 62 Tutti questi principi espressi dalla Suprema Corte nelle sentenze che abbiamo esaminato sono molto significativi, soprattutto alla luce del differente orientamento sancito con la sentenza n. 16424/2002 161. Il cambio di orientamento è derivato dalla asserita mancanza in ambito tributario del principio della inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. I Supremi Giudici, hanno ritenuto che, se la violazione riguarda norme organizzative, ovvero poste a garanzia della regolarità dell’azione amministrativa, o ancora poste a tutela delle indagini penali, prevarrebbe l’interesse fiscale tutelato dall’art. 53 della Costituzione; nel caso in cui la condotta illegittima dovesse violare norme poste a tutela di diritti costituzionalmente garantiti, ne deriverebbe l’inutilizzabilità . Questo principio era già stato espresso dalla Corte, nella sentenza n. 22035/2006 162 : il caso riguardava l’avvenuta trasmissione dei dati acquisiti dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un procedimento penale, in assenza dell’ autorizzazione prevista dal comma 1 dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972. Nella predetta sentenza è stato asserito che il principio secondo il quale l’autorizzazione richiesta dal citato comma dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972 sia posto a tutela della riservatezza delle indagini penali e ”non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza della autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi”, è oramai diventato principio giurisprudenziale consolidato Invece, nella sentenza n. 474/2010 163 viene asserito che l’autorizzazione prevista al comma 1 dell’art. 63 del D.P.R. 633/1972 (e riprodotto nell’art. 33 comma 3 del D.P.R. n. 600/1973) non ha alcuna finalità VILLANI, Il valore probatorio della documentazione irrituale acquisita, cit. Cfr. Cass. civ., Sez. tributaria, 13 ottobre 2006, n. 22035. 163 Cfr. Cass. civ., Sez. tributaria, 26 febbraio 2010, n. 474. 161 162 63 di tutela del contribuente a differenza di quella prevista dall’art. 52 commi 2 e 3 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972: l’eventuale mancanza non può pertanto inficiare la validità dell’atto impositivo adottato sulla base di quella documentazione “irritualmente acquisita” 164. In una successiva sentenza dello stesso anno, la n. 25617/2010 165, oltre ad essere asseverato il principio di piena utilizzabilità in ambito tributario di prove acquisite in sede penale, viene confermato il principio di piena utilizzabilità e di conseguente validità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli elementi probatori irritualmente acquisiti, essendo l’autorizzazione del magistrato penale prevista e posta solo a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel procedimento. Viene inoltre evidenziato in questa sentenza che “ nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di giudicato opponibile in sede giurisdizionale diversa da quella penale 166, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione, secondo le regole proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova presuntiva”. In tal senso dispongono i supremi giudici anche nella Sentenza n. 22555, depositata in data 26 ottobre 2007, e nella Sentenza della Cassazione Civile, Sez. tributaria n. 27947, depositata in data 30 dicembre 2009. 165 Cfr. Cass. civ., Sez. tributaria, 17 dicembre 2010, n. 25617. 166 Attraverso la sentenza n. 12577 depositata in data 22 settembre 2000, la Sezione tributaria della Suprema Corte aveva già affermato il principio secondo il quale il giudice” può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di “giudicato opponibile” in sede giurisdizionale diversa da quella penale”, purché proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori 164 64 CAPITOLO TERZO UTILIZZABILITA’ DELLE PROVE ASSUNTE NEL PROCEDIMENTO PENALE E DI QUELLE ILLEGITTIMAMENTE ACQUISITE. 1. Utilizzabilità delle prove acquisite in altri processi. Ci si è domandato se sia possibile utilizzare nel processo tributario prove acquisite in altri processi, in modo particolare nel procedimento penale, quando siano rilevanti sia ai fini della configurazione del rapporto d’imposta che al fine della integrazione della fattispecie criminosa. Occorre evidenziare che alle testimonianze non dovrebbe essere attribuita alcuna valenza probatoria così come, più in generale, dovrebbe corrispondere la sanzione di inammissibilità anche alle prove assunte in altri processi . Riguardo le prove assunte nel processo penale, è stato evidenziato che, se si tratta di testimonianze, esse non hanno alcun valore per il giudice tributario, data la loro estraneità al processo tributario 167. Occorre rilevare che l'art. 310 c.p.c. 168, anche se fa discendere dall'estinzione del processo l'inefficacia degli atti, nel contempo prevede al terzo comma , che le prove raccolte debbano, nel reinstaurato processo, essere “valutate dal giudice a norma dell'art. 116 secondo comma”. È stato specificato che una previsione del genere, non avrebbe senso sia logico che giuridico, nel caso in cui nell’ordinamento processuale Così, TESAURO, 1999, Processo tributario, in NNSDI, p. 890. Art. 310 c.p.c. effetti dell’estinzione del processo prevede ;”1.l'estinzione del processo non estingue l'azione [2945 c.c.]. 2.L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza. 3.Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma. 4.Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate. 167 168 65 civilistico vigesse la norma in base alla quale il giudice di un processo è legittimato ad utilizzare le prove acquisite in diverso procedimento civile 169. A tale proposito, le uniche indicazioni, si rinvengono nel diritto positivo all’art. 310, terzo comma del codice di procedura civile, in base al quale le prove raccolte nel processo estinto sono valutate dal giudice del processo che venga eventualmente riproposto in base all’art. 116 c.p.c. 170 (ovvero come argomenti di prova). E’ stato affermato che queste due disposizioni non avrebbero senso se vigesse la regola, secondo la quale il giudice dell’un processo è legittimato ad acquisire le prove nell’altro processo “talchè e per converso se ne deve riconoscere il carattere di norme speciali e derogatorie, il quale non consente di estendere l’applicazione al di fuori del campo specifico vero e proprio” 171. Quindi, la norma quando prevede che il giudice tragga dalle prove raccolte nel processo estinto meri argomenti di prova, ex art. 116, secondo comma c.p.c., confermerebbe il carattere di norma speciale e derogatoria, considerando che il terzo comma dell’art. 310 c.p.c., trova la propria ratio in ragione della prosecuzione di un nuovo processo con identico oggetto. Si sostiene che, l’art. 310 c.p.c. si giustifica nell’ottica di una sorta di ideale prosecuzione del nuovo giudizio sullo stesso oggetto, che si presenta quindi come una riassunzione del processo estinto; non si può nemmeno trascurare il fatto che il travaso delle prove acquisite nel primitivo giudizio avviene con molta cautela, in quanto il giudizio successivo non può essere deciso esclusivamente in base ad esse, alle quali la norma in questione attribuisce il valore depotenziato di cui all’art. 116 c.p.c. 172. Così, GOBBI, Il processo tributario, Milano, 2011, p. 332. Art. 116 c.p.c. intitolato Valutazione delle prove, dispone : “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo. 171 Così, RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2005, pp. 183 ss. 172 Così, RUSSO, Manuale di diritto tributario, op. cit., p. 184. 169 170 66 Questa tesi non può trovare accoglimento, perché nell'ambito del diritto processuale civile, l'efficacia delle prove assunte in un diverso processo è contemplata, dall'art. 310, 3° co., ma si pone indirettamente nell'applicazione dell'art. 50 c.p.c. (che regola la riassunzione della causa); inoltre, sembra che l'interpretazione dell'art. 310, 3° co., c.p.c., non consenta la c.d. interpretatio optima. In dottrina 173 si ritiene che l'efficacia di argomento di prova valga soltanto per le prove liberamente valutabili costituite nel processo estinto, mentre non valga sia per i documenti, i quali, in quanto prove precostituite, hanno l'efficacia di prove raccolte in senso proprio, e sia per le prove legali costituite nel processo estinto, per le quali la valutazione è fatta dal Legislatore. Nell’ipotesi in cui la causa venga riassunta, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al giudice competente, è stato evidenziato che gli atti istruttori disposti ed espletati dal giudice che ha provveduto a dichiarare la propria incompetenza mantengono una sicura efficacia 174. Altri 175, invece, ritengono che essi manterrebbero l'efficacia probatoria ordinaria, come se le prove fossero state raccolte nel processo ad quem. Nell’ipotesi in cui la causa viene riassunta, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al giudice competente, gli atti istruttori disposti ed espletati dal giudice che ha dichiarato la propria incompetenza, mantengono la loro efficacia probatoria ordinaria, e ciò, in quanto, la translatio iudicii prevista dalla legge sulla base della struttura unitaria del processo e del principio dell'unità della giurisdizione, presuppone la valida costituzione dell'intero procedimento e quindi degli atti istruttori assunti davanti al giudice Si veda a riguardo, LUISO, Diritto processuale civile, 2000, II, Milano, p. 225. Cass. 2.2.1995, n. 1241, MCC, 1995; Cass. 6.9.1994, n. 7309, M CI, 1994, 685; Cass. 9.9.1993, n. 9444, CI, 1994, I, 1352; Cass. 28.4.1989, n. 2037, M CI, 1989, 287. 175 In tal senso, CONTE, Le prove civili, 2005, Milano, p. 557; BUONGIORNO, Il regolamento di competenza, Milano, 1968, p. 49. 