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ARCHEOCLUB DI SAN SEVERO 34° ConveGno naZIonaLe sulla Preistoria - Protostoria - Storia della Daunia San Severo 16 - 17 novembre 2013 aTTI a cura di Armando Gravina San Severo 2014 Il 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia è stato realizzato con il contributo di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali – Sez. III; Amministrazione Comunale di S. Severo; Regione Puglia; Banca di Credito Cooperativo di San Giovanni Rotondo – Comitato Scientifico: Dott. LUIGI LA ROCCA Sovrintendente per i Beni Archeologici per la Puglia Prof. GIULIANO VOLPE Rettore Emerito Università di Foggia Prof. PASQUALE CORSI Ordinario di Storia Medievale – Università degli Studi “A. Moro” di Bari Prof. ANGELO RUSSI Ordinario di Storia Romana – Università de L’Aquila Prof. ATTILIO GALIBERTI Ordinario Catteddra di Antropologia – Università di Siena Prof. ARMANDO GRAVINA Presidente Archeoclub di San Severo ORGANIZZAZIONE – Consiglio Direttivo della Sede di San Severo di Archeoclub d’Italia: ARMANDO GRAVINA Presidente MARIA GRAZIA CRISTALLI Vice Presidente GRAZIOSO PICCALUGA Segretario LUIGI MONTEVECCHI Tesoriere PASQUALE AMORUSO ANNA D’ORSI VALENTINA GIULIANI – Segreteria del Convegno: LUIGI MONTEVECCHI VALENTINA GIULIANI GRAZIOSO PICCALUGA © Archeoclub San Severo · COD. ISBN: 978-88-96545-54-6 Finito di stampare nel mese di novembre 2014 presso Centro Grafico S.r.l. - Foggia – www.centrograficofoggia.it VITTORIO MIRONTI* MAURIZIO MOSCOLONI* Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata proveniente dai settori E3A, E2O e F2N dell’insediamento dell’età del Bronzo di Coppa Nevigata (Manfredonia, FG): risultati preliminari. * Università degli Studi di Roma “La Sapienza” L’obiettivo di questo studio è l’analisi tecnologica dell’industria litica proveniente dai settori E3A, E2O e F2N dell’insediamento dell’età del Bronzo di Coppa Nevigata (Manfredonia, FG) (CAZZELLA et alii 2012). L’analisi, volta soprattutto alla ricostruzione delle catene operative, è stata eseguita con un approccio globale, tenendo anche in considerazione gli aspetti legati alle materie prime e alle fonti di approvvigionamento in uso nell’età del Bronzo. Durante questo periodo l’industria litica continua a essere ampiamente utilizzata per diversi tipi di attività (CRISTIANI et alii 2002; LEMORINI 2012; MOSCOLONI 2012), anche se probabilmente il sempre maggiore uso del metallo incide su una trasformazione radicale delle catene operative e delle tecniche di scheggiatura in uso nei precedenti periodi della preistoria. Materiali e Metodi I reperti esaminati in questo studio provengono dai settori E3A, E2O, interessati dalla presenza di una struttura appenninica (MOSCOLONI, SAVINO cds) indagata nelle campagne di scavo 2001, 2002 e 2003; e dal settore F2N, un saggio in profondità, con una cronologia che va dal Subappenninico al Protoappenninico, scavato durante le campagne nel 2006, 2007 e 2008. La scelta dei settori è strettamente finalizzata all’elaborazione di un lavoro più ampio, in corso di attuazione da parte degli scriven- ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 202 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni ti, con il quale si tenterà di comprendere sia possibili differenze funzionali di specifiche aree e strutture sia cambiamenti tecnologici nel corso del tempo. Il campione litico analizzato è costituito da 1190 reperti, di cui: 324 non diagnostici (elementi non orientabili, bruciati etc.) e 127 lunghi meno di un cm. I restanti 739 manufatti di cui 127 nuclei, 518 supporti non ritoccati e 94 supporti ritoccati (fig. 1A), costituiscono l’oggetto di questo studio e sono stati suddivisi considerando le fasi della catena operativa in: fasi iniziali/messa in forma, produzione, gestione, trasformazione e abbandono. I reperti sono stati schedati mediante l’ausilio di un database formulato appositamente per il contesto in esame. La scheda iniziale, oltre a informazioni di carattere generale, presenta tre sezioni relative rispettivamente a nuclei, supporti non ritoccati e supporti ritoccati. I dati sono stati in seguito rielaborati mentre gli elementi non diagnostici e quelli inferiori di lunghezza a 1 cm sono stati solo conteggiati e inseriti anch’essi in tabelle riassuntive. Va inoltre considerato che alcuni degli elementi non diagnostici potrebbero essere riferibili ad attività diverse da quelle di scheggiatura, visto che a differenza di altri contesti, a Coppa Nevigata e in generale nell’età del Bronzo, i ciottoli di selce venivano anche adoperati per la realizzazione di acciottolati (CRISTIANI et alii 