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«Conosco un ottimo storico dell’arte...» Per Enrico Castelnuovo Scritti di allievi e amici pisani a cura di Maria Monica Donato Massimo Ferretti EDIZIONI DELLA NORMALE © 2012 Scuola Normale Superiore Pisa isbn 978-88-7642-435-9 Indice Premessa Maria Monica Donato, Massimo Ferretti ix 1953-2012 Paola Barocchi 1 Un periegeta greco a Roma. Pausania e i theoremata nel centro dell’Impero Francesco de Angelis 5 Un trionfo per due. La matrice di Olbia: un unicum iconografico ‘fuori contesto’ Maria Letizia Gualandi, Antonio Pinelli 11 Il volto di Cristo e il dilemma dell’artista: un esempio di IX secolo Francesca Dell’Acqua 21 Rappresentare il Giudizio a Roma al tempo della Riforma Gregoriana: il caso di San Benedetto in Piscinula Eleonora Mazzocchi 29 Sul ‘bestiario’ del reliquiario di san Matteo: Montecassino, Roma e la ‘Riforma’ tra Occidente cristiano e Oriente islamico Stefano Riccioni 35 Un frustolo disegnato. Lucca, Biblioteca Statale, ms. 370, c. 102 Alessio Monciatti 43 I Leoni custodes Gigetta Dalli Regoli 51 Il Medioevo lucchese rivisitato a Villa Guinigi Maria Teresa Filieri 61 Da Limoges a Lucca: modelli iconografici per l’oreficeria sacra Antonella Capitanio 69 Iconografia per Sacrum Imperium. Rilievi nella facciata del Duomo di San Donnino Yoshie Kojima 77 Un volto per due dame, tra Poitiers e l’abbazia di Charroux Chiara Piccinini 83 Le casse-reliquiario di san Giovanni Battista per il Duomo di Genova: strutture narrative e percezione pubblica Anna Rosa Calderoni Masetti 89 Luoghi e immagini nelle Storie degli Anacoreti di Pisa Alessandra Malquori 97 Un frammento della chiesa della Spina nel Museo Bardini Roberto Paolo Novello 105 Nino Pisano e la scultura lignea francese Max Seidel 111 Spigolature Mariagiulia Burresi 117 La pala d’altare di Maubuisson: note sull’iconografia Michele Tomasi 125 L’Offiziolo bolognese della Biblioteca Abbaziale di Kremsmünster Roberta Bosi 131 Una ‘maniera latina’ nel Levante tardomedievale? Michele Bacci 141 Un tema di origine altomedievale nella pittura gotica: nota su tre cicli pittorici del Tirolo Fabrizio Crivello 149 Intorno a un trittico in muratura di Pietro di Miniato Elisa Camporeale 155 Alla ricerca della Fontana di giovinezza. Il programma iconografico degli affreschi della sala baronale del castello della Manta: riflessioni e nuove proposte Romano Silva 163 La fontana ‘del melograno’ di Issogne: due sogni e qualche indizio Paola Elena Boccalatte 173 Fouquetiana Maria Beltramini, Marco Collareta 181 L’«officina» e il «padiglione fiorito». Appunti sulla pratica artistica ferrarese nel Quattrocento Carmelo Occhipinti 189 Dalla cartella «Geografia della scultura lignea nel Quattrocento» Massimo Ferretti 197 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario, ovvero due busti di Gregorio di Lorenzo, ex «Maestro delle Madonne di marmo» Francesco Caglioti 207 L’epitaffio del Vecchietta Roberto Bartalini 219 «Se pensa levare lo Arno a Pisa». A proposito della Mappa del Pian di Pisa di Leonardo Emilio Tolaini 223 Sulle tentazioni iconoclaste ebraiche in Italia fra tardo Medioevo e prima età moderna Michele Luzzati 227 Formiche assetate, tartarughe in viaggio, architetture incrollabili. Sulla lunga fortuna di un topos epigrafico Fulvio Cervini 239 Il doppio ritratto della maga Alcina Lina Bolzoni 245 Ariosto, schede di censori Adriano Prosperi 255 Intorno alla cappella Guidiccioni in Santo Spirito in Sassia Barbara Agosti 259 Le pinceau et la plume. Pirro Ligorio, Benedetto Egio et la «Aegiana libraria»: à propos du dessin du Baptistère du Latran Ginette Vagenheim 267 «Come dice l’oppositione»: Aurelio Lombardi, Pellegrino Tibaldi e Leone Leoni nel presbiterio del Duomo di Milano (1561-1569) Walter Cupperi 271 Giovanni Battista Adriani e la stesura della seconda edizione delle Vite: il manoscritto inedito della Lettera a messer Giorgio Vasari Eliana Carrara 281 ‘Anticomoderno’: significati ed usi del termine nella letteratura artistica tra Cinque e Settecento Fabrizio Federici 291 Tre medaglie per Joachim von Sandrart Lucia Simonato 297 Città e santi patroni nell’età della Controriforma Lucia Nuti 307 Inediti sul Porto Pisano a San Piero a Grado con schemi dell’iconografia portuale Fulvia Donati 315 «Un torso di un Fauno, non inferiore al torso di Belvedere». Note sulla ricezione critica del Fauno Barberini nel Seicento Lucia Faedo 323 La scoperta di Giunta Pisano Antonio Milone 331 L’Antiquité expliquée e i Monumens de la monarchie française di Bernard de Montfaucon: modelli per una storia illustrata del Medioevo francese Elena Vaiani 337 Intreccio e dramma, provvidenza e misericordia nella storiografia lanziana 347 Massimiliano Rossi Rapporti tra Galleria degli Uffizi e Accademia di Belle Arti nel periodo leopoldino (1784-1790) Miriam Fileti Mazza 353 Un quadro disperso di Pietro Benvenuti e le ‘razzie’ francesi a Firenze dell’autunno 1800 Ettore Spalletti 359 Voyage en Suisse, Belgique, Hollande et à Paris (1846). Un diario di Costanza d’Azeglio Cristina Maritano 365 Appunti di Giovanni Morelli per un catalogo della Pinacoteca di Brera Dario Trento 373 «Il Buonarroti». Cronaca ed erudizione artistica a Roma nel secondo Ottocento Marco Mozzo 381 Fotografia e giapponismo: ancora sull’Alzaia di Signorini Vincenzo Farinella 389 L’Exposition des Primitifs flamands de Bruges (1902), «une œuvre patriotique»? Claire Challéat 399 Firenze 1911: la mostra del ritratto italiano e le radici iconografiche dell’identità nazionale Tommaso Casini 407 Un paesaggio ‘moderno’ a Torino: il Torrente in inverno (1910) di Giuseppe Bozzalla Flavio Fergonzi 415 Les promenades péripatéticiennes: appunti su e di Filippo De Pisis