173 174 67 incompetente inizialmente adito 176. Altri 177 ancora invece, ritengono che i mezzi materiali di prova assunti avrebbero efficacia di argomenti di prova o di indizi. La giurisprudenza di legittimità 178, invece, ha ritenuto che in mancanza di un esplicito divieto, il giudice sia libero di valutare i mezzi di prova raccolti in altro processo civile attribuendogli valenza probatoria indiziaria 179. E’ stato asserito che “Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutando liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti, una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata” 180. Il giudice tributario, in base al principio del giusto processo così come formulato nell’ art. 111 della Costituzione, può utilizzare queste risultanze solo nei confronti dei contribuenti che nel processo de quo, siano stati parti o imputati. Occorre evidenziare che a pena di inutilizzabilità, si richiede l'instaurazione del contraddittorio su di essa: tanto sulle modalità e sui limiti del suo impiego, che sul diritto alla prova o alla controprova. Appare evidente che rimangano del tutto impregiudicati sia il preventivo contraddittorio sulle modalità e sui limiti del loro utilizzo, sia l'esercizio del diritto alla prova o alla controprova, in favore di qualsiasi Così, CONTE, Le prove civili, op. cit, p. 557. Così, ATTARDI, 1991,Le nuove disposizioni del processo civile, pp. 142 ss. 178 Cfr., Cass. 19.9.2000, n. 12422, MCC, 2000, 1960; Cass. 18.9.2000, n. 12288, MCC, 2000, 1946; Cass. 11.8.1999, n. 8585, MCC, 1999, 1799; Cass. 23.4.1998, n. 4183, MCC, 1998, 867; Cass. 6.10.1998, n. 9902, MCC, 1998, 2028. 179 In tal senso, CONTE, Le prove civili, op. cit, p. 556. 180 Cass. 19.9.2000, n. 2000, MCC, 2000, 1960. 176 177 68 parte, nei cui confronti quelle risultanze o quelle fonti di prova dovrebbero essere considerate o valutate 181. Una parte della dottrina, ritiene che in base a quanto previsto dall'art. 329 c.p.p. 182, le risultanze delle prove formate nel processo penale non possono essere utilizzate a fini fiscali finché non sia venuto meno il segreto istruttorio. Le predette prove e notizie non sono utilizzabili, perché coperte dal segreto previsto dall'art. 329 c.p.p. (e fino a che dura il segreto); se sono ugualmente utilizzate, l'avviso di accertamento che viene emesso sulla base di tali prove è illegittimo 183. Questa ricostruzione non appare condivisibile in quanto l'art. 33, 3° co., così come modificato dall'art. 23 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, prevede che l'autorità giudiziale possa autorizzare in deroga all'art. 329 c.p.p.. (e quindi anche quando il segreto istruttorio non sia venuto ancora meno), la Guardia di finanza a utilizzare e trasmettere agli Uffici, documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria. Inoltre, gli stessi poteri di acquisizione, possono essere esercitati dal giudice tributario in ogni tempo, a prescindere dal segreto istruttorio, in virtù dei poteri officiosi riconosciuti dall'art. 7 del d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546 184, da intendersi non subordinati ad alcuna autorizzazione di organi Così, COMOGLIO, Prove penali e prove atipiche nel processo tributario, in CaraccioliGiardi-Lanzi, Diritto e procedura penale tributaria, Padova, 2001, p. 1286. 182 L’art. 329 c.p.p. prevede che “Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari » 183 In tal senso TESAURO, Processo tributario, op. cit., p. 890. 184 Art. 7 D.lgd 546/92 intitolato Poteri delle Commissioni tributarie afferma: “1. Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all'ente locale da ciascuna legge d'imposta. 2. Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre di consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni. 3. E' sempre data alle commissioni 181 69 giurisdizionali diversi 185. Nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che tali mezzi di prova possono trovare ingresso nel processo tributario sarebbero mezzi di prova atipici. Quando parliamo di prove atipiche ci riferiamo alla prova non prevista dal codice di rito nella parte riguardante i mezzi istruttori. Non vi sono altri strumenti per far entrare nel processo i mezzi di convincimento giudiziale se non con le formalità previste dal Codice di procedura civile per l’assunzione delle prove. Riguardo la forza probante delle prove raccolte in altri processi, è stato asserito che , anche in queste fattispecie, le prove raccolte altronde danno luogo ad elementi meramente indiziari, di per sé prive di autosufficienza probatoria 186 e come tali 187 inidonee a rendere il giudizio di superfluità di cui all'art. 209 c.p.c. (articolo che prevede la chiusura dell’assunzione) 188. Viene asserito che “tutte le risultanze delle prove formate ed assunte nel processo penale (...) possono essere liberamente acquisite dal giudice tributario (...). Egli, tuttavia, può utilizzarle e valutarle (...) unicamente quali fonti di prove per induzione, di per sé prive di autosufficienza decisoria, cioè con l’efficacia dei meri "indizi", nei limiti di ammissione delle presunzioni semplici (art. 2729 c.c.), o con l'efficacia tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. 4. Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale. 5. Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente. 185 Così, COMOGLIO, Prove penali e prove atipiche nel processo tributario, in CaraccioliGiardi-Lanzi, Diritto e procedura penale tributaria, op. cit., p. 1286. 186 Si veda COMOGLIO, Prove penali e prove atipiche nel processo tributario, op. cit., p. 1289. 187 Si veda RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, op. cit., p. 184. 188 L’art. 209 c.p.c prevede che “ il giudice istruttore dichiara chiusa l’assunzione quando sono eseguiti i mezzi ammessi o quando, dichiarata la decadenza di cui all’articolo precedente, non vi sono altri mezzi da assumere, oppure egli ravvisa superflua, per i risultati già raggiunti, la ulteriore assunzione.. 70 degli "argomenti di prova" (art. 116, 2° comma, c.p.c.)” 189. Il giudice a seguito della autonomia nella valutazione delle prove così assunte, dovrà motivare specificatamente la graduazione di efficacia attribuita ai mezzi di prova ponderati ai fini della decisione della controversia, specificando le eventuali ragioni che lo abbiano portato a scelte differenziate. Occorre evidenziare che le prove sono affidate alla libera valutazione del giudice, di conseguenza la loro mancata valutazione, non è idonea di per sé, ad integrare il vizio di motivazione, in quanto l'omissione riscontrata non può considerarsi influente in maniera decisiva, o secondo un giudizio di certezza, sulla pronuncia giudiziale. Infatti, è stato asserito che “Le prove raccolte in un diverso giudizio danno luogo ad elementi meramente indiziari. Consegue che la mancata valutazione di tali prove non è idonea ad integrare il vizio di motivazione, in quanto il difetto riscontrato non può costituire punto decisivo, implicando non un giudizio di certezza ma di mera probabilità rispetto all'astratta possibilità di una diversa soluzione” 190 2. Utilizzabilità delle prove acquisite nel processo penale. Il giudice, nel processo tributario, può fondare la propria convinzione anche sulla scorta di prove acquisite nel giudizio penale, anche quando questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di "giudicato opponibile" in sede giurisdizionale diversa da quella penale, a condizione che egli proceda ad una valutazione propria ed autonoma, rispettando le regole della distribuzione dell'onere della prova nel giudizio tributario e degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono rappresentare Così, COMOGLIO, Prove penali e prove atipiche nel processo tributario, op. cit. , p. 1289. 190 Cfr., Cass. 23.4.1998, n. 4183, MGC, 1998, 867. 189 71 fonte legittima di prova presuntiva 191 Questo determina che il giudice tributario non può escludere che possa costituire prova presuntiva, l'accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell'art. 425 c.p.p. 192. E’ stato asserito che, anche in appello, la parte può produrre una sentenza penale diretta a provare la propria tesi difensiva sostenuta ancora dal ricorso introduttivo del giudizio. Inoltre, essendo un’allegazione di un nuovo documento, prevista dell'art. 58 del d.lgs. 546/92, a sostegno di un'argomentazione difensiva già espressa e non della formulazione di un nuovo motivo di illegittimità dell'atto impugnato, o di una nuova eccezione, non incorre nel divieto di eccezioni nuove, non incorre nel divieto di eccezioni nuove previste all'art. 57 dello stesso d.lgs. 193. Nel processo tributario, la legittima utilizzabilità degli atti del procedimento penale non viene ostacolata dalla circostanza che l'autorizzazione al rilascio di copie, estratti e certificati di quel procedimento, richiesti dall'amministrazione finanziaria, venga rilasciata dal giudice procedente per le indagini preliminari e non pubblico ministero 194. La Cassazione ha asserito che, pur avendo le dichiarazioni rese in sede penale dagli amministratori di società coinvolta nel contenzioso tributario solo portata indiziaria, le stesse possono avere, nel processo tributario, efficacia decisiva , anche se non vi sono riscontri documentali. Infatti, il giudice tributario deve effettuare una valutazione totale degli elementi a sua disposizione, motivando le ragioni della loro inattendibilità, nell’ipotesi in cui Sulla utilizzabilità fiscale degli elementi di prova acquisiti in sede penale e degli effetti dei provvedimenti del giudice penale in sede tributaria di veda, MUSCO, Processo penale e accertamento tributario, in Riv. pen., 2012,923, TUNDO, Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti tra processo penale e tributario, in Corr. trib., 2012, 1682, IANNACCONE I rapporti tra processo penale e procedimento tributario alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, in Il Fisco, 2008, 7376. 