2002). Non è comunque raro trovare in diverse aree del sito concentrazioni o fosse riempite da ciottoli: è possibile quindi che parte degli elementi non determinabili rappresentino i resti di altre attività, ben distinte da quelle di scheggiatura. Gli elementi ritoccati sono stati descritti anche da un punto di vista tipologico, adottando una classificazione molto flessibile, tenendo conto del fatto che per l’età del Bronzo non esistono tipologie di riferimento per la penisola italiana. Materie prime e fonti di approvvigionamento L’insieme litico analizzato è composto totalmente da selce: l’83% (pari a 613 reperti) proviene da ciottoli, solo il 4% (corrispondente a 27 elementi) sembra provenire da arnioni, noduli, liste e comunque non da ciottoli, nel restante 13% dei casi (pari a 99 manufatti) non è stato possibile determinare con certezza la provenienza della materia prima. I ciottoli sono quasi sempre di dimensioni medio-piccole nella maggior parte dei casi di forma ovoidale allungata, ma non mancano esempi pseudo-circolari ed ellissoidali. Il cortice si presenta grigiastro e poco invasivo, non supera mai i pochi millimetri di spessore e sembrerebbe di neoformazione, molto diverso quindi dal cortice più spesso e biancastro che caratterizza i piccoli o grandi noduli e gli arnioni in selce tipici del territorio garganico. La materia prima proveniente da ciottoli, anche se non eccellente, si presenta di buona qualità; nel 68% dei casi dell’intero complesso litico analizzato, cioè su 417 elementi, la selce è caratterizzata da una lieve lucentezza che viene meno nel restante 32%, pari a 196 manufatti. Il colore predominan- Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 203 Fig. 1A – Composizione del campione litico analizzato. Fig. 1B – Grafico a dispersione delle dimensioni dei supporti integri (fasi di produzione). ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 204 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni Fig. 2 – Supporti ritoccati: 1-4, 13 grattatoi; 5 troncatura su scheggia; 6-7 raschiatoi; 8-10 denticolati; 11-12, 14-16 perforatori; 17 intaccatura; 18-19 schegge ritoccate. Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 205 Fig. 3 – Manufatti riciclati: 1 scheggia Levallois (in rosso il ritocco del Paleolitico Medio); 2 lama a semi-cresta; 3, 7 raschiatoi; 4 perforatore bifacciale; 5 scheggia laminare ritoccata; 6 nucleo piramidale a lamelle; 8-9 nuclei. ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 206 Fig. 4 – Alcuni esempi di nuclei da Coppa Nevigata. Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 207 te della selce è giallastro (47%), tendente in alcuni casi al marrone, con la presenza, nella maggior parte dei casi, di inclusi puntinati biancastri che si possono notare anche nella selce di colore differente, divenendo così una caratteristica di tutto il complesso da ciottolo preso in esame. Non sono rari i manufatti in selce grigia (25%), che rappresentano anch’essi buona parte dell’insieme litico, a questi si aggiungono i manufatti in selce bianca (7%), marrone (8%), rossa (6%) e i pochi manufatti di colorazioni differenti (7%) da quelle citate fino ad ora; solo per una minima parte del campione (3 elementi) non è stato possibile determinare il colore perché alterato fortemente dall’esposizione al calore. La selce non proveniente da ciottolo è rappresentata da un campione meno consistente. La materia prima è di ottima qualità, con un cortice biancastro che in alcuni casi arriva anche a 10 mm di spessore; gli inclusi interni sono assenti nella maggior parte dei casi. I manufatti sono caratterizzati da un’accesa lucidità nell’85% dei casi, pari a 23 elementi, e solo il 15%, cioè 4 manufatti, risulta opaco. I colori predominanti sono il grigio (26%) e il bianco (26%), seguiti dal giallo (18%); risultano essere invece meno attestati i manufatti di altre colorazioni come il rosa (11%), il marrone (11%) e il viola (4%); a questi si aggiunge 1 elemento (4%) per cui non è stato possibile determinare il colore perché esposto a alterazione termica. Riguardo alle fonti di approvvigionamento, si può ipotizzare che i ciottoli fossero reperiti nelle vicinanze del sito, in aree interessate da depositi fluviali, torrentizi, marini e in paleoalvei. Nel territorio costiero che si estende dal sito di Coppa Nevigata ai piedi del Gargano non è raro trovare selce sotto forma di ciottoli di mediopiccole dimensioni e di buona qualità; a ciò va aggiunta la possibilità che in antico vi fossero luoghi di approvvigionamento ancora più vicini e oggi non più visibili a causa delle radicali trasformazioni che hanno interessato il