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Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono? Claudia Baracchi – Manuel Berrón – Enrico Berti Michele Di Febo – Silvia Gullino – Alberto Jori Pietro Li Causi – Giovanni Battista Magnoli Bocchi Francesca Masi – Marcello Zanatta ’ἐπιστήμη terrogazione che deve sempre tenere presente la specificità Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostru Ricerche aristoteliche Etica e politica in questione A cura di Giulia Angelini editrice petite plaisance Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo, VI secolo a.C. il giogo 135 Collana diretta da Luca Grecchi «ıpou gàr ’scùV suzugoüsi kaì díkh, poía xunwrìV tÖnde karterwtéra;». «Infatti, dove forza e giustizia sono allo stesso giogo, quale coppia è più valorosa di questi?». Eschilo, Frammento 267-268. «tòn páqei máqoV qénta kuríwV êcein». «Solo il vero sapere ha potenza sul dolore». Eschilo, Agamennone, 177-178. «xumjérei swjroneïn Îpò sténei». «È utile recuperare sapienza nel dolore». Eschilo, Eumenidi, 520. «Kaí mÈn sú g´oûpw swjroneïn ”pístasai». «Eppure tu ancora non sai esser saggio». Eschilo, Prometeo incatenato, 982. In copertina: Copia romana in Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo. Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti, Michele Di Febo, Silvia Gullino, Alberto Jori, Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi, Francesca Masi, Marcello Zanatta, Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione a cura di Giulia Angelini ISBN 978-88-7588-283-9  2021 editrice petite plaisance Associazione culturale senza fini di lucro Via di Valdibrana 311 – 51100 Pistoia Tel.: 0573-480013 www.petiteplaisance.it e-mail: info@petiteplaisance.it Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada. Eraclito Claudia Baracchi – Manuel Berrón – Enrico Berti Michele Di Febo – Silvia Gullino – Alberto Jori Pietro Li Causi – Giovanni Battista Magnoli Bocchi Francesca Masi – Marcello Zanatta rIcerche arIstoteLIche Etica e politica in questione A cura di Giulia Angelini petite plaisance Silvia Gullino La nozIone dI autarchIa neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe daLLa Politica aLLa costituzione degli ateniesi Nel Corpus aristotelicum la nozione di a◊tárkeia ricorre 78 volte, assumendo un significato tecnico nel De generatione animalium, nel De caelo e nella Metafisica, ma comparendo con particolare frequenza e rilevanza filosofica nei trattati di etica e nella Politica.1 La comprensione del significato “politico” del termine, da sempre, si è basata unicamente sull’esame di questi testi e, sebbene negli ultimi anni sia stata posta al centro dell’attenzione dagli studiosi, non si è assestata su di un’unica tesi universalmente condivisa. In passato, nel volume Aristotele e i sensi dell’autarchia, ho tentato di riflettere sulla questione, cercando altresì di tenere conto delle occorrenze del termine nella filosofia prima e nei trattati biologici dello Stagirita. In questa sede, invece, si affronterà il problema ponendo al centro dell’attenzione la Costituzione degli ateniesi che, pur non contenendo occorrenze esplicite del termine “a◊tárkeia”, presenta una serie di riferimenti a situazioni di autarchia. Del resto, gli studi più recenti hanno dimostrato come tale opera debba essere considerata come una fonte imprescindibile per la conoscenza del pensiero politico di Aristotele. E infatti, tale trattato e i riferimenti all’autarchia presenti in esso suscitano particolare interesse per l’originalità delle considerazioni aristoteliche ivi esposte, che meritano opportuna riflessione e valorizzazione. La presente indagine, pertanto, si svilupperà intorno a quattro nuclei tematici: 1 Luoghi nei quali compare in più di 70 occorrenze. Per un approfondimento di questi temi, cfr. s. guLLIno, Aristotele e i sensi dell’autarchia, Padova, Cleup 2013. 213 sILvIa guLLIno 1. l’esposizione dello status quaestionis relativo alla definizione del significato politico del temine a◊tárkeia; 2. l’interpretazione dei diversi significati che la nozione assume nelle sue molteplici occorrenze “politiche”, in funzione della teoria ˚´ aristotelica dell’“f¿∕nòV ¿ h` pròV en; 3. l’esame del rapporto esistente fra il significato politico della nozione ed il problema sollevato da Aristotele nel libro VII della Politica, ovvero quello della scelta della costituzione migliore; 4. il contributo che, in questo senso, può fornire la Costituzione degli ateniesi. Gli ultimi due punti, in particolare, consentiranno di approfondire il tema oggetto della presente indagine, confermando o smentendo le proposte interpretative formulate nei punti precedenti. I. La nozione di a◊tárkeia occupa un posto di primo piano nel pensiero politico di Aristotele. È noto infatti come, all’inizio della Politica, il filosofo abbia definito la póliV come «una comunità perfetta di più villaggi [...] caratterizzata dall’avere raggiunto il livello dell’autarchia»,2 e come, poco oltre, abbia giustificato tale affermazione sulla base del carattere perfetto e finalistico della póliV stessa, che è definita come «il fine e quanto vi è di meglio» (kaì téloV kaì béltiston)»3 per le comunità che la costituiscono. La póliV quindi, risulta essere perfetta in quanto autarchica e autarchica in quanto perfetta, e tale perfezione è dovuta al fatto di essere téloV per i suoi abitanti, in quanto condizione necessaria per la felicità e la realizzazione della “vita buona”. 2 3 Pol. I 2, 1252 b 27-28 (trad. di C. A. Viano in arIstoteLe, Politica, Bur, Milano 2002). Pol. I 2, 1252 b 33-1253 a 1. 214 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Tali considerazioni trovano eco nell’Etica Nicomachea, ove Aristotele, considerando la felicità come il supremo bene pratico, la definisce «perfetta ed autarchica (téleion […] aûtarkeV)»,4 ed in cui identifica l’autarchia stessa con quel sommo bene che rende l’esistenza pienamente realizzata e non manchevole di nulla. Il concetto di autarchia, quindi, costituisce quella nozione che, nell’ambito delle scienze pratiche di Aristotele, risulta essere la più idonea ad indicare il carattere proprio della felicità e la caratteristica che deve possedere la póliV perfetta, intesa come il luogo in cui l’uomo, che è uno z∏on politikón, può realizzare pienamente se stesso e conseguire l’e◊daimonía. A causa di questo importante valore “pratico” si comprende come, negli anni, gli studiosi abbiano cercato di definire il significato della nozione nel modo più preciso possibile. Ne sono risultate tre posizioni fondamentali: – anzitutto, quelle dell’odierna filosofia anglo-americana e della cosiddetta “rinascita della filosofia pratica” che si sviluppò in Germania;5 in tali contesti la nozione di a◊tárkeia è stata collegata a parametri per lo più politici ed economici, ed è stata descritta come una condizione necessaria per il vivere bene dell’uomo; – vi è poi l’interpretazione della filosofia pratica aristotelica riconducibile ai fautori europei e americani della rinascita dell’aristotelismo, che hanno valorizzato l’aspetto più specificamente filosofico della “scienza pratica” aristotelica, ovvero l’interesse Eth. Nic. I 5, 1097 b 8 (traduzione dell’Autore). Fra gli esponenti dell’odierna cultura anglo-americana che si richiamano ad Aristotele, vale citare a. macIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad. it. di P. Capriolo, Armando, Milano 1987 e B. WILLIams, Ethics and the Limits of Philosophy, Fontana Press, Cambridge 1985. Per quanto concerne il dibattito nel mondo tedesco, la raccolta di saggi curata da m. rIedeL, Rehabilitierung der praktischen Philosophie, Rombach, Freiburg 1972-1974, rende conto del ricco dibattito che ha coinvolto pensatori come H. G. Gadamer, R. Bubner, W. Hennis, J. Ritter, G. Bien, oltre allo stesso Riedel. Per una ricostruzione articolata ed informata del dibattito, cfr. F. voLpI, La rinascita della filosofia pratica in Germania, in C. pacchIanI (a cura di), Filosofia pratica e scienza politica, Abano Terme, Francisci 1980, pp. 11-97. 4 5 215 sILvIa guLLIno che l’uomo ha nei confronti della propria felicità.6 Costoro hanno infatti considerato l’a◊tárkeia, esplicitamente, come téloV e, così facendo, l’hanno esaminata in quanto fine precipuo dell’uomo e come sua piena realizzazione, fino ad identificarla con la capacità di esercitare bene la parte conoscitiva della ragione, pur con scopo pratico;7 – una terza interpretazione è quella di coloro che, basandosi prevalentemente su Etica Nicomachea X 7, hanno assimilato l’autarchia alla stessa vita teoretica, declassando qualunque forma di autosufficienza “pratica”, in senso ampio e, ancor di più, quella politica o economica.8 A tali posizioni vale poi associare quelle proprie del dibattito che, negli anni, ha opposto i sostenitori di una visione “inclusivista” dell’autarchia a coloro che, invece, hanno optato per un’interpretazione “esclusivista” della stessa. Con il primo dei due termini ci si riferisce a un’interpretazione dell’autarchia aristotelica vista come l’insieme o, se si vuole, la 6 Cfr., ad esempio, a. sen, Equality of What?, in Id., Choice, Welfare, and Measurement, Oxford University Press, Oxford 1982; nonché Id., Commodities and Capabilities, North-Holland, Dordrecht 1985. 