192 Cass. 2/12/2002 n. 17037, in Il Fisco, 2003, 115 193 Cass. 25/05/2009 n. 12022 Fisco, 2009, 168 194 Cass. 3/08/2007 n. 17137 191 72 intenda escludere l'utilizzabilità delle stesse dichiarazioni 195. Occorre rilevare che, il provvedimento di archiviazione di un processo penale non esclude che lo stesso fatto possa essere diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile o tributario. Però siccome il suddetto provvedimento presuppone la mancanza di un processo 196, questo comporta che i fatti presi in considerazione in sede penale ai fini del reato di evasione fiscale devono essere autonomamente verificati dal giudice tributario, per determinare l'ambito specifico in cui l'accertamento di quei fatti è destinato ad operare 197. Una questione ancora non risolta dalla giurisprudenza è quella dell’utilizzabilità nel giudizio tributario di atti ritenuti inammissibili e, quindi, non utilizzabili nel processo penale. Vi sono a riguardo due orientamenti. Il primo asserisce che la specifica tutela dell’imputato nel processo penale in merito alla valutazione di inutilizzabilità delle prove, non possa trovare applicazione nel giudizio tributario in quanto , in quest’ultimo, entrano in gioco gli interessi di natura fiscale delle parti. L’altro orientamento sostiene che non esistono ragioni per diversificare la valutazione del giudice penale e del giudice tributario al fine di una discriminazione a sfavore del contribuente il quale potrebbe vedersi opposto in sede di giudizio tributario un atto legittimamente eliminato nel giudizio penale 198. La suprema Corte aderisce al primo orientamento riguardo l’inutilizzabilità degli atti penali nel processo tributario nell’ipotesi in cui l’autorizzazione da parte dell’Autorità giudiziaria manchi (o sia illegittima); in Cass 4/04/2008 n. 8772. Cass. 18/05/2007 n. 11599 197 Cass. n 10945/2005. 198 Per un approfondimento del principio di legittimità dell'assunzione delle prove. Si veda, SEPE, L'inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite e la valenza degli elementi emersi in sede penale, in Il Fisco, 2009,63 195 196 73 questo caso gli atti acquisiti dal giudice tributario non sono inutilizzabili 199. Non essendo il principio di inutilizzabilità della prova acquisita irritualmente norma peculiare del procedimento penale non costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico, quindi, la mancanza dell'autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione di atti documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penale non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario 200. E’ stato asserito che non vi è per il procedimento tributario la previsione di inutilizzabilità degli elementi acquisiti in sede di verifica, in mancanza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Questo perché, facendo riferimento alle disposizioni previste in capo di IVA, l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, per l'utilizzazione a scopi tributari e per la trasmissione agli uffici finanziari di dati, documenti e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria riguarda le indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche di terzi indagati. Il fine della suddetta autorizzazione è quello di consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per scopi esclusivamente penali, e non di permettere l’accesso della Guardia di finanza ai dati bancari a fini fiscali. Occorre rilevare che la predetta autorizzazione è stata introdotta per tutelare soprattutto gli interessi protetti dal segreto istruttorio, “piuttosto che per filtrare ulteriormente l'acquisizione di elementi significativi a fini fiscali” 201. In merito al problema della possibilità di produrre nel processo Riguardo il rilievo dell’autorizzazione del Magistrato per l’utilizzo nel procedimento tributario delle indagini di polizia giudiziaria si veda, GALLO, La rilevanza a fini fiscali degli elementi acquisiti in sede panale in, Boll. Trib. inf. 2009, 1077. 200 Cfr., Cass 20/01/2010, n. 85. 201 Cass 20/01/2010, n. 85, op. cit. 199 74 tributario documenti sottoposti a segreto investigativo è stato evidenziato che, l’art. 63 , comma 1, D.P.R 633/72 (in tema di Iva) che l’artr. 33, comma 3, D.P.R. n. 600/73( sulle imposte sui redditi) , stabiliscono che la Guardia di Finanza, anche in deroga al segreto investigativo, dopo aver ottenuto l’autorizzazione da parte dell’Autorità giudiziaria, può trasmettere informazioni, dati e notizie acquisiti nel corso delle indagini all’Agenzia delle Entrate. Si ritiene che, anche se l’art. 270 c.p.p. prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, a meno che non siano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è necessario l’arresto in flagranza, le intercettazioni possono essere utilizzate anche nel processo tributario. È stato evidenziato che il suddetto limite di utilizzo non può essere ampliato al processo tributario ma riguardi altri procedimenti penali; quindi, nell’ipotesi in cui si sia nella fase delle indagini preliminari, dove le intercettazioni sono coperte da segreto istruttorio, si può chiedere all’Autorità giudiziaria, a tutela della privacy, l’oscuramento di alcuni dati 202. In sede penale non è richiesto come requisito di ammissibilità che sia osservato il principio del contraddittorio, in quanto la difesa può essere attuata anche nel processo tributario, avendo il giudice tributario la facoltà di non attribuire rilievo ad elementi di prova privi di garanzie difensive che si sono formati nel giudizio penale. Possono essere utilizzate, in un diverso giudizio da quello in cui sono state espletate, quindi anche in quello tributario, vertente sia tra le parti stesse che tra parti diverse, sia la perizia penale, che la C.T.U. effettuata in sede civile. Naturalmente, nel giudizio tributario, le perizie di cui sopra saranno 202 Sul punto si veda, D. CHINDEMI, Rapporti tra processo tributario e processo penale, in www.giustizia-tributaria.it, 19 dicembre 2012, pag. 8-12; F. TESAURO, La prova nel processo tributario, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 2000, 01, p. 73. 75 valutate alla stregua di prove atipiche 203. Anche riguardo al diritto di difesa, vi sono delle differenze rispetto al processo penale; infatti, nel processo tributario, rispetto a quello penale, l'udienza non può essere differita per legittimo impedimento del difensore, a meno che non si dimostri l’impossibilità della sostituzione. E’ stato asserito che “l'istanza di rinvio dell'udienza dì discussione della causa per grave impedimento del difensore, a sensi dell'art. 115 disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all'impossibilità di sostituzione, venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all'organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell'udienza” 204. Il D.P.R. n. 546 del 1992, all’art. 1, comma 2, richiama, nel procedimento tributario, l’applicazione dell’art. 115 disp. att. c.p.c., il quale prevede che il giudice può rinviare la discussione della causa "per grave impedimento del tribunale o delle parti" e contro il rigetto dell’istanza di rinvio presentata dal difensore “non può essere dedotta la violazione di norme ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 dovendosi eventualmente denunciare il vizio di motivazione inerente alla giustificazione dell’utilizzo di tale potere” 205. 2.1 Utilizzabilità delle decisioni penali. Attraverso l’art. 25 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 si è abrogato l’art. 12 del d.lgs. n. 429 del 1982 che prevedeva il principio secondo cui la sentenza penale irrevocabile aveva autorità di cosa giudicata nel processo tributario. Questo ha determinato che l’efficacia della sentenza penale sull’accertamento tributario, non è regolamentata da nessuna esplicita 203 Così CHIDEMI, Rapporti tra processo tributario e processo penale, in www.giustizia- tributaria.it, p. 12. 204 205 Cass. 2 novembre 2011,n. 22713 Cass. 19 marzo 2010 n. 6753. 76 disposizione 206. Nella circolare n. 154/E del 2000 207 viene previsto che, in assenza di una normativa derogatoria, si applicano le disposizioni ordinarie che riguardano l’efficacia del giudicato penale e, nello specifico, l’art. 654 c.p.p. 208 Il d.lgs. n. 74 del 2000, all’art. 20, prevedendo che “il procedimento amministrativo ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”, pone in evidenza la autonomia dei due procedimenti 209. Attraverso queste due norme il legislatore ha creato un meccanismo normativo che riduce, al massimo, le interferenze tra processo tributario e processo penale, in quanto si venivano ad istaurare due procedure parallele sugli stessi fatti, e che potevano portare a giudicati contrastanti 210. Come già accennato, con l’abrogazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 429 del 1982, la fattispecie è disciplinata dall’art. 654 c.p.p.. Riguardo il rapporto tra processo penale e procedimento tributario si veda, ARDITO, Ancora qualche riflessione sul rapporto tra processo penale e procedimento tributario, in Rass. trib., 2003, 278; PAPIRI, Brevi note sul rapporto tra processo penale e processo tributario, in Rass. trib., 2003, 1144. 207 Cfr. Circolare 4 agosto 2000, n. 154/E del Ministero delle finanze – Dip. Entrate – Dir. centr. Affari giuridici e Contenzioso tributario, in Fisco, 2000, 10065. 208 Art. 654 c.p.p si intitola”Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi e prevede che: “1. Nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa.”” 209 Si veda, SCREPANTI, L’accertamento tributario, cit., 2035. Sull’autonomia dei due processi, cfr. Corso, I rapporti tra i procedimenti penale e tributario, in Corr. trib., 2001, 3553. 210 Si veda FORTUNA, I rapporti tra processo penale e processo tributario, in Fisco, 2008, 1, 1784, in base al quale, invece, con la riforma penale del 2000, il giudice penale dovrà accertare l’entità e l’effettività dell’imposta dovuta; sostanzialmente, quindi, tale giudice sarà chiamato ad un accertamento non dissimile da quello operato dal giudice tributario: ne consegue che i risultati dovrebbero coincidere. 