al Louvre 423 Maria Mimita Lamberti Aby Warburg, il Déjeuner sur l’herbe di Manet. La funzione di modello delle divinità pagane elementari in rapporto alla evoluzione del moderno sentimento della natura Maurizio Ghelardi (a cura di) 431 «Maestri in tournée». Aby Warburg ed Ernst Robert Curtius a Roma, il 19 gennaio 1929 Silvia De Laude 445 Il XIII congresso internazionale di storia dell’arte (1933) e la geografia artistica. Le origini di un metodo e le sue inflessioni ideologiche Michela Passini 453 Musei e multimedialità: cenni per una frammentaria archeologia Donata Levi 461 Premessa Conosco un ottimo storico dell’arte, uomo di vastissime letture, che fra tutti i libri ha concentrato la sua predilezione più profonda sul Circolo Pickwick, e a ogni proposito cita battute del libro di Dickens, e ogni fatto della vita lo associa con episodi pickwickiani. A poco a poco lui stesso, l’universo, la vera filosofia hanno preso la forma del Circolo Pickwick in un’identificazione assoluta. Giungiamo per questa via a un’idea di classico molto alta ed esigente. Quando Italo Calvino così rispondeva all’eterna domanda Perché leggere i classici, nell’intervista comparsa sull’«Espresso» nel 1981, gli amici di Enrico Castelnuovo non avranno esitato un istante a riconoscere il personaggio che agli occhi dello scrittore era diventato l’incarnazione stessa di ‘come leggere’ (piuttosto di ‘perché’). Altrettanto facilmente lo avranno poi identificato generazioni di allievi, dopo che l’intervista fu ripubblicata, dieci anni dopo ed ormai postuma, nella raccolta di scritti a cui darà il titolo. I più giovani, magari, avranno avuto l’impressione che il romanzo di Dickens non fosse scalzato da quel ruolo, questo no, ma che stesse ormai trovando concorrenti come l’Île des pengouins di Anatole France. La ragione per cui ci è parso utile usare un frammento di quel ritratto per il frontespizio (una specie di ritratto tipologico, e perciò senza didascalia e solo da alcuni riconoscibile) sta tutta nel verbo che fa da incipit: nel privilegio di aver conosciuto Enrico da vicino, come colleghi o allievi. Questo privilegio è largamente condiviso. Gli amici sono sparsi ovunque e gli estimatori della sua intelligenza non stanno soltanto fra gli storici dell’arte. Di allievi, poi, ne ha avuti molti: a Torino, a Losanna, di nuovo a Torino, e infine in Normale, per venti anni (dal 1983-1984 al 2004). Sarebbe stato impossibile riunirli tutti in una raccolta en hommage. Si è così scelto subito, sia pure a malincuore, di limitare l’invito a chi ha frequentato Enrico nella sua lunga e così fruttuosa stagione pisana. Ma la sua presenza a Pisa non si è fatta sentire solo nelle aule della Normale. Enrico ha frequentato diversi colleghi dell’Università. Dal suo studio sono passati allievi di ‘San Matteo’. Ha preso parte, anche direttamente, oltre che assieme ad alcuni di questi allievi interni ed esterni, ad alcune importanti mostre di ricerca organizzate a Pisa, Lucca, Sarzana dai colleghi della Soprintendenza. Ha rinsaldato i legami con il maggiore centro di studio, nel nostro ambito disciplinare, presente in Toscana: il Kunsthistorisches Institut. Anche se l’invito a partecipare al volume è stato rivolto soltanto a quanti fossero entrati in questo pur parziale raggio della geografia e della biografia di Enrico, le risposte sono state davvero numerose. E se qualcuno non ce l’ha fatta a scrivere, non ne iscriveremo il nome in un elenco epigrafico. Si riconoscerà comunque nell’omaggio cumulativo: assieme a chi fosse stato dimenticato, malauguratamente e non di proposito; assieme agli allievi più giovani del corso x Maria Monica Donato, Massimo Ferretti ordinario e del perfezionamento che ne hanno semplicemente seguito le lezioni durante gli anni del ‘fuori ruolo’. Il contributo di uno di noi due, che ha riservato il suo impegno per questa raccolta al lavoro organizzativo e redazionale, comparirà a breve in altra sede. Il volume è comunque davvero corposo, tanto da farci rabbrividire al solo pensiero della battuta con cui Roberto Longhi accolse il volume a lui dedicato, uno degli incredibili episodi di vita che Enrico ha tante volte ricordato: «grazie Bottari di questa bella… pizza» (i puntolini, per chi ha sentito raccontare l’episodio, corrispondono al gesto del festeggiato che soppesa il volume). Non ci preoccupa invece l’estrema varietà degli argomenti perché confidiamo che richiami qualcosa dell’inesauribile curiosità intellettuale di Enrico. La gestazione editoriale di questo volume è stata più impegnativa di quanto si fosse pensato. Ce ne dispiace, pensando agli autori più solleciti nella consegna; e soprattutto ad uno dei primissimi, Romano Silva, improvvisamente mancato l’autunno scorso (era contento – diceva, rinviando le bozze – che l’articolo per Enrico gli avesse fatto maturare un più largo progetto di studio sul salone della Manta). Per la complessa opera di preparazione dei testi e di correzione delle bozze siamo grati in modo particolare a Matteo Ferrari e Elena Vaiani. Grazie anche, per ragioni diverse e differentemente gravose, a Gabriele Donati, Miriam Fileti Mazza, Miriam Leonardi, Michela Passini, Stefano Riccioni, Ludovica Rosati, Lucia Simonato, Giovanna Targia. Un ringraziamento particolare a Maria Vittoria Benelli e Bruna Parra sarebbe dovuto, da parte nostra, se non fosse che anche loro fanno parte a pieno titolo degli amici pisani che hanno contribuito a questo omaggio ad Enrico Castelnuovo. Maria Monica Donato Massimo Ferretti Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario, ovvero due busti di Gregorio di Lorenzo, ex «Maestro delle Madonne di marmo» La storiografia sulla scultura, assai più di quella sulla