7 Cfr. Id., Choice, Welfare, and Measurement, cit., pp. 353-372. L’economista sostiene, in accordo con la propria interpretazione della teoria aristotelica, che il criterio per la distribuzione dei beni e, dunque, per procurare l’autarchia, risiede nella possibilità di rendere la gente capace di vivere in un certo modo, basato sulle sue stesse capacità e possibilità. L’autarchia cui egli ambisce è, dunque, la libertà di attendere a tali possibilità e, esattamente come la felicità, non può essere intesa utilitaristicamente come soddisfazione dei desideri, ma è uno stato di pienezza e di piena realizzazione di sé. Come si nota, lo studioso non ha solo riconosciuto, in modo più globale rispetto ad altri filosofi contemporanei, le diverse sfumature della nozione di autarchia in Aristotele, cui fa sovente riferimento esplicito (cfr., al riguardo, Id., Etica ed Economia, Laterza, Roma-Bari 1988), ma ha messo in luce un’attualità del pensiero dello Stagirita che rimaneva in ombra nel caso dei propugnatori anglo-americani e tedeschi della filosofia pratica di Aristotele. Cfr. anche s. moceLLIn, Ripartire dalla «vita buona». La lezione aristotelica in Alasdair MacIntyre, Martha Nussbaum e Amartya Sen, Cleup, Padova 2006. 8 Cfr. Eth. Nic. X 7, 1177 b 2-20. 216 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele somma di una serie di virtù o beni,9 mentre, col secondo termine, la si considera come uno status completamente e specificamente diverso da ciò che concorre a procurarla, anche dal punto di vista qualitativo. L’interpretazione “inclusivista” vanta poi al proprio interno la variante definita “comprensivista” e quella “inclusivista in senso stretto” (definita anche “esclusivista moderata”); la prima di esse, che accomuna la maggior parte degli interpreti contemporanei di formazione analitica, appare come la più “teleologica”, perché considera la felicità (e◊daimonía), e quindi l’autarchia, come l’insieme di tutti i beni, nel senso che non esistono beni intrinseci poiché questi ultimi sono considerati tali “se e solo se” procurano la felicità.10 La seconda posizione, invece, presuppone una concezione dell’autarchia che ne fa l’insieme dei soli beni essenziali per una vita degna di scelta; in tale senso, l’attenzione è posta sui beni che promuovono l’autarchia stessa e l’interrogativo verte sul problema se essi siano maggiormente rappresentati dalle virtù etiche o dianoetiche.11 9 Parallelamente, la vita felice ed autarchica diviene l’insieme di molte virtù ed il possesso di alcune cose materiali. 10 Cfr. al riguardo J. cooper, Reason and Human Good in Aristotle, Harvard University Press, Cambridge 1975, spec. pp. 81 e 92, ove egli afferma «everybody desires eudaimonia and desires anything else only if they believe it promotes eudaimonia»; r. soraBJI, Aristotle on the Role of Intellect in Virtue, in a. o. rorty (ed.), Essays on Aristotle’s Ethics, University of California Press, Berkeley 1980, pp. 201-221, spec. p. 207, ove sostiene che «practical deliberation is rational only if its immediate or ultimate aim is eudaimonia»; t. IrWIn, Permanent Happiness: Aristotle and Solon, in «Oxford Studies in Ancient Philosophy», 3 (1985), pp. 103136, spec. p. 113, secondo cui un’azione è razionale solo se un agente la compie, unicamente, per promuovere l’eudaimonia (e l’autarchia); J. cooper, Contemplation and Happiness in Aristotle: A Reconsideration, in «Synthese», 72 (1987), pp. 189-211, spec. p. 192; t. IrWIn, The Structure of Aristotelian Happiness, in «Ethics», 102 (1991), pp. 382-391, spec. p. 383, r. heInaman, Rationality, Eudaimonia and Kakodaimonia in Aristotle, in «Phronesis», 38 (1993), pp. 31-56, spec. p. 34 nota 8: «“Comprehensivist” commentators give Aristotle the stronger claim: eudaimonia is intrinsically valuable and anything else is valuable only if it is a constituent the eudaimonia. This is based largerly on the self-sufficiency requierement for eudaimonia (Eth. Nic. 1097 b 6-21)». 11 a. WhIte, Is Aristotelian Happiness a Good Life or Best Life?, in «Oxford Studies 217 sILvIa guLLIno Quanto all’ultima posizione, che è stata definita da Robert Heinaman “esclusivista” o “eudaimonismo non assiologico”, essa presuppone, come regola generale, che ogni bene intrinseco possa promuovere l’autarchia, ma che di quest’ultima vi siano specie diverse qualitativamente, sia fra loro che in rapporto ai beni stessi. In tal senso, se un bene fallisce nella sua istanza di procurare la felicità, esso non smette di avere un proprio valore intrinseco.12 A cercare di mettere ordine in questo complicato “dedalo interpretativo” è stato uno studio 1987 dello stesso Heinaman, dal titolo Eudaimonia and Self-sufficiency in the Nicomachean Ethics, in cui l’autore ha esaminato il rapporto esistente fra l’autarchia e l’e◊daimonía, attraverso una valutazione delle diverse forme di autarchia e di felicità esistenti.13 Egli ha così sostenuto che, per Aristotele, la felicità (e◊daimonía) non vada intesa come un tutto fatto di parti, mostrando come ogni supposizione di parere contrario possa essere ricondotta all’argomento di Etica Nicomachea I 5 e, in ultima analisi, proprio al suo rapporto con il concetto di autarchia. Ha insistito poi sul fatto che il bisogno di autarchia proprio dell’e◊daimonía, quale è descritto in Etica Nicomachea I 5, lascia intuire l’esistenza di differenti forme di felicità e di autarchia, di natura più o meno elevata, ma non di differenti gradi di una sola e unica felicità, o di una sola e unica autarchia. Così facendo, egli ha tentato di negare che l’autarchia, per Aristotele, sia identificabile esclusivamente con la vita teoretica o, al contrario, sia da ridursi alla somma di una serie di virtù e di risorse materiali, non negando però a tale status l’aggettivo di “autarchico”.14 in Ancient Philosophy», 8 (1990), pp. 103-144, spec. p. 42. White sostiene che l’autarchia non richiede ogni bene, ma ogni bene essenziale per una vita massimamente degna di scelta. 12 r. heInaman, Rationality, Eudaimonia and Kakodaimonia in Aristotle, cit., pp. 35 e 40. 13 Id., Eudaimonia and Self-Sufficiency in the Nicomachean Ethics, in «Phronesis», 33 (1988), pp. 31-53. 14 Lo stesso studioso, in un articolo del 1992, ha poi tentato di avvalorare nuovamente questa tesi smentendo, sulla base delle affermazioni contenute nella Politica, sia la tesi “inclusivistica” che quella “comprensivistica”. 218 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Se queste interpretazioni della nozione non hanno agevolato chi ha tentato di fare chiarezza sulla tematica, altrettanti problemi sono stati sollevati da coloro che, con generalizzazioni spesso poco rispettose della complessità delle opere dello Stagirita, hanno cercato di risolvere il problema delle numerose occorrenze della nozione all’interno del Corpus aristotelicum, che non sono sempre univoche, ribadendo che, in generale, nelle Etiche, l’autarchia sia presentata come lo status al quale l’uomo deve tendere e in funzione del quale deve operare individualmente una “scelta di vita”; nella Politica sia considerata in una prospettiva politica ed economica, avente pochi rapporti con il problema dell’etica individuale e, nella Retorica sia descritta in una prospettiva non avente nulla a che fare con il piano morale. Questa tipo di approccio si è rivelato assai problematico perché, sostanzialmente, ha escluso la possibilità di attribuire un unico significato alla nozione, anche nell’ambito delle sole scienze pratiche.15 II. Nel mio volume del 2013, Aristotele e i sensi dell’autarchia,16 a cui rinvio per l’approfondimento di queste tematiche, interrogandomi sul problema dell’apparente “polivocità disordinata” della nozione di autarchia all’interno del Corpus aristotelicum, e avendo riconosciuto l’esistenza di una forma di unità fra i suoi molteplici sensi all’interno delle scienze pratiche (consistente nel fatto che essa definisce sempre lo status che appartiene agli uomini quando attualizzano l’”nérgeia che consente loro di ottenere il proprio bene, ovvero l’e◊daimonía), ho considerato l’ipotesi dell’esistenza di un’omonimia “f¿∕nóV ¿h en per quanto concerne i vari ` pròV ˚´ esempi di autarchia umana. Per quanto riguarda le occorrenze nella Metafisica e nei trattati biologici rinvio al mio volume Aristotele e i sensi dell’autarchia, cit. 16 Ibidem. 