«Conosco un ottimo
storico dell’arte...»
Per Enrico Castelnuovo
Scritti di allievi e amici pisani
a cura di
Maria Monica Donato
Massimo Ferretti
EDIZIONI
DELLA
NORMALE
© 2012 Scuola Normale Superiore Pisa
isbn 978-88-7642-435-9
Indice
Premessa
Maria Monica Donato, Massimo Ferretti
ix
1953-2012
Paola Barocchi
1
Un periegeta greco a Roma.
Pausania e i theoremata nel centro dell’Impero
Francesco de Angelis
5
Un trionfo per due.
La matrice di Olbia: un unicum iconografico ‘fuori contesto’
Maria Letizia Gualandi, Antonio Pinelli
11
Il volto di Cristo e il dilemma dell’artista: un esempio di IX secolo
Francesca Dell’Acqua
21
Rappresentare il Giudizio a Roma al tempo della Riforma Gregoriana:
il caso di San Benedetto in Piscinula
Eleonora Mazzocchi
29
Sul ‘bestiario’ del reliquiario di san Matteo: Montecassino,
Roma e la ‘Riforma’ tra Occidente cristiano e Oriente islamico
Stefano Riccioni
35
Un frustolo disegnato. Lucca, Biblioteca Statale, ms. 370, c. 102
Alessio Monciatti
43
I Leoni custodes
Gigetta Dalli Regoli
51
Il Medioevo lucchese rivisitato a Villa Guinigi
Maria Teresa Filieri
61
Da Limoges a Lucca: modelli iconografici per l’oreficeria sacra
Antonella Capitanio
69
Iconografia per Sacrum Imperium.
Rilievi nella facciata del Duomo di San Donnino
Yoshie Kojima
77
Un volto per due dame, tra Poitiers e l’abbazia di Charroux
Chiara Piccinini
83
Le casse-reliquiario di san Giovanni Battista per il Duomo
di Genova: strutture narrative e percezione pubblica
Anna Rosa Calderoni Masetti
89
Luoghi e immagini nelle Storie degli Anacoreti di Pisa
Alessandra Malquori
97
Un frammento della chiesa della Spina nel Museo Bardini
Roberto Paolo Novello
105
Nino Pisano e la scultura lignea francese
Max Seidel
111
Spigolature
Mariagiulia Burresi
117
La pala d’altare di Maubuisson: note sull’iconografia
Michele Tomasi
125
L’Offiziolo bolognese della Biblioteca Abbaziale di Kremsmünster
Roberta Bosi
131
Una ‘maniera latina’ nel Levante tardomedievale?
Michele Bacci
141
Un tema di origine altomedievale nella pittura gotica:
nota su tre cicli pittorici del Tirolo
Fabrizio Crivello
149
Intorno a un trittico in muratura di Pietro di Miniato
Elisa Camporeale
155
Alla ricerca della Fontana di giovinezza. Il programma iconografico
degli affreschi della sala baronale del castello della Manta:
riflessioni e nuove proposte
Romano Silva
163
La fontana ‘del melograno’ di Issogne: due sogni e qualche indizio
Paola Elena Boccalatte
173
Fouquetiana
Maria Beltramini, Marco Collareta
181
L’«officina» e il «padiglione fiorito».
Appunti sulla pratica artistica ferrarese nel Quattrocento
Carmelo Occhipinti
189
Dalla cartella «Geografia della scultura lignea nel Quattrocento»
Massimo Ferretti
197
Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario, ovvero due busti
di Gregorio di Lorenzo, ex «Maestro delle Madonne di marmo»
Francesco Caglioti
207
L’epitaffio del Vecchietta
Roberto Bartalini
219
«Se pensa levare lo Arno a Pisa».
A proposito della Mappa del Pian di Pisa di Leonardo
Emilio Tolaini
223
Sulle tentazioni iconoclaste ebraiche in Italia
fra tardo Medioevo e prima età moderna
Michele Luzzati
227
Formiche assetate, tartarughe in viaggio, architetture incrollabili.
Sulla lunga fortuna di un topos epigrafico
Fulvio Cervini
239
Il doppio ritratto della maga Alcina
Lina Bolzoni
245
Ariosto, schede di censori
Adriano Prosperi
255
Intorno alla cappella Guidiccioni in Santo Spirito in Sassia
Barbara Agosti
259
Le pinceau et la plume. Pirro Ligorio, Benedetto Egio et la
«Aegiana libraria»: à propos du dessin du Baptistère du Latran
Ginette Vagenheim
267
«Come dice l’oppositione»: Aurelio Lombardi, Pellegrino Tibaldi
e Leone Leoni nel presbiterio del Duomo di Milano (1561-1569)
Walter Cupperi
271
Giovanni Battista Adriani e la stesura della seconda edizione delle Vite:
il manoscritto inedito della Lettera a messer Giorgio Vasari
Eliana Carrara
281
‘Anticomoderno’: significati ed usi del termine nella letteratura
artistica tra Cinque e Settecento
Fabrizio Federici
291
Tre medaglie per Joachim von Sandrart
Lucia Simonato
297
Città e santi patroni nell’età della Controriforma
Lucia Nuti
307
Inediti sul Porto Pisano a San Piero a Grado
con schemi dell’iconografia portuale
Fulvia Donati
315
«Un torso di un Fauno, non inferiore al torso di Belvedere».
Note sulla ricezione critica del Fauno Barberini nel Seicento
Lucia Faedo
323
La scoperta di Giunta Pisano
Antonio Milone
331
L’Antiquité expliquée e i Monumens de la monarchie française di Bernard
de Montfaucon: modelli per una storia illustrata del Medioevo francese
Elena Vaiani
337
Intreccio e dramma, provvidenza e misericordia nella storiografia lanziana
347
Massimiliano Rossi
Rapporti tra Galleria degli Uffizi e Accademia di Belle Arti
nel periodo leopoldino (1784-1790)
Miriam Fileti Mazza
353
Un quadro disperso di Pietro Benvenuti e le ‘razzie’
francesi a Firenze dell’autunno 1800
Ettore Spalletti
359
Voyage en Suisse, Belgique, Hollande et à Paris (1846).
Un diario di Costanza d’Azeglio
Cristina Maritano
365
Appunti di Giovanni Morelli per un catalogo della Pinacoteca di Brera
Dario Trento
373
«Il Buonarroti». Cronaca ed erudizione artistica
a Roma nel secondo Ottocento
Marco Mozzo
381
Fotografia e giapponismo: ancora sull’Alzaia di Signorini
Vincenzo Farinella
389
L’Exposition des Primitifs flamands de Bruges (1902),
«une œuvre patriotique»?