pittura, è lastricata di oggetti, anche molto validi, che per espiare la colpa non loro di essersi affacciati alla ribalta critica sotto i fari di attribuzioni superiori alle loro qualità, o semplicemente non centrate, hanno subìto il contrappasso di essere poi sottostimati all’eccesso, addirittura dileggiati o, nei casi meno crudeli, senz’altro dimenticati. Una simile alternanza di gloria e disgrazia, che neppure oggi accenna a placarsi, è particolarmente vera per la scultura toscana del Rinascimento, la quale, a causa dei vastissimi consensi riscossi nell’Ottocento, è stata vittima di abili contraffazioni, con la conseguenza che molte bombastiche attribuzioni iniziali (a Donatello, a Leonardo, a Michelangelo) sono state capovolte prima o dopo in vibrate denunce di falso. All’interno di quest’ambito, un destino ancora più dolente sembra spettare ai ritratti, perché è stato in tale genere che il più celebre scultore-falsario dell’Ottocento, Giovanni Bastianini (1830-1868), ebbe a mietere poco prima di morire i suoi successi più sconcertanti. Nel ripercorrere senza pregiudizi la storia delle contraffazioni e la loro bibliografia, ci si rende conto che Bastianini resta a tutt’oggi l’unico scultore toscano del Neorinascimento al quale si possa riconoscere una sicura patente di mistificatore1. Ciò spiega la fortuna davvero eccessiva del suo nome, ossia come mai, nell’ultimo secolo e passa, siano stati centinaia i pezzi attribuiti a quest’uomo morto trentottenne: pochi correttamente, tantissimi a sproposito, e, tra quest’ultimi, parecchi che non sono nemmeno falsi. A censire proprio tutte le sculture che, una volta marchiate come non autentiche, sono state connesse con Bastianini, risulta l’immagine di un artefice provvisto non solo di cento mani, ma anche del più grande talento d’ogni tempo, sia per qualità sia per versatilità di stile. Ma non basta: perché, se si traggono conseguenze coerenti dalle attribuzioni più audaci e spettacolari a suo favore, Bastianini emerge anche come un acutissimo esegeta storico, capace di anticipare nel linguaggio muto e immediato delle opere alcune intuizioni e conclusioni che gli studi avrebbero acquisito soltanto molte generazioni dopo, attraverso massicce e indefesse esplorazioni nelle chiese, nei palazzi, nelle raccolte private. Infine, Bastianini sarebbe stato pure un incommensurabile erudito, abilissimo a frugare in segreto tra le carte e negli archivi allora più riposti e impenetrabili del passato fiorentino per conquistare notizie minute che avrebbe lasciate inedite, ma che sarebbero state prima o poi perfettamente adatte a esaudire l’intima ragione storica degli oggetti. Siamo, come si vede, al paradosso: un paradosso nel quale sempre più spesso e inconsapevolmente si cade da parte di quanti (la maggioranza) ritengono che prendere per falsa un’opera autentica sia in fondo una leggerezza ben più veniale che prendere per autentico un falso. Discuto qui due busti virili in marmo che, dopo essere stati pubblicati con una giusta datazione al secondo Quattrocento fiorentino, ma sotto il carico di nomi troppo prestigiosi da sostenere, sono stati puniti con attribuzioni errate a Bastianini: uno è oggi alla National Gallery of Art di Washington (inv. 1942.9.105, già A-99), è alto cm 48,3, ed è fregiato lungo la base con l’epigrafe a vista: . petrvs . talanvs . presbiter (fig. 1); l’altro è nel Musée Jacquemart-André di Parigi (inv. 1794), è alto cm 43,6, e la sua iscrizione con l’identità dell’effigiato, intagliata nascostamente nel piano di appoggio, recita: lorenzo di m(esser) / tomaso di gv/ccio soderini (figg. 5, 7). A introdurre negli studi il primo busto, assegnandolo ottimisticamente a Benedetto da Maiano, fu nel 1925, allorché si trovava nella collezione Widener di Philadelphia, Wilhelm R. Valentiner2. Nel 1943, quando esso era ormai giunto nel museo di Washington con tutta la raccolta di provenienza, Georg Swarzenski, pur dubitando dell’autografia maianesca, lo reputava ancora genuino3. Nei reper- 208 Francesco Caglioti 1. Gregorio di Lorenzo, Ser Piero di Paganello Talani, 1493-1495 ca. Washington, National Gallery of Art, Widener Collection. tori più recenti del museo l’opera è invece ascritta senz’altro a Bastianini4. Una trafila critica analoga, ma più precoce, e dunque più complessa in prosieguo di tempo, è toccata al busto di Parigi, che Édouard e Nélie André comprarono nel 1884 dall’antiquario Stefano Bardini, convincendosi poi che spettasse a Mino da Fiesole5. Immediatamente dopo il lascito della 209 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario natorio, cioè dall’incauto acquisto che Édouard André, nell’ormai lontano 1866, aveva fatto della ‘Chanteuse florentine’, uno tra i falsi più eclatanti dell’umbratile scultore di Camerata di Fiesole, emerso anche così all’onore delle cronache8. Mezzo secolo dopo, quest’episodio non cessava di turbare, più di quanto non fosse stato per André e sua moglie, i custodi della loro memoria, e la ‘Chanteuse florentine’, rimasta per sempre presso la rinomata coppia di collezionisti, sembrava capace di contagiare altre sculture nelle medesime stanze. Nel 1937 Ulrich Middeldorf, convinto che il busto parigino non meritasse una simile stroncatura, lo rivendicò come cosa di Benedetto da Maiano «between 1475 and 1480», ottenendo subito la piena adesione di Carlo Ludovico Ragghianti9. Pur non menzionando il busto Widener, chissà se Middeldorf non avesse in mente anch’esso per un confronto. A causa di uno scambio di lettura davvero curioso tra due voci contigue del pri2. Gregorio di Lorenzo, Ercole I d’Este duca di Ferrara, 1472 ca. Londra, Victoria and mo catalogo André (1913), Albert Museum. Middeldorf perse l’opportunità