15 219 sILvIa guLLIno In tale senso, mi sono chiesta se vi potesse essere un ordine di priorità fra le varie forme di autarchia umana e, dunque, se fra esse vi fosse un’autarchia particolare, avente un certo primato,17 ricordando come, secondo Aristotele, l’aujtavrkeia umana rappresenta “ciò in vista di cui” (tò oΣ Úneka ), ovvero ciò che, fra le cose praticabili per gli uomini, ne costituisce il fine, come è affermato in Etica Nicomachea I 5: «Sembra che, partendo dalla nozione di autarchia, si possa giungere allo stesso risultato [scil.: a definire la felicità in quanto fine ultimo]. In effetti, il bene perfetto sembra essere autarchico. [...] Per ora definiamo autarchico ciò che rende la propria vita a sé bastante e piacevole e che non ha bisogno di nessuno. Tale dunque pensiamo essere la natura della felicità, cioè il bene preferibile a tutti, senza che altri elementi gli si debbano aggiungere. [...] Insomma, la felicità appare essere qualcosa di perfetto e autarchico, essendo il fine delle azioni».18 Qui, Aristotele si concentra sul concetto di téloV e assimila l’autarchia al bene perfetto, vale a dire alla felicità;19 riservandosi però di riprendere la questione nel decimo libro dell’opera, ove aggiungerà che la felicità perfetta coincide con la vita teoretica. 17 Tale ordine potrebbe essere dello stesso tipo che esiste, nella serie delle categorie, fra la sostanza e gli accidenti, o quello che esiste, nel campo delle attività umane, fra i fini ed i mezzi. 18 Ovvero l’e◊daimonía. Cfr. Eth. Nic. I 5. Traduzione dell’Autore. 19 Qualche linea prima (1097 a 34-b 6) Aristotele aveva affermato l’equivalenza del bene perfetto e della felicità in base al fatto che vi è un solo bene che l’uomo persegue per sé: la felicità; mentre tutti gli altri, anche se perseguiti per sé, sono perseguiti anche per altro, ovvero in vista della felicità. A tal riguardo, cfr. il Commentaire a Eth. Nic. I 5, 1097 a 34-b 6 di r.a. gauthIer-J.y. JoLIf, a arIstote, L’Éthique à Nicomaque, introduction, traduction et commentaire, Publications Universitaires de Louvain, Louvain 1958-1959, t. 3, p. 52, dove si stabilisce un paragone col Simposio di Platone: cfr. pLatone, Simposio, 205 a: «C’est en effet […] par la possession des choses bonnes que les gens heureux sont heureux. Et il n’y a plus lieu à demander en outre: en vue de quoi souhaite-t-il d’être heureux, celui qui le souhaite? Tout au contraire, c’est à un terme ultime que semble toucher la réponse en question» (trad. Robin). 220 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Ora, per comprendere il rapporto che le varie forme di a◊tárkeia intrattengono con quella specifica della vita teoretica − che è una forma prima, principale e superiore −, vale citare nuovamente Eth. Nic. I 5, in cui, per mezzo della distinzione fra il fine perfetto e i fini imperfetti,20 lo Stagirita esamina il rapporto esistente fra fini differenti, sottolineando che ciò che è fine per sé (kaq¿a◊tó) è migliore di ciò che è fine per altrum (di¿âllo).21 Si tratta di una dottrina già teorizzata nel libro III dei Topici, ove si ricorda che: «Quanto è sceglibile a causa di sé è preferibile a quanto è sceglibile a causa di qualcos’altro. Così, l’essere in salute è preferibile all’addestrare il corpo: la prima cosa infatti è sceglibile a causa di se stessa, la seconda invece a causa di qualcos’altro».22 Qui, il contesto è rappresentato dall’esposizione della differenza fra ciò che è per sé e ciò che è per accidente,23 e sembra emergere come alcuni predicati possano avere sensi differenti, ma comparabili: ciò che è sceglibile (a‹retón) in quanto fine ultimo, da un lato, 20 Che è uno sviluppo coerente della distinzione che Aristotele propone, in numerosi testi, fra fine e mezzi. 21 O “per accidente”. 22 Top. III 1, 116 a 29-31 (traduzione dell’Autore). Un simile argomento sembra sia stato utilizzato da Eudosso, a proposito del piacere, cfr. Eth. Nic. I 2, 1072 b 20-23. 23 Sembra utile sottolineare la presenza del termine a‹retÓteron, lo stesso che era stato utilizzato in rapporto alla vita da scegliere. In effetti, per Aristotele, il bíoV a‹retÓteroV equivale al bíoV più autarchico. Ma tornando al termine a‹retÓteron, è utile ricordare che a‹retón è ciò che merita di essere scelto, mentre a‹retÓteron è ciò che lo merita più di un’altra cosa. In lingue francese, Brunschwig traduce il primo con «souhaitable» ed il secondo con «préférable» (cfr. arIstote, Topiques, tome I, texte établi et traduit par J. Brunschwig, Les Belles Lettres, Paris 1967, p. 154 n.1), sottolineando che «dans l’ensemble de ce traité du préférable que constituent les chapitres 1-3, a‹retÓteron est synonyme de béltion; notons cependant que le tópoV 118 a 8 sq. introduit une distinction entre les deux termes: a‹retÓteron dénote la supériorité pratique, pour nous; béltion dénote la supériorité axiologique, en soi». 221 sILvIa guLLIno sarà a‹retón in un senso diverso rispetto alle altre cose definite ugualmente a‹retón, ma dall’altro sarà preferibile (a‹retÓteron: a‹retón al grado più alto) rispetto a queste stesse cose, che rappresentano solamente uno dei significati del termine stesso.24 In Eth. Nic. I 5, 1097 a 32-b 6 Aristotele aggiunge poi che «In assoluto è perfetto ciò che è sempre scelto per sé (kaq¿aÎtóv), e mai a causa di altro (di¿âllo). E si stima che tale sia soprattutto la felicità: infatti la scegliamo sempre per sé e mai per altro, mentre scegliamo sì, onore, piacere, intelletto e ogni altra virtù anche per loro stessi − infatti sceglieremmo ciascuno di essi anche quando non ne derivasse altro bene −, ma li scegliamo anche in vista della felicità, stimando che saremo felici a causa loro. La felicità, infatti, nessuno la sceglie in vista di quei beni, né in generale per altro».25 Cfr. An. Post. I 2, 72 a 29-30, traduzione di J. Tricot, leggermente modificata, in arIstote, Organon, IV : Les Seconds Analytiques, nouvelle traduction et notes par J. Tricot, Vrin, Paris 1947, ad loc: «Toujours, en effet, la cause en vertu de laquelle un attribut appartient à un sujet, appartient elle-même au sujet plus que cet attribut (a’eì gàr di¿ı Îpárcei Úkaston, ”keínÜ mállon Îpárcei): comme par exemple ce par quoi nous aimons (o±on di¿ı filoümen) est plus aimé que ce qui est aimé». Al riguardo, Tommaso d’Aquino spiega tale passaggio proponendo il seguente esempio, proposto da fILopono, 37, 21: «si amamus aliquem propter alterum, ut si magistrum propter discipulum, discupulum amamus magis». Qui, come nota d.B. roBInson, Ends and means in logical priority, in p. moraux, d. harLfInger (hrsg. von), Untersuchungen zur Eudemichen Ethik. Akten des 5. Symposium Aristotelicum (Oosterbeek, Niederlande, 21. – 29. August 1969), De Gruyter, Berlin 1971, pp. 185-193, p. 188), i termini usati da Aristotele alla linea 30: «di¿ı» devono essere interpretati equivalenti all’espressione «oΣ Úneka», ed aggiunge che: «Notice that the context as a whole also contains a distinction between prÖta and ̂stera, in a sense to which the means-end distinction is clearly taken to have some analogy, and one which is concerned with cognitive, and not merely ‘natural’, priority». 25 Eth. Nic. I 5, 1097 a 32-b 6. La tesi di Aristotele si fonda sulla nozione di perfezione come completezza; ecco perché egli associa la nozione di felicità a quella di autarchia. Questo testo è contenuto in un passaggio più lungo, di cui si è già trattato, poiché tratta del bene supremo, oggetto dell’etica (tò zhtoúmenon “gaqón), cioè il bene praticabile (praktón), in vista del quale l’uomo agisce, e ciò che, fra le cose praticabili dall’uomo, costituisce il suo fine. 24 222 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Alla luce di queste osservazioni si può supporre che il primato dell’autarchia teoretica derivi dalla sua completezza, dal suo essere per sé, kaq´aÎtón, e dunque dal suo essere solo “come fine” e mai “come mezzo”.26 Al contempo, sembra che quando Aristotele illustri le varie forma di autarchia o quando − in modo più o meno esplicito −, faccia loro corrispondere le diverse attività umane,27 egli abbia in mente la propria esposizione del bene come praktón, proposta in Eth. Eud. I 7, e la conseguente distinzione fra i fini ed i mezzi delle azioni: «Il bene pratico è la causa per cui noi agiamo [...]