Tavoliere della Puglia nel corso del tempo (CALDARA, SIMONE 2012). È probabile che la notevole presenza di materia prima sul territorio e la facilità di reperimento di quest’ultima abbiano influito molto sulle catene operative e sulle scelte tecnologiche connesse alla scheggiatura della selce. Per quanto riguarda la selce non proveniente da ciottoli, nella maggioranza dei casi, si riconduce a contesti più antichi e molto probabilmente testimonia il recupero di nuclei o manufatti neolitici, mesolitici e paleolitici riutilizzati nell’età del Bronzo. L’aspetto del riciclo è emerso più volte nel corso di questo studio; a sostegno di questa ipotesi la presenza di manufatti più antichi rispetto al periodo in esame, caratterizzati da patine bianche e gialle che in più casi risultano chiaramente essere state asportate in seguito alla realizzazione di nuovi ritocchi avvenuti nell’età del Bronzo. Le osservazioni inerenti al recupero di questi manufatti ci permettono di considerarli come una vera e propria forma di approvvigionamento di materia prima (anche se parliamo di una percentuale minima rispetto alla selce da ciottolo), nella quasi totalità dei casi migliore di quella proveniente dai ciottoli, aspetto questo che meriterà di essere approfondito in una fase più avanzata dello studio. ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 208 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni La catena operativa Prima di introdurre i dati inerenti alla catena operativa e le fasi di lavorazione è opportuno premettere che il 34% del campione litico analizzato è interessato da fratture probabilmente legate ad eventi postdeposizionali; su poco meno della metà di questo materiale si sono potute effettuare soltanto osservazioni sul margine distale. I supporti si presentano: nel 23% dei casi completamente corticati, nel 15% il cortice ricopre più della metà del manufatto, nel 37%, invece, esso interessa meno della metà del reperto, sul restante 25% il cortice risulta assente. Le fasi iniziali Le fasi legate alla messa in forma del nucleo sembrerebbero strettamente correlate alle prime due categorie, che vedono rispettivamente frammenti completamente corticati e altri con il cortice in più della metà della superficie, costituendo nel complesso circa il 38% dei manufatti. Attraverso l’analisi dell’insieme dei supporti litici, riguardanti appunto le fasi iniziali della catena operativa, si è notato che i talloni sia lisci che corticati hanno la stessa incidenza percentuale, in entrambi i casi il 37%, a questi si aggiungono i talloni puntiformi e i diedri che rappresentano ciascuno il 5%, nel restante 16% (frammenti con tallone irregolare, n.d. etc.) non è stato possibile determinare la forma. Attraverso questi dati, che sembrerebbero confermati anche dai residui di nucleo (di cui parleremo più avanti), si può intuire che i piani di percussione, per le fasi di messa in forma del nucleo, fossero realizzati sia attraverso il decalottamento dei ciottoli (formando così un piano di percussione con un solo distacco), sia utilizzando i piani naturali di quest’ultimi (che in alcuni casi si prestano molto bene alla scheggiatura per la loro forma allungata). Rimane difficile stabilire con certezza una prevalenza nella scelta di un asse di scheggiatura rispetto all’altro; si può osservare una tendenza, non troppo accentuata, a utilizzare l’asse della lunghezza (di questo si ha conferma anche dai nuclei), anche se sono presenti comunque esempi di distacchi sull’asse della larghezza e dello spessore. La notevole variabilità dei ciottoli e in alcuni casi la poca differenza tra lunghezza e larghezza non aiutano a ottenere dati certi: è probabile che sulle scelte abbiano influito notevolmente il progetto e le idee (relative al supporto da realizzare) da parte dello scheggiatore. Il 36% dei supporti primari e secondari presenta un bulbo prominente; nel 15% dei casi il bulbo è diffuso; il 9% degli elementi, invece, mostra un bulbo piatto; nel 17% dei casi il bulbo si presenta scagliato, mentre sul restante 23% non è stato possibile effettuare una determinazione. Il labbro è assente nel 53% dei casi, nel 33% degli elementi ridotto e solo nel 14% leggermente sporgente. I bulbi e l’assenza di labbri, in più della metà dei casi, farebbero intuire un uso della percussione diretta con percussore duro, usuale per que- Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 209 ste fasi iniziali della catena operativa (PELEGRIN 2000). I bulbi scagliati spesso sono considerati come forti indicatori di una possibile apertura dei ciottoli mediante la tecnica bipolare su incudine; mancano però totalmente