di annotarsi l’epigraloro casa all’Institut de France e l’apertura ufficiale fe sottoposta al marmo e, con ciò, i dati anagrafici del Musée Jacquemart-André (1912-1913), l’opedell’effigiato: dati che naturalmente Bertaux aveva a ra fu ascritta a Bastianini da Émile Bertaux, primo suo tempo ritenuti sospetti. Grazie all’appoggio più conservatore delle raccolte, presentandosi in questa volte ripetuto – ma sempre marginale e fugace – veste fin dalle due più antiche edizioni del catalogo che anche John Pope-Hennessy diede alla riabili(1913, 1914), per poi scomparire da tutte le numetazione di Middeldorf (sostituendo però all’autorose riedizioni posteriori (e, ovviamente, dalle sale grafia del Maiano il più semplice apporto della sua 6 espositive) . Nel confermare prontamente la paterbottega)10, il busto ha trovato infine spazio come 7 lavoro rinascimentale nel catalogo sistematico delnità di Bastianini, Seymour de Ricci (1914) faceva intendere da dove si originasse tanto zelo discrimile sculture italiane André (1975)11. L’attribuzione 210 Francesco Caglioti 3. Gregorio di Lorenzo, San Giovannino, 1470-1475 ca. Washington, National Gallery of Art. è stata tuttavia mutata a favore di un anonimo del primo Cinquecento: epoca, quest’ultima, suggerita dalla presunta identità del personaggio ritratto, e subito approvata dal medesimo Pope-Hennessy («at earliest from the third decade of the sixteenthcentury»), con un’implicita rinuncia al riferimento maianesco, essendo Benedetto scomparso fin dal 149712. Ho sempre pensato che i due marmi di Washington e Parigi fossero non solo genuini, ma anche della stessa mano fiorentina del 1480-1495 ca., ben distinta sia da Mino sia dal Maiano. Oggi mi sento in grado di pronunciare con serenità il nome di Gregorio di Lorenzo, ovvero di quello scultore che Wilhelm Bode mise per la prima volta a fuoco sti- listicamente nel 1884, quand’era ancora anonimo, chiamandolo poi «Maestro delle Madonne di marmo». Middeldorf avrebbe incontrato qualche difficoltà a collegare un simile autore ai due busti, perché ai suoi tempi il «Maestro delle Madonne» era divenuto, in modo fuorviante, un lombardo di primo Cinquecento (Tommaso Fiamberti o, a scelta, Giovanni Ricci), e perché anch’egli non era insensibile a tale vulgata13: oggi, invece, grazie alla sicura identificazione con Gregorio, sappiamo che il nostro scultore fu un fiorentino e un discepolo di Desiderio da Settignano, e che nacque nel 1436 ca. e morì nel 1504 ca. Sappiamo inoltre che l’artista, stanziato nella città natale durante la prima parte della sua carriera (1455-1475 ca.), ma già allora operoso per 211 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario Ferrante I re di Napoli e il suo genero Ercole I d’Este, duca di Ferrara, entrambi presentati di profilo in due rilievi degli stessi tempi (1472 ca.), ma non compagni, oggi rispettivamente sul mercato antiquario e nel Victoria and Albert Museum di Londra15. L’Ercole d’Este (fig. 2), così come i profili imperiali scolpiti per il medesimo duca, ostenta una prominenza semicircolare della spalla privilegiata, ed è fasciato alla base da una sorta di nastro epigrafico che ricorda ottimamente, sia per l’andamento bombato e per l’altezza irregolare, sia per il ductus delle lettere, il marmo Widener con la scritta: . petrvs . talanvs . presbiter. È nota fin dai giorni di Bode, ma produce tuttora nuove sorprese, l’inclinazione del «Maestro delle Madonne» a imitare fino alla replica alcuni tra i suoi maggiori colleghi conterranei e contemporanei, da Donatello a Desiderio, da Antonio Rossellino a Mino, dal Verrocchio a Francesco Ferrucci: al punto che Po4. Gregorio di Lorenzo, Cristo coronato di spine, 1470-1475 ca. Parigi, Musée pe-Hennessy, pubblicando Jacquemart-André. nel 1974 un saggio sulle falsificazioni del Neorinascialtri centri d’Italia (in specie Napoli e Ferrara), e mento scultoreo che ha fatto scuola (e che peraltro poi alquanto ramingo per l’Ungheria, la Dalmazia, stroncava – in mezzo a tante – alcune opere nel le Marche e la Romagna, scolpiva non solo Madonfrattempo riabilitate), vi ospitava qua e là il «Mane e piccoli arredi liturgici, ma anche figure di altri estro delle Madonne», quasi come inquietante angeneri, perlopiù marmoree e perlopiù domestiche: tesignano della prassi revivalistica esplosa a metà soprattutto profili d’imperatori romani, busti sacri Ottocento16. Alla folta schiera dei maestri sfruttati da Gregorio possiamo aggiungere adesso Benedete profani di fanciulli (figg. 3, 6), busti patetici del 14 to da Maiano, perché il busto André, con la sua Redentore (fig. 4) . Fra i personaggi della sua epoca che Gregorio ebbe modo di ritrarre, e che si posimpietosa e forse eccessiva insistenza sui segni imsono tuttora riconoscere con sicurezza, vi furono pressi nel volto dall’età, non sarebbe comprensibi- Maestro 212 Francesco Caglioti 5. Gregorio di Lorenzo, Lorenzo di messer Tommaso Soderini, 1493-1495 ca. Parigi, Musée Jacquemart-André. le senza lo splendido precedente del busto di Piero Mellini al Bargello (1474). Il paragone con questo e con altri ritratti maianeschi rivela d’altronde i limiti di Gregorio, e conferma dunque, così come per il busto Widener, la troppa fiducia dell’originaria attribuzione a Benedetto (un maestro della ritrattistica che, malgrado tutto, non sembra ancora valorizzato nell’intera scala dei suoi meriti, anche a causa del mancato riconoscimento di alcuni capolavori)17. Incapace di rendere solidamente, e meno che mai autorevolmente, la presenza dell’effigiato nello spazio, Gregorio riduce il più possibile il taglio della figura, annullando qualunque ruolo – ancorché minimo e allusivo – delle braccia, e rimarcando al massimo grado il troncamento orizzontale, secondo un costume collaudatissimo ai suoi tempi, ma che sarebbe stato ormai intollerabile, soprattutto per un marmo, nella Firenze del 213 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario 6. Gregorio di Lorenzo, Putto con un cagnolino, 14931495 ca. Parigi, Musée Jacquemart-André. 