206 77 Questa norma prevede che l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, è assoggettata, da un lato, alla circostanza che nel giudizio civile o amministrativo la soluzione dipende dagli stessi fatti materiali che sono stati oggetto del giudicato penale e dall’altro, che la legge civile non ponga dei limiti alla prova della posizione soggettiva controversa. Occorre rilevare che esistendo nel processo tributario i limiti in materia di prova previsti dall’art. 7, 4 comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, ed essendo ammessi, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, 2° comma, del d.p.r. n. 600 del 1973), prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di tale prova tanto nel processo civile (art. 2729, 1o comma, c.c.), che nel processo penale (art. 192, 2° comma, c.p.p.), l’operatività dell’art. 654 c.p.p. viene limitata. Questo ha comportato che non può attribuirsi, nel giudizio tributaria, una automatica autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, pronunciata in materia di reati tributari, anche se i fatti accertati in sede penale siano i medesimi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha avviato l’accertamento nei confronti del contribuente” 211. Quindi, il giudice tributario in assenza di condizionamento della sentenza penale, non può dedurre la presenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, ampliandone gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo Ufficio tributario; inoltre, il giudice non può sottrarsi dal valutare la portata del giudicato penale ma, nell’espletamento dei suoi poteri autonomi di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, comunque, analizzare ‘importanza nello specifico campo in cui esso è destinato ad operare 212. Cfr., Cass., sez. trib., 23 maggio 2012, n. 8129, in Bancadati fiscovideo Cfr. Cass., sez. VI civ. - T, ord. 24 ottobre 2012, n. 18233; Cass., sez. trib., l5 luglio 2011, n. 14817, in Riv. dir. trib., 2011, II, 453, con nota di NICOTINA, Le interferenze tra processo tributario e processo penale: pregiudizialità, autonomia o coordinazione critica 211 212 78 Da tutto ciò si evince che il giudicato penale, anche se non ha ne processo tributario una efficacia vincolante, rappresenta comunque un elemento che il giudice di merito, nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di esame del materiale indiziario probatorio, può valutare 213. La circostanza di non riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale non esclude, sia la possibilità, da parte dell’ufficio, di poter utilizzare la sentenza come prova esclusiva su cui fondare l’emissione dell’avviso di accertamento e, sia al giudice, di basare la sua decisione, dimostrando, naturalmente, di aver compiuto una propria ed autonoma valutazione 214. E’ stato evidenziato che il giudicato penale ha efficacia vincolante per il giudice tributario, qualora sia fondato su prove ammesse nel processo tributario (per esempio documenti) 215. Bisogna osservare che non può riconoscersi efficacia extrapenale: alle sentenze di proscioglimento pronunciate in esito all’udienza preliminare 216, alla sentenza pronunciata con rito abbreviato, ed alle sentenze di patteggiamento, in quanto dette sentenze non contengono un giudizio di accertamento dei fatti, in quanto non è presente la fase dibattimentale, ma solo una mera deliberazione. Solo alle sentenze pronunciate a seguito di Cfr, Cass., sez. trib., 18 dicembre 2009, nn. da 26664 a 26667, in Bancadati - I Quattro Codici BIG. 214 Si veda a riguardo, S. GALLO, Limiti all’efficacia del giudicato penale nel processo tributario, in Fisco, 2009, 1, 2748. In giurisprudenza: Cass., sez. trib., 13 aprile 2000, n. 12577, retro, 2001, II, 296, con nota di SCIELLO, Abolizione dell’art. 12, l. n. 516 del 1982 e influenza del giudicato penale nel processo tributario; Cass., sez. trib., 1o febbraio 2006, n. 2213, in Bancadati fiscovideo 215 Così, CORDERO, Codice di procedura penale, Torino, 1992, 786. Secondo MAZZA, I perduranti effetti del giudicato penale nel processo tributario e nei confronti dell’amministrazione finanziaria, in GT - Riv. giur. trib., 2002, 732, questa soluzione risulta apprezzabile anche in termini di economia processuale e di ragionevole durata del processo tributario: il vincolo del giudicato penale eviterebbe una nuova assunzione di mezzi di prova già acquisiti e valutati dal giudice penale e non vietati dalla legge civile. 216 Cfr. Cass., sez. trib., 22 settembre 2000, n. 12577, in GT - Riv. giur. trib., 2001, 192, con nota di CORSO, Sentenza di non luogo a procedere e pretesa inopponibilità all’amministrazione finanziaria rimasta estranea al processo penale, secondo i giudici la sentenza di non luogo a procedere non costituisce giudicato penale in senso tecnico, essendosi in presenza di una sentenza revocabile in caso di sopravvenienza o scoperta di fonti di prova. 213 79 dibattimento si può riconoscere l’efficacia extrapenale del giudicato 217. In merito alle suddette sentenze si è evidenziato che dal comportamento del contribuente (ad es. richiesta di applicazione di pena) e dalla fatto che il giudice sulla base degli atti, invece di prosciogliere, applica la pena, si potrebbe dedurre una presunzione riguardo la sussistenza del fatto descritto nell’imputazione. Naturalmente il fatto, per assumersi provato in sede tributaria, deve avere rilevanza tributaria e la sua fondatezza non deve essere smentita da altre circostanze (risultanti dagli atti o provate dal contribuente ) conosciute dal giudicante 218. La Corte di Cassazione, in una sentenza del 2011, ha asserito che la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. rappresenta un evidente elemento di prova presuntiva per il giudice di merito, il quale, nel caso in cui non ritenesse di riconoscere la predetta efficacia probatoria, ha l’obbligo di chiarire li motivi per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia tenuto conto di questa ammissione 219. La presunzione probatoria può essere superata se in contribuente-imputato dimostra, che ha preferito di scegliere il rito speciale dell’applicazione della pena, pur essendo innocente 220. Quindi la Corte, evidenzia che se l’imputato richiede il patteggiamento, ammette la propria responsabilità; infatti, mediante la predetta richiesta, egli intende negoziare sulla pena e quindi su un elemento che In tal senso, ROSSI, L’efficacia probatoria della sentenza penale in sede tributaria, in Fisco, 2000, 12455; 218 Così, MARCHESELLI, L’efficacia probatoria nel processo tributario del patteggiamento penale, retro, 2003, II, 707, commento a Cass., sez. trib., 17 gennaio 2001, n. 630. 219 Cfr., Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18902, in Bancadati – I Quattro Codici BIG 220 Nella Circolare 29 dicembre 2008, n. 1 il Comando Generale della Guardia di Finanza ha anche preso in considerazione la questione attinente gli effetti del c.d. patteggiamento, affermando che “sebbene il codice di rito ne escluda qualsiasi efficacia esterna nei giudizi civili e amministrativi, la pronuncia emessa in base all’art. 444 c.p.p. costituisce, comunque, un importante elemento di prova, con conseguenza che il giudice tributario, nell’ipotesi in cui intenda disconoscerne ogni rilievo probatorio, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso la sua responsabilità in realtà insussistente e il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione”. 217 80 presuppone il riconoscimento, in quanto l’imputato innocente non ha interesse a promuovere tale iniziativa. Però, questo riconoscimento rappresenta solo un elemento di prova importante, dal quale il giudice tributario, con idonea motivazione, può non tenere conto 221. Occorre rilevare che, la sentenza di applicazione di pena patteggiata, anche se non configurabile come una sentenza di condanna prevede comunque una ammissione di colpevolezza che libera la controparte dall’onere della prova 222. Quindi, l’efficacia probatoria della sentenza di patteggiamento è meramente presuntiva 223, la quale può essere superata esclusivamente mediante la prova contraria che dovrà fornire il contribuente 224. La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la sentenza di patteggiamento della pena è un provvedimento di condanna atipico che viene emesso indipendentemente dalla fondatezza del merito dell’imputazione. Di conseguenza la “motivazione di un provvedimento, riferita a tale tipo di sentenza quale causa concorrente, se non assorbente della decisione adottata , appare fuorviante ed illegittima, tenuto conto dell’obbligo gravante sull’amministrazione di effettuare un’autonoma riconsiderazione dei fatti posti a base del procedimento, per nulla influenzabile dall’esito di quello di natura penale” 225. Comunque, viene consentito il riferimento agli atti del procedimento Cfr., Cass., sez. trib., 3 dicembre 2010, n. 24587, in Boll. trib., 2011, 206; Cass., sez. trib., 11 febbraio 2009, n. 3293, in Bancadati – I Quattro Codici BIG; Cass., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17105, in Boll. trib., 2007, 1567; Cass., sez. trib., 30 settembre 2005, n. 19251, in Fisco, 2005, 1, 6334; Cass., sez. trib., 19 dicembre 2003, n. 19505, in Boll. trib., 2004, 396; Cass., sez. trib., 24 febbraio 2001, n. 2724, in Boll. trib., 2001, 1021; Cass., sez. trib., 10 novembre 1998, n. 11301, in Fisco, 1999, 126. 222 Cfr. Cass., 5 maggio 2005, n. 9358, in La Legge plus. 223 Così, MARCHESELLI, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 104, secondo il quale il patteggiamento è una presunzione semplice, un’illazione che l’ufficio tributario e il giudice tributario possono trarre dalla condotta del contribuente nel diverso pro cesso. L’ufficio prima ed il giudice poi devono espressamente argomentare l’illazione «se hai patteggiato sussisteva l’evasione», non esistendo alcun automatismo probatorio. 224 In tal senso, AMATUCCI, L’efficacia probatoria del patteggiamento nel processo tributario, in Fisco, 2005, 1, 4674. 