. Il fine in vista del quale si fa tutto il resto e, in quanto fine, è il bene supremo; esso è la causa di tutte le altre cose classificate al di sotto, ed è anteriore a tutte. Conseguentemente, si potrebbe dire che il bene in sé è unicamente la causa finale, che è alla base di tutte le azioni degli uomini. Ora, questo fine dipende dalla scienza sovrana, al vertice di tutte le altre, ovvero la politica».28 È possibile considerare l’a◊tárkeia umana, in quanto bene pratico, il soggetto di questo passaggio; ma se essa può essere oggetto di una scienza, la politica − come infatti avviene nelle opere di Aristotele −, allora essa deve possedere una certa unità, che non è quella che deriva da una definizione comune, ma quella del focal meaning; ed in effetti, fra le sue tipologie vi è un ordine di priorità ´ Detto altrimenti, vi è una forma di che ne fa un omonimo pròV ˚en. autarchia umana che, per sua natura, è autarchica in sommo grado, mentre gli altri significati della nozione si riferiscono a forme di essa che sono tali da permettere all’uomo di raggiungere la somma autarchia, senza tuttavia confondersi con essa. ´ è rappresentata dall’autarchia teoretica, La forma prima (lo ˚en) la cui definizione è «realizzazione dell’atto proprio dell’uomo», 26 Va dunque considerata in quanto téloV tÖn “nqrÓpÜ praktÖn, e dunque in quanto “gaqón. 27 Cfr. Pol. I 7. 28 Eth. Eud. I 8, 1218 b 6-14 (traduzione dell’Autore). 223 sILvIa guLLIno intendendo con l’espressione “atto proprio dell’uomo” ciò che permette a quest’ultimo di realizzare la propria essenza di animale dotato di lógoV.29 Le altre forme di a◊tárkeia sono legate ad essa, nella misura in cui l’autarchia economica − come si è visto −, rappresenta la condizione che permette all’uomo di praticare l’a‹retÓtatoV bíoV − il bíoV qewrhtikóV −, mentre l’autarchia politica è una condizione umana naturale e desiderabile, per sé ma anche per altrum, essendo la conditio sine qua non dell’autarchia teoretica.30 Dunque, fra le varie forme di autarchia vi è lo stesso rapporto che esiste fra fini e mezzi e fra fini differenti fra loro. Infatti, l’autarchia si identifica con la felicità e, nella misura in cui quest’ultima consiste nell’attivazione ottimale delle facoltà razionali dell’anima, la sua forma più perfetta risiederà nell’”nérgeia della componente psichica più elevata, il noüV. 30 Per concludere tale serie di considerazioni, vale evocare l’analisi dell’omonimia ´ pròV ˚ en che Aristotele effettua in Eth. Eud. VII 2 a proposito delle tre forme di amicizia. Quivi, egli ricorda che «necessariamente, vi sono tre forme di amicizia, che né non si definiscono tutte secondo qualche cosa di unico (kaq¿˚ en), ´ ovvero come specie rispetto ad un genere unico (V eîdh ∕nòV génouV), né tutte in maniera semplicemente omonima (pámpan ... ›mwnúnwV), ma in riferimento ad una di esse, che è prima (pròV mían ... tiná ... kaì prÓthn)». Ancora una volta, Aristotele contrappone l’omonimia pròV ˚ en en) e ´ alla sinonimia (kaq¿˚ ´ all’omonimia totale (unconnected: pámpan ... ›mwnúnwV). In effetti, poco dopo, rifiutando la teoria platonica a proposito dell’esistenza di un’idea dell’amicizia, egli aggiunge: «Dato che una sola definizione non è applicabile, essi [scil.: gli Accademici] pensano che le altre forme di amicizia non siano “amicizie”. Ora, esse lo sono, ma non allo stesso modo (›moíwV). Ma essi, poiché la prima definizione non si applica alle altre forme, ritenendo che essa debba essere universale in quanto prima, pretendono che le altre forme non siano amicizie. Ma in realtà vi sono molteplici forme di amicizia» (Eth. Eud. VII 2, 1236 a 15-32). Sembra dunque utile applicare questo stesso ragionamento alla nozione di a◊tárkeia umana: in effetti, anche in questo caso, una sola definizione non potrebbe spiegare tutti i casi attestati dall’esperienza (o◊ dúnantai pánt¿“podidónai tà fainómena); in realtà vi sono più forme, che non sono tutte “autarchiche” allo stesso modo (pollà eîdh a◊tárkeiaV), poichè l’autarchia si concretizza in molti modi di vivere che non si assomigliano né solo de nomine (V ›mÓnumoi), né per relazioni accidentali (V êtucon êcousai pròV ∕autáV), né secondo una ´ ´ forma unica (kaq¿˚ en e™doV), ma in riferimento a qualcosa di unico (pròV ˚ en). g.e.L. oWen, Logic and Metaphysics in some earlier Works of Aristotle, in I. dürIng, g.e.L. oWen, Aristotle and plato in the Mid-fourth Century, Almqvist & Wiksell, 29 224 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele III. Come è stato mostrato, all’interno della filosofia aristotelica, il problema riguardante la determinazione della definizione dell’a◊tárkeia e della sue differenti forme si collega a quello, parallelo, delle determinazione delle differenti forme di felicità. Aristotele riconosce poi l’esistenza di un’autarchia perfetta e desiderabile per sé, costituita dalla vita teoretica, che trova nella póliV una conditio sine qua non – o comunque una situazione facilitatrice – per la sua realizzazione, e quella di altre forme di autarchia che, pur non essendone l’espressione “al massimo grado”, possono a buon diritto essere dette tali; queste ultime costituiscono condizioni o, meglio “precondizioni” di questa “autarchia prima” ed hanno sempre come luogo di realizzazione la póliV. Pertanto, l’autarchia politica, pur non costituendo l’autarchia “prima” – ovvero lo ˚ en ´ di cui si è già discusso –, costituisce comunque una forma di autosufficienza da ricercare e, del resto, il filosofo le attribuisce una dignità tale da farne uno dei principali oggetti di indagine Politica, come emerge da Pol. I 2, 1252 b 27-28. Vale ora chiedersi quale sia il ruolo specifico che, in questo contesto, svolga il problema della ricerca della costituzione migliore, a cui il filosofo consacra la propria trattazione nei libri II-VII (e soprattutto nel VII), connettendo tale problema a quello della vita migliore, nel senso di preferibile. In tal modo, il problema costituzionale si collega nuovamente a quello della felicità, ed in particolare a quello dei “beni” che concorrono a realizzarlo. Göteborg 1960, pp. 162-190; e. Buchanan, Aristotle’s Theory of Being, Cambridge University Press, Cambridge 1962; J. oWens, The Doctrine of Being in the Aristotelian Metaphysics, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1963, spec. pp. 465-466; G.e.L. oWen, Aristotle’s on the Snares of Ontology, in r. BamBrough, New Essays on Plato and Aristotle, Routledge London 1965, pp. 69-95; I. dürIng, Aristoteles, Winter, Heidelberg 1966, pp. 596-622; e. BertI, Multiplicité et unité du bien selon EE I 8, in P. moraux, d. harLfInger (hrsg. von), Untersuchungen zur Eudemischen Ethik. Akten des 5. Symposium Aristotelicum (Oosterbeek, Niederlande, 21.-29. August 1969), Berlin, De Gruyter 1971, pp. 156-184. 225 sILvIa guLLIno Del resto, già nel trattato trasmessoci col titolo Divisioni – attribuito ad Aristotele ma probabilmente di origine accademica e di verisimile derivazione de uno scritto giovanile di Aristotele –,31 nel proporre la classica divisione/classificazione dei beni in tre tipologie: beni dell’anima, beni del corpo e beni esterni, egli annovera fra gli ultimi il “benessere della patria” (patrídoV e◊daimonía),32 che si identifica con l’avere una buona costituzione, che dunque costituisce un requisito fondamentale per la felicità, dato che come ricorda lo stesso Diogene Laerzio: «[Aristotele] definiva la felicità come la compiuta fusione di beni di tre specie: dei beni dell’anima, che egli chiama primi per importanza; in secondo luogo dei beni del corpo [...], in terzo luogo, dei beni esterni [...]. La virtù non è sufficiente alla felicità, ma ha bisogno anche dei beni del corpo e dei beni esterni».33 All’inizio del libro VII della Politica, poi, Aristotele cita esplicitamente una “divisione dei beni” – evidentemente quella appena citata, che dunque va data per acquisita34 – quando, parlando dei beni in relazione alla migliore forma di vita, sostiene che «[di beni] ve ne sono tre specie [...] e nessuno può dubitare che chi è beato li debba possedere tutti quanti». Vale sottolineare come tale tematica sia evocata proprio nel libro VII, in cui è posta esplicitamente ad oggetto la determinazione della costituzione migliore.35 31 Su questo tema si confronti lo status quaestions riportato da C. Rossitto nell’Introduzione ad arIstoteLe e aLtrI autorI, Divisioni, a cura di C. Rossitto, Bompiani, Milano 2005. 32 Div. 5 Mutschmann e Div. 1. Diogene Laerzio. 33 D.L. V 30 (traduzione dell’Autore). 34 Cfr. Pol. VII 1, 1323 a 21-38. A tale riguardo, cfr. il commento di C. Rossitto ad Aristotele e altri autori, Divisioni, cit., p. 264, che riprende quando affermato da W. W. fortenBaugh, Aristotle on Emotion, Duckworth, London 2002 (19751). 