altri indicatori come: i bulbi diedri, a corona, i doppi bulbi, l’accentuato spessore dei supporti e i manufatti scagliati (ARZARELLO et alii 2011). Grazie a studi sperimentali effettuati su materie prime, si è consapevoli del fatto che spesso le tracce lasciate dalla percussione bipolare non sono così evidenti come si pensava in passato; i dati indicano che solo su circa il 40% dei manufatti è possibile osservare la presenza dei fattori che caratterizzano la tecnica bipolare (GRIMALDI et alii 2009; BIETTI et alii 2009-2010) tipo: il doppio bulbo, i bulbi scagliati o la presenza di una “corona” intorno ad esso. Il percussore, di solito, risulta essere predominante rispetto al contraccolpo dell’incudine (CANCELLIERI et alii 2001). Si può supporre quindi che la tecnica bipolare, anche se poco attestata e di certo non prevalente, fosse in uso nel contesto in esame, rendendo così variabile il quadro tecnologico delle fasi iniziali di scheggiatura. La sperimentazione citata dimostra che la tecnica bipolare potrebbe essere poco riconoscibile, ed è probabile che a Coppa Nevigata venisse impiegata più frequentemente, vista la natura della materia prima, rispetto a quanto si possa percepire dai dati in possesso. La scarsa presenza di elementi che si ricollegherebbero a questa tecnica potrebbe essere spiegata, oltre quindi che per la loro limitata osservabilità, probabilmente da una volontà di produrre un numero maggiore di supporti, poco spessi, dallo stesso nucleo. I negativi dei distacchi sulla parte dorsale delle schegge semicorticali, posti in relazione con la direzione degli stessi supporti, risultano: unidirezionali nel 70% dei casi, bidirezionali contrapposti nel 4% dei casi, ortogonali nell’8% degli elementi, nel restante 18% risultano non determinabili. Le fasi di produzione Per quanto concerne le fasi di produzione, essa è testimoniata da 256 schegge e 27 lame, quest’ultime in parte ricollegabili alle attività di riciclo di strumenti più antichi. Le dimensioni dei supporti sono in media 25 mm ca. di lunghezza (max. 64 mm, min. 6 mm), 24 mm di larghezza (max. 52 mm, min. 7 mm) e 8 mm di spessore (max. 32 mm, min. 2 mm). Inserendo i singoli dati, relativi a ciascun manufatto, in un grafico di dispersione (fig. 1B) si possono distinguere due macroclassi dimensionali: la prima composta di schegge la cui dimensione è inferiore a 30 mm sia in lunghezza sia in larghezza e una seconda costituita da elementi di dimensioni maggiori che superano i 30 mm di lunghezza e larghezza. Il profilo dei manufatti risulta essere: rettilineo nel 65% dei casi, riflesso nel 20%, ricurvo nell’11% e irregolare nel 4%. I margini invece si presentano nel 70% dei casi dritti, nel 14% convessi, nel 7% concavi e solo nel 9% irregolari. L’alta presenza di riflessione, intorno al 20%, farebbe intuire che non era raro commettere errori di la- ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 210 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni vorazione: questo dato è in parte confermato anche dai nuclei (come vedremo più avanti), che in alcuni casi vengono abbandonati per gravi incidenti. I negativi sulla parte dorsale delle schegge inerenti alle attività di produzione, posti in relazione con la direzione degli stessi supporti, risultano: unidirezionali nel 55% dei casi, bidirezionali contrapposti nell’11%, ortogonali nel 9%, centripeti nell’1%, mentre il restante 24% risulta non determinabile. Si può notare che, a differenza delle fasi di messa in forma del nucleo, si assiste a un aumento dei distacchi bidirezionali contrapposti, mentre i distacchi ortogonali sono attestati all’incirca con una percentuale simile. Questo senza dubbio risulterebbe in connessione con le attività di gestione che, in nuclei di partenza così piccoli, non si può considerare come un concetto a sé stante. La realizzazione di ogni supporto, trattandosi di nuclei di ridotte dimensioni, influisce sulla morfologia delle schegge staccate in seguito. I talloni relativi alle fasi di produzione si presentano lisci nel 30% dei casi, corticati nel 25%, puntiformi nel 10%, diedri nell’8% e nel restante 27% (frammenti con tallone irregolare, n.d. etc.) non è stato possibile determinare la forma. Il bulbo si presenta prominente nel 35% dei supporti, diffuso nel 21%, scagliato nel 13%, piatto nel 7% e, nel restante 24%, non è stato possibile effettuare una determinazione. Sul 47% dei reperti il labbro è assente, nel 37% dei casi è leggermente sporgente e solo nel 16% è ridotto. A differenza delle fasi iniziali di scheggiatura, i talloni lisci sembrerebbero in prevalenza, i corticati continuano a rappresentare