225 Cfr., Cons. Stato, sez. I, 2 marzo 1994, n. 199/94, in Cons. Stato, 1997, I, 302 221 81 penale di patteggiamento, con lo scopo di ritenere sussistenti fatti che siano stati ammessi o in ogni caso addebitabili all’incolpato. L’assoggettamento a tassazione dei proventi derivanti da attività illecita rappresenta un particolare caso in cui viene ammessa, agli uffici finanziari, la possibilità di utilizzare, in ambito tributario, le decisioni emanate dal giudice penale. La suddetta fattispecie è stata disciplinata dall’art. 14, 4° comma, della l. 24 dicembre 1993, n. 537 226, al quale, è stato aggiunto, il comma 4-bis (dall’art. 2, 8° comma, della l. 27 dicembre 2002, n. 289). Il comma 4 bis dell’art. 14 L.537/93 prevede che nella determinazione dei redditi da proventi illeciti “non sono ammessi in deduzione i costi e le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti”. In questo caso l’ammissione ed il conseguente accertamento presuntivo, non possono ritenersi delimitati all’esercizio di decidere se eseguire la pretesa fiscale, ma, in base alle indicazioni risultanti dal capo d’imputazione patteggiato ed al risultato delle indagini penali( che hanno portato al patteggiamento), ma riguardano anche i relativi profili quantitativi, concorrendo a definirli 227. Si può, quindi, asserire che la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., prevedendo comunque un’ammissione di colpevolezza, rappresenta un elemento di prova almeno di natura presuntiva, di cui il giudice tributario può tenere conto nel giudizio sull’accertamento, fermo restando la possibilità per il contribuente di superare la presunzione fornendo la prova contraria . Anche al decreto di archiviazione, che viene emesso in assenza di Art. 14, 4o comma, l. n. 537 del 1993: nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, 1o comma, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in essi classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria 227 Cfr. ,Cass., sez. trib., 16 novembre 2012, n. 20133, in Bancadati fiscovideo. 226 82 dibattimento, non può attribuirsi autorità di cosa giudicata nel giudizio tributario. Spesso le commissioni tributarie avevano basato la loro decisione sul decreto di archiviazione che veniva emesso in sede penale e per questa ragione la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi. La Cassazione ha asserito che, la commissione tributaria regionale deve fornire una adeguata motivazione in base alla quale ha ritenuto che il decreto di archiviazione fosse idoneo a superare l’insieme degli indizi prodotti dall’ufficio e non limitarsi a rilevare il giudizio penale; questo perchè, anche nell’ipotesi in cui l’imputato avesse ottenuto un decreto di archiviazione in sede penale, potrebbe essere comunque responsabile fiscalmente quando l’atto si basi su indizi, che pur essendo insufficienti per un giudizio penale, risultano idonei, fino a prova contraria, a fondare in tutto o in parte il debito tributario 228. E’ stato anche criticato dalla Corte il principio in base al quale gli elementi posti a fondamento del decreto di archiviazione assumono nel giudizio tributario un rilievo tale da ritenere gli elementi prodotti dall’ufficio finanziario, delle mere presunzioni. 229. Quindi il contribuente non può limitarsi ad invocare il decreto di archiviazione a sé favorevole ma deve altresì fornire la prova così come l’ha prodotta nel giudizio penale 230. Cfr. Cass., sez. trib., 16 febbraio 2010, n. 3564 in Corr. trib., 2010, 1040, con commento di CORSO, L’archiviazione penale non esonera il giudice tributario da una motivazione adeguata. 229 Cfr. Cass., sez. trib., 17 marzo 2010, n. 6457, in Bancadati - I Quattro Codici BIG. 230 Cfr. Cass., sez. trib., 1 giugno 2012, n. 8829, in Bancadati fiscovideo. 228 83 3. Il problema della applicabilità dell’art. 191 c.p.p. all’accertamento tributario e sua interpretazione in ambito penalistico. Come già evidenziato, la giurisprudenza per negare l’inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite asserisce, la mancanza di un generale principio nell’ordinamento giuridico, rilevando anche la limitata applicabilità, al solo processo penale, della disposizione di cui all’art. 191 c.p.p. Occorre evidenziare che, bisogna tenere separato, il profilo della inesistenza di un principio di diritto positivo, da quello dell’ambito di applicazione del suddetto art. 191. Infatti, dal punto di vista formale, l’art. 70 del d.p.r. n. 600 del 1973 sembra risolvere la questione della fonte del principio menzionato: attraverso il criterio del rinvio, risultano applicabili, in materia di accertamento, le norme del codice di procedura penale 231. Ci si è domandato se il sistema probatorio tributario è riconducibile al sistema probatorio civilistico ovvero a quello penalistico. Sembra condivisibile la tesi 232 che vede una assimilazione tra sistema probatorio tributario e la impostazione penalistica. A sostegno di questa tesi vi è la qualificazione delle parti nella fase procedimentale e istruttoria; infatti, sia in ambito penale che in ambito tributario, le norme attribuiscono alla sola parte pubblica significativi poteri funzionali alla assunzione degli elementi di prova, che, come è stato rilevato, rappresentano una sorta di contraltare rispetto alla situazione di fatto deteriore in cui quella stessa parte versa nel momento della commissione del fatto 233. Occorre evidenziare di contro che, nel caso in cui sia ravvisabile una parità tra le parti, non sarebbe accettabile una tale differenza di trattamento; infatti nessun privilegio è sul punto Questo profilo, di natura formale, è evidenziato da FERLAZZO NATOLI, Limiti all’acquisizione di conoscenza nel procedimento probatorio fiscale, in Riv. Dir. trib., 2002, p. 259, e da MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000, pp. 117 ss. 232 Per la sua ampia argomentazione, rinvio a MULEO, Contributo allo studio del sistema probatorio di accertamento, op. cit., pp.113 ss. 233 Così, PORCARO, Profili ricostruttivi del fenomeno della (in)utilizzabilità degli elementi probatori illegittimamente raccolti. la rilevanza anche tributaria delle (sole) prove «incostituzionali», in Dir. E prat. Trib., n. 1/2005, p. 28. 231 84 riconosciuto dalla disciplina civilistica. La riconducibilità del sistema probatorio tributario a quello penale non sembra essere ostacolata nemmeno nella asserita diversità tra istruzione primaria (di natura amministrativa e riguardante l’accertamento) e istruzione secondaria (di natura processuale e riguardante la controversia). In quanto, se è vero che i principi del diritto processuale non sono estensibili tout court al procedimento di accertamento, il contrario non vale in assoluto; ovvero non è la semplice natura (processuale) della norma ad impedirne l’applicazione alle fasi procedimentali tributarie, ma, semmai, la sua accertata incompatibilità strutturale e funzionale 234. Quindi, nel momento in cui viene asserito che, non solo l’istruttoria amministrativa rappresenta l’istruttoria processuale, sulla base che quest’ultima si modella sulla prima 235, ma soprattutto che la dimensione dell’istruttoria processuale può essere più ampia di quella amministrativa 236, dovrebbe derivare l’assimilazione del sistema probatorio tributario a quello penale quanto meno riguardo alle indagini preliminari 237 . Inoltre, proprio la diversa dimensione tra istruttoria processuale e istruttoria amministrativa giustificherebbe la qualificazione del vizio emergente dalla irrituale acquisizione degli elementi di prova come inutilizzabilità, piuttosto che come invalidità derivata; quando cioè il fatto sia dimostrabile sulla base, non solo della viziata istruttoria amministrativa, ma Infatti, non tutte le norme del codice di procedura penale attengono al processo, potendo riguardare invece la fase delle indagini, e quindi la fase istruttoria. 235 Bisogna osservare che, trattando di inutilizzabilità, già in ambito penale si sottintende che il problema è quello della acquisizione al dibattimento di atti precostituiti (così, DE GREGORIO, L’inutilizzabilità, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, vol. I, Le prove, a cura di Marzaduri, Torino, 1999, p. 207). 236 Si veda sul punto, RUSSO, Problemi della prova nel processo tributario, in Rass. trib., 2000, 379 ss. Anche VANZ, Indagini fiscali irrituali e caratteri della «spontanea» collaborazione del contribuente o di terzi ai fini dell’utilizzabilità del materiale probatorio acquisito, in Rass. trib., 1998, 1393, 237 DE GREGORIO, L’inutilizzabilità, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale, vol. I, Le prove, a cura di Marzaduri, Torino, 1999, p. 202. 234 85 anche della (legittima) istruttoria processuale 238 , la pretesa potrà dirsi fondata. Appare quindi condivisibile la tesi che sostiene l’applicabilità dell’art. 191 c.p.p. anche alla fase procedimentale di accertamento tributario. 3.1 Utilizzabilità di atti di provenienza illecita. Esaminiamo ora la possibilità di utilizzare nel processo tributario atti di provenienza illecita.. La Cassazione ha asserito che, in sede penale compete al giudice del merito verificare l’utilizzabilità di una prova che sia stata acquisita nel corso dell’attività d’indagine, questo perché le acquisizioni documentali della Guardia di finanza riguardano il procedimento di accertamento fiscale e siccome la loro natura è di atti amministrativi, vanno al di fuori dalla disciplina che regola le rogatorie. Inoltre, non si applica ai documenti autonomamente acquisiti dalla parte all’estero direttamente dalle amministrazioni competenti la sanzione d’inutilizzabilità degli atti assunti per rogatoria, mentre la successiva utilizzazione processuale va stabilita avuto riguardo alla disciplina dettata e regolata dagli artt. 234 e ss. c.p.p 239. Viene inoltre asserito dalla Cassazione che, non vi è violazione dell’art. 191 c.p.p. in sede penale nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari respinga l’istanza del pubblico ministero di procedere alla distruzione di documenti (nel caso di specie contenuti nelle così dette “carte Falciani”). Naturalmente i documenti non possano essere utilizzati in dibattimento nel caso in cui siano stati acquisiti in violazione di legge. Il caso trattato dalla Corte di Cassazione riguarda un dipendente infedele della HSBC Private Bank di Ginevra tale Falciani Hervè, il quale si è Questo presuppone la accettazione della tesi, per cui la Amministrazione finanziaria può non produrre con l’atto di accertamento, ma solo appunto nella fase processuale, gli elementi di prova della propria pretesa. 