Claire Challéat
399
Firenze 1911: la mostra del ritratto italiano
e le radici iconografiche dell’identità nazionale
Tommaso Casini
407
Un paesaggio ‘moderno’ a Torino:
il Torrente in inverno (1910) di Giuseppe Bozzalla
Flavio Fergonzi
415
Les promenades péripatéticiennes: appunti su e di Filippo De Pisis al Louvre
423
Maria Mimita Lamberti
Aby Warburg, il Déjeuner sur l’herbe di Manet. La funzione di modello
delle divinità pagane elementari in rapporto alla evoluzione
del moderno sentimento della natura
Maurizio Ghelardi (a cura di)
431
«Maestri in tournée». Aby Warburg
ed Ernst Robert Curtius a Roma, il 19 gennaio 1929
Silvia De Laude
445
Il XIII congresso internazionale di storia dell’arte (1933) e la geografia
artistica. Le origini di un metodo e le sue inflessioni ideologiche
Michela Passini
453
Musei e multimedialità: cenni per una frammentaria archeologia
Donata Levi
461
Premessa
Conosco un ottimo storico dell’arte, uomo di vastissime letture, che
fra tutti i libri ha concentrato la sua predilezione più profonda sul
Circolo Pickwick, e a ogni proposito cita battute del libro di Dickens,
e ogni fatto della vita lo associa con episodi pickwickiani. A poco
a poco lui stesso, l’universo, la vera filosofia hanno preso la forma
del Circolo Pickwick in un’identificazione assoluta. Giungiamo per
questa via a un’idea di classico molto alta ed esigente.
Quando Italo Calvino così rispondeva all’eterna domanda Perché leggere i
classici, nell’intervista comparsa sull’«Espresso» nel 1981, gli amici di Enrico
Castelnuovo non avranno esitato un istante a riconoscere il personaggio che
agli occhi dello scrittore era diventato l’incarnazione stessa di ‘come leggere’
(piuttosto di ‘perché’). Altrettanto facilmente lo avranno poi identificato
generazioni di allievi, dopo che l’intervista fu ripubblicata, dieci anni dopo ed
ormai postuma, nella raccolta di scritti a cui darà il titolo. I più giovani, magari,
avranno avuto l’impressione che il romanzo di Dickens non fosse scalzato da
quel ruolo, questo no, ma che stesse ormai trovando concorrenti come l’Île des
pengouins di Anatole France.
La ragione per cui ci è parso utile usare un frammento di quel ritratto per il
frontespizio (una specie di ritratto tipologico, e perciò senza didascalia e solo
da alcuni riconoscibile) sta tutta nel verbo che fa da incipit: nel privilegio di
aver conosciuto Enrico da vicino, come colleghi o allievi. Questo privilegio
è largamente condiviso. Gli amici sono sparsi ovunque e gli estimatori della
sua intelligenza non stanno soltanto fra gli storici dell’arte. Di allievi, poi, ne
ha avuti molti: a Torino, a Losanna, di nuovo a Torino, e infine in Normale,
per venti anni (dal 1983-1984 al 2004). Sarebbe stato impossibile riunirli tutti
in una raccolta en hommage. Si è così scelto subito, sia pure a malincuore, di
limitare l’invito a chi ha frequentato Enrico nella sua lunga e così fruttuosa
stagione pisana. Ma la sua presenza a Pisa non si è fatta sentire solo nelle aule
della Normale. Enrico ha frequentato diversi colleghi dell’Università. Dal suo
studio sono passati allievi di ‘San Matteo’. Ha preso parte, anche direttamente,
oltre che assieme ad alcuni di questi allievi interni ed esterni, ad alcune
importanti mostre di ricerca organizzate a Pisa, Lucca, Sarzana dai colleghi della
Soprintendenza. Ha rinsaldato i legami con il maggiore centro di studio, nel
nostro ambito disciplinare, presente in Toscana: il Kunsthistorisches Institut.
Anche se l’invito a partecipare al volume è stato rivolto soltanto a quanti
fossero entrati in questo pur parziale raggio della geografia e della biografia di
Enrico, le risposte sono state davvero numerose. E se qualcuno non ce l’ha fatta
a scrivere, non ne iscriveremo il nome in un elenco epigrafico. Si riconoscerà
comunque nell’omaggio cumulativo: assieme a chi fosse stato dimenticato,
malauguratamente e non di proposito; assieme agli allievi più giovani del corso
x Maria Monica Donato, Massimo Ferretti
ordinario e del perfezionamento che ne hanno semplicemente seguito le lezioni
durante gli anni del ‘fuori ruolo’. Il contributo di uno di noi due, che ha riservato
il suo impegno per questa raccolta al lavoro organizzativo e redazionale,
comparirà a breve in altra sede. Il volume è comunque davvero corposo, tanto
da farci rabbrividire al solo pensiero della battuta con cui Roberto Longhi
accolse il volume a lui dedicato, uno degli incredibili episodi di vita che Enrico
ha tante volte ricordato: «grazie Bottari di questa bella… pizza» (i puntolini, per
chi ha sentito raccontare l’episodio, corrispondono al gesto del festeggiato che
soppesa il volume). Non ci preoccupa invece l’estrema varietà degli argomenti
perché confidiamo che richiami qualcosa dell’inesauribile curiosità intellettuale
di Enrico.
La gestazione editoriale di questo volume è stata più impegnativa di quanto si
fosse pensato. Ce ne dispiace, pensando agli autori più solleciti nella consegna;
e soprattutto ad uno dei primissimi, Romano Silva, improvvisamente mancato
l’autunno scorso (era contento – diceva, rinviando le bozze – che l’articolo per
Enrico gli avesse fatto maturare un più largo progetto di studio sul salone della
Manta). Per la complessa opera di preparazione dei testi e di correzione delle
bozze siamo grati in modo particolare a Matteo Ferrari e Elena Vaiani. Grazie
anche, per ragioni diverse e differentemente gravose, a Gabriele Donati, Miriam
Fileti Mazza, Miriam Leonardi, Michela Passini, Stefano Riccioni, Ludovica
Rosati, Lucia Simonato, Giovanna Targia. Un ringraziamento particolare a
Maria Vittoria Benelli e Bruna Parra sarebbe dovuto, da parte nostra, se non
fosse che anche loro fanno parte a pieno titolo degli amici pisani che hanno
contribuito a questo omaggio ad Enrico Castelnuovo.