una parte consistente del campione, aumentano leggermente di percentuale i diedri e i puntiformi; queste ultime due categorie insieme ai dati relativi ai bulbi e all’aumento dei labbri leggermente sporgenti potrebbero far ipotizzare, con la dovuta cautela, un incremento dell’uso di percussori organici nella fase di produzione (PELEGRIN 2000), pur restando predominante l’utilizzo del percussore duro. Si nota inoltre una correlazione tra bulbi prominenti e assenza di labbri, i quali sono spesso associati a bulbi piatti e diffusi; va comunque segnalato che non mancano casi in cui questa associazione si capovolge. Le fasi di gestione Le fasi di gestione sembrano essere poco rappresentate e sono pari al 7% se si prende in considerazione l’intero campione e al 10% se si considerano solo i supporti. Il 90% dei ravvivamenti proviene da un nucleo per schegge, mentre solo il 4% sembra provenire da nuclei per lame; sul restante 6% non si sono potute fare osservazioni certe. L’83% delle fasi di gestione è riferibile a ravvivamenti laterali, il 7% al piano di percussione, il 2% al fondo di nucleo, mentre il restante 8% è risultato non determinabile. In più della metà dei casi, pari al 52%, si nota la presenza di 1 solo piano di percussione, sul 40% si possono osservare 2 piani di percussione, sul 6% 3 piani di percussione e solo sul 2% i piani di percussione sono 4. Il numero dei negativi varia da 1 a 3 distacchi nel 64% degli elementi mentre nel restante 36% i distacchi vanno da 4 Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 211 a 7. Nella quasi la totalità dei ravvivamenti il cortice, nei rari casi in cui è presente, interessa una minima parte del manufatto e solo il 9% presenta degli incidenti gravi (riflessioni etc.) che possono spiegare il perché del ravvivamento. Le fasi di trasformazione Le fasi di trasformazione tramite ritocco (fig. 2) sono rappresentate dalla presenza di 94 elementi (il 13% del campione totale); i tipi presenti sono: grattatoi nel 21% dei casi, schegge ritoccate nel 16%, raschiatoi nel 13%, lame ritoccate nel 12%, intaccature nell’11%, denticolati nell’8%, perforatori nel 7%, bifacciali nel 4%, troncature nel 3%, bulini nel 3%, strumenti polifunzionali nell’1% e punteruoli nell’1%. I grattatoi costituiscono il tipo più attestato, in quasi la metà dei casi sono realizzati su schegge corticali o semicorticali, nel 45% dei casi sono caratterizzati da un ritocco erto marginale, i ritocchi scalariformi e sopraelevati costituiscono rispettivamente ciascuno il 20% e si presentano più invasivi; a questi si aggiunge il 15% che presenta un ritocco semplice marginale. Le schegge ritoccate rappresentano un macrotipo molto diffuso (per certi versi associabili al gruppo dei grattatoi e raschiatoi), il 67% di esse è caratterizzato da un ritocco semplice, mentre il 27% presenta un ritocco scalariforme e solo il 6% (1 elemento) presenta un ritocco piatto; nel 75% dei casi l’estensione è marginale. I raschiatoi sono caratterizzati da un ritocco semplice nel 50% dei casi, mentre i ritocchi erti e quelli scalariformi costituiscono rispettivamente ciascuno il 25%. I supporti su cui sono stati realizzati solo nel 33% dei casi presentano cortice. Le lame ritoccate, con molte probabilità riferibili a momenti più antichi o comunque a una produzione ormai marginale nell’età del Bronzo, sono caratterizzate da un ritocco semplice marginale e solo in un caso da un ritocco inverso. Le intaccature si presentano sia poco che molto accentuate e, nella maggior parte dei casi, presentano un ritocco scagliato/scalariforme invasivo. Il ritocco dei denticolati può essere, a parità di casi, sia erto che scalariforme e invasivo in quasi la totalità dei casi; solo 1 caso presenta un ritocco marginale. I perforatori presentano per la maggior parte dei casi un ritocco erto invasivo diretto, mentre in pochi casi si nota un ritocco scalariforme misto. Le altre tipologie citate (bulini, bifacciali e troncature), invece, vanno a completare un quadro di alta variabilità e alcuni di essi potrebbero essere riferiti a contesti o momenti più antichi dell’ età del Bronzo; a questi si aggiungono le lame ritoccate, le troncature su lama e un punteruolo a dorso, manufatto questo molto diffuso nei livelli neolitici del sito. Nel 34% degli elementi ritoccati, infatti, si possono notare molti indizi che permettono di attribuirli al gruppo “dei riciclati” (fig. 3), come dimostrato dal fatto che in molti casi sono state registrate su di essi patine biancastre e giallastre in parte, asportate per la realizzazione o il ravvivamento del ritocco. In altri casi invece si possono osservare elementi