1520-1530 cui si è invece pensato per l’esemplare André. Se l’autore del busto Widener fosse tuttora ignoto, sarebbe facile prendere il sorriso largo del «Petrus Talanus presbiter» come tratto un po’ esagerato di sicurezza di sé o di giocondità, o come involontaria autorivelazione di spigliatezza ottocentesca. E invece il confronto con le tante Madonne e i tanti putti di Gregorio ci spiega che quel sorriso è un irrinunciabile stereotipo dello scultore, una scorciatoia da lui ripetutamente praticata per esprimere innocenza, soavità, santità, protezione benevola (figg. 3, 6). A uno scultore così bisognoso di appoggiarsi ai modelli dei colleghi nelle figure di pura invenzione, il ritratto individuale forniva invece l’occasione propizia per abbandonarsi al dato di natura. Avviene dunque che in entrambi i nostri busti le rughe, le pliche e gli altri acciacchi della carne siano ritratti senza sconti, quasi con lo stesso zelo investito nel rimarcare le sofferenze del Redentore coronato di spine nelle immagini a tutto tondo18. Una volta capito l’autore dei due busti, restano da scovarne i soggetti, affatto oscuri e peculiari se si deve stare alle iscrizioni: non, dunque, le celebrità prese di petto da Bastianini (Girolamo Savonarola, Girolamo Benivieni, Marsilio Ficino, Lucrezia Donati), e neppure le dame dai nomi altisonanti ma improbabili («Ioanna Albiza», «Aloysia Stroza»), tanto amate da lui e dai suoi anonimi colleghi d’inganno. Gli archivi storici fiorentini sono tutt’oggi notoriamente così ricchi che, una volta imboccata la loro strada, il rischio è addirittura di non riuscire a selezionare le verifiche possibili. Cominciamo da «Petrus Talanus presbiter», di cui non sembra darsi alcuna notizia a stampa. Era ser Piero di Paganello di Francesco di Paganello Talani Filipetri, discendente di una famiglia antica ma non assurta mai a grandi fastigi, e che tuttavia aveva il merito di aver fondato a metà Trecento l’ospedale di Santa Caterina presso Porta San Gallo, noto appunto come di Santa Caterina de’ Talani e rimasto attivo sino alla soppressione granducale del 175119. Il padre e poi i numerosi fratellastri e fratelli di ser Piero avevano le loro abitazioni principali in Piazza del Grano dietro il Palazzo della Signoria, e appartenevano perciò al quartiere di Santa Croce e al popolo di San Piero Scheraggio: chiesa, quest’ultima, nella quale si trovavano le loro sepolture. Il fratellastro maggiore di Piero, Francesco, nato nel 1422, allestì entro l’ottobre del 1479, tutta da sé, una copia manoscritta della Divina Commedia passata poi alla Biblioteca Medicea Laurenziana (pluteo XL, 33)20. Nato nel 1432, Piero si emancipò dal padre nel 1453, e nel 1458 era prete da qualche tempo21. Al culmine della carriera fu cappellano del battistero di San Giovanni22. Dal 1464 sino alla morte abitò nel quartiere di Santa Maria Novella, in Via Coda Rimessa (odierna Via San Paolino), entro 7. Gregorio di Lorenzo, Lorenzo di messer Tommaso Soderini, particolare dell’iscrizione, 1493-1495 ca. Parigi, Musée Jacquemart-André. 214 Francesco Caglioti 8. Gregorio di Lorenzo, Gentildonna, 1470 ca. Lione, Musée des Beaux-Arts. alcune case prese a livello perpetuo dalla chiesa di San Paolo in Palazzuolo, ovvero San Paolo de’ Preti, meglio nota poi come San Paolino23: uno tra i più antichi santuari cristiani di Firenze, che negli anni che c’interessano era una prioria autonoma, con a capo, per un tratto, il grande Poliziano24. Ser Piero morì poco meno che nonagenario il 14 agosto 152125, quando ancora esercitava le sue funzioni sacerdotali nell’ospizio femminile di Orbatello (cioè di Santa Maria Annunziata in Orbatello), voluto negli anni settanta del Trecento da Niccolò di Jacopo degli Alberti nell’isolato di nord-est fra le odierne Via della Pergola e Via della Colonna, dove l’istituzione si mantenne sino all’Ottocento, confluendo poi nella riorganizzazione post-unitaria della sanità pubblica fiorentina26. Gli eruditi del Seicento più attenti alle memorie funerarie, da Michelangelo Buonarroti il Giovane a Stefano Rosselli, vedevano ancora la tomba terragna del Talani, con l’arme e con una lunga iscrizione senza data, in mezzo alla navata di San Paolino27. Pochi anni prima di ser Piero era morto l’ultimo titolare, ormai commendatario, della prioria, il cardinale Niccolò Pandolfini vescovo di Pistoia (1518), e papa Leone X ne aveva approfittato per conferirla al Capitolo metropolitano fiorentino. Un secolo dopo, nel 1618-1619, il complesso sarebbe passato ai padri di santa Teresa d’Avila, che lo posseggono tuttora. Il rifacimento pressoché integrale cui la chiesa e il convento furono sottoposti dai carmelitani scalzi fra il Seicento e il Settecento fece scomparire, assieme alla gran parte dei sepolcri antichi, anche quello di ser Piero, che non è più registrato nelle Notizie istoriche delle chiese fiorentine di Giuseppe Richa (1754-1762)28. Per quel che Gregorio di Lorenzo riesce a trasmetterci dell’età del personaggio, si direbbe che il Talani fosse poco più che sessantenne all’epoca del busto, e dunque che ne fosse egli stesso il committente un po’ velleitario (1493-1495 ca.). Tutto lascia credere che alla sua morte il sacerdote legasse il ritratto alla canonica di San Paolo: fiducioso anche in tale possibilità, ho cercato il marmo negli inventari della chiesa prima della cessione ai carmelitani, e l’ho trovato in due liste