35 Già dalla giovinezza per Aristotele era dunque chiara l’imprescindibilità del contesto di vita, sia per la felicità sia per la virtù. Ed infatti, nella Politica, egli ribadisce come sia migliore la città meglio disposta, e che non può essere ben disposto chi non fa del bene. Questo significa che, sia nel caso del singolo che 226 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Pertanto, che si considerino la felicità e l’a◊tárkeia in modo “inclusivistico” o “esclusivistico”, si dovrà fare i conti con il problema della póliV e della sua costituzione migliore, che sola è in grado di garantirle o, quantomeno, di agevolarle rendendole possibili. In riferimento alla Politica, e in particolar modo al libro VII, Aristotele sviluppa un discorso estremamente “concreto”, in cui illustra quali siano le caratteristiche che dovrebbe possedere una póliV per essere autarchica e felice, e dunque affinché le si possa attribuire la migliore delle costituzioni. Egli afferma che, per avere una buona póliV, il legislatore dovrebbe tenere conto di alcune fondamentali proporzioni, definendo qual è il numero di cittadini più idoneo alla città, nonché la regione – ed il terreno – dove farla nascere.36 Dovrebbe poi realizzare una proporzione tra le classi e i lavori, affinché nella póliV non vi siano troppi opliti o troppi agricoltori, ricordando che la città non dovrà mai essere troppo popolosa, dato che il suo miglior limite è il maggior numero di abitanti compatibile con una vita autarchica.37 Anche il territorio dovrà essere abbastanza grande da essere autarchico e, al contempo, dovrà essere facilmente difendibile; in tal senso la vicinanza rispetto al mare sarà un fattore importante da prendere in considerazione. In particolare, per Aristotele, se non fosse per gli effetti negativi del commercio,38 la vicinanza al mare potrebbe essere vantaggiosa, poiché la città potrebbe importare i prodotti che le mancano ed esportare quelli in eccesso. Infine, nel caso della póliV, è ben disposto solo chi vive secondo virtù. La felicità dei due è dello stesso tipo: se il migliore individuo è quello più virtuoso, la migliore città è quella più felice. Da questo fatto Aristotele deduce due problemi: se sia meglio per il singolo partecipare alla vita politica e quale sia nello specifico la migliore costituzione per una città. Aristotele si concentra sul secondo problema, perché è quel problema che riguarda da vicino la questione politica e comincia a dire che la costituzione migliore è quella che permette a ciascuno di vivere beatamente. 36 Cfr. Pol. VII 4, 1325 b 33-1326 b 25. 37 Cfr. Pol. VII 4, 1326 a 35-1326 b 25. 38 Infatti, il commercio genera il vizio della brama del guadagno e del denaro. 227 sILvIa guLLIno la póliV ideale dovrebbe essere munita di una buona flotta per difendersi dal nemico.39 Quanto ai cittadini, la costituzione ideale dovrebbe garantire a ciascuno di essi una mansione da svolgere, a seconda del compiti, delle loro peculiarità e delle esigenze della póliV nel suo insieme. Sono infatti molteplici i compiti da assumere all’interno di una città, ed Aristotele li elenca in cibo, arti, armi, denaro, culto divino e giudizio sui diritti.40 «Queste dunque sono le funzioni di cui si può dire che ogni póliV deve disporre, perché la póliV è una massa di uomini non raggruppati a casaccio (¤ gàr póliV plËqóV ”stin o◊ tò tucón), ma capaci di vita autarchica (“llà pròV zwÈn aûtarkeV), come usiamo dire, e se manca di qualcuna di queste funzioni, è assolutamente impossibile che possa ancora costituire una comunità autarchica (a◊tárkh tÈn koinwnían)».41 Inoltre, poiché ogni compito andrà diviso in parti uguali e dovrà essere svolto da una figura specifica, la società sarà divisa in contadini, commercianti, guerrieri, sacerdoti e giudici e compito della costituzione sarà quello di indicare chi, nello specifico, dovrà dedicarsi a ciascuna attività, tenendo conto della costituzione del singolo, della sua età e di molti altri fattori: è meglio che i guerrieri siano giovani e forti, mentre che il sacerdote sia vecchio, di modo che possa avere riposo. La proprietà, infine, non deve essere comune, ma le mense possono esserlo, poiché tutti dovranno pagare per le mense comuni e per il culto. Aristotele afferma anche che il territorio andrebbe diviso in due: una parte pubblica, divisa tra le mense e il culto, e una privata, in modo che ognuno possa avere una parte di ciascuna delle due. 39 Cfr. Pol. VII 6, 1327 a 11-b 18. Cfr. Pol. VII 8, 1328 b 1-15. 41 Pol. VII 8, 1328 b 15-19. 40 228 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Una città va poi collocata in un sito salubre, favorevole in caso di guerra e in una regione dotata di corsi d’acqua abbondanti.42 Le fortificazioni dovrebbero essere diverse a seconda della costituzione: una cittadella per il regime oligarchico e quello monarchico, una pianura per la democrazie e una serie di posti di fortificazioni per l’aristocrazia. Dovrà comunque essere dotata di mura, per non lasciare campo aperto al nemico.43 Questo elenco, che giustappone consigli più generici a consigli più puntuali, e caratteristiche universalmente applicabili a ogni póliV ad altri che invece prevedono la presa d’atto di situazioni più contingenti, mostra come, agli occhi di Aristotele, la sorte di una póliV e la felicità dei suoi abitanti non dipendano dalla sorte, ma dalla scienza del governatore e del legislatore. Quest’ultimo, infatti, dovrà creare le condizioni per la virtù della póliV, poiché esse sole sapranno garantire la virtù e la felicità dei singoli cittadini. In quanto possessore della “scienza politica”, lo Stagirita precisa anche quale sia la migliore forma costituzionale. In tale senso, come emerge da Politica III 15, le simpatie del filosofo vanno senz’altro a un’oligarchia moderata o, detto altrimenti, ad una democrazia estremamente ristretta,44 ove al potere vi siano o‹ mésoi,45 per quanto concerne il possesso di ricchezze. Infatti, secondo Aristotele, la misura e la medietà sono sempre la cosa migliore, e pertanto un possesso medio di ricchezze dovrà considerarsi la scelta migliore, essendo più facile obbedire alla ragione quando 42 Cfr. Pol. VII 11, 1330 a 34-1331 a 18. Nell’ultima parte del libro VII, Aristotele discute dei matrimoni e dei figli, affermando che bisogna che i matrimoni siano combinati e che le persone sposate abbiamo delle età precise; a suo avviso, infatti, se un uomo può procreare fino all’età di settanta anni e la donna fino all’età di cinquanta, allora è giusto che un trentasettenne sposi una diciottenne. Inoltre dovrà essere stabilità un’età a partire dalla quale gli uomini e le donne potranno procreare e ogni famiglia avrà il diritto ad avere solo un certo numero di figli, non essendo conveniente che la póliV sia troppo popolosa. 44 Cfr. Pol. III 15, 1286 a 35 ss. 45 Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 2-3. 43 229 sILvIa guLLIno si è in tale condizione: non eviteranno infatti le cariche pubbliche, né intrigheranno per ottenerle, atteggiamenti che sono pericolosi per la póliV.46 In generale, per lo Stagirita, una póliV di poveri (governata dai poveri) è una póliV di servi, mentre una póliV di ricchi (governata dai soli ricchi) è una póliV di padroni, perché solo la póliV “media” è una póliV di uomini liberi (”leuqérwn).47 Pertanto, nei limiti del possibile, una città deve essere costituita da cittadini uguali e simili fra loro e ciò, a suo parere, accade soprattutto nel caso in cui i cittadini appartengono alle classi medie:48 «Perciò la póliV meglio governata sarà quella in cui si realizzano queste condizioni da cui per natura deriva la struttura politica».49 «È chiaro dunque che la migliore comunità politica è quella che si fonda sulla classe media e che le póleiV che sono in queste condizioni possono avere una buona costituzione, quelle, dico, in cui la classe media è più numerosa e più potente delle due estreme, o almeno di una di esse».50 Riassumendo quanto detto, è possibile affermare che il dettato della Politica a proposito dell’autarchia è molto chiaro ed è fondato sul collegamento costitutivo fra autarchia – felicità – costituzione migliore. Infatti, interrogandosi sulla costituzione migliore, e parallelamente sul tipo di vita da preferirsi, Aristotele correla l’affermazione secondo cui «l’a◊tárkeia consiste nell’avere tutto e nel non avere bisogno di nulla»51 alla definizione dell’uomo come «animale politico» (politikòn z∏on)52 proposta nel libro I, 46 Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 3-6. Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 6-22. 48 Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 25-26. 49 Pol. IV 11, 1295 b 27-28. 50 Pol. IV 11, 1295 b 34-37. 51 Pol. VII 5, 1326 b 28-30. 