estranei al complesso come: le tecniche laminari e microlaminari, le lame a cresta, molto probabilmente almeno 2 elementi levallois, i bulini su lama e la presenza di un nucleo laminare piramidale che in seguito è stato ritoc- ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 212 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni cato su più lati probabilmente per essere riutilizzato (str. polifunzionale). La maggior parte dei manufatti riciclati, come già detto, si colloca proprio tra i supporti ritoccati: sembrerebbe quindi che vi sia una certa sistematicità (come osservato in altri settori di scavo in corso di studio) nel realizzare i supporti ritoccati con materiali archeologici più antichi. Va comunque considerato che quasi sempre i riciclati presentato margini molto arrotondati e patine molto invasive e per il loro utilizzo è essenziale una nuova trasformazione tramite il ritocco, che non sempre è marginale: in alcuni casi può interessare gran parte della superficie del manufatto. Le fasi di abbandono Le fasi di abbandono (fig. 4) sono testimoniate da nuclei (126 per l’estrazione di schegge e solo 1 per lamelle, quest’ultimo sicuramente più antico) indifferenziati nel 78% dei casi, pseudo-piramidali nel 9%, ortogonali nell’8%; poliedrici e discoidali rappresentano rispettivamente ciascuno l’1%, mentre nel restante 3% non è stato possibile determinare il tipo, poiché i materiali risultano danneggiati da eventi postdeposizionali. Per quanto concerne i piani di percussione osservabili, il 72% dei casi sembra essere riferibile alla preparazione del piano tramite il distacco di una sola scheggia, il 25% presenta piani corticali, mentre solo sul 2% la preparazione è stata effettuata con più di un distacco; il restante 1% è risultato non determinabile. Le cornici si presentano: non preparate nell’86% dei casi, mentre una leggera preparazione si nota sull’11% degli elementi; il restante 3% non è determinabile. Nel 46% degli elementi i negativi dei distacchi hanno un andamento unidirezionale, nel 32% invece sono bidirezionali, nel 17% multi direzionali; nel 2% si nota una direzione centripeta, nel restante 3% non è stato possibile effettuare una determinazione. Nel 55% dei casi si nota la presenza di 1 solo piano di percussione, nel 31% si possono osservare 2 piani di percussione, nel 13% 3 piani di percussione e solo nell’1% i piani di percussione sono 4. Il numero dei negativi varia da 1 a 5 distacchi nel 71% degli elementi mentre nel restante 29% i distacchi vanno da 6 a 13. L’estrazione dei supporti interessa, in quasi la metà dei nuclei pari al 45%, solamente un’area, il 29% invece mostra uno sfruttamento di più della metà della superficie e solo nel 17% dei casi risulta sfruttato il perimetro totale, mentre dal restante 9% non è stato possibile recuperare informazioni certe. La maggior parte dei nuclei, cioè il 66%, è stata abbandonata perché esauriti, nel 21% invece si notano incidenti gravi di scheggiatura; solo nel 13% il motivo dell’abbandono sembrerebbe indipendente. I nuclei mostrano una scarsa tendenza a una strutturazione più o meno complessa, anche se in alcuni casi (soprattutto negli pseudo-piramidali) questa risulta più evidente. I dati sui piani di percussione, anche se differiscono leggermente da quelli osservati nei supporti, indicano una tendenza molto forte alla loro realizzazione mediante un unico distacco; anche la minore percentuale dei corticali conferma le osservazioni precedenti; va inoltre considerato che parte dei piani corticali potreb- Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 213 be essere stata asportata in seguito e quindi impossibile da osservare in un residuo di nucleo. L’orientamento dei distacchi, in prevalenza unidirezionale, fornisce informazioni preziose sulle fasi di produzione, mentre quelli bidirezionali e ortogonali, almeno in parte, potrebbero essere riferiti ad attività di gestione dei nuclei. La preparazione della cornice non sembrerebbe rilevante nella catena operativa, mentre prevale la presenza di un solo piano di percussione: questo dato è concordante con il fatto che su quasi la metà di essi sia stata utilizzata soltanto un’area. La maggior parte dei nuclei è stata abbandonata per esaurimento, anche se la forte presenza d’incidenti conferma quanto detto in precedenza sui supporti riflessi. Conclusioni I dati esposti forniscono importanti informazioni sul ruolo dell’industria litica in un momento così avanzato della Preistoria recente. La notevole presenza di materia prima nelle vicinanze del sito deve aver influito notevolmente sull’utilizzo della selce nel contesto in esame. È più