del 1577 e del 1589, che menzionano nella sagrestia «una testa di marmo di ser [1589: di messer] Piero Talani»29. Non sono andato oltre nella ricerca per appurare se il busto venisse allontanato dai carmelitani fin dal Seicento (così come il sepolcro del medesimo personaggio), o se invece i padri attendessero per disfarsene le più mature sollecitazioni antiquariali dell’Ottocento. Quanto a Lorenzo di Tommaso Soderini, esistono nel ramo di Guccio, principale della casata soderiniana, almeno tre personaggi con lo stesso nome e lo stesso patronimico vissuti in parte o in tutto nel Quattrocento (così come già rileva il catalogo André del 1975)30: uno nato nel 1363 e morto nel 1405; l’altro nato nel 1433 e morto «vers 1470»; l’altro nato nel 1483 e morto impiccato alle finestre del Bargello, per ordine della Repubblica, nel 1530. Si tratta di rappresentanti della medesima linea agnatizia, a distanza di due generazioni ogni volta31. È per me un mistero che il catalogo André e con esso Pope-Hennessy abbiano scelto il Lorenzo più tardo e sfortunato, mentre la cronologia artistica parla decisamente a favore di suo nonno. Forse il terzo Lorenzo è stato preferito perché il secondo si credeva morto «vers 1470»32, cioè un po’ troppo presto per l’età o per il punto di stile che si evince dal busto. Ma in questi casi si sarebbe potuto o dovuto pensare pur sempre all’eventualità di un ritratto postumo. Oggi sappiamo, d’altronde, che il secondo Lorenzo visse dieci anni in più, morendo poco prima del 1480 (forse nel 1479)33. 215 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario Egli era figlio primogenito – e unico vissuto sino alla maturità fra quelli di primo letto – di messer Tommaso di Lorenzo (1403-1485), uno tra i personaggi politici più cospicui del Quattrocento fiorentino. Era insomma fratellastro, ben maggiore d’età, del futuro gonfaloniere perpetuo Piero e del futuro cardinal Francesco, figli di secondo letto del longevo Tommaso, rimasto vedovo di Maria Torrigiani e riammogliatosi con Dianora Tornabuoni. Priore della Repubblica per il quartiere di Santo Spirito nel luglio-agosto 1463, Lorenzo partecipò alla congiura del 1465 contro Piero di Cosimo de’ Medici, restando antimediceo fino al resto dei suoi giorni, anche per differenziarsi da suo padre, con cui aveva forti contrasti ereditari, e per assecondare lo zio paterno Niccolò di Lorenzo, antimediceo di primo rango34. Se ve ne fosse ancora bisogno, a rassicurarci che il Soderini del busto André è lui basterebbe un dettaglio minimo ma rivelatore dell’epigrafe, nella quale il patronimico non è semplicemente «di Tomaso», bensì «di m(esser) Tomaso»: appellativo di rispetto, questo «messer», che toccava soltanto al Tommaso celebre, e che comunque è sempre documentato in rapporto a lui e non all’omonimo figlio di suo figlio e padre del Lorenzo giustiziato nel 1530. Chi vorrà mai attribuire a Bastianini o a un altro falsario coevo una simile sottigliezza filologica?35 Le fattezze del busto denunciano che all’epoca della realizzazione il Soderini aveva già vissuto per intero la sua esistenza, conclusasi a quarantasei anni. E, a osservare meglio, quello sguardo un po’ generico e spento fa pensare addirittura a un ritratto postumo (benché senza l’aiuto di un calco dal vero). Ciò pone il problema della destinazione originaria dell’opera: non è chiaro se per una memoria domestica o invece per una fruizione pubblica, lì dove i Soderini avevano tradizionalmente le loro tombe (il Carmine di Firenze). È verosimile che gli archivi fiorentini risponderanno un giorno anche a tale domanda36. Francesco Caglioti Si dibatte ancora, nondimeno, per capire se egli fosse connivente con i suoi venditori e committenti, o se scolpisse in buona fede: per il primo punto di vista, assai più plausibile, si pronuncia da ultimo J. Warren, Forgery in Risorgimento Flor1 ence: Bastianini’s ‘Giovanni delle Bande Nere’ in the Wallace Collection, «The Burlington Magazine», 147, 2005, pp. 729741. Per il secondo: A.F. Moskowitz, The case of Giovanni Bastianini: a fair and balanced view, «Artibus et historiae», 50, 2004, pp. 157-185; Ead., The case of Giovanni Bastianini - II: a hung jury?, ibid., 54, 2006, pp. 201-217. 2 W.R. Valentiner, The Clarence H. Mackay collection of Italian Renaissance sculptures. I, «Art in America and elsewhere», 13, 1925, pp. 238-265, in part. 247 fig. 5, 249. 3 G. Swarzenski, Some aspects of Italian Quattrocento sculpture in the National Gallery. II, «Gazette des Beaux-Arts», s. 6, 24, 1943, pp. 283-304, in part. 296-297 (senza ill.). 4 Sculpture: an illustrated catalogue. National Gallery of Art, Washington, [a cura di J. Warnement, B. Gessner], Washington 1994, pp. 27, 239, 251, 281. 5 [É. Bertaux], Institut de France, Musée Jacquemart-André. Catalogue itinéraire, Paris [1913], p. 111, n. 769. L’attribuzione minesca è ricordata, e insieme rifiutata a favore di Bastianini, da S. de Ricci, Institut de France. Musée Jacquemart-André. Les Objets d’Art, «Les Arts», 13/153, 1914 (numero monografico), p. 16 (senza ill.). 6 [Bertaux 1913], loc. cit.; Deuxième édition, entièrement revue, [1914], p. 111, n. 769. 7 Supra, nota 5. 8 F. de la Moureyre-Gavoty, Institut de France, Paris Musée Jacquemart-André. Sculpture italienne, Paris 1975, n. 201. 9 U. Middeldorf, Two little-known Florentine marbles in the Musée Jacquemart-André, «Art in America and elsewhere», 25, 1937, pp. 154-163, in part. 161-163 e note 7-9, figg. 4-7 (poi in Id., Raccolta di scritti that is Collected Writings, I, Firenze 1979, pp. 279-285, in part. 282-285 e note 7-9, figg. 190-193); C.L. Ragghianti, recensione del precedente, «La Critica d’arte», 5/3-4, 1940, pp. XIV-XV. 10 J. Pope-Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London 1958, p. 308; London-New York 19712, p. 290. 