52 Pol. I 2, 1253 a 3. Inoltre, in Pol. I 2, 1253 a 14-17, si sottolinea come il possesso del lógoV, ovvero della razionalità che si manifesta nella parola e nel discorso, consenta all’uomo di individuare e di esprimere i valori sui quali si fonda la 47 230 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele sostenendo che gli uomini possono realizzare la propria compiuta autarchia solo vivendo in una póliV dotata di particolari connotazioni fisiche, costituzionali e demografiche, citate poco fa ed aggiungendo che la partecipazione politica adeguata può essere garantita da una costituzione che ponga al potere o‹ mésoi. IV. Nella Politica si elencano dunque le condizioni che la costituzione deve attribuire a una póliV per renderla autarchica e felice, mentre il libro VII le descrive come parametri variabili, poiché spetta all’autore di ogni costituzione (il nomoqéthV) il compito di adeguarli a determinate condizioni reali, storiche, politiche e geografiche, per mezzo della propria frónhsiV e della propria capacità di saper cogliere il “giusto mezzo” nelle cose.53 Questo approccio alla costituzioni, basato sulla loro capacità di rispondere a determinati “bisogni concreti e contingenti”,54 ci consente di collegare la teoria della Politica con il contenuto della Costituzione degli Ateniesi, opera in cui Aristotele valuta e commenta tutte le costituzioni che si sono alternate ad Atene in rapporto alla loro adeguatezza ai tempi correnti. Vale dunque estendere l’indagine sull’autarchia aristotelica anche a tela opera, che del resto è ormai considerata come una fonte imprescindibile per la conoscenza del pensiero politico di Aristotele. In particolare, si esamineranno quei passi in cui Aristotele si “sbilancia”, elogiando o biasimando le singole riforme costituzionali in virtù della loro capacità di garantire l’autosufficienza alla póliV ateniese. comunità politica. Pertanto, lo statuto dell’uomo come “animale politico” è tale da farne un essere che, per natura e attraverso il rapporto con l’altro, mira a conseguire l’e◊ zËn, ovvero il vivere bene e la felicità. 53 Cfr. Eth. Nic. VI 7, 1141 b 24-26. 54 Cfr. Pol. II 1, 1260 b 29-34. 231 sILvIa guLLIno In questo contesto è opportuna una premessa, dato che nell’opera non compare alcuna esplicita occorrenza del termine e, pertanto, i passi che verranno citati, evocando situazioni di autarchia e autosufficienza, andranno contestualizzati ed esaminati nella maniera più esaustiva possibile, per evitare siano fraintesi o, peggio, strumentalizzati. Come si vedrà, poi, l’opera fa riferimento per lo più a condizioni di autarchia economica, che costituisce solo una delle sfumatura “politiche” assunte dal termine, ma che si presenta come l’accezione fondamentale del termine quale si rinviene negli usi pre-aristotelici di esso.55 Nella Costituzione degli ateniesi è infatti frequente il giudizio aristotelico sull’attività dei legislatori in rapporto alla loro capacità di garantire l’autarchia dei singoli, fondandola su principi lontani dalla crematistica, ma provvedendo alla sussistenza dalla póliV.56 Infine, per offrire una esauriente interpretazione degli stessi, si cercherà di confrontare la narrazione effettuata da Aristotele nella prima parte dell’opera con le considerazioni proposte nella seconda parte della stessa.57 Quivi, ed in particolare nel § 41, il filosofo elenca tutte le undici costituzioni che furono attuate nella città di Atene, giudicandole in modo serafico ma estremamente chiaro: 55 Il riferimento è, ad esempio, agli usi di erodoto, Hist. I, 32, 8 – in cui l’autarchia designa la qualità che un territorio possiede o non possiede se esso è o non è capace di assicurare ad una comunità la sussistenza, grazie ala sua produzione – o Isocrate, Paneg. § 42 – ove si tratta di sapere se ogni popolo ha o meno un territorio autosufficiente. 56 Per “sussistenza” si deve intendere, in questo caso, la capacità di procurarsi quanto serve per sopravvivere, ovvero, per lo più, le risorse alimentari. Si rinvengono traduzioni che rinviano esplicitamente al campo economico, come ad esempio le traduzioni: «indépendance économique» e «autosufficienza» (cfr., rispettivamente, J. trIcot in arIstote, La Politique, cit. p. 27 e C. A. vIano in Id., Politica, cit., p. 77). 57 La raccolta di costituzioni si compone di una parte a carattere storico-istituzionale, che occupa i primi quarantuno capitoli, e di una parte più descrittiva, che espone le istituzioni e le magistrature ateniesi. Il papiro all’inizio è mutilo e alla fine (§ 69) si conclude bruscamente con l’esame delle modalità dello scrutinio pubblico. 232 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele «Fu allora che il popolo, divenuto padrone degli affari pubblici, istituì la costituzione che vi è adesso, sotto l’arcontato di Pitodoro, dal momento che il partito popolare riteneva giusto prendere il potere perché era rientrato in città con le proprie forze. Questa di numero era l’undicesima riforma della costituzione. Il primo cambiamento vi fu al tempo dell’immigrazione di Ione e di coloro che si stabilirono con lui; fu allora che per la prima volta gli Ateniesi si separarono in quattro tribù e designarono i capitribù. La seconda, e la prima dopo questa che ebbe forma di costituzione, fu quella fatta sotto Teseo e si allontanò di poco dal regime monarchico. Dopo quella vi fu la riforma di Draconte, nella quale per la prima volta misero per iscritto le leggi. La terza, quella di Solone, si ebbe dopo la rivolta civile, e da questa ebbe origine la tirannide di Pisistrato. La quinta fu la costituzione di Clistene, dopo la cacciata dei tiranni, certamente più democratica di quella di Solone. La sesta fu quella dopo le guerre contro i Persiani, quando l’Aeropago assunse la direzione dello stato. La settima si ebbe dopo questa, delineata da Aristide, ma realizzata da Efialte dopo avere sciolto il Consiglio degli Areopagiti; durante questo periodo accadde che la città commise moltissimi errori a causa dei demagoghi per il dominio sul mare. L’ottava fu l’insediamento dei Quattrocento, e dopo la nona si ebbe con il ritorno della democrazia. La decima fu la tirannide dei Trenta e dei Dieci. L’undicesima quella dopo il rientro da File e da Pireo, e da essa siamo giunti sempre a quella di oggi, che attribuisce sempre il massimo potere al popolo. Infatti lo stesso popolo si è reso direttamente padrone di tutto e regola ogni cosa con decreti e tribunali, nei quali egli è sovrano. Infatti le delibere del Consiglio sono passate al popolo. E sembra che ciò sia stato fatto giustamente; infatti pochi individui sono più facilmente corruttibili rispetto a molti tramite denaro o favori».58 Come si nota già da questo breve brano, Aristotele non si limita a raccogliere le diverse costituzioni, ma si chiede cose porti 58 Ath. Pol. 41, 1-2 (traduzione dell’Autore). 233 sILvIa guLLIno ai vari cambiamenti nel tempo, cosa sovverta l’ordine convenuto generando la stásiV e quale evento (o quale agente) abbia indotto tale trasformazione, partendo dal presupposto che qualunque cosa generi la stásiV sia da considerarsi nocivo e alteratore di una situazione di equilibrio ed autarchia.59 È poi chiaro come, in tale rassegna, Aristotele mostri la propria preferenza per alcune fasi costituzionali della storia ateniese e la propria antipatia – o addirittura disprezzo – per altre. Si cercherà ora di valutare se nell’opera esistono riferimenti a situazioni di autarchia che possano fungere da sostegno e da chiave di comprensione per i suddetti giudizi. Elencherò pertanto, cercando di contestualizzarli, i principali passi in cui il filosofo accenna a forma di autarchia politica tout court, ma anche economica e militare. La successione dei passi proposti è quella con cui tali riferimenti compaiono nei capitoli dell’opera, a partire dal testo del § 13, 4-5 della Costituzione degli Ateniesi, nel quale Aristotele enuncia le fazioni creatasi al Atene dopo la riforma soloniana, quando fra i cittadini erano nati i primi dissapori, prodromi di un’eventuale guerra civile: § 13,4-5: «Vi erano allora tre fazioni: una dei “parali”, di cui era a capo Megacle figlio di Alcmeone, i quali ritenevano di dover soprattutto seguire un’organizzazione statale moderata; un’altra di coloro che abitavano nella pianura, i quali sostenevano un governo oligarchico e il cui capo era Licurgo; la terza, infine, dei “diacri”, alla testa dei quali c’era Pisistrato, che sembrava essere il più democratico. A questi si erano aggiunti, spinti dalla povertà, coloro che erano stati privati di tutti gli averi a causa delle difficoltà 59 Del resto, il metodo con il quale Aristotele tratta i documenti raccolti è quello della propria “filosofia pratica”, il cui scopo è quello di conoscere la verità, ovvero «la conoscenza di come stanno effettivamente le cose», il «determinare la causa di come effettivamente stanno» . Cfr. e. BertI, Il metodo della filosofia pratica secondo Aristotele, in a. aLBertI (a cura di), Studi sull’etica di Aristotele, Loffredo, Napoli 1990, spec. p.23. 