Maria Monica Donato
Massimo Ferretti
Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario,
ovvero due busti di Gregorio di Lorenzo,
ex «Maestro delle Madonne di marmo»
La storiografia sulla scultura, assai più di quella
sulla pittura, è lastricata di oggetti, anche molto
validi, che per espiare la colpa non loro di essersi
affacciati alla ribalta critica sotto i fari di attribuzioni superiori alle loro qualità, o semplicemente non
centrate, hanno subìto il contrappasso di essere
poi sottostimati all’eccesso, addirittura dileggiati o,
nei casi meno crudeli, senz’altro dimenticati. Una
simile alternanza di gloria e disgrazia, che neppure oggi accenna a placarsi, è particolarmente vera
per la scultura toscana del Rinascimento, la quale,
a causa dei vastissimi consensi riscossi nell’Ottocento, è stata vittima di abili contraffazioni, con la
conseguenza che molte bombastiche attribuzioni
iniziali (a Donatello, a Leonardo, a Michelangelo)
sono state capovolte prima o dopo in vibrate denunce di falso. All’interno di quest’ambito, un destino ancora più dolente sembra spettare ai ritratti,
perché è stato in tale genere che il più celebre scultore-falsario dell’Ottocento, Giovanni Bastianini
(1830-1868), ebbe a mietere poco prima di morire i
suoi successi più sconcertanti.
Nel ripercorrere senza pregiudizi la storia delle
contraffazioni e la loro bibliografia, ci si rende conto che Bastianini resta a tutt’oggi l’unico scultore
toscano del Neorinascimento al quale si possa riconoscere una sicura patente di mistificatore1. Ciò
spiega la fortuna davvero eccessiva del suo nome,
ossia come mai, nell’ultimo secolo e passa, siano
stati centinaia i pezzi attribuiti a quest’uomo morto trentottenne: pochi correttamente, tantissimi a
sproposito, e, tra quest’ultimi, parecchi che non
sono nemmeno falsi. A censire proprio tutte le sculture che, una volta marchiate come non autentiche,
sono state connesse con Bastianini, risulta l’immagine di un artefice provvisto non solo di cento
mani, ma anche del più grande talento d’ogni tempo, sia per qualità sia per versatilità di stile. Ma non
basta: perché, se si traggono conseguenze coerenti
dalle attribuzioni più audaci e spettacolari a suo favore, Bastianini emerge anche come un acutissimo
esegeta storico, capace di anticipare nel linguaggio
muto e immediato delle opere alcune intuizioni e
conclusioni che gli studi avrebbero acquisito soltanto molte generazioni dopo, attraverso massicce
e indefesse esplorazioni nelle chiese, nei palazzi,
nelle raccolte private. Infine, Bastianini sarebbe stato pure un incommensurabile erudito, abilissimo a
frugare in segreto tra le carte e negli archivi allora
più riposti e impenetrabili del passato fiorentino
per conquistare notizie minute che avrebbe lasciate
inedite, ma che sarebbero state prima o poi perfettamente adatte a esaudire l’intima ragione storica
degli oggetti. Siamo, come si vede, al paradosso: un
paradosso nel quale sempre più spesso e inconsapevolmente si cade da parte di quanti (la maggioranza) ritengono che prendere per falsa un’opera
autentica sia in fondo una leggerezza ben più veniale che prendere per autentico un falso.
Discuto qui due busti virili in marmo che, dopo
essere stati pubblicati con una giusta datazione al
secondo Quattrocento fiorentino, ma sotto il carico
di nomi troppo prestigiosi da sostenere, sono stati puniti con attribuzioni errate a Bastianini: uno
è oggi alla National Gallery of Art di Washington
(inv. 1942.9.105, già A-99), è alto cm 48,3, ed è fregiato lungo la base con l’epigrafe a vista: . petrvs
.
talanvs . presbiter (fig. 1); l’altro è nel Musée
Jacquemart-André di Parigi (inv. 1794), è alto cm
43,6, e la sua iscrizione con l’identità dell’effigiato,
intagliata nascostamente nel piano di appoggio, recita:
lorenzo di m(esser) / tomaso di gv/ccio soderini
(figg. 5, 7).
A introdurre negli studi il primo busto, assegnandolo ottimisticamente a Benedetto da Maiano, fu nel 1925, allorché si trovava nella collezione
Widener di Philadelphia, Wilhelm R. Valentiner2.
Nel 1943, quando esso era ormai giunto nel museo
di Washington con tutta la raccolta di provenienza,
Georg Swarzenski, pur dubitando dell’autografia
maianesca, lo reputava ancora genuino3. Nei reper-
208 Francesco Caglioti
1. Gregorio di Lorenzo, Ser Piero di Paganello Talani, 1493-1495 ca. Washington, National Gallery of Art, Widener
Collection.
tori più recenti del museo l’opera è invece ascritta
senz’altro a Bastianini4.
Una trafila critica analoga, ma più precoce, e
dunque più complessa in prosieguo di tempo, è
toccata al busto di Parigi, che Édouard e Nélie André comprarono nel 1884 dall’antiquario Stefano
Bardini, convincendosi poi che spettasse a Mino
da Fiesole5. Immediatamente dopo il lascito della
209 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario
natorio, cioè dall’incauto acquisto che Édouard André,
nell’ormai lontano 1866,
aveva fatto della ‘Chanteuse
florentine’, uno tra i falsi più
eclatanti dell’umbratile scultore di Camerata di Fiesole,
emerso anche così all’onore
delle cronache8. Mezzo secolo dopo, quest’episodio
non cessava di turbare, più
di quanto non fosse stato
per André e sua moglie, i
custodi della loro memoria,
e la ‘Chanteuse florentine’,
rimasta per sempre presso
la rinomata coppia di collezionisti, sembrava capace
di contagiare altre sculture
nelle medesime stanze.
Nel 1937 Ulrich Middeldorf, convinto che il busto
parigino non meritasse una
simile stroncatura, lo rivendicò come cosa di Benedetto
da Maiano «between 1475
and 1480», ottenendo subito la piena adesione di Carlo
Ludovico Ragghianti9. Pur
non menzionando il busto
Widener, chissà se Middeldorf non avesse in mente
anch’esso per un confronto.
A causa di uno scambio di
lettura davvero curioso tra
due voci contigue del pri2. Gregorio di Lorenzo, Ercole I d’Este duca di Ferrara, 1472 ca. Londra, Victoria and
mo catalogo André (1913),
Albert Museum.