11 Moureyre-Gavoty 1975, n. 138. 12 J. Pope-Hennessy, Italian Sculpture – Budapest and Paris, «Apollo», 102, 1975, pp. 474-475, in part. 475. Questa postdatazione non ha impedito peraltro che il busto André figuri come maianesco ancora in Id., Italian Renaissance Sculpture, New York 19853, p. 290. 13 U. Middeldorf, An Ecce Homo by the Master of the Marble Madonnas, in Album amicorum J.G. van Gelder, a cura di J. Bruyn et al., The Hague 1973, pp. 234-236, poi in Id., Raccolta, II, 1980, pp. 345-349, figg. 189-195; ed. it., Un Ecce Homo del Maestro delle Madonne di marmo, «Arte illustrata», 7, 1974, pp. 2-9. 14 La carriera e il catalogo di Gregorio sono passati ora in ras- 216 Francesco Caglioti segna da F. Caglioti, Gregorio di Lorenzo of Florence, sculptor to Matthias Corvinus, in Matthias Corvinus, the King. Tradition and Renewal in the Hungarian Royal Court 1458-1490, catalogo della mostra (Budapest 2008), a cura di P. Farbaky et al., Budapest 2008, pp. 128-137 (stessa numerazione della contemporanea edizione ungherese); e da Id., Gregorio di Lorenzo, in Allgemeines Künstler-Lexikon. Die Bildenden Künstler aller Zeiten und Völker, LXI, München-Leipzig 2009, pp. 358-360. 15 Per il primo: A. Butterfield, in Scultura. Tomasso Brothers Fine Art, London 2008, pp. 8-11, n. 1; Caglioti 2009, p. 359. Per il secondo: P. Di Natale, in V. Sgarbi, A. Bellandi, P. Di Natale, Domenico di Paris e la scultura a Ferrara nel Quattrocento, Ferrara-Milano 2006, pp. 140 e note 4-6, 145 fig.; Caglioti 2008, pp. 132, 134 fig. 10, 135; Id. 2009, p. 359 (sono del tutto ingiustificati i dubbi sull’autenticità messi avanti da L. Scardino, Neo-estense in scultura: falsi, autentici, ‘omaggi’ e mercato delle statue a Ferrara tra Otto e Novecento. 4 capitoli, Ferrara 2006, pp. 8 nota 12 [p. 30], 36 fig.; e da A.P. Torresi, Tre scultori per Ercole I. Ritratti al duca di Bertoldo di Giovanni, Sperandio mantovano, Guido Mazzoni, in Crocevia estense. Contributi per la storia della scultura a Ferrara nel XV secolo, a cura di G. Gentilini, L. Scardino, Ferrara 2007, pp. 189-226, in part. 224). 16 J. Pope-Hennessy, The forging of Italian Renaissance sculpture, «Apollo», 99, 1974, pp. 242-267, poi in Id., The study and criticism of Italian sculpture, New York-Princeton 1980, pp. 223-270. 17 Ritengo che il corpus attualmente approvato di Benedetto ritrattista vada arricchito con tre importanti opere, una delle quali ha avuto la sfortuna, così come i due busti di Gregorio discussi nel testo, di un’attribuzione impropria tradottasi poi nel più completo discredito: il busto femminile in terracotta già nella collezione Foulc a Parigi (sino al 1907) e poi nella Pierpont Morgan Library di New York (sino al 1979), riferito dapprincipio al Verrocchio e quindi sospettato da alcuni come falso, ovviamente di Bastianini, al punto che la Morgan Library se ne liberò vendendolo all’asta (per Verrocchio cfr. W. Bode, Denkmäler der Renaissance-Skulptur Toskanas in historischer Anordnung, München 1892-1905, tav. della Probelieferung [1892], divenuta poi IX, tav. 443A[a], e testo [1905], p. 143; e per Bastianini O. Sirén, Some sculptures from Verrocchio’s workshop, «Art in America», 3, 1915, pp. 56-65, in part. 60). Ad esso si associa un busto virile in terracotta della National Gallery of Art di Washington (inv. 1943.4.75, Kress Coll.), già Ginori e poi Liechtenstein, ritenuto di Benedetto da Maiano o di Antonio Rossellino prima che Ulrich Middeldorf, nel catalogo delle sculture ex Kress che è tuttora normativo per i musei proprietari di tali opere, lo declassasse a cosa anonima d’inizio Cinquecento (Sculptures from the Sam- uel H. Kress Collection. European Schools, XIV-XIX Century, London 1976, pp. 42-43, fig. 76). Come spero di motivare altrove, i due busti hanno buone possibilità di essere stati in origine una coppia e di rappresentare i fiorentini Bartolomeo Lapi e Gismonda Tornabuoni, tra il 1485 e il 1490 ca. (ma si vedano intanto F. Caglioti, Nuove terracotte di Benedetto da Maiano, «Prospettiva», 126-127, 2007, pp. 15-45, e D. Carl, Bartolomeo Lapi, Benedetto da Maiano und die Pietà für Santa Maria Nepotecosa, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 51, 2007 [2008], pp. 267-270). Un buon decennio prima di tali terracotte si colloca il ritratto funerario in marmo del vescovo Donato de’ Medici nel Duomo di Pistoia (1475), sempre disputato nell’ultimo secolo tra Rossellino e il Verrocchio, ma significativamente mai accolto nelle letterature monografiche su questi due scultori: si danno nondimeno rare eccezioni, del tutto ignorate, a favore di Benedetto (M. Reymond, La sculpture florentine, III, Florence 1899, pp. 139 e nota 1, 142 fig.). 18 Bibliogr. supra, nota 13. 19 L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione elementare gratuita della città di Firenze, Firenze 1853, pp. 648-658; W. ed E. Paatz, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, I, Frankfurt am Main 1940, pp. 440-441. 20 Catalogus codicum Italicorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, Gaddianae, et Sanctae Crucis. [...] Ang. Mar. Bandinius [...] recensuit, illustravit, edidit, Florentiae 1778, col. 37. 21 Firenze, Archivio di Stato (ASF), Catasto, 491 (1433, Quartiere di Santa Croce, Gonfalone Carro), cc. 296v-297v (c. 297v); 798 (1457/58, Santa Croce, Carro), cc. 384r-387v, n. 115 (27 febbraio 1457/58); 799 (1457/58, Santa Croce, Carro, altro esemplare), cc. 365r-368v, n. 115 (27 febbraio 1457/58). 