234 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele economiche e quelli che non erano puri per nascita spinti dalla paura; ciò è provato dal fatto che dopo la cacciata dei tiranni fecero una lista di cittadini, poiché non ritenevano opportuno che molti potessero partecipare alla vita dello stato con gli stessi diritti. E ciascuna fazione traeva il nome dai luoghi in cui coltivavano la terra».60 Quivi, l’espressione «prosekekósmhnto dè toútoiV oÙ “f…rhménoi tà créa dià tÈn “porían, kaì o‹ t∏ génei mÈ kaqaroì dià tòn fóbon», che è stata tradotta con «a questi si erano aggiunti, spinti dalla povertà, coloro che erano stati privati di tutti gli averi a causa delle difficoltà economiche e quelli che non erano puri per nascita spinti dalla paura», aiuta a comprendere come, per l’Aristotele della Costituzione degli ateniesi, la mancanza di autosufficienza economica possa costituire una causa di rivolta e di sovversione dell’ordine preesistente. L’attenzione aristotelica per gli aspetti economici è poi confermata da un passo del § 16, in cui il filosofo commenta le principali caratteristiche della tirannide di Pisistrato: § 16, 1-3: «Dunque la tirannide di Pisistrato si affermò fin dall’inizio in questo modo e presentò tali vicissitudini. Però Pisistrato, come si è detto, amministrò bene lo stato con moderazione e più come buon cittadino che come tiranno; in generale, infatti, fu disponibile e umano, mite e comprensivo nei confronti di coloro che commettevano qualche mancanza; addirittura prestava del denaro ai poveri per le loro attività, di modo che si mantenessero coltivando la terra. Faceva questo per due ragioni: perché non vivessero in città, ma si sparpagliassero per il territorio, e perché procurandosi quanto necessario e occupandosi dei propri affari non si trattenessero né avessero tempo per dedicarsi alle attività dello stato».61 60 61 Ath. Pol. 13, 4-5. Ath. Pol. 16, 1-3. 235 sILvIa guLLIno Queste affermazioni costituiscono per noi una testimonianza di estrema rilevanza perché, da un lato, confermano la teoria di Politica VII 8 a proposito della divisione del lavoro: «bisogna […] che la póliV sia costituita secondo queste funzioni: deve cioè avere un certo numero di contadini che le procurino il cibo, di artigiani, di guerrieri, di commercianti, di sacerdoti e di giudici e di ciò che è necessario e utile»,62 dall’altro mostrano come per il filosofo la cittadinanza non debba essere concessa a tutti, perché, di fatto, alcuni lavori sono onorabili mentre altri no. Del resto, in Politica VII 9, trattando della «póliV che ha i migliori ordinamenti politici»63 − ovvero di quella che definisce come «la più virtuosa e quindi quella che rende la vita più felice» −, egli ricorda che, al suo interno, «i cittadini non devono praticare una vita da operaio o da commerciante (oûte bánouson bíon oût¿“goraïon deï) – vite ignobili e contrarie alla virtù – né dovranno essere contadini (o◊dè dÈ gewrgoúV) quelli che aspirano a diventare cittadini – perché la nascita della virtù e l’esercizio delle funzioni politiche esigono libertà dagli impegni di lavoro quotidiano».64 L’autarchia economica della póliV si mostra dunque essere un ideale la cui realizzazione passa per differenti misure costituzionali ed economiche, quali la concessione della cittadinanza solo a chi può praticare la “politica attiva”, a scapito di chi ha invece il solo compito di provvedere all’autosufficienza economica della città, ma anche la capacità di garantire a tutti un adeguato sostentamento. Nel passo successivo, tratto dai §§ 24 e 25 si espone l’operato di Aristide, ed in particolare il suo ruolo nella fondazione e nell’evoluzione della Lega Delio-Attica (§ 23, 4-§ 24, 3) e formula alcuni 62 Pol. VII 8, 1328 b 19-23. Pol. VII 9, 1328 b 34; 1328 a 38. 64 Pol. VII 9, 1328 b 38-1329 a 1. 63 236 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele giudizi complessivi sul suo operato all’interno della vita politica ateniese del V secolo: § 24, 1- 25, 1: «In seguito, avendo la póliV acquisito fiducia in sé stessa ed essendo state accumulate molte risorse finanziarie, Aristide consigliava di impossessarsi dell’egemonia e di lasciare le campagne, per abitare la città vera e propria: ci sarebbe stato sostentamento per tutti (trofÈn gàr êsesqai päsi), per gli uni come soldati, per gli altri nelle guarnigioni, e per altri ancora come funzionari pubblici, e così avrebbero mantenuto l’egemonia».65 e «convinti di questi argomenti, gli Ateniesi presero il comando e si comportarono più dispoticamente nei confronti dei loro alleati, ad eccezione degli abitanti di Chio, di Lesbo e di Samo […]. E, come aveva consigliato Aristide, gli Ateniesi diedero a molti la possibilità di vivere con facilità e benessere. Accadde infatti che dai tributi, dalle tasse e dagli alleati vennero mantenuti più di ventimila uomini. […]. A tutti costoro provvedeva l’amministrazione dello stato dai beni comuni. Dunque il popolo ebbe di che vivere tramite questi provvedimenti».66 Nel primo di questi testi, di notevole rilevanza storiografica,67 Aristotele sembra portato a riflettere sulle motivazioni sottese all’invito all’inurbamento proposto da Aristide, approfittando del sostentamento che sarebbe giunto dagli alleati.68 L’Aristide aristo65 In questo caso, traduzione di A. Zambrini, T. Gargiulo e P. J. Rhodes, in arIstoteLe, Costituzione degli Ateniesi, a cura di P. J. Rhodes, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2016, p. 53, leggermente modificata. 66 Ath. Pol. 24, 1- 25, 1. 67 Ritenute per molti “false” o quanto meno “imprecise”, dal momento che Atene, con la fondazione della Lega, aveva già ottenuto l’egemonia e per il fatto che la creazione di una “proletariato urbano”, sostentato dallo stato, si verificò successivamente alla morte di Aristide. 68 Cfr. p. a. tucI, Aristide “imperialista” nell’Athenaion Politeia aristotelica in C. Bearzot, m. canevaro, t. gargIuLo, e. poddIghe (a cura di), Athenaion Politeiai 237 sILvIa guLLIno telico, infatti, sviluppa un topos simile a quello del celebre passo tucidideo in cui Pericle, alla vigilia della guerra del Peloponneso, invita i propri concittadini rifugiarsi entro le mura di Atene e a tËn gËn kaì o’kíaV “feïnai, ovvero a considerare Atene alla stregua di un’isola, combattendo con la sola flotta e non in campo aperto con le milizie spartane senza temere eventuali sconfitte, perché le perdite sarebbero state compensate dalle «risorse provenienti dagli alleati».69 Aristotele ricorda infatti, in § 24, 1-2, come, grazie alla Lega, la città di Atene abbia acquisito fiducia in se stessa ed accumulato ingenti risorse finanziarie (qarroúntoV Êde tËV pólewV, kaì crhmátwn ¤qroisménwn pollÖn) e come avesse consigliato agli ateniesi di impossessarsi dell’egemonia e di abbandonare le campagne trasferendosi in città (suneboúleuen “ntilambánesqai tËV ¤gemoníaV, kaì katabántaV ”k tÖn “rgÖn o’keïn ”n tÖ âstei), poiché ci sarebbe stato sostentamento per tutti (trofÈn gàr êsesqai päsi), tanto per coloro che erano impegnati nella vita militare, quanto per quelli che si dedicavano alla gestione della cosa pubblica, e al fine di mantenere l’egemonia. Seguirà nel § 24, 3 l’elenco di quanti, nei settori della vita politica e militare, erano sovvenzionati col denaro alleato, elenco che si concludeva con la considerazione secondo la quale il popolo traeva mantenimento grazia a tali risorse finanziarie.70 Qui l’autarchia di Atene sembra fondarsi sull’egemonia della città sulla Lega e dunque basarsi su di un assistenzialismo estremamente vantaggioso per alcuni, che sembrerebbe costituire un’alternativa alle forme di a◊tárkeia cui si è fatto rinvio in precedenza e che compare nella Politica, non passando per il contributo delle campagne circostanti. tra storia, politica e sociologia: Aristotele e Pseudo Senofonte, Led, Milano 2008, pp. 231-251. 69 Cfr. thuc. I 143, 5. Su questo tema, cfr. M. sordI, Se Atene fosse un’isola… Un adynaton fra Tucidide e l’Athenaion Politeia, in «AncW», 37 (2006), pp. 153-156. 70 Cfr. p. a. tucI, Aristide “imperialista” nell’Athenaion Politeia aristotelica, cit., p. 234. 238 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele Nondimeno, va notato come lo stesso Aristotele assegni a questo comportamento la responsabilità della degenerazione nella gestione della Lega, dal momento che nota come gli ateniesi, persuasi da Aristide, si comportarono dispoticamente coi propri alleati. Se dunque questa forma di autarchia economica – pur momentaneamente brillante per l’evoluzione dei tempi e delle cose – sembra comportare il sovvertimento di una forma di ordine e di equilibrio – e dunque, in ultima analisi, sembra identificarsi con il male –, non resta che rivolgersi a quella teorizzata nella Politica, che ha il pregio di mantenere la pace e di evitare la stásiV. Procedendo nella disamina dei passi della Costituzione degli ateniesi si può citare il § 26, nel quale Aristotele illustra le cause della degenerazione della situazione politica di Atene seguita alla riforma di Efialte: § 26, 1: «Il Consiglio dell’Aeropago fu dunque privato della sua funzione in tal modo. In seguito accadde che la costituzione si rilassò maggiormente a causa di coloro che agivano demagogicamente per il popolo. A seguito di ciò si verificò che i cittadini più onesti non avevano più una guida, tuttavia divenne loro capo Cimone, figlio di Milziade, che era troppo inesperto e aveva iniziato tardi la vita politica».71 Aristotele si mostra critico nei confronti di tale riforma, che ritiene troppo democratica; infatti, poco oltre, affermerà che «durante questo periodo accadde che la città commise moltissimi errori a causa dei demagoghi per il dominio sul mare».72 Secondo il filosofo, il problema risiedeva nell’avere esteso la cittadinanza a troppe persone e, pertanto, nell’avere turbato le fondamenta sulle quali doveva fondarsi l’autarchia della città: sostentamento per tutti e lavoro di contadini ed artigiani per garantire ai “cittadini” tout court di poter partecipare attivamente alla vita politica della città. 