Middeldorf perse l’opportunità di annotarsi l’epigraloro casa all’Institut de France e l’apertura ufficiale
fe sottoposta al marmo e, con ciò, i dati anagrafici
del Musée Jacquemart-André (1912-1913), l’opedell’effigiato: dati che naturalmente Bertaux aveva a
ra fu ascritta a Bastianini da Émile Bertaux, primo
suo tempo ritenuti sospetti. Grazie all’appoggio più
conservatore delle raccolte, presentandosi in questa
volte ripetuto – ma sempre marginale e fugace –
veste fin dalle due più antiche edizioni del catalogo
che anche John Pope-Hennessy diede alla riabili(1913, 1914), per poi scomparire da tutte le numetazione di Middeldorf (sostituendo però all’autorose riedizioni posteriori (e, ovviamente, dalle sale
grafia del Maiano il più semplice apporto della sua
6
espositive) . Nel confermare prontamente la paterbottega)10, il busto ha trovato infine spazio come
7
lavoro rinascimentale nel catalogo sistematico delnità di Bastianini, Seymour de Ricci (1914) faceva
intendere da dove si originasse tanto zelo discrimile sculture italiane André (1975)11. L’attribuzione
210 Francesco Caglioti
3. Gregorio di Lorenzo, San Giovannino, 1470-1475 ca. Washington, National Gallery of Art.
è stata tuttavia mutata a favore di un anonimo del
primo Cinquecento: epoca, quest’ultima, suggerita dalla presunta identità del personaggio ritratto,
e subito approvata dal medesimo Pope-Hennessy
(«at earliest from the third decade of the sixteenthcentury»), con un’implicita rinuncia al riferimento
maianesco, essendo Benedetto scomparso fin dal
149712.
Ho sempre pensato che i due marmi di Washington e Parigi fossero non solo genuini, ma anche
della stessa mano fiorentina del 1480-1495 ca., ben
distinta sia da Mino sia dal Maiano. Oggi mi sento in grado di pronunciare con serenità il nome di
Gregorio di Lorenzo, ovvero di quello scultore che
Wilhelm Bode mise per la prima volta a fuoco sti-
listicamente nel 1884, quand’era ancora anonimo,
chiamandolo poi «Maestro delle Madonne di marmo». Middeldorf avrebbe incontrato qualche difficoltà a collegare un simile autore ai due busti, perché ai suoi tempi il «Maestro delle Madonne» era divenuto, in modo fuorviante, un lombardo di primo
Cinquecento (Tommaso Fiamberti o, a scelta, Giovanni Ricci), e perché anch’egli non era insensibile
a tale vulgata13: oggi, invece, grazie alla sicura identificazione con Gregorio, sappiamo che il nostro
scultore fu un fiorentino e un discepolo di Desiderio da Settignano, e che nacque nel 1436 ca. e morì
nel 1504 ca. Sappiamo inoltre che l’artista, stanziato
nella città natale durante la prima parte della sua
carriera (1455-1475 ca.), ma già allora operoso per
211 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario
Ferrante I re di Napoli e il
suo genero Ercole I d’Este,
duca di Ferrara, entrambi
presentati di profilo in due
rilievi degli stessi tempi
(1472 ca.), ma non compagni, oggi rispettivamente
sul mercato antiquario e nel
Victoria and Albert Museum di Londra15. L’Ercole
d’Este (fig. 2), così come i
profili imperiali scolpiti per
il medesimo duca, ostenta
una prominenza semicircolare della spalla privilegiata,
ed è fasciato alla base da una
sorta di nastro epigrafico
che ricorda ottimamente,
sia per l’andamento bombato e per l’altezza irregolare,
sia per il ductus delle lettere,
il marmo Widener con la
scritta: . petrvs . talanvs .
presbiter.
È nota fin dai giorni di
Bode, ma produce tuttora
nuove sorprese, l’inclinazione del «Maestro delle
Madonne» a imitare fino
alla replica alcuni tra i suoi
maggiori colleghi conterranei e contemporanei, da
Donatello a Desiderio, da
Antonio Rossellino a Mino,
dal Verrocchio a Francesco
Ferrucci: al punto che Po4. Gregorio di Lorenzo, Cristo coronato di spine, 1470-1475 ca. Parigi, Musée
pe-Hennessy, pubblicando
Jacquemart-André.
nel 1974 un saggio sulle falsificazioni del Neorinascialtri centri d’Italia (in specie Napoli e Ferrara), e
mento scultoreo che ha fatto scuola (e che peraltro
poi alquanto ramingo per l’Ungheria, la Dalmazia,
stroncava – in mezzo a tante – alcune opere nel
le Marche e la Romagna, scolpiva non solo Madonfrattempo riabilitate), vi ospitava qua e là il «Mane e piccoli arredi liturgici, ma anche figure di altri
estro delle Madonne», quasi come inquietante angeneri, perlopiù marmoree e perlopiù domestiche:
tesignano della prassi revivalistica esplosa a metà
soprattutto profili d’imperatori romani, busti sacri
Ottocento16. Alla folta schiera dei maestri sfruttati
da Gregorio possiamo aggiungere adesso Benedete profani di fanciulli (figg. 3, 6), busti patetici del
14
to da Maiano, perché il busto André, con la sua
Redentore (fig. 4) . Fra i personaggi della sua epoca
che Gregorio ebbe modo di ritrarre, e che si posimpietosa e forse eccessiva insistenza sui segni imsono tuttora riconoscere con sicurezza, vi furono
pressi nel volto dall’età, non sarebbe comprensibi-
Maestro
212 Francesco Caglioti
5. Gregorio di Lorenzo, Lorenzo di messer Tommaso Soderini, 1493-1495 ca. Parigi, Musée Jacquemart-André.
le senza lo splendido precedente del busto di Piero
Mellini al Bargello (1474). Il paragone con questo
e con altri ritratti maianeschi rivela d’altronde i limiti di Gregorio, e conferma dunque, così come
per il busto Widener, la troppa fiducia dell’originaria attribuzione a Benedetto (un maestro della
ritrattistica che, malgrado tutto, non sembra ancora valorizzato nell’intera scala dei suoi meriti, anche a causa del mancato riconoscimento di alcuni
capolavori)17. Incapace di rendere solidamente, e
meno che mai autorevolmente, la presenza dell’effigiato nello spazio, Gregorio riduce il più possibile il taglio della figura, annullando qualunque
ruolo – ancorché minimo e allusivo – delle braccia, e rimarcando al massimo grado il troncamento
orizzontale, secondo un costume collaudatissimo
ai suoi tempi, ma che sarebbe stato ormai intollerabile, soprattutto per un marmo, nella Firenze del
213 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario
6. Gregorio di Lorenzo, Putto con un cagnolino, 14931495 ca. Parigi, Musée Jacquemart-André.
1520-1530 cui si è invece pensato per l’esemplare
André.