239 Cass. pen. 4 ottobre 2012 n. 38753 238 86 introdotto nel sistema informatico e ha copiato dei file dai quali risulta come numerosi cittadini dei diversi Paesi della Comunità Europea disponessero presso la banca di cospicui fondi, non denunciati al Fisco. Nel caso de quo, La Corte ha sostenuto che indipendentemente dalla verifica in sede penale della utilizzabilità o meno della lista Falciani , quest’ultima può legittimante essere utilizzata da parte dell’Agenzia delle Entrata a base dei suoi accertamenti fiscali, la cui contestazione in sede di giudizio tributario sarà possibile in forza dei normali criteri di illegittimità degli atti e accertamenti della Agenzia, senza , tuttavia, potere dedurre l’illegittima acquisizione degli atti da cui è originata l’indagine fiscale, anche se dovessero essere ritenuti inutilizzabili dall’Autorità penale, perché, “formati attraverso la raccolta illegale di informazioni” (stampa di materiale contenuto in un sistema informatico riservato nel quale il Falciani si è abusivamente introdotto contro la volontà chi aveva diritto ad escluderlo ). Quindi, anche se si tratta dì documenti di origine illecita, il loro contenuto può essere utilizzato nel processo tributario. Infatti la Suprema Corte ha più volte asserito che consente che i dati bancari acquisiti nell'indagine penale in maniera irrituale a carico del contribuente o di terzi possono essere sempre utilizzabili ai fini dell'accertamento fiscale 240. 4. La trasmissione di documenti, dati e notizie agli uffici finanziari e l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. La Guardia di finanza, agisce sia come polizia tributaria che, come Polizia giudiziaria 241 ; in questo ultimo caso essa svolge attività investigative Cass. 20.1.2010, n. 857 . Nella Circ. Guardia di Finanza n. 1 del 2008, Parte VII, Capitolo I, sono definiti i rapporti fra funzioni di polizia tributaria e funzioni di polizia giudiziaria. Secondo tale circolare “la differenza riguarda sostanzialmente due profili distinti ma speculari: il primo, connesso alla constatazione che l’attività ispettiva fiscale può portare ad acquisire non solo elementi probatori di comportamenti evasivi o comunque di irregolarità nell’applicazione della 240 241 87 per conto di un organo giudiziario, un magistrato o un giudice 242. Occorre evidenziare che sia l’articolo 33, 3° comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 (in materia di imposte sui redditi) e sia l’art. 63, 1° comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 (in materia di iva) stabiliscono che la Guardia di Finanza può, previa autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, utilizzare e trasmettere agli uffici finanziari, ai fini dell’accertamento della maggiore imposta dovuta, documenti dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri di Polizia Giudiziaria. Bisogna domandarsi, da un punto di vista procedimentale, se la predetta autorizzazione da parte dell’Autorità, in quanto richiesta dalla legge, sia necessaria anche nel procedimento tributario o, invece, sia limitata a tutelare le indagini penali; ed, inoltre, se gli elementi probatori acquisiti dalla Guardia di finanza in veste di polizia giudiziaria possano essere liberamente utilizzabili dagli uffici tributari e possano essere posti a fondamento di un avviso di accertamento 243. Sorge anche il problema, di verificare se le dichiarazioni che l’indagato rilascia nel corso del procedimento penale possano essere utilizzate nel processo tributario, visto il divieto , previsto per quest’ultimo processo, l’uso della prova testimoniale. L’art. 33, 3° comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 e l’articolo 63, 1° comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 prevedono espressamente che vi sia normativa fiscale e, quindi, alla formulazione di proposte di recupero a tassazione e di applicazione di sanzioni amministrative, ma anche ad individuare fonti di prova di responsabilità penali, di norma con riferimento a reati tributari, ma anche per fattispecie di diversa natura, come, ad esempio, reati societari, contro il patrimonio, contro la Pubblica Amministrazione, fallimentari, ecc.; il secondo, riguardante la possibilità che, nel corso delle indagini o comunque nell’ambito del procedimento penale, i quali, peraltro, contemplano attività di acquisizione probatoria ben più incisive ed estese rispetto a quelle previste in ogni altro settore connotato dalla presenza di potestà ispettive, si pervenga all’ottenimento di risultanze comprovanti condotte evasive o irregolarità fiscali che, a prescindere dalle responsabilità penali, possono portare al recupero di imposte evase” 242 Si vedano gli art. 55, 56, 58 e 59 c.p.p. 243 Si veda, MARCHESELLI, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 85 88 l’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria. Bisogna evidenziare, che sia la giurisprudenza, che la dottrina 244 ammettono il trasferimento delle risultanze penali nel procedimento tributario anche in assenza dell’autorizzazione, essendo tale atto posto esclusivamente a tutela delle indagini penali e del segreto istruttorio 245 e non già a garanzia dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o dei terzi; inoltre, non deve necessariamente essere allegata all’atto impositivo 246. E’ stato infatti rilevato che lo scopo dell’autorizzazione, non è quello di consentire l’accesso della Guardia di Finanza ai dati penali 247 ai fini fiscali ma, quello di permettere la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali 248. Questo determina che la mancanza dell’autorizzazione non incide ai fini dell’efficacia probatoria dei dati trasmessi 249, né determina l’invalidità o nullità dell’atto impositivo basato sugli stessi 250. Alcuni ritengono che l’autorizzazione del P.M. è condizione indispensabile per l’utilizzazione e la trasmissione; quindi, in caso di mancanza o di diniego della stessa, gli atti e i documenti non devono e non Così, GALLO, La rilevanza ai fini fiscali degli elementi acquisiti in sede penale, in Boll. trib., 2009, 1077; IANNACCONE, I rapporti tra processo penale e procedimento tributario alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, in Fisco, 2008, 1, 7376. 245 Cfr. Corte cost., 18 febbraio 1992, n. 51, in Corr. trib., 1992, 1263. 246 Cfr. Cass., sez. trib., 13 maggio 2011, nn. da 10573 a 10577, in Banca Dati - Big; Cass., sez. trib., 9 luglio 2010, n. 16233, in Banca Dati – Big. 247 Cfr. Cass., sez. trib., 5 luglio 2001, n. 9100, in Bancadati fiscovideo; Cass., sez. trib., 25 maggio 2001, n. 7146, in Bancadati fiscovideo. 248 Cfr. Cass., sez. trib., 15 aprile 2011, nn. da 8604 a 8607, in Banca Dati - Big; Comm. trib. prov. Taranto, sez. I, 25 marzo 2011, n. 382, in Banca Dati - Big. 249 Cfr. Cass., sez. trib., 2 aprile 2007, n. 8181 in Bancadati fiscovideo, secondo la quale la carenza di autorizzazione, che precede la trasmissione degli atti e non l’avvio delle indagini, non è suscettibile di incidere direttamente sulla legittimità dei provvedimenti fiscali emanati a seguito dell’utilizzo dei documenti, dati e notizie in tal modo acquisiti. 250 Cfr. Cass., sez. trib., 10 luglio 2012, n. 11607; Cass., sez. trib., 7 aprile 2008, n. 8859, con commento di IORIO, La mancanza dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria non inficia l’avviso di accertamento, in Fisco, 2008, 2, p. 3145; Da sottolineare un orientamento della Comm. trib. prov. Treviso, sez. IV, 11 maggio 2001, n. 56, in Bancadati fiscovideo, secondo cui sono nulli gli avvisi di rettifica iva e gli avvisi di accertamento irpef e ilor fondati su dati ed elementi acquisiti dalla polizia giudiziaria in sede di indagine penale se la loro utilizzazione non è preceduta dall’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria. 244 89 possono essere né utilizzati né trasmessi. Questo determina che, le prove acquisite senza autorizzazione, non possono essere utilizzabili in ambito tributario, perché così è stabilito dalla legge 251. E’ stato evidenziato però dalla Cassazione che la Guardia di finanza cooperando, “con gli uffici delle imposte sul valore aggiunto per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle violazioni” (art. 63, 1° comma, del d.p.r. n. 633 del 1972.), persegue l’interesse pubblico al corretto funzionamento del sistema tributario; interesse di rango non inferiore, ed anzi connesso, a quello per il perseguimento dei reati fiscali, allorché la Guardia di finanza agisce anche in veste di polizia giudiziaria 252. La suddetta norma ( come quella in materia d’imposte sui redditi, art. 33, 3° comma, d.p.r. n. 600 del 1973) prevede che l’autorità giudiziaria penale il potere che gli spetta in base all’art. 329 c.p.p., di derogare al segreto istruttorio, ai fini di un corretto accertamento tributario. Quindi, la trasmissione non autorizzata di atti coperti dal segreto istruttorio risulta essere importante solo nell’ambito del giudizio penale e può, eventualmente, giustificare provvedimenti a carico del trasgressore. Bisogna, inoltre, evidenziare che nel giudizio tributario l’interesse della parte privata ad esercitare le proprie difese nel medesimo giudizio è garantito dalla conoscenza o conoscibilità degli atti trasmessi 253. Per quanto riguarda le conseguenze per il trasgressore, queste avranno rilevanza sia sotto il profilo disciplinare che sotto il profilo civile e penale. Così, FORTUNA, I poteri istruttori della Commissione tributaria, in Riv. dir. trib., 