71 72 Ath. Pol. 26, 1. Ath. Pol. 26, 4. 239 sILvIa guLLIno A conferma di ciò si può citare il § 27, ovvero il successivo, nel quale il filosofo, esaminando l’operato di Pericle, afferma che: § 27, 4: «Pericle non poteva far fronte per i suoi averi a tale difficoltà: per consiglio di Damonide del demo di Eea […] propose di distribuire al popolo gli averi dello stato, dato che non ne aveva di propri, e istituì un rimborso per i giudici; per questo motivo alcuni lo accusano che le cose andarono peggio, perché si sottoponevano al sorteggio con maggior zelo più cittadini a caso che uomini onesti».73 Come si nota, ancora una volta, Aristotele pone alla base della propria idea di costituzione una chiara spartizione dei lavori e delle mansioni, che prevede che le cariche pubbliche siano attribuite, come vuole la Politica, ai mésoi74 che, contrariamente al “popolo”, tendevano a non evitare le cariche pubbliche e, al contempo, non intrigavano per ottenerle.75 Ciò spiega anche perché, in più luoghi dell’opera, lo Stagirita si dica contrario a quel rimborso indennitario che veniva attribuito a chi partecipava alle assemblee e manifesti invece il proprio entusiasmo per il progetto costituzionale di Teramene,76 che si caratterizza per essere un’oligarchia allargata o, se si vuole, una democrazia ristretta: § 29, 5: «In seguito organizzarono la costituzione in questo modo: “Le rendite dello stato non possono essere impiegate in attività se non nella guerra, le magistrature dovranno essere esercitate tutte senza compenso finché ci sia la guerra, ad eccezione dei nove arconti e dei pritani in carica: a questi toccano tre oboli ciascuno al giorno. Tutto il resto del potere politico verrà affidato a coloro degli Ateniesi 73 Ath. Pol. 27, 4. Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 2-3. 75 Cfr. Pol. IV 11, 1295 b 3-6. 76 Cfr. Ath. Pol. 33, 2: «Per i tempi essi sembrano avere amministrato bene lo stato, dal momento che era in corso una guerra e che il potere politico era in mano agli opliti». 74 240 La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele che potevano maggiormente servire lo stato con mezzi e ricchezze, in numero non inferiore a cinquemila cittadini».77 e: § 30, 4: «Prendano inoltre una decisione sul modo che a loro sembri il migliore circa l’amministrazione delle ricchezze, affinché esse siano ben salvaguardate e spese per quanto necessario, e il resto deliberino il meglio».78 Questa breve rassegna di testi porta alla formulazione di alcune considerazioni conclusive a proposito della nozione di a◊tárkeia all’interno delle opere politiche del Corpus aristotelicum. Si è visto, anzitutto, che la teorizzazione di un’autarchia propriamente politica non confligge con quella di un’autarchia perfetta, identificabile con la vita teoretica, ma anzi si mostra complementare ad essa. In seguito, cercando di comprendere in che cosa si esplichi, concretamente, tale forma di autarchia, si è mostrato il suo stretto legame con il problema della determinazione della costituzione migliore, quale è esposto nella Politica. Infine, dopo avere esaminato il libro VII della Politica, dedicato alle caratteristiche da attribuire alla costituzione ideale in vista della felicità e dell’autarchia, si è tentato di vedere se la teoria ivi contenuta si riflettesse nei giudizi formulati dal filosofo nella Costituzione degli ateniesi a proposito delle varie costituzioni; tale opera ha infatti mostrato come, alla base della valutazione delle diverse costituzioni, vi sia la stessa concezione dell’autarchia che è sottesa alla teoria del libro VII. Infatti, Aristotele mostra di preferire un tipo di costituzione che, da un lato, privilegi la divisione del lavoro – che sola può garantire l’autosufficienza della póliV – ma, dall’altro, nega la partecipazione alla vita politica a chi non fa parte dei μέσοι, a cui 77 78 Ath. Pol. 29, 5. Ath. Pol. 30, 4. 241 sILvIa guLLIno invece spetta il compito di approvvigionare la città di quanto è necessario per la sua sopravvivenza. Di lì, il biasimo a quelle forme costituzionali che, per mezzo di compensi a chi pratica la “vita politica”, consentono a tutti di accedere alle cariche dello stato, conformemente al principio che Aristotele enuncia già nel libro II della Politica, ove si ricorda che la póliV si fonda principalmente sulla differenza estrinseca dei propri abitanti, che in alcun modo può essere ricondotta ad unità: «La città non soltanto è costituita da una pluralità di uomini (o◊ mónon d¿”k pleiónwn “nqrÓpwn ”stìn ¤ póliV), ma anche da uomini differenti per specie (“llà kaì ”x eîdei diajeróntwn), poiché non ha origine da singoli uguali».79 79 Pol. II 2, 1261 a 22-24 (trad. di F. Pezzoli in arIstoteLe, La Politica. Libro II, direzione di L. Bertelli, M. Moggi, a cura di F. Pezzoli, M. Curnis, L’«Erma» di Bretschneider, Roma 2012, leggermente modificata). 242 Sommario Giulia Angelini IntroduzIone 5 Enrico Berti L’unItà deLLa fILosofIa pratIca In arIstoteLe 15 Alberto Jori Praxis - ethos - Polis. La rehabilitierung der Praktischen PhilosoPhie e La sua InterpretazIone deLL’etIca e deLLa poLItIca dI arIstoteLe 53 Marcello Zanatta I prIncIpI e Lo statuto epIstemoLogIco deLLa poLItIca archItettonIca In arIstoteLe 87 Manuel Berrón La fILosofIa pratIca e IL metodo degLI analitici 117 Claudia Baracchi note suL Bene e suLL’uno tra pLatone e arIstoteLe 137 Francesca Masi La vIrtù etIca deLLa gIustIzIa dIstrIButIva e La sua rILevanza poLItIca 167 Michele Di Febo educare aLLa moLtItudIne, educare La moLtItudIne. aLcune consIderazIonI suL dInamIsmo deL Plethos neLLa Politica dI arIstoteLe 189 Silvia Gullino La nozIone dI autarchIa neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe daLLa Politica aLLa costituzione degli ateniesi 213 309 Sommario Giovanni Battista Magnoli Bocchi La retorIca, fra etIca e poLItIca 243 Pietro Li Causi IL dILemma deLLa responsaBILItà anImaLe neL quadro deLLa ‘eto-LogIa’ arIstoteLIca 263 Le Autrici – Gli Autori 297 Indice dei nomi 303 310 Questo volume parte da una serie di problematiche che, riprendendo delle espressioni comunemente in uso, si addensano sull’etica e sulla politica dello Stagirita: che cos’è l’etica? Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono? Qual è il collegamento tra le due? Ma ancora, passando ai trattati, qual è il rapporto tra le Etiche e la Politica sia in sé che rispetto alla continuità e discontinuità di certi temi? Oltre alla questione dell’ἐπιστήμη – che, al di là della sistematizzazione consueta, non è assolutamente scontata –, si tratta però di concentrarsi anche su tutti quei temi che si impongono sempre in un’interrogazione di questo tipo, interrogazione che deve sempre tenere presente la specificità storico-categoriale del pensiero dello Stagirita. Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostruzione, qui si cercherà di complicare il più possibile questo nodo, che, come si vedrà, è tutto tranne che risolto. Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione è la quarta di una serie di collettanee aristoteliche uscite sempre per Petite Plaisance a cura, per quanto riguarda i primi tre titoli, di L. Grecchi: Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017) e Teoria e prassi in Aristotele (2018). Giulia Angelini: IntroduzIone / Enrico Berti: L’unItà deLLa fILosofIa pra/ Alberto Jori: Praxis - ethos - Polis. La rehabilitierung der Praktischen PhilosoPhie e La sua InterpretazIone deLL’etIca e deLLa poLItIca dI arIstoteLe / Marcello Zanatta: I prIncIpI e Lo statuto epIstemoLogIco deLLa poLItIca archItettonIca In arIstoteLe / Manuel Berrón: La fILosofIa pratIca e IL metodo degLI analitici / Claudia Baracchi: note suL Bene e suLL’uno tra pLatone e arIstoteLe / Francesca Masi: La vIrtù etIca deLLa gIustIzIa dIstrIButIva e La sua rILevanza poLItIca / Michele Di Febo: educare aLLa moLtItudIne, educare La moLtItudIne. aLcune consIderazIonI suL dInamIsmo deL Plethos neLLa Politica dI arIstoteLe / Silvia Gullino: La nozIone dI autarchIa neL pensIero poLItIco dI arIstoteLe daLLa Politica aLLa costituzione degli ateniesi / Giovanni Battista Magnoli Bocchi: La retorIca, fra etIca e poLItIca / Pietro Li Causi: IL dILemma deLLa responsaBILItà anImaLe neL quadro deLLa ‘eto-LogIa’ arIstoteLIca. tIca In arIstoteLe ISBN 978-88-7588-283-9 € 30