Se l’autore del busto Widener fosse tuttora ignoto,
sarebbe facile prendere il sorriso largo del «Petrus
Talanus presbiter» come tratto un po’ esagerato di
sicurezza di sé o di giocondità, o come involontaria
autorivelazione di spigliatezza ottocentesca. E invece il confronto con le tante Madonne e i tanti putti
di Gregorio ci spiega che quel sorriso è un irrinunciabile stereotipo dello scultore, una scorciatoia da
lui ripetutamente praticata per esprimere innocenza, soavità, santità, protezione benevola (figg. 3, 6).
A uno scultore così bisognoso di appoggiarsi ai
modelli dei colleghi nelle figure di pura invenzione, il ritratto individuale forniva invece l’occasione
propizia per abbandonarsi al dato di natura. Avviene dunque che in entrambi i nostri busti le rughe,
le pliche e gli altri acciacchi della carne siano ritratti
senza sconti, quasi con lo stesso zelo investito nel
rimarcare le sofferenze del Redentore coronato di
spine nelle immagini a tutto tondo18.
Una volta capito l’autore dei due busti, restano
da scovarne i soggetti, affatto oscuri e peculiari se si
deve stare alle iscrizioni: non, dunque, le celebrità
prese di petto da Bastianini (Girolamo Savonarola,
Girolamo Benivieni, Marsilio Ficino, Lucrezia Donati), e neppure le dame dai nomi altisonanti ma
improbabili («Ioanna Albiza», «Aloysia Stroza»),
tanto amate da lui e dai suoi anonimi colleghi d’inganno.
Gli archivi storici fiorentini sono tutt’oggi notoriamente così ricchi che, una volta imboccata la
loro strada, il rischio è addirittura di non riuscire a
selezionare le verifiche possibili.
Cominciamo da «Petrus Talanus presbiter», di
cui non sembra darsi alcuna notizia a stampa. Era
ser Piero di Paganello di Francesco di Paganello
Talani Filipetri, discendente di una famiglia antica
ma non assurta mai a grandi fastigi, e che tuttavia
aveva il merito di aver fondato a metà Trecento l’ospedale di Santa Caterina presso Porta San Gallo,
noto appunto come di Santa Caterina de’ Talani e
rimasto attivo sino alla soppressione granducale del
175119. Il padre e poi i numerosi fratellastri e fratelli
di ser Piero avevano le loro abitazioni principali in
Piazza del Grano dietro il Palazzo della Signoria, e
appartenevano perciò al quartiere di Santa Croce e
al popolo di San Piero Scheraggio: chiesa, quest’ultima, nella quale si trovavano le loro sepolture. Il
fratellastro maggiore di Piero, Francesco, nato
nel 1422, allestì entro l’ottobre del 1479, tutta da
sé, una copia manoscritta della Divina Commedia
passata poi alla Biblioteca Medicea Laurenziana
(pluteo XL, 33)20. Nato nel 1432, Piero si emancipò
dal padre nel 1453, e nel 1458 era prete da qualche
tempo21. Al culmine della carriera fu cappellano
del battistero di San Giovanni22. Dal 1464 sino alla
morte abitò nel quartiere di Santa Maria Novella, in
Via Coda Rimessa (odierna Via San Paolino), entro
7. Gregorio di Lorenzo, Lorenzo di messer Tommaso
Soderini, particolare dell’iscrizione, 1493-1495 ca. Parigi,
Musée Jacquemart-André.
214 Francesco Caglioti
8. Gregorio di Lorenzo, Gentildonna, 1470 ca. Lione,
Musée des Beaux-Arts.
alcune case prese a livello perpetuo dalla chiesa di
San Paolo in Palazzuolo, ovvero San Paolo de’ Preti, meglio nota poi come San Paolino23: uno tra i
più antichi santuari cristiani di Firenze, che negli
anni che c’interessano era una prioria autonoma,
con a capo, per un tratto, il grande Poliziano24. Ser
Piero morì poco meno che nonagenario il 14 agosto 152125, quando ancora esercitava le sue funzioni sacerdotali nell’ospizio femminile di Orbatello
(cioè di Santa Maria Annunziata in Orbatello),
voluto negli anni settanta del Trecento da Niccolò
di Jacopo degli Alberti nell’isolato di nord-est fra
le odierne Via della Pergola e Via della Colonna,
dove l’istituzione si mantenne sino all’Ottocento,
confluendo poi nella riorganizzazione post-unitaria della sanità pubblica fiorentina26. Gli eruditi
del Seicento più attenti alle memorie funerarie, da
Michelangelo Buonarroti il Giovane a Stefano Rosselli, vedevano ancora la tomba terragna del Talani,
con l’arme e con una lunga iscrizione senza data, in
mezzo alla navata di San Paolino27. Pochi anni prima di ser Piero era morto l’ultimo titolare, ormai
commendatario, della prioria, il cardinale Niccolò
Pandolfini vescovo di Pistoia (1518), e papa Leone
X ne aveva approfittato per conferirla al Capitolo metropolitano fiorentino. Un secolo dopo, nel
1618-1619, il complesso sarebbe passato ai padri
di santa Teresa d’Avila, che lo posseggono tuttora.
Il rifacimento pressoché integrale cui la chiesa e il
convento furono sottoposti dai carmelitani scalzi
fra il Seicento e il Settecento fece scomparire, assieme alla gran parte dei sepolcri antichi, anche quello
di ser Piero, che non è più registrato nelle Notizie
istoriche delle chiese fiorentine di Giuseppe Richa
(1754-1762)28.
Per quel che Gregorio di Lorenzo riesce a trasmetterci dell’età del personaggio, si direbbe che il
Talani fosse poco più che sessantenne all’epoca del
busto, e dunque che ne fosse egli stesso il committente un po’ velleitario (1493-1495 ca.). Tutto lascia
credere che alla sua morte il sacerdote legasse il ritratto alla canonica di San Paolo: fiducioso anche
in tale possibilità, ho cercato il marmo negli inventari della chiesa prima della cessione ai carmelitani,
e l’ho trovato in due liste del 1577 e del 1589, che
menzionano nella sagrestia «una testa di marmo
di ser [1589: di messer] Piero Talani»29. Non sono
andato oltre nella ricerca per appurare se il busto
venisse allontanato dai carmelitani fin dal Seicento
(così come il sepolcro del medesimo personaggio),
o se invece i padri attendessero per disfarsene le più
mature sollecitazioni antiquariali dell’Ottocento.