2001, 1056, per il quale, inoltre, la sanzione dell’inutilizzabilità, in caso di carenza o di diniego dell’autorizzazione è prevista direttamente dalle norme; STUFANO, Sull’utilizzabilità delle prove illecite o illegittime, in Corr. trib., 2002, 3534, secondo il quale se è vero che l’interesse tutelato dal segreto delle indagini penali (e dalla norma tributaria che prevede l’autorizzazione del magistrato per l’utilizzo dei dati raccolti in sede penale) non riguarda direttamente il contribuente, è altrettanto vero che esso non riguarda neppure l’Amministrazione finanziaria, la quale, perciò, non è in grado di esprimere alcuna apprezzabile (oltre che legittima) ponderazione degli interessi in gioco 252 Cfr. Cass., sez. trib., 31 gennaio 2013, n. 2352, in Bancadati fiscovideo 253 Cfr. Cass., sez. trib., 3 settembre 2008, n. 22176, in Bancadati fiscovideo 251 90 Infatti, mentre la prova non subisce gli effetti dell’illegittimità come conseguenza necessaria dell’acquisizione illecita, l’autore di tale acquisizione ne risponde nelle sedi competenti 254. Bisogna osservare che la mancanza di autorizzazione non inficia l’atto di accertamento motivato sulla base degli elementi acquisiti in ambito penale, visto che lo scopo dell’atto autorizzativo è solo quello di tutelare l’indagato in sede penale al mantenimento del segreto istruttorio. La Cassazione 255 ha ammesso, riguardo un caso di un accesso della Guardia di finanza, in veste di polizia tributaria, eseguito in assenza della necessaria autorizzazione del Procuratore della Repubblica presso il domicilio di un soggetto, cui era seguita l’acquisizione di documentazione utile sia ai fini fiscali che penale, l’utilizzabilità nel procedimento penale delle risultanze acquisite, nel rispetto, però, dell’art. 220 disp. att. c.p.p. In base alla suindicata norma, gli organi che, durante una verifica fiscale, raccertino elementi di prova di illeciti penali, devono assicurare al soggetto, nei cui confronti è compiuto l’accertamento, tutte le garanzie previste dal codice di procedura penale per le persone sottoposte ad indagini. Nel caso in cui la verifica faccia emergere indizi di reato, la norma impone agli operanti di avvertire la persona sottoposta all’accertamento della facoltà di nominare un difensore e di farsi assistere da una persona di fiducia prontamente reperibile durante il compimento dell’atto istruttorio. Se vengono Cfr. Comm. trib. reg. Molise, 16 marzo 2005, n. 33; Comm. trib. reg. Lombardia, 7 maggio 2002, n. 101. 255 Cfr. Cass., sez. III pen., 22 marzo 2007, n. 12017, in GT - Riv. giur. trib., 2007, 871, con commento di FONTANA, L’agevole ingresso nel procedimento penale delle risultanze dell’attività ispettiva degli organi di Polizia tributaria, secondo il quale gli organi ispettivi che, nel corso delle proprie attività di indagine fiscale, rilevino la sussistenza di ipotesi di reato, possono validamente acquisire elementi di prova utili all’accertamento dei fatti di rilevanza penale, purché agiscano nel rispetto delle norme previste dal codice di procedura penale a garanzia dell’indagato. L’eventuale inosservanza delle norme previste dalla legge per la regolarità dell’accertamento degli illeciti fiscali, invece, non produce effetti sull’accertamento penale e, quindi, gli elementi raccolti nell’ambito di ispezioni e verifiche della Guardia di finanza, per quanto illegittimamente acquisiti, possono essere validamente utilizzati come notitia criminis 254 91 violate le disposizioni richiamate dall’art. 220 disp. att. c.p.p., la raccolta degli elementi di prova sarà viziata e gli stessi non potranno essere utilizzati 256. 4.1 La mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o di un processo penale. Nel caso in cui manca l'autorizzazione dell’autorità giudiziaria prevista per la trasmissione di atti documenti e notizie acquisite nell’ambito di un indagine o un processo penale, questo non comporta la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato basato l’accertamento tributario, determinando l’invalidità degli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario. Il principio di inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita non costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, ma è norma peculiare del procedimento penale 257. Questo comporta che i dati bancari che siano stati irritualmente acquisiti nell'indagine penale a carico del contribuente o di terzi sono sempre utilizzabili ai fini dell'accertamento fiscale (anche se irritualmente acquisiti in sede di indagine penale). Occorre evidenziare il procedimento tributario non prevede l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti in sede di verifica, in assenza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria in quanto in tema di IVA, Cfr. Comm. trib. reg. Roma, sez. XXVII, 21 giugno 2007, n. 72, in Bancadati fiscovideo, secondo i giudici, se durante le indagini fiscali (accertamenti bancari) regolarmente autorizzate dai competenti organi amministrativi emergano elementi di responsabilità penale, le successive operazioni debbono essere autorizzate ai sensi del codice di procedura penale, e, laddove non si intervenga l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria penale, le prove raccolte sono inutilizzabili sia ai fini penali sia ai fini amministrativi; Trib. Rimini, 22 giugno 2001, n. 1507, retro, 2002, II, 825, con nota di SCIELLO, Indizi di reità emersi nel corso della verifica fiscale ed applicazione dell’art. 220, disp. att. c.p.p.: inutilizzabilità delle prove acquisite dalla Guardia di finanza. 257 Cfr., Cass 20/01/2010, n. 857, op. cit. 256 92 l'autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria, per l'utilizzazione a fini tributari e per la trasmissione uffici finanziari di dati, documenti e notizie bancari, acquisiti nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria riguarda le indagini penali in corso, non necessariamente a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, ma anche di terzi indagati 258. La suddetta autorizzazione è prevista soltanto allo scopo di consentire la trasmissione anche agli uffici finanziari di materiale acquisito per fini esclusivamente penali e non allo scopo di permettere l'accesso ai dati bancari per fini fiscali da parte della Guardia di finanza. Infatti, l’autorizzazione è stata introdotta per consentire una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, e non per operare una ulteriore filtrazione degli di elementi probatori da acquisire a fini fiscali. I dati raccolti nell’inchiesta penale legittimano anche l’utilizzo degli studi di settore nell’accertamento fiscale. 5. Ruolo dell’amministrazione finanziaria, costituitasi parte civile, nel processo penale. Il codice di procedura penale all’art. 654 c.p.p. prevede che l’efficacia delle sentenze si produce soltanto nei confronti di coloro che abbiano concretamente partecipato al processo penale in veste di imputato, di parte civile o di responsabile civile 259 . Questo comporta che non nasce nessun vincolo per l’amministrazione che non si è costituita parte civile nel processo penale 260. In tal senso, CHIDEMI, Rapporti tra processo tributario e processo penale, in www.giustizia-tributaria.it, op. cit., p. 13. 259 Cfr. Cass., sez. trib., 5 luglio 1995, n. 7403, in GT - Riv. giur. trib., 1996, 166, con nota di TONIOLATTI, Art. 654 c.p.p. e limiti soggettivi di efficacia del giudicato penale nel processo tributario, in Corr. trib., 1995, 2791 260 Cfr. Cass., sez. trib., 15 dicembre 2003, n. 19155, in Bancadati fiscovideo, (orientamento più volte ribadito: Cass., 16 novembre 2001, n. 14397; 22 novembre 2000, n. 15089; 8 marzo 2000, n. 3421). 258 93 La costituzione di parte civile dell’Amministrazione finanziaria 261, nel processo penale, ex art. 74 c.p.p 262, consentirebbe l’ingresso, nel processo tributario, delle ragioni di merito che, sebbene non possono essere rappresentate dall’esercizio, in sede penale, della pretesa tributaria, potrebbero portare ad una richiesta di risarcimento del danno. Occorre rilevare che, per verificare se sussistano le condizioni per costituirsi parte civile è necessario accertarsi che il reato compiuto produca un danno all’erario; quindi, l’utilità e l’effettiva opportunità della costituzione di parte civile potrebbe verificarsi solo per alcuni tipi di processo ovvero di reato 263. La costituzione di parte civile, nell’ambito del principio affermato dall’art. 185 c.p. deve ritenersi finalizzata all’esercizio, in sede penale, di un’azione restitutoria o risarcitoria, non potendosi ammettere in assenza di un danno, causalmente dipendente dal reato, per fare valere un generico interesse di concorrere, nel procedimento, alla formazione della prova del reato 264. La Corte di Cassazione ha asserito che, non si può identificare il danno risarcibile in sede penale solo con l’importo del tributo evaso. Nel caso in cui vi siano fattispecie di reato, che prescindono dall’evento di evasione fiscale, il danno patrimoniale, che legittima la costituzione di parte civile, viene ricercato nello “sviamento e turbamento dell’attività della pubblica L’Amministrazione finanziaria non può costituirsi parte civile nei processi penali in materia valutaria; la necessaria citazione in giudizio non potrebbe comunque consentire la partecipazione al giudizio penale dell’amministrazione finanziaria, in quanto titolare degli interessi offesi dall’infrazione valutaria giudicata è l’amministrazione del Tesoro: Cass., sez. I pen., 25 maggio 1999, n. 5064. 262 L’ art. 74 c.p.p. (Legittimazione all’azione civile) stabilisce che “L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 c.p. può essere esercitata nel processo penale, dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile”. 