che plausibile che in aree geografiche poco ricche di materie prime utilizzabili per la scheggiatura, l’industria litica abbia assunto, con il passare del tempo, un ruolo marginale; a Coppa Nevigata ciò non avviene, anzi si assiste a un uso di questi manufatti che si protrae almeno fino alle fasi finali del Subappenninico. I ciottoli erano reperiti e trasportati all’interno dell’insediamento per essere scheggiati in seguito e non si può escludere che alcune delle concentrazioni rinvenute nei contesti di scavo potessero rappresentare accumuli di materia prima da lavorare. Tuttavia la grande disponibilità di selce in zona può far ipotizzare una scarsa necessità di accumulare materia prima. In merito a ciò rimane aperta la problematica legata al fatto che i ciottoli di selce fossero utilizzati, oltre che per la pavimentazione, anche per altre attività a oggi ancora poco chiare. Un’altra fonte d’approvvigionamento, anche se minore, probabilmente era rappresentata da materiali archeologici recuperati o dai livelli neolitici del sito o forse da contesti di superficie sia coevi che più antichi (Paleolitico Superiore e Paleolitico Medio). La pianura del Tavoliere della Puglia, com’è noto, nel Neolitico è stata interessata da una frequentazione intensa che ha lasciato tracce evidenti su tutto il territorio, attestata dalla presenza di numerosi villaggi trincerati, di cui uno anche nel sito stesso (CASSANO, MANFREDINI 1987). In passato era stata segnalata la presenza, nei livelli neolitici di Coppa Nevigata, di manufatti paleolitici (RONCHITELLI 1987) caratterizzati da patine simili a queste qui descritte: su di essi, però, non sono stati notati segni di riciclo. Nei materiali provenienti dai livelli dell’età del Bronzo, invece, i segni di riciclo sono nella maggior parte dei casi molto evidenti. Nel gruppo dei riciclati si notano (fig. 3): due nuclei laminari patinati, una lama a cresta con forti evidenze di esposizione al calore, due raschiatoi laterali, una scheggia levallois, ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 214 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni un ravvivamento di nucleo microlaminare etc., tutti elementi estranei al complesso e con evidenti segni di riutilizzo. Le catene operative sembrano composte da un numero limitato di azioni volte, nelle fasi iniziali, alla creazione di piani di percussione, nei casi in cui il ciottolo non ne presenti già uno (o più di uno) naturale, e al decorticamento laterale del nucleo. In relazione con i nuclei di partenza i supporti si presentano di dimensioni medio-piccole; detto ciò, è verosimile che un gran numero di manufatti sia interessato dal cortice, rispetto ad altri provenienti da contesti e periodi diversi, dove le attività di messa in forma di un nucleo di dimensioni maggiori tendono a eliminare il cortice totalmente o quasi nelle fasi iniziali della scheggiatura. I dati riguardanti i bulbi e i labbri sottolineano come ci sia una netta prevalenza, nelle fasi di messa in forma del nuclei, del percussore duro e come questo rimanga di maggior uso nelle fasi di produzione che allo stesso tempo vedono un incremento dell’uso del percussore organico. L’utilizzo della tecnica bipolare, anche se attestata, sembra rimanere ai margini della catena operativa; si sono però evidenziate le problematiche riguardanti il riconoscimento delle caratteristiche ritenute diagnostiche per l’individuazione di questa tecnica. Gli elementi ritoccati ci mostrano un’alta variabilità, forse in stretta connessione con le diverse attività che si svolgevano con questi manufatti, documentate dai passati studi (CRISTIANI et alii 2002; LEMORINI 2012). Negli strumenti un altro aspetto interessante è rappresentato dai supporti che venivano ritoccati; in alcuni casi sono: schegge riflesse o di ravvivamento, schegge corticali e schegge con tracce di forte alterazione termica. Tutti supporti che in un contesto dove la materia prima abbondava ci si aspetterebbe di trovare tra gli scarti: invece, oltre ad essere utilizzati venivano anche ritoccati. Dal campione sono assenti quasi del tutto le punte di freccia e gli elementi di falcetto, che potrebbero, a differenza di quanto detto finora, testimoniare una specializzazione nella scheggiatura di almeno una parte della comunità, ma ciò non sembra strano visto che queste due tipologie di manufatti sono destinate a essere portate al di fuori del sito per le attività per cui sono utilizzati. Gli elementi rinvenuti nel sito (grattatoi, raschiatoi, schegge ritoccate etc.) si collocano bene nel quadro delle attività svolte a Coppa Nevigata. Le fasi di trasformazione ci indicano