Quanto a Lorenzo di Tommaso Soderini, esistono nel ramo di Guccio, principale della casata
soderiniana, almeno tre personaggi con lo stesso
nome e lo stesso patronimico vissuti in parte o in
tutto nel Quattrocento (così come già rileva il catalogo André del 1975)30: uno nato nel 1363 e morto
nel 1405; l’altro nato nel 1433 e morto «vers 1470»;
l’altro nato nel 1483 e morto impiccato alle finestre del Bargello, per ordine della Repubblica, nel
1530. Si tratta di rappresentanti della medesima
linea agnatizia, a distanza di due generazioni ogni
volta31. È per me un mistero che il catalogo André e
con esso Pope-Hennessy abbiano scelto il Lorenzo
più tardo e sfortunato, mentre la cronologia artistica parla decisamente a favore di suo nonno. Forse
il terzo Lorenzo è stato preferito perché il secondo
si credeva morto «vers 1470»32, cioè un po’ troppo
presto per l’età o per il punto di stile che si evince dal busto. Ma in questi casi si sarebbe potuto o
dovuto pensare pur sempre all’eventualità di un ritratto postumo. Oggi sappiamo, d’altronde, che il
secondo Lorenzo visse dieci anni in più, morendo
poco prima del 1480 (forse nel 1479)33.
215 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario
Egli era figlio primogenito – e unico vissuto sino
alla maturità fra quelli di primo letto – di messer
Tommaso di Lorenzo (1403-1485), uno tra i personaggi politici più cospicui del Quattrocento fiorentino. Era insomma fratellastro, ben maggiore d’età,
del futuro gonfaloniere perpetuo Piero e del futuro
cardinal Francesco, figli di secondo letto del longevo Tommaso, rimasto vedovo di Maria Torrigiani
e riammogliatosi con Dianora Tornabuoni. Priore
della Repubblica per il quartiere di Santo Spirito nel
luglio-agosto 1463, Lorenzo partecipò alla congiura
del 1465 contro Piero di Cosimo de’ Medici, restando antimediceo fino al resto dei suoi giorni, anche
per differenziarsi da suo padre, con cui aveva forti
contrasti ereditari, e per assecondare lo zio paterno
Niccolò di Lorenzo, antimediceo di primo rango34.
Se ve ne fosse ancora bisogno, a rassicurarci che il
Soderini del busto André è lui basterebbe un dettaglio minimo ma rivelatore dell’epigrafe, nella quale
il patronimico non è semplicemente «di Tomaso»,
bensì «di m(esser) Tomaso»: appellativo di rispetto,
questo «messer», che toccava soltanto al Tommaso
celebre, e che comunque è sempre documentato in
rapporto a lui e non all’omonimo figlio di suo figlio
e padre del Lorenzo giustiziato nel 1530. Chi vorrà
mai attribuire a Bastianini o a un altro falsario coevo una simile sottigliezza filologica?35
Le fattezze del busto denunciano che all’epoca della realizzazione il Soderini aveva già vissuto
per intero la sua esistenza, conclusasi a quarantasei anni. E, a osservare meglio, quello sguardo un
po’ generico e spento fa pensare addirittura a un
ritratto postumo (benché senza l’aiuto di un calco
dal vero). Ciò pone il problema della destinazione
originaria dell’opera: non è chiaro se per una memoria domestica o invece per una fruizione pubblica, lì dove i Soderini avevano tradizionalmente
le loro tombe (il Carmine di Firenze). È verosimile
che gli archivi fiorentini risponderanno un giorno
anche a tale domanda36.
Francesco Caglioti
Si dibatte ancora, nondimeno, per capire se egli fosse connivente con i suoi venditori e committenti, o se scolpisse in
buona fede: per il primo punto di vista, assai più plausibile, si
pronuncia da ultimo J. Warren, Forgery in Risorgimento Flor1
ence: Bastianini’s ‘Giovanni delle Bande Nere’ in the Wallace
Collection, «The Burlington Magazine», 147, 2005, pp. 729741. Per il secondo: A.F. Moskowitz, The case of Giovanni
Bastianini: a fair and balanced view, «Artibus et historiae», 50,
2004, pp. 157-185; Ead., The case of Giovanni Bastianini - II: a
hung jury?, ibid., 54, 2006, pp. 201-217.
2
W.R. Valentiner, The Clarence H. Mackay collection of
Italian Renaissance sculptures. I, «Art in America and elsewhere», 13, 1925, pp. 238-265, in part. 247 fig. 5, 249.
3
G. Swarzenski, Some aspects of Italian Quattrocento
sculpture in the National Gallery. II, «Gazette des Beaux-Arts»,
s. 6, 24, 1943, pp. 283-304, in part. 296-297 (senza ill.).
4
Sculpture: an illustrated catalogue. National Gallery of Art,
Washington, [a cura di J. Warnement, B. Gessner], Washington 1994, pp. 27, 239, 251, 281.
5
[É. Bertaux], Institut de France, Musée Jacquemart-André. Catalogue itinéraire, Paris [1913], p. 111, n. 769. L’attribuzione minesca è ricordata, e insieme rifiutata a favore di
Bastianini, da S. de Ricci, Institut de France. Musée Jacquemart-André. Les Objets d’Art, «Les Arts», 13/153, 1914 (numero monografico), p. 16 (senza ill.).
6
[Bertaux 1913], loc. cit.; Deuxième édition, entièrement
revue, [1914], p. 111, n. 769.
7
Supra, nota 5.
8
F. de la Moureyre-Gavoty, Institut de France, Paris Musée Jacquemart-André. Sculpture italienne, Paris 1975, n.
201.
9
U. Middeldorf, Two little-known Florentine marbles in
the Musée Jacquemart-André, «Art in America and elsewhere»,
25, 1937, pp. 154-163, in part. 161-163 e note 7-9, figg. 4-7 (poi
in Id., Raccolta di scritti that is Collected Writings, I, Firenze
1979, pp. 279-285, in part. 282-285 e note 7-9, figg. 190-193);
C.L. Ragghianti, recensione del precedente, «La Critica d’arte», 5/3-4, 1940, pp. XIV-XV.
10
J. Pope-Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London
1958, p. 308; London-New York 19712, p. 290.
11
Moureyre-Gavoty 1975, n. 138.
12
J. Pope-Hennessy, Italian Sculpture – Budapest and Paris, «Apollo», 102, 1975, pp. 474-475, in part. 475. Questa postdatazione non ha impedito peraltro che il busto André figuri
come maianesco ancora in Id., Italian Renaissance Sculpture,
New York 19853, p. 290.
13
U. Middeldorf, An Ecce Homo by the Master of the Marble Madonnas, in Album amicorum J.G. van Gelder, a cura di J.
Bruyn et al., The Hague 1973, pp. 234-236, poi in Id., Raccolta,
II, 1980, pp. 345-349, figg. 189-195; ed. it., Un Ecce Homo del
Maestro delle Madonne di marmo, «Arte illustrata», 7, 1974,
pp. 2-9.