263 Si veda, SIGNORILE, Partecipazione dell’agenzia delle entrate al procedimento penale e status dei verificatori, in Atti del Convegno «Frodi Iva: analisi del fenomeno e adeguatezza degli interventi di contrasto», Genova, 2005, secondo la quale l’utilità e l’effettività della costituzione può configurarsi nei processi relativi alle ipotesi di frodi in materia di iva, dove, lo Stato viene colpito in maniera più parassitaria da più soggetti riuniti in compartecipazione. 264 Così, CIARCIA, L’utilizzo nel procedimento e nel processo tributario, delle risultanze probatorie ed istruttorie penali, in dir. E prat. Trib., 2013, pp. 831-835 ss. 261 94 amministrazione diretta all’accertamento tributario nonché con l’impegno dei mezzi umani e materiali necessari a stabilire il comportamento delittuoso ed impedire il compimento del disegno di evasione fiscale posto in itinere dal reo. Se l’Amministrazione finanziaria si costituisce parte civile in un processo penale per reati tributari, l’imputato potrà essere condannato, oltre alla pena prevista dalla norma incriminatrice, anche al pagamento dei tributi evasi, delle soprattasse e degli interessi di mora (che sono diversi dalle sanzioni amministrative previste dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 cui fa riferimento l’art. 19 del d.lgs. n. 74 del 2000, che sono alternative e non concorrenti con le sanzioni penali)” 265. In base all’art. 90 c.p.p. l’Amministrazione finanziaria, essendo parte offesa dal reato posto in essere dal contribuente, ha diritto, indipendentemente dalla sua costituzione in giudizio come parte civile e fatto salvo l’esercizio di ogni altro diritto o facoltà riconosciuto dalla legge, a partecipare al processo penale, in ogni suo stato e grado 266. Bisogna rilevare che l’amministrazione può partecipare al processo penale mediante la presentazione di memorie che, nel caso di contemporanea instaurazione del processo tributario, possono coincidere con le controdeduzioni al ricorso di parte e attraverso l’indicazione degli elementi di prova, ricavabili dagli atti presenti nel fascicolo, raccolti direttamente dall’ufficio tributario o dalla Guardia di finanza. La partecipazione diretta al processo da parte dell’Amministrazione finanziaria potrebbe consentire di acquisire elementi utili ai fini dell’indagine tributaria, che potrebbero portare all’annullamento totale o parziale della Cfr. Cass., sez. III pen., 4 ottobre 2004, n. 38710, in Bancadati – I Quattro Codici BIG Ai sensi dell’art. 408, 2° comma, c.p.p. nel caso di presentazione di richiesta di archiviazione, l’avviso della richiesta stessa dovrà essere notificato alla persona offesa che, nella denuncia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di voler essere informata circa l’eventuale archiviazione. Il successivo art. 410, inoltre, consente alla persona offesa di presentare una formale opposizione alla richiesta di archiviazione, purché siano indicati l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. 265 266 95 pretesa tributaria o ad una sua integrazione 267. L’art. 654 c.p.p. prevede l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo (e quindi anche tributario) nei confronti di coloro che hanno partecipato al processo penale, ma sottopone tale efficacia alla duplice condizione, che nell’altro giudizio la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversia. Questo comporta che, l’efficacia vincolante delle sentenze penali è condizionata dalla mancanza di limitazioni probatorie nel giudizio extrapenale, la suddetta condizione non ricorre per il processo tributario, che è caratterizzato da un sistema probatorio molto limitato rispetto a quello penale. Sarà impossibile far valere il giudicato penale nel processo tributario, anche se l’amministrazione finanziaria si costituisca parte civile nel processo penale 268 . Si può concludere asserendo che quando gli appartenenti al corpo della Guardia di finanza agiscono in funzione di polizia giudiziaria, gli elementi probatori, di cui sono venuti a conoscenza e/o da essi raccolti, possono essere utilizzati ai fini fiscali anche in assenza della specifica autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Questo perché la suddetta autorizzazione è richiesta solo ai fini del segreto istruttorio al fine di tutelare l’indagato in sede penale. Quando questi elementi probatori confluiscono nel procedimento tributario, l’interesse alla corretta partecipazione dei contribuenti alle spese pubbliche, ex art. 53 Cost., prevale su ogni altro interesse, per cui il materiale probatorio potrà essere utilizzato dagli uffici dell’amministrazione finanziaria ai fini dell’emanazione dell’atto di accertamento. Riguardo l’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario, In tal senso, CIARCIA, L’utilizzo nel procedimento e nel processo tributario, delle risultanze probatorie ed istruttorie penali, in dir. E prat. Trib., 2013, p. 832. 268 Cfr. Cass., sez. III pen., 20 ottobre 1994, n. 10792, in Corr. trib., 1994, 3142 e in Riv. dir. trib., 1996, II, 3, 267 96 possiamo asserire che non sussista alcun rapporto di dipendenza/pregiudizialità tra il processo penale e quello tributario. E’ stato evidenziato che “questo doppio binario presenta il duplice vantaggio di evitare un’eccessiva dilatazione dei tempi delle decisioni e di rispettare le differenze normative, sul piano probatorio, tra l’ambito penale e quello tributario” 269. Occorre rilevare che, l’indipendenza dei giudizi non preclude che i fatti materiali che vengano dibattuti in sede penale e che coincidono per alcune parti e per alcuni aspetti con quelli che vanno a formare oggetto dell’avviso di accertamento, nonché le prove raccolte in sede penale, potranno assumere rilevanza, anche ai fini di una decisione del giudice tributario, purché proceda ad un autonomo processo di valutazione e ne accerti la compatibilità con i limiti del processo tributario, primo fra tutti i vincoli probatori che lo caratterizzano, e con i criteri su cui deve fondarsi il convincimento. Comunque, le risultanze del processo penale possono, perlomeno costituire fonte legittima di prova presuntiva con valore indiziario, in considerazione dei limiti probatori esistenti nel processo tributario. Si veda a riguardo, CIARCIA L’utilizzo nel procedimento e nel processo tributario, delle risultanze probatorie ed istruttorie penali, in dir. E prat. Trib., 2013, p. 835. 269 97 Conclusione Abbiamo visto che in merito al tema dell’utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite il legislatore non ha ancora fornito una risposta e la giurisprudenza di legittimità si mostra divisa . Appare condivisibile la tesi che ha affermato che i dati e le notizie illegittimamente acquisite sono inidonee a fungere da prova: di conseguenza, tanto l’ufficio, dotato della potestà impositiva o sanzionatoria nello stabilire se emettere un avviso di accertamento o di irrogazione di sanzioni, quanto l’organo giurisdizionale nel giudicare la fondatezza della pretesa fiscale, non dovrebbero riconoscere a detti dati e notizie alcuna capacità rappresentativa. In questa maniera, le risultanze dell’indagine bancaria sarebbero inutilizzabili ai fini probatori così come le altre informazioni illegittimamente acquisite in quella sede. Sono varie le posizioni che possono essere prese a riguardo in quanto l’argomento è controverso. Occorre evidenziare che risulta difficoltoso rifarsi all’inutilizzabilità dettata dal codice di procedura penale per le prove acquisite in maniera irrituale al di fuori del mondo del processo penale stesso. Sono varie le critiche a tale riguardo. Infatti, chi volesse sostenere che l’inutilizzabilità determinata dalle violazioni istruttorie non sia richiamabile potrebbe argomentare rifacendosi alle conseguenze che potrebbero derivare dal processo tributario e da quello penale. Una garanzia più forte, secondo questa teoria, dovrebbe essere accordata a chi subisse violazioni istruttorie nel processo penale, considerando che la conseguenza di questo è il carcere, mentre la stessa considerazione non può essere riportata al processo 98 tributario che ha fisiologicamente conseguenze più lievi quali il pagamento di tributi . La suddetta considerazione, la quale vedrebbe il processo tributario estraneo a fini garantistici, non considera che anche a questo si applica comunque il canone del giusto processo. Questo argomento può anche essere facilmente utilizzato in maniera specularmente opposta. In caso di parità di violazione delle regole dell’istruttoria deve necessariamente conseguire una parità di sanzione, e conseguentemente la violazione delle regole che limitano l’acquisizione delle prove deve dover portare sempre alla medesima conseguenza, ovvero, l’inutilizzabilità della prova. Infatti, l’interesse che le regole sull’istruttoria tutelano non è l’eventuale interesse che viene colpito dalle conseguenze del procedimento, ma quello direttamente coinvolto dall’atto istruttorio. Questo determina che le risultanze dell’indagine bancaria devono essere inutilizzabili ai fini probatori così come le altre informazioni illegittimamente acquisite in violazione delle regole istruttorie stesse. Dobbiamo ricordare che vi è la possibilità da parte del giudice, di ordinare la produzione in giudizio del documento nonostante l’abrogazione dell’art. 7 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546. Questa ipotesi non sembra accettata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che ha negato che i poteri di istruzione delle Commissioni tributarie possano essere esercitati con una funzione di supplenza delle carenze istruttorie o processuali delle parti, ma solo nel caso in cui si tratti di aggirare l’impossibilità o l’irragionevole difficoltà di una di esse nel fornire in giudizio la prova necessaria alla attuazione del suo diritto di azione . Queste condizioni non sussistono di sicuro rispetto alla produzione da parte dell’amministrazione di un documento da essa 99 formato e quindi agevolmente producibile da una parte che si suppone debba essere almeno mediamente diligente. 100 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA • C. 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