che le tecniche di ritocco non dovevano essere molto complesse, anche se sicuramente (basta vedere le punte di freccia) dovevano essere ancora in uso sia i ritoccatori organici che quelli in metallo. Le lame ritoccate, e in generale la produzione laminare, sembrerebbero scarsamente documentate: la maggior parte di esse appare recuperata da contesti più antichi. Non si può escludere però che, anche se in modo marginale, la tecnica laminare fosse ancora in uso in questo periodo, ma dai nuclei non provengono indizi in questo senso. I nuclei venivano utilizzati per l’estrazione di un numero limitato di supporti, in maggioranza unidirezionali; la preparazione della cornice (che permette di control- Analisi tecnologica dell’industria litica scheggiata dell’insediamento di Coppa Nevigata 215 lare meglio i distacchi) non ricopriva un ruolo importante nella catena operativa. I casi che testimoniano l’estrazione prolungata di schegge dallo stesso blocco di materia prima, sono molto più rari. L’abbondanza di materia prima deve avere influito molto anche sulla fase di abbandono: è lecito pensare che un nucleo ridotto, che quindi rendeva meno facili le attività di scheggiatura, potesse essere abbandonato facilmente per l’utilizzo di altri ciottoli. L’ipotesi si rafforza se si pensa all’alto numero d’incidenti di scheggiatura che dovrebbero incrementare il numero dei manufatti ricollegabili alle fasi di gestione, ma al contrario nell’insieme litico in esame i ravvivamenti costituiscono una percentuale minima del campione. Quanto emerso da questo studio, anche se in via del tutto preliminare, evidenzia uno sfruttamento dell’industria litica molto opportunistico da parte della comunità dell’età del Bronzo di Coppa Nevigata, volto soprattutto alla realizzazione veloce di manufatti, da usare nell’immediato per diversi tipi di attività e, probabilmente, con altrettanta velocità abbandonati. I precedenti studi funzionali che hanno interessato contesti diversi del sito, indicano che pochi manufatti conservano tracce d’uso, confermando un uso di breve durata (CRISTIANI et alii 2002; LEMORINI 2012). Si può affermare quindi che l’utilizzo della selce nell’età del Bronzo a Coppa Nevigata se da una parte mostra un certo grado di specializzazione, rappresentato soprattutto dalla produzione delle punte di freccia (attestate in altri contesti, come l’incendio bellico della fine del Protoappenninico: RECCHIA 2010), dall’altra fa emergere un quadro caratterizzato da un approccio non specialistico, legato a una serie di attività da svolgere nell’immediato. Per spiegare la persistenza dell’utilizzo della selce in questo contesto, un’ipotesi plausibile, già espressa in passato, potrebbe essere rappresentata dal fatto che i materiali in metallo sono facilmente attaccabili chimicamente da molte sostanze che possono venire a contatto con il manufatti durante le attività svolte (CRISTIANI et alii 2002). L’utilizzo della selce al posto di strumenti in metallo, preservava questi ultimi dalle attività di manutenzione necessarie dopo un uso prolungato nel tempo (come ad es. il rifacimento della parte tagliente) e dalla possibilità di incidenti che potevano portare alla defunzionalizzazione temporanea o alla rottura degli strumenti metallici. L’analisi qui presentata, insieme agli studi precedentemente effettuati, sottolinea problematiche già notate in passato, ma apre anche a nuove prospettive di ricerca che saranno maggiormente sviluppate e approfondite dalle ulteriori analisi in corso. ISBN-978-88-96545-54-6 Atti – 34° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia. San Severo 2013. 216 Vittorio Mironti, Maurizio Moscoloni BIBLIOGRAFIA ARZARELLO M., FONTANA F., PERESANI M. 2011, Manuale di tecnologia litica preistorica. Concetti, metodi e tecniche, Urbino. 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COSIMO D’ORONZO ARMANDO GRAVINA Manifestazioni di arte rupestre nella Valle del Sorbo (San Giovanni Rotondo - Foggia) - Nota preliminare . . . ELISABETTA ONNIS Testimonianze del Bronzo Finale - Prima età del Ferro da Coppa Nevigata . . . . . . . . . . . . . . pag. 297 MARISA CORRENTE, MARIA I. BATTIANTE, MICHELE ROCCIA Modi di abitare nel territorio di Faeto (FG): esempi dalla recente ricerca archeologica . . . . . . . » 307 San Giovanni Rotondo (Fg). Località Costarelle . . . . . » 333 . . . . » 341 Centralità politico-economica del sito di Spavento (Ascoli Satriano) tra prima età del Ferro e prima età arcaica . . . . . . » 345 ANNA MARIA TUNZI, FABIO LA BRACA GIANFRANCO DE BENEDICTIS Tra Biferno e Fortore: gli scudi . . . . . . 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