14
La carriera e il catalogo di Gregorio sono passati ora in ras-
216 Francesco Caglioti
segna da F. Caglioti, Gregorio di Lorenzo of Florence, sculptor
to Matthias Corvinus, in Matthias Corvinus, the King. Tradition and Renewal in the Hungarian Royal Court 1458-1490,
catalogo della mostra (Budapest 2008), a cura di P. Farbaky et
al., Budapest 2008, pp. 128-137 (stessa numerazione della contemporanea edizione ungherese); e da Id., Gregorio di Lorenzo,
in Allgemeines Künstler-Lexikon. Die Bildenden Künstler aller
Zeiten und Völker, LXI, München-Leipzig 2009, pp. 358-360.
15
Per il primo: A. Butterfield, in Scultura. Tomasso
Brothers Fine Art, London 2008, pp. 8-11, n. 1; Caglioti 2009,
p. 359. Per il secondo: P. Di Natale, in V. Sgarbi, A. Bellandi, P. Di Natale, Domenico di Paris e la scultura a Ferrara nel Quattrocento, Ferrara-Milano 2006, pp. 140 e note 4-6,
145 fig.; Caglioti 2008, pp. 132, 134 fig. 10, 135; Id. 2009, p.
359 (sono del tutto ingiustificati i dubbi sull’autenticità messi
avanti da L. Scardino, Neo-estense in scultura: falsi, autentici,
‘omaggi’ e mercato delle statue a Ferrara tra Otto e Novecento.
4 capitoli, Ferrara 2006, pp. 8 nota 12 [p. 30], 36 fig.; e da A.P.
Torresi, Tre scultori per Ercole I. Ritratti al duca di Bertoldo
di Giovanni, Sperandio mantovano, Guido Mazzoni, in Crocevia estense. Contributi per la storia della scultura a Ferrara nel
XV secolo, a cura di G. Gentilini, L. Scardino, Ferrara 2007, pp.
189-226, in part. 224).
16
J. Pope-Hennessy, The forging of Italian Renaissance
sculpture, «Apollo», 99, 1974, pp. 242-267, poi in Id., The study
and criticism of Italian sculpture, New York-Princeton 1980,
pp. 223-270.
17
Ritengo che il corpus attualmente approvato di Benedetto
ritrattista vada arricchito con tre importanti opere, una delle
quali ha avuto la sfortuna, così come i due busti di Gregorio
discussi nel testo, di un’attribuzione impropria tradottasi poi
nel più completo discredito: il busto femminile in terracotta
già nella collezione Foulc a Parigi (sino al 1907) e poi nella
Pierpont Morgan Library di New York (sino al 1979), riferito dapprincipio al Verrocchio e quindi sospettato da alcuni
come falso, ovviamente di Bastianini, al punto che la Morgan Library se ne liberò vendendolo all’asta (per Verrocchio
cfr. W. Bode, Denkmäler der Renaissance-Skulptur Toskanas
in historischer Anordnung, München 1892-1905, tav. della
Probelieferung [1892], divenuta poi IX, tav. 443A[a], e testo
[1905], p. 143; e per Bastianini O. Sirén, Some sculptures from
Verrocchio’s workshop, «Art in America», 3, 1915, pp. 56-65,
in part. 60). Ad esso si associa un busto virile in terracotta
della National Gallery of Art di Washington (inv. 1943.4.75,
Kress Coll.), già Ginori e poi Liechtenstein, ritenuto di Benedetto da Maiano o di Antonio Rossellino prima che Ulrich
Middeldorf, nel catalogo delle sculture ex Kress che è tuttora
normativo per i musei proprietari di tali opere, lo declassasse a
cosa anonima d’inizio Cinquecento (Sculptures from the Sam-
uel H. Kress Collection. European Schools, XIV-XIX Century,
London 1976, pp. 42-43, fig. 76). Come spero di motivare
altrove, i due busti hanno buone possibilità di essere stati in
origine una coppia e di rappresentare i fiorentini Bartolomeo
Lapi e Gismonda Tornabuoni, tra il 1485 e il 1490 ca. (ma si
vedano intanto F. Caglioti, Nuove terracotte di Benedetto da
Maiano, «Prospettiva», 126-127, 2007, pp. 15-45, e D. Carl,
Bartolomeo Lapi, Benedetto da Maiano und die Pietà für Santa
Maria Nepotecosa, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 51, 2007 [2008], pp. 267-270). Un buon decennio prima di tali terracotte si colloca il ritratto funerario in
marmo del vescovo Donato de’ Medici nel Duomo di Pistoia
(1475), sempre disputato nell’ultimo secolo tra Rossellino e il
Verrocchio, ma significativamente mai accolto nelle letterature monografiche su questi due scultori: si danno nondimeno
rare eccezioni, del tutto ignorate, a favore di Benedetto (M.
Reymond, La sculpture florentine, III, Florence 1899, pp. 139
e nota 1, 142 fig.).
18
Bibliogr. supra, nota 13.
19
L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e
d’istruzione elementare gratuita della città di Firenze, Firenze
1853, pp. 648-658; W. ed E. Paatz, Die Kirchen von Florenz.
Ein kunstgeschichtliches Handbuch, I, Frankfurt am Main
1940, pp. 440-441.
20
Catalogus codicum Italicorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, Gaddianae, et Sanctae Crucis. [...] Ang. Mar. Bandinius [...] recensuit, illustravit, edidit, Florentiae 1778, col. 37.
21
Firenze, Archivio di Stato (ASF), Catasto, 491 (1433,
Quartiere di Santa Croce, Gonfalone Carro), cc. 296v-297v (c.
297v); 798 (1457/58, Santa Croce, Carro), cc. 384r-387v, n. 115
(27 febbraio 1457/58); 799 (1457/58, Santa Croce, Carro, altro
esemplare), cc. 365r-368v, n. 115 (27 febbraio 1457/58).
22
ASF, Decima repubblicana, 68 (1495, Santa Croce, Religiosi), c. 344v; e buona parte dei registri contabili in ACSMFF
elencati alla prossima nota.