22 ASF, Decima repubblicana, 68 (1495, Santa Croce, Religiosi), c. 344v; e buona parte dei registri contabili in ACSMFF elencati alla prossima nota. 23 ASF, Catasto, 911 (1469, Santa Croce, Carro), c. 447r-v antica (446r-v nuova), n. 12; 1002 (1480, Santa Croce, Carro), c. 462r, s.n.; Decima repubblicana, 68, c. 344v; Firenze, Archivio del Capitolo di Santa Maria del Fiore (ACSMFF), C-149 (Libro Giallo A di debitori e creditori della Prioria di San Paolo, 1477-1493), cc. XL, 116-CXVI, 175, 189; C-148/1 (Libro di ricordi della Prioria di San Paolo, 1508/09), cc. IIIIv, Vv; C-150 (Libro Paonazzo D di debitori e creditori della Prioria di San Paolo, 1509-1518), cc. 28, 29-XXIX e 30-XXX; C-148/2 (Entrata e uscita A della Prioria di San Paolo, 1511-1519), cc. 1r-20v passim; I-205 (Libro Azzurro C di debitori e creditori del Capitolo di Santa Maria del Fiore, 1513-1522), cc. 278-CCLXXVIII, nonché 277, CCXCVIII, 314, 328, CCCXXXII, 351, 359, 360; N-96 (Entrata e Uscita C, ma già F, del CSMF, 1517-1522), 217 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario cc. 53v, 70v, 84v, 97r, 102v; B-118, Champione del Cherubino (1519 ss.), c. XLVr, nn. CXXIIII-CXXVI; I-122/1, Quaderno di chase et botteghe e altri beni del Capitolo fiorentino (sec. XVI), c. 10v, nn. 124-125. Cfr. anche I-208 (Libro Bianco B di debitori e creditori del CSMF, 1498-1513), cc. LXXXV-85, 140, CLVIIII, CLXXIX, 198, 213, CCXXXIIII, 234, CCLVIII, 286, CCCV, 305. 24 Si veda per tutti ACSMFF, C-149 frontespizio (non autografo dell’umanista): «Questo libro è di messere Angniolo di messere Benedetto di Nanni di Cino degli Anbrogini da Montepulciano, priore della.cchollegiata.cchiesa di Samto Pagholo di Firenze, e.cchiamasi libro e giornale g[i]allo segnato A, in sul quale si scchriveranno tutto.cche occhorerà per detta.cchiesa nel modo e forma.cche qui da piè si dirà, e teràssi alla viniziana, cioè nelle prime facie el dare e al dirinpetto l’avera [sic], e sarà tenuto di mano di detto messer Angniolo, .cchominciato questo dì 12 di luglio 1477». 25 ACSMFF, I-205, cc. 278-CCLXXVIII; N-96, c. 102v. 26 G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri, I, Firenze 1754, pp. 292-299; Passerini 1853, pp. 639-648; Paatz, Die Kirchen von Florenz, IV, 1952, pp. 474-479; e C. De Benedictis, Vicende e trasformazioni dell’Ospedale di Santa Maria di Orbatello, «Antichità viva», 26/5-6, 1987, pp. 28-34 (con alcune sviste gravi). 27 M. Buonarroti il Giovane, Sepoltuario, Firenze, Casa Buonarroti, ms. 99, c. 148r; S. Rosselli, [Sepoltuario. Quartieri di San Giovanni e di Santa Maria Novella], Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.126, c. 170r moderna (59r antica), n. 26 (che integro in corsivo su di un testimone più tardo in ASF, Manoscritti, 625, p. 864, n. 26): «Nel mezzo di chiesa, lastrone di macigno con fascia di marmo bianco attorno, con arme et inscrizione de’ Talani: “S(er) Petrus Talanus Presbiter, et Plebanus iacet hic, cuius a(n)i(m)a requiescat in pace. Miserere iustus Deus secundu(m) magnam misericordia(m) tuam, et secundu(m) multitudinem miserationu(m) tuar(um) de le peccata sua. Orate Deu(m) pro a(n)i(m)a istius sepulti”». Rosselli riporta l’epigrafe, o piuttosto le epigrafi, in modo più completo, ma Buonarroti è più attento alla disposizione dei testi in rapporto allo stemma. 28 Richa, Notizie istoriche, IV, 1756, pp. 120-138. 29 ACSMFF, B-143 (Inventari delle chiese del Capitolo metro- politano fiorentino, secc. XVI-XVII), cc. 37v-40v (San Paolo, 1577, con aggiunte sino al 1591), c. 39r; B-144 (Inventari delle chiese del Cap. metr. fior., secc. XVI-XVII), cc. 51r-55v (San Paolo, 1589, in copia del 1599, con aggiunte sino al 1615), c. 53r. 30 Supra, nota 11. 31 [L. Passerini Orsini de’ Rilli], Soderini di Firenze, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, Milano 1861, tavv. III-V. 32 Ibid., tav. V, è scritto in verità «poco dopo il 1470». 33 P.C. Clarke, The Soderini and the Medici: power and patronage in fifteenth century Florence, Oxford 1991, p. 127 e nota 16. 34 Si veda per tutto ibid., pp. 57 e nota 50, 124 e nota 2, 125127 e note 7-16, 138-139 e note 49-50. 35 Non è detto, peraltro, che l’iscrizione sia autografa di Gregorio (così com’è invece quella del busto Talani). Semplicemente è un testo molto antico, assai prossimo alla data del ritratto. Chi ha commissionato l’epigrafe conosceva bene Soderini, e desiderava conservarne la memoria. 36 Un terzo busto di Gregorio di Lorenzo fin qui non riconosciuto (fig. 8), che ho escluso dal testo anche perché non è stato mai sospettato di falsità (a quanto ne so), è una Gentildonna in altorilievo marmoreo sagomato oggi nel Musée des BeauxArts di Lione (inv. D.317; cfr. P. Durey, in Quattrocento: Italie 1350-1523. Peintures et sculptures du Musée des Beaux-Arts de Lyon, Lyon 1987, pp. 120-121, n. 30; il naso è in gran parte rifatto). Siccome l’opera (del 1470 ca.) è esemplata su un’altra del giovane Mino da Fiesole che ha avuto una precoce fortuna a Siena (la Vergine oggi a Washington, del 1461 ca.: in Middeldorf 1976, pp. 25-27, figg. 49-52), il museo proprietario l’ha a lungo ritenuta appunto, ma erroneamente, senese (è stato perfino precisato, ancora più erroneamente, un riferimento a Giovanni di Stefano). Stando a Middeldorf 1976, p. 27 nota 30, e a un’annotazione manoscritta del medesimo studioso sul cartone 277815 della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze (collocato per sua scelta tra le cose connesse con Domenico Rosselli), una replica o un calco del marmo lionese si trovava sino a circa trent’anni fa nell’androne del Palazzo Strozzi in Via Ghibellina 102 a Firenze. Ma quest’indicazione, che rimane utile come indizio sulla provenienza del busto di Lione, non è più attuale. Finito di stampare nel mese di gennaio 2012 in Pisa dalle EDIZIONI ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com