23
ASF, Catasto, 911 (1469, Santa Croce, Carro), c. 447r-v
antica (446r-v nuova), n. 12; 1002 (1480, Santa Croce, Carro),
c. 462r, s.n.; Decima repubblicana, 68, c. 344v; Firenze, Archivio del Capitolo di Santa Maria del Fiore (ACSMFF), C-149
(Libro Giallo A di debitori e creditori della Prioria di San Paolo,
1477-1493), cc. XL, 116-CXVI, 175, 189; C-148/1 (Libro di ricordi della Prioria di San Paolo, 1508/09), cc. IIIIv, Vv; C-150
(Libro Paonazzo D di debitori e creditori della Prioria di San
Paolo, 1509-1518), cc. 28, 29-XXIX e 30-XXX; C-148/2 (Entrata e uscita A della Prioria di San Paolo, 1511-1519), cc. 1r-20v
passim; I-205 (Libro Azzurro C di debitori e creditori del Capitolo di Santa Maria del Fiore, 1513-1522), cc. 278-CCLXXVIII,
nonché 277, CCXCVIII, 314, 328, CCCXXXII, 351, 359, 360;
N-96 (Entrata e Uscita C, ma già F, del CSMF, 1517-1522),
217 Due false attribuzioni a Giovanni Bastianini falsario
cc. 53v, 70v, 84v, 97r, 102v; B-118, Champione del Cherubino
(1519 ss.), c. XLVr, nn. CXXIIII-CXXVI; I-122/1, Quaderno di
chase et botteghe e altri beni del Capitolo fiorentino (sec. XVI),
c. 10v, nn. 124-125. Cfr. anche I-208 (Libro Bianco B di debitori e creditori del CSMF, 1498-1513), cc. LXXXV-85, 140,
CLVIIII, CLXXIX, 198, 213, CCXXXIIII, 234, CCLVIII, 286,
CCCV, 305.
24
Si veda per tutti ACSMFF, C-149 frontespizio (non autografo dell’umanista): «Questo libro è di messere Angniolo di
messere Benedetto di Nanni di Cino degli Anbrogini da Montepulciano, priore della.cchollegiata.cchiesa di Samto Pagholo
di Firenze, e.cchiamasi libro e giornale g[i]allo segnato A, in sul
quale si scchriveranno tutto.cche occhorerà per detta.cchiesa
nel modo e forma.cche qui da piè si dirà, e teràssi alla viniziana, cioè nelle prime facie el dare e al dirinpetto l’avera [sic], e
sarà tenuto di mano di detto messer Angniolo, .cchominciato
questo dì 12 di luglio 1477».
25
ACSMFF, I-205, cc. 278-CCLXXVIII; N-96, c. 102v.
26
G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne’
suoi quartieri, I, Firenze 1754, pp. 292-299; Passerini 1853,
pp. 639-648; Paatz, Die Kirchen von Florenz, IV, 1952, pp.
474-479; e C. De Benedictis, Vicende e trasformazioni dell’Ospedale di Santa Maria di Orbatello, «Antichità viva», 26/5-6,
1987, pp. 28-34 (con alcune sviste gravi).
27
M. Buonarroti il Giovane, Sepoltuario, Firenze, Casa
Buonarroti, ms. 99, c. 148r; S. Rosselli, [Sepoltuario. Quartieri di San Giovanni e di Santa Maria Novella], Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. II.I.126, c. 170r moderna (59r antica), n. 26 (che integro in corsivo su di un testimone più tardo
in ASF, Manoscritti, 625, p. 864, n. 26): «Nel mezzo di chiesa,
lastrone di macigno con fascia di marmo bianco attorno, con
arme et inscrizione de’ Talani: “S(er) Petrus Talanus Presbiter, et Plebanus iacet hic, cuius a(n)i(m)a requiescat in pace.
Miserere iustus Deus secundu(m) magnam misericordia(m)
tuam, et secundu(m) multitudinem miserationu(m) tuar(um)
de le peccata sua. Orate Deu(m) pro a(n)i(m)a istius sepulti”».
Rosselli riporta l’epigrafe, o piuttosto le epigrafi, in modo più
completo, ma Buonarroti è più attento alla disposizione dei testi in rapporto allo stemma.
28
Richa, Notizie istoriche, IV, 1756, pp. 120-138.
29
ACSMFF, B-143 (Inventari delle chiese del Capitolo metro-
politano fiorentino, secc. XVI-XVII), cc. 37v-40v (San Paolo,
1577, con aggiunte sino al 1591), c. 39r; B-144 (Inventari delle chiese del Cap. metr. fior., secc. XVI-XVII), cc. 51r-55v (San
Paolo, 1589, in copia del 1599, con aggiunte sino al 1615), c.
53r.
30
Supra, nota 11.
31
[L. Passerini Orsini de’ Rilli], Soderini di Firenze, in P.
Litta, Famiglie celebri italiane, Milano 1861, tavv. III-V.
32
Ibid., tav. V, è scritto in verità «poco dopo il 1470».
33
P.C. Clarke, The Soderini and the Medici: power and
patronage in fifteenth century Florence, Oxford 1991, p. 127 e
nota 16.
34
Si veda per tutto ibid., pp. 57 e nota 50, 124 e nota 2, 125127 e note 7-16, 138-139 e note 49-50.
35
Non è detto, peraltro, che l’iscrizione sia autografa di
Gregorio (così com’è invece quella del busto Talani). Semplicemente è un testo molto antico, assai prossimo alla data del
ritratto. Chi ha commissionato l’epigrafe conosceva bene Soderini, e desiderava conservarne la memoria.
36
Un terzo busto di Gregorio di Lorenzo fin qui non riconosciuto (fig. 8), che ho escluso dal testo anche perché non è stato
mai sospettato di falsità (a quanto ne so), è una Gentildonna
in altorilievo marmoreo sagomato oggi nel Musée des BeauxArts di Lione (inv. D.317; cfr. P. Durey, in Quattrocento: Italie
1350-1523. Peintures et sculptures du Musée des Beaux-Arts de
Lyon, Lyon 1987, pp. 120-121, n. 30; il naso è in gran parte
rifatto). Siccome l’opera (del 1470 ca.) è esemplata su un’altra
del giovane Mino da Fiesole che ha avuto una precoce fortuna
a Siena (la Vergine oggi a Washington, del 1461 ca.: in Middeldorf 1976, pp. 25-27, figg. 49-52), il museo proprietario
l’ha a lungo ritenuta appunto, ma erroneamente, senese (è stato perfino precisato, ancora più erroneamente, un riferimento
a Giovanni di Stefano). Stando a Middeldorf 1976, p. 27 nota
30, e a un’annotazione manoscritta del medesimo studioso sul
cartone 277815 della fototeca del Kunsthistorisches Institut di
Firenze (collocato per sua scelta tra le cose connesse con Domenico Rosselli), una replica o un calco del marmo lionese
si trovava sino a circa trent’anni fa nell’androne del Palazzo
Strozzi in Via Ghibellina 102 a Firenze. Ma quest’indicazione,
che rimane utile come indizio sulla provenienza del busto di
Lione, non è più attuale.
Finito di stampare nel mese di gennaio 2012
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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